Il 5 maggio scorso si è svolto il webinar “Il digitale incontra l’export” dedicato a un argomento di attualità e in forte espansione. All’incontro online – organizzato dalla Cc-Ti, in collaborazione con S-GE, hanno assistito una quarantina di partecipanti.
Al webinar sono intervenuti Michele Merazzi, Vicedirettore Cc-Ti; Martina Grisoni, Responsabile Servizio Export Cc-Ti; Silvia Del Vitto, Head of Sales & International Client Management Intarget Suisse e Monica Zurfluh, Head of S-GE Southern Switzerland.
Il COVID-19 ha modificato le abitudini, gli usi, i consumi e gli acquisti di consumatori e aziende attive su mercati nazionali ed internazionali, con profonde trasformazioni. Le aziende sono spinte verso nuove evoluzioni, rivolgendosi sempre di più verso un mercato digitale, sviluppando nuove strategie di distribuzione. Dai dati dell’Amministrazione federale delle dogane, il valore dell’export in Svizzera è calato del 7.1% nel 2020, rispetto al 2019; ciò è dovuto anche alla pandemia e ai suoi diversi effetti. Fortunatamente, il 2021 è cominciato in positivo con un incremento del 5.4% rispetto al dicembre 2020. Con dati come questi è difficile fare delle previsioni attendibili per scenari futuri anche a breve termine, la situazione economica dipenderà molto dall’andamento congiunturale e dalla campagna vaccinale a livello globale.
Il nuovo consumatore è globale
Internet è sempre più globale, le aziende necessitano gli strumenti digitali e il digital marketing rappresenta un ponte verso nuove opportunità da sfruttare. Il web non è sicuramente una novità per le aziende, come pure per i consumatori, ma nell’ultimo anno c’è stata una netta escalation del loro utilizzo.
Digital export?
Che cosa si intende quando parliamo di ‘digital export’? Si tratta dell’implementazione di modelli di business B2B o B2C attraverso le leve del marketing digitale e dell’utilizzo di piattaforme online al fine di espandere un’attività al di fuori dai confini nazionali.
Le tendenze confermano che i digital buyers, ossia coloro che compiono acquisti online anche da un marketer straniero, rappresentano oggi più del 30% della popolazione mondiale. E si tratta di una tendenza destinata a crescere.
La sicurezza prima di tutto
e-commerce B2C in Svizzera
La Svizzera è prima nel B2C e-commerce Index 2020, annuale classifica redatta dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD). Le economie sono classificate in base all’accessibilità a server Internet sicuri, affidabilità del servizio postale e della sua infrastruttura e la percentuale di popolazione che usa internet e possiede un account presso un’istituzione finanziaria o un servizio di pagamento mobile.
Prosperare, anche online
Il digitale e l’internazionalizzazione diventano cruciali per aiutare un business a crescere e prosperare raggiungendo nuovi consumatori all’estero. In questo ambiente dinamico, con un consumatore sempre più attento, le esigenze cambiano costantemente e da mercato a mercato. A cosa prestare attenzione?
Identificare i nuovi mercati
Valutare le barriere all’ingresso
Pianificare l’operatività
Promozione, marketing e pubblicità
Misurazione della performance ed espansione
Con un approccio strategico e con il supporto di strumenti esistenti quali, ad esempio, Google Trends e Google Market Finder, sarà poi possibile identificare nuovi mercati target. In questo modo si potranno prendere decisioni più ponderate, adattando il proprio modello di business ai mercati interessati e ottimizzando l’investimento e le strategie di marketing sulla base delle informazioni più attuali e delle ultime tendenze.
I marketplace
Si definisce tale, un sito online di intermediazione per la compravendita di beni e servizi, come ad esempio Zalando o Amazon, i più conosciuti alle nostre latitudini. Interessante sottolineare come i marketplace rappresentino oggi il 50% delle vendite online a livello globale. La caratteristica che differenzia un marketplace da un e-commerce è la presenza all’interno del sito di merci, prodotti e servizi di più produttori o venditori. Questo genere di negozio online si distingue secondo due criteri: orizzontale – se vende prodotti di diverse categorie e verticale – se è specializzato in una sola categoria. Questo tipo di negozi, paragonabili a dei veri e propri supermercati online, offre diversi vantaggi, tra cui al primo posto una favorevole accessibilità economica.
Una nuova normalità: la visibilità online
Visto che la presenza fisica è ormai limitata, occorre aumentare e rafforzare la propria visibilità online, focalizzandosi sul definire la migliore strategia d’entrata sul mercato, ottimizzando il proprio e-commerce e/o sfruttando i marketplace esistenti, considerando però già da ora anche strategie multicanale e non dimenticandosi di chiarire gli aspetti legali, fiscali e logistici della vendita a distanza. Oggigiorno una presenza e una buona immagine online sono qualità necessarie. Se da un lato il proprio sito va curato, aggiornato e ottimizzato (SEO), anche l’impegno nell’essere attivi sui social media va potenziato. Questi ultimi stanno diventando sempre di più un canale preferenziale attraverso i quali i consumatori effettuano i propri acquisti. Da non sottovalutare il fatto che il sito web deve essere ottimizzato per il ‘mobile’. Switzerland Global Enterprise ha creato un settore dedicato sul proprio sito web con numerose informazioni e consigli utili e dove offrirà ad inizio giugno anche dei webinar tematici.
Un ulteriore strumento per rendersi visibili sono i mercati e le fiere digitali. C’è ancora molto scetticismo e resistenza alla partecipazione a questi eventi virtuali, non va tuttavia dimenticata l’importanza di questi luoghi d’incontro per testare le acque, restare in contatto con i propri clienti e partner e acquisirne di nuovi. Come avviene per il sito web, il contenuto è la chiave e deve essere accattivante, ma anche autoesplicativo e incoraggiare i visitatori ad essere proattivi e a mettersi in contatto con l’espositore. La sfida maggiore resta il far confluire i visitatori sul proprio stand, risolvibile solo potenziando le proprie attività di web marketing.
La presenza nei database
Sono diverse le piattaforme che facilitano la visibilità online consentendo nel contempo di far incontrare domanda e offerta, fra cui:
PartneringOpportunity Database (POD) – la più grande banca dati di scambi commerciali e di innovazioni tecnologiche dell’Unione europea e dei Paesi associati. La Svizzera vi partecipa in qualità di Paese associato e il consorzio EEN svizzero è costituito da S-GE (ricerca di partner commerciali) e da Innosuisse e Euresearch (ricerca di partner tecnologici);
S-GE matchmaking– banca dati in cui le aziende svizzere possono cercare e selezionare esperti e dove vengono pubblicati annunci di aziende estere alla ricerca di fornitori svizzeri.
Valutare nuovi mercati in remoto…
Nell’impossibilità o comunque difficoltà di viaggiare, valutare nuovi mercati e riunire informazioni utili di persona ad una presa di decisione resta difficile per le aziende esportatrici. Online si trovano tuttavia alcuni strumenti utili in proposito, quali il Market Finder di Google, promosso in collaborazione con S-GE (che consente di stimare le dimensioni di un mercato sulla base delle ricerche effettuate online dal proprio target di clientela e di altri criteri) ) e il GoGlobal Cockpit (basato invece sulle voci di tariffa doganale dei prodotti esportati e presto esteso anche ai determinati servizi).
Va tuttavia tenuto presente che a volte sarà necessario adattarsi ad altri motori di ricerca (Baidu, Yandex…) e utilizzare rispettivamente confrontare i risultati di diversi strumenti per valutare un mercato e pianificare la propria espansione internazionale.
… ma attenzione alle barriere tariffarie e non tariffarie
Dazi doganali, tasse e formalità d’importazione sono tra i fattori più importanti che frenano l’accesso ai mercati ed ogni azienda dovrebbe essere in grado di identificarli per tempo. Uno strumento indispensabile e che si appresa all’uso quotidiano è la banca dati doganale, che fornisce dati in 150 Paesi.
Anche la Cc-Ti offre dei servizi export digitali
Inizialmente, tutti i certificati di origine non preferenziale venivano emessi in modalità cartacea, muovendosi sempre più però verso la digitalizzazione, anche la Cc-Ti ha voluto creare – assieme all’International Chamber of Commerce e alle altre Camere di commercio e dell’industria svizzere – una piattaforma online utilizzata con successo www.certify.ch (accessibile 24h su 24h, 7 giorni su 7, tramite il proprio nome utente e la propria password). Non è mai stato così veloce, pratico e sicuro richiedere l’emissione del Certificato di origine. I certificati e i documenti legalizzati possono essere comodamente stampati dal richiedente o utilizzati in PDF. La piattaforma non ha alcun costo supplementare e i prezzi rimangono invariati. Si guadagna sicuramente in velocità e in sicurezza.
Tutti i dettagli su questi servizi digitali nell’articolo di approfondimento già online sul nostro sito.
Oltre al rilascio dei certificati di origine, la Cc-Ti emette anche il Carnet ATA, questo documento serve all’esportazione temporanea di merce all’estero, per mostre fiere e congressi, campioni commerciali e materiale professionale. Il Carnet ATA, che purtroppo al momento non è ancora del tutto digitale, ha la durata di un anno, nel quale si può varcare il confine senza dover pagare dazio o IVA. Entro la data di scadenza del Carnet ATA tutta la merce esportata deve rientrare in Svizzera, dopo di che si potrà richiedere l’emissione di un nuovo documento per l’anno successivo. Maggiori informazioni le potete trovare sulla piattaforma www.ataswiss.ch. Su questa piattaforma è possibile, dopo essersi registrati, richiedere il Carnet ATA online, che verrà poi stampato dalla Cc-Ti.
Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Lo scorso 26 febbraio il Tribunale cantonale di Lucerna ha emanato una sentenza che, se confermata dal Tribunale federale, implica un’importante modifica del calcolo delle indennità per il lavoro ridotto.
In effetti, statuendo su un ricorso presentato da un esercizio pubblico, i giudici lucernesi hanno ridefinito la base di calcolo per determinare tali indennità. Rifacendosi all’art. 34 della Legge federale sull’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e l’indennità per insolvenza (LADI) hanno ricordato che determinante, fino al limite massimo valido per il calcolo dei contributi è il salario, convenuto contrattualmente, dell’ultimo periodo salariale prima dell’inizio del lavoro ridotto. Sono compresi le indennità per vacanze e gli assegni contrattuali periodici, purché non continuino ad essere versati durante il periodo di lavoro ridotto o non costituiscano indennità per inconvenienti connessi al lavoro.
Partendo da questa norma di legge, il Tribunale ha accolto le richieste della ricorrente, nel senso di considerare nella base di calcolo anche le indennità per vacanze, elemento che fino ad allora nessuna cassa di compensazione aveva tenuto in linea di conto. Il Consiglio federale e la Seco, nella gestione della crisi pandemica, avevano infatti escluso questo aspetto dal calcolo delle indennità.
I giudici nel motivare la loro sentenza hanno sottolineato che la regola dell’art. 34 LADI non può essere modificata da una semplice ordinanza del Consiglio federale (di rango inferiore) o da direttive della Seco. Ne consegue che le indennità per lavoro ridotto vanno aumentate come sopra indicato.
Stando a quanto sopra le aziende possono pertanto chiedere un riesame del calcolo per le indennità di loro spettanza. Considerato che l’ultima parola spetterà al Tribunale federale, d’intesa con l’Unione svizzera degli imprenditori, è stato suggerito alle aziende di presentare una richiesta di riconteggio delle indennità e di sospendere contestualmente, in attesa di una decisione definitiva, la stessa procedura di riesame (cfr. newsletter Cc-Ti del 16 aprile 2021).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-10 06:51:002021-05-04 13:52:15Indennità per lavoro ridotto: importante sentenza del Tribunale cantonale di Lucerna
Sono conosciute differenti ipotesi di origine di questa forma di comunicazione nel business. Una storia comunemente nota è quella di Ilene Rosenzweig e Michael Caruso, due ex giornalisti negli anni ’90. Secondo Rosenzweig, Caruso era un redattore senior di Vanity Fair e stava continuamente tentando di fasi notare dal redattore capo della sua rivista e l’unico modo che alla fine escogitò fu quello di provare a parlarle approfittando anche di brevi periodi liberi di tempo, come in un giro in ascensore.
Prende il nome dal tempo necessario per comunicare, la durata di una breve corsa in ascensore (da 30 a 60 secondi o 75 circa)
L’Elevator pitch è infatti un discorso che una persona farebbe a un investitore, per esempio, se si trovasse per caso con lui in ascensore. L’imprenditore, quindi, si troverebbe costretto a descrivere sé o la propria attività sinteticamente, chiaramente ed efficacemente per convincere l’altro ad investire su di lui, ma con i limiti di tempo imposti da una corsa in ascensore (la letteratura specialistica al riguardo fissa tale limite massimo di 5 minuti).
Si tratta di una vera competenza
Sviluppare questo tipo di competenza è sicuramente basilare e richiede una grande dedizione e tanto tanto allenamento. Si può parlare di elevator pitch sia se viene fatto durante un evento fisico, che in modalità asincrona (un’e-mail o un video).
Esistono varie tipologie di elevator pitch a seconda della durata oppure del target a cui è rivolto (consumatori, imprenditori, superiori o colleghi, …). Normalmente viene calcolato “un pitch” della durata dai 30 ai 120 secondi.
Descrive l’idea per cui una persona dev’essere in grado di presentare il proprio pensiero nel tempo di una corsa, reale o immaginaria, in ascensore.
Un breve, utile e accattivante riassunto… A volte si pensa che i pitch degli ascensori siano specifici per un’idea o un prodotto, ma si possono anche usarli per “promuoversi” come professionisti.
