Il Chief Happiness Officer e le organizzazioni positive

È innegabile che nel mondo delle organizzazioni è in atto un cambiamento. In questo contesto storico di grandi sfide sociali, politiche ed economiche sempre più aziende a livello mondiale perseguono, oltre ai risultati di business, degli obiettivi ad impatto sociale positivo. Fioriscono nuovi modelli di economia e di organizzazione di impresa con obiettivi sociali ed ecosistemici. Nelle università più prestigiose come Harvard, Berkeley e Yale vengono proposti corsi inerenti la “Scienza della felicità”.

In un’organizzazione felice, il team lavora per lo stesso obiettivo.

Il benessere e la felicità in azienda sono ormai diventate una necessità per le organizzazioni. Diversi studi e ricerche testimoniano come aumentare il benessere aziendale e la felicità del proprio capitale umano ha un ritorno economico importante. Una recente ricerca ha infatti dimostrato che la felicità e la soddisfazione sul lavoro dei propri collaboratori aumentano la produttività del 12% (Saïd Business School). Per le aziende che desiderano assicurarsi lunga vita e garantirsi il successo si tratta di passare dal modello organizzativo convenzionale al modello culturale delle organizzazioni positive. I vantaggi per le aziende che aderiscono a questo modello sono molteplici: oltre all’aumento della produttività aumentano anche la capacità di innovare (+300%, HRB) e il senso di appartenenza (+44%, Gallup), diminuendo allo stesso tempo il turnover. Se tutto questo non bastasse Shawn Achor (scrittore statunitense conosciuto per la sua filosofia della psicologia positiva) nel suo libro “Il vantaggio della felicità” ci conferma che, dagli studi condotti ad Harvard, la formula che da sempre ci accompagna “Sarò felice quando avrò successo” risulta errata e deve essere costituita con quella opposta: “Avrò successo quando sarò felice”.

Il Chief Happiness Officer

Ma come fare per diventare un’organizzazione positiva e coniugare così business a benessere? È qui che entra in gioco la figura del Chief Happiness Officer (CHO). Questa figura emergente accompagna organizzazioni e aziende nella trasformazione culturale necessaria. Il CHO è un esperto di organizzazioni positive e possiede le competenze e abilità necessarie per accompagnare organizzazioni, team e persone in un processo di miglioramento. Utilizza un approccio integrato che fa interagire tra loro i processi organizzativi, i comportamenti e la cultura aziendale generando coerenza. Il CHO non è quindi un ruolo puramente simbolico ma strategico, per questo motivo è importante che venga riconosciuto nella sua funzione. La sua formazione gli permette di avere una visione dell’organizzazione nella sua complessità per capire e interpretare il suo costante cambiamento. Non dimentichiamo che l’azienda è un organismo vivente in continua evoluzione.

Le organizzazioni positive

“L’organizzazione positiva è un luogo in cui le persone fioriscono in relazione con altre e ottengono risultati individuali e collettivi che hanno senso e superano le aspettative” (D. Di Ciaccio e V. Gendinari, “La Scienza delle organizzazioni positive”). Un’organizzazione positiva ha tra le priorità strategiche il benessere del proprio capitale umano e la positività. A questo punto mi sembra necessario chiarire alcuni elementi chiave della “Scienza della felicità”, delle organizzazioni positive e del CHO. Per prima cosa il capitale umano: il capitale umano non indica unicamente i collaboratori dell’azienda, come spesso erronamente si pensa, bensì tutte le persone che hanno a che fare con l’azienda: fornitori, clienti, stakeholders sul territorio. Questo significa avere una visione di insieme che permetta di scegliere, disegnare e gestire pratiche e processi che generino positività, felicità e benessere.

La definizione di felicità a cui siamo abituati a pensare è quella di un momento di piacere in relazione con fattori esterni, la teoria della felicità edonica. C’è però un’altra teoria studiata dalla Scienza della felicità, ed è la felicità eudaimonica. Una felicità cioè che può e deve essere ricercata e costruita in modo volontario, scegliendo alcune pratiche e allenandole con costanza nel tempo. È in quest’ottica che la felicità entra in azienda.

Un altro mito da sfatare è che la felicità dei collaboratori passa unicamente da quelle pratiche rivolte direttamente al loro benessere, che è sicuramente una cosa necessaria ma non basta. Bob Chapman (CEO di Barry-Wehmiller) dice: “La figura del capo è più importante per la salute di quanto lo sia il medico di base. Se miglioriamo le relazioni sul lavoro ci ammaliamo meno e ci guadagniamo tutti.”

I leader sono infatti delle figure fondamentali, non esistono organizzazioni positive senza leader positivi. Il CHO accompagna i leader a diventare leader positivi in grado di sostenere e guidare i collaboratori e l’azienda.

I leader positivi saranno poi in grado di creare relazioni di fiducia con i collaboratori, favoriranno la crescita personale e la responsabilità di ognuno. Infine anche l’idea che per realizzare questo
cambiamento occorrano grossi investimenti finanziari è da smentire. Per fare sentire i propri collaboratori partecipi, coinvolti, soddisfatti non sono necessari grossi investimenti ma bastano alcune pratiche ben calibrate e costantemente monitorate. Ricordiamoci inoltre che per innescare un cambiamento così importante è necessario procedere a piccoli passi e con tempi adeguati. Sebbene la neoplasticità del cervello sia dimostrata occorre però dagli il tempo necessario per adeguarsi. Forzare un cambiamento culturale significa andare incontro ad un fallimento.

Il CHO è preparato, conosce i livelli evolutivi e sa portare i giusti cambiamenti adeguandoli all’azienda in cui opera e ne controlla costantemente l’effetto. Se per le grandi organizzazioni occuparsi della felicità in azienda è ormai una scelta necessaria, per le piccole e medie imprese un CHO quale consulente, che operi a stretto contatto con i leader, si può rivelare una scelta vincente.


La top ten dei Paesi più felici al mondo

Le Nazioni Unite hanno stilato una classifica composta dalle Nazioni più felici al mondo, che si distinguono per condizioni di vita e felicità diffusa tra gli abitanti. È quanto emerge dal “World Happiness Report”, dove la Svizzera si classifica al terzo posto, dopo Finalandia e Danimarca. In questo documento si analizzano 158 nazioni e tiene conto di diversi fattori, quali: reddito pro-capite; aspettativa di vita; tasso di criminalità e corruzione; livello di istruzione e tasso di occupazione.


Approfondimento sul tema
Nelle risorse umane definiamo normalmente tre “pilastri” che abbracciano questa disciplina: il team building, la formazione e il benessere del dipendente. Quando questi tre elementi sono allineati possiamo parlare di «azienda felice». La Cc-Ti ha dedicato un webinar a questo tema lo scorso luglio. È possibile rivedere l’evento e approfondire quanto emerso tramite questo link.

