Sospensione temporanea dei dazi USA-Cina

Gli Stati Uniti e la Cina hanno raggiunto un accordo per ridurre reciprocamente i dazi doganali per un periodo di 90 giorni, a partire da oggi, mercoledì 14 maggio 2025. Gli Stati Uniti abbassano le tariffe sulle importazioni cinesi dal 145% al 30%, mentre la Cina riduce le tariffe sui prodotti statunitensi dal 125% al 10%.

A seguito dei colloqui bilaterali tenutisi a Ginevra, è stata emessa una dichiarazione congiunta, seguita dall’Executive Order 14298 firmato dal Presidente Trump, che modifica ufficialmente i dazi doganali statunitensi sulle importazioni dalla Repubblica Popolare Cinese (incluse Hong Kong e Macao). A partire dal 14 maggio 2025 e per i successivi 90 giorni, viene sospesa una parte dei dazi addizionali precedentemente imposti alla Cina: i dazi reciproci specifici per Paese (che per i prodotti cinesi, inclusi Hong Kong e Macao, è del 125%) sono congelati e sostituiti con un dazio ad valorem del 10%.

In dettaglio, gli Stati Uniti sospendono parzialmente il dazio aggiuntivo reciproco del 34% applicato a Cina, Macao e Hong Kong, riducendolo di 24 punti percentuali per 90 giorni. Rimane in vigore il dazio residuo del 10%, introdotto con l’ordine esecutivo 14257 del 2 aprile 2025. Contestualmente, vengono revocate le tariffe addizionali stabilite con gli ordini esecutivi 14259 e 14266 dell’8 e 9 aprile 2025, che avevano aumentato l’aliquota dei dazi rispettivamente all’84% e al 125%. Scaduti i 90 giorni, i dazi potranno essere ripristinati al 34%.

Si ricorda che il dazio del 10% si aggiunge al dazio del 20% introdotto in precedenza per affrontare il problema del traffico di fentanyl.

Questa misura non ha effetto retroattivo e si applica solo alle importazioni effettuate a partire dal 14 maggio 2025. Rimangono altresì in vigore le misure specifiche previste dalle Sezioni 301 e 232 della normativa commerciale USA, che riguardano categorie di prodotti, come acciaio, alluminio, automobili e componenti.

Gli Stati Uniti mantengono in vigore il cosiddetto “dazio sul fentanyl” del 20%.

L’ordine esecutivo potrebbe segnare una riduzione delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, ma – per gli Stati Uniti – la sospensione dei dazi dipende dall’impegno della Cina a risolvere le problematiche commerciali sollevate. Se la Cina non adotterà misure concrete per correggere gli squilibri commerciali, gli Stati Uniti si riservano infatti il diritto di reintrodurre o aumentare i dazi.

La Cina, dal canto suo, ha confermato la riduzione dei dazi sulle importazioni provenienti dagli Stati Uniti dal 125% al 10%. La nazione asiatica sospende il dazio aggiuntivo del 34% previsto nell’Avviso 4/2025 della Commissione tariffaria per un parziale del 24% per 90 giorni, mantenendo un dazio del 10%. Sono inoltre revocate le misure aggiuntive introdotte con gli Avvisi 5/2025 e 6/2025, che avevano progressivamente innalzato i dazi all’84% e successivamente al 125% sulle importazioni provenienti dagli Stati Uniti.

Strategia ESG: un investimento per la sostenibilità ed il ritorno economico

Negli ultimi anni, la sostenibilità è passata dall’essere una scelta opzionale dettata da considerazioni etiche o ambientali, a rappresentare uno dei principali drivers strategici per la competitività aziendale e la resilienza a lungo termine.

Oggi le aziende che integrano con metodo e visione i principi ambientali, sociali e di governance non solo contribuiscono a un impatto positivo sul pianeta e sulle comunità, ma gestiscono meglio i rischi e hanno una performance finanziaria superiore, generando un ritorno economico concreto.
Costruire una strategia ESG non significa semplicemente aggiungere una voce al bilancio di sostenibilità, ma ripensare in chiave responsabile l’intero modello di business. Le imprese che intendono affrontare in modo proattivo le sfide ambientali, sociali e normative devono partire da un percorso ben definito, che si articola in cinque fasi. La prima è l’analisi di materialità, in cui si individuano i temi ESG più rilevanti per l’organizzazione e i suoi stakeholder. Si passa poi alla definizione della visione ESG, creando un framework strategico coerente con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) e con i principali standard internazionali.
La fase di sviluppo della strategia prevede l’identificazione di obiettivi misurabili, indicatori di performance (KPI) e piani d’azione distribuiti nel tempo. L’implementazione e il monitoraggio richiedono il coinvolgimento delle funzioni aziendali, un’allocazione mirata delle risorse e l’utilizzo di strumenti adeguati alla raccolta e l’analisi dei dati. Infine, la comunicazione e la trasparenza sono fondamentali: report ESG, certificazioni e l’adesione a iniziative internazionali aumentano la credibilità e favoriscono il dialogo con gli stakeholder.

Adottare una strategia ESG (Ambientale, Sociale, Governance) offre benefici che vanno ben oltre la semplice conformità normativa, estendendosi all’intera catena del valore aziendale.

Una solida governance in ambito ESG si traduce innanzitutto in una migliore gestione del rischio.
Le aziende con un forte focus su questi aspetti sono spesso più efficaci nell’identificare e mitigare potenziali rischi ambientali (come l’impatto di eventi climatici), sociali (legati alla reputazione aziendale o ai rapporti con i dipendenti) e di governance (prevenendo scandali o pratiche discutibili). Questa capacità non solo riduce l’esposizione a rischi legali e danni d’immagine, ma aumenta anche la resilienza di fronte a crisi e cambiamenti normativi, potendo inoltre contribuire a un minor costo del capitale.

L’impegno verso i criteri ESG potenzia significativamente anche l’efficienza operativa. L’attenzione all’uso consapevole delle risorse porta a una razionalizzazione dei processi, a risparmi energetici tangibili e a una riduzione degli sprechi, con un impatto diretto sulla diminuzione dei costi e sull’aumento della produttività. Parallelamente, l’adozione di buone pratiche sociali contribuisce a migliorare il clima aziendale, la produttività dei dipendenti e a ridurre il turnover del personale.

Inoltre, le aziende con una forte identità sostenibile risultano più appetibili per gli investitori. Un numero sempre crescente di fondi e investitori integra attivamente i criteri ESG nelle proprie valutazioni, premiando le imprese capaci di generare performance durature e responsabili facilitando l’accesso al capitale per le realtà più virtuose.