I professionisti dovrebbero avere sempre a disposizione un discorso accattivante in grado di fornire informazioni su sé stessi o su di un proprio progetto, che possano fornire in un breve periodo di tempo. Invece di aspettare che l’altra parte diriga la conversazione e, potenzialmente, lontano da ciò di cui si vorrebbe discutere, si può spiegare in modo assertivo ciò che si ha da offrire.
È da considerarsi come un documento da aggiornare costantemente e “sfoderare” ad ogni buona occasione, che sappia “dare valore” ad ogni vostra singola parola.
Viene valutato come un’intraprendenza positiva
Un vantaggio nell’usare questo approccio quando parlate della vostra carriera o delle vostre aspirazioni è che potete dimostrare di essere in grado di prendere l’iniziativa. In molte interazioni, come un colloquio di lavoro, questo può essere impressionante per il vostro pubblico: sarà lieto di vedere che sapete sia cosa volete, sia come chiederlo.
Essere in grado di presentarvi a qualcuno in modo convincente, può aiutarvi a prepararvi per una conversazione professionale di successo, sia che si tratti di un evento di networking, con un collega o all’inizio di un colloquio. Uno strumento per rendere le informazioni da comunicare semplici ed efficaci.
Dallo schermo del telefono al colloquio di persona, vi verrà chiesto di fornire un riepilogo di chi siete, della vostra formazione e di ciò che desiderate dal prossimo lavoro. Questa sintesi “mentale” può essere una buona struttura mentre state pianificando la vostra risposta alla popolare domanda “parlami di te”.
Allo stesso modo può essere utilizzata per delineare la vostra lettera di presentazione o una dichiarazione riassuntiva professionale o, ancora, un’offerta di collaborazione azienda/azienda. Una dichiarazione di sintesi deve avere lo scopo di raccontare al lettore chi siete professionalmente, quale lavoro vi appassiona e perché siete qualificati per farlo, in un modo che vi aiuti a distinguervi dagli altri.
Quali passi sono alla base
Una presentazione personale è utile anche per il networking a un evento o durante un incontro spontaneo. Che voi siate in fila al supermercato, a un cocktail party o a un incontro professionale organizzato, la presentazione può aiutare rapidamente i nuovi contatti a capire perché dovrebbero connettersi con voi o considerarvi quando si presenta un’opportunità.
1. Iniziate presentandovi (i primi 10 secondi sono importantissimi). Assegnate delle priorità ai vostri contenuti
2. Fornite un riepilogo di ciò che fate o rappresentate. Siate preparati e attenti a rispondere alle molte domande che vi faranno, probabilmente quelle sono le cose che vogliono sentirsi dire
3. Spiegate cosa volete (create pitch di diversa durata 30 secondi, 60 secondi, 120 secondi in modo da essere sempre pronti ad affrontare ogni imprevisto)
4. Terminate con un invito all’azione (“Ha tempo per prendere un caffè? Ci possiamo sentire per un fissare un incontro? Le posso inviare una mail? …) Non dimenticate il vostro biglietto da visita.
Errori comuni
Parlate in modo naturale Suonare troppo preparato può rendere la conversazione forzata, quindi fate del vostro meglio per esprimervi con un tono colloquiale.
Rallenta Se parlaste troppo velocemente, l’ascoltatore potrebbe perdere alcune informazioni importanti. Potrebbe essere la vostra tendenza naturale a parlare velocemente o potrebbe verificarsi se vi sentite nervosi. Indipendentemente da ciò, fate uno sforzo consapevole per ridurre la velocità e incorporare questa strategia quando provate il vostro tono.
Usa un tono per la maggior parte (ma non tutte) le occasioni Potrebbe non essere necessario personalizzare la vostra presentazione per tanti diversi tipi di pubblico. È una buona idea avere una presentazione generale che potete usare in qualsiasi momento, ma dovreste provare ad adattare la vostra presentazione ogni volta che potete. Più le vostre idee sono personalizzate, più è probabile che voi otteniate un risultato positivo dalla conversazione. Mostrate il vostro profondo interesse e rispetto per il tempo dell’ascoltatore.
Facile da capire Usate un linguaggio semplice che tutto il pubblico possa capire. Ad esempio, se includete un gergo tecnico e termini specifici del settore che solo qualcuno conoscerebbe, potreste alienare un reclutatore, o chiunque altro, che non ha lo stesso livello di conoscenza. Questo può rendere difficile per loro farvi domande di follow-up e potrebbe renderli meno propensi a continuare la conversazione con voi. Salva termini di nicchia per un colloquio tecnico e rendete il vostro discorso facile da seguire per tutti.
In una realtà che corre sempre più veloce e non concede tempo, questo può essere un modo per usare il vostro tempo nel modo più opportuno, senza sprecarne neppure 30, 60,120 secondi.
L’impegno delle imprese per supportare la mobilità è accertato. Sono infatti numerose le attività delle aziende del territorio volte a favorire gli spostamenti per i tragitti ‘casa-lavoro-casa’ dei propri dipendenti, con proposte aziendali strutturate e concrete. La gestione della mobilità è fondamentale per stare al passo con l’evoluzione sociale ed economica del nostro Cantone.
Nel corso dell’ultimo lustro si sono moltiplicate azioni atte a conciliare trasporto, viabilità e vivibilità del territorio, con misure e incentivi privati e pubblici; favorendo la nascita di una consapevolezza che non vede più il binomio ‘traffico & ambiente’ come antitetico.
Fra i modelli di mobilità sostenibile vi sono proposte, per esempio, quali il car pooling, il car sharing, le navette aziendali, i park&ride spari per il territorio, ecc…
Possiamo anche citare – quale esempio – la “Centrale della mobilità” (nata una decina d’anni fa quale alternativa alle soluzioni di mobilità per il percorso casa-lavoro) che da tempo con consulenze e supporto, identifica le misure più adatte in ambito di mobilità per ogni azienda e svolge l’accompagnamento alla realizzazione delle stesse. L’attività spazia su tutto il territorio cantonale. In una decina d’anni sono state create 9’386’889 itinerari di viaggio e mezzi alternativi fra trasporto pubblico, bici, car pooling e navette aziendali.
Promuovere una mobilità aziendale con servizi di supporto alle imprese per sostenerle nella ricerca di migliori soluzioni mirate, creando sinergie e la potenziata offerta di trasporto presente sul territorio. Puntare ad una mobilità sempre più sostenibile nell’ottica di una visione d’insieme dove cooperano all’ottimizzazione della situazione più attori in modo responsabile e concertato. Come? Il sistema economico da un lato e lo Stato dall’altro. Unitamente ai Comuni e ai cittadini. Ognuno deve dare il proprio contributo in un contesto di sforzo coordinato, altrimenti le soluzioni che si possono trovare e che funzionanti in determinate realtà possono risultare incomplete, parziali o inadeguate in altre.
Analizzando diversi vettori per soluzioni combinate, si prospetta oggi uno scenario interessante che vede numerose alternative valide al ‘solo’ trasporto motorizzato, con l’entrata in funzione di AlpTransit e della galleria di base del Ceneri in modo completo ad inizio aprile 2021.
Tema complesso che necessita un approccio differenziato, concertato e innovativo, che approfondiremo con diverse riflessioni nel corso dei prossimi mesi.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/05/art21-MOBILITa.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-04 13:32:222021-05-04 13:32:22Focus su una nuova mobilità
Il giro per il mondo… per quando torneremo a viaggiare e ad interfacciarci in modo “reale” e non virtuale.
Organizzeremo viaggi d’affari e accoglieremo delegazioni provenienti da Paesi stranieri. Come comportarci?
Cina
Nei contatti di business è importante arrivare puntuale agli incontri, il ritardo potrebbe essere percepito come estremamente irrispettoso. Salutare in cinese prima di iniziare la discussione è sempre apprezzato. È consigliato, inoltre, limitarsi a salutare verbalmente, invece di stringere la mano. Abbracciarsi o baciarsi non è comune in Cina, è sufficiente un leggero cenno col capo.
Giappone
Referenti e vertici dell’azienda devono essere convinti fino in fondo della fattibilità dell’operazioni, per questo occorrono anche diversi incontri. Nelle riunioni non bisogna sedersi in un posto qualsiasi. Il posto che sarà assegnato è determinato in base alla posizione nella gerarchia aziendale, è tradizione mettere il “leader” alla testa del tavolo. Se siete ospite sarete guidato fino al vostro posto. Durante la riunione verranno offerte delle bevande rinfrescanti non alcoliche. Verranno proposte ai superiori prima che ai sottoposti. Non bisogna iniziare a bere prima che del “leader” designato.
Turchia
È importante evitare di essere informali, anche se si sta sviluppando un rapporto personale. Gli incontri iniziali non si concludono quasi mai con delle decisioni, ma servono per conoscersi e discutere. Non cercare quindi di limitare la discussione solo agli affari, ma aspettarsi anche alcune domande personali. Ci si saluta con una stratta di mano tra uomini, mentre bisogna attendere che le donne tendano la mano prima di porgere la propria.
Grecia
Considerare l’importanza della società: le famiglie e gli anziani rivestono un ruolo determinante nelle gerarchie sociali. Se la puntualità non è caratteristica della cultura greca, ci si aspetta dagli stranieri che siano in perfetto orario, anche se la controparte greca potrebbe avere un ritardo.
In America Latina
È consuetudine allacciare una relazione personale prima di entrare in affari. Durante le riunioni è possibile che si parli della famiglia e di altri aspetti personali. Le small talks hanno lo scopo di conoscere il partner commerciale, farsi un’idea preliminare della persona con la quale si intende intraprendere i propri affari e costruire, possibilmente, prima un rapporto di fiducia.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/05/ART21-biz-etiquette2.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-03 16:33:052021-05-03 16:33:06Tips di ‘business etiquette’
La ‘business etiquette’ ai tempi della digitalizzazione. Videochiamate, video conferenze, corsi di formazione online e webinar, la presenza ‘fisica’ diventa virtuale. Come pure la nostra immagine, perché ci si confronta via Zoom, Teams, Skype, e ci si vede ‘solo’ in video. Esistono regole da seguire? Ci si affida ‘solo’ al buon senso? Come evitare di fare una brutta impressione?
Dinamiche mutate
Con il COVID-19 e le limitazioni dovute agli spostamenti, si è registrata un’accelerazione di meeting e assunzioni aziendali con colloqui virtuali. Un recente studio della piattaforma di recruiting online Monster – che ha coinvolto 3’100 selezionatori e oltre 7’000 dipendenti nel mondo con un focus su USA e Regno Unito – ha confermato l’incremento di queste modalità di selezione nelle risorse umane, dichiarando che almeno la metà delle assunzioni e degli inserimenti in azienda avviene ormai in maniera virtuale.
Un caso concreto
Durante un webinar la moderatrice media la sessione delle domande fra diversi partecipanti. Nello specifico una partecipante (età media, professionista nel suo ambito) si distingue dagli altri per l’ostentata sicurezza e insolenza con cui risponde ai quesiti, risultando quindi molto poco empatica. Da dove deriva quest’impressione? Si può davvero percepire in modo così tangibile? Contrariamente a quanto si può pensare, non si tratta dei contenuti delle risposte né dalle parole usate, ma dalla mimica e dalla comunicazione non verbale, che lasciano intendere una certa noia e saccenza. Il suo messaggio è chiaro: “so già tutto… questa è una perdita di tempo… sono qui perché ho dovuto… mi annoio”.
Questione di distanze
Il malumore di un partecipante o di un relatore ad una sessione in videoconferenza risalta subito all’occhio, nel vero senso del termine. Normalmente, durante un evento la distanza fisica tra i partecipanti e i relatori varia da cinque a dieci metri circa. Questo spazio protegge e garantisce, in un certo senso, un “anonimato”: se si dovesse manifestare in un’occhiataccia o un momento di noia, molto probabilmente passerebbe inosservata. Nel mondo virtuale questa distanza viene praticamente annullata, perché non ci si può nascondere, se non disattivando manifestamente la videocamera e/o silenziando il microfono (opzione questa non sempre possibile), ed è come se ogni partecipante partecipasse a tutto ciò che accade da una distanza di 20 cm. Ma c’è di più: la tecnologia e gli ingrandimenti dello schermo possibili, sempre più performanti, ci sono “nemici” perché evidenziano ancora di più incertezze, dubbi e dissensi.
L’importanza della comunicazione non verbale
Nell’ambito della comunicazione possiamo riconoscere ed approfondire alcuni aspetti che la completano e la caratterizzano: il linguaggio del corpo, le microespressioni, la prossemica, la cinesica, il contatto visivo, … Nell’era della digitalizzazione e con l’avvento del crescente numero di videconferenze alcuni di questi aspetti vengono amplificati.
Ci siamo mai fermati a riflettere su cosa comunichiamo? Non a livello verbale, ma con i nostri gesti, le nostre emozioni, le espressioni del nostro volto. Chi interagisce con noi riceve due segnali: il primo è quello verbale che porta il messaggio della nostra comunicazione, il secondo conferma, sottolinea, smentisce, evidenzia, ecc. ciò che diciamo a parole, e lo fa con tutta una serie di “piccolezze” insite nel nostro modo di essere: come ci muoviamo, come ci esprimiamo, le nostre espressioni ed emozioni, ecc.. A livello professionale, nello studio, l’approfondimento di alcuni di questi parametri può essere un valido supporto nella “decodifica” dei messaggi che l’interlocutore che abbiamo dinanzi ci sta inviando. Così facendo possiamo essere agevolati nella lettura e, ad esempio, nella trattativa o negoziazione di un accordo, in un colloquio di assunzione, durante un evento, in una compravendita, e così via.