Articolo a cura di Monica Garbani-Nerini, CHO e collaboratrice del Segretariato CFC / FSEA

Indicazioni utili

Una raccolta di informazioni per le aziende relative alla situazione d’emergenza Covid-19. Articolo aggiornato periodicamente.


Raccomandazioni dell’Ufficio Federale della salute pubblica

Promemoria e liste di controllo per la sicurezza e la tutela della salute sul posto di lavoro
Comportamento corretto da assumere in azienda per evitare contagi da Covid-19
Ordinanza 2 sui provvedimenti per combattere il coronavirus (COVID-19)

Materiale informativo: per la sensibilizzazione delle aziende

Un flyer informativo e un video esplicativo preparati dalla Divisione dell’Economia del Canton Ticino per sensibilizzare le aziende sul tema ‘lavoro & Covid-19’.

Certificazione aziendale/autocertificazione per lavoratori frontalieri

Certificazione aziendale (esempio)

Collaboratori italianiAutocertificazione del dipendente (ITALIA) – Certificazione datore di lavoro (ITALIA)

Nel documento, che deve essere firmato dal cittadino e dall’operatore di polizia, chi vuole spostarsi deve indicare che il viaggio è determinato da una di queste quattro motivazioni: “Comprovate esigenze lavorative; situazioni di necessità; motivi di salute; rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”. Se i riscontri delle forze dell’ordine saranno negativi scatterà la denuncia che prevede l’arresto fino a tre mesi e una denuncia per reati dolosi contro la salute pubblica.

Consigli di viaggio e rappresentanze – entrata in Svizzera dall’estero

Coronavirus: entrata in Svizzera
Entrata in Svizzera – Modulo di notifica del test dopo 4-7 giorni

L’applicazione “Travel – Admin”
Sito del Dipartimento federale degli affari esteri DFAE – Raccomandazioni del Consiglio federale

AIL introduce la dilazione dei pagamenti

Più tempo per saldare le bollette, consumi stimati e Contact Center sempre a disposizione: il Contact Center è sempre a disposizione della clientela al numero di telefono 058 470 70 70, dal lunedì al venerdì (08:30 – 12:00 e 13:30 – 17:00) e per email.

Modifica temporanea dell’ordinanza sulla firma elettronica

Comunicato stampa – Amministrazione federale

Nuove procedure inerenti le prestazioni assistenziali e gli assegni familiari integrativi e di prima infanzia (AFI/API)

Comunicato stampa – Dipartimento della sanità e della socialità

Segreteria di Stato della migrazione SEM

Aggiornamenti e news

Assicurazione svizzera contro i rischi delle esportazioni

Comunicato stampa del Consiglio federale del 12.8.2020

Uso delle mascherine nello spazio pubblico – infografica

Ritrovate l’articolo con tutti i dettagli aggiornati sulle informazioni per le aziende

Gamification e Serious Game: l’innovazione è una questione di contesto

Sarebbe esistito il genio innovatore di Leonardo Da Vinci senza il Rinascimento, periodo in cui le arti, la filosofia e l’economia, sono rifiorite dopo la profonda crisi del XIV secolo? Sarebbe riuscito Albert Einstein ad elaborare la teoria della relatività senza la crisi del Positivismo di fine ‘800? Che cosa avrebbero prodotto i vari Bezos, Gates, Jobs, Larry Page, Sergey Brin senza la Silicon Valley?

Come in una sliding door, ripensiamo alle stesse persone tolte dal contesto di riferimento, eremiti in montagna o un’isola deserta, senza le influenze del loro tempo: sicuramente non avrebbero fatto la storia e l’innovazione avrebbe preso strade diverse e avrebbe avuto protagonisti differenti. Così come non ci sarà mai innovazione senza un ambiente, un periodo storico e culturale che ne favorisca la nascita, allo stesso modo sarà difficile che manager, collaboratori o team portino innovazione senza un’azienda che crei loro il contesto adeguato.

Come può un’azienda creare un contesto che favorisca l’innovazione?

Innanzitutto, è necessario chiarire che per innovazione s’intende l’introduzione, per la prima volta nel sistema economico, di nuovi prodotti, servizi, processi, modelli di business che portino un concreto beneficio a chi ne usufruisce. Non necessariamente la loro invenzione. Steve Jobs, non inventò la tecnologia touch screen (già esistente dagli anni ‘70) ma l’applicò per risolvere un problema specifico: come eliminare i numerosi e piccoli tasti in uso nei cellulari della concorrenza (ad esempio il Blackberry) e rendere un telefonino meno complesso da utilizzare. La tecnologia touch era solo una delle possibili soluzioni alternative, non l’unica. Alcuni concorrenti avevano scartato la tecnologia scelta dalla Apple optando per soluzioni differenti fino a spingersi ad affermare: “chi mai comprerà un telefono senza tastierino?” Se l’innovazione attiene all’implementazione, esiste un momento precedente in cui le soluzioni vengono generate, pensate, ideate, un momento in cui è necessario trovare più soluzioni possibili, anche quelle che possono essere ritenute contrarie al buon senso. Lo scopo della creatività è fornire più soluzioni possibili, quello dell’innovazione implementare quella che genererà verosimilmente un beneficio per gli utilizzatori. Se le idee non vengono create o sono di scarsa qualità non avremo risultati dal punto di vista dell’innovazione. Quindi, per avere innovazione, è necessario formare un contesto organizzativo che affermi la cultura della creatività basata sull’apertura mentale, sulla propensione a correre il rischio di sviluppare idee a prima vista irrealizzabili o folli, sull’accettazione e valorizzazione dell’errore e sulla sospensione momentanea del giudizio per evitare che le idee muoiano sul nascere.

Che ruolo hanno la gamification e i “serious games” nella realizzazione di un contesto creativo?

Negli ultimi anni, soprattutto con lo sviluppo delle applicazioni mobile, si è assistito alla massiva introduzione nelle aziende di strumenti di gamification, intendendo con questa definizione le tecniche volte alla creazione di situazioni tipiche dei giochi (l’assegnazione di punti, il procedere per livelli, l’utilizzo di feedback) in contesti slegati dall’esperienza ludica (per esempio in procedure lavorative).

I serious game hanno una struttura ed uno scopo differente. Lo scopo di creare situazioni e scenari in cui i partecipanti possono confrontarsi e interagire per imparare o raggiungere obiettivi comuni, come acquisire abilità e competenze, raggiungere una migliore comprensione di un certo fenomeno o problema e creare le relative e possibili soluzioni. Entrambi gli strumenti, soprattutto se integrati, possono contribuire a creare contesti dove, grazie ad un corretto bilanciamento fra intrattenimento, simulazione e apprendimento, le persone, i team e le organizzazioni possano essere motivate a creare soluzioni, nuove idee o progetti.

