Una popolazione che spopola

La Cc-Ti riflette su un’evoluzione che rischia di compromettere la crescita del Ticino

Secondo le previsioni dell’Ufficio federale di statistica, entro il 2050 si stima che il Ticino avrà 18’100 abitanti in meno. In sostanza, è come se scomparissero dalla mappa demografica gli abitanti di Mendrisio e Balerna.

Negli equilibri confederali, al di là delle ovvie differenze fra regioni, il rischio è che si creino disparità eccessive in termini di capacità di sviluppo economico e quindi di benessere generale. Per molti motivi (massa critica, infrastrutture, rete economica, ecc.) il Ticino non può imporsi sui grandi agglomerati, come ad esempio quello zurighese, ma può e deve mantenere un buon livello, simile a quello degli altri cantoni dalle dimensioni e dalle strutture comparabili.

In questi anni, in cui la competitività ticinese ha dimostrato di non avere nulla da invidiare alla media svizzera. In gioco ci sono quindi la capacità innovativa e la forza lavoro qualificata. Il nostro Cantone continua a offrire certezze ai propri cittadini, in termini di affidabilità delle istituzioni, sicurezza legislativa, possibilità di formazione e lavoro, ecc..
Nel mercato del lavoro la concorrenza è cresciuta, ma ciò non significa automaticamente che si riducano le prospettive.

Il nostro Cantone presenta una realtà economica estremamente diversificata in molteplici settori congiunturali con eccellenze differenti. Ogni agglomerato presenta punti di forza peculiari che contribuiscono alla crescita economica. Sono innumerevoli gli esempi di aziende dall’alto potenziale che ogni giorno esportano i propri prodotti sui mercati internazionali e lavorano attivamente in quello interno. La presenza di importanti istituti accademici e di ricerca con cui si collabora fattivamente incrementa in modo determinante la qualità dell’innovazione, permettendo anche al Ticino di garantire una performance di qualità.

Per dare continuità a questo sviluppo, è giusto quindi monitorare la tendenza alla diminuzione della popolazione, visto che il trend sembra costante e trova riscontri anche nel recente documento pubblicato da Coscienza Svizzera “Il malessere demografico che colpisce il Canton Ticino. Sfide politiche ed economiche per la nostra società”, curato da Ivano D’Andrea, CEO del Gruppo Multi.

Le morti superano le nascite da un decennio, la natalità cala, così come il saldo migratorio intercantonale. Inoltre, come per altri cantoni dove il mercato del lavoro presenta delle difficoltà, chi parte per svolgere studi in altri cantoni o all’estero non sempre riprende la strada di casa, o comunque non subito. Diminuiscono anche gli stranieri che si stabiliscono da noi e aumentano gli svizzeri che si trasferiscono all’estero.

Ma quali sono i motivi alla base di questa tendenza? Gli elementi sono molteplici e le dinamiche sono complesse, per cui le soluzioni non sono ottenibili con la bacchetta magica o con una legge, come spesso crede la politica.

È indubbio che altre regioni svizzere ed europee possano esercitare un’attrattiva maggiore rispetto al nostro Cantone in termini di possibilità di carriera. Anche per un aspetto finanziario. Detto in altre parole, talune attività da noi semplicemente non ci sono, per cui andarle a cercare altrove è assolutamente naturale, soprattutto pensando alle tante nuove figure professionali create con lo sviluppo delle tecnologie e l’evoluzione digitale.

La cura incessante del ‘fattore umano’ resta ancora decisiva. Il progresso tecnologico – frutto dell’esperienza e del genio umano – insieme a una costante formazione del personale (aspetto fondamentale per garantire la presenza di collaboratori qualificati sul territorio) sono sempre al centro dell’attenzione. Ciò permette, insieme a investimenti mirati e continui nella Ricerca e Sviluppo (R&S), a una grande flessibilità dei modelli di business che si adattano alle costanti variazioni economiche, a un sistema-Paese che spinge sull’acceleratore dell’apertura e dell’incremento delle competenze – con la formazione duale –, di restare competitivo.

Insomma, un Ticino che deve continuare sulla strada intrapresa qualche anno fa, in modo che se oggi magari “zoppica” un po’, non smetta di “correre”.

Come detto, non siamo soli a essere confrontati alla decrescita della popolazione. Anche altri territori come Neuchâtel (non a caso quest’ultimo promotore di idee elencate nell’altro nostro articolo) vivono una situazione molto simile.

È purtroppo innegabile che la capacità di accoglienza del Ticino sia molto diminuita da qualche anno a questa parte. Sia verso le aziende, tutte frettolosamente messe nel calderone degli evasori fiscali, sia verso i privati, mal sopportati per il fatto di essere stranieri. La caccia alle streghe scatenata nei confronti dei facoltosi contribuenti stranieri che in Svizzera risiedono ma non lavorano non giova certo alla voglia di insediarsi alle nostre latitudini.

I casi di persone costrette a ripartire dalla Svizzera per futili motivi iniziano ad aumentare in maniera insidiosa. L’immagine di un paese non solo di difficile accesso ma addirittura a volte ostile, invoglia poco a trasferirsi in Ticino.

Denatalità e invecchiamento della popolazione hanno sinora preoccupato i politici quasi esclusivamente per le pesanti ripercussioni che ci saranno sul sistema pensionistico. Ma ci sono anche altri effetti non meno gravi. Sulla sanità che con una popolazione più vecchia vedrà aumentare ancora i costi della salute. Sulla forza lavoro, venendo a mancare un adeguato apporto di energie giovani che sono anche il motore di quel dinamismo economico che produce e distribuisce ricchezza. Sui gettiti fiscali e sull’attrattività per gli investimenti.  Sui modelli di consumo, sulla mobilità, sul mercato immobiliare, innescando un effetto sostituzione per cui si lasceranno vecchi quartieri e vecchi appartamenti per quelli nuovi, declassando i primi ad aree marginali. Degrado e sovradimensionamento per infrastrutture che erano state concepite per un numero maggiore di residenti.

Anche il peso politico di un Cantone con meno abitanti diminuisce considerevolmente, vista anche la sempre crescente importanza delle città sul piano politico federale.

È possibile invertire questa tendenza? Il Canton Neuchâtel ha abbozzato alcune soluzioni, con obiettivi e misure specifiche che potrebbero offrire delle piste interessanti anche per il nostro Cantone, sempre che ci sia la consapevolezza di un’azione comune e coordinata. La strategia neocastellana sostiene che non dipenda solo dall’azione pubblica, ma da una molteplicità di fattori e dalla capacità di molti attori di lavorare assieme per innescare una dinamica demografica positiva.

Non suona così complicato, ma se non si riesce a parlare senza paraocchi ideologici di accesso alla proprietà, mobilità, fiscalità, mercato del lavoro, politica migratoria di persone e aziende, tanto per citare solo alcuni elementi, l’esercizio rischia di diventare impossibile.