Già Charles Darwin, ideatore della teoria dell’evoluzione, ha approfondito le sue intuizioni sull’origine delle specienel trattato “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”, sostenendo, nel 1872, che le espressioni facciali avessero la ragione evoluzionistica di aiutare gli altri ad adattarsi all’ambiente circostante.
Da allora la ricerca scientifica in quest’ambito è proseguita, concentrandosi sulle emozioni e la loro espressione, con strumenti di analisi e decodifica sempre più precisi. In questo senso anche le videoconferenze non fanno eccezione, anche se possiamo decodificare “solo” alcuni aspetti della comunicazione non verbale e non la totalità.
Una «business etiquette» per l’era digitale
Se dovessimo delineare una sorta di ‘vademecum’ di cui tener conto per delle video call (sia che si tratti di webinar, di riunioni o di colloqui) fluenti ed efficienti, ecco a cosa occorrerebbe prestare attenzione:
Preparazione: sia che si tratti di un colloquio o di una riunione, il virtuale esige un’attenta preparazione per non dilungare eccessivamente i tempi di svolgimento.
Prove di connessione: familiarizzare in anticipo con gli strumenti virtuali permette di non arrivare impreparati ed essere colti alla sprovvista in caso di problemi tecnici.
Normalmente tutti dovrebbero connettersi in video, vedere il proprio interlocutore e farsi vedere è molto importante per permettere una corretta connessione non verbale, avendo l’accortezza di silenziare il microfono quando non è il loro turno di parlare.
È richiesta una maggiore concentrazione per le riunioni online: il nostro sguardo deve mantenersi attivo verso lo schermo, così da “connettersi” con gli altri partecipanti.
Puntualità nella connessione: chi non ha mai vissuto i 3-5 minuti di silenzio ‘imbarazzante’ aspettando che tutti si connettessero?
Ambiente professionale: anche se siamo in smartworking un minimo di rigore è richiesto. Evitiamo disordine nell’ambiente circostante, rumori, sfondi non pertinenti, altre persone nella stanza. Attenzione alla luminosità, per non risultare in un video troppo buio o eccessivamente chiaro. Lo stesso discorso vale per l’abbigliamento, che deve essere adeguato, la scelta deve essere uguale a quella che avreste adottato in presenza.
Strumenti utili
Ribattezzate ‘soft skills’, sono quelle abilità cognitive, relazionali e comunicative che permettono all’individuo di interagire al meglio con gli altri. Fra queste, nel contesto di questo articolo, possiamo citare la «learning agility», ossia la capacità che permette alle persone di affrontare situazioni nuove o impreviste, di imparare a utilizzare nuovi strumenti, affinare e sviluppare le proprie competenze con modalità diverse da quelle apprese sino a questo momento.
Una competenza che vale la pena, senza dubbio, di allenare.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/05/ART21-biz-etiquette.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-03 16:29:312021-05-03 16:29:32La tua immagine dice chi sei
Sta purtroppo succedendo quello che non doveva accadere: gli aiuti finanziari della Confederazione a sostegno dell’economia colpita dalle restrizioni anti-COVID non vengono erogati con la necessaria rapidità, senza contare che molte piccole imprese e tanti lavoratori indipendenti ricevono poco o nulla. La sopravvivenza di numerose aziende e di una larga fascia di lavoro autonomo sono a rischio.
(c) ISTOCKPHOTO.COM/POGONICI
Già nel febbraio scorso avevamo rilevato che con l’attivazione dei sostegni pubblici nella seconda ondata pandemica le cose non stavano andando per come era stato promesso, ossia con la tempestività e l’efficacia che la gravità dell’emergenza richiede e, soprattutto, senza eccessive lungaggini burocratiche. Il potenziamento dei crediti per i casi di rigore deciso da Berna è stato molto importante, ma risulta ormai evidente che da solo non basta. Per questo, sull’esempio di quanto fatto da alcuni Cantoni come Ginevra, Vaud e Argovia, la Cc-Ti ha chiesto al Consiglio di Stato di mettere a punto al più presto un piano d’intervento del Cantone per tutelare quelle attività economiche che non possono ancora rientrare negli aiuti federali e che oggi vivono una condizione di estrema fragilità. Altrettanto decisivo è un approccio rapido nella valutazione dei casi che necessitano di un aiuto.
Il rischio di danni sistemici
Un intervento equo e mirato è indispensabile per la salvaguardia della tenuta dell’economia che potrebbe subire danni sistemici da cui non sarà facile riprendersi. Non si tratta di concedere regali, anche perché molti sostegni finanziari sono la redistribuzione delle assicurazioni sociali pagate dalle imprese. È importante ricordare che i problemi che oggi si trovano a fronteggiare le imprese non hanno la loro origine all’interno del nostro tessuto produttivo, né sono stati provocati da errori degli imprenditori o da avventate strategie aziendali. Sono invece la diretta conseguenza delle restrizioni imposte alla libertà economica per combattere l’epidemia. Conseguenze che vanno ben al di là di quel normale rischio imprenditoriale che, per sua natura, ogni impresa è pronta ad assumersi e affrontare. I ripetuti lockdown, totali o parziali, per quanto non abbiano investito allo stesso modo tutte le aziende, hanno avuto impatti sul sistema economico nel suo complesso, causando costi maggiori, spese aggiuntive, una domanda discontinua, forti ritardi nelle forniture e nei pagamenti, diseconomie di scala, incertezza e impossibilità di pianificare produzione e investimenti. Una catena di danni diretti o indiretti che ha creato grosse difficoltà persino alle aziende più grandi con molti mezzi, figurarsi per le piccole imprese che rappresentano oltre il 90% della nostra realtà produttiva. È chiaro che in queste condizioni anche molte aziende sanissime e senza debiti nella fase pre-COVID si sono ritrovate ad erodere le proprie riserve per sopravvivere, compromettendo totalmente o almeno in parte la capacità di investire. Con conseguenze per il futuro certamente pesanti in termini di capacità di sopravvivenza sul mercato e, in ultima analisi, di posti di lavoro. Questa economia da COVID ha reso ancora più interdipendenti gli anelli delle catene del valore nazionali e internazionali. Come si è visto, la rottura di uno solo di questi anelli produce e propaga effetti negativi lungo tutte le filiere. Oggi anche l’export, la punta di diamante dell’industria svizzera e ticinese, risente fortemente di questa crisi. Sul commercio internazionale gravano volatilità, incertezza, domanda instabile e tensioni geopolitiche, mentre si fa sempre più aggressiva la concorrenza per assicurarsi clienti e buoni fornitori. Le materie prime hanno prezzi che sono in continuo aumento, anche del 30% e oltre, e variazione, creando non pochi problemi nella stesura di preventivi e concorsi e nella linea di produzione stessa. Lo sforzo costante degli imprenditori di migliorare costantemente la qualità dei loro prodotti e servizi va sostenuto con coraggio e determinazione nell’interesse di tutti. La chiara flessione già registrata per il 2020 in termini di entrate fiscali dimostra, se ancora ce n’era bisogno, l’importanza di un’economia solida per tutta la società.
Casi di rigore e IPG Corona
La Cc-Ti ha già sottolineato alcune problematiche nella gestione dei casi di rigore e nella concessione delle indennità per perdite di guadagno, sebbene sia comprensibile la pressione che grava sulle entità amministrative che devono occuparsi di questi temi. Nella nuova versione della legge COVID-19, approvata poche settimane fa, malgrado le motivate sollecitazioni giunte da più voci economiche e dagli imprenditori tutti, non è stata ampliata la cerchia dei beneficiari delle misure previste per i casi di rigore, nè è stata ridotta la soglia del 40% della perdita di fatturato per accedere a questi aiuti. È ovvio che ampliare il numero di categorie che potrebbero beneficiare degli aiuti per casi di rigore significa avere costi supplementari. Ma sono costi comunque inferiori a quelli che vi sarebbero costringendo molte attività a chiudere e poi a dover fare capo a disoccupazione, assistenza e altri ammortizzatori. Inoltre, l’attuale situazione non tiene conto di chi, pur non essendo stato chiuso per ordine dell’autorità, è di fatto fermo perché i clienti principali sono a loro volta chiusi. In quest’ottica è comprensibile come la percentuale del 40% di perdita minima sulla cifra d’affari per accedere agli aiuti percentuale di perdita sia troppo elevata. Per molte attività economiche equivale di fatto al fallimento e che le esclude numerose imprese in difficoltà dai sostegni federali e non per demeriti propri. Una linea rossa che marca, peraltro, evidenti discriminazioni. Perché un’azienda che ha perso solo il 39% della cifra d’affari non ha diritto di accedere ai casi di rigore? Sulla base di quale ragione giuridica una società che non ha dovuto chiudere per ordine dello Stato, ma che ha comunque subito perdite notevoli e misurabili perché facente parte della filiera colpita duramente dai lockdown, non può beneficiare degli aiuti federali? Escludere queste imprese significa lasciarle in balia dell’andamento dell’epidemia e condannarle alla chiusura. Non a caso i Cantoni Ginevra e Argovia hanno abbassato tale soglia rispettivamente al 20% e al 25% di diminuzione della cifra d’affari. E il Canton Vaud ha creato autonomamente un fondo di sostegno all’industria di 6 milioni di franchi, proprio per cercare di ovviare alla situazione di chi si ritrova in difficoltà a causa del rallentamento della filiera di produzione. Difficile se non insostenibile anche la situazione di molti indipendenti, esclusi dall’indennità di perdita di guadagno, la cosiddetta IPG Corona. Oltre ai ritardi nell’erogazione delle indennità va detto che Berna ci ha messo anche del suo per complicare le cose. Dallo scorso settembre sono stati, infatti, fissati criteri più rigorosi per il riconoscimento delle indennità, inoltre la domanda per le IPG Corona va ora ripresentata ogni mese. Ciò sta rendendo inevitabilmente le procedure più lunghe e macchinose per tutti. Al danno purtroppo si aggiunge la beffa: mentre gli indipendenti aspettano mesi per ottenere le indennità, ricevono invece puntualmente conteggi e richiami per un sollecito pagamento in materia di AVS, IVA e vari altri contributi obbligatori. Una situazione insostenibile per migliaia di indipendenti: artigiani, negozianti, piccoli imprenditori, ristoratori, artisti, liberi professionisti, commercianti, titolari di servizi alle persone, sempre più esasperati. Sarebbe pertanto doverosa una moratoria sui contributi obbligatori, per evitare l’amaro paradosso di uno Stato che da un lato chiude le attività impedendo di guadagnare e che ritarda nell’erogazione dei sostegni, e dall’altro apre subito delle procedure esecutive per dei pagamenti, certo dovuti, ma che, viste le attuali difficoltà non si possono onorare. In un contesto così complesso è giusto e indispensabile cercare di scongiurare gli abusi, ma non si possono mettere in ginocchio migliaia di piccoli imprenditori e di indipendenti per il timore di coloro che vogliono approfittarne. Abbiamo i mezzi necessari per identificare e punire questi personaggi. Del resto, quello che permette a uno Stato di funzionare si chiama anche fiducia, fiducia in un sistema che non fa differenze, che aiuta, che supporta e si preoccupa per i propri cittadini. Non è certamente positivo vedere crescere il debito pubblico, ma sarebbe molto peggio trovarsi con aziende eccessivamente indebitate, perché significherebbe che la ripresa diventerebbe molto lenta e difficile. Se si mantengono le capacità di reazione dell’economia, anche le casse statali possono recuperare in tempi moderatamente veloci. Se invece si crea una realtà di imprese incapaci di investire e di pianificare con qualche certezza in più e non solo a brevissimo termine, i dolori saranno molto più forti e a lungo termine. Sarebbe, a questo punto, eccessivamente ottimistico pensare che con la fine dell’emergenza sanitaria l’economia riaccenda subito i motori e li faccia girare a pieno regime. Un’utopia, purtroppo.
L’opinione di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, Presidente Ordine dei Commercialisti del Cantone Ticino e Presidente FTAF
La situazione di difficoltà di molte imprese, di per sé sane ma chiuse per ordine statale oppure colpite indirettamente da tale ordine, è nota a tutti. Gli indipendenti e i gerenti di società hanno costituito la categoria meno considerata e aiutata in tutta la pandemia e anche questa è cosa nota. È quindi ben comprensibile quale sia lo stato d’animo di quegli indipendenti e quei gerenti che, avendo da sempre pagato i premi dell’Indennità per perdita di guadagno (IPG), si trovano oggi ad affrontare ostacoli e ritardi nel riscuotere gli aiuti IPG Corona. Questo è il vero paradosso: aver contribuito alla cassa comune per una vita e non ricevere nel momento del bisogno il conseguente supporto.
Nella prima fase di lockdown l’IPG veniva erogata per importi inferiori a quanto previsto per le Indennità per lavoro ridotto (ILR), ma le regole erano equivalenti. Oggi non è più il caso e mal si comprende perché.
Le casse interpretano in maniera restrittiva cosa sia “Subire una perdita di guadagno o stipendio”. Molti si sono visti rifiutare il pagamento delle indennità perché, per vivere, hanno richiesto dei finanziamenti aziendali, oppure si sono permessi di prelevare un acconto mensile. Questo è chiaramente un danno oltre la beffa: come avrebbero potuto mantenere sé stessi e le proprie famiglie senza nessun prelievo?
Si è così creato un problema per i mesi di settembre e ottobre, con conseguenti ricorsi e contestazioni di decisioni fino al Tribunale Amministrativo, che pure è oberato e non ha modo di evadere tempestivamente le pratiche.
