IA e nuove sfide per le aziende

Abbiamo intervistato Sabrina Konrad, Sostituto capo del servizio giuridico, Diritto d’autore dell’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale in merito al tema dell’Intelligenza artificiale. Ecco qualche spunto interessante.

Opportunità e rischi. In che modo possono agire, nelle due direzioni, le imprese svizzere, utilizzando contenuti generati dalle nuove intelligenze artificiali (IA) in costante progresso?

Gli strumenti di IA aiutano a creare rapidamente (e a costi contenuti) immagini, traduzioni o testi. Possono anche fornire nuove idee. Tuttavia, spesso gli output, ossia i risultati dell’IA, devono essere modificati per essere accettabili. L’IA non può quindi sostituire professionisti come copywriter o grafici. È anche importante rispettare il diritto d’autore: se si caricano immagini o testi protetti su un’IA senza autorizzazione, si viola il diritto d’autore. Allo stesso modo, se l’IA crea output che contengono parti riconoscibili di contenuti protetti, il loro utilizzo non è consentito. Il fatto che qualcosa sia stato generato da un’IA non protegge dalla violazione del diritto d’autore. Occorre inoltre tenere presente che i prompt, ossia le richieste alla macchina, possono essere ulteriormente utilizzati dalla stessa IA. Quindi non è saggio inserire nei prompt informazioni riservate, come segreti aziendali o dati personali.

Sabrina Konrad, Sostituto capo del servizio giuridico, Diritto d’autore dell’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale

Un nodo centrale è sicuramente rappresentato dal diritto d’autore su testi e immagini. Occorre indicare un copyright? Si possono usare liberamente? Vanno rieditati? Occorre indicare se un contenuto è generato dall’IA? Insomma: quo vadis?

In Svizzera, i testi e le immagini sono protetti dal diritto d’autore se sono creazioni dell’ingegno umano e presentano un cosiddetto carattere originale. Ciò presuppone che una persona utilizzi l’IA solo come strumento e che, ad esempio, influenzi in maniera decisiva il risultato dell’IA attraverso i suoi prompt. Anche nel caso in cui l’output venga rielaborato, può essere considerato come creato da un essere umano. Se poi l’output è unico e diverso dagli altri, rientra automaticamente nella protezione conferita dal diritto d’autore, senza doverlo contrassegnare con un segno di copyright. Se si vogliono utilizzare gli output dell’IA, bisogna prestare attenzione alle condizioni di utilizzo dello strumento di IA, perché possono contenere disposizioni sulle modalità di utilizzo dei contenuti creati. Ad esempio, potrebbe essere necessario indicare che un contenuto è stato creato con l’aiuto dell’IA. Non si devono inoltre violare i diritti d’autore di terzi. Questo può succedere nel caso in cui l’IA utilizzi opere protette per il suo risultato e queste siano ancora riconoscibili o visibili. In tal caso, è necessario il permesso degli autori delle opere per poter utilizzare il risultato dell’IA oppure bisogna modificare l’output in modo che le opere protette non siano più identificabili.

A livello legale e di controversie, invece, come ci si muove oggi?

Per quanto ne so, in Svizzera non esistono ancora decisioni giudiziarie sull’IA e sul diritto d’autore, mentre all’estero sì. Negli Stati Uniti e in Germania, tra gli altri Paesi, sono già state prese decisioni di questo tipo in relazione all’IA. Da un lato, si trattava di questioni relative alla protezione del diritto d’autore per i risultati nell’IA e, dall’altro, dell’uso di opere per l’addestramento dell’IA. I tribunali svizzeri decidono sulla base del diritto svizzero. Tuttavia, poiché nel diritto d’autore diverse questioni sono disciplinate in modo abbastanza simile a livello internazionale, i tribunali potrebbero anche ispirarsi a decisioni straniere.

L’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI) ha emanato delle linee guida sull’utilizzo dell’IA da parte delle imprese? Ci può indicare eventuali raccomandazioni?

L’IPI fornisce informazioni generali sulla proprietà intellettuale (ad es. sul diritto d’autore) sul suo sito, in particolare per le PMI. Tuttavia, non ha emanato linee guida per l’utilizzo dell’IA nelle aziende. Il Consiglio federale ha pubblicato dei Promemoria per l’utilizzo dell’IA all’interno dell’Amministrazione federale. Si possono trovare su Internet e presumibilmente possono servire come aiuto anche per le aziende.

Quali consigli può dare a un’azienda che si appresta a utilizzare l’IA?

A mio avviso, una strategia di IA e una sensibilizzazione legale sono fondamentali. Le aziende devono avere ben chiaro quando, perché e per cosa vogliono utilizzare gli strumenti di IA. La direzione aziendale e i collaboratori dovrebbero essere sensibilizzati sul fatto che l’uso di strumenti di IA può essere associato a ostacoli legali (ad es. in materia di diritto d’autore e protezione dei dati). È quindi importante conoscere anche le condizioni di utilizzo dei rispettivi strumenti di IA. L’uso di questi ultimi può essere utile, ma deve essere fatto con cognizione di causa.


Anaïc Cordoba, Consulente legale
in proprietà industriale, IPI

Signor Cordoba, potrebbe fare il punto sulla revisione della legge sui brevetti, anche in relazione all’IA?

Per ora in Svizzera non è prevista alcuna modifica della legge sui brevetti in relazione agli sviluppi dell’IA. L’aumento delle domande di brevetto relative all’IA dimostra che l’attuale quadro giuridico rimane adeguato. I concetti chiave per la brevettabilità, come «lo stato della tecnica» o la «novità», sono abbastanza flessibili da evolversi con la tecnologia, consentendo all’IPI e ai tribunali di perfezionarne la loro interpretazione secondo le necessità. I progressi dell’IA e il suo crescente utilizzo nei processi di ricerca e sviluppo stanno mettendo a dura prova le nozioni di «inventiva» e di «esposto dell’invenzione». Gli uffici dei brevetti hanno però già chiarito alcuni punti. L’Ufficio europeo dei brevetti, ad esempio, richiede la divulgazione nella domanda di brevetto – di specifiche caratteristiche di un set di dati di addestramento se influenzano l’effetto tecnico di un’invenzione. Queste informazioni non sono necessarie se le caratteristiche sono facilmente deducibili da parte di un esperto. Di norma, il set di dati in sé non deve invece essere divulgato. Poiché l’intervento umano nella ricerca e nello sviluppo rimane essenziale, le discussioni internazionali su una possibile revisione del requisito di indicare una persona fisica (un essere umano) come inventore sembrano premature. Ad oggi, il legislatore svizzero non ha ritenuto necessaria una revisione in questo ambito. In questo contesto, nel marzo 2024 l’IPI ha
respinto una domanda di brevetto perché non indicava un essere umano come inventore, bensì un sistema di IA chiamato DABUS. Domande di brevetto simili sono state depositate in diversi Paesi come parte del progetto The Artificial Inventor Project. Tornando alla decisione dell’IPI, il depositante ha poi presentato ricorso contro il rigetto della domanda e la questione è pendente davanti al Tribunale amministrativo federale.


