Deduzione delle spese di ricerca e di sviluppo

Quale Paese dall’alto tenore di vita e dagli elevati prezzi (“Hochpreisinsel”) dal dopoguerra la Svizzera è costretta, soprattutto per le sue ditte esportatrici, a puntare sui settori ad alto valore aggiunto e alla continua innovazione dei prodotti e dei processi. Infatti, la Confederazione è uno dei Paesi che, rispetto al loro PIL, più investono nella ricerca e lo sviluppo (in seguito anche “R&S”).

Secondo alcuni studi, l’economia privata sostiene oltre i due terzi dei costi del settore R&S svizzero, che si attestano al momento a circa 22 miliardi di franchi, cioè più di 3 percento del PIL.

Con la Legge federale concernente la riforma fiscale e il finanziamento dell’AVS (in seguito “RFFA”) è stata creata agli articoli 10a e 25a della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (in seguito “LAID”) la base legale per consentire ai Cantoni di maggiorare la deduzione per le spese di R&S fino a concorrenza del 50% di quest’ultime. Si tratta di un’incentivazione dal lato input delle spese di R&S (mentre l’incentivazione dal lato output è promossa attraverso il Patent box).

Trattandosi di una facoltà e non di un obbligo imposto ai Cantoni, il Legislatore ticinese non era tenuto a recepire questa nuova deduzione fiscale.

In modo molto lungimirante, il nostro Legislatore ha però intuito il potenziale attrattivo di questo nuovo incentivo per l’innovazione e ha colto questa occasione al volo. Con la Riforma fiscale cantonale di adeguamento della Legge tributaria cantonale alla RFFA, sfruttando al massimo i margini di manovra concessi dalla LAID, sono stati così introdotti nella Legge tributaria cantonale (in seguito “LT”) i nuovi articoli 30a e 73a LT che permettono l’ulteriore deduzione per spese di R&S (cosiddetta “superdeduzione R&S”).

Nelle prossime righe cercheremo di descrivere le caratteristiche principali di questo nuovo importante incentivo fiscale e in quali condizioni esso possa essere d’interesse per le PMI ticinesi.

Funzionamento della superdeduzione (o deduzione maggiorata)

Secondo le nuove disposizioni di legge, in vigore dal 1° gennaio 2020, la superdeduzione R&S è concessa solo al contribuente che ne fa richiesta all’autorità di tassazione competente. Non si tratta infatti di un costo che può essere registrato nella contabilità commerciale, ma di una deduzione nel calcolo (extracontabile) delle imposte.

L’agevolazione in questione consiste in una deduzione fiscale supplementare quantificata in ragione di un importo pari al 50% delle spese di R&S giustificate dall’uso commerciale e sostenute in Svizzera direttamente dal contribuente stesso o indirettamente da terzi.

Non tutte le spese che, a prima vista, potrebbero sembrare di R&S qualificano per il calcolo della superdeduzione. Infatti, secondo l’art. 73a cpv. 3 LT, per quanto riguarda le spese sostenute dal contribuente stesso, possono essere considerate solo le spese, sostenute in Svizzera, per il personale direttamente imputabili alla R&S, a cui si aggiunge un supplemento pari al 35%di queste spese, fino a concorrenza delle spese complessive del contribuente.

Per spese per il personale sono da intendersi i costi aziendali di personale (salari e oneri sociali) purché si tratti di collaboratori effettivamente attivi nella R&S. Non qualificano, per esempio, i costi del personale che svolge funzioni di management, attività amministrative, di produzione, di vendita, ecc. Con il supplemento del 35% sulle spese per il personale si tiene conto in modo forfettario delle altre spese di R&S, quali p.es. i costi di materiale, gli investimenti, i costi delle attrezzature di ricerca o per i servizi ecc.

Per quanto concerne le spese di R&S indirettamente sostenute da terzi, cioè fatturate al contribuente da mandatari esterni, la norma di legge consente l’applicazione della superdeduzione R&S per l’80% dell’importo addebitato per attività di R&S, purché tale attività sia stata effettuata da società del gruppo o da terzi su suolo svizzero.

Da notare che ai fini del calcolo della ulteriore deduzione del 50% è possibile aggiungere alle spese qualificanti del proprio personale del settore R&S l’80% delle spese di R&S fatturate dai mandatari esterni. Inoltre, nel caso in cui sia il mandante che il mandatario siano residenti in Svizzera e abbiano entrambi diritto alla agevolazione, per evitare una doppia deduzione, il Legislatore ha previsto che solo la persona che ha conferito il mandato di R&S abbia diritto alla relativa deduzione, che pertanto non potrà essere fatta valere dal mandatario.

L’interesse per le PMI ticinesi

Si può calcolare che, sfruttando al massimo la superdeduzione R&S e tenuto anche conto della norma sulla limitazione dello sgravio fiscale (art. 73b LT), una società di capitali con sede a Lugano possa ridurre la propria aliquota sull’utile effettiva da circa 18.31% fino a circa 10.35%.

In linea di principio dovrebbe essere più agevole la possibilità di fare valere la superdeduzione R&S rispetto al Patent box. Quest’ultimo è infatti concesso solo in relazione agli utili netti da brevetti e diritti analoghi, mentre la superdeduzione R&S non presuppone l’ottenimento di un brevetto.

Eppure, la possibilità di far valere la superdeduzione R&S non è aperta a tutte le aziende. Infatti, la tipologia di ricerca che qualifica per la deduzione maggiorata per le attività di R&S è limitata alla ricerca scientifica e all’innovazione fondata sulla scienza ai sensi dell’art. 2 della legge federale sulla promozione della ricerca e dell’innovazione. In altre parole, qualificano per l’agevolazione le spese che riguardano la ricerca fondamentale, la ricerca orientata all’applicazione e l’innovazione fondata sulla scienza. Con quest’ultima sono da intendersi lo sviluppo di nuovi prodotti, procedure, processi e servizi per l’economia e la società, ma non la ricerca sostenuta per il lancio dei prodotti sul mercato e la loro valorizzazione (p. es. il marketing). Sapere individuare le spese che qualificano per la superdeduzione R&S costituisce una delle maggiori sfide per le PMI.