L’integrazione dei principi ESG funge anche da stimolo per l’innovazione, incoraggiando lo sviluppo di soluzioni, tecnologie e modelli di business più sostenibili e orientati al futuro.
Infine, la trasparenza che accompagna un serio impegno ESG rafforza la fiducia di clienti, dipendenti e partner, migliorando la reputazione del marchio, attraendo talenti e favorendo la costruzione di relazioni solide e di lungo periodo.

Le aziende con alte performance ESG tendono a ottenere rendimenti superiori rispetto ai concorrenti meno sostenibili. Il ritorno sull’investimento si manifesta in molteplici forme. Le aziende sostenibili vedono dunque crescere il fatturato grazie alla preferenza dei consumatori per brand etici, mentre riducono i costi operativi con interventi di efficienza energetica e ottimizzazione delle risorse.
Attraggono talenti, investitori e fondi ESG, coniugando profittabilità e impatto positivo. Una solida reputazione ESG rafforza la stabilità sul mercato e aumenta il valore dell’impresa.
Integrare la sostenibilità nella strategia aziendale non è più dunque una scelta che permette la semplice differenziazione, ma un requisito per la sopravvivenza e il progresso. In settori come il MedTech, ma anche nell’industria manifatturiera, nei servizi finanziari e nella logistica, l’adozione di un approccio ESG rappresenta la base per costruire modelli resilienti, flessibili e orientati al futuro.
L’attenzione crescente delle istituzioni, dei consumatori e degli investitori verso la sostenibilità rende necessario un cambio di paradigma: passare dalla reattività alla proattività, facendo della sostenibilità un pilastro del valore d’impresa.
È solo in questo modo che le aziende possono garantire una crescita solida, generare impatto positivo e contribuire attivamente alla transizione verso un’economia più equa, inclusiva e rigenerativa.


A cura di Giovanni Facchinetti, Managing Partner, Positive Organizations

Dall’idea all’impresa: pianifica, finanzia e valuta il tuo progetto

Mercoledì 7 maggio ha avuto luogo la serata informativa “Dall’idea all’impresa: pianifica, finanzia e valuta il tuo progetto,” organizzata dall’Ente Regionale per lo Sviluppo del Luganese (ERSL) in collaborazione con il servizio cantonale interdipartimentale Fondounimpresa, dedicata in particolare ai (futuri) micro imprenditori. 

Durante la serata sono stati presentati gli attori e gli strumenti che possono offrire supporto nel trasformare una buona idea in un progetto solido, con la la partecipazione di:

  • Dante Caprara, dell’Ufficio per lo sviluppo economico, il quale ha esposto una panoramica delle principali misure adottate dal Cantone a sostegno della micro-imprenditorialità, 
  • Manuela Guggiari, Direttrice direttrice dell’Istituto della formazione continua del DECS, la quale ha presentato gli accopagnamenti e i servizi messi a disposizione dal servizio cantonale interdipartimentale (DECS/DFE) Fondounimpresa,
  • Roberta Angotti Pellegatta, Direttrice dell’ERSL, la quale ha presentato il supporto offerto dell’Ente ai progetti nel Luganese, con un focus in particolare sulle possibilità di finanziamento, come il Fondo di Promozione Regionale del Luganese (FPRL) che per il 2025 dispone di CHF 500’000 a favore di progetti nella regione e la piattaforma di crowdfunding Progettiamo.ch
  • Laura Arata, dell’Aiuto svizzero alla montagna (Berghilfe), la quale ha esposto le possibilità di finanziamento per le imprese e associazioni nelle regioni montane,
  • Salvatore Vitale, Responsabile Svizzera italiana di CFSud, che ha mostrato come la cooperativa di fideiussione per PMI possa sotenere queste realtà nella realizzazione di progetti facilitando l’accesso al credito bancario,
  • Sergio Trabattoni, CSR Manager della Cc-Ti, che ha presentato il rapporto di sostenibilità semplificato quale strumento ideale per permettere anche a piccole realtà con risorse a disposizione limitate di mostrare il proprio impegno in questo ambito, investendo così sulla propria reputazione e ottenendo un vantaggio competitivo.

Fonte: ERSL – Ente Regionale per lo Sviluppo del Luganese

La tassa (imposta) italiana sulla salute

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

Nella legge italiana di bilancio 2024 è stato previsto un cosiddetto contributo di compartecipazione alla spesa sanitaria, comunemente chiamata tassa sanitaria, a carico dei vecchi frontalieri, ovvero di quei lavoratori il cui permesso di lavorare in Svizzera è antecedente al 17 luglio 2023.

L’applicazione effettiva dipende dall’adozione delle norme attuative da parte delle Regioni italiane, norme preannunciate entro la fine del 2025.
Stando alle informazioni ufficiose raccolte presso fonti comunque ufficiali, una variante di applicazione potrebbe essere indipendente dal fatto che i frontalieri abbiano ricevuto o meno servizi sanitari su suolo italiano. Con la citata tassa l’Italia intende incassare soldi per finanziare i salari del personale sanitario di frontiera al fine di frenare il relativo esodo verso la Svizzera. Questo è lo scopo dichiarato che può essere perseguito solo con una tassa non causale, da un’imposta dunque, in quanto permette di incassare denaro non vincolato e senza fornire controprestazioni specifiche. Se invece la tassa fosse causale servirebbe a coprire le spese di una prestazione concreta e non lascerebbe alcun margine per sovvenzionare i salari del personale sanitario. In altre parole, con una tassa causale l’Italia non potrebbe perseguire il suo obiettivo, in quanto l’incasso sarebbe esclusivamente destinato a coprire le spese effettivamente sostenute. È quindi molto verosimile che questo balzello sarà strutturato come un’imposta vera e propria, prelevata sul reddito di tutti i vecchi frontalieri, in modo generale e progressivo.

Il nuovo Accordo sulla fiscalità dei frontalieri attualmente in vigore ed applicato dal 2024 all’art.9 prevede però che i “vecchi” frontalieri restano imponibili soltanto in Svizzera. L’Italia non può pertanto prelevare alcuna imposta a loro carico, restando la competenza impositiva esclusivamente a beneficio della Svizzera.

Ne consegue che, se l’Italia adottasse misure attuative che strutturano il prelievo a carico dei frontalieri in modo non causale (come un’imposta) violerebbe, con tale misura, il citato accordo firmato con la Svizzera e appena entrato in vigore.
L’entrata in vigore di questa nuova imposta italiana rischia di interferire negativamente nei rapporti tra datori di lavoro e i dipendenti, riducendo a questi ultimi parte del salario netto guadagnato in Svizzera. Tale diminuzione potrà indurre questi dipendenti a chiedere ai datori di lavoro una compensazione finanziaria della perdita. Non è quindi escluso che, alla fine, saranno i datori di lavoro ticinesi, o almeno una parte di essi, a doversi sobbarcare questa nuova imposta italiana.