Il modello del Canton Neuchâtel per attirare nuovi residenti

Una strategia con 10 obiettivi e 10 misure per contrastare la diminuzione della popolazione

Già da qualche anno l’attrattività residenziale è una delle grandi priorità del Governo neocastellano per contrastare il declino demografico. Dal 2000 l’arrivo di nuovi residenti dagli altri Cantoni si è infatti arrestato e dal 2016 anche il flusso internazionale, che aveva in parte compensato questa perdita, è negativo. Il governo è, perciò, corso ai ripari, avviando un piano per il rilancio demografico.

“La stratégie de promotion de la domiciliation” attivata dal Cantone è incardinata sulle tre A di Ancrer, Attirer, Accueillir (ancorare, attirare, accogliere), con tre obiettivi definiti: ritornare ad una crescita demografica in linea con la media nazionale, rilanciare il flusso migratorio intercantonale, migliorare la percezione dell’attrattività del Cantone sia all’interno, quindi con la popolazione, che all’esterno.

Per coordinare il progetto di rilancio demografico, dotato di un budget di 2,3 milioni di franchi per il quinquennio 2019-2024, è stato nominato un delegato, “Monsieur domiciliation”, affiancato da un team interdipartimentale e da un comitato consultivo di cui fanno parte personalità qualificate con esperienze e competenze specialistiche. Il piano degli interventi è strutturato su cinque assi prioritari e altrettanti assi trasversali, che prevedono anche dieci misure specifiche che devono essere attuate dal governo con la collaborazione di altri enti pubblici e partner privati.

Gli assi prioritari sono: ancoraggio della popolazione e limitazione dell’esodo verso altri Cantoni; incentivare la residenza dei pendolari che già lavorano a Neuchâtel e del nuovo personale assunto dagli enti pubblici o dalle aziende; fidelizzazione dei residenti; contatti capillari e feedback costante con i nuovi abitanti; rientro nel Cantone degli “espatriati”.

Gli assi trasversali prevedono: miglioramento delle condizioni quadro e marketing residenziale; sviluppo di apposite partnership; sensibilizzazione e mobilitazione della popolazione (secondo il principio che “gli abitanti sono i primi ambasciatori del loro territorio”); politica di accoglienza; monitoraggio dell’andamento del progetto.

Le dieci misure specifiche gestite dallo Stato vanno dalla campagna permanente per la promozione dell’immagine residenziale, con la creazione di un apposito brand “Vivere a Neuchâtel”, al partenariato con le aziende e  le agenzie specializzate per incentivare la residenza dei pendolari; dal miglioramento dell’accoglienza per i nuovi arrivati – definendo con i Comuni dettagliati standard di qualità- alla rete per attirare nuovi abitanti; dall’attivazione di tutta la pubblica amministrazione sulla “Stratégie de promotion de la domiciliation” agli interventi per “ancorare” la popolazione residente; dalle facilitazioni per l’accesso alla proprietà, con incentivi finanziari e fiscali, al monitoraggio capillare dei flussi demografici. Nel programma per la crescita demografica un ruolo particolare lo giocano i Comuni per la stretta vicinanza con la popolazione locale, l’organizzazione della vita collettiva e per l’offerta di tutti quei servizi e prestazioni che valorizzano l’attrattività residenziale. Sono i Comuni in prima battuta, avverte il Cantone, ad accogliere e facilitare l’integrazione dei nuovi residenti.

Successione e trasmissione aziendale: meglio non affidarsi al caso

Passaggio generazionale e continuità dell’azienda: come salvaguardare il valore aziendale mettendo le persone al centro delle priorità

L’imprenditore ricerca costantemente la prosperità e la continuità per la propria impresa: questo obiettivo lo accompagna per tutta la vita ed emerge con maggior impeto quando si avvicina il momento del “passaggio del testimone”.

Recenti studi mostrano come nei prossimi anni almeno un quarto delle PMI svizzere preveda di cambiare proprietà. Questo scenario non coinvolgerà solamente gli imprenditori con i propri familiari, ma anche molti collaboratori che vivranno il cambiamento in prima persona sul luogo di lavoro.

La regolamentazione della successione riveste quindi un fattore cruciale per salvaguardarne il valore aziendale e per soddisfare l’ampia cerchia di persone coinvolte. Da recenti sondaggi si sottolinea come una buona parte degli imprenditori non abbia ancora regolamentato la propria successione, decidendo se affidare il divenire della propria azienda ai familiari, al management o, in alternativa, a terzi investitori.

Le 5 fasi concernenti una successione aziendale sono:

1) l’impostazione di una riflessione,
2) l’analisi della situazione attuale,
3) la valutazione dell’azienda,
4) la preparazione alla trasmissione e infine
5) il trasferimento con tutti i passi organizzativi e procedurali che incombono.

Il passaggio delle consegne non è sempre un passo facile da pianificare. L’imprenditore spesso si pone alcune domande alle quali gli specialisti devono poter dare una risposta.

Ad esempio: quali misure devono essere adottate per impostare una fluida collaborazione tra imprenditore e potenziale successore? Come vengono definiti i ruoli e le funzioni in questa fase del passaggio delle consegne e qual è la procedura in caso di divergenze d’opinione? In quale ruolo deve essere introdotto il successore nell’impresa (come consigliere d’amministrazione, segretario del consiglio d’amministrazione, CEO, specialista quadro / tecnico, responsabile di progetto, capo settore)?  L’imprenditore deve riflettere come e in che forma lasciare l’azienda (ritiro parziale o completo).

Il processo di successione aziendale è molto più lungo e complesso di quanto si è soliti credere, i fattori che ne determinano il successo sono molteplici ed è spesso difficoltoso riuscire a conciliare le aspettative di tutti i diversi stakeholder. L’imprenditore dovrà quindi affrontare difficili scelte per individuare il miglior successore.

Di solito questa decisione non è frutto di un’illuminazione repentina, al contrario si sviluppa nel corso degli anni ed è quindi necessario pianificare la successione degli aspetti familiari e patrimoniali, richiedendo il supporto di specialisti per le problematiche più complesse (fiscali, legali, finanziarie). Nel fissare i propri obiettivi l’imprenditore e i consulenti non devono mai trascurare che gli aspetti emozionali e relazionali prevalgono sulla determinazione del prezzo e che per dare continuità si deve essere pronti a compiere scelte coraggiose che tengano conto dell’evoluzione dell’azienda e del mondo circostante.

Una delle questioni fondamentali che l’imprenditore si pone prima della cessione dell’azienda è quella di chiedersi a quale prezzo si può/deve vendere la propria azienda.

Questa è una domanda cruciale che tutti gli imprenditori si pongono e la cui risposta si trova affrontando il problema con i corretti presupposti. L’imprenditore non può esigere un prezzo troppo elevato per la propria azienda e al contempo l’acquirente non deve pretenderne la svendita. È quindi necessario per entrambi conoscere tutti gli elementi che permettono la determinazione oggettiva del prezzo.