Per poter fare valere la superdeduzione l’azienda, a cui spetta l’onere della prova secondo le regole generali, dovrà pertanto potere dimostrare, oltre che il calcolo della deduzione, anche la natura delle attività svolte e perciò dovrà tenere a disposizione dell’autorità fiscale idonea documentazione di supporto.


Articolo a cura di Peter A. Jäggi, Avv. Esperto fiscale dipl. fed., LL.M., Jäggi & Scheller SA, Lugano

Formazione continua in azienda

Da alcuni anni, i dati statistici mostrano che il tasso di partecipazione alla formazione continua in Svizzera è buono, soprattutto se si considerano le persone che già possiedono solide qualifiche grazie alla formazione di base. Dei margini di miglioramento si evidenziano per quanto riguarda le competenze di base degli adulti e la formazione professionale continua. Per questo motivo il Consiglio federale ha deciso di adottare delle misure per migliorare le condizioni quadro nel campo della formazione degli adulti in modo da incoraggiare e facilitare la partecipazione alla formazione continua, con particolare attenzione alle PMI e ai loro dipendenti.

Infatti, il 23 giugno 2021 il Consiglio federale ha incaricato il Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR) di ottimizzare le condizioni quadro di partecipazione ai corsi di formazione per adulti e incoraggiare così l’iscrizione di coloro che presentano lacune nelle competenze di base.

Oltre a perfezionare le condizioni quadro per la formazione professionale e continua, la Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI) è stata incaricata di promuovere il programma “Semplicemente meglio! …al lavoro”, che sostiene finanziariamente le aziende che vogliono migliorare le competenze di base dei propri dipendenti.

Anche le associazioni professionali interessate saranno maggiormente coinvolte grazie al programma pilota “Coaching formazione continua per le PMI”, che vuole sviluppare un’offerta di consulenza per rilevare e definire le esigenze di formazione continua di piccole e medie imprese (PMI).

Con l’inserimento della promozione delle competenze di base nella legge federale sulla formazione continua (LFCo) e con le misure annunciate la Confederazione ha dato degli impulsi che dovrebbero stimolare le aziende a promuovere l’apprendimento dei propri collaboratori e parallelamente aumentare la partecipazione alla formazione continua di quei pubblici che attualmente ancora faticano ad avere accesso ai corsi.

In questo particolare periodo storico – che ha visto l’accelerazione di processi, come ad esempio la digitalizzazione – la Conferenza della Svizzera italiana per la formazione continua degli adulti CFC, accoglie con favore la decisione del Consiglio federale e ritiene di fondamentale importanza rafforzare ulteriormente la politica della formazione continua adottando adeguate misure di sostegno e riconoscendo la necessità di maggior azione, in particolare nella formazione continua professionale. Per questo motivo, in collaborazione con i suoi soci – fra cui la Cc-Ti, che siede anche nel Comitato – e i suoi partner, la CFC mira a mettere in rete e rafforzare la collaborazione tra chi offre formazione e le aziende del territorio che intendono implementare misure di formazione specifiche come quelle sostenute dal programma “Semplicemente meglio! …al lavoro”.

Le aziende interessate al programma che desiderano avere maggiori informazioni possono rivolgersi al segretariato CFC oppure consultare il sito www.meglio-adesso.ch/aziende dove, nella sezione “testimonianze”, si possono visionare dei filmati che presentano le esperienze di aziende che hanno beneficiato del programma, permettendo ai propri collaboratori di acquisire le competenze necessarie a sviluppare la loro professionalità sul posto di lavoro. Insomma, siamo di fronte ad un’interessante possibilità per continuare in modo coerente e strutturato quel difficile percorso di costruzione di una chiara identità aziendale formativa. Un’occasione unica e forse irripetibile di cui speriamo anche al Sud delle Alpi si riesca ad approfittare.

LINK UTILI
Il Consiglio federale intende rafforzare l’acquisizione delle competenze in particolare nelle PMI – comunicato stampa
– Programma “Semplicemente meglio! …al lavoro
Conferenza della Svizzera italiana per la formazione continua degli adulti CFC

Articolo a cura di Paolo Ortelli, Presidente Conferenza della Svizzera italiana per la formazione continua degli adulti CFC

Welcome to the Swiss Arbitration Centre

The leading commercial dispute resolution institution in Switzerland.Efficient, reliable, and impartial administration of arbitration and other alternative dispute resolution (ADR) since 1866.

Taking effect at the end of May 2021, the Swiss Chambers’ Arbitration Institution (SCAI) has been converted into a Swiss limited company and renamed Swiss Arbitration Centre Ltd (the Swiss Arbitration Centre). The Swiss Arbitration Association (ASA) takes the lead as majority shareholder, working closely together with the Swiss Chambers of Commerce, which will continue to support the Swiss Arbitration Centre as shareholders and through their extensive networks. The reorganization ensures that users will continue to be served at the highest standard in the future.

The conversion of SCAI into the Swiss Arbitration Centre does not affect the validity of existing arbitration or mediation agreements referring to SCAI or any cantonal Chambers of Commerce.

The Board of Directors of the Swiss Arbitration Centre is composed of four members nominated by ASA (Bernhard Berger of Kellerhals Carrard in Bern as President, Domitille Baizeau of Lalive in Geneva as Vice President, Pierre-Yves Gunter of Bär & Karrer in Geneva, and Gabrielle Nater-Bass of Homburger in Zurich) and three members nominated by the Chambers of Commerce of Basel, Bern, Central Switzerland, Geneva, Neuchâtel, Ticino, and Zurich (Andreas Meier, Chamber of Commerce of Basel, Regine Sauter, Chamber of Commerce of Zurich, and Vincent Subilia, Chamber of Commerce, Industry and Services Geneva).


A partire dalla fine di maggio 2021, l’istituto di arbitrato delle Camere svizzere (SCAI) è stato convertito in una società per azioni svizzera e ribattezzato Swiss Arbitration Centre Ltd (il Centro svizzero di arbitrato). L’Associazione svizzera di arbitrato (ASA) assumerà la guida come azionista di maggioranza, lavorando a stretto contatto con le Camere di commercio svizzere, che continueranno a sostenere il Centro svizzero di arbitrato come azionisti e attraverso le loro ampie reti. La riorganizzazione garantisce che gli utenti continueranno a essere serviti ai più alti standard anche in futuro.

