Serata informativa per il corso Specialista della gestione PMI con attestato federale

Mercoledì 27 marzo 2024 alle ore 17.30 presso gli Spazi Cc-Ti al 6° piano

La Cc-Ti organizza una serata informativa per tutti gli interessati ad iscriversi al corso Specialista della gestione PMI. Durante l’incontro saranno fornite maggiori informazioni inerenti al corso (costi, calendario, docenti e contenuti).

Coloro che volessero partecipare alla serata sono pregati di confermare la propria presenza al Signor Roberto Klaus all’indirizzo email: klaus@cc-ti.ch.

Consultation : Révision de l’ordonnance 2 relative à la loi sur le travail (OLT 2)

Travail du dimanche dans les quartiers touristiques urbains

Les Chambres de commerce et d’industrie des cantons de Genève, Fribourg, Jura, Neuchâtel, Tessin, Valais et Vaud, regroupant près de 10’000 entreprises et 500’000 emplois en Suisse latine, souhaitent faire part de leur position sur la consultation mentionnée en titre.


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Il Consiglio federale adegua i tassi d’interesse dei crediti COVID-19

La Segreteria di Stato dell’Economia (SECO) ha inviato alle associazioni economiche e alle camere di commercio del Paese un avviso “su un possibile adeguamento dei tassi di interesse per i crediti Covid-19 alla fine di marzo 2024”, in conformità con la legislazione sull’economia crediti garantiti da garanzia solidale a seguito del coronavirus (LCaS-Covid-19).

Questi tassi, inizialmente fissati allo 0% per i prestiti fino a 500.000 franchi e allo 0,5% per i prestiti superiori a 500.000 franchi, sono stati aumentati a fine marzo 2023 rispettivamente all’1,5% e al 2% a causa dell’aumento del tasso di riferimento della Banca Nazionale Svizzera (BNS).

Nella sua comunicazione la SECO sottolinea «che un ulteriore adeguamento dei tassi d’interesse per i prestiti Covid-19 potrebbe aver luogo alla fine di marzo 2024. Alla luce dell’attuale tasso di riferimento della BNS, un aumento non è escluso».

La Cc-Ti richiama l’attenzione, pertanto ai suoi membri interessati, di prepararsi di conseguenza.


Fonte: CF – Comunicato stampa

Lavoro notturno e domenicale in caso di carenza di energia

Autorizzazioni temporanee per il lavoro notturno e domenicale possono essere concesse alle imprese quando le autorità dispongono misure per prevenire o controllare la carenza di gas o di energia elettrica. La modifica dell’ordinanza sul lavoro entrerà in vigore il 1° aprile 2024

Comunicato stampa del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca:
https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/documentazione/comunicati-stampa.msg-id-100140.html

AVS, diamo i numeri…

Per l’AVS servono scelte responsabili e non slogan

La previdenza per la vecchiaia e la più importante voce di spesa della Confederazione e l’AVS, simbolo stesso della solidarietà tra giovani e anziani, ricchi e poveri, rappresenta, senza dubbio, una delle colonne portanti del sistema svizzero delle assicurazioni sociali. E una scelta di grande responsabilità, dunque, garantire la sua sostenibilità finanziaria, la solidità e la sicurezza delle rendite anche per le nuove generazioni. Senza costringerle a dover pagare nel corso della loro vita lavorativa maggiori contributi salariali e più imposte, per il solo fatto che noi non abbiamo saputo gestire con oculatezza e lungimiranza le casse del primo pilastro. Ecco perché e cruciale il prossimo 3 marzo un voto ragionato e basato sui fatti sull’iniziativa popolare “Vivere meglio la pensione”, per concedere una 13esima mensilità AVS – promossa dall’Unione sindacale svizzera, sostenuta dalla sinistra e da altre forze sindacali -, e sull’ iniziativa “Per una previdenza vecchiaia sicura e sostenibile”, lanciata dai Giovani Liberali Radicali, che mira ad un consolidamento strutturale del primo pilastro, innalzando a tappe l’età della pensione a 66 anni entro il 2033 e adattandola in seguito all’aspettativa di vita. Per votare con cognizione di causa, senza lasciarsi fuorviare da slogan allettanti, occorre conoscere la reale situazione finanziaria dell’AVS, far parlare dati e cifre sul suo stato attuale e le tendenze future.

I numeri dell’AVS – beneficiari e contributi

Oggi ricevono la rendita AVS 2,5 milioni di pensionati (di cui 800mila all’estero, per lo più immigrati rientrati in Patria), con un importo medio di circa 1’800 franchi al mese, per una spesa complessiva di oltre 50 miliardi di franchi ogni anno. Le prestazioni sono finanziate sulla base del principio di ripartizione: oltre il 70% circa delle rendite e coperto grazie ai contributi versati dai datori di lavoro e dai loro dipendenti, ci sono poi una parte delle entrate dell’IVA e quelle derivanti dalla tassa sull’alcol, sul tabacco e dall’imposta sul gioco di azzardo. Complessivamente la Confederazione, attraverso il gettito fiscale, finanzia il 20,2% della spesa pensionistica, che per l’anno in corso equivale a 10,3 miliardi franchi, ossia più del 12% delle sue entrate totali. Dopo cinque anni di cifre rosse, con le riforme del 2020 e del 2022, accettate in votazione popolare, si e assicurato il finanziamento dell’AVS sino al 2030 grazie all’aumento dei contributi salariali, il rincaro dell’IVA e l’armonizzazione dell’età pensionabile. Un apporto finanziario non da poco e stato assicurato nel corso degli anni anche da quel milione e mezzo d’immigrati, soprattutto dall’UE, che lavorando e risiedendo in Svizzera ha rafforzato il volume dei contributi versati per il primo pilastro. Si e cosi raggiunta una certa stabilita nelle entrate, ma soltanto sino al 2030, dopo di che, per non precipitare di nuovo nei ricorrenti deficit, bisognerà trovare altre soluzioni. Le proiezioni indicano, infatti, che dall’inizio del prossimo decennio, senza interventi correttivi, le uscite saliranno dai 50 miliardi dello scorso anno a 63,5 miliardi.