L’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI) esamina, rilascia e gestisce titoli di protezione quali brevetti, marchi e design, collabora con altri enti, associazioni e aziende per proteggere l’indicazione di provenienza «Svizzera» nei confini nazionali e all’estero, sorveglia le società di gestione collettiva dei diritti d’autore e informa privati e aziende in merito ai sistemi di protezione della proprietà intellettuale sfruttando diversi canali. L’IPI è il principale interlocutore della Confederazione per tutte le questioni inerenti alla proprietà intellettuale: si adopera affinché la Svizzera disponga di un sistema di protezione della proprietà intellettuale adeguato e sostenibile; fornisce servizi innovativi che rispondono alle esigenze degli utenti; contribuisce attivamente a forgiare l’assetto internazionale in materia di proprietà intellettuale; sfrutta al meglio la sua autonomia; cura i rapporti in Svizzera e all’estero per massimizzare i vantaggi degli utenti.
Maggiori informazioni: www.ige.ch

Le finanze cantonali: una discussione indispensabile

Una sfida per economia e popolazione

Nelle scorse settimane si è (ri)acceso il dibattito sullo stato delle finanze cantonali, soprattutto perché le associazioni economiche hanno sollevato alcune problematiche scomode, ma che vanno affrontate nell’ottica di dare solidità finanziaria al nostro cantone. Le reazioni sono state anche molto virulente, come se si trattasse di un delitto di lesa maestà sottolineare l’esistenza di cifre incontrovertibili che parlano di un chiaro aumento della spesa pubblica. Indurre alla riflessione se questa sia totalmente giustificata non dovrebbe essere un tabù, ma oggetto di una sana e libera discussione. Purtroppo, le gabbie ideologiche impediscono un confronto costruttivo, almeno in questa fase, ma non per questo va abbandonato il tema che tocca tutti, nessuno escluso. Ricchi veri o presunti, classe media, meno abbienti, ovviamente l’economia, ecc.

Andrea Gehri, Presidente Cc-Ti

Del resto, il pessimo stato delle finanze pubbliche del nostro Cantone è una preoccupazione crescente, condivisa non solo dal mondo economico, ma anche da molti cittadini, sempre più consapevoli delle conseguenze di una gestione pubblica poco sostenibile. Non si tratta qui di cercare responsabilità né di addossare colpe, ma piuttosto di ragionare su ciò che è necessario e ciò che invece può magari essere limitato o gestito diversamente. In sostanza, valutare se i mezzi pubblici vengono spesi correttamente e in modo efficace. Francamente, non ci sembra di chiedere la luna…

A fronte di un tessuto economico dinamico e sorprendentemente resiliente alle numerose crisi degli ultimi vent’anni – che ha garantito una sostanziale stabilità delle entrate fiscali – è infatti la crescita della spesa pubblica a destare le maggiori preoccupazioni. Non è quindi, almeno per il momento, un problema di mancanza di risorse, quanto piuttosto di crescita incontrollata delle usci-te, che sta alimentando un indebitamento significativo.

Le sfide all’orizzonte non mancano. Basti pensare all’evoluzione demografica, con una popolazione sempre più anziana che da un lato riduce la base imponibile e dall’altro aumenta il fabbisogno di cure e dunque la pressione sulla spesa sanitaria. Questo è solo uno dei tanti segnali di cambiamento che richiedono una visione politica lungimirante, capace di sostenere l’iniziativa imprenditoriale e la crescita economica come strumenti di benessere collettivo e sostenibilità a lungo termine. Elementi essenziali per il benessere comune di tutte le cittadine e i cittadini.

Spesso si ha l’impressione che la spesa pubblica sia qualcosa di distante: lo Stato spende, apparentemente con risorse proprie, e la questione sembra non toccarci. In realtà, quei soldi sono nostri, cioè dei contribuenti, come ebbe a dire giustamente l’ex Consigliere federale Maurer durante la crisi del Covid: “Gestiamo gli aiuti in modo oculato perché non sono i soldi della Confederazione ma quelli di cittadine e cittadini”. E non sono illimitati. I conti dello Stato, contenuti in documenti tecnici poco letti, sembrano lontani dalla vita quotidiana. Ma il loro impatto è reale. Troppo spesso ci indigniamo sul momento, per poi tornare all’indifferenza. Il rischio? Abituarsi all’emergenza e considerarla normale.

Anche lo Stato, come una famiglia o un’impresa, non può permettersi di spendere ciò che non ha. Un indebitamento cronico comporta rischi sistemici e limita sempre più la libertà di manovra politica ed economica. E nel Canton Ticino questo è ormai un dato di fatto. Negli ultimi 30 anni la spesa cantonale è quasi triplicata: da 1,6 miliardi nel 1990 a circa 4,5 miliardi nel preventivo 2025. Solo quest’anno è previsto un disavanzo di 97 milioni: soldi che non abbiamo, ma che abbiamo comunque deciso di spendere.

È evidente che una dinamica di questo tipo non può essere sostenuta a lungo, soprattutto in assenza di un piano credibile di contenimento e di riorientamento della spesa. Una delle voci più rilevanti è rappresentata dal sistema dei sussidi per i premi di cassa malati (RIPAM), oggi pari a oltre 400 milioni di franchi (includendo la parte PCI), cioè circa il 10% della spesa pubblica cantonale.

Questa cifra è in costante crescita.
Il problema non è l’aiuto ai più deboli, doveroso e giustificato e che nessuno si sogna di rimettere in questione, ma l’attuale sistema è diventato talmente ampio da includere famiglie con redditi mensili lordi pari a 12’000 franchi. Se le finanze cantonali fossero solide, la cosa sarebbe forse accettabile, seppur discutibile. Ma la realtà è ben diversa. Indebitarsi per sostenere anche chi non ne ha effettivamente bisogno è una distorsione che deve essere affrontata, anche e soprattutto nell’interesse delle fasce più deboli.
Il Parlamento, dopo aver approvato una riduzione mirata dei sussidi, ha successivamente annullato la decisione. Una retromarcia dettata più da logiche elettorali che da valutazioni oggettive.
E proprio qui sta il nodo del problema: troppo spesso il buon senso è sacrificato sull’altare del consenso politico. Ancora una volta, la politica ha preferito la popolarità alla responsabilità, rinviando un problema che non fa che aggravarsi. Non si tratta di considerazioni astratte.

