Alla luce delle tensioni che caratterizzano le condizioni quadro dell’economia, il 14 maggio 2025 il Consiglio federale ha deciso di prolungare nuovamente la durata massima di riscossione dell’indennità per lavoro ridotto (ILR) da dodici a diciotto mesi. In questo modo le aziende potranno pianificare con maggior sicurezza. L’ordinanza modificata entrerà in vigore il 1° agosto 2025 e sarà valida fino al 31 luglio 2026.
L’ulteriore estensione della durata massima di riscossione dell’ILR si basa sugli ultimi dati del gruppo di esperti della Confederazione per le previsioni congiunturali. Nel 2025 e 2026 si prevede un leggero aumento del tasso di disoccupazione, al 2,8%. Non dovrebbe quindi verificarsi una ripresa del mercato del lavoro, ma sarebbero soddisfatte le disposizioni di legge per una proroga temporanea della durata massima d riscossione dell’ILR. Le aziende avranno così la possibilità di beneficiare dell’ILR fino a diciotto mesi, per i dipendenti che soddisfano i requisiti di ammissibilità.
È questa la risposta della Confederazione alla crescita dell’economia svizzera che si mantiene inferiore alla media, aggravata dalle incertezze internazionali che caratterizzano la politica commerciale ed economica. La decisione degli Stati Uniti del 2 aprile 2025 di imporre ulteriori dazi sui beni svizzeri ha fatto aumentare la probabilità che la congiuntura si sviluppi in modo meno favorevole di quanto previsto. L’industria dei macchinari, metalmeccanica ed elettrica (industria MEM) e l’orologeria sono settori particolarmente colpiti dalla persistente debolezza congiunturale, nonché particolarmente interessati a beneficiare dell’ILR.
Il prolungamento della durata per beneficiare dell’ILR offre a queste aziende una preziosa sicurezza per pianificare e adattarsi alla difficile situazione economica, ad esempio sfruttando nuove opportunità commerciali e mercati di vendita. L’obiettivo è di contrastare un’impennata della disoccupazione. In questo modo, le imprese possono conservare i propri effettivi a fronte di perdite di lavoro temporanee e quindi garantire i posti di lavoro. Sono inoltre allo studio ulteriori misure per alleggerire gli oneri amministrativi legati all’ILR.
Mercoledì 7 maggio ha avuto luogo la serata informativa “Dall’idea all’impresa: pianifica, finanzia e valuta il tuo progetto,”organizzata dall’Ente Regionale per lo Sviluppo del Luganese (ERSL) in collaborazione con il servizio cantonale interdipartimentale Fondounimpresa, dedicata in particolare ai (futuri) micro imprenditori.
Durante la serata sono stati presentati gli attori e gli strumenti che possono offrire supporto nel trasformare una buona idea in un progetto solido, con la la partecipazione di:
Dante Caprara, dell’Ufficio per lo sviluppo economico, il quale ha esposto una panoramica delle principali misure adottate dal Cantone a sostegno della micro-imprenditorialità,
Manuela Guggiari, Direttrice direttrice dell’Istituto della formazione continua del DECS, la quale ha presentato gli accopagnamenti e i servizi messi a disposizione dal servizio cantonale interdipartimentale (DECS/DFE) Fondounimpresa,
Roberta Angotti Pellegatta, Direttrice dell’ERSL, la quale ha presentato il supporto offerto dell’Ente ai progetti nel Luganese, con un focus in particolare sulle possibilità di finanziamento, come il Fondo di Promozione Regionale del Luganese (FPRL) che per il 2025 dispone di CHF 500’000 a favore di progetti nella regione e la piattaforma di crowdfunding Progettiamo.ch,
Laura Arata, dell’Aiuto svizzero alla montagna (Berghilfe), la quale ha esposto le possibilità di finanziamento per le imprese e associazioni nelle regioni montane,
Salvatore Vitale, Responsabile Svizzera italiana di CFSud, che ha mostrato come la cooperativa di fideiussione per PMI possa sotenere queste realtà nella realizzazione di progetti facilitando l’accesso al credito bancario,
Sergio Trabattoni, CSR Manager della Cc-Ti, che ha presentato il rapporto di sostenibilità semplificato quale strumento ideale per permettere anche a piccole realtà con risorse a disposizione limitate di mostrare il proprio impegno in questo ambito, investendo così sulla propria reputazione e ottenendo un vantaggio competitivo.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/05/ART25-Impresa-pianifica-finanzia.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-05-13 08:59:202025-05-13 08:59:21Dall’idea all’impresa: pianifica, finanzia e valuta il tuo progetto
La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ha preso atto della consultazione sopra citata e formula, con la presente, alcune osservazioni di carattere generale sul programma di sgravio e altre considerazioni puntuali su alcuni temi specifici.
Contesto
È noto che la Confederazione deve fronteggiare uno squilibrio di bilancio strutturale. Per rispettare il principio del freno all’indebitamento, deve quindi adottare una serie di misure volte non a ridurre il budget federale, ma a rallentarne la crescita, intervenendo soprattutto sulla spesa, la cui crescita preoccupa soprattutto in prospettiva futura.
In questo contesto, a seguito del rapporto presentato dal gruppo di esperti guidato da Serge Gaillard, il Consiglio federale propone il Programma di sgravio del bilancio 2027, con una sessantina di misure di vario tipo. 23 di queste misure possono essere sottoposte alla normale procedura di bilancio, altre 36 richiedono una serie di modifiche legislative, che sono al centro della presente consultazione.
A questo proposito, va notato che queste revisioni legislative sono interconnesse e costituiscono un unico atto di modifica.