Il settore del Merger & Acquisition è da sempre caratterizzato da una grande vivacità, facendo registrare sia in Svizzera sia a livello internazionale un numero impressionante di rilevanti operazioni strategiche. Gli ultimi dati sulle attività di fusione e acquisizione (M&A) mostrano come nel 2019 siano state recensite 402 transazioni in Svizzera. Il volume di queste attività ammonta a 124 miliardi di franchi.

Le motivazioni che possono portare a cedere o ad acquistare un’azienda sono molteplici e variano da strategiche, economiche e finanziarie a strettamente personali. In ogni caso, nel processo di acquisizione/cessione di un’azienda sono richieste competenze specifiche tecniche e negoziali.

Infine, non è da sottovalutare il fattore emotivo che matura in colui che deve distaccarsi dalla “creatura” che ha visto crescere e prosperare, non senza sacrifici, in lunghi anni di attività professionale. In questo contesto il consulente finanziario che accompagna l’imprenditore in questa avventura deve assistere il proprio cliente anche sotto l’aspetto emotivo che, seppur poco “tecnico”, è fondamentale per poter concludere con successo l’iter di successione aziendale. In questo contesto la gestione dei colloqui e dello stress durante le trattive, e la preparazione al “dopo”, sono delle tematiche che meritano il dovuto approfondimento.

Un percorso formativo ad hoc
Il tema della trasmissione aziendale è oggetto di uno degli appuntamenti del ciclo “Incontri tra PMI e mondo finanziario: nozioni fondamentali e testimonianze per una moderna gestione d’impresa”, organizzato dalla Cc-Ti e dal Centro Studi Villa Negroni (CSVN) a partire dal prossimo mese di giugno.
Per iscrizioni al ciclo di seminari quali formazioni su misura per fornire nozioni fondamentali e testimonianze per una moderna gestione d’impresa, è possibile seguire questo link.

Articolo a cura di Nadir Rodoni, Vicedirettore, Centro Studi Villa Negroni, Vezia

Al via la Scuola manageriale Cc-Ti – edizione 2021

Didattica online efficace: anche quest’anno la Cc-Ti propone il corso “Specialista della gestione PMI con attestato federale”

Abbiamo ormai preso confidenza con la didattica online. Cogliendo quest’opportunità che la tecnologia ci offre, è essenziale non interrompere il percorso di apprendimento combattendo il senso di demotivazione che potrebbe insorgere.

Alla luce della situazione attuale, un’esperienza di studio e crescita rappresentata dal percorso della Scuola Manageriale Cc-Ti, offre un’interessante possibilità di partecipare a un percorso di arricchimento professionale che portano alla preparazione dell’esame per l’ottenimento di un attestato federale, grazie anche a docenti preparati da un punto di vista teorico e pratico.

Con la nuova classe della primavera 2021 – che ha iniziato il ciclo formativo il 22 marzo 2021 – abbiamo un gruppo di 13 iscritti molto eterogeneo per età e rami lavorativi, quali pasticceria, edilizia, industria, ecc., che condivideranno un percorso di un anno e mezzo.

Il corso formativo è strutturato su tre semestri con materie strutturate in sei moduli: ogni lunedì, verranno approfondite tematiche che aiuteranno ad acquisire conoscenze della gestione operativa di una piccola media impresa.

Questa formazione è indirizzata a imprenditori e dipendenti che vogliono acquisire nozioni di management ed essere in grado, servendosi degli strumenti dalla gestione aziendale, di condurre al meglio un’azienda socialmente responsabile.

La Camera di commercio e dell’industria del Canton Ticino (Cc-Ti) si impegna con progetti di formazione di lunga e breve durata che propone al ricco tessuto imprenditoriale ticinese, convinta del fatto che soltanto investendo nella formazione sia possibile continuare a crescere.

Interessati ad approfondire questo tema? Contattateci! Jennifer Vitale, collaboratrice della Scuola Manageriale, potrà rispondere alle vostre domande.
La partecipazione ad un nuovo ciclo sarà di nuovo disponibile – presumibilmente – in autunno.

La formazione professionale quale chiave del successo

Anche nel 2021 la Cc-Ti sostiene Espoprofessioni, la fiera dei mestieri, che torna in una rinnovata veste digitale.

Nel Rapporto d’attività dell’allora “Camera cantonale di commercio” (quella la ragione sociale della Cc-Ti negli anni ’20 del secolo scorso) dell’anno 1922, si parlava e si tematizzava di tirocinio professionale, scuole per apprendisti, insegnamento ai ‘fanciulli’ di 13-14 anni, e così via.
Fatto atipico? No, considerando la lungimiranza che la Cc-Ti ha sempre avuto per molte tematiche, fra cui spicca la formazione professionale di base e continua, quale caposaldo di una visione liberale che l’ha portata fino ad oggi, ben 99 anni dopo quel rapporto d’attività e a 104 anni dalla sua fondazione.

Nel sondaggio della FSEA – Federazione svizzera per la formazione continua 2021 (di cui la Cc-Ti fa parte attraverso la Conferenza della Svizzera italiana per la Formazione continua degli adulti – CFC) sugli erogatori di formazione continua, si evince come sia cambiato – con la pandemia – il modo di erogare e di fruire la formazione, orientandosi sempre più verso la digitalizzazione delle offerte. Anche la Cc-Ti ha percorso questa via; garantendo oggi un’offerta formativa completa in streaming.

Sono questi i due episodi con cui Lisa Pantini, Responsabile della comunicazione e relazioni con i soci della Cc-Ti, ha aperto il suo intervento alla conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2021 di Espoprofessioni.
Tenutasi il 11.3.2021 nel nuovo Auditorium della Scuola cantonale di commercio a Bellinzona, la conferenza stampa ha illustrato le principali novità di un’edizione peculiare, per la maggior parte online e con alcuni eventi selezionati in presenza.

La Cc-Ti riconosce quindi l’importanza della collaborazione fra associazioni economiche/professionali e lo Stato per la formazione professionale. Inoltre affianca le associazioni di categoria e le aziende formatrici con azioni di sostegno mirate, promozione delle professioni di tutti i settori economici e supporto per iniziative di vario genere.

Al momento informativo sono intervenuti, oltre a Lisa Pantini: Manuele Bertoli, Consigliere di Stato e Direttore DECS; Rita Beltrami, Capo dell’Ufficio dell’orientamento scolastico; Oscar Gonzalez, Aggiunto al Direttore della Divisione della formazione professionale; Selina Küpfer, Responsabile comunicazione Svizzera latina, SwissSkills Berna e Barbara Soer, del Segretariato cantonale UAE.