La situazione è obiettivamente difficile per tutti, anche per l’amministrazione cantonale e nessuno lo nega. Gli uffici, come l’Istituto delle assicurazioni sociali (IAS), sono sotto pressione. Ciò non toglie che occorra non perdere di vista la priorità: sostenere il lavoro.
Nella prima fase abbiamo saputo dare risposte immediate ed erogare i fondi con velocità. Questo è stato il segreto del successo del modello svizzero. Oggi purtroppo non è più così.
Abbiamo troppa paura degli abusi, che inevitabilmente accadono in situazioni eccezionali, ma che certo da noi non costituiscono la regola.
La diffidenza verso chi chiede sostegno va combattuta: si tratta dei piccoli imprenditori del Cantone, che vivono e hanno famiglia in Ticino e che cercano di salvaguardare l’occupazione per le collaboratrici e i collaboratori.
Lo Stato ha correttamente chiesto ai cittadini di essere ragionevoli e flessibili in questo difficile periodo. L’autorità cantonale dimostri di esserlo altrettanto, concentri le sue energie sui compiti urgenti e se necessario temporeggi invece sui richiami e sui precetti esecutivi, per non togliere con una mano quello che ha concesso (o avrebbe dovuto concedere) con l’altra.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-cristina-maderni-ufficiale.jpg34565184Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-04-21 08:40:062021-04-21 08:40:06Maggiore flessibilità e rapidità nell’attribuzione di aiuti
Ciclo di seminari quali formazioni su misura per fornire nozioni fondamentali e testimonianze per una moderna gestione d’impresa. Aperte le iscrizioni.
Le piccole e medie imprese (PMI) svolgono un ruolo fondamentale nell’economia svizzera. Dalla panetteria alla start-up attiva su internet o al fabbricante di macchine e utensili, le PMI rappresentano la stragrande maggioranza delle aziende (secondo l’Ufficio federale di statistica (UST) sono più del 99%) e generano due terzi dei posti di lavoro nel paese. Esse offrono un contributo significativo alla creatività, alla crescita e alla prosperità nazionale.
La Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino (Cc-Ti) e il Centro Studi Villa Negroni (CSVN) riconoscono l’importanza delle PMI in Svizzera e prestano un’attenzione particolare a queste aziende, sforzandosi di soddisfare le loro esigenze anche tramite formazioni mirate per il loro sviluppo. Il ciclo di incontri tematici, denominato “Incontri tra PMI e mondo finanziario: nozioni fondamentali e testimonianze per una moderna gestione d’impresa” caratterizzato da un taglio prettamente pratico, si propone di agevolare la collaborazione tra le PMI e il mondo finanziario.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/03/ART21-mondo-finanziario.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-04-19 08:32:002021-04-19 09:52:57Incontri tra PMI e mondo finanziario
C’era una volta un Paese chiamato Svizzera che, pur non coltivando una sola pianta di cacao, diventa leader mondiale del cioccolato. Riflessioni su materie prime e sostenibilità.
Per risalire alle radici di questa storia di successo bisogna compiere un passo indietro e tornare tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. La Svizzera, localizzata nel cuore del Continente europeo, per ragioni riconducibili alle ridotte dimensioni del Paese, così come per motivi climatici e di scarsità di materie prime locali, dovette prevedere un metodo per coprire i propri fabbisogno primari importando cereali per la popolazione ed esportando in cambio prodotti di allevamento principalmente tra Italia e Francia.
Cominciò così a sfruttare gli spazi a propria disposizione per rafforzare il settore agricolo e quello manifatturiero, iniziando così un processo import-export. Alla fine del XIX secolo si compì un nuovo passo, molto importante per lo sviluppo della Confederazione, ossia l’introduzione della rete ferroviaria, con riferimento in particolare al traforo del San Gottardo. Quest’importante investimento infrastrutturale collegò il Paese alla rete europea dove si posero le basi per una piccola economia “aperta”. Da qui, l’importazione e l’approvvigionamento di beni essenziali quali derrate alimentari, materie prime ed energetiche iniziò a svilupparsi. Anche se in Svizzera non cresce il cacao, il cioccolato è divenuto il simbolo del nostro Paese. Essendo priva di materie prime, la Svizzera le importa, le lavora, ed esporta quindi i semilavorati e i prodotti finiti in tutto il mondo.
La storia continua con l’eredità di imprenditori brillanti quali Daniel Peter, Alexander Cailler e Henri Nestlé, grazie ai quali si inaugurò una produzione su larga scala di vari prodotti derivati sia dal cioccolato, che dal caffè e dal latte. Di fatto questi nomi, si affermano ben presto come un simbolo mondiale di scoperta e innovazione rappresentano oggigiorno colossi dell’industria alimentare. I pionieri del cioccolato e del latte non avrebbero avuto questo successo se non grazie ad un commercio libero tra i diversi Paesi. Questa ascesa fu resa possibile essenzialmente per due ragioni. Da un lato, le ottime relazioni con Paesi terzi permisero agli imprenditori svizzeri di instaurare rapporti di scambi commerciali con numerose altri Stati assicurandosi un approvvigionamento delle materie prime necessarie al confezionamento del prodotto. Dall’altro lato, giocarono un forte ruolo anche la crescente urbanizzazione delle città e di conseguenza l’aumento della domanda. Oltre a ciò, ferrovie e navi favorirono l’abbattimento dei costi di trasporto delle merci nonché un aumento nella velocità di trasporto. Anche sul nostro territorio, nel nostro piccolo Ticino, conosciamo ora nomi eccellenti ed aziende affermate che assicurano e confermano la tradizione, quali Chocolat Stella SA, Chocolat Alprose SA, Domani Food SA, LATI SA e Agroval SA, ad esempio.
Per un piccolo Paese che non dispone delle premesse favorevoli per uno sviluppo autonomo, le relazioni con l’estero hanno sempre rivestito un’importanza fondamentale. Esportando beni e servizi, esso si procura la valuta necessaria per importare i generi di cui è sprovvisto o che non è in grado di produrre. Considerato l’aumento delle esportazioni-importazioni e parallelamente l’aumento anche delle prestazioni del settore terziario tra servizi bancari, assicurativi, investimenti e di turismo, la Svizzera impara così ad essere un forte intermediario di transazioni invisibili ma molto proficue. L’espansione del settore continua anche durante e dopo le due guerre mondiali. Società estere, tutt’ora esistenti legate al commercio di petrolio, cotone, di spedizione, ecc., hanno trovato nel nostro Paese, caratterizzato da una politica stabile, dalla neutralità e da una moneta forte la sede adatta per i propri commerci. Questo ha portato a una forte espansione del settore. Comincia così la lunga tradizione della compravendita di materie prime. Tale commercio è importante e proficuo non solo per la Svizzera ma anche per il resto del mondo: in modo molto semplice ha permesso un equo scambio commerciale tra Paesi che vantano di materie prime in eccesso sul proprio territorio, Paesi che ne possiedono poche o che ne sono completamente privi.
C’era una volta una tazza di caffè…
Anche una gran parte del commercio del caffè mondiale viene elaborato direttamente o indirettamente attraverso la Svizzera. Le esportazioni di caffè superano ampiamente quelle di prodotti alimentari tradizionalmente associati alla Svizzera, ad esempio, il cioccolato o il formaggio.
Nel 1975 il padre delle capsule di caffè Eric Favre – ingegnere vodese, a quel tempo impiegato nel reparto confezionamento di Nestlé – dopo un viaggio a Roma insieme alla moglie allo scopo di cercare spunti, si mette a lavorare all’invenzione che oggi ha aperto la strada a un oggetto divenuto ormai irrinunciabile: la capsula da caffè.
Serviranno dieci anni di persistenza da parte di Favre e il volto di George Clooney per dar vita al boom mondiale del caffè in capsula chiusa, che oggi tutti conosciamo. La ricerca costante e importantissima della sostenibilità dei prodotti ha dato, inoltre, un valore aggiunto indispensabile anche e specialmente, guardando al futuro.
Una curiosità: quale è il modo meno impattante per far nascere una tazza di caffè? Stimando una media per famiglia, uno studio ha preso in considerazione tutti gli aspetti del ciclo di vita di una tazza di caffè: dall’estrazione, la coltivazione completa del chicco, dall’acqua consumata, l’uso del suolo, trasporto, produzione e dalla lavorazione di tutte le materie prime fino alla fine del ciclo di vita di tutti i componenti, trasporto, produzione, lavorazione delle materie prime e l’imballaggio. Oggi le persone sono sempre più preoccupate e attente all’impronta ecologica di qualsiasi attività. Sempre di più, ci si interroga sull’uso delle risorse nel processo di produzione e sull’impatto dopo l’uso. Per quanto possa sembrare singolare, è il modo in cui consumiamo il caffè con il modo in cui viene coltivato che genera il maggiore impatto ambientale e non, come spesso si pensa, dalla sua produzione o l’imballaggio, nel caso citato, la scelta dell’alluminio. Questa è solo una riflessione su come una semplice tazza caffè possa avere così svariati aspetti economici ed ambientali servendosi di diversi processi di studio per realizzarla in modo più intelligente, ed è solo una piccola fetta di ciò che il commercio di materie prime offre.
C’era una volta, un’economia circolare…
Il bene delle materie prime, il bisogno che ha l’uomo verso di esse. Dobbiamo soffermarci brevemente sull’uso quotidiano che le caratterizza. Basta guardare tutto ciò che abbiamo attorno, tutto ciò che addirittura indossiamo. Tutto viene prodotto da materiali diversi ma collegati tra loro da un commercio globalizzato.
La globalizzazione ha moltiplicato le relazioni transfrontaliere fra i governi, i gruppi sociali e gli attori dell’economia. Le relazioni internazionali sono diventare sempre più fitte e intense. Un intreccio, che evoca, al contempo, la vulnerabilità legata agli sviluppi esterni, e che descrive non sole le interrelazioni economiche e sociali, ma anche quelle politiche e culturali, senza peraltro trascurare mai le vulnerabilità ecologiche. Tracce di Svizzera nel mondo e del mondo in Svizzera. La politica di sviluppo e la cooperazione allo sviluppo devono fornire una risposta alle sfide che questo Paese è chiamato ad affrontare in loco e a livello globale. Infatti, un Paese fortemente integrato sul piano internazionale come la Svizzera ha grandi possibilità di contribuire a definire l’assetto della globalizzazione.
Per le imprese esposte alla globalizzazione, l’espansione all’estero è una strategia di sopravvivenza e non rappresenta un elemento di concorrenza con l’esportazione dalla Svizzera, bensì uno stimolo. Infatti, agli investimenti effettuai all’estero fanno seguito le forniture di bene d’investimento svizzeri, pezzi di ricambio, tecnologie e prestazioni di consulenza. La Terra ci offre moltissime risorse essenziali; l’aria, l’acqua, il legno, il petrolio, i minerali, ecc.. Molte materie prime sono però limitate, difficilmente accessibili o hanno bisogno di tempo per rigenerarsi. Tutti noi, perciò, dobbiamo utilizzarle in modo adeguato: non dobbiamo sprecarle. In Svizzera le superfici arabili non sono sufficientemente estese e le condizioni climatiche non idonee alla produzione di tutte le derrate alimentari consumate. L’acquisto di derrate all’estero ha dunque tradizione. In questo modo sfruttiamo più terreno di quanto non ne abbiamo a disposizione. Grazie al solo commercio di prodotti agricoli con i Paesi in via di sviluppo, la superficie arabile risulta più che raddoppiata. Inoltre, per via dei nostri consumi utilizziamo indirettamente acque e altre risorse naturali nei Paesi d’esportazione. Ciò non vale solo per i prodotti alimentari, ma anche per l’elettronica d’intrattenimento, l’abbigliamento, l’energia e tant’altro ancora. Inoltre, per approntare questi beni e assicurarne lo smaltimento occorrono ulteriori risorse.
Ma dentro le aziende?
Il benessere dei propri collaboratori, i legami con il territorio e l’ambiente. Questi sono tre fattori strategici la cui salvaguardia è fondamentale per l’esistenza dell’impresa stessa. È qui che subentra la RSI, Responsabilità Sociale di Impresa, che offre la visione di un modello business al quale tutte le imprese ed uffici possono far riferimento per poter modificare la loro filosofia in modo da avere un impatto positivo sul mercato del lavoro e potersi affermare come leader in questo spazio di crescita umanitaria e ambientale.
Alla Cc-Ti
Questi aspetti devono andare di pari passo. Qui comprendiamo il perché la responsabilità sociale gioca un ruolo importante ed aiuta di fatto a mantenere e a gestire al meglio gli assi fondamentali. Una gestione consapevole dell’impatto si traduce in migliori relazioni esterne, una buona reputazione, ispirazione innovativa e rischi meglio gestiti.
La Cc-Ti è da sempre molto impegnata nella responsabilità sociale con consulenze o corsi mirati, ad esempio, per gli associati cercando di garantire e solidificare una formazione sociale virtuosa. Ricordiamo che nel nostro team annoveriamo un CSR Manager, nella persona di Gianluca Pagani, a vostra disposizione per qualsiasi supporto (Tel. +41 91 911 51 36, pagani@cc-ti.ch; altri dettagli visitando il nostro sito e leggendo questo articolo).
