SVIT Sezione Ticino

Svit Ticino – professionalità, informazione e formazione a favore dell’economia immobiliare

La Svit è l’associazione svizzera dei professionisti dell’immobiliare. Fondata nel 1933, è composta ad oggi da una decina di organizzazioni regionali, fra cui Svit Ticino, associazioni indipendenti e federate in Svit Svizzera. Già nel 1941 esisteva una sezione Ticino dell’allora associazione svizzera degli intermediari immobiliari. Costituita come associazione professionale senza scopo di lucro, Svit Ticino agisce attualmente su tre fronti ritenuti strategici per la sua esistenza e per il miglioramento qualitativo del settore immobiliare in Ticino.

L’associazione e il segretariato

Da qualche anno l’associazione si è dotata di un segretariato professionale, situato a Chiasso. Questo servizio ha permesso di accompagnare la forte crescita di interesse e soci (l’associazione conta più di 170 soci). I servizi ai soci sono stati “istituzionalizzati” permettendo così una gestione professionale del sito internet e delle “newsletter” mensili, di curare una migliore promozione dell’associazione tramite eventi, seminari e convegni, spesso in collaborazione con enti e professionisti di settori vicini al nostro, oltre che con diversi interessati sponsor. Evento principale che raduna regolarmente una forte percentuale di soci è l’assemblea annuale, durante la quale vengono accolti i nuovi associati e assegnati i gli attestati federali per il superamento degli esami di esperto in gestione e di esperto in commercializzazione immobiliare.

La scuola e la formazione

Da oltre 20 anni in Ticino Svit assicura lo svolgimento in italiano dei corsi di preparazione all’ottenimento dell’attestato federale di gestore immobiliare. A livello svizzero a questo attestato si sono aggiunti con il tempo altri tre percorsi a livello di attestato (commercializzazione, valutazione e promozione), oltre ad uno a livello di diploma (“diploma federale di fiduciario immobiliare”). Completano l’ambito formativo, diventato nel frattempo quasi una vera e propria scuola, 5 corsi per “assistenti”, che offrono la possibilità a chiunque di confrontarsi con i vari aspetti della professione immobiliare: gestione di immobili locativi, di PPP, contabilità, valutazione e vendita.

La comunicazione e “immobilia”

Nella professione immobiliare, come in molte altre, il bisogno di informazioni e di aggiornamenti è sempre più importante e talvolta decisivo per non perdere il contatto con la mutevole realtà in cui si opera. Svit Ticino pubblica una propria rivista in italiano “immobilia Svit Ticino”, che esce tre volte l’anno. Oltre a contenuti specifici, si pubblicano contributi connessi con l’attività immobiliare in riferimento alla realtà locale. Altri aspetti comunicativi dell’associazione vengono coperti dal segretariato che interagisce con la stampa, con gli enti formativi paralleli e con le associazioni locali di categoria, in modo che l’azione delle componenti produttive sul territorio sia coordinata e maggiormente incisiva.

Un’ultima precisazione

La Legge cantonale sulle professioni di fiduciario (LFid) impone agli operatori del ramo fiduciario (finanziario, commercialista e immobiliare) un’autorizzazione cantonale all’esercizio della professione (v. Autorità di vigilanza sui fiduciari). Quest’ultima permette di avvalersi della qualifica di “fiduciario immobiliare”. Attenzione a non confondere quest’autorizzazione con l’Attestato federale in gestione (o commercializzazione) immobiliare, o con il Diploma federale di fiduciario immobiliare, che sono titoli di studio.

Dati di contatto:
Svit Ticino, via carvina 3, 6807 taverne, svit-ticino@svit.ch, www.svit-ticino.ch

Ticinomoda

L’evoluzione della moda in Ticino

Ticinomoda, nata come AFRA (Associazione Fabbricanti Ramo Abbigliamento) nel 1959, conta 33 soci, rappresentativi di società operanti nel settore della moda in Ticino. Tra gli associati vi sono infatti industrie attive nei settori del tessile, dell’abbigliamento o in rami affini, e aziende che lavorano per conto di terzi. Il Ticino per questo settore è divenuto un’importante piazza economica cha ha saputo attrarre con interessanti vantaggi competitivi grandi aziende, divenendo così in breve tempo un polo di competenze per attività produttive e logistiche di famose case d’abbigliamento. Una vera “Fashion Valley”, che con il tempo si è trasformata divenendo un “meta settore”, comprendente attività molto diversificate quali produttive, commerciali, logistiche. L’associazione, che conta oggi quasi 6’000 posti di lavoro, si profila inglobando differenti attività operative con un unico denominatore: non solo moda, ma anche design, logistica, distribuzione, produzione e gestione dei marchi, ecc..

Tutto ciò è stato possibile grazie al Cantone Ticino, che ha saputo attrarre nel territorio eccellenze internazionali e non, promuovendo condizioni favorevoli allo sviluppo di aziende del settore moda.

