Maggiore flessibilità e rapidità nell’attribuzione di aiuti

L’opinione di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, Presidente Ordine dei Commercialisti del Cantone Ticino e Presidente FTAF

La situazione di difficoltà di molte imprese, di per sé sane ma chiuse per ordine statale oppure colpite indirettamente da tale ordine, è nota a tutti. Gli indipendenti e i gerenti di società hanno costituito la categoria meno considerata e aiutata in tutta la pandemia e anche questa è cosa nota. È quindi ben comprensibile quale sia lo stato d’animo di quegli indipendenti e quei gerenti che, avendo da sempre pagato i premi dell’Indennità per perdita di guadagno (IPG), si trovano oggi ad affrontare ostacoli e ritardi nel riscuotere gli aiuti IPG Corona. Questo è il vero paradosso: aver contribuito alla cassa comune per una vita e non ricevere nel momento del bisogno il conseguente supporto.

Nella prima fase di lockdown l’IPG veniva erogata per importi inferiori a quanto previsto per le Indennità per lavoro ridotto (ILR), ma le regole erano equivalenti. Oggi non è più il caso e mal si comprende perché.

Le casse interpretano in maniera restrittiva cosa sia “Subire una perdita di guadagno o stipendio”. Molti si sono visti rifiutare il pagamento delle indennità perché, per vivere, hanno richiesto dei finanziamenti aziendali, oppure si sono permessi di prelevare un acconto mensile. Questo è chiaramente un danno oltre la beffa: come avrebbero potuto mantenere sé stessi e le proprie famiglie senza nessun prelievo?
Si è così creato un problema per i mesi di settembre e ottobre, con conseguenti ricorsi e contestazioni di decisioni fino al Tribunale Amministrativo, che pure è oberato e non ha modo di evadere tempestivamente le pratiche.

La situazione è obiettivamente difficile per tutti, anche per l’amministrazione cantonale e nessuno lo nega. Gli uffici, come l’Istituto delle assicurazioni sociali (IAS), sono sotto pressione. Ciò non toglie che occorra non perdere di vista la priorità: sostenere il lavoro.
Nella prima fase abbiamo saputo dare risposte immediate ed erogare i fondi con velocità. Questo è stato il segreto del successo del modello svizzero. Oggi purtroppo non è più così.
Abbiamo troppa paura degli abusi, che inevitabilmente accadono in situazioni eccezionali, ma che certo da noi non costituiscono la regola.
La diffidenza verso chi chiede sostegno va combattuta: si tratta dei piccoli imprenditori del Cantone, che vivono e hanno famiglia in Ticino e che cercano di salvaguardare l’occupazione per le collaboratrici e i collaboratori.

Lo Stato ha correttamente chiesto ai cittadini di essere ragionevoli e flessibili in questo difficile periodo. L’autorità cantonale dimostri di esserlo altrettanto, concentri le sue energie sui compiti urgenti e se necessario temporeggi invece sui richiami e sui precetti esecutivi, per non togliere con una mano quello che ha concesso (o avrebbe dovuto concedere) con l’altra.

Incontri tra PMI e mondo finanziario

Ciclo di seminari quali formazioni su misura per fornire nozioni fondamentali e testimonianze per una moderna gestione d’impresa. Aperte le iscrizioni.

Le piccole e medie imprese (PMI) svolgono un ruolo fondamentale nell’economia svizzera. Dalla panetteria alla start-up attiva su internet o al fabbricante di macchine e utensili, le PMI rappresentano la stragrande maggioranza delle aziende (secondo l’Ufficio federale di statistica (UST) sono più del 99%) e generano due terzi dei posti di lavoro nel paese. Esse offrono un contributo significativo alla creatività, alla crescita e alla prosperità nazionale.

La Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino (Cc-Ti) e il Centro Studi Villa Negroni (CSVN) riconoscono l’importanza delle PMI in Svizzera e prestano un’attenzione particolare a queste aziende, sforzandosi di soddisfare le loro esigenze anche tramite formazioni mirate per il loro sviluppo. Il ciclo di incontri tematici, denominato “Incontri tra PMI e mondo finanziario: nozioni fondamentali e testimonianze per una moderna gestione d’impresa” caratterizzato da un taglio prettamente pratico, si propone di agevolare la collaborazione tra le PMI e il mondo finanziario.

Tutti i dettagli sul sito del Centro Studi Villa Negroni.

Verrà rilasciato un Attestato di partecipazione congiunto Cc-Ti e CSVN a coloro che hanno frequentato l’80% del percorso.


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Maggiori dettagli e iscrizione

C’erano una volta le materie prime

C’era una volta un Paese chiamato Svizzera che, pur non coltivando una sola pianta di cacao, diventa leader mondiale del cioccolato. Riflessioni su materie prime e sostenibilità.

Per risalire alle radici di questa storia di successo bisogna compiere un passo indietro e tornare tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
La Svizzera, localizzata nel cuore del Continente europeo, per ragioni riconducibili alle ridotte dimensioni del Paese, così come per motivi climatici e di scarsità di materie prime locali, dovette prevedere un metodo per coprire i propri fabbisogno primari importando cereali per la popolazione ed esportando in cambio prodotti di allevamento principalmente tra Italia e Francia.

Cominciò così a sfruttare gli spazi a propria disposizione per rafforzare il settore agricolo e quello manifatturiero, iniziando così un processo import-export.
Alla fine del XIX secolo si compì un nuovo passo, molto importante per lo sviluppo della Confederazione, ossia l’introduzione della rete ferroviaria, con riferimento in particolare al traforo del San Gottardo. Quest’importante investimento infrastrutturale collegò il Paese alla rete europea dove si posero le basi per una piccola economia “aperta”.
Da qui, l’importazione e l’approvvigionamento di beni essenziali quali derrate alimentari, materie prime ed energetiche iniziò a svilupparsi. Anche se in Svizzera non cresce il cacao, il cioccolato è divenuto il simbolo del nostro Paese. Essendo priva di materie prime, la Svizzera le importa, le lavora, ed esporta quindi i semilavorati e i prodotti finiti in tutto il mondo.