Per questa ragione è importante vigilare sulle normative di attuazione che saranno prossimamente adottate e mantenere alta la pressione politica affinché l’attuazione di questo contributo non sia in contrasto con gli impegni assunti dall’Italia nei nostri confronti.

Scopri il Servizio giuridico della Cc-Ti!

Project Management: il motore invisibile della crescita e dell’innovazione

I progetti rappresentano il veicolo principale attraverso cui l’innovazione si traduce in azione all’interno delle organizzazioni.

A differenza delle attività operative, che assicurano la continuità e la stabilità dei processi esistenti, i progetti servono a introdurre cambiamenti: nuovi prodotti, nuovi servizi, ma anche innovazioni di processo che migliorano l’efficienza e la qualità del lavoro. Ogni evoluzione, ogni risposta a un’esigenza di mercato, prende vita attraverso un progetto.

È grazie ai progetti che le strategie si trasformano in risultati concreti, che l’adattamento diventa reale e che l’innovazione si rende visibile. Governare i progetti con competenza significa guidare il cambiamento, creando le condizioni non solo per la sopravvivenza, ma per il successo duraturo delle organizzazioni in un contesto sempre più dinamico.

Negli ultimi anni, il project management si è affermato come leva strategica fondamentale, trainato dalla complessità crescente degli scenari economici, sociali e tecnologici. In un contesto dove il cambiamento è rapido, l’innovazione continua e l’incertezza perenne, la gestione dei progetti ha smesso di essere una funzione meramente operativa per diventare un elemento essenziale della visione strategica delle organizzazioni. Non si parla più soltanto di controllare tempi, costi e qualità: il project management è oggi parte integrante dei processi decisionali, capace di incidere sulla capacità di innovare, adattarsi e generare valore in modo concreto e duraturo.

Negli ultimi vent’anni, la crescita della disciplina è stata esponenziale. Sempre più aziende hanno compreso che il successo non nasce solo da buone idee, ma dalla capacità di trasformarle in risultati concreti attraverso una gestione efficace e coordinata. Questa consapevolezza ha portato a una crescente domanda di professionisti in grado di combinare competenze tecniche, capacità analitiche, leadership e gestione del cambiamento. La figura del project manager si è evoluta di pari passo, passando da esecutore di piani a protagonista delle strategie di innovazione.

Uno dei fattori chiave di questa evoluzione è stata l’adattabilità. I modelli tradizionali, inizialmente rigidi e sequenziali, si sono trasformati integrando approcci più agili e flessibili, capaci di rispondere alle esigenze di mercati in continuo movimento. Questa trasformazione ha reso il project management uno strumento estremamente versatile, adatto sia alle grandi multinazionali sia alle startup in fase di sviluppo. L’approccio ibrido, che unisce pianificazione rigorosa e capacità di reazione veloce, ha dimostrato di essere una delle risposte più efficaci alla crescente complessità degli ecosistemi economici.

L’importanza della gestione dei progetti non si limita al perimetro delle singole organizzazioni. I Paesi che investono nella formazione dei project manager e nella cultura della gestione per progetti mostrano una maggiore competitività, attraggono più investimenti esteri e registrano una crescita economica più robusta. È ormai evidente che la capacità di gestire progetti complessi ha effetti positivi non solo sul successo aziendale, ma anche sullo sviluppo socioeconomico generale.

Oggi il project management è diventato una lingua comune tra settori diversi. Dalle industrie manifatturiere ai servizi finanziari, dalla pubblica amministrazione alle organizzazioni no-profit, la gestione per progetti favorisce una maggiore collaborazione, una migliore tracciabilità e una più chiara responsabilizzazione dei team. Questo modo di operare riduce gli sprechi, aumenta la trasparenza e migliora la coerenza nell’uso delle risorse, creando una base solida su cui costruire il successo.

Uno dei segnali più forti della maturazione del project management è il suo crescente coinvolgimento nei processi di definizione strategica. Sempre più spesso, chi gestisce i progetti siede ai tavoli dove si prendono le decisioni cruciali, offrendo contributi basati su dati concreti, analisi dei rischi e valutazioni di impatto. In questo modo, il project management aiuta a ridurre l’incertezza, migliora la qualità delle scelte e assicura che ogni iniziativa sia allineata agli obiettivi a lungo termine dell’organizzazione.

Anche l’adozione delle nuove tecnologie ha avuto un ruolo trasformativo. L’intelligenza artificiale, l’automazione dei processi decisionali, la tracciabilità sicura delle informazioni e la simulazione virtuale dei progetti stanno cambiando profondamente il modo di pianificare, monitorare e gestire. Questi strumenti rendono possibile una gestione più predittiva, flessibile ed efficiente, rafforzando il ruolo strategico del project management come motore di innovazione e adattamento.

Il project manager di oggi non è più solo un controllore di tempi e budget. È un promotore dell’innovazione, un orchestratore del cambiamento e un catalizzatore della cultura del miglioramento continuo. Il suo compito non è solo assicurare che un progetto si concluda nei termini previsti, ma soprattutto garantire che ogni progetto sia un passo concreto verso la realizzazione della missione aziendale.

Guardando al futuro, il valore strategico del project management è destinato a crescere ulteriormente. In un mondo sempre più interconnesso e dinamico, la capacità di gestire il cambiamento attraverso progetti ben condotti rappresenterà un vantaggio competitivo imprescindibile.

È grazie ai progetti che le strategie si trasformano in risultati concreti

Investire nello sviluppo di competenze manageriali avanzate, integrare le potenzialità delle tecnologie emergenti e promuovere una cultura fortemente orientata ai progetti diventerà una necessità vitale. Non si tratterà più di una scelta, ma di una condizione essenziale per prosperare nella nuova economia globale. Il project management non è più soltanto una disciplina organizzativa: è uno dei pilastri su cui costruire il futuro delle organizzazioni e delle società.


A cura del Prof. Antonio Bassi, Presidente Associazione Project Management Svizzera

Accessibilità digitale: l’onda lunga della Direttiva Europea arriva anche in Svizzera

A partire dal 28 giugno 2025, l’European Accessibility Act (EAA – Direttiva UE 2019/882) entrerà in vigore nell’Unione Europea. L’impatto per il mercato elvetico sarà tutt’altro che secondario. Vediamo perché.