La conversione di SCAI in Centro Arbitrale Svizzero non pregiudica la validità degli accordi arbitrali o di mediazione esistenti riferiti a SCAI o ad eventuali Camere di Commercio cantonali.

Il Consiglio di amministrazione del Centro svizzero di arbitrato è composto da quattro membri nominati dall’ASA (Bernhard Berger di Kellerhals Carrard a Berna come presidente, Domitille Baizeau di Lalive a Ginevra come vicepresidente, Pierre-Yves Gunter di Bär & Karrer a Ginevra e Gabrielle Nater-Bass di Homburger a Zurigo) e tre membri nominati dalle Camere di commercio di Basilea, Berna, Svizzera centrale, Ginevra, Neuchâtel, Ticino e Zurigo (Andreas Meier, Camera di commercio di Basilea, Regine Sauter, Camera di commercio di Zurigo, e Vincent Subilia, Camera di Commercio, Industria e Servizi di Ginevra).

Per maggiori dettagli: Avv. Michele Rossi, Responsabile Arbitrato e mediazione, T +41 91 911 51 30, rossi@cc-ti.ch e Monica Foglia, Collaboratrice Arbitrato e mediazione, T +41 911 51 28, foglia@cc-ti.ch.

Cross culture e cross cultural etiquette

Fare business non è mai facile, ma farlo con culture diverse dalla nostra lo è ancora di più. Per condurre una buona trattativa e, in generale creare un buon rapporto con un cliente di cultura diversa dalla nostra, bisogna tenere conto di molte variabili, che nulla hanno a che vedere con il progetto tecnico ed economico in gioco.

Cosa significa Cross Culture?

Potremmo parafrasare le definizioni più usate dicendo che cross culture è l’orientamento per comprendere e spiegare come le persone di differenti culture riescano a comunicare tra loro e come la cultura di una società racchiuda in sé i valori condivisi, la conoscenza, i presupposti e gli obiettivi che vengono appresi dalle generazioni precedenti, imposti dalla società moderna e tramandati alle generazioni future. L’elemento di base, dunque, è l’interazione con persone di cultura, etnia, razza, sesso, religione, età e classe sociale differenti.
La crescente globalizzazione ha reso ancora più evidente il fatto che le differenze culturali rappresentano un fattore chiave nei rapporti aziendali internazionali, un elemento di cui non si può assolutamente rinunciare ai fini del successo.

Sono sempre più frequenti gli incontri interculturali nei quali ci è richiesto di interagire con persone appartenenti alle culture più diverse. In queste circostanze possono emergere incomprensioni reciproche che ostacolano la cooperazione dei partner e rischiano di compromettere il successo di una trattativa.
Quando ci si muove nel mercato internazionale è quindi indispensabile sviluppare una sensibilità interculturale, che rappresenta una competenza cruciale con lo stesso valore delle capacità manageriali.
Interagire con culture diverse in ambito aziendale significa poter “tradurre” e comunicare efficacemente il nostro progetto. Il comportamento e le aspettative variano da cultura a cultura e le variabili sono molte.
Basti pensare alle differenze antropologiche, linguistiche, religiose e di costume che possono esistere tra di loro.
Da qui l’importanza di “informarsi” in anticipo sulla storia, la cultura, l’economia e le tradizioni del paese in cui si sta andando/trattando.
Essere ben informato, ci farà sentire più sicuri e, davanti al cliente rappresenta un punto di forza.
L’interesse che mostriamo verso la loro cultura, per loro si traduce in “rispetto”, e questo rappresenta il miglior punto di partenza per gettare le basi per una buona trattativa.
Il business efficace si fonda sulla gestione delle differenze culturali, e la Cross Cultural Business Etiquette, è l’etichetta/il galateo che se si applica nell’interazione con le altre culture nell’ambito degli affari.

Si tratta di un complesso di regole e suggerimenti utili (codici di comportamento) per fare business all’estero e con l’estero evitando gaffe e malintesi per lo più culturali che potrebbero facilmente rovinare le nostre trattative.

Per negoziare in modo sereno e con possibilità di successo, è importante tenere in considerazione e conoscere

Caratteristiche Culturali

Ogni Paese ha le sue proprie caratteristiche culturali, e la nostra sfida è più grande, se le persone hanno valori e credenze diversi e organizzano il loro mondo, comunicano e ascoltano in maniera diversa.

Corporate Culture

Ogni cultura ha la sua propria cultura aziendale. Alcuni sono molto strutturati e metodiche ed altri come quelli orientali sono più parsimoniosi. I latini sono più caotici, ma allo stesso tempo più flessibili e creativi.

Introduzioni, Saluti e Titoli

Il momento in cui si fanno le presentazioni è decisivo: la prima impressione può condizionare lo sviluppo delle relazioni. È di fondamentale importanza tenere conto degli usi e costumi che ogni cultura ha per la formula dei saluti; dalla prossemica (distanza di comfort) all’uso di titoli, nome e cognomi e dalla consegna dei biglietti da visita al contatto visivo.

Abbigliamento

Ogni cultura ha i suoi propri parametri e le sue regole per giudicare la nostra immagine personale quando facciamo affari. Diventa di fondamentale importanza conoscere queste regole per evitare degli errori, che possono sembrare banali.

Regali

Le regole dei regali sono molto variegate, ma esistono alcune regole internazionali, con le quali non si sbaglia mai. Bisogna conoscerle! Dobbiamo tener presente che ogni paese interpreta i regali in modo diverso. In alcuni è vietato fare regali quando si tratta di affari, e in altri sono i benvenuti. Bisogna tenere in mente, che i regali, così come i fiori, i colori, ecc. in alcune culture sono legati a tradizioni, credenze ed usi e costumi. Informarsi sui regali “SI” e i regali “NO” diventa di fondamentale importanza.

Cene, Pranzi e Momenti Conviviali

I momenti conviviali giocano un ruolo importante nelle trattative con qualsiasi cultura. È importante avere una buona conoscenza del “galateo sociale” della nostra propria cultura, al fine di comprendere le differenze della cultura con cui si ha a che fare.

La Cross Cultural Etiquette è una “soft skill”, che si capisce e impara meglio con dei casi pratici.