Come possono la gamification ed in particolare i “serious games” creare un clima utile ai processi creativi?

Per rispondere a questa domanda si può far riferimento al serious game LEGO® Serious Play®. Negli anni ‘90 Johan Roos e Bart Victor, allora docenti presso l’IMD Business School di Losanna, una tra le più importanti business school del mondo, lavorarono sul concetto del gioco seriocon lo scopo di abilitare i manager a sviluppare in maniera alternativa le loro attività e a praticare la creatività e l’innovazione attraverso l’immaginazione. Nacque una metodologia dove, grazie ai mattoncini Lego, era possibile realizzare un’atmosfera creativa applicata ai problemi concreti delle aziende, dove tutti i partecipanti potevano contribuire al processo di problem solving portando le proprie idee e soluzioni.

LEGO® Serious Play®,così come altre attività di gioco serio, portano concreti benefici. Un contesto rilassato in cui si svolgono le attività: tutti i partecipanti esprimono la propria immaginazione in un clima sereno e collaborativo privo di giudizio e censure; un ambiente quindi di divertimento con delle ripercussioni immediate sul cervello che viene pervaso da grandi quantità di endorfine e di dopamina che aumentano la creatività e la concentrazione e, in generale, le prestazioni.

Si viene a creare quello che lo psicologo Mihály Csíkszentmihályi, nella sua teoria del flusso, nomina “stato di flow” ovvero una condizione caratterizzata da un totale coinvolgimento dell’individuo: focalizzazione sull’obiettivo, motivazione intrinseca, positività e gratificazione nello svolgimento di un particolare compito. Stato di flow, divertimento e apprendimento diventano così gli elementi costituenti del contesto creativo all’interno del quale si sviluppano liberamente le idee e dove vengono poste le basi per l’innovazione, così come il Rinascimento, la Silicon Valley e il Relativismo hanno fatto per le innovazioni che sono passate alla storia.


Articolo a cura di Davide Proverbio, Partner Prowork International Swiss

Responsabilità dell’organizzatore di viaggi “tutto compreso” per un incidente stradale all’estero?

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

Il periodo delle vacanze è appena trascorso. Si spera nel migliore dei modi. Sì, perché può anche succedere che durante un viaggio all’estero capitino imprevisti con strascichi legali. È quello che è successo a una coppia di ginevrini che aveva acquistato un viaggio in India “tutto compreso”.

Tra le varie prestazioni incluse nel pacchetto vi era pure il trasferimento in automobile con autista privato da un aeroporto indiano fino all’hotel dove i turisti avrebbero pernottato. Dell’esecuzione di tale trasporto era stata incaricata un’agenzia locale. Purtroppo nel tragitto il veicolo che trasportava la coppia si è però scontrato con un camion. L’incidente ha avuto esiti letali per la moglie, mentre il marito ha riportato ferite gravi.

A seguito di questi eventi il superstite ha chiesto all’agenzia svizzera organizzatrice del viaggio il risarcimento per il torto morale subito a causa della perdita della moglie. La Legge federale concernente i viaggi “tutto compreso” prevede una particolare responsabilità dell’organizzatore. In sostanza l’organizzatore o il venditore contraente sono responsabili nei confronti del consumatore della buona esecuzione del contratto, indipendentemente dal fatto che essi stessi o altri prestatori debbano fornire i servizi. Il cliente deve però provare che l’organizzatore ha commesso un’inadempienza contrattuale. Nel caso in oggetto non è stato possibile stabilire le cause dell’incidente stradale in India.

Di fronte all’impossibilità di trovare una soluzione tra le parti, il litigio è stato portato davanti alle competenti autorità giudiziarie. In ultima istanza il Tribunale federale ha sottolineato che per grave che sia, un’incidente della circolazione non può rappresentare di per sé una violazione del contratto imputabile all’organizzatore del viaggio. Per questa ragione, e in assenza di ulteriori prove sulla dinamica dell’incidente, i giudici hanno pertanto respinto la richiesta di risarcimento del marito.

Sentenza 4A_396/2018

4 buone ragioni per innamorarsi di TikTok

Facebook? Roba da “boomer”! Il social del momento si chiama TikTok: tutti ne parlano, sempre più persone lo utilizzano e molte aziende lo stanno già usando efficacemente per promuovere la propria attività.

E pensare che fino a un paio d’anni fa, veniva spesso depennato a priori dalle strategie di digital marketing perché considerato “troppo giovanile” e quindi inadatto alle iniziative di aziende consolidate che si rivolgono a un target di decisori d’acquisto più adulto. Mai profezia si rivelò più fallace: in poco tempo il social venuto dall’Oriente si è reso protagonista di una crescita esponenziale che ha letteralmente travolto la scena digitale, in Europa come negli Stati Uniti. E che ha lasciato basiti i suoi principali competitor statunitensi, Facebook e Instagram (entrambi, è bene ricordarlo, appartenenti a Facebook Inc. quindi allo stesso circuito pubblicitario). In meno di cinque anni, TikTok ha superato il miliardo di utenti attivi nel mondo, più o meno la stessa cifra vantata da Instagram (che però ha un’ “anzianità” maggiore essendo nato nel 2010); in Europa è sbarcato nel 2018: oggi gli utenti attivi mensili sono oltre 100 milioni e il loro numero continua a crescere, tanto che TikTok ha annunciato l’apertura di un data center Europeo in Irlanda, per poter gestire più efficacemente i dati raccolti dall’applicazione in ottemperanza con le normative sulla privacy locali.

Gli aspetti relativi alla tutela dei dati avevano infatti causato un’iniziale diffidenza, non solo a Bruxelles ma anche a Washington. Diffidenza che però ha dovuto cedere il passo all’entusiasmo con cui gli utenti digitali hanno accolto l’applicazione nei propri smartphone.

Ma qual è il segreto del successo di TikTok? Perché è riuscito a scalzare Facebook&Co. dal cuore dei suoi utenti più affezionati? Possiamo riassumerlo in pochi ma decisivi punti.

Il potere creativo

I social “storici” più diffusi nascono come piattaforme di condivisione di testo e immagini e solo in un secondo momento hanno adottato anche i video, principalmente per far fronte alla concorrenza di un altro gigante, YouTube (che è parte del circuito pubblicitario di Google). TikTok invece non solo nasce proprio come piattaforma dedicata ai video, ma ha una precisa proposta creativa che spinge a reinterpretare il video come forma espressiva. Mette a disposizione dei suoi utenti potenti strumenti di editing che consentono non solo di caricare i propri filmati, ma anche di integrare quelli altrui secondo diverse modalità (le più famose sono “duetto” e “stitch”). Ci sarà capitato di citare il testo di qualcun altro per ribattere alla sua opinione; ebbene, su TikTok è possibile farlo con i video. Ed è possibile farlo… cantando e ballando! La piattaforma consente infatti di attingere a una nutrita libreria di musiche, effetti sonori e persino canzoni di tendenza, tutte liberamente utilizzabili. Ci sono poi particolari effetti, come filtri e transizioni, che permettono di aggiungere un tocco personale. Il risultato finale è più di un semplice video: è un tiktok! Il social crede molto nei suoi “creators”, tanto da aver stanziato, nella sola Europa, un fondo di 255 milioni di euro da investire nel loro talento.