Dopo il rinvio della fiera nella primavera del 2020 causa COVID-19, oggi la fiera del 2021 si ripresenta con una nuova veste perlopiù digitale: nella settimana dal 22 al 27 marzo 2021, Espoprofessioni permetterà agli allievi di scuola media, ai loro genitori e insegnanti, come pure agli apprendisti, agli studenti del medio superiore, ai giovani adulti alla ricerca di percorsi formativi superiori, agli adulti interessati a perfezionamenti e riqualifiche, di esplorare il mondo delle professioni e delle formazioni del postobbligo.  


Tutti i dettagli relativi al programma, alle chat e alle modalità di partecipazione agli eventi sono disponibili sul sito www.espoprofessioni.ch.

Lisa Pantini resta volentieri a disposizione per eventuali domande.



Libero scambio – Pacifico

Il Partenariato Economico Globale Regionale – PEGR (Regional Comprehensive Economic Partnership, RCEP) – del quale anche l’Indonesia fa parte – ha permesso la nascita del più grande blocco commerciale esistente al mondo.

Australia – Vietnam

L’accordo si struttura in venti capitoli che racchiudono i punti nevralgici, tra cui ricordiamo: il commercio di beni, le regole di origine (ROO), le facilitazioni commerciali e doganali e, tra le altre, anche le misure sanitarie.

Il 7 marzo scorso l’accordo di libero scambio fra la Svizzera e l’Indonesia è stato approvato alle urne in votazione federale. Con questo recente risultato, la Svizzera è la Nazione che, in Europa, ha siglato il maggior numero di accordi di libero scambio (ALS).

Il Partenariato Economico Globale Regionale (PEGR) è un accordo di libero scambio nella regione dell’Asia Pacifica tra i dieci stati dell’ASEAN (nello specifico: Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam) e cinque dei loro partner di libero scambio: Australia, Cina, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud.
Negoziato per 8 anni, questo nuovo grande partenariato è stato siglato il 15 novembre 2020, in occasione del 37° vertice annuale dell’ASEAN. Nei prossimi due anni saranno possibili le rispettive ratifiche nazionali. Di fatto, la più grande zona di libero scambio al mondo è ora una realtà.

La Svizzera è relativamente già ben posizionata nell’area asiatica grazie all’accordo di libero scambio con la Cina, il Giappone, le Filippine, Singapore, la Corea del Sud.

La più grande zona di libero scambio

Il prodotto interno lordo totale dei 15 Paesi membri del PEGR raggiunge circa il 30% del valore aggiunto mondiale. Un dato importante e significativo dell’importanza ricoperta da questo Partenariato, è il valore aggiunto mondiale, se comparato ad esempio con la zona di libero scambio del Nord America al 28% e quella dell’Unione Europea al 18%.

L’India si è ritirata dall’accordo nel novembre 2019, principalmente a causa delle preoccupazioni relative al dumping di prodotti manifatturieri dalla Cina e di prodotti agricoli e lattiero-caseari dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, che potrebbero colpire i propri settori industriali e agricoli nazionali. A causa del ritiro dell’India, si teme che la Cina possa dominare l’RCEP. Se l’India dovesse riprendere in considerazione di aderire nuovamente al PEGR, ipotesi non in atto ma tuttavia possibile in un futuro, oltre il 40% della popolazione mondiale vivrebbe nella stessa zona di libero scambio.

La zona di libero scambio creatasi si presenza con circa il 30% della produzione economica mondiale, il 28% del volume degli scambi mondiali e circa 2,2 miliardi di persone.

Fonte cartina: Wikipedia – Di Tiger 7253 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=57964894

La sua struttura

L’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico afferma che gli obiettivi principali dell’accordo siano quelli di stabilire un partenariato moderno, completo, di alta qualità e reciprocamente vantaggioso che faciliterà l’espansione del commercio e degli investimenti regionali e che contribuirà allo stesso modo alla crescita e allo sviluppo economici e globali dell’area.

Di conseguenza, si creerà opportunità di mercato, d’occupazione per le imprese e per la popolazione indigena delle regioni.

Gli accordi commerciali rappresentano la maggioranza del contenuto. Sono state inserite numerose concessioni per i diversi gruppi merceologici e Paesi (come per il pesce per il Giappone, i prodotti in plastica per il Laos, ecc.). In ogni caso circa il 92% dei dazi doganali saranno ridotti o eliminati (non immediatamente).

Indipendentemente dalle tasse doganali, altre misure importanti sono previste per ridurre i costi del commercio estero. Queste spese restano piuttosto alte in Asia. È prevista una regolamentazione per la protezione dei contratti, dei diritti di proprietà intellettuale e degli investimenti; anche voci “sensibili” come i servizi finanziari e le telecomunicazioni verranno parzialmente liberalizzarti.

Questi accordi hanno effetti a diversi livelli, ma primo tra tutti, quello economico. Gli economisti stimano che il PIL dei Paesi Membri aumenterà costantemente di circa lo 0.2% (74 mia di dollari/anno).

Nel merito questo partenariato mira a ridurre le tasse doganali e le formalità burocratiche, permettendo di eliminare le “barriere doganali” sul 91% dei beni in transito.

In breve, il PEGR si compone nel modo seguente (il testo dell’accordo è accessibile al pubblico):

  • Commercio di beni
  • Servizi: e-commerce, divieto di richieste di localizzazione dati
  • Investimenti
  • Proprietà intellettuale
  • Politica della concorrenza

Non vi rientrano:

  • Sostenibilità
  • Diritto del lavoro

La Svizzera in questo contesto

Con questo accordo l’Europa perderà d’attrattività per la Cina (presupposto sul lungo termine), e in futuro la Repubblica Popolare Cinese dipenderà sempre meno dal commercio con Germania e Francia. Inversamente, i vantaggi per le aziende europee che vorranno insediarsi o vendere in Cina, saranno miseri. Questa situazione non bilanciata è dovuta al fatto che la maggioranza dei Paesi europei non hanno accesso al “libero scambio” con i Paesi membri del PEGR.

La Svizzera, fortunatamente, si può distinguere da questo meccanismo, essendo un Paese che ha concluso il più alto numero di accordi di libero scambio con i Paesi membri del PEGR. Ad eccezione di Laos, Cambogia, Australia e Nuova Zelanda, la Svizzera – quale Paese o quale membro del gruppo di Paesi AELS – ha già concluso o negozia questo tipo di accordi, concretizzando i propri risultati nel mercato.

La Svizzera produce prodotti di nicchia di elevata qualità e li esporta in tutto il mondo. Le aziende svizzere, piccole o grandi che siano, necessitano quindi di un accesso affidabile a un numero il più elevato possibile di mercati esteri. Il recente accordo con l’Indonesia rientra nella politica di libero scambio del nostro Paese, che vanta già oltre 30 accordi con più di 40 Paesi al di fuori dell’UE e dell’AELS.


Fonte: Journal des arts et des métiers, marzo 2021 ; adattamento Cc-Ti

La Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora

La CITES (CITES – Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora), nota anche come Convenzione di Washington è sottoscritta da 175 Paesi di tutto il mondo allo scopo di garantire la conservazione e l’utilizzo sostenibile delle popolazioni vegetali e animali del nostro pianeta.