Alcuni esempi:
se con un americano si sente la pressione di “firmare l’accordo in fretta”, in Cina succede l’opposto. I cinesi impiegheranno molto più tempo a pesare non solo l’accordo tecnico/economico, ma anche la “fiducia” che metteranno nella vostra azienda. Apprezzeranno la vostra pazienza, il senso di rispetto per la loro gerarchia e i loro valori.
Se invece, si negozia con un inglese, durante la “small talk” si devono evitare le domande sulla sua famiglia (vita privata), perché si rischia una risposta del tipo: “non sono affari tuoi”! La loro privacy, non ha nulla a che vedere con il loro business, e si rischia di irritare la controparte e di iniziare male. 
Ma se invece la stessa domanda si fa ad un italiano o ad uno spagnolo, lui si sentirà felice e vi racconterà tutta la storia della famiglia, e sarà un ottimo punto di partenza per fare business.

Il mondo è bello perché è vario!

Una formazione specifica sul tema
La Cc-Ti organizza un corso sul tema intitolato “Cross Cultural Etiquette” in programma i prossimi 13 e 20 settembre 2021. Le iscrizioni sono aperte ed è possibile annunciarsi tramite questo link!

Articolo a cura di Edda Abbagliati, Consulente in Hospitality e Turismo, https://eddaaccademiadistile.com

Creare valore condiviso

L’impegno della Cc-Ti nel diffondere i principi e le buone pratiche per un’economia più sostenibile e responsabile: il nostro report CSR.

Lo sviluppo sostenibile, inteso come la capacità della generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i loro, è iscritto nella Costituzione federale ed è fatto proprio dal Cantone Ticino nelle sue diverse politiche settoriali.

Da molti anni la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) presta grande attenzione ai temi della responsabilità sociale delle imprese e della sostenibilità nelle sue tre componenti, economica, sociale e ambientale. Questa attenzione si concretizza in tutti gli ambiti della nostra attività, dalla gestione del personale ai rapporti con i fornitori, dalle relazioni con le autorità in generale alle singole iniziative di collaborazione fra pubblico e privato. Non è del resto un caso che numerosi strumenti da noi addottati siano stati ripresi da altre Camere di commercio e dell’industria svizzere, a dimostrazione che anche in Ticino si può essere innovativi. Una creatività tipica del tessuto economico che rappresentiamo, tenendo conto del contesto sociale e ambientale in cui ci muoviamo.


Scarica e leggi il report completo, a cura del CSR Manager della Cc-Ti, Gianluca Pagani.

Tema aziende: obbligo di vaccinazione?

Il Coronavirus con il quale siamo purtroppo confrontati da oltre un anno e mezzo non pone solo difficili questioni di gestione della sanità, degli aspetti sociali ed economici, ma presenta inevitabilmente anche molti aspetti di rilevanza giuridica. Come ampiamente previsto e prevedibile, la vaccinazione e un eventuale obbligo di sottoporvisi non fanno eccezione.

Anzi, è un tema molto delicato che ci accompagnerà nei prossimi mesi. Alcuni paesi, Francia in testa, proprio in questi giorni hanno iniziato a introdurre un obbligo di vaccinazione, inizialmente per il personale sanitario, ma vi è da credere che la discussione si estenderà anche ad altri ambiti, visto che comunque è già stata ventilata l’ipotesi che chi non è vaccinato nei prossimi mesi avrà una forte limitazione delle sue libertà, per cui si sfiora abilmente di fatto l’obbligatorietà generale per tutti. Qui non si tratta di dare giudizi, ma semplicemente di chiarire quali sono le basi legali oggi applicabili a questo tema.

1. Mondo del lavoro e vaccinazione

In generale, va rilevato che la legge federale del 28 settembre 2012 sulle epidemie, LEp, RS 818.101), e più precisamente l’articolo 22, prevede quanto segue:

“Se esiste un pericolo considerevole, i Cantoni possono dichiarare obbligatorie le vaccinazioni di gruppi di popolazione a rischio, di persone particolarmente esposte e di persone che esercitano determinate attività.”

Come si traduce questo nel contesto del mondo del lavoro, in assenza (finora) di un obbligo imposto dallo Stato?

La vaccinazione è considerata un modo efficace per controllare il Coronavirus e nel rapporto di lavoro evidentemente può assumere una certa rilevanza anche per evitare le assenze per malattia o per quarantena, la diffusione del virus, in un contesto di protezione per dipendenti e clienti. Si pone quindi in primo luogo la questione di sapere se vi sono le basi legali sufficienti ad oggi per il datore di lavoro di ordinare una vaccinazione obbligatoria e chiedere ai dipendenti se sono stati vaccinati.

Partiamo dal principio che nel quadro dell’attività lavorativa il datore di lavoro ha il diritto di impartire istruzioni, come previsto dall’art. 321d del Codice delle obbligazioni, per quanto riguarda l’esecuzione del lavoro.

Questa base legale è sufficiente per prevedere un obbligo generalizzato di vaccinazione per i dipendenti? Il fatto di poter disporre unilateralmente delle istruzioni sull’esecuzione del lavoro e il comportamento in azienda sembra aprire uno spiraglio in questo senso. Tuttavia, questo diritto va esercitato in modo ponderato, tenendo conto degli interessi dei dipendenti e deve avere un rapporto fattuale o funzionale con l’attività professionale svolta.

2. Vaccinazione obbligatoria solo in casi eccezionali?

Non esiste un potere generale per il datore di lavoro di ordinare la vaccinazione obbligatoria dei dipendenti, anche sulla base del diritto di dare istruzioni. Occorre valutare caso per caso. Maggiore è l’interesse operativo del datore di lavoro riguardo alla vaccinazione, tanto più grande sarà la probabilità che il diritto alla vita privata del dipendente e quindi la sua libertà di scelta sul vaccino possano essere limitati. L’obbligo di vaccinare i (singoli) dipendenti dell’azienda deve quindi essere reso necessario dall’attività professionale e solo se non vi è altra misura possibile per impedirlo.

È possibile ritenere che queste misure alternative siano costituite dagli elementi essenziali del concetto di protezione, come il regolare lavaggio delle mani con sapone, la regolare disinfezione delle mani e delle attrezzature di lavoro e l’uso di dispositivi di protezione (maschere, guanti, protezione degli occhi, tute protettive, ecc.).