Il settore delle materie (sezione Ticino) prime ha il proprio segretariato presso la Camera di commercio e dell’industria con l’associazione Lugano Commodity Trading Association (LCTA). Questo settore offre lavoro a circa 35’000 persone e genera il 3.8 percento del prodotto interno lordo. Il Ticino, in questo ramo si posiziona al terzo posto in ordine di importanza dopo Ginevra e Zugo; con 120 aziende e oltre 900 impiegati. A livello federale le aziende del settore delle materie prime vengono rappresentate dall’associazione mantello STSA, Swiss Trading and Shipping Association mentre a livello regionale, da oltre dieci anni la LCTA rappresenta le aziende in Ticino. Oltre che garantire un sostegno e uno sviluppo delle aziende affiliate, la LCTA in collaborazione con l’Università di Lucerna e l’associazione regionale ZCA, Zug Commodity Association si impegna a fornire una formazione mirata del settore per dipendenti che vogliono intraprendere un nuovo percorso formativo.
Fonte: pubblicazione “La Svizzera e il mondo”, 2007, R. Gerster
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/04/ART21-materie-prime.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-04-08 14:26:572021-04-08 14:26:58C’erano una volta le materie prime
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Quando il digitale incontra l’export
/in Appuntamenti, Eventi e missioni, Eventi tematiciIl 5 maggio scorso si è svolto il webinar “Il digitale incontra l’export” dedicato a un argomento di attualità e in forte espansione. All’incontro online – organizzato dalla
Cc-Ti, in collaborazione con S-GE, hanno assistito una quarantina di partecipanti.
Al webinar sono intervenuti Michele Merazzi, Vicedirettore Cc-Ti; Martina Grisoni, Responsabile Servizio Export Cc-Ti; Silvia Del Vitto, Head of Sales & International Client Management Intarget Suisse e Monica Zurfluh, Head of S-GE Southern Switzerland.
Il COVID-19 ha modificato le abitudini, gli usi, i consumi e gli acquisti di consumatori e aziende attive su mercati nazionali ed internazionali, con profonde trasformazioni.
Le aziende sono spinte verso nuove evoluzioni, rivolgendosi sempre di più verso un mercato digitale, sviluppando nuove strategie di distribuzione.
Dai dati dell’Amministrazione federale delle dogane, il valore dell’export in Svizzera è calato del 7.1% nel 2020, rispetto al 2019; ciò è dovuto anche alla pandemia e ai suoi diversi effetti. Fortunatamente, il 2021 è cominciato in positivo con un incremento del 5.4% rispetto al dicembre 2020. Con dati come questi è difficile fare delle previsioni attendibili per scenari futuri anche a breve termine, la situazione economica dipenderà molto dall’andamento congiunturale e dalla campagna vaccinale a livello globale.
Il nuovo consumatore è globale
Internet è sempre più globale, le aziende necessitano gli strumenti digitali e il digital marketing rappresenta un ponte verso nuove opportunità da sfruttare. Il web non è sicuramente una novità per le aziende, come pure per i consumatori, ma nell’ultimo anno c’è stata una netta escalation del loro utilizzo.
Digital export?
Che cosa si intende quando parliamo di ‘digital export’? Si tratta dell’implementazione di modelli di business B2B o B2C attraverso le leve del marketing digitale e dell’utilizzo di piattaforme online al fine di espandere un’attività al di fuori dai confini nazionali.
Le tendenze confermano che i digital buyers, ossia coloro che compiono acquisti online anche da un marketer straniero, rappresentano oggi più del 30% della popolazione mondiale. E si tratta di una tendenza destinata a crescere.
La sicurezza prima di tutto
La Svizzera è prima nel B2C e-commerce Index 2020, annuale classifica redatta dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD). Le economie sono classificate in base all’accessibilità a server Internet sicuri, affidabilità del servizio postale e della sua infrastruttura e la percentuale di popolazione che usa internet e possiede un account presso un’istituzione finanziaria o un servizio di pagamento mobile.
Prosperare, anche online
Il digitale e l’internazionalizzazione diventano cruciali per aiutare un business a crescere e prosperare raggiungendo nuovi consumatori all’estero.
In questo ambiente dinamico, con un consumatore sempre più attento, le esigenze cambiano costantemente e da mercato a mercato. A cosa prestare attenzione?
Con un approccio strategico e con il supporto di strumenti esistenti quali, ad esempio, Google Trends e Google Market Finder, sarà poi possibile identificare nuovi mercati target. In questo modo si potranno prendere decisioni più ponderate, adattando il proprio modello di business ai mercati interessati e ottimizzando l’investimento e le strategie di marketing sulla base delle informazioni più attuali e delle ultime tendenze.
I marketplace
Si definisce tale, un sito online di intermediazione per la compravendita di beni e servizi, come ad esempio Zalando o Amazon, i più conosciuti alle nostre latitudini.
Interessante sottolineare come i marketplace rappresentino oggi il 50% delle vendite online a livello globale. La caratteristica che differenzia un marketplace da un e-commerce è la presenza all’interno del sito di merci, prodotti e servizi di più produttori o venditori.
Questo genere di negozio online si distingue secondo due criteri: orizzontale – se vende prodotti di diverse categorie e verticale – se è specializzato in una sola categoria. Questo tipo di negozi, paragonabili a dei veri e propri supermercati online, offre diversi vantaggi, tra cui al primo posto una favorevole accessibilità economica.
Una nuova normalità: la visibilità online
Visto che la presenza fisica è ormai limitata, occorre aumentare e rafforzare la propria visibilità online, focalizzandosi sul definire la migliore strategia d’entrata sul mercato, ottimizzando il proprio e-commerce e/o sfruttando i marketplace esistenti, considerando però già da ora anche strategie multicanale e non dimenticandosi di chiarire gli aspetti legali, fiscali e logistici della vendita a distanza. Oggigiorno una presenza e una buona immagine online sono qualità necessarie. Se da un lato il proprio sito va curato, aggiornato e ottimizzato (SEO), anche l’impegno nell’essere attivi sui social media va potenziato. Questi ultimi stanno diventando sempre di più un canale preferenziale attraverso i quali i consumatori effettuano i propri acquisti. Da non sottovalutare il fatto che il sito web deve essere ottimizzato per il ‘mobile’.
Switzerland Global Enterprise ha creato un settore dedicato sul proprio sito web con numerose informazioni e consigli utili e dove offrirà ad inizio giugno anche dei webinar tematici.
Un ulteriore strumento per rendersi visibili sono i mercati e le fiere digitali. C’è ancora molto scetticismo e resistenza alla partecipazione a questi eventi virtuali, non va tuttavia dimenticata l’importanza di questi luoghi d’incontro per testare le acque, restare in contatto con i propri clienti e partner e acquisirne di nuovi. Come avviene per il sito web, il contenuto è la chiave e deve essere accattivante, ma anche autoesplicativo e incoraggiare i visitatori ad essere proattivi e a mettersi in contatto con l’espositore. La sfida maggiore resta il far confluire i visitatori sul proprio stand, risolvibile solo potenziando le proprie attività di web marketing.
La presenza nei database
Sono diverse le piattaforme che facilitano la visibilità online consentendo nel contempo di far incontrare domanda e offerta, fra cui:
Valutare nuovi mercati in remoto…
Nell’impossibilità o comunque difficoltà di viaggiare, valutare nuovi mercati e riunire informazioni utili di persona ad una presa di decisione resta difficile per le aziende esportatrici. Online si trovano tuttavia alcuni strumenti utili in proposito, quali il Market Finder di Google, promosso in collaborazione con S-GE (che consente di stimare le dimensioni di un mercato sulla base delle ricerche effettuate online dal proprio target di clientela e di altri criteri) ) e il GoGlobal Cockpit (basato invece sulle voci di tariffa doganale dei prodotti esportati e presto esteso anche ai determinati servizi).
Va tuttavia tenuto presente che a volte sarà necessario adattarsi ad altri motori di ricerca (Baidu, Yandex…) e utilizzare rispettivamente confrontare i risultati di diversi strumenti per valutare un mercato e pianificare la propria espansione internazionale.
… ma attenzione alle barriere tariffarie e non tariffarie
Dazi doganali, tasse e formalità d’importazione sono tra i fattori più importanti che frenano l’accesso ai mercati ed ogni azienda dovrebbe essere in grado di identificarli per tempo. Uno strumento indispensabile e che si appresa all’uso quotidiano è la banca dati doganale, che fornisce dati in 150 Paesi.
Anche la Cc-Ti offre dei servizi export digitali
Inizialmente, tutti i certificati di origine non preferenziale venivano emessi in modalità cartacea, muovendosi sempre più però verso la digitalizzazione, anche la Cc-Ti ha voluto creare – assieme all’International Chamber of Commerce e alle altre Camere di commercio e dell’industria svizzere – una piattaforma online utilizzata con successo www.certify.ch (accessibile 24h su 24h, 7 giorni su 7, tramite il proprio nome utente e la propria password). Non è mai stato così veloce, pratico e sicuro richiedere l’emissione del Certificato di origine. I certificati e i documenti legalizzati possono essere comodamente stampati dal richiedente o utilizzati in PDF. La piattaforma non ha alcun costo supplementare e i prezzi rimangono invariati. Si guadagna sicuramente in velocità e in sicurezza.
Tutti i dettagli su questi servizi digitali nell’articolo di approfondimento già online sul nostro sito.
Oltre al rilascio dei certificati di origine, la Cc-Ti emette anche il Carnet ATA, questo documento serve all’esportazione temporanea di merce all’estero, per mostre fiere e congressi, campioni commerciali e materiale professionale. Il Carnet ATA, che purtroppo al momento non è ancora del tutto digitale, ha la durata di un anno, nel quale si può varcare il confine senza dover pagare dazio o IVA. Entro la data di scadenza del Carnet ATA tutta la merce esportata deve rientrare in Svizzera, dopo di che si potrà richiedere l’emissione di un nuovo documento per l’anno successivo. Maggiori informazioni le potete trovare sulla piattaforma www.ataswiss.ch. Su questa piattaforma è possibile, dopo essersi registrati, richiedere il Carnet ATA online, che verrà poi stampato dalla Cc-Ti.
DOCUMENTI UTILI
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Indennità per lavoro ridotto: importante sentenza del Tribunale cantonale di Lucerna
/in Diritto, TematicheUna scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Lo scorso 26 febbraio il Tribunale cantonale di Lucerna ha emanato una sentenza che, se confermata dal Tribunale federale, implica un’importante modifica del calcolo delle indennità per il lavoro ridotto.
In effetti, statuendo su un ricorso presentato da un esercizio pubblico, i giudici lucernesi hanno ridefinito la base di calcolo per determinare tali indennità. Rifacendosi all’art. 34 della Legge federale sull’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e l’indennità per insolvenza (LADI) hanno ricordato che determinante, fino al limite massimo valido per il calcolo dei contributi è il salario, convenuto contrattualmente, dell’ultimo periodo salariale prima dell’inizio del lavoro ridotto. Sono compresi le indennità per vacanze e gli assegni contrattuali periodici, purché non continuino ad essere versati durante il periodo di lavoro ridotto o non costituiscano indennità per inconvenienti connessi al lavoro.
Partendo da questa norma di legge, il Tribunale ha accolto le richieste della ricorrente, nel senso di considerare nella base di calcolo anche le indennità per vacanze, elemento che fino ad allora nessuna cassa di compensazione aveva tenuto in linea di conto. Il Consiglio federale e la Seco, nella gestione della crisi pandemica, avevano infatti escluso questo aspetto dal calcolo delle indennità.
I giudici nel motivare la loro sentenza hanno sottolineato che la regola dell’art. 34 LADI non può essere modificata da una semplice ordinanza del Consiglio federale (di rango inferiore) o da direttive della Seco. Ne consegue che le indennità per lavoro ridotto vanno aumentate come sopra indicato.
Stando a quanto sopra le aziende possono pertanto chiedere un riesame del calcolo per le indennità di loro spettanza. Considerato che l’ultima parola spetterà al Tribunale federale, d’intesa con l’Unione svizzera degli imprenditori, è stato suggerito alle aziende di presentare una richiesta di riconteggio delle indennità e di sospendere contestualmente, in attesa di una decisione definitiva, la stessa procedura di riesame (cfr. newsletter Cc-Ti del 16 aprile 2021).
Elevator Pitch
/in Marketing e Vendita, Risorse umane, TematicheSono conosciute differenti ipotesi di origine di questa forma di comunicazione nel business. Una storia comunemente nota è quella di Ilene Rosenzweig e Michael Caruso, due ex giornalisti negli anni ’90. Secondo Rosenzweig, Caruso era un redattore senior di Vanity Fair e stava continuamente tentando di fasi notare dal redattore capo della sua rivista e l’unico modo che alla fine escogitò fu quello di provare a parlarle approfittando anche di brevi periodi liberi di tempo, come in un giro in ascensore.
Prende il nome dal tempo necessario per comunicare, la durata di una breve corsa in ascensore (da 30 a 60 secondi o 75 circa)
L’Elevator pitch è infatti un discorso che una persona farebbe a un investitore, per esempio, se si trovasse per caso con lui in ascensore. L’imprenditore, quindi, si troverebbe costretto a descrivere sé o la propria attività sinteticamente, chiaramente ed efficacemente per convincere l’altro ad investire su di lui, ma con i limiti di tempo imposti da una corsa in ascensore (la letteratura specialistica al riguardo fissa tale limite massimo di 5 minuti).
Si tratta di una vera competenza
Sviluppare questo tipo di competenza è sicuramente basilare e richiede una grande dedizione e tanto tanto allenamento. Si può parlare di elevator pitch sia se viene fatto durante un evento fisico, che in modalità asincrona (un’e-mail o un video).
Esistono varie tipologie di elevator pitch a seconda della durata oppure del target a cui è rivolto (consumatori, imprenditori, superiori o colleghi, …). Normalmente viene calcolato “un pitch” della durata dai 30 ai 120 secondi.