Breve e coinvolgente

I video di TikTok durano al massimo tre minuti. Un limite che vuole spingere i creator a differenziare la loro comunicazione rispetto ai canali video più consolidati, come il classico YouTube o IGTV, il canale video di Instagram. La brevità è necessaria per mantenersi fedeli allo stile espressivo della piattaforma, ed è particolarmente apprezzata dai più giovani. Nati con lo smartphone in mano, gli adolescenti di oggi non hanno la ritrosia da telecamera che caratterizza le generazioni precedenti. Mostrarsi in video è per loro un fatto naturale e spontaneo. Piuttosto che rimanere a guardare lo schermo, come è abituato a fare chi è cresciuto con la tv, preferiscono rendersene protagonisti, ponendosi quindi come soggetti attivi verso il canale di comunicazione e non come un semplice “pubblico”. Questo spinge molto in alto la lancetta dell’engagement. Spesso nascono dei trend, in cui gli utenti sono chiamati a cimentarsi con dei modelli predefiniti (ad esempio, il celebre “dimmi la tua opinione impopolare che fa arrabbiare tutti quando la dici”) o micro-coreografie associate a testi (ad esempio il popolare “Question I get Asked”, dove gli utenti ballano al ritmo della canzone “The Magic Bomb” e possono far apparire in sovraimpressione le domande peggiori che si sono sentiti rivolgere e le relative risposte).

Un pubblico sempre più eterogeneo

L’entusiasmo dei giovani ha fatto da apripista a target di età più adulta. Oggi non è inusuale imbattersi in utenti di 30, 40 anni o più. Spesso sono coinvolte intere famiglie, facendo di TikTokil social più intergenerazionale in assoluto. Il suo stile ha contagiato tutti, a cominciare dai professionisti: medici e infermieri che smontano falsi miti sulla salute; avvocati che offrono brevi consigli legali; insegnanti che spiegano “in pillole” e in modo simpatico le materie più ostiche. Persino religiosi di ogni Fede hanno trovato in TikTok un nuovo mezzo per raggiungere il proprio “gregge”. Questo significa che anche da un punto di vista della profilazione marketing siamo davanti a un pubblico sempre più variegato, che include influencer, follower e decisori d’acquisto (soprattutto consumer, ma c’è da scommettere che il prossimo a crescere sarà il segmento B2B).

Pubblicità e marketing su TikTok

TikTok mette a disposizione degli investitori una piattaforma di marketing e pubblicità che si differenzia da quelle più note per le potenzialità che offre, in grado di integrare la forza dell’influencer marketing con l’advertising nativo, che grazie a un efficace algoritmo pubblicitario permette di raggiungere facilmente il pubblico desiderato. Un esempio? Lo scorso anno il brand italiano Galbanino ha lanciato su TikTok la #Galbachallenge, una “sfida” che ha coinvolto pubblico e creator sulle note di una canzone trap. I risultati sono stati notevoli: i video distribuiti sulla piattaforma hanno raggiunto 26 milioni di visualizzazioni per oltre 3 milioni di utenti e generato oltre 43mila interazioni.

La situazione in Svizzera

TikTok sta conquistando anche la Svizzera: in un anno il social ha registrato una crescita del 30% e le aziende non sono state a guardare. Il noto digital strategist Mike Schwede ha stilato una classifica: brand attivi su TikTok in Svizzera sono oltre 100, e provengono in particolare dal settore dei beni di consumo e dei media, seguiti in terza posizione dal turismo (ma si tratta pur sempre del settore più colpito dalla recente pandemia). Tra i casi di successo emergono Rado, Coop, Migros e Red Bull, brand molto noti ma che hanno deciso di investire in questo nuovo canale per rafforzare ulteriormente il legame con il proprio pubblico. Con queste premesse, TikTok potrebbe presto diventare il nuovo protagonista del digital marketing mix. Un buon motivo per implementarlo
subito nella vostra strategia digitale.


Vi piacerebbe avere maggiori informazioni sulla strategia TikTok? Vi aspettiamo al corso online “Tik Tok, le opportunità per le aziende dall’advertising all’influencer marketing” organizzato dalla Cc-Ti per il 18 novembre 2021. Iscrizioni e maggiori dettagli qui.

Articolo a cura di Manuela Cuadrado, Account Manager Breva Digital Communication Sagl

Energia… tra sapere e conoscere

La trasformazione digitale della nostra società è ormai una realtà consolidata e presenta una quantità di vantaggi innegabile per cittadine, cittadini e per l’economia. È un fenomeno inarrestabile e che va sostenuto perché i vantaggi sono tangibili. Sarebbe però sbagliato sorvolare completamente sugli effetti generali della trasformazione digitale, non per ultimi, quelli ambientali. Non per stigmatizzare tale trasformazione, ma semplicemente per rilevare alcuni lati poco conosciuti, ma che possono e devono essere fondamentali quando la politica è chiamata a prendere talune decisioni, evitando di partire da assunti errati.

Fonte: The Shift 2018, as of Andrae & Edler, 2015

Digitale = neutrale?

La smaterializzazione dei componenti potrebbe indurre a pensare che si possano, in questo modo, contenere le conseguenze ambientali. In sostanza lo streaming dei film e i servizi di consumo di musica online (Spotify, ITunes, Tidal per citarne solo alcuni) che hanno soppiantato DVD e CD potrebbero apparire come meno invasivi, avendo eliminato o ridotto i supporti fisici. Analogamente alle mail che spesso sostituiscono le lettere cartacee, il giornale letto su supporto elettronico o azioni banali come i messaggi su Whatsapp o il prelievo di denaro al bancomat, internet stesso, ecc.

Questa “sostituzione” è, in un certo senso, invisibile ma non innocua.  Intendiamoci. Non si tratta di stigmatizzare questa tendenza, né di giudicarla sulla base di slanci nostalgici, ma per poter affrontare discorsi seri, proprio anche sul tema ambientale, è necessario veicolare la propria consapevolezza sul fatto che non si tratta di attività ecologicamente “neutrali”, contrariamente a quanto taluni posso credere o affermare.

L’impatto ecologico della trasformazione digitale

Taluni forse esagerano sostenendo che la trasformazione digitale, come in atto oggi, non prevenga lo squilibrio climatico, ma anzi concorra in maniera importante a crearlo e che l’intensità energetica dell’industria digitale non è già più sostenibile.