3. Obbligo di vaccinazione e piani di protezione

Una vaccinazione obbligatoria ordinata dal datore di lavoro può essere attuata quando è necessaria per l’applicazione di un concetto adeguato e completo di protezione. Inoltre, la vaccinazione obbligatoria può essere giustificata se i dipendenti hanno contatti regolari o sono fisicamente vicini a persone che appartengono a un gruppo a rischio (ad esempio persone che soffrono di alcune malattie cardiache, malattie polmonari e respiratorie croniche, cancro, malattie renali, malattie del fegato o diabete). Nelle professioni sanitarie e di assistenza, la vaccinazione obbligatoria è ipotizzabile per le persone che hanno un contatto diretto con queste persone vulnerabili. Benché, nel contesto sanitario, la strategia di vaccinazione punti piuttosto a vaccinare queste persone particolarmente vulnerabili il più presto possibile, per cui la vaccinazione obbligatoria del personale curante dovrebbe essere l’eccezione piuttosto che la regola.

4. Obbligo di vaccinazione e viaggi all’estero

La questione dell’obbligo di vaccinazione assume una valenza particolare per i dipendenti che viaggiano all’estero se il viaggio è possibile solo con la vaccinazione, perché questo diventa una parte essenziale dell’adempimento del lavoro impartito. Obblighi presenti anche nel rapporto, ad esempio, con le compagnie aeree, che richiedono la prova della vaccinazione come parte dei termini contrattuali del viaggio.

Anche qui va valutato attentamente se i viaggi di lavoro sono sempre necessari, fatto in parte relativizzato negli ultimi mesi. In questo contesto, una vaccinazione obbligatoria per i dipendenti che appartengono a gruppi a rischio è difficilmente applicabile, visto che probabilmente non tutti gli spostamenti sono indispensabili. Inoltre, il datore di lavoro deve prendere le misure necessarie e ragionevoli per proteggere i dipendenti interessati, che siano vaccinati o meno e quindi tenere conto di questi aspetti nella situazione particolare dei viaggi di lavoro.

5. Si può rifiutare il vaccino?

Se i dipendenti si rifiutano di rispettare un obbligo di vaccinazione, violano il loro dovere di seguire le istruzioni. Se, di conseguenza, il lavoro non può essere eseguito, il datore di lavoro non è obbligato a pagare il salario. Inoltre, il datore di lavoro può dare disdetta del rapporto di lavoro, osservando i termini contrattuali o generali del preavviso necessario e tale disdetta non è abusiva. Se l’obbligo di vaccinazione risulta essere illegale, i dipendenti possono rifiutarsi di essere vaccinati senza che vi siano conseguenze di alcun genere. Se vi è stata disdetta del rapporto di lavoro sulla base di un obbligo considerato illegale, il licenziamento è abusivo e dà diritto al dipendente di chiedere un risarcimento fino a sei mesi di stipendio.

6. Come promuovere la vaccinazione volontaria

Ovviamente l’azienda può disporre misure che incitino i dipendenti a vaccinarsi volontariamente. L’azienda può pagare un premio per il fatto di essersi vaccinati o dare buoni-regalo, ma l’importo non dovrebbe essere troppo alto, altrimenti c’è il rischio che la vaccinazione non sia più veramente considerata volontaria. Lo stesso vale per i test volontari in azienda.

Al fine di promuovere la vaccinazione volontaria o di attuare la vaccinazione obbligatoria, un’azienda può organizzare una campagna di vaccinazione coordinata. Anche in una tale azione, i dipendenti devono essere liberi di decidere se vogliono partecipare o se vogliono essere vaccinati da un medico di fiducia. Inoltre, i dipendenti devono sapere quale vaccino verrà somministrato, poiché alcune persone non vogliono essere immunizzate con i vaccini di alcuni fornitori per paura degli effetti collaterali. Vi è quindi un chiaro obbligo di informazione da parte del datore di lavoro. Da non trascurare che, in caso di effetti collaterali gravi, vi può essere una responsabilità del produttore, di chi somministra il vaccino ma anche dell’azienda stessa, soprattutto se la persona che somministra il vaccino è uno dei suoi dipendenti.

7. Domanda se si è vaccinati o meno. È lecita?

Nel diritto del lavoro si pone spesso la questione di sapere se il datore di lavoro può porre determinate domande ai suoi dipendenti. Un caso classico è quello che concerne un’eventuale gravidanza in occasione del colloquio di assunzione.

Anche chiedere ai dipendenti se sono stati vaccinati può essere delicato. Sia appunto nel contesto del colloquio di assunzione che durante un rapporto già in essere. In linea di principio, il datore di lavoro è autorizzato a trattare solo i dati personali del lavoratore che sono rilevanti per la sua idoneità al rapporto di lavoro o che sono necessari per l’esecuzione del contratto di lavoro (art. 328b CO). Ciò significa che la questione della vaccinazione è consentita solo in misura limitata.

È ammissibile se un obbligo di vaccinazione è anche applicabile per legge o se i dipendenti non sono in grado di svolgere il loro lavoro o sono in grado di farlo solo in misura limitata se non vaccinati. Ciò può essere il caso, come visto anche in precedenza, per i dipendenti che devono spesso viaggiare all’estero e se le norme di viaggio della compagnia aerea o quelle di ingresso del paese di destinazione prevedono una vaccinazione obbligatoria. Se il fatto di essere vaccinati è importante per lo svolgimento del lavoro, la domanda è quindi possibile anche in altri casi in cui vi siano ragioni fattuali e non una semplice curiosità del datore di lavoro. In casi eccezionali, se la domanda su una vaccinazione esistente è inappropriata, non vi è obbligo di rispondere.

8. Protezione dei dati

In termini di protezione dei dati, il datore di lavoro deve anche garantire che le informazioni sul fatto che i dipendenti siano stati vaccinati o meno non vengano trasmesse a terzi. Particolare è il caso in cui vi sia un trattamento diverso fra i dipendenti vaccinati e non vaccinati (ad esempio, mascherina obbligatoria per i dipendenti non vaccinati, esclusione da certi eventi aziendali, ecc.). In tal caso, la divulgazione dei dati diventerebbe di fatto manifesta.