Descrive l’idea per cui una persona dev’essere in grado di presentare il proprio pensiero nel tempo di una corsa, reale o immaginaria, in ascensore.
Un breve, utile e accattivante riassunto… A volte si pensa che i pitch degli ascensori siano specifici per un’idea o un prodotto, ma si possono anche usarli per “promuoversi” come professionisti.
I professionisti dovrebbero avere sempre a disposizione un discorso accattivante in grado di fornire informazioni su sé stessi o su di un proprio progetto, che possano fornire in un breve periodo di tempo. Invece di aspettare che l’altra parte diriga la conversazione e, potenzialmente, lontano da ciò di cui si vorrebbe discutere, si può spiegare in modo assertivo ciò che si ha da offrire.
È da considerarsi come un documento da aggiornare costantemente e “sfoderare” ad ogni buona occasione, che sappia “dare valore” ad ogni vostra singola parola.
Viene valutato come un’intraprendenza positiva
Un vantaggio nell’usare questo approccio quando parlate della vostra carriera o delle vostre aspirazioni è che potete dimostrare di essere in grado di prendere l’iniziativa. In molte interazioni, come un colloquio di lavoro, questo può essere impressionante per il vostro pubblico: sarà lieto di vedere che sapete sia cosa volete, sia come chiederlo.
Essere in grado di presentarvi a qualcuno in modo convincente, può aiutarvi a prepararvi per una conversazione professionale di successo, sia che si tratti di un evento di networking, con un collega o all’inizio di un colloquio. Uno strumento per rendere le informazioni da comunicare semplici ed efficaci.
Dallo schermo del telefono al colloquio di persona, vi verrà chiesto di fornire un riepilogo di chi siete, della vostra formazione e di ciò che desiderate dal prossimo lavoro. Questa sintesi “mentale” può essere una buona struttura mentre state pianificando la vostra risposta alla popolare domanda “parlami di te”.
Allo stesso modo può essere utilizzata per delineare la vostra lettera di presentazione o una dichiarazione riassuntiva professionale o, ancora, un’offerta di collaborazione azienda/azienda. Una dichiarazione di sintesi deve avere lo scopo di raccontare al lettore chi siete professionalmente, quale lavoro vi appassiona e perché siete qualificati per farlo, in un modo che vi aiuti a distinguervi dagli altri.
Quali passi sono alla base
Una presentazione personale è utile anche per il networking a un evento o durante un incontro spontaneo. Che voi siate in fila al supermercato, a un cocktail party o a un incontro professionale organizzato, la presentazione può aiutare rapidamente i nuovi contatti a capire perché dovrebbero connettersi con voi o considerarvi quando si presenta un’opportunità.
1. Iniziate presentandovi (i primi 10 secondi sono importantissimi). Assegnate delle priorità ai vostri contenuti
2. Fornite un riepilogo di ciò che fate o rappresentate. Siate preparati e attenti a rispondere alle molte domande che vi faranno, probabilmente quelle sono le cose che vogliono sentirsi dire
3. Spiegate cosa volete (create pitch di diversa durata 30 secondi, 60 secondi, 120 secondi in modo da essere sempre pronti ad affrontare ogni imprevisto)
4. Terminate con un invito all’azione (“Ha tempo per prendere un caffè? Ci possiamo sentire per un fissare un incontro? Le posso inviare una mail? …) Non dimenticate il vostro biglietto da visita.
Errori comuni
Parlate in modo naturale
Suonare troppo preparato può rendere la conversazione forzata, quindi fate del vostro meglio per esprimervi con un tono colloquiale.
Rallenta
Se parlaste troppo velocemente, l’ascoltatore potrebbe perdere alcune informazioni importanti. Potrebbe essere la vostra tendenza naturale a parlare velocemente o potrebbe verificarsi se vi sentite nervosi. Indipendentemente da ciò, fate uno sforzo consapevole per ridurre la velocità e incorporare questa strategia quando provate il vostro tono.
Usa un tono per la maggior parte (ma non tutte) le occasioni
Potrebbe non essere necessario personalizzare la vostra presentazione per tanti diversi tipi di pubblico. È una buona idea avere una presentazione generale che potete usare in qualsiasi momento, ma dovreste provare ad adattare la vostra presentazione ogni volta che potete. Più le vostre idee sono personalizzate, più è probabile che voi otteniate un risultato positivo dalla conversazione. Mostrate il vostro profondo interesse e rispetto per il tempo dell’ascoltatore.
Facile da capire
Usate un linguaggio semplice che tutto il pubblico possa capire. Ad esempio, se includete un gergo tecnico e termini specifici del settore che solo qualcuno conoscerebbe, potreste alienare un reclutatore, o chiunque altro, che non ha lo stesso livello di conoscenza. Questo può rendere difficile per loro farvi domande di follow-up e potrebbe renderli meno propensi a continuare la conversazione con voi. Salva termini di nicchia per un colloquio tecnico e rendete il vostro discorso facile da seguire per tutti.
In una realtà che corre sempre più veloce e non concede tempo, questo può essere un modo per usare il vostro tempo nel modo più opportuno, senza sprecarne neppure 30, 60,120 secondi.
Focus su una nuova mobilità
/in Innovazione, Sostenibilità, TematicheL’impegno delle imprese per supportare la mobilità è accertato. Sono infatti numerose le attività delle aziende del territorio volte a favorire gli spostamenti per i tragitti ‘casa-lavoro-casa’ dei propri dipendenti, con proposte aziendali strutturate e concrete. La gestione della mobilità è fondamentale per stare al passo con l’evoluzione sociale ed economica del nostro Cantone.
Nel corso dell’ultimo lustro si sono moltiplicate azioni atte a conciliare trasporto, viabilità e vivibilità del territorio, con misure e incentivi privati e pubblici; favorendo la nascita di una consapevolezza che non vede più il binomio ‘traffico & ambiente’ come antitetico.
Fra i modelli di mobilità sostenibile vi sono proposte, per esempio, quali il car pooling, il car sharing, le navette aziendali, i park&ride spari per il territorio, ecc…
Possiamo anche citare – quale esempio – la “Centrale della mobilità” (nata una decina d’anni fa quale alternativa alle soluzioni di mobilità per il percorso casa-lavoro) che da tempo con consulenze e supporto, identifica le misure più adatte in ambito di mobilità per ogni azienda e svolge l’accompagnamento alla realizzazione delle stesse. L’attività spazia su tutto il territorio cantonale. In una decina d’anni sono state create 9’386’889 itinerari di viaggio e mezzi alternativi fra trasporto pubblico, bici, car pooling e navette aziendali.
Promuovere una mobilità aziendale con servizi di supporto alle imprese per sostenerle nella ricerca di migliori soluzioni mirate, creando sinergie e la potenziata offerta di trasporto presente sul territorio. Puntare ad una mobilità sempre più sostenibile nell’ottica di una visione d’insieme dove cooperano all’ottimizzazione della situazione più attori in modo responsabile e concertato. Come? Il sistema economico da un lato e lo Stato dall’altro. Unitamente ai Comuni e ai cittadini. Ognuno deve dare il proprio contributo in un contesto di sforzo coordinato, altrimenti le soluzioni che si possono trovare e che funzionanti in determinate realtà possono risultare incomplete, parziali o inadeguate in altre.
Analizzando diversi vettori per soluzioni combinate, si prospetta oggi uno scenario interessante che vede numerose alternative valide al ‘solo’ trasporto motorizzato, con l’entrata in funzione di AlpTransit e della galleria di base del Ceneri in modo completo ad inizio aprile 2021.
Tema complesso che necessita un approccio differenziato, concertato e innovativo, che approfondiremo con diverse riflessioni nel corso dei prossimi mesi.
Tips di ‘business etiquette’
/in Internazionale, Soft skills, TematicheIl giro per il mondo… per quando torneremo a viaggiare e ad interfacciarci in modo “reale” e non virtuale.
Organizzeremo viaggi d’affari e accoglieremo delegazioni provenienti da Paesi stranieri. Come comportarci?
Cina
Nei contatti di business è importante arrivare puntuale agli incontri, il ritardo potrebbe essere percepito come estremamente irrispettoso. Salutare in cinese prima di iniziare la discussione è sempre apprezzato. È consigliato, inoltre, limitarsi a salutare verbalmente, invece di stringere la mano. Abbracciarsi o baciarsi non è comune in Cina, è sufficiente un leggero cenno col capo.
Giappone
Referenti e vertici dell’azienda devono essere convinti fino in fondo della fattibilità dell’operazioni, per questo occorrono anche diversi incontri.
Nelle riunioni non bisogna sedersi in un posto qualsiasi.
Il posto che sarà assegnato è determinato in base alla posizione nella gerarchia aziendale, è tradizione mettere il “leader” alla testa del tavolo. Se siete ospite sarete guidato fino al vostro posto. Durante la riunione verranno offerte delle bevande rinfrescanti non alcoliche. Verranno proposte ai superiori prima che ai sottoposti. Non bisogna iniziare a bere prima che del “leader” designato.
Turchia
È importante evitare di essere informali, anche se si sta sviluppando un rapporto personale. Gli incontri iniziali non si concludono quasi mai con delle decisioni, ma servono per conoscersi e discutere. Non cercare quindi di limitare la discussione solo agli affari, ma aspettarsi anche alcune domande personali.
Ci si saluta con una stratta di mano tra uomini, mentre bisogna attendere che le donne tendano la mano prima di porgere la propria.
Grecia
Considerare l’importanza della società: le famiglie e gli anziani rivestono un ruolo determinante nelle gerarchie sociali. Se la puntualità non è caratteristica della cultura greca, ci si aspetta dagli stranieri che siano in perfetto orario, anche se la controparte greca potrebbe avere un ritardo.
In America Latina
È consuetudine allacciare una relazione personale prima di entrare in affari. Durante le riunioni è possibile che si parli della famiglia e di altri aspetti personali. Le small talks hanno lo scopo di conoscere il partner commerciale, farsi un’idea preliminare della persona con la quale si intende intraprendere i propri affari e costruire, possibilmente, prima un rapporto di fiducia.
La tua immagine dice chi sei
/in Digitalizzazione, Organizzazione, TematicheLa ‘business etiquette’ ai tempi della digitalizzazione. Videochiamate, video conferenze, corsi di formazione online e webinar, la presenza ‘fisica’ diventa virtuale. Come pure la nostra immagine, perché ci si confronta via Zoom, Teams, Skype, e ci si vede ‘solo’ in video. Esistono regole da seguire? Ci si affida ‘solo’ al buon senso? Come evitare di fare una brutta impressione?
Dinamiche mutate
Con il COVID-19 e le limitazioni dovute agli spostamenti, si è registrata un’accelerazione di meeting e assunzioni aziendali con colloqui virtuali. Un recente studio della piattaforma di recruiting online Monster – che ha coinvolto 3’100 selezionatori e oltre 7’000 dipendenti nel mondo con un focus su USA e Regno Unito – ha confermato l’incremento di queste modalità di selezione nelle risorse umane, dichiarando che almeno la metà delle assunzioni e degli inserimenti in azienda avviene ormai in maniera virtuale.
Un caso concreto
Durante un webinar la moderatrice media la sessione delle domande fra diversi partecipanti. Nello specifico una partecipante (età media, professionista nel suo ambito) si distingue dagli altri per l’ostentata sicurezza e insolenza con cui risponde ai quesiti, risultando quindi molto poco empatica.
Da dove deriva quest’impressione? Si può davvero percepire in modo così tangibile? Contrariamente a quanto si può pensare, non si tratta dei contenuti delle risposte né dalle parole usate, ma dalla mimica e dalla comunicazione non verbale, che lasciano intendere una certa noia e saccenza. Il suo messaggio è chiaro: “so già tutto… questa è una perdita di tempo… sono qui perché ho dovuto… mi annoio”.
Questione di distanze
Il malumore di un partecipante o di un relatore ad una sessione in videoconferenza risalta subito all’occhio, nel vero senso del termine.
Normalmente, durante un evento la distanza fisica tra i partecipanti e i relatori varia da cinque a dieci metri circa. Questo spazio protegge e garantisce, in un certo senso, un “anonimato”: se si dovesse manifestare in un’occhiataccia o un momento di noia, molto probabilmente passerebbe inosservata.
Nel mondo virtuale questa distanza viene praticamente annullata, perché non ci si può nascondere, se non disattivando manifestamente la videocamera e/o silenziando il microfono (opzione questa non sempre possibile), ed è come se ogni partecipante partecipasse a tutto ciò che accade da una distanza di 20 cm. Ma c’è di più: la tecnologia e gli ingrandimenti dello schermo possibili, sempre più performanti, ci sono “nemici” perché evidenziano ancora di più incertezze, dubbi e dissensi.
L’importanza della comunicazione non verbale
Nell’ambito della comunicazione possiamo riconoscere ed approfondire alcuni aspetti che la completano e la caratterizzano: il linguaggio del corpo, le microespressioni, la prossemica, la cinesica, il contatto visivo, …
Nell’era della digitalizzazione e con l’avvento del crescente numero di videconferenze alcuni di questi aspetti vengono amplificati.
Ci siamo mai fermati a riflettere su cosa comunichiamo? Non a livello verbale, ma con i nostri gesti, le nostre emozioni, le espressioni del nostro volto. Chi interagisce con noi riceve due segnali: il primo è quello verbale che porta il messaggio della nostra comunicazione, il secondo conferma, sottolinea, smentisce, evidenzia, ecc. ciò che diciamo a parole, e lo fa con tutta una serie di “piccolezze” insite nel nostro modo di essere: come ci muoviamo, come ci esprimiamo, le nostre espressioni ed emozioni, ecc.. A livello professionale, nello studio, l’approfondimento di alcuni di questi parametri può essere un valido supporto nella “decodifica” dei messaggi che l’interlocutore che abbiamo dinanzi ci sta inviando. Così facendo possiamo essere agevolati nella lettura e, ad esempio, nella trattativa o negoziazione di un accordo, in un colloquio di assunzione, durante un evento, in una compravendita, e così via.