Cosa prevede l’Accessibility Act

La Direttiva impone che prodotti e servizi digitali – tra cui siti web, e-commerce, terminali self-service, app mobile, lettori e-book, servizi bancari e di trasporto – rispettino criteri di accessibilità funzionale. In pratica: dovranno essere percepibili, utilizzabili, comprensibili e robusti per tutti, comprese le persone con disabilità, entro il 28 giugno di quest’anno; non sono previsti periodi di tolleranza. Le sanzioni variano da Paese a Paese e vanno dall’oscuramento del servizio fino a multe salate (in Italia fino al 5% del fatturato annuo).

Un esempio: i non vedenti navigano i siti web grazie a software chiamati „screen reader“ che leggono a voce alta il testo e descrivono gli elementi visivi; è quindi indispensabile che le immagini siano state caricate con descrizioni alternative (alt text) che gli screen reader possano leggere. Indicazioni come questa, ispirazione della nuova legge, si rifanno alle linee guida WCAG 2.1 (Web Content Accessibility Guidelines), standard internazionale per rendere il Web accessibile anche ai portatori di disabilità visiva, auditiva, cognitiva, o motoria. Sono state sviluppate dal World Wide Web Consortium (W3C), organizzazione non governativa internazionale fondata da Tim Berners-Lee per valorizzare e diffondere le potenzialità del Web.

La situazione in Svizzera

Attualmente, l’Accessibilità dei siti web è un requisito obbligatorio per le istituzioni pubbliche, che sono tenute a riferirsi alle linee guida WCAG; per il settore privato, la situazione è più complessa: le aziende private non possono discriminare i dipendenti o il pubblico, ma non sono tenute ad adottare misure speciali per fornire i propri servizi ai portatori di disabilità.

Anche qui qualcosa sta cambiando: la proposta di modifica della legge sui disabili (LDis) dello scorso dicembre mira a una maggiore inclusività. Secondo l’Ufficio federale di statistica, circa il 21% della popolazione svizzera vive con una forma di disabilità; nella UE, la percentuale sale al 27% ossia un adulto su quattro sopra i 6 anni. La nuova normativa europea potrebbe quindi fungere da ispirazione anche per il Legislatore svizzero: pensiamo al precedente del GDPR, a cui è seguita la nLPD. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che, se un sito web svizzero si rivolge anche a un pubblico Europeo, deve necessariamente essere conforme alla Direttiva EAA.

Cosa significa “accessibile” per un sito web?
Anche in questo caso, ci viene in soccorso la W3C, che stabilisce 4 principi fondamentali: per essere accessibile, un sito web deve essere:

  • Percepibile: il contenuto deve essere presentabile agli utenti, inclusi quelli con disabilità sensoriali (es. testo alternativo per le immagini per non
    vedenti, netto contrasto tra colore dei caratteri e colore dello sfondo per gli ipovedenti, ecc.).
  • Utilizzabile: i componenti e la navigazione devono essere utilizzabili da tutti, indipendentemente dalle capacità motorie o cognitive.
  • Comprensibile: il contenuto deve essere chiaro e facile da comprendere, con un linguaggio semplice e una struttura logica.
  • Robusto: il contenuto deve essere interpretabile correttamente da diversi strumenti (browser, screen reader, ecc.) e tecnologie assistive.

Queste caratteristiche migliorano il rendimento del sito. E non solo agli occhi degli utenti.

Accessibilità e SEO: un binomio vincente

Ecco 5 punti da seguire per rendere il proprio sito web più accessibile:

  1. Condurre un audit di accessibilità: valutare lo stato attuale del sito rispetto alle linee guida WCAG 2.1.
  2. Implementare miglioramenti tecnici: apportare le modifiche necessarie alla struttura e ai contenuti per garantire l’accessibilità.
  3. Integrare strumenti per migliorare la navigazione, come widget che permettono agli utenti di personalizzare la fruizione del sito (es. navigazione da mobile con una sola mano).
  4. Cambiare i processi consolidati nelle attività continuative, come la pubblicazione di postblog (es. curare l’impostazione di testi e metatesti);
  5. Formare il personale: assicurarsi che designer, sviluppatori e content editor siano consapevoli delle best practice in materia di accessibilità, in modo da remare tutti nella stessa direzione.

Un punto di svolta

L’entrata in vigore dell’European Accessibility Act rappresenta un momento cruciale per le aziende svizzere. Adeguarsi agli standard di accessibilità non è solo una questione di conformità legale, ma un’opportunità per migliorare la propria presenza online, raggiungere un pubblico più ampio e dimostrare un impegno verso l’inclusività. Investire nell’accessibilità oggi significa prepararsi a un futuro digitale più equo.


Articolo a cura di Manuela Cuadrado, Account Manager Breva Digital Communication Sagl

Consultazione federale sul Programma di sgravio del bilancio 2027 della Confederazione

La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ha preso atto della consultazione sopra citata e formula, con la presente, alcune osservazioni di carattere generale sul programma di sgravio e altre considerazioni puntuali su alcuni temi specifici.

Contesto

È noto che la Confederazione deve fronteggiare uno squilibrio di bilancio strutturale. Per rispettare il principio del freno all’indebitamento, deve quindi adottare una serie di misure volte non a ridurre il budget federale, ma a rallentarne la crescita, intervenendo soprattutto sulla spesa, la cui crescita preoccupa soprattutto in prospettiva futura.

In questo contesto, a seguito del rapporto presentato dal gruppo di esperti guidato da Serge Gaillard, il Consiglio federale propone il Programma di sgravio del bilancio 2027, con una sessantina di misure di vario tipo.
23 di queste misure possono essere sottoposte alla normale procedura di bilancio, altre 36 richiedono una serie di modifiche legislative, che sono al centro della presente consultazione.

A questo proposito, va notato che queste revisioni legislative sono interconnesse e costituiscono un unico atto di modifica.

Valutazione complessiva

La Cc-Ti, come tutte le altre Camere di commercio e dell’industria svizzere, sostiene da sempre una gestione rigorosa delle finanze pubbliche, nel rispetto del freno all’indebitamento. In linea di principio, condividiamo pertanto lo spirito e l’approccio del Programma di alleggerimento del bilancio, che prevede interventi prevalentemente sul fronte delle spese e che rappresenta quindi una buona opportunità per esaminare la pertinenza dell’intervento federale in una serie di settori. In effetti, secondo quanto presentato, oltre il 90% delle misure dovrebbe essere attuato sul fronte della spesa pubblica, elemento che accogliamo con favore perché è il cuore del problema.

Proprio perché sono soprattutto le spese a preoccupare, siamo chiaramente contrari a qualsiasi aumento di imposte e tasse per assorbire il deficit, perché sul fronte delle entrate non si registrano problemi particolari e l’economia e i cittadini e le cittadine non possono essere gravati di oneri supplementari in via diretta o indiretta.