Si tratta probabilmente di un’esasperazione, anche se va detto che il consumo di energia legato al digitale aumenta di circa il 9% all’anno (dato pre-pandemia) e che la quota di emissione di gas a effetto serra proveniente dall’ambito digitale ha conosciuto un aumento dal 2,5% al 4% del totale delle emissioni mondiali.

Dati che si pongono chiaramente sopra al tanto vituperato traffico aereo. Questo dovrebbe far riflettere prima di colpire disordinatamente i settori economici solo perché è sempre “accattivante” e semplicistico farlo.

La quota delle emissioni legata al digitale potrebbe aumentare nei prossimi anni tanto da raggiungere quella dei veicoli.

Se da una parte lo sviluppo tecnologico spesso aiuta anche a migliorare la sostenibilità dei prodotti, non sempre gli effetti sono quelli desiderati. Secondo una ricerca del Think Tank francese “The Shift Project” (il rapporto Lean ICT- Towards Digital Sobriety), ad esempio la produzione dell’IPhone 6 (ormai parliamo di preistoria) portò a generare 4 volte più gas a effetto serra rispetto alla produzione dell’IPhone 3GS, in ragione della capacità superiore di stoccaggio dei dati.

Anche un gesto apparentemente innocuo come l’invio di una mail ha conseguenze ambientali non trascurabili. Uno studio condotto recentemente in Francia dall’Agenzia dell’ambiente e di controllo dell’energia ha calcolato che ogni impiegato francese riceve in media 58 mail professionali al giorno e ne invia 33. Queste 33 mail, accompagnate da un allegato di 1 Megabyte a due destinatari, a esempio, genera emissioni equivalenti a 180 chilogrammi di CO2, quindi l’equivalente di 1’000 chilometri percorsi in auto (non elettrica, of course).

Secondo questo calcolo, le mail di un’impresa di 100 persone porterebbero quindi all’emissione annuale di 18 tonnellate di gas a effetto serra, quindi l’equivalente di 18 voli andata e ritorno Parigi-New York.

Forse qualcuno ricorderà anche che lo scorso anno Netflix abbassò in maniera considerevole la risoluzione del suo streaming in particolare durante il primo lockdown nella primavera del 2020. Perché? Semplicemente perché lo streaming di video già in condizioni “normali” portava alla produzione di 300 milioni di tonnellate di CO2, quanto prodotto da una nazione come la Spagna, cioè l’1% delle emissioni mondiali. In sostanza, 30 minuti di video in streaming “pesano” dai 28 ai 57 grammi di emissioni di CO2 e corrispondono a una percorrenza di un tragitto in automobile fra 1 e 8 chilometri. L’esplosione dello streaming illimitato quando le persone sono state rinchiuse in casa avrebbe portato, da una parte, all’intasamento delle linee, difficoltà di approvvigionamento energetico e ovviamente, last but not least, a una crescita esponenziale delle emissioni.

10 ore di film in alta definizione contengono tanti dati come oltre due milioni di articoli in inglese di Wikipedia. I video pornografici rappresentano circa il 30% del traffico di video mondiale e nel 2018 hanno generato più di 80 milioni di tonnellate di CO2.

Le emissioni di gas a effetto serra dei servizi di streaming video (Netflix, Amazon prime, ecc.) equivalgono alle emissioni di gas effetto serra del Cile. Un’ora di streaming alla settimana, in un anno, consuma circa come due frigoriferi nello stesso arco di tempo.

Va detto che alcuni studi relativizzano questo impatto, riconducendolo non tanto alla produzione e alla diffusione dei video, quanto all’utilizzo di terminali magari non utilizzati nella maniera più performante oppure con una tecnologia inadatta. Detto altrimenti, i dati cambiano se si guardano video su uno schermo a 65 pollici oppure sul telefono cellulare. In effetti, il consumo dei prodotti digitali, come tutte le attività umane, va valutato tenendo conto di tutti gli elementi della “catena”. Resta il fatto che le attività digitali hanno un impatto.

Per una telefonata di un minuto o l’invio di un sms si calcola che vi sia un’emissione di CO2 di 0.014 grammi, mentre un Tweet “pesa” 0,2 grammi. Più pesanti sono gli invii di messaggi via chat, che possono variare da 3 a 50 grammi, così come una mail che, a dipendenza della dimensione degli allegati, può portare a emissioni di CO2 dai 4 ai 50 grammi. Per un utente di Facebook si calcola che in media vi sia un’emissione di 299 grammi sull’arco di un anno. Sembra poco rispetto ai circa 95-120 grammi di CO2 al chilometro prodotti in media da un’automobile, ma sommando tutti i consumi di queste attività digitali, i valori sono rilevanti.

In un contesto del genere, è abbastanza facilmente comprensibile che il telelavoro, ad esempio, toglie molti spostamenti ma al contempo apre nuovi fronti su cui riflettere e non può essere certo considerato come soluzione ideale sotto tutti gli aspetti. Basti pensare che una videoconferenza di un’ora può generare fra i 150 e i 1000 grammi di CO2.

Come si spiega il fenomeno?

Di per sé la spiegazione è abbastanza banale. Per scambiare queste enormi quantità di dati, che siano video, musica, messaggi, ecc., attraverso computer, telefonini e altro, utilizzando il cavo, la fibra ottica, le antenne di telefonia mobile è necessaria una grande quantità di elettricità, che per essere prodotta richiede un forte consumo di risorse che porta a una considerevole emissione di CO2.

Oltre al consumo va tenuto conto che lo stoccaggio dei dati è molto complesso e inevitabilmente energivoro, anche e soprattutto per le necessità di raffreddamento delle strutture. I circa 4’000 centri di appoggio presenti nel mondo necessitano di circa 30 miliardi di Watt per funzionare, ciò che rappresenta circa il 4% del consumo energetico mondiale e relative emissioni di CO2.

In generale, le cifre riguardanti l’impatto ambientale del digitale sono spesso basate su stime ed è abbastanza difficile avere dati molto precisi. Ma tutti gli studi sembrano convergere sostanzialmente nella stessa direzione, grammo di CO2 in più o in meno.

Come rimediare?

Come detto in precedenza, non si tratta di stigmatizzare la trasformazione digitale, anzi. È ormai un elemento essenziale e imprescindibile della nostra vita quotidiana e professionale. È piuttosto importante sviluppare una consapevolezza per prendere le decisioni giuste anche in ambito energetico o ambientale, senza false credenze. Prima di rinunciare a fonti di approvvigionamento apparentemente poco ecologiche è giusto sapere di cosa si parla e quali siano le reali necessità energetiche del sistema odierno. In questo senso, il ricorso a energie rinnovabili sembra insufficiente per coprire un bisogno sempre maggiore di energia in tempi molto brevi. La produzione di energia non è uno scherzo e, purtroppo, difficilmente qualche pala eolica basterà per ricaricare miliardi di telefoni cellulari (a oggi circa 6 miliardi).