Già Charles Darwin, ideatore della teoria dell’evoluzione, ha approfondito le sue intuizioni sull’origine delle specie nel trattato “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”, sostenendo, nel 1872, che le espressioni facciali avessero la ragione evoluzionistica di aiutare gli altri ad adattarsi all’ambiente circostante.
Da allora la ricerca scientifica in quest’ambito è proseguita, concentrandosi sulle emozioni e la loro espressione, con strumenti di analisi e decodifica sempre più precisi.
In questo senso anche le videoconferenze non fanno eccezione, anche se possiamo decodificare “solo” alcuni aspetti della comunicazione non verbale e non la totalità.
Una «business etiquette» per l’era digitale
Se dovessimo delineare una sorta di ‘vademecum’ di cui tener conto per delle video call (sia che si tratti di webinar, di riunioni o di colloqui) fluenti ed efficienti, ecco a cosa occorrerebbe prestare attenzione:
Lo stesso discorso vale per l’abbigliamento, che deve essere adeguato, la scelta deve essere uguale a quella che avreste adottato in presenza.
Strumenti utili
Ribattezzate ‘soft skills’, sono quelle abilità cognitive, relazionali e comunicative che permettono all’individuo di interagire al meglio con gli altri. Fra queste, nel contesto di questo articolo, possiamo citare la «learning agility», ossia la capacità che permette alle persone di affrontare situazioni nuove o impreviste, di imparare a utilizzare nuovi strumenti, affinare e sviluppare le proprie competenze con modalità diverse da quelle apprese sino a questo momento.
Una competenza che vale la pena, senza dubbio, di allenare.
Non basta!
/in Comunicazione e mediaSta purtroppo succedendo quello che non doveva accadere: gli aiuti finanziari della Confederazione a sostegno dell’economia colpita dalle restrizioni anti-COVID non vengono erogati con la necessaria rapidità, senza contare che molte piccole imprese e tanti lavoratori indipendenti ricevono poco o nulla. La sopravvivenza di numerose aziende e di una larga fascia di lavoro autonomo sono a rischio.
Già nel febbraio scorso avevamo rilevato che con l’attivazione dei sostegni pubblici nella seconda ondata pandemica le cose non stavano andando per come era stato promesso, ossia con la tempestività e l’efficacia che la gravità dell’emergenza richiede e, soprattutto, senza eccessive lungaggini burocratiche. Il potenziamento dei crediti per i casi di rigore deciso da Berna è stato molto importante, ma risulta ormai evidente che da solo non basta. Per questo, sull’esempio di quanto fatto da alcuni Cantoni come Ginevra, Vaud e Argovia, la Cc-Ti ha chiesto al Consiglio di Stato di mettere a punto al più presto un piano d’intervento del Cantone per tutelare quelle attività economiche che non possono ancora rientrare negli aiuti federali e che oggi vivono una condizione di estrema fragilità. Altrettanto decisivo è un approccio rapido nella valutazione dei casi che necessitano di un aiuto.
Il rischio di danni sistemici
Un intervento equo e mirato è indispensabile per la salvaguardia della tenuta dell’economia che potrebbe subire danni sistemici da cui non sarà facile riprendersi. Non si tratta di concedere regali, anche perché molti sostegni finanziari sono la redistribuzione delle assicurazioni sociali pagate dalle imprese. È importante ricordare che i problemi che oggi si trovano a fronteggiare le imprese non hanno la loro origine all’interno del nostro tessuto produttivo, né sono stati provocati da errori degli imprenditori o da avventate strategie aziendali. Sono invece la diretta conseguenza delle restrizioni imposte alla libertà economica per combattere l’epidemia. Conseguenze che vanno ben al di là di quel normale rischio imprenditoriale che, per sua natura, ogni impresa è pronta ad assumersi e affrontare. I ripetuti lockdown, totali o parziali, per quanto non abbiano investito allo stesso modo tutte le aziende, hanno avuto impatti sul sistema economico nel suo complesso, causando costi maggiori, spese aggiuntive, una domanda discontinua, forti ritardi nelle forniture e nei pagamenti, diseconomie di scala, incertezza e impossibilità di pianificare produzione e investimenti. Una catena di danni diretti o indiretti che ha creato grosse difficoltà persino alle aziende più grandi con molti mezzi, figurarsi per le piccole imprese che rappresentano oltre il 90% della nostra realtà produttiva. È chiaro che in queste condizioni anche molte aziende sanissime e senza debiti nella fase pre-COVID si sono ritrovate ad erodere le proprie riserve per sopravvivere, compromettendo totalmente o almeno in parte la capacità di investire. Con conseguenze per il futuro certamente pesanti in termini di capacità di sopravvivenza sul mercato e, in ultima analisi, di posti di lavoro. Questa economia da COVID ha reso ancora più interdipendenti gli anelli delle catene del valore nazionali e internazionali. Come si è visto, la rottura di uno solo di questi anelli produce e propaga effetti negativi lungo tutte le filiere. Oggi anche l’export, la punta di diamante dell’industria svizzera e ticinese, risente fortemente di questa crisi. Sul commercio internazionale gravano volatilità, incertezza, domanda instabile e tensioni geopolitiche, mentre si fa sempre più aggressiva la concorrenza per assicurarsi clienti e buoni fornitori. Le materie prime hanno prezzi che sono in continuo aumento, anche del 30% e oltre, e variazione, creando non pochi problemi nella stesura di preventivi e concorsi e nella linea di produzione stessa. Lo sforzo costante degli imprenditori di migliorare costantemente la qualità dei loro prodotti e servizi va sostenuto con coraggio e determinazione nell’interesse di tutti. La chiara flessione già registrata per il 2020 in termini di entrate fiscali dimostra, se ancora ce n’era bisogno, l’importanza di un’economia solida per tutta la società.
Casi di rigore e IPG Corona
La Cc-Ti ha già sottolineato alcune problematiche nella gestione dei casi di rigore e nella concessione delle indennità per perdite di guadagno, sebbene sia comprensibile la pressione che grava sulle entità amministrative che devono occuparsi di questi temi. Nella nuova versione della legge COVID-19, approvata poche settimane fa, malgrado le motivate sollecitazioni giunte da più voci economiche e dagli imprenditori tutti, non è stata ampliata la cerchia dei beneficiari delle misure previste per i casi di rigore, nè è stata ridotta la soglia del 40% della perdita di fatturato per accedere a questi aiuti. È ovvio che ampliare il numero di categorie che potrebbero beneficiare degli aiuti per casi di rigore significa avere costi supplementari. Ma sono costi comunque inferiori a quelli che vi sarebbero costringendo molte attività a chiudere e poi a dover fare capo a disoccupazione, assistenza e altri ammortizzatori. Inoltre, l’attuale situazione non tiene conto di chi, pur non essendo stato chiuso per ordine dell’autorità, è di fatto fermo perché i clienti principali sono a loro volta chiusi. In quest’ottica è comprensibile come la percentuale del 40% di perdita minima sulla cifra d’affari per accedere agli aiuti percentuale di perdita sia troppo elevata. Per molte attività economiche equivale di fatto al fallimento e che le esclude numerose imprese in difficoltà dai sostegni federali e non per demeriti propri. Una linea rossa che marca, peraltro, evidenti discriminazioni.
Perché un’azienda che ha perso solo il 39% della cifra d’affari non ha diritto di accedere ai casi di rigore? Sulla base di quale ragione giuridica una società che non ha dovuto chiudere per ordine dello Stato, ma che ha comunque subito perdite notevoli e misurabili perché facente parte della filiera colpita duramente dai lockdown, non può beneficiare degli aiuti federali? Escludere queste imprese significa lasciarle in balia dell’andamento dell’epidemia e condannarle alla chiusura. Non a caso i Cantoni Ginevra e Argovia hanno abbassato tale soglia rispettivamente al 20% e al 25% di diminuzione della cifra d’affari. E il Canton Vaud ha creato autonomamente un fondo di sostegno all’industria di 6 milioni di franchi, proprio per cercare di ovviare alla situazione di chi si ritrova in difficoltà a causa del rallentamento della filiera di produzione.
Difficile se non insostenibile anche la situazione di molti indipendenti, esclusi dall’indennità di perdita di guadagno, la cosiddetta IPG Corona. Oltre ai ritardi nell’erogazione delle indennità va detto che Berna ci ha messo anche del suo per complicare le cose. Dallo scorso settembre sono stati, infatti, fissati criteri più rigorosi per il riconoscimento delle indennità, inoltre la domanda per le IPG Corona va ora ripresentata ogni mese. Ciò sta rendendo inevitabilmente le procedure più lunghe e macchinose per tutti.
Al danno purtroppo si aggiunge la beffa: mentre gli indipendenti aspettano mesi per ottenere le indennità, ricevono invece puntualmente conteggi e richiami per un sollecito pagamento in materia di AVS, IVA e vari altri contributi obbligatori. Una situazione insostenibile per migliaia di indipendenti: artigiani, negozianti, piccoli imprenditori, ristoratori, artisti, liberi professionisti, commercianti, titolari di servizi alle persone, sempre più esasperati. Sarebbe pertanto doverosa una moratoria sui contributi obbligatori, per evitare l’amaro paradosso di uno Stato che da un lato chiude le attività impedendo di guadagnare e che ritarda nell’erogazione dei sostegni, e dall’altro apre subito delle procedure esecutive per dei pagamenti, certo dovuti, ma che, viste le attuali difficoltà non si possono onorare.
In un contesto così complesso è giusto e indispensabile cercare di scongiurare gli abusi, ma non si possono mettere in ginocchio migliaia di piccoli imprenditori e di indipendenti per il timore di coloro che vogliono approfittarne. Abbiamo i mezzi necessari per identificare e punire questi personaggi. Del resto, quello che permette a uno Stato di funzionare si chiama anche fiducia, fiducia in un sistema che non fa differenze, che aiuta, che supporta e si preoccupa per i propri cittadini. Non è certamente positivo vedere crescere il debito pubblico, ma sarebbe molto peggio trovarsi con aziende eccessivamente indebitate, perché significherebbe che la ripresa diventerebbe molto lenta e difficile. Se si mantengono le capacità di reazione dell’economia, anche le casse statali possono recuperare in tempi moderatamente veloci. Se invece si crea una realtà di imprese incapaci di investire e di pianificare con qualche certezza in più e non solo a brevissimo termine, i dolori saranno molto più forti e a lungo termine. Sarebbe, a questo punto, eccessivamente ottimistico pensare che con la fine dell’emergenza sanitaria l’economia riaccenda subito i motori e li faccia girare a pieno regime. Un’utopia, purtroppo.
Maggiore flessibilità e rapidità nell’attribuzione di aiuti
/in Comunicazione e mediaL’opinione di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, Presidente Ordine dei Commercialisti del Cantone Ticino e Presidente FTAF
La situazione di difficoltà di molte imprese, di per sé sane ma chiuse per ordine statale oppure colpite indirettamente da tale ordine, è nota a tutti. Gli indipendenti e i gerenti di società hanno costituito la categoria meno considerata e aiutata in tutta la pandemia e anche questa è cosa nota. È quindi ben comprensibile quale sia lo stato d’animo di quegli indipendenti e quei gerenti che, avendo da sempre pagato i premi dell’Indennità per perdita di guadagno (IPG), si trovano oggi ad affrontare ostacoli e ritardi nel riscuotere gli aiuti IPG Corona. Questo è il vero paradosso: aver contribuito alla cassa comune per una vita e non ricevere nel momento del bisogno il conseguente supporto.
Nella prima fase di lockdown l’IPG veniva erogata per importi inferiori a quanto previsto per le Indennità per lavoro ridotto (ILR), ma le regole erano equivalenti. Oggi non è più il caso e mal si comprende perché.
Le casse interpretano in maniera restrittiva cosa sia “Subire una perdita di guadagno o stipendio”. Molti si sono visti rifiutare il pagamento delle indennità perché, per vivere, hanno richiesto dei finanziamenti aziendali, oppure si sono permessi di prelevare un acconto mensile. Questo è chiaramente un danno oltre la beffa: come avrebbero potuto mantenere sé stessi e le proprie famiglie senza nessun prelievo?
Si è così creato un problema per i mesi di settembre e ottobre, con conseguenti ricorsi e contestazioni di decisioni fino al Tribunale Amministrativo, che pure è oberato e non ha modo di evadere tempestivamente le pratiche.
La situazione è obiettivamente difficile per tutti, anche per l’amministrazione cantonale e nessuno lo nega. Gli uffici, come l’Istituto delle assicurazioni sociali (IAS), sono sotto pressione. Ciò non toglie che occorra non perdere di vista la priorità: sostenere il lavoro.
Nella prima fase abbiamo saputo dare risposte immediate ed erogare i fondi con velocità. Questo è stato il segreto del successo del modello svizzero. Oggi purtroppo non è più così.
Abbiamo troppa paura degli abusi, che inevitabilmente accadono in situazioni eccezionali, ma che certo da noi non costituiscono la regola.
La diffidenza verso chi chiede sostegno va combattuta: si tratta dei piccoli imprenditori del Cantone, che vivono e hanno famiglia in Ticino e che cercano di salvaguardare l’occupazione per le collaboratrici e i collaboratori.