Evoluzione del debito pubblico
Fonte dei dati:
Rapporto di minoranza 8258 R2 della Commissione gestione e finanze sul messaggio 29 marzo 2023
concernente il Consuntivo 2022

L’indebitamento pubblico ha conseguenze molto concrete, che meritano di essere richiamate:

Cresce la spesa per interessi, con un debito elevato, una parte consistente delle risorse pubbliche deve essere destinata al pagamento degli interessi sul debito, sottraendo risorse ad altri settori vitali come l’istruzione, la ricerca o le infrastrutture.
Si ostacola la crescita economica, poiché le risorse impiegate per servire il debito non sono più disponibili per investimenti produttivi.
Si rischia una crisi di fiducia da parte degli investitori, con l’effetto di un aumento dei tassi d’interesse e una maggiore difficoltà di accesso al credito.
Lo Stato diventa più vulnerabile a shock esterni, riducendo la propria capacità di risposta in caso di crisi future. Un alto livello di indebitamento rende lo Stato più vulnerabile a eventi imprevisti di ordine economico e finanziario.
Infine, si trasferisce un fardello pesante sulle prossime generazioni, compromettendo la solidarietà intergenerazionale, principio fondante di ogni comunità responsabile.
I debiti, prima o poi, vanno pagati. Se la nostra generazione non vuole farlo, saranno purtroppo i nostri figli e i nostri nipoti ad essere chiamati alla cassa.
Questi aspetti vanno sottolineati, non per allarmismo, ma per senso di responsabilità. Chi rifiuta la discussione non rende purtroppo servizio al sistema ma alla lunga non fa altro che indebolirlo, in nome di una solidarietà di facciata che in realtà è volta a proteggere rendite di posizione.
Peccato, perché così non se ne esce. Il mondo economico non vuole affamare il popolo, bensì contribuire, oltre che con la ricchezza che viene distribuita, a rafforzare lo Stato affinché questo possa essere gestito in maniera sana per intervenire laddove è veramente necessario.
I tempi dell’innaffiatoio per dare a tutti non sono tramontati politicamente ma lo sono economicamente. Non si può più sostenere un’evoluzione come quella in atto. Non ci si può pertanto limitare, nel dibattito politico e mediatico, a far prevalere lo slogan “Stop ai tagli!”, malgrado l’esplosione della spesa pubblica. Poi, di quali tagli stiamo parlando? Negli ultimi decenni, in Ticino, non si è tagliato nulla: si è solo continuato ad aumentare la spesa, spesso senza un vero controllo né una visione d’insieme.
È quindi urgente affrontare questo tema in modo serio, concreto e basato sui fatti. Solo così potremo costruire politiche pubbliche sostenibili, che mettano al centro l’interesse collettivo e non la convenienza elettorale. Noi siamo aperti alla discussione, ma lo devono essere tutti, abbandonando le gabbie ideologiche.

Nuovi modi di dire cose vecchie?

L’evoluzione delle etichette professionali: come i nomi dei ruoli cambiano nel tempo

Negli ultimi mesi abbiamo letto (e ci siamo incuriositi) titoli di ruoli professionali peculiari, o per lo meno più “atipici”, come:

  • People and Culture Manager: persona che lavora nelle risorse umane e nella promozione di una cultura aziendale. Si occupa di gestione del reclutamento e selezione del personale, collabora con i team di progetto per comprendere
    le varie esigenze. Identifica le esigenze formative dei dipendenti, progetta e organizza programmi di formazione e sviluppo professionale, monitorandone l’efficacia.
  • Digital Detox Consultant: esperto che aiuta le persone a disconnettersi dalla tecnologia e a ritrovare un equilibrio sano con il mondo digitale.
  • Chief Happiness Officer: professionista responsabile del benessere e della soddisfazione dei dipendenti all’interno di un’azienda.
  • Ethical Hacker: professionista della sicurezza informatica che testa e protegge i sistemi dai cyber attacchi.
  • Virtual Reality Architect: designer che crea esperienze immersive in ambienti di realtà virtuale.
  • Content Wrangler: esperto nella gestione e organizzazione di contenuti digitali, assicurandosi che siano facilmente accessibili e fruibili.
  • Sustainability Ninja: professionista che sviluppa pratiche ecologiche innovative per le aziende, promuovendo la sostenibilità.
  • Pet Influencer Manager: professionista che gestisce gli account social e le collaborazioni di animali domestici famosi.
  • Experience Curator: professionista che crea esperienze uniche e memorabili per eventi, marchi o spazi pubblici.

Sicuramente di primo acchito intrigano e catturano l’attenzione. Ci chiediamo di cosa si occuperanno mai le persone che lavorano in questi ambiti.

Vero è che negli ultimi anni il mondo del lavoro ha subito trasformazioni significative: un’importante spinta l’ha data la digitalizzazione, la pandemia COVID-19 ha cambiato il modo di lavorare, sdoganando smart working e home working e, last but not least, vi è una maggiore attenzione alle tematiche riguardanti il welfare aziendale e la sostenibilità, per cui più sensibilità verso l’inclusione, la valorizzazione delle risorse umane e la gestione dei talenti.

Di conseguenza, anche i nomi e le etichette dei ruoli professionali stanno evolvendo, riflettendo non solo le nuove competenze richieste, ma anche la cultura aziendale e le esigenze del mercato.

In evoluzione

Tradizionalmente, le etichette professionali seguivano una certa ‘rigidità’ perché erano legate alle competenze apprese. Ruoli come ‘Responsabile Risorse Umane’, ‘Segretario’ o ‘Direttore Marketing’ erano standardizzati e facilmente comprensibili. Tuttavia, con l’avvento di nuove tecnologie e l’emergere di nuove pratiche aziendali, è diventato chiaro che le etichette tradizionali non sempre rappresentano adeguatamente le responsabilità e le competenze richieste.

D’altro canto negli ultimi 20 anni il mondo è mutato in modo radicale. Si sono trasformate sia le condizioni di lavoro, il modo di lavorare, le persone (con il progressivo pensionamento dei ‘baby boomers’ e l’arrivo in azienda delle nuove generazioni, più giovani, con modelli e valori differenti) e le competenze.

Se i fatti – incontestabilmente – sono dati, è variato il modo di approcciarsi ad essi, di apprenderli e comprenderli. La cultura aziendale gioca un ruolo cruciale nella scelta delle etichette professionali. Aziende innovative e orientate al futuro tendono a utilizzare titoli che riflettono una mentalità più aperta e flessibile.
La digitalizzazione ha portato a nuove professioni e a una ridefinizione dei ruoli esistenti. Alcuni titoli sono emersi in risposta alla necessità di competenze tecniche specifiche. Questi nuovi ruoli non solo richiedono conoscenze specializzate, ma anche la capacità di lavorare in team multidisciplinari.
Con l’aumento del lavoro da remoto e delle modalità di lavoro ibride, anche i titoli di lavoro sono evoluti per riflettere queste nuove dinamiche. Ruoli come “Remote Team Lead” o “Virtual Collaboration Specialist” evidenziano l’importanza delle competenze di gestione in ambienti di lavoro distribuiti.

Un’altra tendenza emergente è la personalizzazione dei titoli. Molti professionisti scelgono di utilizzare titoli che rappresentano in modo più preciso le loro responsabilità e il loro contributo unico all’organizzazione. Questo approccio consente ai dipendenti di sentirsi più valorizzati e riconosciuti per il loro lavoro.