La storia continua con l’eredità di imprenditori brillanti quali Daniel Peter, Alexander Cailler e Henri Nestlé, grazie ai quali si inaugurò una produzione su larga scala di vari prodotti derivati sia dal cioccolato, che dal caffè e dal latte. Di fatto questi nomi, si affermano ben presto come un simbolo mondiale di scoperta e innovazione rappresentano oggigiorno colossi dell’industria alimentare. I pionieri del cioccolato e del latte non avrebbero avuto questo successo se non grazie ad un commercio libero tra i diversi Paesi. Questa ascesa fu resa possibile essenzialmente per due ragioni.
Da un lato, le ottime relazioni con Paesi terzi permisero agli imprenditori svizzeri di instaurare rapporti di scambi commerciali con numerose altri Stati assicurandosi un approvvigionamento delle materie prime necessarie al confezionamento del prodotto. Dall’altro lato, giocarono un forte ruolo anche la crescente urbanizzazione delle città e di conseguenza l’aumento della domanda. Oltre a ciò, ferrovie e navi favorirono l’abbattimento dei costi di trasporto delle merci nonché un aumento nella velocità di trasporto. Anche sul nostro territorio, nel nostro piccolo Ticino, conosciamo ora nomi eccellenti ed aziende affermate che assicurano e confermano la tradizione, quali Chocolat Stella SA, Chocolat Alprose SA, Domani Food SA, LATI SA e Agroval SA, ad esempio.

Per un piccolo Paese che non dispone delle premesse favorevoli per uno sviluppo autonomo, le relazioni con l’estero hanno sempre rivestito un’importanza fondamentale. Esportando beni e servizi, esso si procura la valuta necessaria per importare i generi di cui è sprovvisto o che non è in grado di produrre. Considerato l’aumento delle esportazioni-importazioni e parallelamente l’aumento anche delle prestazioni del settore terziario tra servizi bancari, assicurativi, investimenti e di turismo, la Svizzera impara così ad essere un forte intermediario di transazioni invisibili ma molto proficue. L’espansione del settore continua anche durante e dopo le due guerre mondiali. Società estere, tutt’ora esistenti legate al commercio di petrolio, cotone, di spedizione, ecc., hanno trovato nel nostro Paese, caratterizzato da una politica stabile, dalla neutralità e da una moneta forte la sede adatta per i propri commerci. Questo ha portato a una forte espansione del settore. Comincia così la lunga tradizione della compravendita di materie prime. Tale commercio è importante e proficuo non solo per la Svizzera ma anche per il resto del mondo: in modo molto semplice ha permesso un equo scambio commerciale tra Paesi che vantano di materie prime in eccesso sul proprio territorio, Paesi che ne possiedono poche o che ne sono completamente privi.

C’era una volta una tazza di caffè…

Anche una gran parte del commercio del caffè mondiale viene elaborato direttamente o indirettamente attraverso la Svizzera. Le esportazioni di caffè superano ampiamente quelle di prodotti alimentari tradizionalmente associati alla Svizzera, ad esempio, il cioccolato o il formaggio.

Nel 1975 il padre delle capsule di caffè Eric Favre – ingegnere vodese, a quel tempo impiegato nel reparto confezionamento di Nestlé – dopo un viaggio a Roma insieme alla moglie allo scopo di cercare spunti, si mette a lavorare all’invenzione che oggi ha aperto la strada a un oggetto divenuto ormai irrinunciabile: la capsula da caffè.

Serviranno dieci anni di persistenza da parte di Favre e il volto di George Clooney per dar vita al boom mondiale del caffè in capsula chiusa, che oggi tutti conosciamo. La ricerca costante e importantissima della sostenibilità dei prodotti ha dato, inoltre, un valore aggiunto indispensabile anche e specialmente, guardando al futuro.

Una curiosità: quale è il modo meno impattante per far nascere una tazza di caffè? Stimando una media per famiglia, uno studio ha preso in considerazione tutti gli aspetti del ciclo di vita di una tazza di caffè: dall’estrazione, la coltivazione completa del chicco, dall’acqua consumata, l’uso del suolo, trasporto, produzione e dalla lavorazione di tutte le materie prime fino alla fine del ciclo di vita di tutti i componenti, trasporto, produzione, lavorazione delle materie prime e l’imballaggio. Oggi le persone sono sempre più preoccupate e attente all’impronta ecologica di qualsiasi attività. Sempre di più, ci si interroga sull’uso delle risorse nel processo di produzione e sull’impatto dopo l’uso. Per quanto possa sembrare singolare, è il modo in cui consumiamo il caffè con il modo in cui viene coltivato che genera il maggiore impatto ambientale e non, come spesso si pensa, dalla sua produzione o l’imballaggio, nel caso citato, la scelta dell’alluminio. Questa è solo una riflessione su come una semplice tazza caffè possa avere così svariati aspetti economici ed ambientali servendosi di diversi processi di studio per realizzarla in modo più intelligente, ed è solo una piccola fetta di ciò che il commercio di materie prime offre.

C’era una volta, un’economia circolare…

Il bene delle materie prime, il bisogno che ha l’uomo verso di esse. Dobbiamo soffermarci brevemente sull’uso quotidiano che le caratterizza. Basta guardare tutto ciò che abbiamo attorno, tutto ciò che addirittura indossiamo. Tutto viene prodotto da materiali diversi ma collegati tra loro da un commercio globalizzato.

La globalizzazione ha moltiplicato le relazioni transfrontaliere fra i governi, i gruppi sociali e gli attori dell’economia. Le relazioni internazionali sono diventare sempre più fitte e intense. Un intreccio, che evoca, al contempo, la vulnerabilità legata agli sviluppi esterni, e che descrive non sole le interrelazioni economiche e sociali, ma anche quelle politiche e culturali, senza peraltro trascurare mai le vulnerabilità ecologiche. Tracce di Svizzera nel mondo e del mondo in Svizzera. La politica di sviluppo e la cooperazione allo sviluppo devono fornire una risposta alle sfide che questo Paese è chiamato ad affrontare in loco e a livello globale. Infatti, un Paese fortemente integrato sul piano internazionale come la Svizzera ha grandi possibilità di contribuire a definire l’assetto della globalizzazione.

