Da complicato a complesso: il contesto internazionale è sempre più impegnativo

Le aziende che operano a livello internazionale navigano sempre più in un labirinto di accordi commerciali, formalità amministrative e doganali, guerre commerciali, sanzioni e controlli delle esportazioni nonché di nuove e sempre più stringenti normative in ambito ESG (ovvero le questioni ambientali, sociali e di governance). Far fronte a queste sfide crescenti richiede notevoli risorse e competenze, ma le aziende del territorio possono contare sul supporto della Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino (Cc-Ti).

La Svizzera, si sa, ha concluso numerosi accordi di libero scambio grazie ai quali le PMI che operano a livello internazionale hanno l’opportunità di accedere ai mercati esteri o di importare beni strumentali e/o fattori produttivi a costi inferiori, ricavandone così un vantaggio competitivo. A causa della complessità degli accordi e della mancanza di coerenza delle norme, lo sgravio dai costi è però associato anche ad un elevato onere amministrativo sia per comprendere ed applicare correttamente le varie disposizioni e procedure sia per espletare, altrettanto correttamente, le formalità doganali.

I beni da immettere sui mercati esteri devono anche soddisfare vari requisiti amministrativi e tecnici, tra cui test e certificazioni, che possono variare da un Paese all’altro. Talvolta queste misure diventano delle vere e proprie barriere commerciali, con conseguente ulteriore onere burocratico e aumento dei costi di produzione e del tempo necessario per portare i prodotti sul mercato. Le procedure d’importazione nel Paese target si fanno sempre più complesse e sono talvolta legate a specifiche modalità di pagamento definite dai governi stessi. È il caso ad esempio delle disposizioni attuate di recente da Egitto e Argentina a causa della grave carenza di valuta estera: nel 2022, e per ben nove mesi, il primo ha imposto l’obbligo di utilizzo di lettere di credito per finanziare forniture superiori ai 5’000 dollari, con conseguente aumento dei costi di gestione delle pratiche e ritardi nello sdoganamento degli invii; di recente la seconda ha invece introdotto un sistema (tuttora in vigore) di monitoraggio e rilascio di licenze all’importazione legato ad autorizzazioni di pagamento delle fatture estere rispettivamente all’accesso al mercato dei cambi per pagamenti in valuta estera. In casi come questi, alle oggettive difficoltà che all’atto pratico le aziende si trovano a dover affrontare, si inserisce spesso la mancanza di informazioni chiare, affidabili e aggiornate sulle nuove misure introdotte dai vari Paesi e la complessità nel reperirle.

Un’altra tematica che occupa e preoccupa sempre più le aziende è quella del controllo delle esportazioni, volto ad impedire non solo la proliferazione di materiale di armamento e di beni a duplice impiego, ma anche di tecnologie critiche. Il tema è stato portato alla ribalta dall’attuazione di vari regimi sanzionatori nei confronti della Russia, alcuni dei quali anche di natura extra-territoriale, e dalla cosiddetta “guerra dei chip” tra Stati Uniti e Cina. Nel primo caso, i regimi sanzionatori diversi pongono sfide e rischi non facili da affrontare per le nostre imprese, che si devono interfacciare con la normativa straniera per comprenderne gli impatti ed evitare rischi e conseguenze dagli effetti anche devastanti. Nel secondo caso, invece, l’intensificarsi della competizione tra Stati Uniti e Cina per la supremazia tecnologica espone le catene di approvvigionamento a scosse create da restrizioni alle esportazioni e da altre barriere non tariffarie attuate da entrambe le Nazioni. Le imprese non possono rinunciare all’accesso a questi mercati strategici, ma il progressivo disaccoppiamento tra i due Stati mette in discussione i loro modelli di sviluppo, costringendole ad attuare ed effettuare controlli all’esportazione nonché a segmentare la propria offerta e i propri processi. In questo caso non si tratta più solo di decidere se operare in un Paese piuttosto che nell’altro, ma di come operare in un Paese affinché non vi siano riscontri negativi nell’altro.

Da ultimo, ma non meno importante, le aziende sono chiamate anche a conformarsi a nuove e complesse normative ambientali e sociali sui prodotti che fabbricano e acquistano e che, talvolta, richiedono la creazione di sistemi per la tracciabilità delle merci. È il caso, ad esempio, delle nuove normative sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio entrati recentemente in vigore in diversi Paesi europei o anche della cosiddetta “carbon tax alla frontiera”, che l’Unione europea introdurrà ad ottobre 2023 e che imporrà alle aziende di documentare, comunicare e, se del caso, pagare una carbon tax sulle emissioni di gas serra associate a diverse tipologie di merci energivore e inquinanti introdotte nel mercato unionale.

In sostanza, ogni Paese in cui un’azienda opera rappresenta un rischio di compliance: leggi e regolamenti vengono modificati anche con breve preavviso e con poca o nessuna notifica, nonché con ammende in caso di mancata conformità. A fronte di tale complessità, solo chi padroneggia le regole del commercio internazionale, si informa adeguatamente e adatta rapidamente la propria strategia può ottenere un prezioso vantaggio strategico e competitivo rispetto alla concorrenza. È qui che si inserisce la Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino: con i suoi servizi di informazione puntuale, consulenza mirata, formazione ed eventi nei vari ambiti del commercio con estero, la Cc-Ti è partner e interlocutore privilegiato delle aziende del territorio ad essa associate.