L’importanza della formazione continua

Non dimentichiamo che fino a qualche anno fa il bagaglio di competenze acquisite durante il percorso scolastico (dell’obbligo e professionale, sia esso con un apprendistato o accademico) rappresentava un patrimonio (quasi) ‘vita-natural-durante’, oggi si stima che – come per analogia con alcuni devices elettronici – esista una sorta di obsolescenza delle competenze, che non scadono, perché poiché quanto appreso resta comunque, ma va aggiornato, visti gli scenari produttivi e congiunturali che mutano rapidamente. Assumono dunque un valore imprescindibile la formazione continua e quella ‘on the job’, perché riescono a focalizzarsi in modo mirato sulle competenze indispensabili di un’economia in transizione, che richiede già oggi competenze tecniche, attitudinali e trasversali. Da anni la Cc-Ti (a più riprese e con progetti diversi) afferma che esista una mancanza di manodopera qualificata in Ticino. Non entriamo nel merito delle proposte per colmare questo deficit, ma ci concentriamo qui sulle sfide che devono essere prese in conto fa parte del sistema educativo-formativo a tutti i livelli: una responsabilizzazione degli individui per una maggior consapevolezza nell’acquisire nuove competenze, aggiornandole ed incrementandole; d’altro canto è imperativo che anche le istituzioni preposte all’insegnamento aggiornino in modo significativo i programmi educativi, per stare al passo con i tempi.
Infatti, la SEFRI – Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione annunciava nel gennaio 2024 di aver riesaminato e aggiornato 50 professioni (nuove e/o rivedute, adattate alle esigenze dell’economia, sia nella formazione professionale di base che professionale superiore).

In conclusione…

L’evoluzione delle etichette professionali è un riflesso dei cambiamenti in atto nel mondo del lavoro. I nomi dei ruoli non sono solo termini descrittivi; rappresentano le competenze richieste, la cultura aziendale e le aspettative delle nuove generazioni. Man mano che il mercato del lavoro continua a evolversi è probabile che anche i titoli professionali si trasformino ulteriormente, adattandosi alle necessità emergenti e alle dinamiche in continua evoluzione.
Tenere in considerazione l’evoluzione continua di queste etichette è fondamentale non solo per le aziende che cercano di attrarre e trattenere talenti, ma anche per i professionisti che desiderano posizionarsi al meglio nel proprio campo.

Indice cantonale di innovazione e creatività (KIKI)

Il Ticino si posiziona nel gruppo ai vertici della classifica nel Paese più innovativo al mondo

L’indice cantonale dell’innovazione e della creatività e la conseguente classifica cantonale, 2024

L’innovazione e la creatività sono motori centrali della crescita economica e quindi del benessere. L’Indice cantonale di innovazione e creatività compara, per la prima volta a livello regionale, queste “risorse”. Nel Paese più innovativo del mondo – la Svizzera – il Cantone Ticino si piazza nel primo terzo della classifica incantonale (al 7° posto).

A livello internazionale, il Global Innovation Index (GII) misura, da anni, la capacità d’innovazione dei Paesi di tutto il mondo. La Svizzera si classifica regolarmente al primo posto. Ma quale è il cantone leader dell’innovazione nel Paese più innovativo del mondo?

Gli 8 pilastri del KIKI

La Scuola Universitaria Professionale di Lucerna ha sviluppato l’Indice cantonale di innovazione e creatività (abbreviato in “KIKI”: Kantonalen Innovations- und KreativitätsIndex).
Il KIKI è composto da diversi indicatori suddivisi in “input” (che promuovono la creatività e l’innovazione) e “output” (che ne mostrano l’impatto).
Nel KIKI, entrambe le categorie sono divise in due sottogruppi: conoscenza e ambiente (input) e creazione e crescita (output), ciascuno dei quali è ulteriormente suddiviso in due pilastri. Esistono quindi otto pilastri che coprono aspetti centrali dell’innovazione e della creatività: «Ricerca, sviluppo e conoscenza», «Diversità», «Fattori di supporto», «Arte e cultura», «Brevetti, marchi e design», «Aziende e start-up», «Crescita economica» e «Istruzione e successo scolastico».

La valutazione dei dati KIKI del 2024 ha determinato, per ogni cantone, un valore dell’indice con un massimo teorico di 100. Zugo ha raggiunto il valore più alto con quasi 60 punti, seguito da vicino da Basilea Città (57) e Zurigo al terzo posto (48). Zugo domina nei settori della conoscenza, della creazione e della crescita, mentre Basilea Città raggiunge il valore più alto nella creazione e si classifica al secondo o terzo posto negli altri settori.

Il Canton Ticino al 7° posto

Il Ticino ha ottenuto 41 punti, che corrispondono al 7° posto tra i 26 cantoni. Gli indicatori KIKI mostrano che, in generale, le aziende ticinesi riescono a trarre grande beneficio da un ambiente a loro favorevole, permettendo un notevole contributo innovativo. Ciò è particolarmente evidente nella crescita economica e nel dinamismo delle aziende esistenti e delle start-up.

Considerando questi indicatori, il Cantone si colloca al secondo posto dopo Zugo. Inoltre, in nessun altro Cantone il tasso di resilienza delle start-up è più alto che nel Cantone Ticino. Per quanto riguarda i fattori di input, il Ticino è uno dei cantoni più innovativi, in particolare nell’indicatore ricerca, sviluppo e conoscenza. Naturalmente, come ogni cantone, anche il Ticino ha i suoi punti deboli. Il Cantone perde punti significativi, soprattutto nel settore dei brevetti, dei marchi e dei design. Uno svantaggio del Ticino rispetto agli altri cantoni è anche la composizione anziana della sua popolazione.

Per quanto riguarda i singoli indicatori, il Ticino si è classificato al secondo posto sia per il tasso di formazione post obbligatoria, sia per quella professionale. Tuttavia, il cantone conta pochi studenti universitari pro capite. Anche la quota di apprendistato relativamente bassa ha avuto un impatto negativo sulla valutazione. In termini di inclusione, si è notato un “gender gap” apprezzabile, anche se continua a sussistere un divario tra l’occupazione e la partecipazione al mercato del lavoro.

In Ticino la partecipazione ai progetti di Innosuisse è elevata, ma la quota di aziende prettamente tecnologiche è inferiore. Il numero di fornitori di servizi con un alto valore di hard/soft skills è superiore alla media e i numerosi posti di lavoro nei settori dell’architettura, della pubblicità e del multimedia contribuiscono a creare certamente un ambiente stimolante.


Metodo consolidato

Con i suoi 101 indicatori, il KIKI si propone di quantificare la creatività e l’innovazione in un concetto per il quale non esiste altrimenti un diverso parametro di riferimento chiaro e indipendente. I dati di base sono stati selezionati su di una base teorica durante la determinazione degli indici, anche se i singoli indicatori potevano presentare una correlazione negativa con l’indice complessivo. Gli stessi sono stati attentamente valutati, scelti e sono pubblici.