Quello attuale e, quindi, un equilibrio contabile temporaneo e molto delicato perché soggetto a diversi fattori: l’invecchiamento della popolazione, l’andamento demografico, la crescita del lavoro part-time o discontinuo che assottiglia il volume delle quote salariali, la speranza di vita che si allunga e il pensionamento di centinaia di migliaia di baby boomers, variabili che s’impatteranno negativamente sui bilanci del primo pilastro. Per questo il Consiglio federale dovrà presentare per la fine del 2026 un progetto di riforma in grado di assicurare una sostenibilità finanziaria più duratura per il primo pilastro.

Deficit miliardari

Oggi le riserve dell’AVS ammontano a 47 miliardi di franchi circa, nel 2030 sfioreranno i 70 miliardi. Settanta miliardi sembrano una gran bella cifra, ma in realtà non sono tanti. Bastano, infatti, a coprire appena un anno e poco più del totale delle rendite versate dall’AVS. Tant’e che già nel 2032, a causa dell’incidenza di quei fattori di cui si e detto sopra, le spese dell’AVS supereranno le entrate di 4,7 miliardi di franchi. A cui si aggiungerebbero altri 5 miliardi in più ogni anno, qualora l’iniziativa per la 13esima AVS venisse approvata in votazione popolare. Entrando nel dettaglio, questa tredicesima, ossia un aumento dell’8,3% delle rendite, provocherebbe un costo aggiuntivo di 4,1 miliardi di franchi all’anno a partire dal 2026, che saliranno a 5,3 miliardi dal 2033, per superare i 10 miliardi nel 2050. Secondo le stesse previsioni dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali, con la rendita supplementare il primo pilastro dopo il 2030 accumulerebbe di anno in anno deficit miliardari. E chiaro che per la tredicesima AVS i soldi non ci sono o, meglio, ci sarebbero forse oggi ma di certo non domani. A meno che per finanziarla non si ritocchi di nuovo verso l’alto l’IVA oppure, come si suggerisce a sinistra, aumentando dell’0,8% i contributi salariali e chiamando alla cassa anche la Confederazione che dovrebbe contribuire con un miliardo di franchi in più all’anno. E che sarebbe, perciò, costretta ad aumentare le imposte per non sottrarre fondi ad altre spese necessarie. Non affrontando comunque alla radice il vero problema: la forbice tra chi versa i contributi per il primo pilastro e chi ne beneficia si va allargando sempre più.

Allo stesso tempo si e allungata l’aspettativa di vita per cui si riceve una rendita per molti più anni rispetto al passato. Quando nel 1948 venne istituita l’AVS c’erano 6 persone attive per ogni pensionato, nel 2020 questo rapporto e sceso a 3,3 e nel 2050 sarà di 2,2 attivi per un pensionato; a quell’epoca la rendita minima era di 40 franchi al mese, corrispondenti al 6% del salario medio di allora; nel 2022 si e arrivati a 1’195 franchi al mese, cioè il 15% del salario medio, dunque, 2,3 volte in più rispetto al 1948. Tre quarti di secolo fa la speranza di vita quando si raggiungevano i 65 anni, l’età della pensione, era di 12 anni per gli uomini e di 13 per le donne, nel 2020 si e arrivati ad una aspettativa di vita di oltre 20 anni per gli uomini e sino 22-23 anni per le donne. In sostanza, si percepisce la pensione molto più a lungo e il numero dei pensionati cresce più  velocemente di quello degli occupati che con i loro contributi finanziano le rendite.

Serve un intervento strutturale

La maggiore aspettativa di vita, unitamente all’instabilità e alle fluttuazioni dei mercati finanziari, ha messo sotto pressione anche il secondo pilastro, tanto che anche in questo ambito occorreranno scelte strutturali sulle quali saremo chiamati a votare prossimamente.

Le tendenze delineate dall’Ufficio federale di statistica sono del resto chiare e indicano la necessita di adattamenti urgenti. Nel prossimo decennio, infatti, il numero dei pensionati aumenterà del 26%, del 41% tra 20 anni e del 54% tra 30 anni; quello delle persone attive invece aumenterà solo del 2% nei prossimi dieci anni, del 5% tra 20 anni e del 7% tra 30 anni. Considerato l’impatto dell’andamento demografico e della speranza di vita più elevata sulle casse del sistema pensionistico, non si può ignorare la necessita di un intervento strutturale che corregga il pericoloso squilibrio tra entrate e uscite, per scongiurare deficit insostenibili e salvaguardare le rendite AVS per le generazioni future. Senza dover ricorrere ancora a nuovi oneri a carico dei cittadini. L’unica strada che può assicurare al primo pilastro stabilita e solidità finanziaria sul lungo periodo e, quindi, intervenire con un innalzamento graduale dell’età della pensione, legandola anche all’aspettativa media di vita.