Per molte specie di flora e fauna l’espansione degli scambi internazionali costituisce – o potrebbe costituire – una minaccia. Il loro commercio dovrebbe quindi essere ammesso solo nella misura in cui lo consentono gli effettivi naturali. L’introduzione di regole chiare, improntate ai criteri della sostenibilità, si rivela spesso più efficace di un divieto assoluto. Con il termine “commercio ai sensi della CITES” si intende quindi qualsiasi spostamento che preveda il passaggio di un confine.

Le specie protette dalla CITES vengono classificate su tre diversi livelli, a seconda del grado di minaccia. L’importazione e l’esportazione di esemplari vivi, di loro parti o prodotti da essi derivati sono vietate, oppure consentite solo previa autorizzazione.

L’Appendice I (primo livello) comprende tutte le specie minacciate di estinzione le quali sono o potrebbero esserlo dal commercio. Il commercio degli esemplari di tali specie deve essere autorizzato solo in condizioni eccezionali.
L’Appendice II (secondo livello) comprende tutte le specie le quali, pur non essendo attualmente necessariamente minacciate di estinzione, potrebbero esserlo se il commercio degli esemplari di tali specie non fosse sottomesso ad una severa regolamentazione.
Mentre l’Appendice III (terzo livello) comprende tutte le specie che una parte dichiara sottoposte, nei limiti della propria competenza, ad una regolamentazione avente come scopo l’impedimento o la restrizione del loro sfruttamento e implicante la cooperazione delle altre Parti per il controllo del commercio.

Molti animali selvatici oggetto di scambi commerciali transfrontalieri sono tutelati da disposizioni sulla conservazione delle specie sia a livello nazionale che internazionale.
Anche la legislazione sulle epizoozie impone il rispetto di determinate condizioni.
Per importare o esportare questi animali è necessario disporre di un’autorizzazione.

Animali selvatici non protetti

In Svizzera vengono considerati non protetti gli animali selvatici che non figurano nelle Appendici I-III della CITES né sono tutelati ai sensi della legge sulla caccia e della legge sulla protezione della natura e del paesaggio.
Sussiste tuttavia un obbligo di autorizzazione anche per l’importazione di alcuni invertebrati e per la maggior parte dei vertebrati non protetti.
Per importare parti di animali protetti e prodotti da essi derivati sono necessarie un’autorizzazione d’importazione dell’USAV (Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria) e, per lo più, un’autorizzazione d’esportazione rilasciata nel Paese di origine o di provenienza.

Per parti di animali protetti e prodotti da essi derivati si intende:

  • prodotti di specie CITES: le disposizioni della convenzione internazionale CITES si applicano a circa 5’000 specie animali, elencate nelle tre Appendici citate poc’anzi;
  • prodotti derivati da specie di uccelli indigene di cui è vietata la caccia, protette ai sensi della legislazione svizzera in materia di caccia e di protezione della natura e del paesaggio.

Determinate parti e prodotti non trasformati, come ad esempio carni o pelli grezze, sono inoltre soggette alla legislazione in materia di epizoozie.

Piante ornamentali compresi bulbi e tuberi, semi, fiori recisi, foglie, frasche e rami

Tutti gli invii e gli esemplari di piante soggetti alle disposizioni CITES (anche riprodotti artificialmente) devono essere accompagnati dall’originale del certificato CITES rilasciato nel Paese d’origine. Il certificato è obbligatorio a prescindere dalla quantità.
Oltre 28’000 specie di piante rientrano nel campo d’applicazione della CITES; di queste, circa 300 sono iscritte nell’Appendice I e possono essere oggetto di scambi commerciali internazionali solo se ottenute da esemplari riprodotti artificialmente nell’ambito della coltivazione vivaistica; vige invece il divieto per le piante selvatiche.
Di norma non viene richiesto alcun permesso d’importazione dell’USAV per le piante CITES vendute in commercio e il materiale vegetale vivo deve essere anche accompagnato da un certificato fitosanitario (Phytosanitary Certificate = certificato di fitosanitario).

L’importazione in Svizzera deve avvenire esclusivamente attraverso gli uffici doganali inclusi nell’elenco “Uffici doganali per l’importazione di piante CITES”.
Sussiste un obbligo generale di notifica nei confronti dell’autorità doganale e del Servizio fitosanitario federale. Il Servizio fitosanitario federale è in grado di fornire ulteriori informazioni circa l’importazione di piante.
Del controllo alla frontiera è responsabile il Servizio fitosanitario federale (SFF) dell’UFAG (Ufficio federale dell’agricoltura), che su incarico dell’USAV effettua anche il controllo CITES.

Riesportazione di animali selvatici vivi – animali selvatici protetti

In Svizzera, gli animali sono protetti dalle seguenti disposizioni:

  • CITES: le norme previste dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES) interessano circa 5’000 specie animali, elencate nelle tre Appendici già citate.
  • Legislazione sulla caccia e sulla protezione della natura e del paesaggio

Per esportare animali selvatici protetti dalla CITES sono necessari un’autorizzazione d’esportazione o un certificato di riesportazione rilasciati dall’USAV.

Per l’esportazione di specie iscritte nell’Appendice I, è necessario che l’organo di gestione del Paese di destinazione abbia rilasciato un’autorizzazione d’importazione prima che l’USAV rilasci a propria volta un’autorizzazione d’esportazione (certificato di riesportazione). Tuttavia, per il commercio delle suddette specie vigono severe restrizioni. L’esportazione viene autorizzata, ad esempio, solo se si tratta di esemplari pre-convenzione, se è comprovabile che gli animali sono stati allevati in cattività o se vengono esportati nel quadro di programmi di conservazione in cattività e per finalità di ricerca.
Anche per gli animali di specie elencate nelle Appendici II e III sono necessarie autorizzazioni d’esportazione (certificati di riesportazione).
Per sapere se e in quale forma nel Paese in cui si intende esportare gli esemplari siano richieste autorizzazioni d’importazione per le specie iscritte nelle Appendici II e III, è opportuno contattare le autorità CITES del Paese di destinazione.

Riesportazione di parti di animali e prodotti derivati

In Svizzera, gli animali sono protetti dalle seguenti disposizioni:

  • CITES: le norme previste dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES) interessano circa 5’000 specie animali, elencate nelle tre Appendici descritte.
  • Legislazione sulla caccia e sulla protezione della natura e del paesaggio.

Per esportare parti di animali appartenenti a specie protette dalla CITES e prodotti da essi derivati sono necessari un’autorizzazione d’esportazione o un certificato di riesportazione rilasciati dall’USAV.