Valutazione complessiva
La Cc-Ti, come tutte le altre Camere di commercio e dell’industria svizzere, sostiene da sempre una gestione rigorosa delle finanze pubbliche, nel rispetto del freno all’indebitamento. In linea di principio, condividiamo pertanto lo spirito e l’approccio del Programma di alleggerimento del bilancio, che prevede interventi prevalentemente sul fronte delle spese e che rappresenta quindi una buona opportunità per esaminare la pertinenza dell’intervento federale in una serie di settori. In effetti, secondo quanto presentato, oltre il 90% delle misure dovrebbe essere attuato sul fronte della spesa pubblica, elemento che accogliamo con favore perché è il cuore del problema.
Proprio perché sono soprattutto le spese a preoccupare, siamo chiaramente contrari a qualsiasi aumento di imposte e tasse per assorbire il deficit, perché sul fronte delle entrate non si registrano problemi particolari e l’economia e i cittadini e le cittadine non possono essere gravati di oneri supplementari in via diretta o indiretta.
Di seguito ci limitiamo a citare alcuni ambiti che riteniamo particolarmente sensibili e nei quali l’intervento è, a nostro avviso, da rivedere. Questi completano risp. vanno ad aggiungersi a quanto rilevato in particolare dalle Camere di commercio e dell’industria della Svizzera latina (di cui facciamo parte) in una presa di posizione separata.
1. Aumento dell’imposta sui prelievi di capitale previdenziale
Il programma di riduzione dei costi della Confederazione si concentra principalmente sulle spese come mezzo per ridurre il bilancio federale. Approccio che, come detto, condividiamo. Non siamo, per contro, allineati per quanto riguarda le misure volte ad aumentare le entrate e in particolare a quella che prevede l’aumento dell’imposizione sui capitali pensionistici.
Un aumento del genere lederebbe pesantemente agli interessi di chi ha risparmiato nel corso della vita attiva confidando in regole chiare e affidabili. Rappresenterebbe una chiara violazione del principio della buona fede che minerebbe l’affidabilità del sistema legale svizzero.
Anche per prelievi di capitale contenuti dell’ordine, ad esempio, di 200.000 franchi, l’imposta federale aumenterebbe di circa il 50%. Alcune cifre sono molto significative e dimostrano come l’aumento previsto dell’imposta federale sui prelievi di capitale sarebbe enorme:
Per un prelievo “moderato” di 200.000 franchi: un aumento appunto di circa il 50% rispetto a oggi.
Per 400.000 franchi: un aumento di circa il 59%.
Per 600.000 franchi: un aumento di circa il 71%.
Per 800.000 franchi: un aumento di circa il 77%.
Per un prelievo di 1 milione di franchi, l’imposta federale raddoppierebbe. Per una persona sola passerebbe da 23.000 a 42.595 franchi.
A partire da 1 milione di franchi, l’imposta federale continuerebbe ad aumentare progressivamente, superando il 100%.
Gli aumenti fiscali previsti sarebbero quindi esorbitanti e colpirebbero duramente anche la classe media.
In media, le persone che lavorano hanno circa 500.000 franchi svizzeri di risparmi nel secondo pilastro quando vanno in pensione. Affermare che solo i ricchi sarebbero colpiti da questi aumenti è, alla luce dei dati, infondato.
Sarebbero in realtà interessate ampie fasce della popolazione e anche le persone con un capitale pensionistico relativamente modesto verrebbero fortemente colpite. Compresi gli indipendenti, che non hanno accesso al secondo pilastro e che investono quindi maggiormente nel terzo pilastro, sarebbero pesantemente penalizzati da questi aumenti fiscali.
Questi massicci aumenti riguarderebbero anche, ad esempio, i pagamenti della Fondazione svizzera per paraplegici alle persone con paralisi spinale e le prestazioni della cassa pensione versate ai coniugi superstiti. Questi effetti sui casi di invalidità e di morte non sono menzionati nella relazione esplicativa della consultazione.
Pure le persone in cattive condizioni di salute, che hanno un’aspettativa di vita più breve e scelgono quindi di ritirare i loro fondi pensione sotto forma di capitale, sarebbero penalizzate. Sarebbe decisamente iniquo, perché sommerebbe le preoccupazioni per la salute alle imposte federali più alte.
Inoltre, massicci aumenti fiscali indebolirebbero inoltre la previdenza individuale e non va dimenticato che, nel sistema dei tre pilastri, l’AVS statale e la previdenza professionale sono integrate proprio dalla previdenza individuale.
Gli aumenti di imposta sui prelievi di capitale dal 2° e 3° pilastro sono ingiustificati. Penalizzano pesantemente tutta la popolazione e anche le fasce più deboli. È del resto inaccettabile cambiare in corsa le regole fiscali per la previdenza a lungo termine. È quindi indispensabile che questa proposta venga ritirata dal progetto.
La Confederazione deve affrontare le sfide del budget esaminando la pertinenza di alcune spese, ma in nessun caso aumentando la pressione fiscale.
2. Riduzione dei contributi agli aerodromi regionali
Per la Cc-Ti, la misura che prevede la riduzione dei contributi della Confederazione agli aerodromi regionali ha una valenza molto importante.
Un eventuale taglio di circa 5 milioni di franchi annui destinati all’aeroporto di Lugano-Agno avrebbe effetti importanti sulla sopravvivenza stessa dello scalo. Tali fondi, destinati in gran parte a garantire la sicurezza tramite Skyguide, sono irrinunciabili. L’aeroporto di Lugano non è solo un’infrastruttura regionale: è un nodo strategico per l’economia, la mobilità e l’attrattività dell’intero paese.