Una soluzione più soft di quella già adottata da diversi Stati europei, che permetterebbe, inoltre, all’economia di preservare e impiegare più a lungo competenze professionali indispensabili per la crescita del Paese, oggi ipotecata dalla carenza di manodopera qualificata.

VOTAZIONE FEDERALE DEL PROSSIMO 3 MARZO

NO all’iniziativa che vuole introdurre una tredicesima per tutti i beneficiari dell’AVS. La proposta di una tredicesima per tutti, indipendentemente dalla loro condizione finanziaria non è finanziabile. Si prevedono costi di oltre cinque miliardi di franchi che inevitabilmente porterebbero ad aumentare l’IVA, i prelievi sui salari a carico di datori di lavoro e lavoratrici e lavoratori, senza dimenticare gli aumenti di imposte. Una misura che inciderebbe quindi pesantemente sul potere d’acquisto di tutti, inutilmente costosa perché non mirata a sostenere chi è realmente in difficoltà.

SÌ all’iniziativa dei giovani liberali-radicali, volta a innalzare l’età pensionabile a 66 anni, collegandola poi all’aspettativa di vita. Essa ha il merito di mettere il dito sul problema strutturale della sfida demografica. Il momento scelto per proporre un aumento dell’età pensionabile non è forse il migliore, dato che da poco è stata parificata l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini. Ma il problema rimane e senza interventi strutturali di questo tipo è difficile garantire la solidità dell’AVS. Stabilire un legame con l’aspettativa di vita è una soluzione sostenibile ed efficace per garantire l’AVS a lungo termine, evitando di ridurre le rendite, di accumulare debiti o di aumentare le imposte.

Tutti gridano e nessuno ascolta

di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Qualche mese fa abbiamo presentato uno studio realizzato dalla SUPSI avente scopo di mettere sul tavolo dati fattuali per permettere una discussione possibilmente oggettiva sulla situazione finanziaria del Cantone, su chi produce il gettito fiscale, su come è strutturata la spesa, ecc… Punto.

Niente altro. Di per sé, in un Paese che ragiona, non dovrebbe esserci nulla di scandaloso, tanto più che non abbiamo avanzato richieste particolari, constatando semplicemente la crescita della spesa pubblica, senza dare alcun giudizio di valore sulla stessa. Non abbiamo chiesto fantomatici tagli selvaggi, né tantomeno misure fiscali particolari, oltre a quelle già sul tavolo e sulle quali saremo chiamati alle urne prossimamente.

Non è certo un mistero che riteniamo importanti e urgenti le riforme fiscali, comprese quelle impropriamente definite “regali ai ricchi” perché molto rilevanti in un’analisi seria della situazione e delle prospettive finanziarie del Cantone. Eppure, anche un approccio costruttivo e fondato su fatti e non su sensazioni o sparate ideologiche viene considerato da taluni come un delitto di lesa maestà del “mainstream” che definisce il Ticino come Paese povero, con salari insufficienti a causa dello sfruttamento da parte dell’economia (ovviamente responsabile di tutti i mali) e che ora vuole anche addirittura fare dei regali a chi non ne ha bisogno.

L’approccio di taluni organi di informazione media già in conferenza stampa, con il purtroppo usuale tono accusatorio e con malcelate accuse di malafede senza nemmeno aver letto e approfondito lo studio, la dice lunga su come si sia completamente persa la cultura della discussione e quindi la ricerca di soluzioni che vadano oltre lo stucchevole e sterile confronto ideologico a prescindere.

Non è certo un mistero che riteniamo importanti e urgenti le riforme fiscali

Tutti gridano e nessuno ascolta, si potrebbe dire. Peccato. Questo non significa rinunciare al diritto di critica, anzi. Ma la critica dovrebbe poggiare su un’analisi attenta e ponderata e purtroppo questo non avviene, poiché ci si limita a riprendere concetti stereotipati, ignorando i fatti. Mentre altri, senza tante litanie, correggono i propri sistemi fiscali ridendo alle nostre spalle.
Tanto per non andare in paesi lontani ed esotici, il canton Grigioni ha annunciato una riduzione secca del 5% del tasso di imposizione per le persone fisiche.

Certo, non solo i “ricchi” (o presunti tali…) che tanto fanno paura in Ticino, ma diverse categorie, fra cui figurano comunque i generici “specialisti”, dietro i quali è facile intuire vi siano salari elevati.
Il Ticino, rimanendo prigioniero del terrore verso i contribuenti facoltosi, non potrà avanzare sul terreno di una concorrenza nazionale e internazionale che, in seguito alle varie riforme fiscali, si giocherà sempre più sulle persone fisiche e meno sulle aliquote delle persone giuridiche.

In altre parole, come un cowboy maldestro si sparerà nei piedi. Non si è mai visto un Paese democratico (le dittature sono altra cosa) migliorare le condizioni dei poveri eliminando i cosiddetti “ricchi”.
I dati sulla redistribuzione delle risorse parlano chiaro. Potrebbe in questo senso forse essere utile rispolverare la celebre frase del padre dell’AVS, il Consigliere federale socialista Hans-Peter Tschudi, secondo cui “I ricchi non hanno bisogno dell’AVS, ma l’AVS ha bisogno dei ricchi”. E non solo l’AVS, ci sarebbe da aggiungere.