Fonti:


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Test rapidi su larga scala: ora tocca al cantone Ticino

Comunicato stampa congiunto Cc-Ti, ABT, AITI, DISTI e SSIC TI di lunedì 8 marzo 2021

Le associazioni economiche cantonali hanno preso atto della mutata strategia del Consiglio federale, che intende ora potenziare ed estendere su larga scala il ricorso ai test rapidi per depistare il coronavirus. Tale strategia di estensione dell’utilizzo dei test rapidi sarà ulteriormente completata nelle prossime settimane quando tutta la popolazione avrà a disposizione anche test rapidi fai da te. Affinché la nuova strategia del Consiglio federale abbia successo, è necessario l’impegno dei Cantoni. Invitiamo dunque il Consiglio di Stato, come richiesto dal Consiglio federale nella consultazione avviata venerdì 5 marzo, ad approntare e mettere rapidamente in atto un piano cantonale di utilizzo su larga scala di test mirati e ripetitivi, il cui costo sarà assunto dalla Confederazione a partire da lunedì 15 marzo.

Ciò presuppone che il Cantone realizzi rapidamente le strutture adatte e la logistica necessaria. Per quanto concerne il mondo del lavoro, il Consiglio federale ha indicato che i test di depistaggio devono avvenire in azienda, allo scopo di ridurre sensibilmente gli spostamenti delle persone. Le aziende devono attuare tutte le misure necessarie per effettuare i test di depistaggio, ma la loro messa in atto dovrebbe avvenire prima di tutto facendo richiesta al Cantone, che poi dovrà coordinare la consegna dei test alle aziende, il ritiro dei campioni prelevati e l’attività dei laboratori incaricati.

Le associazioni economiche chiedono espressamente che sia le procedure di richiesta dei test da parte delle aziende sia le diverse attività di coordinamento allo scopo di accelerare la procedura di depistaggio del coronavirus, avvengano rapidamente, senza burocrazia né ostacoli particolari. Ci attendiamo pertanto la piena collaborazione dell’amministrazione cantonale incaricata e laddove previsto dei Comuni. Le aziende confermano la loro disponibilità a una massima collaborazione.

Di fronte all’evidenza dei ritardi nella somministrazione dei vaccini, le associazioni economiche ribadiscono che la strategia delle autorità non può basarsi esclusivamente su chiusure totali e parziali delle attività economiche, che stanno causando ingenti danni non solo economici ma anche sociali. Pertanto, è necessario proprio estendere senza indugi l’utilizzo dei test di depistaggio del coronavirus su larga scala.

L’importanza degli accordi di libero scambio

«La Svizzera include sistematicamente nei suoi accordi di libero scambio disposizioni giuridicamente vincolanti sulla protezione dell’ambiente e dei lavoratori». Il popolo svizzero è stato chiamato alle urne accettando l’accordo di libero scambio con l’Indonesia. Ecco qualche spunto di riflessione per evidenziare la rilevanza del libero scambio per l’economia svizzera: la liberalizzazione del commercio internazionale ottimizza il benessere collettivo, per cui la Svizzera ne beneficia in modo positivo.

Nel mondo le risorse naturali sono ripartite irregolarmente. Alcuni Stati non sono autosufficienti, non producono tutti i beni e i servizi di cui necessitano in modo autonomo.
È questa una delle ragioni per cui sono nati gli accordi di libero scambio. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il commercio internazionale ha continuato a crescere. Un tale incremento coincide naturalmente con l’aumento degli accordi di libero scambio, che si posizionano come garanti della prosperità.
Una politica aperta, che mette in luce il libero scambio ha l’obiettivo di ridurre le barriere doganali e favorire l’estensione dei mercati, aprendo nuovi sbocchi per l’esportazione.
Alcune teorie economiche affermano che la libertà degli scambi conduce le Nazioni a specializzarsi nella produzione di beni fabbricati a costi contenuti. Ne risulta un incremento per il reddito mondiale. L’apertura dei mercati genera consequenzialmente una pressione concorrenziale che indirizza alcuni Paesi all’adozione di politiche protezionistiche, di limitazione ai prodotti esteri sui mercati interni.

Liberalismo vs. neomercantilismo

Il commercio mondiale è frequentemente confrontato con un contrasto tra la libertà di scambio e interventismo statale. Molto spesso esistono ragioni oggettive per la promozione del protezionismo. Una limitazione della concorrenza estera può, per esempio, consentire la salvaguardia degli impieghi, delle attività ritenute indispensabili (l’agricoltura) e di favorire lo sviluppo di nuove attività.
Resta il fatto che alcune pratiche possano risultare – sul lungo termine – addirittura dannose per la comunità internazionale. Una riduzione delle importazioni di un attore genera inevitabilmente una diminuzione delle esportazioni per altri. Questa dinamica mette in difficoltà la dinamicità economica globale. Inoltre, una politica protezionistica rischia di rendersi responsabile di una guerra commerciale latente. D’altro canto, la libera circolazione dei prodotti – che corrisponde allo stato naturale dell’economia – presuppone, per sua natura, un incremento della domanda. L’esistenza della concorrenza favorisce l’innovazione e, in questo senso, il libero scambio permette di produrre di più e meglio, costituendo un fattore chiave dello sviluppo economico. Contemporaneamente il libero scambio protegge le relazioni internazionali, portando i Paesi a limitare eventuali conflitti con i propri partner commerciali.

Gli accordi di libero scambio

Il libero scambio nasce dove possibile concertare accordi puntuali specifici. Oltre alla Convenzione AELS e all’accordo di libero scambio con l’Unione europea (UE), la Svizzera dispone di una rete di 32 accordi di libero scambio con 42 partner. Tali accordi sono di solito conclusi nell’ambito dell’Associazione europea di libero scambio (AELS); la Svizzera può però stipulare accordi di libero scambio anche al di fuori dell’AELS, così com’è avvenuto con il Giappone e la Cina.
Un accordo di libero scambio (ALS) è un contratto tra due o più Stati atto a favorire il commercio internazionale tra questi. In questi accordi vendono siglati e determinati, con le parti, trattamenti preferenziali per ovviare a oggettive complessità nei rapporti commerciali esistenti tra i Paesi (una panoramica degli accordi di libero scambio della Svizzera è disponibile su www.seco.admin.ch).
I trattati dell’Organizzazione Mondale del Commercio (OMC) permettono tali accordi preferenziali solamente a certe condizioni.
L’accordo principale di libero scambio “prima generazione” regolamenta la circolazione delle merci (in particolar modo per l’abolizione o la diminuzione dei dazi doganali e altre restrizioni) e – in alcuni casi – disposizioni sulla protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Nell’accordo viene regolato il commercio di prodotti industriali (capitolo HS 25-97), prodotti ittici e prodotti agricoli trasformati. Il commercio di prodotti agricoli di base è oggetto di accordi agricoli bilaterali separati.
L’accordo di “seconda generazione” comporta un’intesa più ampia del basilare commercio delle merci e può elencare, per esempio, l’intesa sul commercio dei servizi, investimenti, concorrenza, appalti pubblici e anche sulle disposizioni sulla sostenibilità commerciale.

