Chi guida la corsa alle tecnologie critiche?

Diciamolo subito: nota per essere sempre stata alla ricerca di qualsiasi nuova tecnologia occidentale da copiare o migliorare, la Cina domina ora sugli Stati Uniti nella maggior parte dei settori ad alta tecnologia e “le democrazie occidentali stanno perdendo la competizione tecnologica globale, compresa la corsa alle scoperte scientifiche e di ricerca, e la capacità di trattenere i talenti globali – ingredienti cruciali alla base dello sviluppo e del controllo delle tecnologie più importanti del mondo, incluse quelle che ancora non esistono”. È quanto emerge dal Critical Technology Tracker – The global race for future power, uno studio del think tank australiano ASPI finanziato nientemeno che dal Dipartimento di Stato statunitense.

In breve: gli americani potrebbero anche limitare la capacità dei cinesi di produrre chip avanzati, vedi bloccare il trasferimento di tecnologie, e sovvenzionare la produzione nazionale per massimizzare la distanza tecnologica tra i due Paesi, ma come evidenzia l’Australian Strategic Policy Institute (ASPI) nel suo Critical Technology Tracker, la Nazione asiatica sta avanzando nella corsa al dominio tecnologico globale molto più rapidamente di quanto si possa pensare e di fatto ha già gettato le basi per posizionarsi quale superpotenza scientifica e tecnologica del mondo, stabilendo una leadership nella ricerca ad alto impatto nella maggior parte dei settori tecnologici critici ed emergenti (tra cui difesa, spazio, robotica, energia, ambiente, biotecnologia e intelligenza artificiale) e nello specifico in 37 delle 44 tecnologie valutate. Le sette rimanenti sono guidate dagli Stati Uniti (vaccini, computer, calcolo quantistico, sistemi di lancio orbitale nello spazio, progettazione di circuiti, sistemi di riconoscimento linguistico e piccoli satelliti, informatica ad alte prestazioni, informatica quantistica, vaccini). Ma c’è di più, la Cina ha un vantaggio a “rischio monopolio alto” in sette ambiti: materiali e produzione su scala nanometrica, tecnologie di rivestimento, comunicazioni RF avanzate (incl. 5G e 6G), idrogeno e ammoniaca per l’energia, supercondensatori, batterie elettriche, biologia sintetica e sensori fotonici. In questo mondo bipolare tendente all’unipolarismo c’è ben poco spazio per gli altri Paesi. In ordine di importanza, e seppur distanziate dalle prime due, le uniche Nazioni ad essere menzionate nella speciale classifica delle eccellenze nella ricerca tecnologica sono India e Regno Unito, seguite da Corea del Sud, Germania, Australia, Italia e Giappone.

Gli americani mantengono una lunghezza di vantaggio in alcune tecnologie mature e sono leader non solo in ambito digitale e della difesa, ma anche nelle biotecnologie e altri settori. Dispongono inoltre di università e laboratori di richiamo mondiale, di alti livelli di investimento, di un mercato favorevole all’innovazione e di un’ampia rete di alleanze internazionali. Il Paese di Mezzo è però sede dei dieci principali istituti di ricerca al mondo per alcune tecnologie fondamentali e spesso produce una quantità di ricerca ad alto impatto cinque volte superiore a quella americana. Un dato, questo, da non sottovalutare, anche se trasformare le scoperte della ricerca in successi produttivi “made in China” è ben più complicato: ad esempio, nonostante gli investimenti da parte cinese per padroneggiare tecnologie come i motori a reazione, i suoi ingegneri hanno faticato per decenni per produrli, motivo per cui l’aviazione commerciale e militare continua per lo più a far capo a fornitori stranieri.

Gli Stati Uniti dominano anche nella ricerca sull’informatica quantistica, ma la Nazione asiatica li insegue primeggiando nella crittografia post-quantistica, nelle comunicazioni quantistiche e nella ricerca sui sensori quantistici. Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, gli americani si affermano sì nella progettazione di circuiti integrati avanzati, nell’elaborazione del linguaggio e nel calcolo ad alte prestazioni, ma i cinesi capeggiano nelle comunicazioni a radiofrequenza avanzate come il 5G e il 6G, oltre che in molte altre aree. Il Paese di Mezzo sta inoltre superando gli Stati Uniti in tutte le aree di ricerca sulle tecnologie energetiche e ambientali ed è leader in tecnologie come i droni, i sistemi autonomi e l’ipersonica. Svolge inoltre un ruolo cruciale nella transizione verso l’energia pulita, perché produce molti prodotti essenziali e opera su una scala così vasta da dominare alcune parti delle catene di approvvigionamento, quali ad esempio i settori eolico, solare e delle batterie. Ha costruito questo vantaggio per decenni, dominando la capacità di lavorazione e raffinazione di tali prodotti. Per gli Stati Uniti, e più in generale l’Occidente, cancellare questa dipendenza richiederà uno sforzo a lungo termine.

Il think tank australiano sottolinea infine come la leadership cinese sia un problema, non solo per la posizione dominante in sé e la sua capacità di stabilire una morsa sulle catene di fornitura globali per le tecnologie critiche, che le conferiscono una potente leva e un chiaro vantaggio tecnico, ma anche perché a lungo termine tale dominio potrebbe “spostare non solo lo sviluppo e il controllo tecnologico, ma anche il potere e l’influenza globale verso uno Stato autoritario in cui lo sviluppo, la sperimentazione e l’applicazione di tecnologie emergenti, critiche e militari non sono aperti e trasparenti e non possono essere scrutati dalla società civile e dai media indipendenti”. Tra le raccomandazioni fornite per contrastare la leadership della Nazione asiatica figurano l’istituzione di fondi sovrani per finanziare la ricerca e lo sviluppo, l’agevolazione di visti tecnologici, il “friend-shoring”, le sovvenzioni per la R&S tra nazioni e il perseguimento di nuovi partenariati pubblico-privato.