Di seguito ci limitiamo a citare alcuni ambiti che riteniamo particolarmente sensibili e nei quali l’intervento è, a nostro avviso, da rivedere. Questi completano risp. vanno ad aggiungersi a quanto rilevato in particolare dalle Camere di commercio e dell’industria della Svizzera latina (di cui facciamo parte) in una presa di posizione separata.

1. Aumento dell’imposta sui prelievi di capitale previdenziale

    Il programma di riduzione dei costi della Confederazione si concentra principalmente sulle spese come mezzo per ridurre il bilancio federale. Approccio che, come detto, condividiamo.
    Non siamo, per contro, allineati per quanto riguarda le misure volte ad aumentare le entrate e in particolare a quella che prevede l’aumento dell’imposizione sui capitali pensionistici.

    Un aumento del genere lederebbe pesantemente agli interessi di chi ha risparmiato nel corso della vita attiva confidando in regole chiare e affidabili. Rappresenterebbe una chiara violazione del principio della buona fede che minerebbe l’affidabilità del sistema legale svizzero.

    Anche per prelievi di capitale contenuti dell’ordine, ad esempio, di 200.000 franchi, l’imposta federale aumenterebbe di circa il 50%.
    Alcune cifre sono molto significative e dimostrano come l’aumento previsto dell’imposta federale sui prelievi di capitale sarebbe enorme:

    • Per un prelievo “moderato” di 200.000 franchi: un aumento appunto di circa il 50% rispetto a oggi.
    • Per 400.000 franchi: un aumento di circa il 59%.
    • Per 600.000 franchi: un aumento di circa il 71%.
    • Per 800.000 franchi: un aumento di circa il 77%.
    • Per un prelievo di 1 milione di franchi, l’imposta federale raddoppierebbe. Per una persona sola passerebbe da 23.000 a 42.595 franchi.
    • A partire da 1 milione di franchi, l’imposta federale continuerebbe ad aumentare progressivamente, superando il 100%.

    Gli aumenti fiscali previsti sarebbero quindi esorbitanti e colpirebbero duramente anche la classe media.

    In media, le persone che lavorano hanno circa 500.000 franchi svizzeri di risparmi nel secondo pilastro quando vanno in pensione. Affermare che solo i ricchi sarebbero colpiti da questi aumenti è, alla luce dei dati, infondato.

    Sarebbero in realtà interessate ampie fasce della popolazione e anche le persone con un capitale pensionistico relativamente modesto verrebbero fortemente colpite. Compresi gli indipendenti, che non hanno accesso al secondo pilastro e che investono quindi maggiormente nel terzo pilastro, sarebbero pesantemente penalizzati da questi aumenti fiscali.

    Questi massicci aumenti riguarderebbero anche, ad esempio, i pagamenti della Fondazione svizzera per paraplegici alle persone con paralisi spinale e le prestazioni della cassa pensione versate ai coniugi superstiti. Questi effetti sui casi di invalidità e di morte non sono menzionati nella relazione esplicativa della consultazione.

    Pure le persone in cattive condizioni di salute, che hanno un’aspettativa di vita più breve e scelgono quindi di ritirare i loro fondi pensione sotto forma di capitale, sarebbero penalizzate. Sarebbe decisamente iniquo, perché sommerebbe le preoccupazioni per la salute alle imposte federali più alte.

    Inoltre, massicci aumenti fiscali indebolirebbero inoltre la previdenza individuale e non va dimenticato che, nel sistema dei tre pilastri, l’AVS statale e la previdenza professionale sono integrate proprio dalla previdenza individuale.

    Gli aumenti di imposta sui prelievi di capitale dal 2° e 3° pilastro sono ingiustificati. Penalizzano pesantemente tutta la popolazione e anche le fasce più deboli. È del resto inaccettabile cambiare in corsa le regole fiscali per la previdenza a lungo termine. È quindi indispensabile che questa proposta venga ritirata dal progetto.

    La Confederazione deve affrontare le sfide del budget esaminando la pertinenza di alcune spese, ma in nessun caso aumentando la pressione fiscale.

    2. Riduzione dei contributi agli aerodromi regionali

    Per la Cc-Ti, la misura che prevede la riduzione dei contributi della Confederazione agli aerodromi regionali ha una valenza molto importante.

    Un eventuale taglio di circa 5 milioni di franchi annui destinati all’aeroporto di Lugano-Agno avrebbe effetti importanti sulla sopravvivenza stessa dello scalo. Tali fondi, destinati in gran parte a garantire la sicurezza tramite Skyguide, sono irrinunciabili.
    L’aeroporto di Lugano non è solo un’infrastruttura regionale: è un nodo strategico per l’economia, la mobilità e l’attrattività dell’intero paese.

    Nel 2024 lo scalo ha registrato oltre 21.000 movimenti aerei (+12%), di cui circa 8.000 voli business, con un impatto economico stimato di oltre 100 milioni di franchi solo per l’aviazione privata.
    Inoltre, l’aeroporto assicura circa 120-130 posti di lavoro diretti, supporta la formazione di piloti, ospita eventi aeronautici e accoglie voli di Stato.

    L’aeroporto è economicamente sostenibile e ha chiuso in utile gli ultimi esercizi, per cui un sostegno, nell’interesse della rete dei trasporti nazionale, è sensato.
    Un taglio ai fondi federali, invece, metterebbe a rischio la sua operatività, imponendo aumenti tariffali fino a 1’000 franchi per atterraggio, con conseguenze importanti per utenti, aziende e sicurezza.
    Il ruolo nazionale dello scalo deve essere in questo senso riconosciuto e di conseguenza anche il finanziamento di talune parti di attività.

    Lo scalo è, del resto, l’unico a Sud delle Alpi e rientra perfettamente in un concetto di complementarità dei trasporti fra strada, ferrovia e, appunto, aviazione, che è un pilastro della mobilità nazionale e non solo cantonale.

    È pertanto importante escludere Lugano-Agno dai tagli e garantirne il sostegno continuativo, come avviene per altre realtà strategiche del Paese.

    Conciliabilità famiglia e lavoro: dal punto di svolta del 2019 e nuovo orizzonte strategico

    Il Consiglio di Stato ha approvato il Rapporto “Conciliabilità famiglia e lavoro, quadriennio 2025-2028. Rilevazione dei bisogni e delle priorità di intervento nell’ambito delle attività di sostegno alle famiglie: nidi dell’infanzia, micro-nidi, centri extrascolastici e famiglie diurne”, presentato dal Dipartimento della sanità e della socialità.