Il futuro accordo con il Mercosur
Nel 2019 gli Stati dell’AELS (fra cui la Svizzera) e quelli del Mercosur, ossia il mercato dell’America latina (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay), hanno concluso le negoziazioni per un futuro accordo di libero scambio. Ciò significa che quasi il 95% delle esportazioni svizzere verso i Paesi del Mercosur (260 milioni di consumatori) potranno essere esonerate dai diritti doganali. Gli accordi di libero scambio comportano un capitolo importante contenente delle disposizioni obbligatorie in materia di sviluppo sostenibile. I diritti della popolazione indigena sono parte integrante dell’accordo.

La diplomazia commerciale elvetica

Per sua natura, la Confederazione Svizzera è orientata ai mercati esteri e questi rapporti internazionali costituiscono uno degli obiettivi centrali della politica economica rossocrociata.
La Confederazione è cosciente dell’importanza della liberalizzazione del commercio mondiale e opera insieme all’OMC in favore del multilateralismo. Il nostro Paese persegue quindi il rafforzamento della sua rete di accordi al fine di garantire alle aziende elvetiche un mercato internazionale almeno equivalente a quello dove operano i principali concorrenti esteri.

Nel 2018, gli importatori e i consumatori svizzeri hanno risparmiato in totale 2,5 miliardi di franchi per dazi doganali grazie all’applicazione di accordi di libero scambio. Il tasso di utilizzo medio degli ALS è del 73% per le importazioni in Svizzera. Il maggiore potenziale di risparmio sulle importazioni riguarda la plastica, il formaggio o la carta. Se si considerano i Paesi d’origine, i risparmi più importanti sono realizzati sulle importazioni provenienti dalla Germania, dall’Italia, dalla Francia, dalla Cina e dall’Austria. Per quanto concerne le esportazioni, gli autori dello studio hanno potuto esaminare gli scambi con alcuni Paesi con i quali la Svizzera ha concluso un ALS. Per Paesi come l’UE, la Cina, il Giappone, il Canada e il Messico, il tasso di utilizzo è stato nel 2018 dell’80%. Espresso in franchi svizzeri, ciò rappresenta un risparmio annuo in dazi doganali di 1,8 miliardi di franchi. In materia di esportazioni, sono gli orologi, le macchine e i metalli preziosi che permettono i maggiori risparmi. I dati mostrano chiaramente che le imprese svizzere utilizzano già molto spesso i vantaggi offerti dagli accordi di libero scambio. Un potenziale di risparmio ancora non sfruttato è identificato principalmente dal lato delle importazioni provenienti dalla Cina e dalla Germania.

La rete degli accordi di libero scambio della Svizzera

Fonte foto: Segreteria di Stato dell’economia – SECO

La reticenza della società civile

Malgrado l’importanza per le nostre aziende esportatrici, gli accordi di libero scambio non sono ancora ben visti. Alcune persone associano gli accordi di libero scambio a un consumismo eccessivo, mettendone in discussione i reali effettivi benefici.
La Svizzera si batte per affiancare alla ricerca di crescita ed espansione con le esigenze di uno sviluppo sostenibile. Sistematicamente la Confederazione include nei propri accordi di libero scambio delle disposizioni giuridiche per salvaguardare sia l’ambiente che i lavoratori. Queste disposizioni vengono applicate a tutti i settori compresi nell’ALS, tenendo conto anche della produzione agroalimentare, intendendo concretizzare gli impegni di tutte le parti nel segno dello sviluppo sostenibile coordinato dalle Nazioni Unite. Gli accordi di libero scambio attuali contengono, di conseguenza, anche gli aspetti sociali e ambientali legati al commercio.
È fondamentale che gli Stati si adoperino in favore della socialità e dell’ecologia.

Questa sensibilità mirata e attenta dovrà continuare ad essere chiara. L’approccio liberale e pragmatico della Confederazione merita di essere sostenuto.
L’accordo con l’Indonesia è stato quindi approvato dai cittadini svizzeri con una maggioranza del 51,6% nella votazione del 7 marzo 2021.

L’accordo commerciale con l’Indonesia
L’accordo di libero scambio con l’Indonesia riduce notevolmente gli elevati dazi all’importazione che colpiscono gli esportatori elvetici, rafforza la protezione della proprietà intellettuale, elimina gli ostacoli tecnici al commercio e accresce la sicurezza degli investimenti. Il 98% dei dazi all’importazione riscossi attualmente saranno completamente aboliti per gli esportatori svizzeri. Occorre sottolineare come l’accordo con l’Indonesia non introduca il libero scambio per l’olio di palma; le concessioni doganali accordate a questo prodotto sono legate a delle esigenze in materia di sostenibilità. Il testo include invece disposizioni sull’ambiente e sulle normative legate al commercio, come pure ai diritti umani.


Fonte del testo: Plein Centre, gennaio 2021

Riaperture con sistema, lo richiede l’economia

Nel quadro della breve consultazione dei cantoni aperta la scorsa settimana dal Consiglio federale sulle misure concernenti la gestione della pandemia da COVID-19, la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) ha preso posizione attraverso le associazioni economiche di riferimento nazionali. La Cc-Ti ha, in sostanza, valutato positivamente il fatto che vi sia una strategia di apertura legata alla valutazione del rischio. Tuttavia, occorre maggiore chiarezza sui parametri utilizzati e tale analisi va svolta non con cadenza mensile ma piu breve. Rilevanti a nostro avviso sono le cifre riguardanti le ospedalizzazioni, il tasso di occupazione nei letti dei reparti di terapia intensiva, l’incidenza sui 7 giorni, il tasso di positività e i luoghi di contagio.

Per la valutazione del rischio è indispensabile seguire la logica della protezione mirata, cioè della protezione delle persone più fragili.
Decisivo è applicare in modo coordinato tutto il pacchetto di misure, cioè i vaccini, i test (compresi quelli salivari che andrebbero usati in maniera più massiccia), il Contact Tracing (che va decisamente migliorato) e le misure di protezione (mascherina, lavaggio delle mani, distanze).
Si chiedono inoltre aperture più ampie di quelle prospettate, già dal 1° marzo 2021 o comunque al più tardi il 22 marzo 2021, come chiesto dal Consiglio di Stato e da diverse associazioni di categoria. Da mesi insistiamo sul fatto che le attività che possono essere esercitate in sicurezza e qui lo ribadiamo. Riteniamo positivo che anche il Consiglio di Stato stia iniziando a sposare questa linea.Infine, le regole sui casi di rigore vanno meglio precisate, ad esempio per quanto concerne le chiusure parziali ordinate dalle autorità, che devono essere considerate equivalenti a chiusure totali.