Più poveri senza i ricchi

Una riforma tributaria necessaria per la crescita economica e sociale del Cantone

Da oltre trent’anni il dibattito politico in Ticino è bloccato sulla questione fiscale, condizionato da una contrapposizione ideologica priva di uno sguardo sul futuro e sulle nuove necessità indotte dall’evoluzione della società. Sul Cantone pesa ancora la cappa di una visione dottrinaria che vede nel fisco solo un’arma per espropriare la ricchezza e intimidire chi la produce. Manca la consapevolezza, la convinzione condivisa, che la fiscalità può essere, invece, una leva decisiva per la crescita economica e sociale.
In un contesto simile era inevitabile che la riforma tributaria, votata dal Gran Consiglio lo scorso dicembre, andasse a scontrarsi col referendum promosso dalla sinistra.  Senza questa revisione non solo si pagheranno più imposte con l’aumento del coefficiente cantonale che ritorna dall’attuale 97% al 100%, ma non si correggeranno neanche le vistose distorsioni che penalizzano le donazioni e le successioni (in particolari quelle aziendali), il prelievo del capitale previdenziale e i redditi più elevati soggetti ad un’imposizione tale da spingere il Ticino in fondo alla classifica nazionale della concorrenzialità fiscale.
Intanto, gli altri Cantoni, compresi quelli dove sono ben presenti le forze di sinistra, fanno di tutto per attirare sul loro territorio con aliquote molto vantaggiose i contribuenti più facoltosi. Basterebbe un minimo di ragionevolezza e di pragmatismo per capire, anche da noi, che, se non ci fossero le persone benestanti saremmo tutti più poveri e pagheremmo tasse più alte.

Le ragioni della riforma

Il principale obiettivo della riforma è di modernizzare il nostro sistema tributario, il cui impianto normativo risale a mezzo secolo fa, per adeguarlo alle trasformazioni economiche e sociali che hanno cambiato il volto del Paese. Rettificando alcune disposizioni che rappresentano un ingiustificato svantaggio per i contribuenti, si vuole rendere più attrattivo e concorrenziale il Ticino per chi vorrebbe risiedere o investire nel Cantone, incrementando così le entrate fiscali e la creazione anche di nuovi posti di lavoro.

La revisione tributaria si articola in quattro punti:

  • aumento della deduzione forfettaria per le spese professionali per chi esercita un’attività lucrativa dipendente, favorendo quindi tutte le categorie attive;
  • riforma delle imposte sulle successioni e le donazioni per adeguarle ai cambiamenti sociodemografici (aumento della speranza di vita, nuove relazioni coniugali e di partenariato registrato, ecc.), ma che avrà ripercussioni positive anche per le successioni aziendali con persone che non fanno parte della cerchia familiare dei titolari dell’impresa. Si tratta di una modifica molto importante, considerato che ogni anno centinaia di aziende rischiano di scomparire per mancanza di eredi. Difatti, con le disposizioni in vigore il passaggio aziendale ad eventuali subentranti al di fuori della famiglia è scoraggiato da un’imposizione molto pesante;
  • riduzione dell’imposizione sui capitali previdenziali oggi troppo penalizzante per chi dispone di un capitale medio o medio-alto. In Ticino con la tassazione del prelievo del secondo pilastro non ci si discosta dall’esosità dell’imposta sul reddito. Sino a mezzo milione di franchi di capitale il Cantone è concorrenziale rispetto alla media nazionale, ma oltre questa soglia si scivola nell’ultima posizione della graduatoria intercantonale.  La conseguenza è che molti contribuenti scelgono di trasferire il proprio domicilio fiscale altrove, nei Grigioni, a Uri o a Svitto, ad esempio, quando si avvicina il momento di prelevare il capitale previdenziale;
  • riduzione a tappe dell’aliquota massima dell’imposta sul reddito, una modifica che si attende da decenni. Un’aliquota tanto onerosa da inchiodare il Ticino negli ultimi posti del confronto intercantonale e spingere verso altri lidi un numero consistente di forti contribuenti.  È questo il punto più contestato dalla sinistra, ma non solo, e su cui si farà leva per il referendum, visto che i beneficiari di questa particolare modifica saranno i redditi più elevati.

La riforma, dopo i correttivi apportati dal Parlamento, prevede: la diminuzione dal 15 al 12%, da qui al 2030 (anziché nel 2025) dell’aliquota per i redditi più alti e la riduzione lineare dell’1,66% dell’aliquota d’imposta per tutti contribuenti, come compensazione dell’aumento del 3% del coefficiente cantonale d’imposta che da gennaio ritorna al 100%.
Senza questa compensazione ci sarebbe un aggravio fiscale per i cittadini di 45 milioni di franchi.

Necessitiamo di redditi e patrimoni elevati

Sfortunatamente il dibattito sulla riforma tributaria si è accavallato a quello sul Preventivo 2024 con la manovra da 134 milioni di risparmi sull’arco di un anno che, inevitabilmente, ha contribuito ad inasprire il confronto politico anche sulla fiscalità. “Regali ai ricchi, mentre si risparmia sulle spalle dei poveri” sarà questo il leit-motiv della campagna referendaria. Slogan certamente ad alto impatto emotivo, ma smentito dalla realtà dei fatti e che non tiene conto del sistema fiscale nella sua globalità.