    Il rapporto analizza l’evoluzione dell’offerta di nidi, micro-nidi, centri extrascolastici e famiglie diurne, mettendo in evidenza i notevoli progressi compiuti in questi anni, come pure i bisogni attuali e futuri, tracciando al contempo le priorità di intervento. Un lavoro che, innanzitutto, riflette la notevole crescita e il cambiamento culturale avvenuti nel settore, grazie all’introduzione di misure strutturali efficaci che si riscontrano nella qualità dei servizi, aumentata in modo significativo. Infatti oltre il 90% del personale ha seguito una formazione specifica, è stato introdotto il Contratto collettivo di lavoro (CCL) e l’inclusione dei bambini con bisogni particolari è sempre più attenta.

    Le misure per la conciliabilità famiglia e lavoro, cofinanziate con il fondo dedicato, hanno prodotto risultati concreti e significativi, contribuendo all’ampliamento dell’offerta, al miglioramento della qualità e alla maggiore accessibilità per le famiglie. Il numero di strutture e di posti sussidiati è cresciuto in modo costante, con oltre 10’700 bambini accolti nel 2023.

    La Riforma fiscale e sociale del 2019 ha rappresentato un punto di svolta. È stato possibile, per esempio, introdurre aiuti diretti che, in alcuni casi, hanno dimezzato le rette a carico delle famiglie con un reddito medio-basso, incoraggiando e facilitando la partecipazione dei genitori al mercato del lavoro. Inoltre l’assegno parentale, nuovo strumento di politica familiare, offre un sostegno per contribuire alle spese conseguenti alla nascita di un figlio.

    Il nuovo documento pianificatorio valorizza anche aspetti qualitativi fondamentali come l’Early Child Development e il concetto di Welfare community, a testimonianza di un impegno che non si limita alla quantità, ma mira a generare benessere per bambini, famiglie e società. Non da ultimo, prosegue la promozione di iniziative e attività di sensibilizzazione, come la Giornata dei familiari curanti e gli eventi informativi a loro dedicati.

    Il fabbisogno stimato per il quadriennio 2025-2028 prevede la creazione di 145 nuovi posti nel settore pre-scolastico e di 300 per l’età scolastica, per un impegno complessivo di 4.2 milioni di franchi, con una proiezione che guarda al 2029. Le risorse del fondo saranno utilizzate in modo mirato, mentre prosegue il dialogo con le associazioni di categoria, che consente di informare le aziende sull’uso dei contributi versati, promuovendo la conciliabilità come valore condiviso e strategico. A questo si aggiungono attività ricorrenti coordinate dai partner della piattaforma Vita-Lavoro, le iniziative autonome della Camera di commercio e il finanziamento di progetti specifici, come lo studio per un nido interaziendale (AITI) e il Teatro Forum.

    Il rapporto si conclude con un orientamento chiaro: consolidare gli ottimi progressi compiuti grazie ai contributi versati nel fondo da parte delle aziende nell’ambito della Riforma fiscale e sociale, garantire equità territoriale, rafforzare qualità e accessibilità dei servizi, e continuare a investire in un settore strategico, attrattivo e capace di restituire valore a tutta la collettività.

    Gli sviluppi positivi e significativi di tipo quantitativo e qualitativo nell’offerta di nidi, micro-nidi e centri extrascolastici, agevolati dall’implementazione della Riforma fiscale e sociale, mostrano l’impegno del Consiglio di Stato e delle parti sociali in favore della conciliabilità famiglia e lavoro. È un tassello determinante per sostenere il mantenimento in impiego, in particolare delle madri, per promuovere le pari opportunità e per dare un contributo di rilievo alla penuria di personale qualificato.

    Nel rapporto vengono stabilite le priorità in funzione del fabbisogno e delle risorse disponibili.

    Allegati:


    Fonte: Comunicato stampa – Consiglio di Stato, Repubblica e Cantone Ticino

    IA e nuove sfide per le aziende

    Abbiamo intervistato Sabrina Konrad, Sostituto capo del servizio giuridico, Diritto d’autore dell’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale in merito al tema dell’Intelligenza artificiale. Ecco qualche spunto interessante.

    Opportunità e rischi. In che modo possono agire, nelle due direzioni, le imprese svizzere, utilizzando contenuti generati dalle nuove intelligenze artificiali (IA) in costante progresso?

    Gli strumenti di IA aiutano a creare rapidamente (e a costi contenuti) immagini, traduzioni o testi. Possono anche fornire nuove idee. Tuttavia, spesso gli output, ossia i risultati dell’IA, devono essere modificati per essere accettabili. L’IA non può quindi sostituire professionisti come copywriter o grafici. È anche importante rispettare il diritto d’autore: se si caricano immagini o testi protetti su un’IA senza autorizzazione, si viola il diritto d’autore. Allo stesso modo, se l’IA crea output che contengono parti riconoscibili di contenuti protetti, il loro utilizzo non è consentito. Il fatto che qualcosa sia stato generato da un’IA non protegge dalla violazione del diritto d’autore. Occorre inoltre tenere presente che i prompt, ossia le richieste alla macchina, possono essere ulteriormente utilizzati dalla stessa IA. Quindi non è saggio inserire nei prompt informazioni riservate, come segreti aziendali o dati personali.

    Sabrina Konrad, Sostituto capo del servizio giuridico, Diritto d’autore dell’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale

    Un nodo centrale è sicuramente rappresentato dal diritto d’autore su testi e immagini. Occorre indicare un copyright? Si possono usare liberamente? Vanno rieditati? Occorre indicare se un contenuto è generato dall’IA? Insomma: quo vadis?

    In Svizzera, i testi e le immagini sono protetti dal diritto d’autore se sono creazioni dell’ingegno umano e presentano un cosiddetto carattere originale. Ciò presuppone che una persona utilizzi l’IA solo come strumento e che, ad esempio, influenzi in maniera decisiva il risultato dell’IA attraverso i suoi prompt. Anche nel caso in cui l’output venga rielaborato, può essere considerato come creato da un essere umano. Se poi l’output è unico e diverso dagli altri, rientra automaticamente nella protezione conferita dal diritto d’autore, senza doverlo contrassegnare con un segno di copyright. Se si vogliono utilizzare gli output dell’IA, bisogna prestare attenzione alle condizioni di utilizzo dello strumento di IA, perché possono contenere disposizioni sulle modalità di utilizzo dei contenuti creati. Ad esempio, potrebbe essere necessario indicare che un contenuto è stato creato con l’aiuto dell’IA. Non si devono inoltre violare i diritti d’autore di terzi. Questo può succedere nel caso in cui l’IA utilizzi opere protette per il suo risultato e queste siano ancora riconoscibili o visibili. In tal caso, è necessario il permesso degli autori delle opere per poter utilizzare il risultato dell’IA oppure bisogna modificare l’output in modo che le opere protette non siano più identificabili.

    A livello legale e di controversie, invece, come ci si muove oggi?