Per il KIKI la fonte più importante è l’Ufficio federale di statistica, integrato con altri uffici federali, con l’Istituto per la proprietà intellettuale, Innosuisse, OCSE e altri. Gli indicatori non devono dipendere dalle dimensioni del cantone e, in questo modo, il Ticino resta paragonabile a Zurigo o Uri. Per questo motivo i dati vengono invece messi in relazione, ad esempio, con la popolazione residente/attiva oppure con il PIL. Per tenere conto dei diversi ordini di grandezza, a ciascun indicatore viene applicata una procedura di normalizzazione.

Il KIKI è ponderato in base alle 8 colonne presentate sopra, ciascuna delle quali ha il peso di un ottavo, indipendentemente dal fatto che la colonna contenga molti o pochi indicatori individuali. KIKI mostra come nei Cantoni si possano sviluppare innovazione e creatività in modo diversificato.

Non esiste un mezzo semplice o universale per delinearli in modo puntuale, ma i risultati sono stati molto buoni e si è potuto affermare che esiste una corrispondenza sorprendentemente stretta tra i risultati del KIKI e la forza
economica dei cantoni. Un punto supplementare a favore del Canton Ticino è certamente il turismo. Con la seconda più alta performance di esportazione pro capite e con una crescita economica dinamica nettamente superiore alla media negli ultimi anni, il Cantone Ticino è una delle regioni più creative e innovative della Svizzera.


Maggiori dettagli sullo studio sono disposibili sul sito della Hochschule di Lucerna, all’indirizzo: https://www.hslu.ch/de-ch/hochschule-luzern/ueber-uns/medien/medienmitteilungen/2025/01/29/kiki/

Testo a cura di Christoph Hauser Prof. Dr., Hochschule Lucerna e Lia Nadia Lüdi, Research Associate Hochschule Lucerna

Dazi USA sui componenti auto: in vigore, ma con sgravi

Dopo l’introduzione, il 3 aprile scorso, di un dazio aggiuntivo del 25% sulle importazioni di veicoli, dal 3 maggio la stessa misura si applica anche ai pezzi di ricambio. Tuttavia, il 29 aprile il presidente Trump ha annunciato modifiche al Proclama, introducendo dei meccanismi di compensazione tariffaria (crediti) a favore dei produttori statunitensi.

Con il Proclama 10908 del 26 marzo 2025, l’amministrazione Trump ha introdotto, a partire dal 3 aprile, dazi aggiuntivi del 25% sull’importazione di veicoli passeggeri e di veicoli leggeri da trasporto. La medesima aliquota si applica, dal 3 maggio, anche a numerosi componenti auto, tra cui motori, trasmissioni e parti elettriche. L’elenco completo dei codici doganali soggetti al dazio è riportato nell’Allegato I del Proclama.

Il 29 aprile 2025, tuttavia, il Presidente ha firmato un provvedimento che modifica la struttura tariffaria originaria, introducendo un meccanismo di compensazione (“credito di compensazione”) per i produttori statunitensi. Il provvedimento prevede una riduzione del dazio applicabile ai componenti che costituiscono il 15% del valore di un veicolo assemblato negli Stati Uniti nel primo anno, e il 10% nel secondo anno, secondo le modalità seguenti:

  • primo anno (3 aprile 2025 – 30 aprile 2026): il produttore può beneficiare di un credito pari al 3,75% del valore complessivo del prezzo consigliato al pubblico (Manufacturer’s Suggested Retail Price, MSRP) dei veicoli finalizzati negli Stati Uniti;
  • secondo anno (1° maggio 2026 – 30 aprile 2027): il credito si riduce al 2,5% del valore complessivo del prezzo consigliato al pubblico (MSRP) dei veicoli finalizzati nel Paese.

Entro la fine di maggio, il Segretario al Commercio dovrà istituire una procedura per consentire ai produttori interessati di presentare domanda per beneficiare del meccanismo di compensazione. La richiesta dovrà includere, tra l’altro:

  • una stima del numero di veicoli che si prevede di assemblare negli Stati Uniti, accompagnata dall’elenco degli stabilimenti in cui avverrà l’assemblaggio;
  • una ripartizione dettagliata dei costi stimati relativi ai dazi sui componenti importati, suddivisa tra quelli sostenuti direttamente dal produttore e quelli a carico dei fornitori;
  • la documentazione relativa all’importo totale della compensazione tariffaria richiesta;
  • l’elenco degli importatori registrati (importers of record);
  • una dichiarazione firmata da un dirigente aziendale che attesti, sotto giuramento, la veridicità e l’accuratezza delle informazioni trasmesse.

Se la richiesta sarà approvata, il credito sarà applicato dalla U.S. Customs and Border Protection (CBP) agli importers of record designati dal produttore.

I componenti auto che beneficiano di un trattamento speciale nell’ambito dell’Accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico (USMCA) e sono accompagnati da un certificato di origine USCMA valido sono esenti dal dazio aggiuntivo del 25%.

Per ulteriori informazioni, si rimanda alle comunicazioni della US Customs CSMS# 64913145 – Import Duties on Certain Automobile Parts e CSMS # 64916652 – UPDATE to CSMS # 64913145:D GUIDANCE: Import Duties on Certain Automobile Parts

Altri link utili:

Stati Uniti: non cumulabilità dei dazi aggiuntivi

Il 29 aprile 2025, la Casa Bianca ha pubblicato l’Executive Order 1429  che introduce il principio della non cumulabilità dei dazi su determinate merci importate. L’obiettivo del provvedimento è evitare che più dazi, previsti da misure diverse, si sommino sul medesimo prodotto, generando un onere eccessivo rispetto agli obiettivi di politica commerciale.

L’Executive Order 14289 del 29 aprile 2025, si applica ai dazi introdotti da proclami presidenziali e ordini esecutivi precedenti riguardanti:

L’Ordine istituisce una procedura specifica per individuare, in caso di sovrapposizione tra più misure, quale dazio debba essere applicato, evitando così l’accumulo ingiustificato di dazi su uno stesso articolo (principio del “non-stacking”).

Nel dettaglio, l’Executive Order 14289 prevede che:

  • le automobili e i componenti auto soggetti al dazio del 25% non sono soggetti né al dazio del 25% imposto nei confronti del Canada e del Messico, né al dazio del 25% su alluminio e acciaio;
  • i prodotti originari di Canada e Messico assoggettati al dazio del 25% ai sensi dell’IEEPA non sono soggetti al dazio su acciaio e alluminio;
  • i prodotti soggetti al dazio del 25% su acciaio o alluminio potranno essere soggetti ad entrambe le misure (acciaio + alluminio) se rispettano tutte le condizioni previste per ciascuna misura.