9. Conclusione

Se, in determinate circostanze, un’azienda può disporre un obbligo di vaccinazione per i propri dipendenti, questo eventuale obbligo va maneggiato con grande cura e ponderando bene tutti gli aspetti della situazione concreta. Un obbligo generalizzato, senza motivi particolari legati alla protezione e allo svolgimento concreto del lavoro sarebbe difficilmente considerato ammissibile. Difficile pertanto, ad oggi, stabilire regole che valgano indiscriminatamente per tutti. Ogni situazione va valutata con attenzione e individualmente. Almeno finché non dovesse esservi un obbligo impartito per ordine dello Stato.


Fonte: parte delle considerazioni che precedono sono tratte dall’articolo di Stefan Rieder, Avvocato specialista del diritto del lavoro, “Vacciner! Vacciné/e? pubblicato nella Newsletter n°7 di Ressources Humaines di luglio/agosto 2021

Buona ripresa delle esportazioni svizzere

L’economia svizzera è sopravvissuta alla pandemia di COVID-19 con perdite sorprendentemente ridotte. Perlomeno se si utilizza quale criterio di paragone il prodotto interno lordo (PIL). Nonostante la massiccia seconda ondata di contagi, il PIL ha ora quasi raggiunto di nuovo il livello pre-crisi.

Nel complesso quest’anno il PIL è cresciuto del 3,5% compensando così il calo nel 2020 (-2,6%). Dall’inizio del 2021 anche l’industria delle esportazioni ha avuto una grande ripresa.

Nel marzo 2021 le esportazioni dell’industria meccanica, elettrica e metallurgica hanno raggiunto il livello più alto da maggio 2019. Già dall’inizio dell’anno in corso si è potuto notare un aumento delle esportazioni verso i principali partner commerciali: ciò è stato possibile grazie alla forte domanda globale di beni e merci.

Non solo i macchinari e l’industria hanno avuto un forte rialzo nell’export, anche il settore farmaceutico prosegue positivamente: paragonato al livello pre-pandemia, nel primo trimestre 2021 ha avuto un aumento del 10%.
In particolare, i mercati USA e Cina hanno contribuito a questo incremento. Invece, in Germania e in Italia la ripresa delle esportazioni avanza più lentamente, mentre che i mercati spagnoli e francesi sembrano conoscere anch’essi, una ripresa più positiva.

Persino l’industria dell’esportazioni orologiera nel 1° trimestre 2021 ha registrato quasi gli stessi livelli del pre-pandemia (dati 2019), sebbene nel 2020 abbia incontrato grandi difficoltà. Sembra che in Cina sia stata rilevata un forte incremento della domanda di commercio svizzero dell’orologeria, e che negli Stati Uniti gli aiuti alle famiglie da parte del Governo americano per far ripartire l’economia, abbiano fatto aumentare anche la richiesta nel campo orologiero.

Grazie all’avanzare della campagna di vaccinazione COVID-19 e all’aumento dei test di massa in Svizzera (e ne resto del mondo), i contagi stanno continuando a scendere: questo fa sì che le prospettive economiche e congiunturali per il secondo semestre del 2021 si presentino in maniera abbastanza positiva.
Da un lato, l’attività nella maggior parte dei settori dei servizi svizzeri sta riprendendo quasi gradualmente dopo l’allentamento delle misure di contenimento della pandemia; d’altro canto, grazie ad una domanda mondiale di beni superiore alla media e ad un settore che si sta ancora riprendendo, c’è persino una carenza diffusa.

Di conseguenza, l’indice PMI per l’industria svizzera, che riflette la domanda industriale, è attualmente al livello più alto dall’inizio dell’indagine nel 1995. Grazie al boom di ripresa in corso nell’industria globale, le esportazioni nel settore MEM svizzero sono aumentate e continuano la loro ascesa.

Inoltre, il graduale allentamento delle restrizioni nell’Unione Europea (UE) dovrebbe risollevare la fiducia dei consumatori e quindi contribuire anche a una ripresa delle esportazioni di orologi svizzeri verso l’UE.


Articolo di Tiziana Hunziker, Swiss Export Journal 3.Quartal 2021 – traduzione e adattamento Cc-Ti

I servizi export digitali della Cc-Ti

La Cc-Ti, fondata nel 1917, da oltre 100 anni, lavora come associazione mantello dell’economia ticinese al servizio delle aziende, sia quelle che operano con e sul mercato interno come pure quelle che lavorano con l’estero. Negli anni l’economia, le persone, le imprese e il mondo nel suo complesso, si sono “tenuti al passo” per fronteggiare al meglio le molteplici esigenze sempre più impegnative dell’internazionalizzazione.

Per questo motivo, crediamo che non ci sia momento migliore per avvalersi del mondo della digitalizzazione anche nel settore dell’export, e in particolar modo, per il rilascio dei certificati d’origine.
Senza un certificato di origine rilasciato da una Camera di commercio e dell’industria competente, che confermi la provenienza della merce, non è possibile esportare dei prodotti in un Paese con il quale la Svizzera non ha alcun accordo di libero scambio (ALS) o altre attestazioni di origine, per le quali quali, inoltre, si richiede sempre più celerità nell’emissione.  

Fino a pochi anni fa era impensabile poter richiedere la legalizzazione di documenti per l’esportazione, quali certificati di origine, fatture e altre attestazioni, tramite un portale web. Complice anche la pandemia e l’incremento dell’home working, da qualche tempo è possibile richiedere l’emissione dei documenti direttamente online comodamente da casa o dall’ufficio. Infatti, non è mai stato così facile, veloce e sicuro richiedere un certificato d’origine. Tutto questo è possibile grazie all’utilizzo della piattaforma www.certify.ch, già in utilizzo con successo e praticità anche per altre Camere di commercio e dell’industria svizzere (CCIS).

Per tutte le aziende che erano abituate a fornire le domande di attestazione e a ricevere i documenti via posta cartacea, adesso tutto può avvenire semplicemente online. I certificati e i documenti legalizzati potranno poi essere comodamente stampati dal richiedente o utilizzati in PDF. La piattaforma non ha alcun costo supplementare e i prezzi delle differenti prestazioni rimangono invariati. Si guadagna sicuramente in velocità e in sicurezza.