    Per quanto ne so, in Svizzera non esistono ancora decisioni giudiziarie sull’IA e sul diritto d’autore, mentre all’estero sì. Negli Stati Uniti e in Germania, tra gli altri Paesi, sono già state prese decisioni di questo tipo in relazione all’IA. Da un lato, si trattava di questioni relative alla protezione del diritto d’autore per i risultati nell’IA e, dall’altro, dell’uso di opere per l’addestramento dell’IA. I tribunali svizzeri decidono sulla base del diritto svizzero. Tuttavia, poiché nel diritto d’autore diverse questioni sono disciplinate in modo abbastanza simile a livello internazionale, i tribunali potrebbero anche ispirarsi a decisioni straniere.

    L’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI) ha emanato delle linee guida sull’utilizzo dell’IA da parte delle imprese? Ci può indicare eventuali raccomandazioni?

    L’IPI fornisce informazioni generali sulla proprietà intellettuale (ad es. sul diritto d’autore) sul suo sito, in particolare per le PMI. Tuttavia, non ha emanato linee guida per l’utilizzo dell’IA nelle aziende. Il Consiglio federale ha pubblicato dei Promemoria per l’utilizzo dell’IA all’interno dell’Amministrazione federale. Si possono trovare su Internet e presumibilmente possono servire come aiuto anche per le aziende.

    Quali consigli può dare a un’azienda che si appresta a utilizzare l’IA?

    A mio avviso, una strategia di IA e una sensibilizzazione legale sono fondamentali. Le aziende devono avere ben chiaro quando, perché e per cosa vogliono utilizzare gli strumenti di IA. La direzione aziendale e i collaboratori dovrebbero essere sensibilizzati sul fatto che l’uso di strumenti di IA può essere associato a ostacoli legali (ad es. in materia di diritto d’autore e protezione dei dati). È quindi importante conoscere anche le condizioni di utilizzo dei rispettivi strumenti di IA. L’uso di questi ultimi può essere utile, ma deve essere fatto con cognizione di causa.


    Anaïc Cordoba, Consulente legale
    in proprietà industriale, IPI

    Signor Cordoba, potrebbe fare il punto sulla revisione della legge sui brevetti, anche in relazione all’IA?

    Per ora in Svizzera non è prevista alcuna modifica della legge sui brevetti in relazione agli sviluppi dell’IA. L’aumento delle domande di brevetto relative all’IA dimostra che l’attuale quadro giuridico rimane adeguato. I concetti chiave per la brevettabilità, come «lo stato della tecnica» o la «novità», sono abbastanza flessibili da evolversi con la tecnologia, consentendo all’IPI e ai tribunali di perfezionarne la loro interpretazione secondo le necessità. I progressi dell’IA e il suo crescente utilizzo nei processi di ricerca e sviluppo stanno mettendo a dura prova le nozioni di «inventiva» e di «esposto dell’invenzione». Gli uffici dei brevetti hanno però già chiarito alcuni punti. L’Ufficio europeo dei brevetti, ad esempio, richiede la divulgazione nella domanda di brevetto – di specifiche caratteristiche di un set di dati di addestramento se influenzano l’effetto tecnico di un’invenzione. Queste informazioni non sono necessarie se le caratteristiche sono facilmente deducibili da parte di un esperto. Di norma, il set di dati in sé non deve invece essere divulgato. Poiché l’intervento umano nella ricerca e nello sviluppo rimane essenziale, le discussioni internazionali su una possibile revisione del requisito di indicare una persona fisica (un essere umano) come inventore sembrano premature. Ad oggi, il legislatore svizzero non ha ritenuto necessaria una revisione in questo ambito. In questo contesto, nel marzo 2024 l’IPI ha
    respinto una domanda di brevetto perché non indicava un essere umano come inventore, bensì un sistema di IA chiamato DABUS. Domande di brevetto simili sono state depositate in diversi Paesi come parte del progetto The Artificial Inventor Project. Tornando alla decisione dell’IPI, il depositante ha poi presentato ricorso contro il rigetto della domanda e la questione è pendente davanti al Tribunale amministrativo federale.


    L’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI) esamina, rilascia e gestisce titoli di protezione quali brevetti, marchi e design, collabora con altri enti, associazioni e aziende per proteggere l’indicazione di provenienza «Svizzera» nei confini nazionali e all’estero, sorveglia le società di gestione collettiva dei diritti d’autore e informa privati e aziende in merito ai sistemi di protezione della proprietà intellettuale sfruttando diversi canali. L’IPI è il principale interlocutore della Confederazione per tutte le questioni inerenti alla proprietà intellettuale: si adopera affinché la Svizzera disponga di un sistema di protezione della proprietà intellettuale adeguato e sostenibile; fornisce servizi innovativi che rispondono alle esigenze degli utenti; contribuisce attivamente a forgiare l’assetto internazionale in materia di proprietà intellettuale; sfrutta al meglio la sua autonomia; cura i rapporti in Svizzera e all’estero per massimizzare i vantaggi degli utenti.
    Maggiori informazioni: www.ige.ch

    Le finanze cantonali: una discussione indispensabile

    Una sfida per economia e popolazione

    Nelle scorse settimane si è (ri)acceso il dibattito sullo stato delle finanze cantonali, soprattutto perché le associazioni economiche hanno sollevato alcune problematiche scomode, ma che vanno affrontate nell’ottica di dare solidità finanziaria al nostro cantone. Le reazioni sono state anche molto virulente, come se si trattasse di un delitto di lesa maestà sottolineare l’esistenza di cifre incontrovertibili che parlano di un chiaro aumento della spesa pubblica. Indurre alla riflessione se questa sia totalmente giustificata non dovrebbe essere un tabù, ma oggetto di una sana e libera discussione. Purtroppo, le gabbie ideologiche impediscono un confronto costruttivo, almeno in questa fase, ma non per questo va abbandonato il tema che tocca tutti, nessuno escluso. Ricchi veri o presunti, classe media, meno abbienti, ovviamente l’economia, ecc.

    Andrea Gehri, Presidente Cc-Ti

    Del resto, il pessimo stato delle finanze pubbliche del nostro Cantone è una preoccupazione crescente, condivisa non solo dal mondo economico, ma anche da molti cittadini, sempre più consapevoli delle conseguenze di una gestione pubblica poco sostenibile. Non si tratta qui di cercare responsabilità né di addossare colpe, ma piuttosto di ragionare su ciò che è necessario e ciò che invece può magari essere limitato o gestito diversamente. In sostanza, valutare se i mezzi pubblici vengono spesi correttamente e in modo efficace. Francamente, non ci sembra di chiedere la luna…

    A fronte di un tessuto economico dinamico e sorprendentemente resiliente alle numerose crisi degli ultimi vent’anni – che ha garantito una sostanziale stabilità delle entrate fiscali – è infatti la crescita della spesa pubblica a destare le maggiori preoccupazioni. Non è quindi, almeno per il momento, un problema di mancanza di risorse, quanto piuttosto di crescita incontrollata delle usci-te, che sta alimentando un indebitamento significativo.