Nel 2024 lo scalo ha registrato oltre 21.000 movimenti aerei (+12%), di cui circa 8.000 voli business, con un impatto economico stimato di oltre 100 milioni di franchi solo per l’aviazione privata. Inoltre, l’aeroporto assicura circa 120-130 posti di lavoro diretti, supporta la formazione di piloti, ospita eventi aeronautici e accoglie voli di Stato.
L’aeroporto è economicamente sostenibile e ha chiuso in utile gli ultimi esercizi, per cui un sostegno, nell’interesse della rete dei trasporti nazionale, è sensato. Un taglio ai fondi federali, invece, metterebbe a rischio la sua operatività, imponendo aumenti tariffali fino a 1’000 franchi per atterraggio, con conseguenze importanti per utenti, aziende e sicurezza. Il ruolo nazionale dello scalo deve essere in questo senso riconosciuto e di conseguenza anche il finanziamento di talune parti di attività.
Lo scalo è, del resto, l’unico a Sud delle Alpi e rientra perfettamente in un concetto di complementarità dei trasporti fra strada, ferrovia e, appunto, aviazione, che è un pilastro della mobilità nazionale e non solo cantonale.
È pertanto importante escludere Lugano-Agno dai tagli e garantirne il sostegno continuativo, come avviene per altre realtà strategiche del Paese.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/05/ART25-Consultazione-DFF.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-05-09 14:55:062025-05-09 14:55:07Consultazione federale sul Programma di sgravio del bilancio 2027 della Confederazione
Il Consiglio di Stato ha approvato il Rapporto “Conciliabilità famiglia e lavoro, quadriennio 2025-2028. Rilevazione dei bisogni e delle priorità di intervento nell’ambito delle attività di sostegno alle famiglie: nidi dell’infanzia, micro-nidi, centri extrascolastici e famiglie diurne”, presentato dal Dipartimento della sanità e della socialità.
Il rapporto analizza l’evoluzione dell’offerta di nidi, micro-nidi, centri extrascolastici e famiglie diurne, mettendo in evidenza i notevoli progressi compiuti in questi anni, come pure i bisogni attuali e futuri, tracciando al contempo le priorità di intervento. Un lavoro che, innanzitutto, riflette la notevole crescita e il cambiamento culturale avvenuti nel settore, grazie all’introduzione di misure strutturali efficaci che si riscontrano nella qualità dei servizi, aumentata in modo significativo. Infatti oltre il 90% del personale ha seguito una formazione specifica, è stato introdotto il Contratto collettivo di lavoro (CCL) e l’inclusione dei bambini con bisogni particolari è sempre più attenta.
Le misure per la conciliabilità famiglia e lavoro, cofinanziate con il fondo dedicato, hanno prodotto risultati concreti e significativi, contribuendo all’ampliamento dell’offerta, al miglioramento della qualità e alla maggiore accessibilità per le famiglie. Il numero di strutture e di posti sussidiati è cresciuto in modo costante, con oltre 10’700 bambini accolti nel 2023.
La Riforma fiscale e sociale del 2019 ha rappresentato un punto di svolta. È stato possibile, per esempio, introdurre aiuti diretti che, in alcuni casi, hanno dimezzato le rette a carico delle famiglie con un reddito medio-basso, incoraggiando e facilitando la partecipazione dei genitori al mercato del lavoro. Inoltre l’assegno parentale, nuovo strumento di politica familiare, offre un sostegno per contribuire alle spese conseguenti alla nascita di un figlio.
Il nuovo documento pianificatorio valorizza anche aspetti qualitativi fondamentali come l’Early Child Development e il concetto di Welfare community, a testimonianza di un impegno che non si limita alla quantità, ma mira a generare benessere per bambini, famiglie e società. Non da ultimo, prosegue la promozione di iniziative e attività di sensibilizzazione, come la Giornata dei familiari curanti e gli eventi informativi a loro dedicati.
Il fabbisogno stimato per il quadriennio 2025-2028 prevede la creazione di 145 nuovi posti nel settore pre-scolastico e di 300 per l’età scolastica, per un impegno complessivo di 4.2 milioni di franchi, con una proiezione che guarda al 2029. Le risorse del fondo saranno utilizzate in modo mirato, mentre prosegue il dialogo con le associazioni di categoria, che consente di informare le aziende sull’uso dei contributi versati, promuovendo la conciliabilità come valore condiviso e strategico. A questo si aggiungono attività ricorrenti coordinate dai partner della piattaforma Vita-Lavoro, le iniziative autonome della Camera di commercio e il finanziamento di progetti specifici, come lo studio per un nido interaziendale (AITI) e il Teatro Forum.
Il rapporto si conclude con un orientamento chiaro: consolidare gli ottimi progressi compiuti grazie ai contributi versati nel fondo da parte delle aziende nell’ambito della Riforma fiscale e sociale, garantire equità territoriale, rafforzare qualità e accessibilità dei servizi, e continuare a investire in un settore strategico, attrattivo e capace di restituire valore a tutta la collettività.
Gli sviluppi positivi e significativi di tipo quantitativo e qualitativo nell’offerta di nidi, micro-nidi e centri extrascolastici, agevolati dall’implementazione della Riforma fiscale e sociale, mostrano l’impegno del Consiglio di Stato e delle parti sociali in favore della conciliabilità famiglia e lavoro. È un tassello determinante per sostenere il mantenimento in impiego, in particolare delle madri, per promuovere le pari opportunità e per dare un contributo di rilievo alla penuria di personale qualificato.
Nel rapporto vengono stabilite le priorità in funzione del fabbisogno e delle risorse disponibili.