La piattaforma è accessibile 24h su 24h, 7 giorni su 7, accedendo con il proprio nome utente e la propria password, che la Cc-Ti vi rilascerà al momento della creazione dell’account.

Un altro documento che si può richiedere online è il Carnet ATA (Ammissione temporanea/Temporary Admission), questo documento doganale ufficiale viene definito come il passaporto per le merci utilizzato per l’esportazione temporanea di merce all’estero, per quanto riguarda le mostre fiere e congressi, campioni commerciali e materiale professionale.

L’idea di un regime di ammissione di franchigia per i campioni era già stata elaborata su base bilaterale tra Austria e Svizzera, regime che entrò in vigore tra i due Paesi nel febbraio del 1954. Fu così creata la prima Convenzione, con la documentazione Carnet ECS (dal francese “Echantillons Commerciaux”) che andava a sostituire qualsiasi deposito o garanzia per i dazi e gli oneri all’importazione.
A seguito del successo del Carnet ECS seguì il Carnet ATA, visto come una versione aggiornata a quella precedente.
Anche questo documento era compilato manualmente. Purtroppo, ancora oggi il documento ATA non è ancora del tutto digitalizzato, ma si sta lavorando a un prototipo per renderlo fruibile al 100% in formato elettronico.

Il Carnet ATA è uno strumento che garantisce notevoli vantaggi sugli scambi internazionali e assicura maggiore semplificazione dei regimi doganali, facilitando così l’esportazione temporanea di merce all’estero, armonizzando le svariate procedure, proseguendo obbiettivi di carattere economico, culturale, sociale, umanitario e turistico.

Un documento simile è il Carnet CPD, utilizzato solamente per le esportazioni temporanee a Taiwan e in un certo numero di Paesi ATA tra cui la Svizzera. Questo documento viene rilasciato dalla Camera di commercio e dell’industria e le condizioni per il suo uso sono identiche a quelle previste per il Carnet ATA.

Per poter richiedere un Carnet ATA bisogna contattare la propria Camera di commercio e dell’industria, che vi indirizzerà sul portale www.ataswiss.ch, la pagina sulla quale si possono richiedere i Carnet ATA online dopo aver creato il proprio account. Anche questo portale è accessibile 24 h su 24 h, 7 giorni su 7, comodamente da casa o dall’ufficio. Una volta effettuato il log-in con il proprio nome utente e la propria password, si può iniziare in modo semplice e pratico la compilazione del documento ATA.

Per qualsiasi informazione il servizio Export e Legalizzazioni della Cc-Ti è a vostra disposizione.

AFCFTA: l’accordo di libero scambio nel Continente africano

Il Trattato di Libero Commercio Continentale Africano, (in inglese African Continental Free Trade Agreement, abbreviato AFCFTA) è un trattato internazionale che regola l’apertura delle frontiere e la creazione di un’area di libero scambio tra i Paesi africani membri.

La zona di libero scambio del continente africano rappresenta dunque un nuovo mercato comune, il più vasto al mondo in termini di popolazione.

La prossimità geografica e il potenziale in ascesa delle differenti economie africane creano numerose opportunità per le aziende esportatrici svizzere.
La Svizzera vanta una lunga tradizione di partenariato con il Continente africano e gode di un’ottima reputazione.

Il lungo cammino verso l’integrazione africana

L’accordo di libero scambio continentale africano (AFCFTA) è un progetto ambizioso, dettato da una volontà politica che dovrebbe permettere sviluppi economici favorevoli per grandi progetti; forti del dinamismo economico che caratterizza diverse Nazioni africane.
Progetto faro dell’Agenda 2063 dell’Unione Africana, l’AFCFTA stabilisce un mercato unico che dovrebbe rivitalizzare lo spazio commerciale africano, promuovendo l’industrializzazione, creando nuovi posti di lavoro e migliorando la competitività delle industrie africane a livello mondiale.
In termini di popolazione (parliamo di 1.3 miliardi di abitanti), l’AFCFTA pone le fondamenta della più vasta zona di libero scambio dopo la creazione dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). 54 dei 55 Stati membri dell’Unione africana l’hanno firmato, fatto che rappresenta un PIL combinato di 3.4 miliardi di dollari.

Il 1° gennaio 2021 ha segnato l’apertura operativa dei mercati di questa nuova grande zona di libero scambio per 36 Paesi che avevano già ratificato l’accordo. I protocolli sul commercio di merci, il commercio dei servizi e la risoluzione di controversie, derivati dalla fase I delle negoziazioni, sono entrati in vigore contemporaneamente all’accordo. I paesi che l’hanno ratificato sembrerebbero essersi messi d’accordo sulle regole d’origine per più dell’81% delle linee tariffarie. Ad oggi, l’Africa è pertanto in grado di iniziare il libero scambio per più dell’81% dei prodotti alle condizioni preferenziali. Le parti dovranno ancora accordarsi sul 19% restante, nonché sul commercio dei servizi. La fase II delle negoziazioni tratterà i protocolli sugli investimenti, i diritti della proprietà intellettuale e la politica in materia di concorrenza; la fase III si concentrerà sull’e-commerce.


Svizzera e Africa

L’Africa subsahariana sta guadagnando peso geopolitico e rilevanza economica. Benché il subcontinente continui a confrontarsi con innumerevoli sfide, spesso annose, la rapida trasformazione sociale, economica e politica apre nuove opportunità.
Il Consiglio federale vuole dare maggiore peso e rilievo alla politica della Svizzera per l’Africa subsahariana, rafforzando ulteriormente la coerenza della sua politica estera. A tal fine intende modellare le relazioni bilaterali e regionali con l’Africa subsahariana all’insegna del partenariato. Facendo leva su un’analisi geopolitica del contesto regionale e sulla Strategia di politica estera 2020–2023, il Consiglio federale ha determinato 4 priorità tematiche:

  • pace, sicurezza e diritti umani
  • prosperità
  • sostenibilità
  • digitalizzazione

La strategia del Consiglio federale per l’intera regione del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA) – che costituirà il quadro di riferimento per tutte le attività svizzere in quest’area negli anni 2021-2024 – si riferisce ai Paesi a sud del Sahara e riguarda 49 Stati.