Qui di seguito, nel dettaglio, quanto formulato dalla Cc-Ti:

  • Strategia di apertura legata alla valutazione del rischio: la nostra valutazione è positiva, anche perché sono stati elencati in modo chiaro i parametri che si intendono utilizzare per valutare il rischio. Sulla fondatezza di alcuni di questi parametri esprimiamo comunque qualche dubbio, perché non sembra che tutti i dati raccolti siano affidabili e completi, come del resto dichiarato anche dalla task-force nazionale nella conferenza stampa del 16 febbraio scorso. In taluni casi si parla di valutazioni, simulazioni e proiezioni, ma sembrano mancare dati certi e affidabili. Esortiamo pertanto l’Autorità Federale a una grande attenzione su questi punti, perché la decisione su chiusure molto rigorose e dalle conseguenze economiche e sociali enormi deve essere basata su dati assolutamente fondati.

Inoltre, una valutazione a scadenza mensile è troppo dilatata nel tempo. Riteniamo che sia possibile avere indicazioni utilizzabili in un termine di due o massimo tre settimane.

In generale comunque ribadiamo che il principio di una strategia di aperture basta sulla valutazione dei rischi è corretta.

E’ importante che la logica della protezione mirata seguita a suo tempo dal Consiglio federale e approvata dal Parlamento sia applicata in maniera sistematica. E’ infatti il complesso delle misure che interrompe le catene di contagio, cioè i vaccini, i test (compresi quelli salivari che andrebbero usati in maniera più massiccia), il Contact Tracing (che va decisamente migliorato) e le misure di protezione (mascherina, lavaggio delle mani, distanze).

La logica della protezione mirata si concentra su persone particolarmente a rischio e permette un allentamento delle misure più rapido e ampio. La strategia di apertura proposta dal Consiglio federale non tiene sufficientemente conto di questo aspetto, poiché riconduce il rischio solo alla situazione epidemiologica e trascura l’impatto delle misure per contrastare tale situazione. Con la logica della protezione mirata è possibile differenziare la valutazione del rischio e quindi di adattare anche la strategia di apertura al rischio globale.

  • Valutazione del rischio: come detto sopra, il Consiglio federale ha annunciato di voler giudicare il rischio sulla base di più indicatori, nessuno dei quali sarebbe esclusivo e che non sarebbero cumulativi. Il principio di avere più indicatori è corretto. Il rischio è però che non vi sia chiarezza su quali indicatori siano utilizzati per le decisioni prese di volta in volta. Proponiamo pertanto che si tenga conto delle cifre riguardanti le ospedalizzazioni, il tasso di occupazione nei letti dei reparti di terapia intensiva, l’incidenza sui 7 giorni, il tasso di positività e i luoghi di contagio.
  • Prime aperture a partire dal 1°marzo 2021: concordiamo sulle riaperture dei negozi e su alcuni allentamenti per la vita sociale. Va da sé che tutte le attività legate al commercio e simili, consulenze, visite, ecc., possono essere aperte e le limitazioni degli orari di apertura e dell’assortimento vengono a cadere. È fuori discussione che restano in vigore e vanno applicati i piani e le misure di protezione nel commercio e per le manifestazioni.
  • Seconda tappa di apertura: non riteniamo invece appropriato quanto previsto dal Consiglio federale per una seconda tappa di aperture e allentamenti. E’ un piano esitante e che non tiene conto della logica della protezione mirata. Per questo impedisce di avere visioni quanto a una possibile normalizzazione e penalizza pesantemente le attività ancora chiuse (ristoranti, fitness ecc.) che si trovano nell’impossibilità di pianificare un’uscita da una crisi che ormai è strutturale. Riteniamo che, con le misure di protezione attuali e già attuate negli scorsi mesi, le attività ora chiuse possano riprendere il 1° marzo 2021.

O comunque non più tardi del 22 marzo 2021, come chiesto dal Consiglio di Stato ticinese e, ad esempio, dall’associazione di categoria dei ristoratori, giustamente preoccupati anche in vista del periodo pasquale che, evoluzione sanitaria permettendo, deve poter essere pianificato anche per evitare eccessivi assembramenti improvvisi e difficilmente controllabili.

Va tra l’altro ricordato che le aziende non si aprono e si chiudono premendo un bottone, ma necessitano di tempo per organizzarsi.

  • Casi di rigore: riteniamo indispensabile e urgente l’applicazione delle misure per casi di rigore secondo la volontà del legislatore e l’ordinanza della Confederazione. Questo vale in particolare per le chiusure di aziende ordinate dalle Autorità. Ad esempio, la chiusura parziale deve essere considerata come chiusura totale e l’indennizzo per la cifra d’affari va adattato di conseguenza. Si tratta di una misura urgente, perché i fallimenti non attendono gli indennizzi.

Vanno considerate anche le aziende create dopo il 1° marzo 2020, perché la loro esclusione forfettaria non è giustificata.

Per ristabilire la proporzionalità nel contesto della gestione della pandemia e per dare una prospettiva alla Svizzera, riteniamo importante che vengano riprese le misure proposte dalle associazioni di riferimento nazionali, cioè:

  • Da subito: l’allentamento del lockdown con aperture laddove si possono sfruttare spazi all’aperto, come le terrazze. L’apertura degli spazi commerciali, gestita con le misure di protezione note, compresi i showroom, con la possibilità di acquisti su appuntamento e vendita all’esterno, così come le manifestazioni fino a 50 persone.
  • Dal 1° marzo 2021: la fine del lockdown con l’apertura completa del commercio al dettaglio e di attività economiche simili, così come i ristoranti, i centri fitness e le manifestazioni sino a 100 persone.

Per le manifestazioni sportive, culturali ecc., vanno valutati anche determinati tentativi di apertura, come sta attualmente studiando la Francia che organizzerà a breve alcuni concerti di prova, con la collaborazione e la supervisione delle Autorità sanitarie. Con test all’entrata, contact tracing e test post-evento, per capire in che misura vi siano rischi accresciuti e contagi effettivi.

Chiediamo che le Autorità elvetiche prestino attenzione a questi esperimenti, che potrebbero dare indicazioni molto interessanti.

Riteniamo comunque che siano già date le condizioni per valutare l’apertura al pubblico di eventi sportivi e culturali che disponevano a suo tempo di misure di protezione efficaci, nella misura di 1/3 dei posti fissi seduti.

Il telelavoro deve tornare a essere consigliato e non obbligatorio.

  • Entro giugno 2021: conclusione del programma completo di vaccinazione della Confederazione, il che comporta un’intensificazione mirata della campagna di vaccinazione.
  • Sempre e in parallelo a queste misure: l’estensione dei test e l’intensificazione e la digitalizzazione del Contact Tracing, per interrompere le catene di contagio, il che corrisponde alla strategia della protezione mirata.

Sempre e in parallelo a queste misure: l’elaborazione di un chiaro e trasparente «Dashboard» nazionale che permetta una gestione pianificabile della pandemia. Gli indicatori dovrebbero essere i dati sulle ospedalizzazioni, sull’occupazione di letti in terapia intensiva, quelli dell’incidenza sui 7 giorni, il tasso di positività e i luoghi di contagio.