Per le imprese esposte alla globalizzazione, l’espansione all’estero è una strategia di sopravvivenza e non rappresenta un elemento di concorrenza con l’esportazione dalla Svizzera, bensì uno stimolo. Infatti, agli investimenti effettuai all’estero fanno seguito le forniture di bene d’investimento svizzeri, pezzi di ricambio, tecnologie e prestazioni di consulenza. La Terra ci offre moltissime risorse essenziali; l’aria, l’acqua, il legno, il petrolio, i minerali, ecc.. Molte materie prime sono però limitate, difficilmente accessibili o hanno bisogno di tempo per rigenerarsi. Tutti noi, perciò, dobbiamo utilizzarle in modo adeguato: non dobbiamo sprecarle. In Svizzera le superfici arabili non sono sufficientemente estese e le condizioni climatiche non idonee alla produzione di tutte le derrate alimentari consumate. L’acquisto di derrate all’estero ha dunque tradizione. In questo modo sfruttiamo più terreno di quanto non ne abbiamo a disposizione. Grazie al solo commercio di prodotti agricoli con i Paesi in via di sviluppo, la superficie arabile risulta più che raddoppiata. Inoltre, per via dei nostri consumi utilizziamo indirettamente acque e altre risorse naturali nei Paesi d’esportazione. Ciò non vale solo per i prodotti alimentari, ma anche per l’elettronica d’intrattenimento, l’abbigliamento, l’energia e tant’altro ancora. Inoltre, per approntare questi beni e assicurarne lo smaltimento occorrono ulteriori risorse.

Ma dentro le aziende?

Il benessere dei propri collaboratori, i legami con il territorio e l’ambiente. Questi sono tre fattori strategici la cui salvaguardia è fondamentale per l’esistenza dell’impresa stessa. È qui che subentra la RSI, Responsabilità Sociale di Impresa, che offre la visione di un modello business al quale tutte le imprese ed uffici possono far riferimento per poter modificare la loro filosofia in modo da avere un impatto positivo sul mercato del lavoro e potersi affermare come leader in questo spazio di crescita umanitaria e ambientale.

Alla Cc-Ti

Questi aspetti devono andare di pari passo. Qui comprendiamo il perché la responsabilità sociale gioca un ruolo importante ed aiuta di fatto a mantenere e a gestire al meglio gli assi fondamentali.
Una gestione consapevole dell’impatto si traduce in migliori relazioni esterne, una buona reputazione, ispirazione innovativa e rischi meglio gestiti.

La Cc-Ti è da sempre molto impegnata nella responsabilità sociale con consulenze o corsi mirati, ad esempio, per gli associati cercando di garantire e solidificare una formazione sociale virtuosa. Ricordiamo che nel nostro team annoveriamo un CSR Manager, nella persona di Gianluca Pagani, a vostra disposizione per qualsiasi supporto (Tel. +41 91 911 51 36, pagani@cc-ti.ch; altri dettagli visitando il nostro sito e leggendo questo articolo).

Il settore delle materie (sezione Ticino) prime ha il proprio segretariato presso la Camera di commercio e dell’industria con l’associazione Lugano Commodity Trading Association (LCTA). Questo settore offre lavoro a circa 35’000 persone e genera il 3.8 percento del prodotto interno lordo. Il Ticino, in questo ramo si posiziona al terzo posto in ordine di importanza dopo Ginevra e Zugo; con 120 aziende e oltre 900 impiegati. A livello federale le aziende del settore delle materie prime vengono rappresentate dall’associazione mantello STSA, Swiss Trading and Shipping Association mentre a livello regionale, da oltre dieci anni la LCTA rappresenta le aziende in Ticino.
Oltre che garantire un sostegno e uno sviluppo delle aziende affiliate, la LCTA in collaborazione con l’Università di Lucerna e l’associazione regionale ZCA, Zug Commodity Association si impegna a fornire una formazione mirata del settore per dipendenti che vogliono intraprendere un nuovo percorso formativo.


Fonte: pubblicazione “La Svizzera e il mondo”, 2007, R. Gerster

Una popolazione che spopola

La Cc-Ti riflette su un’evoluzione che rischia di compromettere la crescita del Ticino

Secondo le previsioni dell’Ufficio federale di statistica, entro il 2050 si stima che il Ticino avrà 18’100 abitanti in meno. In sostanza, è come se scomparissero dalla mappa demografica gli abitanti di Mendrisio e Balerna.

Negli equilibri confederali, al di là delle ovvie differenze fra regioni, il rischio è che si creino disparità eccessive in termini di capacità di sviluppo economico e quindi di benessere generale. Per molti motivi (massa critica, infrastrutture, rete economica, ecc.) il Ticino non può imporsi sui grandi agglomerati, come ad esempio quello zurighese, ma può e deve mantenere un buon livello, simile a quello degli altri cantoni dalle dimensioni e dalle strutture comparabili.

In questi anni, in cui la competitività ticinese ha dimostrato di non avere nulla da invidiare alla media svizzera. In gioco ci sono quindi la capacità innovativa e la forza lavoro qualificata. Il nostro Cantone continua a offrire certezze ai propri cittadini, in termini di affidabilità delle istituzioni, sicurezza legislativa, possibilità di formazione e lavoro, ecc..
Nel mercato del lavoro la concorrenza è cresciuta, ma ciò non significa automaticamente che si riducano le prospettive.

Il nostro Cantone presenta una realtà economica estremamente diversificata in molteplici settori congiunturali con eccellenze differenti. Ogni agglomerato presenta punti di forza peculiari che contribuiscono alla crescita economica. Sono innumerevoli gli esempi di aziende dall’alto potenziale che ogni giorno esportano i propri prodotti sui mercati internazionali e lavorano attivamente in quello interno. La presenza di importanti istituti accademici e di ricerca con cui si collabora fattivamente incrementa in modo determinante la qualità dell’innovazione, permettendo anche al Ticino di garantire una performance di qualità.

Per dare continuità a questo sviluppo, è giusto quindi monitorare la tendenza alla diminuzione della popolazione, visto che il trend sembra costante e trova riscontri anche nel recente documento pubblicato da Coscienza Svizzera “Il malessere demografico che colpisce il Canton Ticino. Sfide politiche ed economiche per la nostra società”, curato da Ivano D’Andrea, CEO del Gruppo Multi.

Le morti superano le nascite da un decennio, la natalità cala, così come il saldo migratorio intercantonale. Inoltre, come per altri cantoni dove il mercato del lavoro presenta delle difficoltà, chi parte per svolgere studi in altri cantoni o all’estero non sempre riprende la strada di casa, o comunque non subito. Diminuiscono anche gli stranieri che si stabiliscono da noi e aumentano gli svizzeri che si trasferiscono all’estero.