Ticinomoda vede tra i propri atout il mantenimento del dialogo istituzionale con le autorità, e con altri numerosi enti, sia sul piano cantonale che federale; come pure il networking e l’informazione ai soci.

La formazione: fondamentale

Uno dei requisiti basilari per un meta settore è sicuramente la formazione. Ticinomoda collabora con scuole e università, al fine di incrementare l’accesso alla formazione di base e continua (STA – Scuola specializzata superiore di Tecnica dell’Abbigliamento e moda, SUPSI, USI e loro istituti). Non solo: anche essa stessa, con il sostegno della Cc-Ti e della SUPSI, si è fatta interprete e diretta promotrice di percorsi di aggiornamento quali il CAS (Certificate of Advanced Studies) in Smart e-Fashion in Ticino e il CAS dedicato alla sostenibilità nell’ambito della moda in collaborazione con Swiss Textiles, Textilverband Schweiz. A ciò si aggiungono altre importanti iniziative quali giornate di informazione e di formazione su richiesta dei soci su temi di interesse comune. Sono anche in fase di strutturazione, con la SUPSI, corsi per ottenimento di CAS, DAS e Master in ambiti legati al settore della moda.

Non uno, bensì 2 CCL

Una realtà importante quella associativa, che mantiene la pace assoluta sul lavoro, grazie a ottimi rapporti tra i partner sociali, e che si è dotata di 2 strumenti atti a garantire condizioni di lavoro ottimali per datori di lavoro e dipendenti: i contratti collettivi di lavoro (CCL). Ticinomoda è dunque firmataria di due CCL: uno specifico per la produzione del settore della moda e dell’abbigliamento e di uno per impiegati di commercio, facendo parte delle due commissioni paritetiche competenti.

La Presidenza è assicurata da Marina Masoni, il Segretario è Alberto Riva. Compongono il Comitato Giorgio Delpiano, VicePresidente e Franco Cavadini, Presidente Onorario. I membri di Comitato sono Luca Albertoni, Fabrizio Borello, Christian Burkhalter, Michele Buttazzoni, Davide Corniolo, Rino Fasol, Marco Ferretti, Peter Kriemler, Andrea Moretta, Fiorenzo Peduzzi, Giulio Salgaro, Marco Tini e Alessandro Vincenzi.

Il Segretariato opera presso la sede della Cc-Ti.

Ticinomoda racchiude in sé da un lato esperienza e solidità, e dall’altro il dinamismo dato da un settore sempre in movimento. La prova è che il Ticino è sede delle più importanti aziende della moda internazionale. Un’associazione forte che rappresenta questo mondo, e che vuole agire con iniziative concrete per farne capire il ruolo e l’importanza per il territorio.

Dati di contatto:
Ticinomoda, c/o Cc-Ti, CP 1269, 6901 Lugano, info@ticinomoda.ch, www.ticinomoda.ch

Servizio Coordinato Soccorso Stradale (SCSS)

Mobilità e sinergie al servizio del territorio

Cosa succede se guidando il proprio veicolo incorriamo in una panne o in un incidente? Un pronto intervento nel giro di 30 minuti garantiti dalla chiamata al soccorso stradale è un’azione risolutiva. Sia che si parli di auto o di veicoli pesanti. La tematica della mobilità è centrale al giorno d’oggi, per questo è di fondamentale importanza garantire la rimozione di ogni ostacolo che potrebbe intralciare il traffico sulla rete stradale.

Quando oltre 10 anni fa il TCS – Touring Club Svizzero, l’UPSA – Unione professionale svizzera dell’automobile Sezione Ticino e l’USIC Sezione Ticino iniziarono a collaborare in ambito di soccorso stradale, si trattò di una grande spinta innovatrice, concretizzatasi in un Servizio Coordinato Soccorso Stradale (SCSS). Collaborazione inizialmente avvenuta nelle forme della società semplice, poi ottimizzata in Sagl, dando vita a un nuovo servizio, il cui modello risultò essere una prima a livello nazionale e, dunque, un esempio da cui prendere spunto. TCS, UPSA Sezione Ticino e l’USIC Sezione Ticino furono i precursori della messa in atto di un unico servizio cantonale integrato di soccorso stradale. L’idea di unirsi in un esclusivo servizio fu (ed è ancor oggi) all’avanguardia poiché portò innumerevoli benefici agli utenti finali, come ad esempio tempi d’attesa ridotti, mezzi d’intervento sempre idonei e personale qualificato sempre di picchetto. Così facendo i costi risultano nettamente più ottimizzati per le prestazioni ricevute, dato che l’organizzazione societaria consente di garantire un picchetto continuo ripartendone l’onere tra i diversi soci, che se agissero invece singolarmente dovrebbero coprire costi fissi molto superiori per garantire questa prontezza di intervento.

SCSS è stato presentato ufficialmente al pubblico, dopo le trattative per la sua creazione, nella primavera del 2007. Nel 2010 invece fu costituita la personalità giuridica, che ha ripreso impegni e mansioni, a conferma della continuità e del successo del progetto.