L’evoluzione tecnologica in questo senso potrà aiutare, anche se abbiamo visto che talvolta non è priva di altri problemi. Soluzioni innovative come il raffreddamento dei centri di raccolta dei dati con l’acqua di un lago, come già conosciamo in Ticino, aiutano certamente. Ma è ovvio che si tratta di un problema complesso che coinvolge in primis i comportamenti individuali, il sistema economico, quello politico, ecc. e che richiede un sano pragmatismo. Come al solito non si risolve nulla forzando le situazioni con presunte soluzioni facili, divieti o tasse supplementari.

Una certa “dieta digitale” può dare una mano, con piccoli accorgimenti. Ad esempio, la rinuncia alla massima risoluzione dei video guardando una partita di calcio potrebbe portare a non distinguere esattamente tutti i fili dell’erba, ma rimarrebbe sufficiente per godersi lo spettacolo. È solo un piccolo esempio banale di un problema tutt’altro che banale. La consapevolezza di tutti eviterebbe inutili e dannose crociate soprattutto, come sempre, contro i settori dell’economia.

L’associazione-mantello dell’economia ticinese incontra il Consigliere di Stato Christian Vitta

Comunicato stampa Cc-Ti

Negli scorsi giorni l’Ufficio presidenziale della Cc-Ti, che raggruppa le maggiori associazioni di categoria, ha avuto l’onore di ospitare il Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta. L’incontro si è svolto nel quadro di regolari appuntamenti di aggiornamento, essenziali per il monitoraggio coordinato dell’andamento economico e il confronto sulle misure disposte dalle autorità cantonali, in particolare durante il periodo pandemico.

L’Ufficio presidenziale ha preso atto con soddisfazione dei più recenti dati economici del Cantone presentati dal Consigliere di Stato. Il segno positivo di tali dati testimonia dell’efficacia delle misure introdotte dalle autorità federali, cantonali e comunali e della forte capacità di adattamento dell’economia cantonale. Ancora una volta, la diversificazione del tessuto economico ticinese si è rivelata un elemento decisivo per garantire la solidità del sistema.

L’associazione-mantello dell’economia ticinese ha ribadito al Consigliere di Stato la volontà di continuare sulla via di una collaborazione costruttiva, come dimostrato anche nei momenti più difficili della pandemia. È stata ribadita la necessità di mettere in atto in maniera completa la riforma fiscale delle imprese già approvata dal Parlamento e dal popolo e di continuare a puntare sul sostegno all’innovazione in tutti i settori dell’economia cantonale, utilizzando al meglio gli strumenti già a disposizione. L’innovazione, immanente all’attività degli imprenditori, rappresenta un elemento centrale per mantenere la competitività delle aziende e quindi garantire i posti di lavoro, per cui la collaborazione fra Stato ed economia, ognuno nel suo ruolo, è di importanza fondamentale.

Introduzione d’IA nel quotidiano delle aziende

L’intelligenza artificiale (IA) è ormai un tema attuale che viene promosso a più riprese da molte parti. Questo perché il potenziale di questa tecnologia è molto alto e sta trasformando il modo di vivere e lavorare di tutti al pari di altre tecnologie (chi riuscirebbe a immaginare il proprio lavoro oggi senza Internet?). I progressi più importanti per le aziende nel campo dell’IA sono stati realizzati negli ultimi anni e stanno ancora accadendo. In mezzo a questo turbine di informazioni, è di aiuto conoscere esempi concreti di cosa è attualmente implementato per identificare eventuali opportunità per la propria azienda.

Come ogni potenziale innovazione, questa ha senso essere implementata solo se il vantaggio che ne deriva è maggiore dello sforzo necessario per implementarla. È quindi utile tracciare a grandi linee la propria strategia aziendale così da confrontarla con le possibilità esistenti e riconoscere in quale area esplorare l’introduzione di questa tecnologia e dove questa porta maggiori vantaggi: se si è una ditta che lavora su grandi volumi con una forte pressione sui margini, l’IA può aiutare ad automatizzare processi già altamente standardizzati o identificare opportunità nascoste di ottimizzazione. Per altre, l’IA aiuta a posizionarsi in maniera più competitiva sul mercato, a mantenere una posizione di leadership o a espandere il proprio mercato.

Un’opportunità è l’IA impiegata per consentire ai robot di percepire e rispondere al loro ambiente: questo aumenta notevolmente la gamma di funzioni che i robot possono svolgere.

Oggi vediamo per esempio l’utilizzo di robot in aree usate da persone per automatizzare il trasporto di materiale all’interno di un edificio. Questo è un grande progresso che permette di introdurre robot laddove questi erano prima esclusi per questioni di sicurezza. Su un piano più strategico, l’IA può aiutare un’azienda a definire i prezzi per i propri prodotti e servizi con una maggiore precisione, basandosi sui dati passati, così come l’andamento dei mercati e le caratteristiche individuali dei propri clienti. Basandosi sull’analisi dell’esperienza passata, l’IA suggerisce o fissa i prezzi più adatti così da poter ottimizzare il volume di vendita o i margini senza compromettere la propria concorrenzialità, come è stato provato dall’industria del turismo e delle vendite al dettaglio che ne fanno un uso costante.

L’introduzione di IA presuppone la volontà di un’azienda di iniziare una trasformazione che permetterà di valorizzare al massimo le qualità del proprio personale. L’IA può servire da supporto nell’esecuzione di compiti complessi che richiedono rapidità e precisione. Coinvolgere nel modo corretto fin dal principio le persone toccate permette di evitare resistenze e di ottenere risultati che possono superare le aspettative iniziali.

È il caso di una clinica romanda che ha introdotto l’IA per migliorare la gestione del proprio servizio di pronto soccorso. Ogni emergenza è un fatto unico e spesso inaspettato. Quando però si è deciso di esplorare l’opportunità di introdurre l’IA, un’analisi dei dati delle urgenze, combinato con altri dati disponibili sul mercato, ha permesso di notare correlazioni interessanti. Sulla base di ciò si è allenata un’IA capace di predire in tempo reale e con un’accuratezza che supera il 90% il numero di visite al servizio di pronto soccorso della giornata, così come il tipo di emergenza di ogni visita. Questo ha permesso di allocare le risorse in maniera più efficiente in quanto la clinica non è più vittima dell’inaspettato, ma può prepararsi e programmare la giornata in funzione di quanto già previsto. La partecipazione del personale coinvolto ha permesso di tradurre questo vantaggio in un miglioramento di tutte le attività che erano prima impattate dall’incertezza delle urgenze, nonché di far leva su questo successo ed espandere l’uso dell’IA per gestire e prevedere l’andamento in maniera minuziosa della degenza dei propri pazienti. L’attività si è trasformata dal dover principalmente reagire ad avvenimenti inaspettati all’ottimizzare la cura di ogni paziente sulla base di previsioni attendibili.