Ma quali sono i motivi alla base di questa tendenza? Gli elementi sono molteplici e le dinamiche sono complesse, per cui le soluzioni non sono ottenibili con la bacchetta magica o con una legge, come spesso crede la politica.

È indubbio che altre regioni svizzere ed europee possano esercitare un’attrattiva maggiore rispetto al nostro Cantone in termini di possibilità di carriera. Anche per un aspetto finanziario. Detto in altre parole, talune attività da noi semplicemente non ci sono, per cui andarle a cercare altrove è assolutamente naturale, soprattutto pensando alle tante nuove figure professionali create con lo sviluppo delle tecnologie e l’evoluzione digitale.

La cura incessante del ‘fattore umano’ resta ancora decisiva. Il progresso tecnologico – frutto dell’esperienza e del genio umano – insieme a una costante formazione del personale (aspetto fondamentale per garantire la presenza di collaboratori qualificati sul territorio) sono sempre al centro dell’attenzione. Ciò permette, insieme a investimenti mirati e continui nella Ricerca e Sviluppo (R&S), a una grande flessibilità dei modelli di business che si adattano alle costanti variazioni economiche, a un sistema-Paese che spinge sull’acceleratore dell’apertura e dell’incremento delle competenze – con la formazione duale –, di restare competitivo.

Insomma, un Ticino che deve continuare sulla strada intrapresa qualche anno fa, in modo che se oggi magari “zoppica” un po’, non smetta di “correre”.

Come detto, non siamo soli a essere confrontati alla decrescita della popolazione. Anche altri territori come Neuchâtel (non a caso quest’ultimo promotore di idee elencate nell’altro nostro articolo) vivono una situazione molto simile.

È purtroppo innegabile che la capacità di accoglienza del Ticino sia molto diminuita da qualche anno a questa parte. Sia verso le aziende, tutte frettolosamente messe nel calderone degli evasori fiscali, sia verso i privati, mal sopportati per il fatto di essere stranieri. La caccia alle streghe scatenata nei confronti dei facoltosi contribuenti stranieri che in Svizzera risiedono ma non lavorano non giova certo alla voglia di insediarsi alle nostre latitudini.

I casi di persone costrette a ripartire dalla Svizzera per futili motivi iniziano ad aumentare in maniera insidiosa. L’immagine di un paese non solo di difficile accesso ma addirittura a volte ostile, invoglia poco a trasferirsi in Ticino.

Denatalità e invecchiamento della popolazione hanno sinora preoccupato i politici quasi esclusivamente per le pesanti ripercussioni che ci saranno sul sistema pensionistico. Ma ci sono anche altri effetti non meno gravi. Sulla sanità che con una popolazione più vecchia vedrà aumentare ancora i costi della salute. Sulla forza lavoro, venendo a mancare un adeguato apporto di energie giovani che sono anche il motore di quel dinamismo economico che produce e distribuisce ricchezza. Sui gettiti fiscali e sull’attrattività per gli investimenti.  Sui modelli di consumo, sulla mobilità, sul mercato immobiliare, innescando un effetto sostituzione per cui si lasceranno vecchi quartieri e vecchi appartamenti per quelli nuovi, declassando i primi ad aree marginali. Degrado e sovradimensionamento per infrastrutture che erano state concepite per un numero maggiore di residenti.

Anche il peso politico di un Cantone con meno abitanti diminuisce considerevolmente, vista anche la sempre crescente importanza delle città sul piano politico federale.

È possibile invertire questa tendenza? Il Canton Neuchâtel ha abbozzato alcune soluzioni, con obiettivi e misure specifiche che potrebbero offrire delle piste interessanti anche per il nostro Cantone, sempre che ci sia la consapevolezza di un’azione comune e coordinata. La strategia neocastellana sostiene che non dipenda solo dall’azione pubblica, ma da una molteplicità di fattori e dalla capacità di molti attori di lavorare assieme per innescare una dinamica demografica positiva.

Non suona così complicato, ma se non si riesce a parlare senza paraocchi ideologici di accesso alla proprietà, mobilità, fiscalità, mercato del lavoro, politica migratoria di persone e aziende, tanto per citare solo alcuni elementi, l’esercizio rischia di diventare impossibile.

Il modello del Canton Neuchâtel per attirare nuovi residenti

Una strategia con 10 obiettivi e 10 misure per contrastare la diminuzione della popolazione

Già da qualche anno l’attrattività residenziale è una delle grandi priorità del Governo neocastellano per contrastare il declino demografico. Dal 2000 l’arrivo di nuovi residenti dagli altri Cantoni si è infatti arrestato e dal 2016 anche il flusso internazionale, che aveva in parte compensato questa perdita, è negativo. Il governo è, perciò, corso ai ripari, avviando un piano per il rilancio demografico.

“La stratégie de promotion de la domiciliation” attivata dal Cantone è incardinata sulle tre A di Ancrer, Attirer, Accueillir (ancorare, attirare, accogliere), con tre obiettivi definiti: ritornare ad una crescita demografica in linea con la media nazionale, rilanciare il flusso migratorio intercantonale, migliorare la percezione dell’attrattività del Cantone sia all’interno, quindi con la popolazione, che all’esterno.

Per coordinare il progetto di rilancio demografico, dotato di un budget di 2,3 milioni di franchi per il quinquennio 2019-2024, è stato nominato un delegato, “Monsieur domiciliation”, affiancato da un team interdipartimentale e da un comitato consultivo di cui fanno parte personalità qualificate con esperienze e competenze specialistiche. Il piano degli interventi è strutturato su cinque assi prioritari e altrettanti assi trasversali, che prevedono anche dieci misure specifiche che devono essere attuate dal governo con la collaborazione di altri enti pubblici e partner privati.

Gli assi prioritari sono: ancoraggio della popolazione e limitazione dell’esodo verso altri Cantoni; incentivare la residenza dei pendolari che già lavorano a Neuchâtel e del nuovo personale assunto dagli enti pubblici o dalle aziende; fidelizzazione dei residenti; contatti capillari e feedback costante con i nuovi abitanti; rientro nel Cantone degli “espatriati”.

Gli assi trasversali prevedono: miglioramento delle condizioni quadro e marketing residenziale; sviluppo di apposite partnership; sensibilizzazione e mobilitazione della popolazione (secondo il principio che “gli abitanti sono i primi ambasciatori del loro territorio”); politica di accoglienza; monitoraggio dell’andamento del progetto.