Facciamo un esempio: un longherone in acciaio destinato all’industria automobilistica, prima della nuova misura era soggetto a un dazio totale del 50% all’importazione — il 25% sul valore dell’acciaio contenuto nel prodotto e un ulteriore 25% sui componenti per auto, entrambi imposti ai sensi della Sezione 232. Con la nuova disposizione, però, i due dazi non si sommano più: si applica soltanto il 25% previsto per i componenti auto.

L’Executive Order 14289 evidenzia che, anche quando non si applica il cumulo tra le misure elencate, un articolo importato può comunque essere soggetto ad altri dazi applicabili, tra cui:

  • i dazi della Sezione 301 contro la Cina
  • eventuali dazi antidumping e compensativi.

Applicazione retroattiva e rimborsi

Un aspetto di rilievo dell’Executive Order 14289 è la sua applicazione retroattiva a tutte le importazioni effettuate a partire dal 4 marzo 2025. Le modifiche necessarie alla Harmonized Tariff Schedule of the United States (HTSUS) dovranno essere implementate entro il 16 maggio 2025. Dopo tale data, gli importatori potranno richiedere i rimborsi presso la U.S. Customs and Border Protection (CBP), come specificato nel Customs Message System (CSMS) #64916414.

L’Arabia Saudita in chiave operativa

Negli ultimi anni, l’Arabia Saudita si è affermata come una delle destinazioni più promettenti per le aziende internazionali, grazie a un ambizioso programma di riforme economiche e sociali avviato dal governo con la Vision 2030. Questo ha creato numerose opportunità in settori chiave come ad esempio l’energia, la tecnologia e le infrastrutture. Tuttavia, chi intende entrare nel mercato saudita per la prima volta o rafforzare la propria presenza dovrà prendere in considerazione diversi fattori chiave per operare con successo e in maniera sostenibile.

Attraverso la Vision 2030, il governo saudita mira a ridurre la dipendenza dal petrolio e a diversificare l’economia, promuovendo lo sviluppo di settori strategici come il turismo, l’intrattenimento, le energie rinnovabili, la tecnologia, la sanità e le infrastrutture. Le riforme avviate hanno favorito la creazione di un contesto dinamico e attrattivo per il business e gli investimenti, aprendo interessanti opportunità anche per le imprese della Svizzera italiana. La Cc-Ti ha già approfondito questo tema in occasione di un Evento Paese dedicato.

Tuttavia, per le aziende che intendono approcciare per la prima volta il mercato saudita o rafforzare la propria presenza, è essenziale valutare attentamente anche altri fattori. Con l’obiettivo di offrire strumenti concreti e contatti utili alle aziende della Svizzera italiana per affrontare al meglio queste sfide, la Camera di commercio e dell’industria del Canton Ticino terrà l’evento “L’Arabia Saudita in chiave operativa” il 13 maggio 2025 presso il Centro Studi Villa Negroni a Vezia, in collaborazione con Cippà Trasporti SA, M. Zardi & Co. SA e Stelva Group. L’evento inizierà alle ore 16:30 e sarà seguito da un aperitivo di networking.

L’Arabia Saudita sta aprendo le porte agli investimenti esteri con una legislazione in rapida evoluzione. Ma come navigare un sistema complesso, influenzato dalla Sharia, e cogliere le opportunità tutelando la propria impresa? Questo evento fornisce le chiavi: Avviare e Strutturare: l’Avv. Gianvirgilio Cugini, fondatore dello Studio Stelva, illustrerà le procedure concrete per aprire un’attività, le tipologie societarie accessibili e le strategie legali essenziali per operare con successo. Proteggere il proprio Business: in questo capitolo verranno approfonditi la gestione efficace dei contratti commerciali e gli strumenti specifici per la tutela legale delle imprese svizzere nel contesto saudita. Ottimizzare la Fiscalità: la Dr.ssa Arianna Bonaldo, Avvocato, Dottore Commercialista e TEP presso lo Studio Stelva, spiegherà il panorama fiscale per le aziende straniere, le strategie per un rimpatrio efficiente dei profitti e come sfruttare al meglio i trattati contro la doppia imposizione. Un’occasione per ottenere informazioni pratiche e strategiche da esperti legali e fiscali, fondamentali per il successo nel mercato saudita.

In un contesto dinamico come quello saudita, anche la protezione della proprietà intellettuale assume un ruolo strategico per garantire competitività e crescita. Nonostante i significativi progressi compiuti dal Paese nell’allinearsi agli standard internazionali, la protezione efficace degli asset immateriali richiede ancora oggi attenzione, conoscenza del quadro normativo e un approccio preventivo ben strutturato. Nel suo intervento, il Dr. Paolo Gerli, European Patent Attorney & Litigator presso M. Zardi & Co. SA offrirà una panoramica delle recenti riforme legislative introdotte nell’ambito degli ambiziosi obiettivi della Vision 2030, analizzandone le implicazioni per la tutela della proprietà intellettuale e il suo ruolo nel contesto globale. Il Dr. Gerli illustrerà inoltre le principali modalità di protezione disponibili, accompagnate da dati sull’utilizzo dei titoli IP, e approfondirà le azioni intraprese dal governo saudita per contrastare la contraffazione. Un focus sarà dedicato anche alle misure volte a creare un ecosistema favorevole all’innovazione, alla valorizzazione degli asset intangibili e agli investimenti stranieri.

Come parte integrante del piano di trasformazione Vision 2023, il governo saudita sta investendo massicciamente per ammodernare ed espandere porti, zone economiche speciali, collegamenti ferroviari e reti stradali e trasformare così il Regno in un hub logistico globale. Nonostante i notevoli progressi nelle infrastrutture logistiche, le aziende svizzere che operano o intendono operare in Arabia Saudita devono tuttavia ancora affrontare alcune sfide. La gestione delle procedure doganali e la conformità tecnica dei prodotti, che richiedono certificazioni tramite la piattaforma SABER prima della spedizione, sono tra gli aspetti più critici. Inoltre, la logistica interna può essere complicata dalle grandi distanze e dalle difficili condizioni climatiche, per cui è fondamentale affidarsi a partner affidabili per garantire una distribuzione efficiente. Infine, la lingua araba e le differenze culturali potrebbero rappresentare un ostacolo. Questi aspetti saranno approfonditi da Gaetano Loprieno e Roberto Speroni, rispettivamente Consulente Logistico e Buyer presso Cippà Trasporti SA, coadiuvati da remoto (in videoconferenza) da Artemio Bianchi, corrispondente della casa di spedizione ticinese per l’Arabia Saudita.

In sintesi, l’Arabia Saudita si conferma come una delle realtà più vivaci e in evoluzione del Medio Oriente per chi desidera fare impresa. Le opportunità non mancano, ma richiedono un approccio strategico, una solida comprensione del contesto locale e un’adeguata preparazione operativa. Le aziende che sapranno affrontare con metodo e lungimiranza l’ingresso o il consolidamento potranno trarre vantaggio dalle potenzialità di una delle economie in più rapida trasformazione a livello globale. Con l’evento in oggetto, la Cc-Ti è lieta di offrire ai propri associati informazioni, strumenti e contatti di valore per orientarsi con successo in questo scenario in evoluzione.