    Le sfide all’orizzonte non mancano. Basti pensare all’evoluzione demografica, con una popolazione sempre più anziana che da un lato riduce la base imponibile e dall’altro aumenta il fabbisogno di cure e dunque la pressione sulla spesa sanitaria. Questo è solo uno dei tanti segnali di cambiamento che richiedono una visione politica lungimirante, capace di sostenere l’iniziativa imprenditoriale e la crescita economica come strumenti di benessere collettivo e sostenibilità a lungo termine. Elementi essenziali per il benessere comune di tutte le cittadine e i cittadini.

    Spesso si ha l’impressione che la spesa pubblica sia qualcosa di distante: lo Stato spende, apparentemente con risorse proprie, e la questione sembra non toccarci. In realtà, quei soldi sono nostri, cioè dei contribuenti, come ebbe a dire giustamente l’ex Consigliere federale Maurer durante la crisi del Covid: “Gestiamo gli aiuti in modo oculato perché non sono i soldi della Confederazione ma quelli di cittadine e cittadini”. E non sono illimitati. I conti dello Stato, contenuti in documenti tecnici poco letti, sembrano lontani dalla vita quotidiana. Ma il loro impatto è reale. Troppo spesso ci indigniamo sul momento, per poi tornare all’indifferenza. Il rischio? Abituarsi all’emergenza e considerarla normale.

    Anche lo Stato, come una famiglia o un’impresa, non può permettersi di spendere ciò che non ha. Un indebitamento cronico comporta rischi sistemici e limita sempre più la libertà di manovra politica ed economica. E nel Canton Ticino questo è ormai un dato di fatto. Negli ultimi 30 anni la spesa cantonale è quasi triplicata: da 1,6 miliardi nel 1990 a circa 4,5 miliardi nel preventivo 2025. Solo quest’anno è previsto un disavanzo di 97 milioni: soldi che non abbiamo, ma che abbiamo comunque deciso di spendere.

    È evidente che una dinamica di questo tipo non può essere sostenuta a lungo, soprattutto in assenza di un piano credibile di contenimento e di riorientamento della spesa. Una delle voci più rilevanti è rappresentata dal sistema dei sussidi per i premi di cassa malati (RIPAM), oggi pari a oltre 400 milioni di franchi (includendo la parte PCI), cioè circa il 10% della spesa pubblica cantonale.

    Questa cifra è in costante crescita.
    Il problema non è l’aiuto ai più deboli, doveroso e giustificato e che nessuno si sogna di rimettere in questione, ma l’attuale sistema è diventato talmente ampio da includere famiglie con redditi mensili lordi pari a 12’000 franchi. Se le finanze cantonali fossero solide, la cosa sarebbe forse accettabile, seppur discutibile. Ma la realtà è ben diversa. Indebitarsi per sostenere anche chi non ne ha effettivamente bisogno è una distorsione che deve essere affrontata, anche e soprattutto nell’interesse delle fasce più deboli.
    Il Parlamento, dopo aver approvato una riduzione mirata dei sussidi, ha successivamente annullato la decisione. Una retromarcia dettata più da logiche elettorali che da valutazioni oggettive.
    E proprio qui sta il nodo del problema: troppo spesso il buon senso è sacrificato sull’altare del consenso politico. Ancora una volta, la politica ha preferito la popolarità alla responsabilità, rinviando un problema che non fa che aggravarsi. Non si tratta di considerazioni astratte.

    Evoluzione del debito pubblico
    Fonte dei dati:
    Rapporto di minoranza 8258 R2 della Commissione gestione e finanze sul messaggio 29 marzo 2023
    concernente il Consuntivo 2022

    L’indebitamento pubblico ha conseguenze molto concrete, che meritano di essere richiamate:

    Cresce la spesa per interessi, con un debito elevato, una parte consistente delle risorse pubbliche deve essere destinata al pagamento degli interessi sul debito, sottraendo risorse ad altri settori vitali come l’istruzione, la ricerca o le infrastrutture.
    Si ostacola la crescita economica, poiché le risorse impiegate per servire il debito non sono più disponibili per investimenti produttivi.
    Si rischia una crisi di fiducia da parte degli investitori, con l’effetto di un aumento dei tassi d’interesse e una maggiore difficoltà di accesso al credito.
    Lo Stato diventa più vulnerabile a shock esterni, riducendo la propria capacità di risposta in caso di crisi future. Un alto livello di indebitamento rende lo Stato più vulnerabile a eventi imprevisti di ordine economico e finanziario.
    Infine, si trasferisce un fardello pesante sulle prossime generazioni, compromettendo la solidarietà intergenerazionale, principio fondante di ogni comunità responsabile.
    I debiti, prima o poi, vanno pagati. Se la nostra generazione non vuole farlo, saranno purtroppo i nostri figli e i nostri nipoti ad essere chiamati alla cassa.
    Questi aspetti vanno sottolineati, non per allarmismo, ma per senso di responsabilità. Chi rifiuta la discussione non rende purtroppo servizio al sistema ma alla lunga non fa altro che indebolirlo, in nome di una solidarietà di facciata che in realtà è volta a proteggere rendite di posizione.
    Peccato, perché così non se ne esce. Il mondo economico non vuole affamare il popolo, bensì contribuire, oltre che con la ricchezza che viene distribuita, a rafforzare lo Stato affinché questo possa essere gestito in maniera sana per intervenire laddove è veramente necessario.
    I tempi dell’innaffiatoio per dare a tutti non sono tramontati politicamente ma lo sono economicamente. Non si può più sostenere un’evoluzione come quella in atto. Non ci si può pertanto limitare, nel dibattito politico e mediatico, a far prevalere lo slogan “Stop ai tagli!”, malgrado l’esplosione della spesa pubblica. Poi, di quali tagli stiamo parlando? Negli ultimi decenni, in Ticino, non si è tagliato nulla: si è solo continuato ad aumentare la spesa, spesso senza un vero controllo né una visione d’insieme.
    È quindi urgente affrontare questo tema in modo serio, concreto e basato sui fatti. Solo così potremo costruire politiche pubbliche sostenibili, che mettano al centro l’interesse collettivo e non la convenienza elettorale. Noi siamo aperti alla discussione, ma lo devono essere tutti, abbandonando le gabbie ideologiche.