Le dieci misure specifiche gestite dallo Stato vanno dalla campagna permanente per la promozione dell’immagine residenziale, con la creazione di un apposito brand “Vivere a Neuchâtel”, al partenariato con le aziende e  le agenzie specializzate per incentivare la residenza dei pendolari; dal miglioramento dell’accoglienza per i nuovi arrivati – definendo con i Comuni dettagliati standard di qualità- alla rete per attirare nuovi abitanti; dall’attivazione di tutta la pubblica amministrazione sulla “Stratégie de promotion de la domiciliation” agli interventi per “ancorare” la popolazione residente; dalle facilitazioni per l’accesso alla proprietà, con incentivi finanziari e fiscali, al monitoraggio capillare dei flussi demografici. Nel programma per la crescita demografica un ruolo particolare lo giocano i Comuni per la stretta vicinanza con la popolazione locale, l’organizzazione della vita collettiva e per l’offerta di tutti quei servizi e prestazioni che valorizzano l’attrattività residenziale. Sono i Comuni in prima battuta, avverte il Cantone, ad accogliere e facilitare l’integrazione dei nuovi residenti.

Successione e trasmissione aziendale: meglio non affidarsi al caso

Passaggio generazionale e continuità dell’azienda: come salvaguardare il valore aziendale mettendo le persone al centro delle priorità

L’imprenditore ricerca costantemente la prosperità e la continuità per la propria impresa: questo obiettivo lo accompagna per tutta la vita ed emerge con maggior impeto quando si avvicina il momento del “passaggio del testimone”.

Recenti studi mostrano come nei prossimi anni almeno un quarto delle PMI svizzere preveda di cambiare proprietà. Questo scenario non coinvolgerà solamente gli imprenditori con i propri familiari, ma anche molti collaboratori che vivranno il cambiamento in prima persona sul luogo di lavoro.

La regolamentazione della successione riveste quindi un fattore cruciale per salvaguardarne il valore aziendale e per soddisfare l’ampia cerchia di persone coinvolte. Da recenti sondaggi si sottolinea come una buona parte degli imprenditori non abbia ancora regolamentato la propria successione, decidendo se affidare il divenire della propria azienda ai familiari, al management o, in alternativa, a terzi investitori.

Le 5 fasi concernenti una successione aziendale sono:

1) l’impostazione di una riflessione,
2) l’analisi della situazione attuale,
3) la valutazione dell’azienda,
4) la preparazione alla trasmissione e infine
5) il trasferimento con tutti i passi organizzativi e procedurali che incombono.

Il passaggio delle consegne non è sempre un passo facile da pianificare. L’imprenditore spesso si pone alcune domande alle quali gli specialisti devono poter dare una risposta.

Ad esempio: quali misure devono essere adottate per impostare una fluida collaborazione tra imprenditore e potenziale successore? Come vengono definiti i ruoli e le funzioni in questa fase del passaggio delle consegne e qual è la procedura in caso di divergenze d’opinione? In quale ruolo deve essere introdotto il successore nell’impresa (come consigliere d’amministrazione, segretario del consiglio d’amministrazione, CEO, specialista quadro / tecnico, responsabile di progetto, capo settore)?  L’imprenditore deve riflettere come e in che forma lasciare l’azienda (ritiro parziale o completo).

Il processo di successione aziendale è molto più lungo e complesso di quanto si è soliti credere, i fattori che ne determinano il successo sono molteplici ed è spesso difficoltoso riuscire a conciliare le aspettative di tutti i diversi stakeholder. L’imprenditore dovrà quindi affrontare difficili scelte per individuare il miglior successore.

Di solito questa decisione non è frutto di un’illuminazione repentina, al contrario si sviluppa nel corso degli anni ed è quindi necessario pianificare la successione degli aspetti familiari e patrimoniali, richiedendo il supporto di specialisti per le problematiche più complesse (fiscali, legali, finanziarie). Nel fissare i propri obiettivi l’imprenditore e i consulenti non devono mai trascurare che gli aspetti emozionali e relazionali prevalgono sulla determinazione del prezzo e che per dare continuità si deve essere pronti a compiere scelte coraggiose che tengano conto dell’evoluzione dell’azienda e del mondo circostante.

Una delle questioni fondamentali che l’imprenditore si pone prima della cessione dell’azienda è quella di chiedersi a quale prezzo si può/deve vendere la propria azienda.

Questa è una domanda cruciale che tutti gli imprenditori si pongono e la cui risposta si trova affrontando il problema con i corretti presupposti. L’imprenditore non può esigere un prezzo troppo elevato per la propria azienda e al contempo l’acquirente non deve pretenderne la svendita. È quindi necessario per entrambi conoscere tutti gli elementi che permettono la determinazione oggettiva del prezzo.

Il settore del Merger & Acquisition è da sempre caratterizzato da una grande vivacità, facendo registrare sia in Svizzera sia a livello internazionale un numero impressionante di rilevanti operazioni strategiche. Gli ultimi dati sulle attività di fusione e acquisizione (M&A) mostrano come nel 2019 siano state recensite 402 transazioni in Svizzera. Il volume di queste attività ammonta a 124 miliardi di franchi.

Le motivazioni che possono portare a cedere o ad acquistare un’azienda sono molteplici e variano da strategiche, economiche e finanziarie a strettamente personali. In ogni caso, nel processo di acquisizione/cessione di un’azienda sono richieste competenze specifiche tecniche e negoziali.

Infine, non è da sottovalutare il fattore emotivo che matura in colui che deve distaccarsi dalla “creatura” che ha visto crescere e prosperare, non senza sacrifici, in lunghi anni di attività professionale. In questo contesto il consulente finanziario che accompagna l’imprenditore in questa avventura deve assistere il proprio cliente anche sotto l’aspetto emotivo che, seppur poco “tecnico”, è fondamentale per poter concludere con successo l’iter di successione aziendale. In questo contesto la gestione dei colloqui e dello stress durante le trattive, e la preparazione al “dopo”, sono delle tematiche che meritano il dovuto approfondimento.