L’Africa subsahariana e le sue regioni limitrofe (Fonte: DFAE)

Fonte: CCIG info, aprile 2021, adattamento e sviluppo Cc-Ti

Link utili: Strategia MENA del Consiglio Federale – 2021-2024

Gli elementi di un’«azienda felice»

Nelle risorse umane definiamo normalmente tre “pilastri” che abbracciano questa disciplina: il team building, la formazione e il benessere del dipendente. Quando questi tre elementi sono allineati possiamo parlare di «azienda felice».

Il capitale umano rappresenta il vantaggio competitivo di ogni azienda, che va preservato e tutelato mettendo il dipendente al centro della strategia di sviluppo delle HR.

È questo quanto tematizzato il 5 luglio nell’ultimo webinar della Cc-Ti prima della pausa estiva, in cui sono intervenuti quali esperti Andrea Abbatelli, Partner KIAI Sagl; Roberto Sciarra, General Manager OneOnOne Switzerland e Roberto Klaus, Direttore SSIB Ticino; moderati da Lisa Pantini, Responsabile comunicazione Cc-Ti.

Costruire le condizioni win to win

Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo” La citazione di Henry Ford riassume lo spirito del gruppo e del “fare squadra”. Occorre però costruire le condizioni corrette per realizzare un gruppo coeso. Il team occupa un elemento centrale nella gestione delle attività all’interno delle aziende. Avendo bisogno di innovazione e della costruzione di soluzioni che siano sempre più vicine alle esigenze dei clienti, questi due elementi finiscono per combinarsi tra loro. L’uno non potrebbe funzionare senza l’altro.
Nessun dipendente, in realtà, può lavorare da solo; ognuno necessita dell’altro per realizzare i propri compiti – all’interno di un dato sistema -. Diventare ed essere una squadra è però un processo che comporta diversi passaggi e per funzionare al meglio sottostà a regole e dinamiche precise e dinamiche.
Se lavorare in gruppo è faticoso e non banale, tutti sono corresponsabili della costruzione delle condizioni stesse e un team è felice e vincente quando oltre ad ottenere i suoi scopi riesce a costruire anche le corrette opportunità per soddisfare nella totalità i suoi membri. Durante il webinar sono stati fatti numerosi esempi di situazioni in cui gruppi e team si sono mossi e si sono evoluti in modo più o meno positivo a dipendenza dei presupposti sui quali hanno operato.

Il benessere in azienda

Nell’era della tecnologia e con la spinta digitale degli ultimi anni, una giornata lavorativa media per molte persone comporta anche necessariamente, lunghi tempi di sedentarietà, indipendentemente dal tipo di lavoro che si svolge e dal settore. Il concetto di “benessere” nel corso degli anni ha subito numerose modifiche, le quali hanno condotto a una visione del termine più ampia ed esaustiva.
In particolare, dagli anni ‘70 a oggi il ‘benessere’ non è più incentrato soltanto sull’idea di un fisico scolpito, ma si vuole considerare l’intero equilibrio psico-fisico dell’essere umano.
Il benessere è anche un tema che l’azienda può utilizzare quale incentivo per attrarre i futuri collaboratori, fidelizzare i propri e, in generale, per la propria strategia HR. Inoltre, l’attenzione alla salute e alla qualità della vita dei propri collaboratori è un fattore che, nei tempi odierni, è percepito come sempre più determinante per l’incremento della produttività, riflettendosi certamente poi anche sulle dinamiche interne di team. Esistono numerose azioni che possono essere intraprese per progettare un well-being aziendale, più o meno impegnative in termini di strutturazione, dalle quali cominciare per inserire il concetto e la cultura del ‘benessere’ nelle aziende: alcuni esempi possono essere meeting con postazioni attive, eventi dedicati al benessere (‘giornata del benessere’), comunicazione mirata, ecc..

La formazione: quando il sapere crea passione

Lo studio, il porsi domande, l’essere critici è una delle componenti necessarie della crescita e della progressione verso la serenità e la realizzazione personale dell’individuo. Il sapere e la formazione non possono più permettersi di limitarsi alla semplice trasmissione di nozioni e conoscenza. Oggi occorre dare un valore aggiunto con un accompagnamento per orientarsi in modo più marcato e distinguersi. La formazione sul posto di lavoro è determinante per permettere di ottimizzare le conoscenze e il potenziale dei propri collaboratori creando un circolo virtuoso di ‘lifelong learning’ (o apprendimento continuo), qui inteso come processo di apprendimento volto a incrementare le proprie competenze e l’acquisizione di nuovi ruoli. Inoltre, investire in modo costante nella formazione continua dei collaboratori resta una delle migliori azioni concrete da attuare per far fronte alla crescente difficoltà di reperire risorse umane qualificate.

La Scuola Manageriale della Cc-Ti

La Scuola Manageriale intende offrire formazioni di lunga durata rispetto ai più classici corsi di formazione puntuale brevi orientati alla formazione continua per i leader di domani: tramite le proposte formative studiate e costantemente aggiornate, si propongono ai partecipanti (siano essi imprenditori, dirigenti, futuri quadri, collaboratori, ecc.) percorsi di perfezionamento professionale che garantiscano loro una preparazione adeguata per affrontare le sfide a cui saranno chiamati a rispondere con un nuovo bagaglio di competenze.

Lo “Specialista della gestione PMI con attestato federale” è destinato a coloro che desiderano acquisire le competenze per assumere la posizione di quadro in una PMI. Il percorso di studi, strutturato sull’arco di un anno e mezzo, comprende sei moduli: Gestione generale dell’impresa; Leadership, comunicazione, gestione del personale; Organizzazione aziendale; Contabilità; Marketing e Diritto in materia di gestione d’impresa PMI. A completamento dei moduli si svolge un modulo interdisciplinare finale, durante il quale verranno ripetute e completate le competenze acquisite nei moduli studiati. Dopo ogni modulo i partecipanti sostengono un esame sulla materia. Con il superamento dei 6 esami è possibile accedere all’iscrizione dell’esame federale per il conseguimento del titolo di “Specialista della gestione PMI con attestato professionale federale”.

Il prossimo percorso di studi avrà inizio in ottobre. La Cc-Ti è volentieri a disposizione per tutte le informazioni del caso.


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