Innanzitutto, va sgomberato il campo da un falso storico secondo cui da noi col fisco si vogliono premiare sempre e solo i più ricchi.  Se si guarda al raffronto con gli altri Cantoni si nota che il Ticino è nelle prime posizioni per l’imposizione leggera dei redditi bassi e medio bassi, a metà classifica per i redditi medi, mentre si va con la mano pesante nella tassazione dei redditi alti. Dunque, abbiamo una fiscalità molto sociale, con una scala di aliquote finalizzata alla redistribuzione dei redditi. Questo approccio sociale, qui non contestato, porta a esentare dalle imposte molte cittadini e molti cittadini (26,6%), mentre il solo 2,6% dei contribuenti con un imponibile superiore ai 200mila franchi garantisce ben il 35,7% del gettito fiscale cantonale. Se oggi possiamo vantare un sistema sociale tra i migliori in Svizzera è grazie soprattutto ad una ancora più minuscola quota, lo 0,5%, di contribuenti, (un migliaio di persone con un reddito di oltre 500mila franchi), che assicura il 20% delle imposte sul reddito con aliquote che superano il 40%.

Si possono caricare i ricchi, ma, come insegnano gli esempi norvegesi e californiani, non si possono oltrepassare certi limiti. Non solo per questioni di opportunità ma anche di equità, principio quest’ultimo che in uno Stato di diritto vale anche per chi ha molti mezzi finanziari, non solo per chi è in difficoltà. Del resto, il Consiglio di Stato ha rilevato come, fra il 2016 e il 2022, ben 395 grandi contribuenti, con redditi o sostanze imponibili da oltre 500mila a 5 milioni di franchi, abbiano trasferito il loro domicilio fiscale fuori dal Ticino. Nello stesso arco di tempo ne sono arrivati 190. Un saldo negativo di 205 soggetti, per loro natura molto mobili, che ha provocato una perdita di gettito fiscale pari a 10 milioni di franchi all’anno. Movimenti che dovrebbero far squillare qualche campanello d’allarme.

Non è con un fisco sanzionatorio che si favorisce la crescita economica e che si garantiscono le risorse necessarie per una socialità attenta e sollecita verso i ceti meno abbienti. Tutt’altro. Con la riforma tributaria si vuole soltanto adeguare l’imposizione sugli alti redditi a quella di quasi tutti gli altri Cantoni. Nulla di sconvolgente, un passo avanti solo per riavvicinarsi alla media nazionale e recuperare la concorrenzialità e l’attrattività fiscale che abbiamo perso, invertendo una tendenza che potrebbe pregiudicare lo sviluppo futuro.  Per favorire la crescita economica e sociale, oltre che di aziende ad alto valore aggiunto, abbiamo anche bisogno di più contribuenti facoltosi che portano molto e non pesano sulla comunità.

Un caro ritardo

Attualmente, se si considera anche l’imposta federale diretta, chi ha un reddito molto alto paga in Ticino il doppio rispetto a Zugo, Obvaldo o Appenzello interno. Un carico impositivo che non incoraggia di certo a trasferirsi nel nostro Cantone. Di fronte all’urgenza di alleggerire la pressione fiscale su questi redditi stiamo, purtroppo, scontando un pericoloso ritardo.

Con l’introduzione dall’inizio del nuovo anno della Global minimum tax, decisa dall’Ocse, la battaglia per la competitività fiscale si sposta, infatti, dalle imprese alle persone fisiche. Si orienta sulla tassazione della remunerazione dei manager e dei dirigenti dei gruppi multinazionali, ossia coloro che in definitiva decidono dove insediare un’azienda o se restare in un determinato Paese, ma che sono, altresì, molto attenti ai loro guadagni. E non si tratta solo d’imprenditori e manager stranieri, ma anche di ticinesi. Una sede fiscalmente concorrenziale per la loro tassazione è indubbiamente un elemento di forte attrazione, che può significare più aziende, più posti di lavoro, più gettito fiscale. Ecco perché gli altri Cantoni si sono già mossi e si stanno decisamente muovendo con sgravi e altri incentivi. I Grigioni a partire da questo anno hanno ridotto le imposte del 5%, Zurigo vuole alleggerire ulteriormente l’onere sulle imprese abbassando l’aliquota dal 7 al 6%, Zugo farà altrettanto con le persone fisiche, Vaud da gennaio ha ridotto del 3,5% l’imposta sul reddito dei cittadini e ha in cantiere pure una riduzione dell’imposta sulla sostanza.

Che lo si voglia o no la concorrenza fiscale esiste, anzi è connaturata al sistema federale svizzero. Quindi non si può non tenerne conto ed agire di conseguenza. Restare fermi ha un costo, comporta perdite notevoli nelle entrate e un rischio sistemico in termini di partenze o di mancati arrivi di grandi contribuenti. Nelle decisioni di questi soggetti, per loro natura molto mobili, la fiscalità rappresenta un aspetto cruciale per la scelta del domicilio. Certo, vi sono anche tutti gli altri fattori, quali la stabilità politica e monetaria, la sicurezza, la sanità, i vari servizi e la qualità stessa della vita, sono pressoché uguali in tutta la Svizzera, ma la leva fiscale in molte situazioni resta una discriminante centrale. È fondamentale, perciò, recuperare competitività fiscale per incentivare il domicilio dei contribuenti più ricchi. A chi si oppone alla riforma va ricordato che anche la politica di redistribuzione dei redditi e una socialità efficace presuppongono la presenza sul territorio di persone facoltose, che saranno sempre più rilevanti per incrementare il gettito fiscale e non aumentare l’onere impositivo sulle fasce medie della popolazione.