L’Arabia Saudita in chiave operativa

Centro Studi Villa Negroni, Vezia
13 maggio 2025 – dalle ore 16:30


In collaborazione con:

“Stop the Clock”: rinviati alcuni obblighi di CSRD e CSDDD

È stata pubblicata il 16 aprile 2025 sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE la direttiva (UE) 2025/794, meglio conosciuta come “Stop the Clock”. Il provvedimento fa parte del pacchetto legislativo “Omnibus I”, approvato dalla Commissione europea lo scorso febbraio.

Con la Direttiva (UE) 2025/794, pubblicata il 16 aprile sulla Gazzetta Ufficiale, Bruxelles introduce una pausa strategica nell’attuazione delle norme sulla sostenibilità. La misura, parte del pacchetto legislativo “Omnibus I”, punta a semplificare il quadro normativo, ridurre gli oneri burocratici per le imprese e rafforzare la certezza del diritto.

Il provvedimento modifica le precedenti direttive (UE) 2022/2464 (CSRD) e 2024/1760 (CSDDD), rinviando alcune scadenze chiave:

  • CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive): le grandi imprese che non rendicontano ancora e le PMI quotate avranno due anni in più. L’obbligo scatterà dagli esercizi con inizio dal 1° gennaio 2028.
  • CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive): la prima fase, dedicata alle imprese di maggiori dimensioni, slitta di un anno, con applicazione a partire dal 1° gennaio 2027.

Il via libera rapido da Parlamento e Consiglio ha permesso l’adozione tempestiva della direttiva, che offre agli Stati membri più margine per recepire le novità e valutare possibili revisioni delle due normative.

Il recepimento a livello nazionale dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2025.

Link utili:

Negoziare? Si, no, forse, magari…

Nel mirino USA non solo le merci ma anche le regole

Fiumi di parole, ipotesi, dibattiti, proposte di vario genere e via discorrendo. La “nuova” via delle relazioni commerciali internazionali inaugurata dall’attuale amministrazione americana ha scosso tutti e disorientato governi, aziende, commentatori…
L’uso del virgolettato per l’aggettivo “nuova” non è però casuale, perché alcuni elementi sembrano sfuggire ai più, benché siano o dovrebbero essere noti.
Intanto la “tregua” concessa dal presidente americano, che ha sospeso per 90 giorni parte dell’applicazione dei dazi (il 10% di base è rimasto e la Cina è stata esclusa dall’eccezione), dovrebbe permettere di riordinare le idee e/o di intavolare discussioni e negoziati. In questo senso il Consiglio federale si è mosso molto bene, senza panico e cercando rapidamente il contatto diretto con Washington.
È indubbio e appare chiaro come Donald Trump non creda nel multilateralismo e prediliga i negoziati bilaterali con i singoli paesi. È parimenti evidente come utilizzi in maniera più che disinvolta misure anche draconiane, per obbligare la controparte a mettersi al tavolo delle trattative. Modo di fare spettacolare e senz’altro di rottura con il recente passato, ma sarebbe sbagliato pensare che le trattative e le relazioni commerciali siano sempre state all’insegna dell’eleganza oxfordiana.
I rapporti di forza non sono nuovi, forse ci si era illusi che tutti giocassero sempre in maniera corretta e che dietro l’apparente armonia dei partenariati internazionali non ci fossero prove di forza, ripicche e attriti. Basti pensare, rimanendo nel “piccolo” contesto elvetico, che per concludere l’Accordo di libero scambio con l’India ci sono voluti 15 anni…

I precedenti ci sono…

È chiaro che i metodi ruvidi di Donald Trump possono non piacere. Ma sono veramente così “nuovi”? Nei toni espressi pubblicamente probabilmente sì, ma la politica economica americana è sempre stata caratterizzata dall’”America First”, scelta di per sé più che legittima.
E anche i dazi hanno una lunga tradizione. Si potrebbero scomodare esempi dall’antichità o il celebre caso dello Smoot-Hawley Tariff Act del 1930, quando il Congresso americano, in piena crisi economica, aumentò drasticamente le tariffe su moltissimi prodotti di importazione per difendere l’agricoltura e l’industria americana, con effetti devastanti anche a livello mondiale.
Ma, per restare in tempi più recenti, l’Organo per la risoluzione dei conflitti (Dispute Settlement Body, DCS) dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC, purtroppo ormai clamorosamente assente dalla scena pubblica da anni…) è stato confrontato, dall’anno della creazione dell’istituzione nel 1995, a 283 casi coinvolgenti gli Stati Uniti. In 124 casi gli Stati Uniti hanno intentato procedure contro altri paesi, in 159 sono finiti sul banco degli “accusati”. Molti di questi casi sono legati a misure tariffali, come l’imposizione di dazi su importazioni di acciaio e alluminio, ormai un grande classico che ritorna continuamente, e su altri prodotti, soprattutto cinesi.
Giocando con barriere non tariffali come il divieto d’importazione negli USA di gamberetti pescati senza dispositivi di protezione per le tartarughe, oppure con sussidi (illegali) al cotone indigeno o dazi sull’olio d’oliva spagnolo, gli Stati Uniti hanno sempre cercato di proteggere la propria industria. Come fanno un po’ tutti, del resto, anche se magari in una modalità diversa e meno spettacolare. Anche l’Unione Europea qualche mese fa ha messo i dazi sulle auto elettriche cinesi (cosa che la Svizzera saggiamente ha deciso di non fare) e la Cina ha risposto con dazi sul cognac, possibili dazi sulle auto europee di grossa cilindrata e indagini su prodotti alimentari europei. Senza dimenticare che la Cina, in virtù della sua posizione di forza sulle terre rare, gestisce a piacimento controlli sulle esportazioni verso il mondo occidentale di materie fondamentali ad esempio per la produzione di microchip essenziali per gli apparecchi elettronici di ogni genere.

Questo per dire che la tentazione protezionistica è sempre stata un’arma utilizzata dagli Stati Uniti, ma non solo, sebbene in questo momento storico i metodi siano decisamente più ruvidi e non si proceda in modo mirato, ma sparando a zero contro tutto e tutti, sulla base di un metodo di calcolo decisamente fantasioso per non dire assurdo. In nome appunto del bilateralismo che dovrebbe sostituire il multilateralismo.
Che poi la strategia sia sensata e che abbia possibilità di successo è tutto da dimostrare e chiaramente non è condivisibile per chi, come la Svizzera, sostiene fermamente il libero scambio, ma questa è un’altra discussione. Intanto però l’obiettivo di forzare gli altri paesi a negoziare è stato già almeno in parte raggiunto e addirittura tutti esultano perché per il momento si deve pagare “solo “il 10% di dazi, in attea di evoluzioni. Un vero trionfo…

Cosa negoziare?