Fonte: Comunicato stampa – Consiglio di Stato, Repubblica e Cantone Ticino
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/05/ART25-conciliabilita-lavoro-famiglia.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-05-09 14:31:132025-05-09 14:31:14Conciliabilità famiglia e lavoro: dal punto di svolta del 2019 e nuovo orizzonte strategico
Nelle scorse settimane si è (ri)acceso il dibattito sullo stato delle finanze cantonali, soprattutto perché le associazioni economiche hanno sollevato alcune problematiche scomode, ma che vanno affrontate nell’ottica di dare solidità finanziaria al nostro cantone. Le reazioni sono state anche molto virulente, come se si trattasse di un delitto di lesa maestà sottolineare l’esistenza di cifre incontrovertibili che parlano di un chiaro aumento della spesa pubblica. Indurre alla riflessione se questa sia totalmente giustificata non dovrebbe essere un tabù, ma oggetto di una sana e libera discussione. Purtroppo, le gabbie ideologiche impediscono un confronto costruttivo, almeno in questa fase, ma non per questo va abbandonato il tema che tocca tutti, nessuno escluso. Ricchi veri o presunti, classe media, meno abbienti, ovviamente l’economia, ecc.
Andrea Gehri, Presidente Cc-Ti
Del resto, il pessimo stato delle finanze pubbliche del nostro Cantone è una preoccupazione crescente, condivisa non solo dal mondo economico, ma anche da molti cittadini, sempre più consapevoli delle conseguenze di una gestione pubblica poco sostenibile. Non si tratta qui di cercare responsabilità né di addossare colpe, ma piuttosto di ragionare su ciò che è necessario e ciò che invece può magari essere limitato o gestito diversamente. In sostanza, valutare se i mezzi pubblici vengono spesi correttamente e in modo efficace. Francamente, non ci sembra di chiedere la luna…
A fronte di un tessuto economico dinamico e sorprendentemente resiliente alle numerose crisi degli ultimi vent’anni – che ha garantito una sostanziale stabilità delle entrate fiscali – è infatti la crescita della spesa pubblica a destare le maggiori preoccupazioni. Non è quindi, almeno per il momento, un problema di mancanza di risorse, quanto piuttosto di crescita incontrollata delle usci-te, che sta alimentando un indebitamento significativo.
Le sfide all’orizzonte non mancano. Basti pensare all’evoluzione demografica, con una popolazione sempre più anziana che da un lato riduce la base imponibile e dall’altro aumenta il fabbisogno di cure e dunque la pressione sulla spesa sanitaria. Questo è solo uno dei tanti segnali di cambiamento che richiedono una visione politica lungimirante, capace di sostenere l’iniziativa imprenditoriale e la crescita economica come strumenti di benessere collettivo e sostenibilità a lungo termine. Elementi essenziali per il benessere comune di tutte le cittadine e i cittadini.
Spesso si ha l’impressione che la spesa pubblica sia qualcosa di distante: lo Stato spende, apparentemente con risorse proprie, e la questione sembra non toccarci. In realtà, quei soldi sono nostri, cioè dei contribuenti, come ebbe a dire giustamente l’ex Consigliere federale Maurer durante la crisi del Covid: “Gestiamo gli aiuti in modo oculato perché non sono i soldi della Confederazione ma quelli di cittadine e cittadini”. E non sono illimitati. I conti dello Stato, contenuti in documenti tecnici poco letti, sembrano lontani dalla vita quotidiana. Ma il loro impatto è reale. Troppo spesso ci indigniamo sul momento, per poi tornare all’indifferenza. Il rischio? Abituarsi all’emergenza e considerarla normale.
Anche lo Stato, come una famiglia o un’impresa, non può permettersi di spendere ciò che non ha. Un indebitamento cronico comporta rischi sistemici e limita sempre più la libertà di manovra politica ed economica. E nel Canton Ticino questo è ormai un dato di fatto. Negli ultimi 30 anni la spesa cantonale è quasi triplicata: da 1,6 miliardi nel 1990 a circa 4,5 miliardi nel preventivo 2025. Solo quest’anno è previsto un disavanzo di 97 milioni: soldi che non abbiamo, ma che abbiamo comunque deciso di spendere.
È evidente che una dinamica di questo tipo non può essere sostenuta a lungo, soprattutto in assenza di un piano credibile di contenimento e di riorientamento della spesa. Una delle voci più rilevanti è rappresentata dal sistema dei sussidi per i premi di cassa malati (RIPAM), oggi pari a oltre 400 milioni di franchi (includendo la parte PCI), cioè circa il 10% della spesa pubblica cantonale.
Questa cifra è in costante crescita. Il problema non è l’aiuto ai più deboli, doveroso e giustificato e che nessuno si sogna di rimettere in questione, ma l’attuale sistema è diventato talmente ampio da includere famiglie con redditi mensili lordi pari a 12’000 franchi. Se le finanze cantonali fossero solide, la cosa sarebbe forse accettabile, seppur discutibile. Ma la realtà è ben diversa. Indebitarsi per sostenere anche chi non ne ha effettivamente bisogno è una distorsione che deve essere affrontata, anche e soprattutto nell’interesse delle fasce più deboli. Il Parlamento, dopo aver approvato una riduzione mirata dei sussidi, ha successivamente annullato la decisione. Una retromarcia dettata più da logiche elettorali che da valutazioni oggettive. E proprio qui sta il nodo del problema: troppo spesso il buon senso è sacrificato sull’altare del consenso politico. Ancora una volta, la politica ha preferito la popolarità alla responsabilità, rinviando un problema che non fa che aggravarsi. Non si tratta di considerazioni astratte.