Collaborazione con i Comuni: approfondimento economico Mezzovico-Vira

Cauto ottimismo per il futuro, buona situazione finanziaria, andamento degli affari da soddisfacente a buono, numero di impieghi costante: questo, in sintesi, lo stato di salute delle aziende presenti sul territorio del Comune di Mezzovico-Vira. È quanto emerge da un recente approfondimento economico realizzato dal Municipio in collaborazione con la Cc-Ti. L’approfondimento si inserisce nell’ambito delle attività Camerali di rafforzamento della cooperazione con i Comuni ed è in linea con i risultati dell’inchiesta congiunturale 2023-2024, recentemente pubblicati.

Mezzovico-Vira: area industriale (per gentile concessione del Comune)

Nell’ambito del dialogo con i Comuni della Svizzera italiana e delle attività di rafforzamento della collaborazione bilaterale, congiuntamente al Municipio di Mezzovico-Vira, a giugno 2023 la Cc-Ti ha effettuato un approfondimento atto a identificare da un lato lo stato di salute e i bisogni del tessuto economico del Comune e dall’altro a promuovere lo sviluppo di sinergie tra settore pubblico e privato.

Ben 300 aziende hanno partecipato a questo primo esperimento del Comune e l’elevato tasso di risposta (72%) ha fornito una fotografia rappresentativa della situazione delle attività economiche presenti sul territorio. Ne è emerso un quadro positivo: le aziende sono solide, hanno una buona situazione finanziaria, un effettivo stabile e un andamento degli affari generalmente giudicato tra il soddisfacente e il buono. Sebbene pesi l’ombra dell’incertezza congiunturale, vi è cauto ottimismo per il futuro. Un altro segnale positivo per il Comune è la volontà espressa da oltre il 90% di chi ha risposto di voler continuare a legare il proprio futuro, a medio termine, al Mezzovico-Vira.

Con l’approfondimento si è voluto altresì sondare le necessità delle aziende in infrastrutture e/o servizi specifici che potrebbero essere forniti dal Comune, anche in previsione di eventuali ampliamenti delle loro attività. Il sondaggio ha evidenziato diversi interessi, che saranno approfonditi attraverso il dialogo diretto.

L’esito dell’esercizio svolto con il Comune di Mezzovico-Vira è in linea con i risultati dell’inchiesta congiunturale 2023/2024, presentati il 18 dicembre 2023 e riassunti qui.

Cerimonia consegna diplomi CAS CSR

Si è svolta mercoledì 6 dicembre 2023 la cerimonia di consegna dei diplomi del Certificate of Advanced Studies in Corporate Social Responsibility (CSR)

Il corso si poneva l’obiettivo di formare CSR manager in grado di definire la strategia di sostenibilità della propria organizzazione e di elaborare un rapporto di sostenibilità.

Ci complimentiamo con il nostro collaboratore, Sergio Trabattoni, ora CSR Manager e con tutti i neo-diplomati.

Stefano Rizzi, Direttore della Divisione economia del Dipartimento delle Finanze e dell’Economia ha ribadito il ruolo della sostenibilità nella competitività dei territori e l’impegno che ormai da anni viene profuso per la promozione del tema. Il contributo delle imprese allo sviluppo economico, sociale e ambientale del Cantone è essenziale e questi diplomati potranno essere dei preziosi ambasciatori per la diffusione della responsabilità sociale e della sostenibilità.

Tra le differenti attività sostenute o svolte direttamente dalla Cc-Ti ve ne sono alcune, forse meno conosciute, che rientrano nella sfera degli esercizi della “Corporate Social Responsibility – CSR” o “RSI – Responsabilità sociale delle imprese”. Si tratta dello sviluppo di progetti a carattere sociale, formativo o ambientale, disegnati per interagire tra i diversi settori.
La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ha sviluppato – con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) – un modello online di rapporto di sostenibilità, accessibile tramite questo link: www.ti-csrreport.ch (TUTORIAL).

La responsabilità sociale delle imprese è un elemento che, dal 2021, rientra anche nei bandi di concorso pubblici, con un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione.
L’ottenimento di una separata “Dichiarazione di conformità” (rilasciata dalla Cc-Ti) faciliterà sia il lavoro delle aziende, sia quello delle autorità chiamate a valutare i dossier.
Questo strumento non rappresenta la condizione per partecipare agli appalti pubblici ma resta su base volontaria ed è sostenuta dal DFE e dall’ufficio di vigilanza sulle commesse pubbliche.


Risultati inchiesta congiunturale 2023/2024

Nel 2023 l’attività delle imprese ticinesi si è attestata su livelli elevati malgrado il rallentamento della congiuntura mondiale e le numerose incertezze del contesto globale.

Sulla base dell’annuale inchiesta congiunturale condotta presso i soci della Cc-Ti, alla quale hanno partecipato 305 aziende di tutti i rami economici, l’anno 2023 ha fatto registrare buoni risultati per le imprese ticinesi, malgrado l’instabilità del contesto internazionale, i vari rincari, fra cui quello dell’energia, e, per le aziende esportatrici, la persistenza della forza del franco.
Per il 40% delle aziende l’andamento è stato sufficiente, per il 35% buono e per il 2% eccellente. Valore in linea con il 2022 e con le previsioni che erano state espresse lo scorso anno.