Un percorso formativo ad hoc
Il tema della trasmissione aziendale è oggetto di uno degli appuntamenti del ciclo “Incontri tra PMI e mondo finanziario: nozioni fondamentali e testimonianze per una moderna gestione d’impresa”, organizzato dalla Cc-Ti e dal Centro Studi Villa Negroni (CSVN) a partire dal prossimo mese di giugno.
Per iscrizioni al ciclo di seminari quali formazioni su misura per fornire nozioni fondamentali e testimonianze per una moderna gestione d’impresa, è possibile seguire questo link.

Articolo a cura di Nadir Rodoni, Vicedirettore, Centro Studi Villa Negroni, Vezia

Al via la Scuola manageriale Cc-Ti – edizione 2021

Didattica online efficace: anche quest’anno la Cc-Ti propone il corso “Specialista della gestione PMI con attestato federale”

Abbiamo ormai preso confidenza con la didattica online. Cogliendo quest’opportunità che la tecnologia ci offre, è essenziale non interrompere il percorso di apprendimento combattendo il senso di demotivazione che potrebbe insorgere.

Alla luce della situazione attuale, un’esperienza di studio e crescita rappresentata dal percorso della Scuola Manageriale Cc-Ti, offre un’interessante possibilità di partecipare a un percorso di arricchimento professionale che portano alla preparazione dell’esame per l’ottenimento di un attestato federale, grazie anche a docenti preparati da un punto di vista teorico e pratico.

Con la nuova classe della primavera 2021 – che ha iniziato il ciclo formativo il 22 marzo 2021 – abbiamo un gruppo di 13 iscritti molto eterogeneo per età e rami lavorativi, quali pasticceria, edilizia, industria, ecc., che condivideranno un percorso di un anno e mezzo.

Il corso formativo è strutturato su tre semestri con materie strutturate in sei moduli: ogni lunedì, verranno approfondite tematiche che aiuteranno ad acquisire conoscenze della gestione operativa di una piccola media impresa.

Questa formazione è indirizzata a imprenditori e dipendenti che vogliono acquisire nozioni di management ed essere in grado, servendosi degli strumenti dalla gestione aziendale, di condurre al meglio un’azienda socialmente responsabile.

La Camera di commercio e dell’industria del Canton Ticino (Cc-Ti) si impegna con progetti di formazione di lunga e breve durata che propone al ricco tessuto imprenditoriale ticinese, convinta del fatto che soltanto investendo nella formazione sia possibile continuare a crescere.

Interessati ad approfondire questo tema? Contattateci! Jennifer Vitale, collaboratrice della Scuola Manageriale, potrà rispondere alle vostre domande.
La partecipazione ad un nuovo ciclo sarà di nuovo disponibile – presumibilmente – in autunno.

La formazione professionale quale chiave del successo

Anche nel 2021 la Cc-Ti sostiene Espoprofessioni, la fiera dei mestieri, che torna in una rinnovata veste digitale.

Nel Rapporto d’attività dell’allora “Camera cantonale di commercio” (quella la ragione sociale della Cc-Ti negli anni ’20 del secolo scorso) dell’anno 1922, si parlava e si tematizzava di tirocinio professionale, scuole per apprendisti, insegnamento ai ‘fanciulli’ di 13-14 anni, e così via.
Fatto atipico? No, considerando la lungimiranza che la Cc-Ti ha sempre avuto per molte tematiche, fra cui spicca la formazione professionale di base e continua, quale caposaldo di una visione liberale che l’ha portata fino ad oggi, ben 99 anni dopo quel rapporto d’attività e a 104 anni dalla sua fondazione.

Nel sondaggio della FSEA – Federazione svizzera per la formazione continua 2021 (di cui la Cc-Ti fa parte attraverso la Conferenza della Svizzera italiana per la Formazione continua degli adulti – CFC) sugli erogatori di formazione continua, si evince come sia cambiato – con la pandemia – il modo di erogare e di fruire la formazione, orientandosi sempre più verso la digitalizzazione delle offerte. Anche la Cc-Ti ha percorso questa via; garantendo oggi un’offerta formativa completa in streaming.

Sono questi i due episodi con cui Lisa Pantini, Responsabile della comunicazione e relazioni con i soci della Cc-Ti, ha aperto il suo intervento alla conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2021 di Espoprofessioni.
Tenutasi il 11.3.2021 nel nuovo Auditorium della Scuola cantonale di commercio a Bellinzona, la conferenza stampa ha illustrato le principali novità di un’edizione peculiare, per la maggior parte online e con alcuni eventi selezionati in presenza.

La Cc-Ti riconosce quindi l’importanza della collaborazione fra associazioni economiche/professionali e lo Stato per la formazione professionale. Inoltre affianca le associazioni di categoria e le aziende formatrici con azioni di sostegno mirate, promozione delle professioni di tutti i settori economici e supporto per iniziative di vario genere.

Al momento informativo sono intervenuti, oltre a Lisa Pantini: Manuele Bertoli, Consigliere di Stato e Direttore DECS; Rita Beltrami, Capo dell’Ufficio dell’orientamento scolastico; Oscar Gonzalez, Aggiunto al Direttore della Divisione della formazione professionale; Selina Küpfer, Responsabile comunicazione Svizzera latina, SwissSkills Berna e Barbara Soer, del Segretariato cantonale UAE.

Dopo il rinvio della fiera nella primavera del 2020 causa COVID-19, oggi la fiera del 2021 si ripresenta con una nuova veste perlopiù digitale: nella settimana dal 22 al 27 marzo 2021, Espoprofessioni permetterà agli allievi di scuola media, ai loro genitori e insegnanti, come pure agli apprendisti, agli studenti del medio superiore, ai giovani adulti alla ricerca di percorsi formativi superiori, agli adulti interessati a perfezionamenti e riqualifiche, di esplorare il mondo delle professioni e delle formazioni del postobbligo.  


Tutti i dettagli relativi al programma, alle chat e alle modalità di partecipazione agli eventi sono disponibili sul sito www.espoprofessioni.ch.

Lisa Pantini resta volentieri a disposizione per eventuali domande.



Libero scambio – Pacifico

Il Partenariato Economico Globale Regionale – PEGR (Regional Comprehensive Economic Partnership, RCEP) – del quale anche l’Indonesia fa parte – ha permesso la nascita del più grande blocco commerciale esistente al mondo.

Australia – Vietnam

L’accordo si struttura in venti capitoli che racchiudono i punti nevralgici, tra cui ricordiamo: il commercio di beni, le regole di origine (ROO), le facilitazioni commerciali e doganali e, tra le altre, anche le misure sanitarie.