Lo Stato ha correttamente chiesto ai cittadini di essere ragionevoli e flessibili in questo difficile periodo. L’autorità cantonale dimostri di esserlo altrettanto, concentri le sue energie sui compiti urgenti e se necessario temporeggi invece sui richiami e sui precetti esecutivi, per non togliere con una mano quello che ha concesso (o avrebbe dovuto concedere) con l’altra.
Incontri tra PMI e mondo finanziario
/in Appuntamenti, Formazione puntuale, Scuola managerialeCiclo di seminari quali formazioni su misura per fornire nozioni fondamentali e testimonianze per una moderna gestione d’impresa. Aperte le iscrizioni.
Le piccole e medie imprese (PMI) svolgono un ruolo fondamentale nell’economia svizzera. Dalla panetteria alla start-up attiva su internet o al fabbricante di macchine e utensili, le PMI rappresentano la stragrande maggioranza delle aziende (secondo l’Ufficio federale di statistica (UST) sono più del 99%) e generano due terzi dei posti di lavoro nel paese. Esse offrono un contributo significativo alla creatività, alla crescita e alla prosperità nazionale.
La Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino (Cc-Ti) e il Centro Studi Villa Negroni (CSVN) riconoscono l’importanza delle PMI in Svizzera e prestano un’attenzione particolare a queste aziende, sforzandosi di soddisfare le loro esigenze anche tramite formazioni mirate per il loro sviluppo. Il ciclo di incontri tematici, denominato “Incontri tra PMI e mondo finanziario: nozioni fondamentali e testimonianze per una moderna gestione d’impresa” caratterizzato da un taglio prettamente pratico, si propone di agevolare la collaborazione tra le PMI e il mondo finanziario.
Tutti i dettagli sul sito del Centro Studi Villa Negroni.
Verrà rilasciato un Attestato di partecipazione congiunto Cc-Ti e CSVN a coloro che hanno frequentato l’80% del percorso.
Scarica la brochure.
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C’erano una volta le materie prime
/in Organizzazione, Sostenibilità, TematicheC’era una volta un Paese chiamato Svizzera che, pur non coltivando una sola pianta di cacao, diventa leader mondiale del cioccolato. Riflessioni su materie prime e sostenibilità.
Per risalire alle radici di questa storia di successo bisogna compiere un passo indietro e tornare tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
La Svizzera, localizzata nel cuore del Continente europeo, per ragioni riconducibili alle ridotte dimensioni del Paese, così come per motivi climatici e di scarsità di materie prime locali, dovette prevedere un metodo per coprire i propri fabbisogno primari importando cereali per la popolazione ed esportando in cambio prodotti di allevamento principalmente tra Italia e Francia.
Cominciò così a sfruttare gli spazi a propria disposizione per rafforzare il settore agricolo e quello manifatturiero, iniziando così un processo import-export.
Alla fine del XIX secolo si compì un nuovo passo, molto importante per lo sviluppo della Confederazione, ossia l’introduzione della rete ferroviaria, con riferimento in particolare al traforo del San Gottardo. Quest’importante investimento infrastrutturale collegò il Paese alla rete europea dove si posero le basi per una piccola economia “aperta”.
Da qui, l’importazione e l’approvvigionamento di beni essenziali quali derrate alimentari, materie prime ed energetiche iniziò a svilupparsi. Anche se in Svizzera non cresce il cacao, il cioccolato è divenuto il simbolo del nostro Paese. Essendo priva di materie prime, la Svizzera le importa, le lavora, ed esporta quindi i semilavorati e i prodotti finiti in tutto il mondo.
La storia continua con l’eredità di imprenditori brillanti quali Daniel Peter, Alexander Cailler e Henri Nestlé, grazie ai quali si inaugurò una produzione su larga scala di vari prodotti derivati sia dal cioccolato, che dal caffè e dal latte. Di fatto questi nomi, si affermano ben presto come un simbolo mondiale di scoperta e innovazione rappresentano oggigiorno colossi dell’industria alimentare. I pionieri del cioccolato e del latte non avrebbero avuto questo successo se non grazie ad un commercio libero tra i diversi Paesi. Questa ascesa fu resa possibile essenzialmente per due ragioni.
Da un lato, le ottime relazioni con Paesi terzi permisero agli imprenditori svizzeri di instaurare rapporti di scambi commerciali con numerose altri Stati assicurandosi un approvvigionamento delle materie prime necessarie al confezionamento del prodotto. Dall’altro lato, giocarono un forte ruolo anche la crescente urbanizzazione delle città e di conseguenza l’aumento della domanda. Oltre a ciò, ferrovie e navi favorirono l’abbattimento dei costi di trasporto delle merci nonché un aumento nella velocità di trasporto. Anche sul nostro territorio, nel nostro piccolo Ticino, conosciamo ora nomi eccellenti ed aziende affermate che assicurano e confermano la tradizione, quali Chocolat Stella SA, Chocolat Alprose SA, Domani Food SA, LATI SA e Agroval SA, ad esempio.
Per un piccolo Paese che non dispone delle premesse favorevoli per uno sviluppo autonomo, le relazioni con l’estero hanno sempre rivestito un’importanza fondamentale. Esportando beni e servizi, esso si procura la valuta necessaria per importare i generi di cui è sprovvisto o che non è in grado di produrre. Considerato l’aumento delle esportazioni-importazioni e parallelamente l’aumento anche delle prestazioni del settore terziario tra servizi bancari, assicurativi, investimenti e di turismo, la Svizzera impara così ad essere un forte intermediario di transazioni invisibili ma molto proficue. L’espansione del settore continua anche durante e dopo le due guerre mondiali. Società estere, tutt’ora esistenti legate al commercio di petrolio, cotone, di spedizione, ecc., hanno trovato nel nostro Paese, caratterizzato da una politica stabile, dalla neutralità e da una moneta forte la sede adatta per i propri commerci. Questo ha portato a una forte espansione del settore. Comincia così la lunga tradizione della compravendita di materie prime. Tale commercio è importante e proficuo non solo per la Svizzera ma anche per il resto del mondo: in modo molto semplice ha permesso un equo scambio commerciale tra Paesi che vantano di materie prime in eccesso sul proprio territorio, Paesi che ne possiedono poche o che ne sono completamente privi.
C’era una volta una tazza di caffè…
Anche una gran parte del commercio del caffè mondiale viene elaborato direttamente o indirettamente attraverso la Svizzera. Le esportazioni di caffè superano ampiamente quelle di prodotti alimentari tradizionalmente associati alla Svizzera, ad esempio, il cioccolato o il formaggio.
Nel 1975 il padre delle capsule di caffè Eric Favre – ingegnere vodese, a quel tempo impiegato nel reparto confezionamento di Nestlé – dopo un viaggio a Roma insieme alla moglie allo scopo di cercare spunti, si mette a lavorare all’invenzione che oggi ha aperto la strada a un oggetto divenuto ormai irrinunciabile: la capsula da caffè.
Serviranno dieci anni di persistenza da parte di Favre e il volto di George Clooney per dar vita al boom mondiale del caffè in capsula chiusa, che oggi tutti conosciamo. La ricerca costante e importantissima della sostenibilità dei prodotti ha dato, inoltre, un valore aggiunto indispensabile anche e specialmente, guardando al futuro.
Una curiosità: quale è il modo meno impattante per far nascere una tazza di caffè? Stimando una media per famiglia, uno studio ha preso in considerazione tutti gli aspetti del ciclo di vita di una tazza di caffè: dall’estrazione, la coltivazione completa del chicco, dall’acqua consumata, l’uso del suolo, trasporto, produzione e dalla lavorazione di tutte le materie prime fino alla fine del ciclo di vita di tutti i componenti, trasporto, produzione, lavorazione delle materie prime e l’imballaggio. Oggi le persone sono sempre più preoccupate e attente all’impronta ecologica di qualsiasi attività. Sempre di più, ci si interroga sull’uso delle risorse nel processo di produzione e sull’impatto dopo l’uso. Per quanto possa sembrare singolare, è il modo in cui consumiamo il caffè con il modo in cui viene coltivato che genera il maggiore impatto ambientale e non, come spesso si pensa, dalla sua produzione o l’imballaggio, nel caso citato, la scelta dell’alluminio. Questa è solo una riflessione su come una semplice tazza caffè possa avere così svariati aspetti economici ed ambientali servendosi di diversi processi di studio per realizzarla in modo più intelligente, ed è solo una piccola fetta di ciò che il commercio di materie prime offre.
C’era una volta, un’economia circolare…
Il bene delle materie prime, il bisogno che ha l’uomo verso di esse. Dobbiamo soffermarci brevemente sull’uso quotidiano che le caratterizza. Basta guardare tutto ciò che abbiamo attorno, tutto ciò che addirittura indossiamo. Tutto viene prodotto da materiali diversi ma collegati tra loro da un commercio globalizzato.
La globalizzazione ha moltiplicato le relazioni transfrontaliere fra i governi, i gruppi sociali e gli attori dell’economia. Le relazioni internazionali sono diventare sempre più fitte e intense. Un intreccio, che evoca, al contempo, la vulnerabilità legata agli sviluppi esterni, e che descrive non sole le interrelazioni economiche e sociali, ma anche quelle politiche e culturali, senza peraltro trascurare mai le vulnerabilità ecologiche. Tracce di Svizzera nel mondo e del mondo in Svizzera. La politica di sviluppo e la cooperazione allo sviluppo devono fornire una risposta alle sfide che questo Paese è chiamato ad affrontare in loco e a livello globale. Infatti, un Paese fortemente integrato sul piano internazionale come la Svizzera ha grandi possibilità di contribuire a definire l’assetto della globalizzazione.
Per le imprese esposte alla globalizzazione, l’espansione all’estero è una strategia di sopravvivenza e non rappresenta un elemento di concorrenza con l’esportazione dalla Svizzera, bensì uno stimolo. Infatti, agli investimenti effettuai all’estero fanno seguito le forniture di bene d’investimento svizzeri, pezzi di ricambio, tecnologie e prestazioni di consulenza. La Terra ci offre moltissime risorse essenziali; l’aria, l’acqua, il legno, il petrolio, i minerali, ecc.. Molte materie prime sono però limitate, difficilmente accessibili o hanno bisogno di tempo per rigenerarsi. Tutti noi, perciò, dobbiamo utilizzarle in modo adeguato: non dobbiamo sprecarle. In Svizzera le superfici arabili non sono sufficientemente estese e le condizioni climatiche non idonee alla produzione di tutte le derrate alimentari consumate. L’acquisto di derrate all’estero ha dunque tradizione. In questo modo sfruttiamo più terreno di quanto non ne abbiamo a disposizione. Grazie al solo commercio di prodotti agricoli con i Paesi in via di sviluppo, la superficie arabile risulta più che raddoppiata. Inoltre, per via dei nostri consumi utilizziamo indirettamente acque e altre risorse naturali nei Paesi d’esportazione. Ciò non vale solo per i prodotti alimentari, ma anche per l’elettronica d’intrattenimento, l’abbigliamento, l’energia e tant’altro ancora. Inoltre, per approntare questi beni e assicurarne lo smaltimento occorrono ulteriori risorse.
Ma dentro le aziende?
Il benessere dei propri collaboratori, i legami con il territorio e l’ambiente. Questi sono tre fattori strategici la cui salvaguardia è fondamentale per l’esistenza dell’impresa stessa. È qui che subentra la RSI, Responsabilità Sociale di Impresa, che offre la visione di un modello business al quale tutte le imprese ed uffici possono far riferimento per poter modificare la loro filosofia in modo da avere un impatto positivo sul mercato del lavoro e potersi affermare come leader in questo spazio di crescita umanitaria e ambientale.
Alla Cc-Ti
Questi aspetti devono andare di pari passo. Qui comprendiamo il perché la responsabilità sociale gioca un ruolo importante ed aiuta di fatto a mantenere e a gestire al meglio gli assi fondamentali.
Una gestione consapevole dell’impatto si traduce in migliori relazioni esterne, una buona reputazione, ispirazione innovativa e rischi meglio gestiti.
La Cc-Ti è da sempre molto impegnata nella responsabilità sociale con consulenze o corsi mirati, ad esempio, per gli associati cercando di garantire e solidificare una formazione sociale virtuosa. Ricordiamo che nel nostro team annoveriamo un CSR Manager, nella persona di Gianluca Pagani, a vostra disposizione per qualsiasi supporto (Tel. +41 91 911 51 36, pagani@cc-ti.ch; altri dettagli visitando il nostro sito e leggendo questo articolo).
Il settore delle materie (sezione Ticino) prime ha il proprio segretariato presso la Camera di commercio e dell’industria con l’associazione Lugano Commodity Trading Association (LCTA). Questo settore offre lavoro a circa 35’000 persone e genera il 3.8 percento del prodotto interno lordo. Il Ticino, in questo ramo si posiziona al terzo posto in ordine di importanza dopo Ginevra e Zugo; con 120 aziende e oltre 900 impiegati. A livello federale le aziende del settore delle materie prime vengono rappresentate dall’associazione mantello STSA, Swiss Trading and Shipping Association mentre a livello regionale, da oltre dieci anni la LCTA rappresenta le aziende in Ticino.
Oltre che garantire un sostegno e uno sviluppo delle aziende affiliate, la LCTA in collaborazione con l’Università di Lucerna e l’associazione regionale ZCA, Zug Commodity Association si impegna a fornire una formazione mirata del settore per dipendenti che vogliono intraprendere un nuovo percorso formativo.
Fonte: pubblicazione “La Svizzera e il mondo”, 2007, R. Gerster