Evoluzione del debito pubblico Fonte dei dati: Rapporto di minoranza 8258 R2 della Commissione gestione e finanze sul messaggio 29 marzo 2023 concernente il Consuntivo 2022
L’indebitamento pubblico ha conseguenze molto concrete, che meritano di essere richiamate:
Cresce la spesa per interessi, con un debito elevato, una parte consistente delle risorse pubbliche deve essere destinata al pagamento degli interessi sul debito, sottraendo risorse ad altri settori vitali come l’istruzione, la ricerca o le infrastrutture. Si ostacola la crescita economica, poiché le risorse impiegate per servire il debito non sono più disponibili per investimenti produttivi. Si rischia una crisi di fiducia da parte degli investitori, con l’effetto di un aumento dei tassi d’interesse e una maggiore difficoltà di accesso al credito. Lo Stato diventa più vulnerabile a shock esterni, riducendo la propria capacità di risposta in caso di crisi future. Un alto livello di indebitamento rende lo Stato più vulnerabile a eventi imprevisti di ordine economico e finanziario. Infine, si trasferisce un fardello pesante sulle prossime generazioni, compromettendo la solidarietà intergenerazionale, principio fondante di ogni comunità responsabile. I debiti, prima o poi, vanno pagati. Se la nostra generazione non vuole farlo, saranno purtroppo i nostri figli e i nostri nipoti ad essere chiamati alla cassa. Questi aspetti vanno sottolineati, non per allarmismo, ma per senso di responsabilità. Chi rifiuta la discussione non rende purtroppo servizio al sistema ma alla lunga non fa altro che indebolirlo, in nome di una solidarietà di facciata che in realtà è volta a proteggere rendite di posizione. Peccato, perché così non se ne esce. Il mondo economico non vuole affamare il popolo, bensì contribuire, oltre che con la ricchezza che viene distribuita, a rafforzare lo Stato affinché questo possa essere gestito in maniera sana per intervenire laddove è veramente necessario. I tempi dell’innaffiatoio per dare a tutti non sono tramontati politicamente ma lo sono economicamente. Non si può più sostenere un’evoluzione come quella in atto. Non ci si può pertanto limitare, nel dibattito politico e mediatico, a far prevalere lo slogan “Stop ai tagli!”, malgrado l’esplosione della spesa pubblica. Poi, di quali tagli stiamo parlando? Negli ultimi decenni, in Ticino, non si è tagliato nulla: si è solo continuato ad aumentare la spesa, spesso senza un vero controllo né una visione d’insieme. È quindi urgente affrontare questo tema in modo serio, concreto e basato sui fatti. Solo così potremo costruire politiche pubbliche sostenibili, che mettano al centro l’interesse collettivo e non la convenienza elettorale. Noi siamo aperti alla discussione, ma lo devono essere tutti, abbandonando le gabbie ideologiche.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/05/ART25-Finanze-cantonali.png8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-05-09 08:00:002025-05-08 10:45:20Le finanze cantonali: una discussione indispensabile
L’Associazione delle industrie ticinesi (AITI), la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) e l’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM) hanno raccolto altri 160’000 franchi da destinare alla Vallemaggia e alla Mesolcina. Importi versati prevalentemente dalle PMI ticinesi, che vanno ad aggiungersi ai fondi già raccolti in sede separata dalle grandi aziende e da altre associazioni economiche. I Presidenti delle tre associazioni Oliviero Pesenti, Andrea Gehri e Fabio Regazzi hanno consegnato oggi 120’000 franchi ai sindaci di Cevio e Lavizzara e 40’000 franchi al sindaco di Lostallo per la Mesolcina. I fondi sono destinati prioritariamente al sostegno di aziende che hanno subito importanti danni.
Il maltempo che ha devastato la Mesolcina il 21 giugno 2024 e la Vallemaggia tra il 29 e il 30 giugno 2024 con conseguenze drammatiche ha segnato profondamente la nostra regione ed è rimasta scolpita nelle menti e nei cuori di tutti. Molti sono stati gli aiuti e l’economia ticinese si è subito schierata a favore delle regioni colpite, sostenendo aiuti immediati ma raccogliendo al contempo ulteriori fondi destinati a sostenere la ripresa in particolare di attività economiche distrutte o seriamente danneggiate. Dopo una prima fase di donazioni effettuate soprattutto dalle grandi aziende, che hanno proceduto in maniera individuale, le associazioni AITI, Cc-Ti e USAM si sono adoperate affinché si potessero canalizzare anche gli aiuti provenienti dalle piccole e medie imprese. Sono pertanto stati raccolti complessivamente 160’000 franchi, che vanno ad aggiungersi ai molti fondi già raccolti dal mondo economico attraverso altri canali. L’importo è stato suddiviso in 120’000 franchi destinati ai comuni di Cevio e Lavizzara e 40’000 franchi per Lostallo e la Mesolcina.
I Presidenti Oliviero Pesenti (AITI), Andrea Gehri (Cc-Ti) e Fabio Regazzi (USAM), in un breve incontro tenutosi oggi presso la Regazzi SA a Gordola hanno consegnato gli importi ai sindaci di Cevio, Wanda Dadò, di Lavizzara, Gabriele Dazio, e Lostallo, Nicola Giudicetti.
RingraziamentoComitato Associazione Moesana Arti & Mestieri, 06.05.2025
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/04/ART25-PMI-contribuiscono-vallemaggia-mesolcina.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-05-06 09:20:272025-05-09 14:59:59Le piccole e medie aziende ticinesi (PMI) contribuiscono ulteriormente alla ricostruzione della Vallemaggia e della Mesolcina con altre donazioni
Le 13 mars 2025, la Chambre de commerce, d’industrie et des services de Genève (CCIG) et Deloitte ont organisé une conférence dédiée aux travailleurs frontaliers dans le contexte des relations franco-suisses. L’évolution des conventions internationales en matière de fiscalité, de sécurité sociale et de télétravail redessine les contours de la mobilité professionnelle entre les deux pays.