Va detto che questa lunga tradizione di dazi americani non ha impedito all’export svizzero e a quello ticinese, in particolare, di crescere in questi anni. Merito anche di molti prodotti di alta qualità, non facilmente sostituibili e che quindi possono in una certa misura reggere all’impatto di una maggiorazione del prezzo, oppure di un’accorta politica aziendale di produzione negli Stati Uniti pur mantenendo salda la posizione in Svizzera. Vero è che al momento la posta è stata chiaramente alzata da parte americana, con una distribuzione di dazi su quasi tutti i prodotti e in proporzioni che non hanno senso.
Un conto è reagire a una misura che tocca un determinato bene, un altro conto è doversi mettere al tavolo a negoziare misure generali che colpiscono gli ambiti più disparati.
Tuttavia, lo stesso Presidente Donald Trump ha sottolineato esplicitamente che si aspetta l’avvio di negoziati, anche con la Svizzera, come del resto confermato nella lunga telefonata con la Presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter qualche giorno fa.  
Ma cosa significa? Purtroppo, l’attenzione generale si è focalizzata sulle questioni puramente tariffali e la Svizzera, che ha abolito tutti i dazi industriali sulle importazioni mantenendo solo quelli sui prodotti agricoli a tutela degli interessi del settore, è rimasta inizialmente spiazzata.
Su cosa si potrebbe negoziare? Fortunatamente sembrano scartate le fantasiose ipotesi di rappresaglia, come la sospensione dell’acquisto degli aerei da combattimento F-35, che toccherebbe pesantemente anche la nostra industria. Anche perché, come ci si è resi conto ad esempio in Francia, boicottando i prodotti americani e nello specifico la Coca Cola, si metterebbero in ginocchio molte delle aziende indigene che si occupano della produzione e della distribuzione della bevanda nel paese.

Situazione non facile e la via negoziale subito ipotizzata dal Consiglio federale sembra effettivamente l’unica praticabile, anche perché, date le nostre dimensioni nazionali, non siamo certamente nella condizione di adottare misure di rappresaglia. Purtroppo, al momento, gli argomenti razionali sono importanti ma impressionano solo fino a un certo punto.
Sottolineare che garantiamo negli Stati Uniti quasi mezzo milione di posti di lavoro qualificati, che siamo il sesto partner in quanto a investimenti diretti, ecc. al momento sembra non bastare, anche se è importante.
Probabilmente maggiore effetto sull’attuale amministrazione americana ce l’hanno annunci come quello di Novartis di investire negli Stati Uniti 23 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni per ricerca e sviluppo…

Strano che pochi o nessuno abbiano però finora rilevato alcune piste indicate dagli Stati Uniti la scorsa settimana, ossia l’ambito di vere o presunte barriere non tariffali che infastidiscono lo Zio Sam. Il rapporto stilato ogni anno dall’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti (USTR) sugli ostacoli al commercio che i prodotti e i servizi americani incontrano all’estero, nell’edizione 2025 ha menzionato la Svizzera tra i Paesi che pongono alcune barriere problematiche secondo Washington.
Sebbene il nostro Paese goda di ottime relazioni economiche con gli Stati Uniti, il rapporto segnala varie aree critiche che andrebbero approfondite, oltre a quella ben nota dei dazi imposti dalla Svizzera sui prodotti agricoli importati. Si tratta fondamentalmente di barriere non tariffali che concernono:

  1. Le misure sanitarie e fitosanitarie, ritenute troppo restrittive e poco scientifiche e che limiterebbero l’accesso sul mercato di prodotti agricoli americani. Un chiaro riferimento è fatto anche alle norme svizzere che limitano fortemente la biotecnologia e quindi gli organismi geneticamente modificati.
  2. Proprietà intellettuale: progressi ritenuti insufficienti
    Nel campo della proprietà intellettuale, il giudizio americano è in chiaroscuro. La Svizzera è stata rimossa nel 2023 dalla “Watch List” del rapporto Special 301, grazie ai miglioramenti nella tutela dei diritti. Tuttavia, gli Stati Uniti criticano l’applicazione della legislazione elvetica sul diritto d’autore e in particolare eccezioni che permetterebbero abusi importanti.
  3. Barriere nei servizi
    Nell’ambito dei servizi, gli Stati Uniti criticano in particolare la cosiddetta “Lex Netflix” che obbliga i colossi americani dell’online a versare il 4% degli introiti per sostenere produzioni svizzere e che obbliga a prevedere una quota minima di produzioni europee nel catalogo di offerta di “video-on-demand”. Sempre nei servizi, viene criticato l’obbligo di residenza in Svizzera per i manager di filiali svizzere di compagnie assicurative di proprietà estera.
  4. Digitale: attenzione ai flussi di dati
    Come menzionato anche dal Vicepresidente americano J.D. Vance nell’ormai celebre discorso tenuto qualche settimana fa a Monaco, anche il settore digitale è oggetto di attenzione. Secondo il motto “gli Stati Uniti innovano, la Cina copia e l’Europa regola”, dove è sottinteso che l’Europa regola troppo (e che la Cina si limiti a copiare non corrisponde più completamente al vero). Il nuovo quadro legislativo svizzero sulla protezione dei dati, in vigore dal 2023, preoccupa le aziende americane, che temono restrizioni nei flussi transfrontalieri di dati. Questo sebbene le nostre normative siano meno severe del GDPR europeo e che recentemente l’esistente Accordo fra Svizzera e Stati Uniti sia stato considerato conforme agli standard di protezione. Da notare che, dopo la levata di scudi contro il succitato discorso di J. D. Vance, qualche giorno fa l’Unione europea, senza tanto clamore, ha preannunciato modifiche sostanziali del GDPR nel senso di un alleggerimento delle regole e una possibile semplificazione del regolamento sull’intelligenza artificiale varato qualche mese fa. Facendo intendere che anche le multe inflitte ai giganti americani del tech nell’ambito della concorrenza potrebbero essere ridotte.

Conclusione

Il rapporto dell’USTR di per sé non punta il dito contro la Svizzera, ma invita a una riflessione costruttiva. Sembra contradditorio rispetto alla mazzata inferta con i dazi, ma in realtà è probabilmente un’altra faccia della stessa medaglia. I dazi quali strumenti di pressione per ottenere (anche) altro. L’obiettivo dichiarato è migliorare l’accesso al mercato e assicurare condizioni di concorrenza eque per tutti.
Per la Svizzera, da sempre Paese aperto e integrato nei circuiti commerciali globali, si tratta di osservazioni che meritano attenzione, anche nell’ottica di rafforzare i legami economici con questo importante partner commerciale mondiale.
Gli stessi americani affermano del resto una chiara volontà di trovare accordi con il nostro paese. “Bastone e carota”, chi riesce a capire come muoversi è bravo, ma forse dovremmo soprattutto esercitarci a leggere meglio fra le righe…