L’IA inizia ad essere quasi d’obbligo laddove la sua introduzione è iniziata prima di altri settori. È importante scegliere per l’implementazione di queste soluzioni dei fornitori specializzati nel settore specifico. I migliori offrono infatti l’esperienza necessaria per elaborare una soluzione che permetta di portarsi al passo con la concorrenza più avanzata e far emergere il vantaggio che un’azienda offre.

Un altro esempio è l’utilizzo dell’IA per migliorare il controllo qualità di produzioni industriali di componenti meccaniche. Si è in grado di identificare una serie di sensori che analizzano ad una velocità altissima (così da non rallentare le macchine) ogni pezzo prodotto, così da assicurare l’identificazione di eventuali difetti che avrebbero richiesto altrimenti un’analisi più lenta con dei metodi magari più dispendiosi. L’IA è stata allenata ad analizzare tutte queste informazioni e a identificare i pezzi che non corrispondono agli standard richiesti. Grazie alla combinazione delle informazioni analizzate, l’IA è in grado di identificare il pezzo difettoso e di creare un modello tridimensionale che mostra il difetto identificato. Questo permette di aumentare drammaticamente la qualità del prodotto offerto, così come l’impiego dell’esperienza degli specialisti, che possono concentrarsi in attività a maggiore valore aggiunto.

L’IA porta con sé il potenziale trasformativo che hanno portato altre rivoluzioni tecnologiche, il che può però creare rischi legali. Se l’IA viene implementata senza considerare quali sono le conseguenze più ampie legate alla regolamentazione in vigore così come alle aspettative delle persone che ne sono toccate, come per esempio i propri clienti, fornitori, dipendenti o le autorità con cui una ditta collabora, le ripercussioni legali e sulla reputazione e possono essere importanti. Questo perché le questioni legali ed etiche da considerare sono molteplici e complesse, e solo una conoscenza approfondita di questi aspetti combinati con una comprensione profonda del funzionamento dell’IA permette di identificare dove risiede il maggiore potenziale, quali sono le best practices da seguire e quali sono i rischi da evitare.

Un tipico esempio di ciò è l’introduzione di strumenti che permettono di monitorare la propria infrastruttura informatica per identificare e segnalare eventuali minacce. La sicurezza informatica è ormai considerata una delle responsabilità inderogabili della direzione, in quanto i dati e sistemi collegati all’infrastruttura digitale sono di vitale importanza per una ditta e richiedono una protezione elevata da attacchi sempre più sofisticati. Sistemi di monitoraggio basati sull’IA, allenati nello spazio di 24 ore sulle caratteristiche specifiche di una ditta, permettono di identificare attività che si discostano dalla normalità nel giro di manciate di minuti, al posto di giorni, così da poter reagire immediatamente non solo ad attacchi informatici, ma anche a minacce che emergono dall’interno, quale l’utilizzo di servizi non sicuri o addirittura il tentativo di danneggiare la ditta. È però fondamentale analizzare quali dati possono essere raccolti e come possono venire analizzati, così da non incorrere nel rischio di ledere i diritti dei dipendenti e dei propri clienti. La scelta del provider è anche influenzata dai requisiti di sicurezza imposti dal particolare campo d’attività del cliente.

Bisogna infine avere sempre un occhio puntato ai costi e le questioni pratiche legate all’implementazione dell’IA. Come menzionato all’inizio, l’effetto dell’adozione di strumenti IA è moltiplicato se inserito all’interno di una strategia digitale che permette di sfruttare al massimo l’effetto trasformativo che la digitalizzazione dei processi porta con sé. Prevedere una rivoluzione interna del modo di lavorare in poco tempo spesso porta a un’esplosione di costi e ritardi continui. È quindi consigliabile iniziare con piccoli passi, adottando piccole soluzioni che permettono una prima esperienza con questa tecnologia senza dover investire troppe risorse. Il successo di queste iniziative serve come trampolino di lancio per una graduale evoluzione della propria attività mantenendone gli elementi più preziosi.

L’IA può essere introdotta ovunque ed offre magnifiche opportunità. Tuttavia, la scelta dell’iniziativa più adatta, del provider giusto, così come il coinvolgimento delle persone toccate e la pianificazione dei vari aspetti specifici a questa tecnologia è fondamentale per garantire un’esperienza positiva e quindi valorizzare appieno il proprio potenziale.


Abbiamo parlato di “Esempi pratici d’Intelligenza Artificiale nel quotidiano delle aziende” nel primo webinar di settembre della Cc-Ti, a cui hanno assistito una cinquantina di partecipanti.
Sono intervenuti Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti – che ha portato il saluto di benvenuto e fatto un’introduzione al tema – e Prisca Quadroni-Renella e Mauro Quadroni, Avvocati, Partner fondatori della AI Legal & Strategy Consulting SA.

L’approfondimento sul tema è a cura dei relatori del webinar.


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L’Iniziativa socialista del “99%” sarà un boomerang per l’economia e il ceto medio

L’opinione del Presidente Cc-Ti Andrea Gehri.

Populisticamente nobile nelle intenzioni: “Sgravare i salari, tassare equamente il capitale”, devastante, però, nei suoi effetti.

L’“Iniziativa 99%” di Gioventù socialista, su cui si voterà il 26 settembre, si configura come un esproprio proletario su scala nazionale. Che non toccherebbe soltanto quell’1% dei cosiddetti “super ricchi” (di cui peraltro il Paese non può fare a meno, poiché pagando da soli quasi un quarto del totale delle imposte sul reddito, assicurano alla Confederazione ingenti entrate fiscale), ripercuotendosi, invece, con gravi danni su tutta l’economia e la società.

Tassare al 150%, anziché al normale 100%, i redditi da capitale al di sopra una certa soglia – genericamente indicata dagli iniziativisti a 100mila franchi – aggiungendo in pratica un reddito fittizio a quello reale, significa sovvertire i principi costituzionali del sistema fiscale.
Con una sovratassazione che colpisce direttamente le piccole e medie imprese, in particolare le aziende familiari, le start-up, i proprietari di case, gli agricoltori e persino i piccoli investitori.

Se per le PMI la sovraimposizione del 150% si tradurrebbe in un indebolimento del loro capitale e, quindi, della loro capacità d’investimento e d’innovazione, per le aziende familiari ci sarebbe un costo aggiuntivo molto oneroso che, oltre a privarle d’importanti risorse, renderebbe ancora più difficile e costosa la successione aziendale. Dovendo pagare le imposte anche su un aumento di valore fittizio, la successione costerà infatti di più e chi vorrà subentrare nella proprietà sarà probabilmente costretto ad indebitarsi.