Il 7 marzo scorso l’accordo di libero scambio fra la Svizzera e l’Indonesia è stato approvato alle urne in votazione federale. Con questo recente risultato, la Svizzera è la Nazione che, in Europa, ha siglato il maggior numero di accordi di libero scambio (ALS).

Il Partenariato Economico Globale Regionale (PEGR) è un accordo di libero scambio nella regione dell’Asia Pacifica tra i dieci stati dell’ASEAN (nello specifico: Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam) e cinque dei loro partner di libero scambio: Australia, Cina, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud.
Negoziato per 8 anni, questo nuovo grande partenariato è stato siglato il 15 novembre 2020, in occasione del 37° vertice annuale dell’ASEAN. Nei prossimi due anni saranno possibili le rispettive ratifiche nazionali. Di fatto, la più grande zona di libero scambio al mondo è ora una realtà.

La Svizzera è relativamente già ben posizionata nell’area asiatica grazie all’accordo di libero scambio con la Cina, il Giappone, le Filippine, Singapore, la Corea del Sud.

La più grande zona di libero scambio

Il prodotto interno lordo totale dei 15 Paesi membri del PEGR raggiunge circa il 30% del valore aggiunto mondiale. Un dato importante e significativo dell’importanza ricoperta da questo Partenariato, è il valore aggiunto mondiale, se comparato ad esempio con la zona di libero scambio del Nord America al 28% e quella dell’Unione Europea al 18%.

L’India si è ritirata dall’accordo nel novembre 2019, principalmente a causa delle preoccupazioni relative al dumping di prodotti manifatturieri dalla Cina e di prodotti agricoli e lattiero-caseari dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, che potrebbero colpire i propri settori industriali e agricoli nazionali. A causa del ritiro dell’India, si teme che la Cina possa dominare l’RCEP. Se l’India dovesse riprendere in considerazione di aderire nuovamente al PEGR, ipotesi non in atto ma tuttavia possibile in un futuro, oltre il 40% della popolazione mondiale vivrebbe nella stessa zona di libero scambio.

La zona di libero scambio creatasi si presenza con circa il 30% della produzione economica mondiale, il 28% del volume degli scambi mondiali e circa 2,2 miliardi di persone.

Fonte cartina: Wikipedia – Di Tiger 7253 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=57964894

La sua struttura

L’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico afferma che gli obiettivi principali dell’accordo siano quelli di stabilire un partenariato moderno, completo, di alta qualità e reciprocamente vantaggioso che faciliterà l’espansione del commercio e degli investimenti regionali e che contribuirà allo stesso modo alla crescita e allo sviluppo economici e globali dell’area.

Di conseguenza, si creerà opportunità di mercato, d’occupazione per le imprese e per la popolazione indigena delle regioni.

Gli accordi commerciali rappresentano la maggioranza del contenuto. Sono state inserite numerose concessioni per i diversi gruppi merceologici e Paesi (come per il pesce per il Giappone, i prodotti in plastica per il Laos, ecc.). In ogni caso circa il 92% dei dazi doganali saranno ridotti o eliminati (non immediatamente).

Indipendentemente dalle tasse doganali, altre misure importanti sono previste per ridurre i costi del commercio estero. Queste spese restano piuttosto alte in Asia. È prevista una regolamentazione per la protezione dei contratti, dei diritti di proprietà intellettuale e degli investimenti; anche voci “sensibili” come i servizi finanziari e le telecomunicazioni verranno parzialmente liberalizzarti.

Questi accordi hanno effetti a diversi livelli, ma primo tra tutti, quello economico. Gli economisti stimano che il PIL dei Paesi Membri aumenterà costantemente di circa lo 0.2% (74 mia di dollari/anno).

Nel merito questo partenariato mira a ridurre le tasse doganali e le formalità burocratiche, permettendo di eliminare le “barriere doganali” sul 91% dei beni in transito.

In breve, il PEGR si compone nel modo seguente (il testo dell’accordo è accessibile al pubblico):

  • Commercio di beni
  • Servizi: e-commerce, divieto di richieste di localizzazione dati
  • Investimenti
  • Proprietà intellettuale
  • Politica della concorrenza

Non vi rientrano:

  • Sostenibilità
  • Diritto del lavoro

La Svizzera in questo contesto

Con questo accordo l’Europa perderà d’attrattività per la Cina (presupposto sul lungo termine), e in futuro la Repubblica Popolare Cinese dipenderà sempre meno dal commercio con Germania e Francia. Inversamente, i vantaggi per le aziende europee che vorranno insediarsi o vendere in Cina, saranno miseri. Questa situazione non bilanciata è dovuta al fatto che la maggioranza dei Paesi europei non hanno accesso al “libero scambio” con i Paesi membri del PEGR.

La Svizzera, fortunatamente, si può distinguere da questo meccanismo, essendo un Paese che ha concluso il più alto numero di accordi di libero scambio con i Paesi membri del PEGR. Ad eccezione di Laos, Cambogia, Australia e Nuova Zelanda, la Svizzera – quale Paese o quale membro del gruppo di Paesi AELS – ha già concluso o negozia questo tipo di accordi, concretizzando i propri risultati nel mercato.

La Svizzera produce prodotti di nicchia di elevata qualità e li esporta in tutto il mondo. Le aziende svizzere, piccole o grandi che siano, necessitano quindi di un accesso affidabile a un numero il più elevato possibile di mercati esteri. Il recente accordo con l’Indonesia rientra nella politica di libero scambio del nostro Paese, che vanta già oltre 30 accordi con più di 40 Paesi al di fuori dell’UE e dell’AELS.


Fonte: Journal des arts et des métiers, marzo 2021 ; adattamento Cc-Ti

La Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora

La CITES (CITES – Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora), nota anche come Convenzione di Washington è sottoscritta da 175 Paesi di tutto il mondo allo scopo di garantire la conservazione e l’utilizzo sostenibile delle popolazioni vegetali e animali del nostro pianeta.

Per molte specie di flora e fauna l’espansione degli scambi internazionali costituisce – o potrebbe costituire – una minaccia. Il loro commercio dovrebbe quindi essere ammesso solo nella misura in cui lo consentono gli effettivi naturali. L’introduzione di regole chiare, improntate ai criteri della sostenibilità, si rivela spesso più efficace di un divieto assoluto. Con il termine “commercio ai sensi della CITES” si intende quindi qualsiasi spostamento che preveda il passaggio di un confine.