De g. à dr. : Quentin Fessler-Debove, Assistant Manager, Cristina Fernandez, Senior Manager, Celine Wehrle, Director, tous trois auprès de Deloitte Suisse, Raphaël Kahn, Senior Manager, Deloitte Société d’avocats, France, et Mohamed Atiek, directeur du département Promotion et soutien à l’économie (DPSE) de la CCIG.
« Les travailleurs frontaliers peuvent télétravailler jusqu’à 49,99 % de leur temps en France sans être obligatoirement affiliés au régime français. »
Un travailleur frontalier est une personne qui réside dans un pays mais travaille dans un autre, tout en retournant régulièrement à son domicile. En Suisse, où de nombreux résidents français exercent leur activité dans les cantons frontaliers, on distingue deux principales catégories de travailleurs frontaliers : ceux dont l’employeur est situé dans l’un des huit cantons signataires de l’Accord de 1983 – Bâle-Campagne, Bâle-Ville, Jura, Soleure, Berne, Valais, Vaud et Neuchâtel, et qui sont généralement imposés en France –, et ceux employés dans d’autres cantons, comme Genève, qui sont en principe imposés à la source en Suisse.
Pour ces derniers, les accords Suisse-France introduisent de nouvelles règles de fiscalité et de sécurité sociale, notamment en matière de télétravail :
désormais, jusqu’à 40% du temps peuvent être télétravaillés en France tout en maintenant leur imposition à la source en Suisse. Ce seuil correspond à la limite au-delà de laquelle un salarié risquerait de perdre le bénéfice des dispositions conventionnelles en matière de télétravail transfrontalier, avec à la clé des implications financières, administratives, voire pénales importantes pour lui et /ou pour son employeur,
les voyages d’affaires n’excédant pas 10 jours de déplacements en France et /ou dans un pays tiers sont assimilés à du télétravail,
sur le volet des assurances sociales, un seuil allant jusqu’à 49,99% du temps de travail en France est autorisé, avec maintien de l’affiliation à la sécurité sociale en Suisse.
En cas de dépassement, le travailleur risque (1) d’un point de vue fiscal, une remise en cause de son traitement fiscal, pouvant impliquer pour l’employeur suisse une obligation de s’enregistrer en France pour déclarer et verser l’impôt sur le revenu auprès des autorités fiscales françaises via le système dit du «PASRAU» (Prélèvement à la source pour les revenus d’activité) et (2) quant aux aspects de sécurité sociale, une obligation d’affiliation aux assurances sociales françaises, entraînant des obligations administratives pour les entreprises suisses ainsi que le paiement des cotisations de sécurité sociale françaises.
LES VOYAGES D’AFFAIRES LIMITÉS À 10 JOURS
Pour les frontaliers genevois, les 10 jours de voyages d’affaires sont imposés à la source dans le canton de l’employeur en Suisse. Au-delà, l’employeur suisse risque une imposition par les autorités françaises. D’un point de vue administratif, ces règles impliquent une charge accrue pour les employeurs suisses qui doivent suivre précisément les jours de déplacement. En cas de contrôle, l’absence de documentation adéquate pourrait entraîner selon le cas des redressements fiscaux et des sanctions financières. Dès lors, les entreprises doivent mettre en place une politique sur le télétravail et les voyages d’affaires ainsi qu’adapter leurs logiciels de gestion du temps de travail.
Précisons toutefois que ces 10 jours font l’objet d’une comptabilisation séparée et ne s’ajoutent pas au nombre de jours possibles dans l’année.
LE CAS DES ASSURANCES SOCIALES
Avec le nouvel accord-cadre, les travailleurs frontaliers peuvent télétravailler jusqu’à 49,99 % de leur temps en France sans être affiliés au régime français. Dans la pratique, cette limite est réduite à 40 % afin d’éviter un conflit avec le seuil n’impliquant pas de modification de la fiscalité du frontalier.
NOUVELLES OBLIGATIONS ET STRATÉGIES POUR LES EMPLOYEURS
Depuis le 1er janvier 2025, les employeurs ont l’obligation de fournir une attestation précisant le nombre de jours travaillés en Suisse, en télétravail et en voyage d’affaires pour les travailleurs frontaliers qui en font la demande expresse, en cas de fin des rapports de travail en cours d’année. L’avenant à la Convention fiscale de 1966 entre la France et la Suisse qui a été conclu le 27 juin 2023 prévoit un échange automatique d’informations salariales pour les employés frontaliers qui devrait être applicable à partir de 2026. Les employeurs seront dans l’obligation de transmettre annuellement aux autorités fiscales cantonales le nombre de jours télétravaillés ou le pourcentage de télétravail. Ces informations seront ensuite transmises aux autorités fiscales françaises, sous réserve des modalités qui devront être fixées dans le cadre d’une loi interne suisse (avant-projet« LEADS»).
Face à ces nouvelles règles, les entreprises et les travailleurs doivent adopter des stratégies adaptées. Certains employeurs restreignent le télétravail à 25% afin de limiter les risques. D’autres, plus flexibles, autorisent jusqu’à 40% de télétravail, avec un suivi administratif rigoureux. Une troisième voie consiste à adopter un modèle hybride : chaque employé peut opter pour l’une des deux options, en fonction de son activité. L’employeur est libre d’imposer le modèle au cas par cas en fonction des besoins du poste.