Nel nostro Paese l’80% delle imprese è a conduzione famigliare e ogni anno si registrano 3’400 successioni aziendali, invece di facilitare questo delicato passaggio, l’iniziativa lo rende più complicato e caro. Analoghe le difficoltà per la successione delle aziende agricole ai giovani contadini. Che si voglia vendere un’impresa o una fattoria, con la nuova tassazione il prezzo aumenterà notevolmente, scoraggiandone così l’acquisto o gravandolo di debiti che potrebbero poi portare al fallimento.

Più problematico anche il futuro della start-up. Generalmente i loro fondatori per mancanza di liquidità si accontentano all’inizio di stipendi modesti e, nella maggior parte dei casi, vedono ricompensato questo sacrificio nel momento in cui vendono le loro azioni o i diritti di partecipazione ad un’impresa più grande. Vendita che però verrebbe pesantemente tassata qualora venisse approvata l’iniziativa socialista. Il che vuol dire disincentivare la creazione di start-up e castrare nuovi impulsi all’innovazione. Anche gli investitori privati, fondamentali per l’avvio di una start-up, sarebbero sottoposti ad un maggiore carico fiscale che potrebbe dissuaderli dall’investimento.

Neppure chi vende una casa sarebbe risparmiato dall’iniziativa “99%” che di fatto introduce una imposta federale sugli utili immobiliari che va ad aggiungersi a quella cantonale.

Stessa sorte per i piccoli risparmiatori, ossia gran parte della popolazione, che investono in Borsa. Qualora ricavassero degli utili sul capitale, oggi esentasse, domani potrebbero essere tassati, mentre se, a causa della riconosciuta volatilità della borsa l’anno successivo dovessero contrarre perdite sul medesimo capitale, si ritroverebbero con una doppia beffa. Tassati e perdenti!

Ci sono, dunque, mille ragioni per bocciare un’iniziativa che penalizza l’economia, i piccoli imprenditori e il ceto medio. Un “unicum svizzero” che terrebbe lontani dal nostro Paese imprese estere e facoltosi contribuenti stranieri. Col rischio di vedere anche andare via molti quelli che avevano già scelto di vivere e lavorare in Svizzera.

Il prezzo da pagare

Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in più occasioni durante questi ultimi mesi, l’aumento dei prezzi e la scarsità di talune materie prime è fonte di preoccupazione importante per l’economia.

In questo contesto l’importante aumento dei costi di trasporto costituisce un ulteriore fattore aggravante che tocca tutti i settori, dall’automobile all’agroalimentare, dall’elettronica al tessile. Basti pensare che i circa 5’000 pezzi che compongono un’automobile arrivano da molti Paesi diversi sparsi in tutto il mondo. Acciaio, plastica, componenti elettronici, elementi meccanici, ecc. devono essere trasportati per via marittima, fino a qualche tempo fa la meno costosa, aerea oppure con la ferrovia e i camion laddove possibile.

Soffermandosi sulla via marittima, essenziale per i trasporti delle merci, si può osservare che, oltre ai tempi di fornitura molto dilatati, i prezzi per i container sono quasi quintuplicati nello spazio di un anno. Ad esempio, un container per la tratta Shanghai – Le Havre può costare anche 17’000 dollari contro i 2’000 dollari necessari prima della crisi pandemica. Inoltre, essendo i porti sovraccarichi, non capita di rado che un trasporto invece di attraccare al porto previsto, come Le Havre nell’esempio appena citato, faccia rotta su un altro porto come può essere Anversa, aumentando evidentemente i costi e allungando i tempi di fornitura.
A Los Angeles i tempi di attesa per scaricare le merci dalle navi vanno dalle due alle tre settimane. Fra le cause principali di questo aumento dei prezzi, a parte la mancanza di alternative di trasporto per talune merci, figurano i consumi durante i periodi di lockdown.

L’aumento esponenziale degli ordini di prodotti online (in larga parte provenienti dall’Asia) ha creato un sovraccarico del trasporto marittimo e una conseguente scarsità di container a disposizione. A fronte del calo massiccio del trasporto di passeggeri, quello delle merci è addirittura aumentato, con incrementi del 27% nel primo semestre 2021, rispetto allo stesso periodo nel 2019 (+37% rispetto al primo semestre del 2020). Nemmeno i 600’000 container supplementari ordinati durante la pandemia e i 180’000 che dovrebbero essere disponibili nei prossimi mesi sono stati sufficienti per arginare la situazione. Con un inevitabile rialzo dei prezzi. Se questo ha ridato il sorriso agli armatori, dapprima paralizzati nella prima fase della pandemia e ora confrontati a un importante aumento degli utili, il resto dell’economia è colpito in maniera pesante in molti settori e in tutti i Paesi. Il problema è che una fine a breve termine non è prevista, dato che si parla di una normalizzazione verso la primavera del 2022, cioè dopo il Capodanno cinese. Si avvicinano momenti di ordinazioni importanti legati ad esempio al Black Friday, al Thanksgiving e a Natale. Il trasporto delle merci via aerea costituisce un’alternativa assai limitata.

Si tratta di elementi spesso ignorati, ma che hanno un ruolo fondamentale per il funzionamento del sistema economico, in una realtà economica interconnessa come quella odierna. Fa capolino evidentemente il discorso della forte dipendenza, non solo della Svizzera, da altri Paesi ma qualche margine di miglioramento può esserci.

Il reshoring di talune attività produttive, cioè il “rimpatrio” di certe aziende per una produzione più “indigena” è senza dubbio un elemento che può essere rafforzato dall’evoluzione tecnologica e alcuni esempi edificanti non mancano. Ma si tratta di un fenomeno ancora abbastanza marginale e comunque la dipendenza dalle materie prime resterà comunque. Ed è normale che talune fasi produttive restino laddove vi sono materie prime per la produzione di molte componenti, altrimenti la sostenibilità economica non sarebbe possibile.

Discorso complesso, che richiede molta attenzione e molto equilibrio di giudizio, perché il sistema non può essere modificato a colpi di decreto e non vi sono soluzioni facili. La pandemia ha portato all’attenzione del grande pubblico l’interdipendenza internazionale, suscitando anche timori, sospetti e risentimenti. Emozioni comprensibili ma anche poco utili nell’insieme. Ma qui il discorso si fa complesso e meriterebbe approfondimenti ben più ampi. L’urgenza è ora quella di cercare alternative, come l’economia svizzera e ticinese hanno sempre dimostrato di saper fare, gestendo questi aumenti di prezzi senza che vi siano conseguenze troppo pesanti sul mercato interno e in termini di competitività internazionale. La “fortuna” è che, per una volta e per restare in ambito navale, quasi tutti i Paesi sono sulla “stessa barca”, per cui almeno su questo fronte, ce la possiamo giocare quasi alla pari con tutti gli altri, visto che le difficoltà elencate toccano tanti se non tutti.