Come sempre, un indicatore osservato attentamente è quello che riguarda il livello degli investimenti, che ha fatto registrare un leggero aumento rispetto al 2022 (dal 44% al 46% la percentuale di imprese che ha investito sul territorio). Un importante segnale di ripresa rispetto agli anni segnati dalla pandemia. Questo malgrado l’erosione dei margini che si sta constatando da diversi anni, ma che per ora non sembra ancora aver provocato un impatto sulle attività aziendali, né sull’occupazione.

L’autofinanziamento, altro parametro centrale per la valutazione dello stato di salute delle imprese, si è confermato stabile per il 2023, con gli stessi valori dello scorso anno (il 33% delle aziende lo considera buono e il 37% soddisfacente).

Le previsioni per il 2024, al netto di imprevisti eventi sullo scenario internazionale, indicano una sostanziale stabilità con il 76% delle imprese che si attendono un andamento da sufficiente a buono nel primo semestre del 2024 e più prudenziale per il secondo semestre. Si segnala un calo degli investimenti atteso per il 2024, certamente conseguenza dell’incertezza generale che induce a una certa cautela. È evidente che si tratta di un dato abbastanza preoccupante se dovesse confermarsi nel corso dell’anno prossimo.

Come avviene ormai da quando vengono effettuati questi rilevamenti, i risultati del 2023 e le attese per il 2024 sono in linea con quanto rilevato negli altri Cantoni.

1. Andamento generale degli affari

L’andamento generale degli affari nel 2023 è risultato di segno positivo, sostanzialmente confermando le aspettative espresse nel 2022. Il 77% delle imprese ha valutato in maniera favorevole l’andamento degli affari nello scorso anno (soddisfacente per il 40% delle aziende, buono per il 35%, eccellente per il 2%). Malgrado la forza del franco e le note turbolenze sullo scenario mondiale, anche per le aziende esportatrici si registra un trend in generale positivo con numeri simili, il che rappresenta un risultato estremamente positivo. Non vi è inoltre una differenza rilevante fra settore secondario e terziario.

Per le previsioni sull’andamento degli affari a breve termine, cioè̀ per i prossimi 6 mesi, le cifre sono sostanzialmente stabili, con il 38% delle aziende che si attende un’evoluzione sufficiente e la stessa percentuale che prevede un andamento buono.

Per il secondo semestre del 2023, le previsioni sono di un’evoluzione soddisfacente per il 41% delle aziende, ma l’andamento buono cala leggermente al 35%. Una prudenza normale e comprensibile, che si registra praticamente ogni anno, perché il contesto generale rende difficili pianificazioni e previsioni a media e lunga scadenza.

2. Margine di autofinanziamento delle imprese

I valori del margine di autofinanziamento delle aziende meritano sempre un’attenzione particolare, perché si tratta di un indicatore importante dello stato di salute delle imprese e quindi anche della capacità competitiva del sistema in generale. Il valore si conferma identico rispetto allo scorso anno, con il 70% delle imprese che giudica positivamente il margine di autofinanziamento (37% soddisfacente, 33% buono). Dato senza dubbio confortante, anche tenuto conto delle difficoltà legate agli anni caratterizzati dal Coronavirus.

3. Investimenti

Dopo il periodo pandemico, si conferma una leggera ripresa degli investimenti, tornati ai livelli del 2019. Dal 44% dello scorso anno si passa al 46% delle aziende che hanno investito, con il settore secondario che si conferma trainante (il 67% delle imprese ha investito) e un contributo consistente fornito dalle imprese di dimensioni media (dai 30 ai 100 collaboratori) con il 76%. Le strutture di dimensioni grandi (con più di 100 collaboratori) hanno pure investito nella misura del 78%.

Per il 2024 pesano le incertezze del contesto generale, perché “solo” il 42% delle aziende prevede investimenti e il calo è netto nel settore secondario, come del resto in tutta la Svizzera. Ciò si spiega con il previsto rallentamento nell’ambito delle costruzioni e alle numerose incertezze che gravano sul settore industriale soprattutto per le tensioni internazionali e la forza del franco che inducono quindi alla prudenza. Sono soprattutto le strutture medie a segnalare un rallentamento importante, mentre quelle grandi restano più ottimiste.

4. Attenzione verso l’occupazione e la politica salariale

Come già ampiamente attestato anche dalle cifre ufficiali concernenti l’impiego, anche l’occupazione rimane stabile e praticamente con valori identici al 2022. La stabilità dell’effettivo è espressa dal 63% delle aziende, mentre un aumento è segnalato dal 25% e una diminuzione dal 12%, in linea con quanto sempre rilevato. Da rilevare un aumento dell’effettivo nel settore secondario segnalato dal 35% delle aziende. Il 2024 dovrebbe essere all’insegna di una stabilità rilevata dal 79% delle imprese.

In ambito di politica salariale, 70% delle aziende che hanno risposto alla domanda hanno concesso aumenti di stipendio di varia entità nel 2023.

5. Trasformazione digitale

Il tema dello sviluppo digitale delle attività ormai non è più nuovo, ma merita comunque attenzione quanto agli sviluppi, sempre più rapidi e dalle molte sfaccettature. È interessante constatare come praticamente tutte le aziende investano su questa trasformazione, sebbene la percentuale degli investimenti totali rappresenti una parte abbastanza contenuta per il 64% di esse (massimo 15%). Gli investimenti risultano leggermente superiori nel settore terziario rispetto al secondario.