À l’ère du télétravail et de la digitalisation, il est probable que ces réglementations continueront d’évoluer dans les années à venir. Pour l’instant, ces réformes apportent une plus grande flexibilité mais impliquent une vigilance accrue.
Fonte: Chambre de commerce, d’industrie et des services de Genève
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/03/EVT23-logo-Economiesuisse.png8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-03-31 11:40:072025-03-31 11:40:08News-Ticker: politica commerciale di Trump 2.0
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/03/ART25-AGEFI-Luca-Albertoni.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-03-31 11:27:492025-03-31 11:27:50Face à Donald Trump, la négociation est plus efficace que les mesures de rétorsion
Il direttore della Camera di commercio commenta le decisioni di Trump, tutto tranne che nuove, e i possibili scenari negativi per Svizzera e Ticino.
Decine di aziende che hanno un contatto diretto con gli Stati Uniti, tra sedi di rappresentanza, uffici ed esportazioni dal Ticino per circa 700 milioni di franchi ogni anno. Parliamo di questo, ma anche molto altro, quando si parla di mercato americano per le imprese ticinesi. Parliamo di questo, e soprattutto di molto altro, quando si parla del pericolo dei dazi che il presidente statunitense Donald Trump vuole imporre ormai a chiunque voglia vendere prodotti nel suo Paese. Con un effetto domino che il direttore della Camera di commercio e dell’industria Luca Albertoni, a colloquio con ‘laRegione’, non esita a definire «preoccupante». Non tanto e non solo per il Ticino, ma perché «la recente proposta di fissare dei dazi al 25% per l’Unione europea si riverbererebbe non poco sulla Svizzera che ha nell’Ue il proprio primo partner commerciale».
Insomma, c’è davvero da essere preoccupati?
Sì, una giusta e sana preoccupazione che ci faccia capire come non siamo al riparo da eventi sui quali non possiamo neanche materialmente intervenire. Abbiamo visto altre volte che le aziende si adattano e l’export cresce, ma serve un occhio attento all’attualità e un orecchio disposto a sentire questi campanelli d’allarme che stanno suonando.
C’è anche da dire però che è tutto tranne che una novità vedere gli Stati Uniti fissare dei dazi…
Esattamente, il cosiddetto ‘America first’ c’è sempre stato. Si sta considerando una novità qualcosa che non lo è, magari perché sono cambiate le modalità comunicative. Basti ricordare i numerosi contenziosi davanti all’Organizzazione mondiale del commercio promossi da Unione europea, Cina, Canada e Messico contro gli Stati Uniti per l’introduzione di dazi antidumping e misure commerciali considerate discriminatorie. I dazi sull’acciaio non sono una novità, Bush li introdusse ad esempio nel 2002, come non lo sono quelli sui prodotti cinesi. Ora mi sembra non perseguano solo scopi economici, dalla dubbia efficacia anche per gli Stati Uniti, ma siano soprattutto uno strumento di pressione per ottenere anche altro. Comunque, tecnicamente Trump sta facendo una sorta di promozione economica del proprio Paese, che può anche essere comprensibile se ha l’obiettivo di rafforzare il settore produttivo statunitense trasferendo in loco le produzioni industriali e forse ritiene di farlo anche con questi strumenti. Ma, come detto, per onestà intellettuale bisogna riconoscere e dire che nella presidenza Biden i dazi posti dalla prima presidenza Trump sono stati confermati, la politica americana funziona così.
Lei parla di preoccupazione per il Ticino. Per cosa soprattutto? Dire dazi vuol dire tantissimi ambiti della filiera di produzione.
Partiamo col dire che 700 milioni di franchi di export ogni anno non sono poca cosa, è una cifra importante, in crescita. Il più grande timore è sicuramente l’insicurezza che si sta venendo a creare ad arte, e lo noto parlando anche con altri colleghi delle Camere in Svizzera. Questo è il modo di negoziare di Trump, anche se dovremmo fermarci un attimo e chiederci cosa possa negoziare con la Svizzera: mica tanto. La piazza finanziaria è già stata messa in ginocchio, se ragiona in termini di bilancia commerciale potrebbe essere rischioso perché come Svizzera la nostra è positiva nei confronti degli Stati Uniti. Anche se, inserendo i servizi nella bilancia commerciale, il rapporto si capovolgerebbe. Non sono però così preoccupato che vi possano essere misure dirette generalizzate contro la Svizzera. Potremmo però subire le conseguenze. La nostra vera ansia potrebbe essere infatti il subire le conseguenze dei dazi sull’Unione europea e in generale sugli altri Paesi, e non esito a definirla una preoccupazione più immediata. Non sono poche le aziende svizzere e anche ticinesi che hanno almeno parte della produzione in Paesi europei o in Cina, per cui potrebbero subire le conseguenze delle misure contro questi Paesi. Senza dimenticare che Messico e Canada sono a volte le porte d’entrata per i prodotti verso gli Stati Uniti.
E parlando di settori, quali sarebbero i più esposti?
Quello farmaceutico potrebbe essere penalizzato, ma le aziende sono “sul pezzo” e stiamo parlando di un’autentica eccellenza dell’industria svizzera, produciamo medicamenti di cui negli Stati Uniti c’è bisogno, che non sono per forza in concorrenza con i loro prodotti e in generale le esportazioni svizzere e anche ticinesi sono di fascia alta e quindi meno facilmente sostituibili, penso ad esempio al settore del medtech. Questa alta qualità porta il cliente americano ad avere una certa propensione a prendere in considerazione anche una maggiore spesa per averli. Tornando al discorso Unione europea, la preoccupazione può riguardare il settore delle automobili, per cui in Ticino vengono prodotte parti importanti. Già l’industria tedesca sta faticando, vende meno negli Stati Uniti e le conseguenze le paghiamo anche noi. Questo è un esempio tra i vari che dimostra come ulteriori difficoltà per l’Unione europea si riverbererebbero sulla Svizzera e il Ticino, perché se Trump considera i dazi un’arma negoziale è un conto, se davvero vorrà agire come minacciato anche con Canada e Messico ci sarà poco da stare allegri…
Quando si parla di export, materialmente, di cosa si parla?