Le specie protette dalla CITES vengono classificate su tre diversi livelli, a seconda del grado di minaccia. L’importazione e l’esportazione di esemplari vivi, di loro parti o prodotti da essi derivati sono vietate, oppure consentite solo previa autorizzazione.

L’Appendice I (primo livello) comprende tutte le specie minacciate di estinzione le quali sono o potrebbero esserlo dal commercio. Il commercio degli esemplari di tali specie deve essere autorizzato solo in condizioni eccezionali.
L’Appendice II (secondo livello) comprende tutte le specie le quali, pur non essendo attualmente necessariamente minacciate di estinzione, potrebbero esserlo se il commercio degli esemplari di tali specie non fosse sottomesso ad una severa regolamentazione.
Mentre l’Appendice III (terzo livello) comprende tutte le specie che una parte dichiara sottoposte, nei limiti della propria competenza, ad una regolamentazione avente come scopo l’impedimento o la restrizione del loro sfruttamento e implicante la cooperazione delle altre Parti per il controllo del commercio.

Molti animali selvatici oggetto di scambi commerciali transfrontalieri sono tutelati da disposizioni sulla conservazione delle specie sia a livello nazionale che internazionale.
Anche la legislazione sulle epizoozie impone il rispetto di determinate condizioni.
Per importare o esportare questi animali è necessario disporre di un’autorizzazione.

Animali selvatici non protetti

In Svizzera vengono considerati non protetti gli animali selvatici che non figurano nelle Appendici I-III della CITES né sono tutelati ai sensi della legge sulla caccia e della legge sulla protezione della natura e del paesaggio.
Sussiste tuttavia un obbligo di autorizzazione anche per l’importazione di alcuni invertebrati e per la maggior parte dei vertebrati non protetti.
Per importare parti di animali protetti e prodotti da essi derivati sono necessarie un’autorizzazione d’importazione dell’USAV (Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria) e, per lo più, un’autorizzazione d’esportazione rilasciata nel Paese di origine o di provenienza.

Per parti di animali protetti e prodotti da essi derivati si intende:

  • prodotti di specie CITES: le disposizioni della convenzione internazionale CITES si applicano a circa 5’000 specie animali, elencate nelle tre Appendici citate poc’anzi;
  • prodotti derivati da specie di uccelli indigene di cui è vietata la caccia, protette ai sensi della legislazione svizzera in materia di caccia e di protezione della natura e del paesaggio.

Determinate parti e prodotti non trasformati, come ad esempio carni o pelli grezze, sono inoltre soggette alla legislazione in materia di epizoozie.

Piante ornamentali compresi bulbi e tuberi, semi, fiori recisi, foglie, frasche e rami

Tutti gli invii e gli esemplari di piante soggetti alle disposizioni CITES (anche riprodotti artificialmente) devono essere accompagnati dall’originale del certificato CITES rilasciato nel Paese d’origine. Il certificato è obbligatorio a prescindere dalla quantità.
Oltre 28’000 specie di piante rientrano nel campo d’applicazione della CITES; di queste, circa 300 sono iscritte nell’Appendice I e possono essere oggetto di scambi commerciali internazionali solo se ottenute da esemplari riprodotti artificialmente nell’ambito della coltivazione vivaistica; vige invece il divieto per le piante selvatiche.
Di norma non viene richiesto alcun permesso d’importazione dell’USAV per le piante CITES vendute in commercio e il materiale vegetale vivo deve essere anche accompagnato da un certificato fitosanitario (Phytosanitary Certificate = certificato di fitosanitario).

L’importazione in Svizzera deve avvenire esclusivamente attraverso gli uffici doganali inclusi nell’elenco “Uffici doganali per l’importazione di piante CITES”.
Sussiste un obbligo generale di notifica nei confronti dell’autorità doganale e del Servizio fitosanitario federale. Il Servizio fitosanitario federale è in grado di fornire ulteriori informazioni circa l’importazione di piante.
Del controllo alla frontiera è responsabile il Servizio fitosanitario federale (SFF) dell’UFAG (Ufficio federale dell’agricoltura), che su incarico dell’USAV effettua anche il controllo CITES.

Riesportazione di animali selvatici vivi – animali selvatici protetti

In Svizzera, gli animali sono protetti dalle seguenti disposizioni:

  • CITES: le norme previste dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES) interessano circa 5’000 specie animali, elencate nelle tre Appendici già citate.
  • Legislazione sulla caccia e sulla protezione della natura e del paesaggio

Per esportare animali selvatici protetti dalla CITES sono necessari un’autorizzazione d’esportazione o un certificato di riesportazione rilasciati dall’USAV.

Per l’esportazione di specie iscritte nell’Appendice I, è necessario che l’organo di gestione del Paese di destinazione abbia rilasciato un’autorizzazione d’importazione prima che l’USAV rilasci a propria volta un’autorizzazione d’esportazione (certificato di riesportazione). Tuttavia, per il commercio delle suddette specie vigono severe restrizioni. L’esportazione viene autorizzata, ad esempio, solo se si tratta di esemplari pre-convenzione, se è comprovabile che gli animali sono stati allevati in cattività o se vengono esportati nel quadro di programmi di conservazione in cattività e per finalità di ricerca.
Anche per gli animali di specie elencate nelle Appendici II e III sono necessarie autorizzazioni d’esportazione (certificati di riesportazione).
Per sapere se e in quale forma nel Paese in cui si intende esportare gli esemplari siano richieste autorizzazioni d’importazione per le specie iscritte nelle Appendici II e III, è opportuno contattare le autorità CITES del Paese di destinazione.

Riesportazione di parti di animali e prodotti derivati

In Svizzera, gli animali sono protetti dalle seguenti disposizioni:

  • CITES: le norme previste dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES) interessano circa 5’000 specie animali, elencate nelle tre Appendici descritte.
  • Legislazione sulla caccia e sulla protezione della natura e del paesaggio.

Per esportare parti di animali appartenenti a specie protette dalla CITES e prodotti da essi derivati sono necessari un’autorizzazione d’esportazione o un certificato di riesportazione rilasciati dall’USAV.

Fonti:


Necessitate maggiori dettagli? Il Servizio Export Cc-Ti è a vostra disposizione.