Fra i vantaggi della trasformazione digitale, nelle risposte spiccano la semplificazione dei compiti (73%) e il miglioramento della produttività (58%). Seguono lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi (29%) e la riduzione dei costi di produzione (20%). I limiti della digitalizzazione sono invece individuati nella difficoltà a integrare la tecnologia nell’attività (47%), nei costi di investimento (43%) e nella difficoltà dei dipendenti di familiarizzare con il sistema (33%), elemento quest’ultimo che chiama quindi in causa anche il tema della formazione, di base o continua.

È importante rilevare che la digitalizzazione non è vista come opportunità per sopperire alla carenza di manodopera dal 71% delle risposte, il che evidenzia come il fattore umano resti per ora decisivo. Per contro, la trasformazione è considerata dal 70% come opportunità per migliorare la posizione competitiva.   

Per agevolare il processo, il 53% delle aziende ritiene che lo Stato dovrebbe prevedere incentivi fiscali per gli investimenti nel digitale e prevedere un maggiore sostegno all’innovazione (45%), anche nel senso di creare e mantenere condizioni generali idonee all’imprenditorialità. Lo sviluppo dell’infrastruttura è pure considerato un elemento impostante dal 29% delle risposte e lo sviluppo dei corsi di informatica viene citato dal 28%.

6. Intelligenza artificiale

L’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale come ChatGPT resta per ora abbastanza limitato, visto che l’uso sistematico nel contesto aziendale viene rilevato solo dal 23% delle aziende (24% nel terziario, 20% nel secondario, 30% nelle aziende medio-grandi). L’utilizzo di questi strumenti si riscontra nel marketing (70%), nella digitalizzazione del prodotto/servizio (31%), nell’applicazione nei processi produzione e nella logistica (31%) e nell’organizzazione (finanze, risorse umane, 24%). Chi non fa capo a questi strumenti indica come motivi che il settore di attività non è interessato (67%), oppure la mancanza di conoscenza degli strumenti (22%), di tempo (15%) o di personale qualificato (13%).

Interessante rilevare come, a oggi, il 90% delle risposte indichino che l’IA non avrà impatti sul numero di dipendenti dell’azienda. Non vi sono differenze tra settore secondario e terziario, la percentuale cala leggermente per le aziende di dimensioni più grandi.

Il 69% delle risposte menziona di non avere una strategia specifica per l’IA, mentre il 17% mira all’identificazione dei settori di attività interessati, il 14% lavora per un adattamento della gestione dei dati e il 12% opera nel quadro della formazione del personale.

Il 9% afferma che sta allestendo un calendario di attuazione.

Infine, ben il 77% delle risposte indica che vi è una necessità di interventi legislativi per regolare meglio l’IA.

Hanno partecipato all’inchiesta 305 imprese associate alla Cc-Ti, che impiegano in tutto 18’521 dipendenti nel cantone.

Si tratta di 88 aziende del settore industria-artigianato e di 217 del comparto commercio e servizi.       
Un campione di aziende consolidato da un rilevamento che viene effettuato da 12 anni con risultati attendibili e sempre confermati da altre ricerche congiunturali condotte da istituti federali e cantonali e dai dati ufficiali.

L’indagine della Cc-Ti, che ha coinvolto 183 realtà̀ aziendali che operano sul mercato interno e altre 122 orientate in parte o totalmente all’export, mira appunto a fornire indicazioni sulle tendenze generali dell’economia ticinese, senza volersi sostituire ad analisi più mirate effettuate da singoli settori economici.

L’inchiesta è stata condotta unitamente alle Camere di commercio e dell’industria di Friborgo, Ginevra, Giura, Neuchâtel, e Vaud. Le Camere di commercio e dell’industria della Svizzera tedesca operano individualmente, ma seguendo lo stesso schema.


Link ai risultati delle Camere degli altri Cantoni che hanno condotto l’inchiesta comune (alcuni dati sono accessibili solo ai soci delle rispettive Camere)

VD :    
Présentation PowerPoint (cvci.ch), CVCI – Chambre vaudoise du commerce et de l’industrie – L’activité des entreprises vaudoises reste soutenue face au ralentissement de la conjoncture mondiale et aux défis à relever

JU :     
Chambre de commerce et d’industrie du Jura – Chambre de commerce et d’industrie du Jura (ccij.ch)

NE :     
Les entreprises neuchâteloises affichent encore une bonne forme, mais sont sur leurs gardes pour 2024 CNCI 

FR :      
CCIF – Communiqué – Malgré des activités encore solides en 2023, les entreprises fribourgeoises voient leur

GE :    
Geneva Chamber of Commerce, Industry and Services – Chambre de commerce, d’industrie et des services de Genève (ccig.ch)  

Inchieste condotte da altre Camere di commercio e dell’industria svizzere con i propri associati

BE :
https://www.baerntoday.ch/bern/kanton-bern/der-fachkraeftemangel-bereitet-den-berner-kmu-am-meisten-sorgen-155171646

BS/BL
hkbb_twice_2-23_230x320mm_web.pdf

Svizzera centrale :
HZ 46_ Standort Zentralschweiz_Beilage_.pdf (d15k2d11r6t6rl.cloudfront.net)

Svizzera orientale (SG, TG, AI, AR) : 
Energiewende bedingt Versorgungssicherheit | IHK St. Gallen-Appenzell

ZH
Konjunktur | Kanton Zürich (zh.ch)

Alcune Camere di commercio e dell’industria si basano di regola sui rapporti degli Uffici cantonali di statistica oppure su valutazioni del KOF.


Materiale informativo


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