Chiaramente in modo prevalente di industria, che però ha già un po’ frenato, soprattutto il settore Mem e i vari fornitori che, come dicevo, lavorano direttamente o indirettamente in particolare con il settore automobilistico producendo componenti di ogni genere che confluiscono nel prodotto finito: sensori, parti dei freni… Non vanno però dimenticati i servizi che a volte sono pure legati alla produzione industriale. Insomma, un ventaglio di situazioni molto variegato. Le difficoltà, indipendenti dalle decisioni americane, le stiamo già notando ora, e ci sono segnali di un possibile ulteriore peggioramento. Poi, quando parliamo di export, non dobbiamo assolutamente dimenticare, oltre all’esportazione diretta, quella indiretta, cioè che avviene tramite altre aziende svizzere che forniscono i prodotti finiti contenenti componenti che arrivano dal Ticino, come capita ad esempio in alcune parti del settore ferroviario. Siamo tributari del contesto internazionale, ma ovviamente anche di quello nazionale. Ma gli altri cantoni sono nelle nostre stesse condizioni, senza eccezioni, o quasi.
Timori registrati anche nella vostra recente indagine congiunturale presso le aziende associate alla Camera di commercio?
Sì, è stata rimarcata una maggiore prudenza per il primo semestre del 2025 e si sta nei fatti confermando. Il rischio di rallentamento si è già verificato e la difficoltà non sorprende. A questo si deve unire anche la generale difficoltà nelle esportazioni, considerando anche come la Cina abbia rallentato moltissimo e il settore del lusso sia quasi fermo. Inoltre, la Cina ha frenato su grandi investimenti e attività all’estero, e anche questo in determinati settori si farà sentire.
Passare così dal Ticino, agli Stati Uniti, alla Cina fa capire quanto il mondo di oggi sia interconnesso.
Altroché! È impossibile oggi ragionare con la mente di vent’anni fa, giusto o sbagliato che sia il ruolo delle esportazioni è cresciuto e questo è fondamentale per un Paese come il nostro, che deve proprio all’apertura gran parte della sua prosperità. D’altra parte quando ha l’export che rappresenta una parte importante, chiaramente si è più esposti a dinamiche che non possiamo controllare. Ci sono vantaggi innegabili, come la diversificazione del tessuto economico, che rendono la Svizzera e il Ticino più ricchi a livello di competenze, ma anche svantaggi ingovernabili. Quello che possiamo fare è adattarci, come abbiamo già fatto in questi ultimi anni, razionalizzando le procedure, stabilendo prezzi competitivi e non per forza bassi quando si parla di alta gamma, ragionando sulla qualità che ci ha messo un po’ al riparo anche dalle fluttuazioni valutarie. La qualità è un grande atout per la Svizzera.
E il Ticino è in mezzo a tutto questo.
Certo che lo è, pensi solo che in Ticino vengono prodotti una delle centinaia di componenti dell’iPhone e un motorino per i razzi che la Nasa spedisce su Marte… Siamo in mezzo a tutto questo con anche tutta la sua complessità, e tutto è talmente interconnesso che se da un lato ribadisco che è giusto essere preoccupati per i dazi, arrivo anche a dire che la politica dei dazi non ha alcun senso. I flussi economici oggi sono molto più complessi che in passato e misure apparentemente semplici nascondono a mio avviso molte incognite, per cui penso che economicamente il dazio lo subisca anche chi lo pone, con aumenti di prezzi e potere d’acquisto in calo, anche se alcuni sostengono il contrario, basandosi sul rafforzamento della produzione statunitense e sul fatto che sia un mercato con potenzialità tali da ridurre la dipendenza dall’estero. Forse, ma non si tratta di effetti che possono verificarsi in poco tempo, ammesso che si realizzino veramente. Tuttavia, non credo che negli Stati Uniti siano stolti e qualche approccio differenziato comunicato in questi giorni, come le misure ridotte contro il Messico per non danneggiare l’industria automobilistica americana, mi fa propendere per la tesi che sia davvero prevalentemente un’arma negoziale e non uno strumento sistematico che rischia di portare a un autogol.
C’è rischio per i posti di lavoro nel nostro cantone?
Le rispondo ricordando quanto è successo nel 2014. In Turchia c’è stata un’ondata di freddo anomala e molto lunga, che ha colpito duramente la produzione delle nocciole. La cascata è arrivata in Svizzera e fino al Ticino con tutte le difficoltà che si sono riscontrate nel produrre il cioccolato che è un fiore all’occhiello della nostra economia, mettendo a rischio i posti di lavoro nel settore. Fortunatamente questo è stato evitato, malgrado i maggiori costi necessari per approvvigionarsi altrove di una merce diventata rara in un preciso periodo.
Fa freddo in Turchia e si rischia di licenziare in Ticino.
Per usare un esempio più attuale, quando la Germania ha l’influenza, la Svizzera tossisce. Quindi la risposta è purtroppo sì, è un rischio che esiste.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/12/ART22-Albertoni-che-scrive.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2025-03-17 11:22:372025-03-17 11:22:37“I dazi preoccupano, ma è una politica senza senso”
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