Insieme per la mobilità

Con 10 carrozzerie socie di USIC, 7 garages affiliati all’UPSA, e oltre 20 pattugliatori del TCS che operano nel Cantone, oggi SCSS può intervenire nel giro di 30 minuti garantiti dalla chiamata di pronto intervento. Ciò è possibile grazie ad una presenza capillare delle ditte sul territorio. Infatti il Cantone è stato “suddiviso” in 8 zone specifiche, ognuna coperta da determinati attori. Ogni mezzo di intervento è stato omologato ed è identificabile dalla scritta SCSS su sfondo giallo, con aggiunta del logo ben visibile. È dunque possibile garantire la prontezza dell’intervento 24 ore/24 durante 365 giorni l’anno, festivi compresi, in tutto il Ticino, perché esiste una centrale d’allarme unica per l’utenza privata che risponde al un numero verde 0800 777 700. Un’altra grande parte del lavoro è costituita dai mandati dello Stato, per tutta quella serie di interventi che vengono richiesti dalla Polizia.

Obiettivi condivisi e formazione professionale

Tutti gli attori così coinvolti puntano ad un miglioramento della mobilità per ristabilire e assicurare la fluidità del traffico. In questo senso sono fondamentali il dialogo e la collaborazione con le autorità a diversi livelli (Consiglio di Stato, Polizia Cantonale, USTRA, Municipi, Polizie comunali, ecc.), mantenendo sempre alta l’asticella della qualità e dell’efficienza sotto l’occhio attento del comitato di gestione di SCSS che non perde di vista questi aspetti ed ha l’obiettivo costante di migliorare ancora. Non dimentichiamo a questo proposito l’importanza della formazione professionale: una delle ultime novità in questo campo è l’Associazione RoadRanger, creata dalla collaborazione interdisciplinare e federale delle organizzazioni responsabili del soccorso in caso di panne e d’incidente, tramite la quale è possibile seguire delle formazioni superiori continue per moduli che portano all’ottenimento di un attestato professionale federale quale Soccorritore stradale. Sono già numerosi i soci SCSS che hanno seguito con profitto i moduli sin qui organizzati e sono iscritti a quelli già programmati.

Il Segretariato della società si trova presso la Cc-Ti a Lugano ed il numero verde della centrale d’allarme – 0800 777 700 – è sempre attivo: SCSS è un servizio che non dorme mai!
Dati di contatto:
SCSS Servizio Coordinato Soccorso Stradale Sagl, Corso Elvezia 16, 6900 Lugano, info@scss-ticino.ch, www.scss-ticino.ch

Associazione Svizzera dei Credit Manager – Sezione Ticino

I Credit Manager approdano in Ticino

Al giorno d’oggi la sicurezza dell’incasso dei crediti verso clienti è, in un ambiente economico instabile, un aspetto fondamentale nella gestione di una società. Inoltre, non solo la sicurezza dell’incasso e la tempestività dei pagamenti sono un aspetto importante ma il mantenimento sotto controllo del D.S.O. (Days of Sales Outstanding) risulta essere una chiave di successo per raggiungere una gestione efficiente ed efficace dei crediti verso le proprie controparti. Già a partire dagli anni Ottanta, negli Stati Uniti si è diffusa ed è diventata strategica la figura del Credit Manager, colui che a parità di altre funzioni aziendali (commerciale, finanza, controllo di gestione, amministrazione) ha l’onere e l’onore di gestire un asset di così rilevante importanza: i crediti aziendali. Il Credit Manager supporta il servizio commerciale, controlla l’esposizione verso i clienti, tenta di “mettere in sicurezza” l’incasso dei crediti attraverso l’utilizzo di vari strumenti finanziari monitorando il buon esito degli incassi. Un ruolo insomma a tutto tondo che richiede competenze commerciali, finanziarie, contabili ed amministrative. Anche i fornitori di servizi si sono evoluti in società internazionali che sono in grado di offrire un’ampia gamma di soluzioni a supporto della gestione del rischio per ogni settore merceologico.

Basti pensare alle commodities (il Ticino vanta una serie di traders di materie prime di rilevanza mondiale) ma anche all’alimentare, alla moda, all’elettronica, ai servizi e alla industria manifatturiera in generale. In un mercato globalizzato come quello di oggi, non si può pensare di accedere al finanziamento senza una protezione contro il rischio di mancato pagamento! Tutto ciò ha reso il ruolo del Credit Manager ancora più complesso facendo sì che la funzione del credito sia parte integrante dei complicati meccanismi di finanza che oggi sono fondamentali per l’ottenimento e la gestione delle linee di finanziamento di un’impresa.

Basandosi su queste premesse e con lo scopo di creare un network professionale che possa favorire lo scambio di idee e soprattutto di esperienze nel ruolo via via sempre più complesso alcuni anni fa è nata l’Associazione Svizzera dei Credit Manager (www.creditmanager.ch) in breve ACMS o VfCMS.

Dal 2016, grazie alla volontà dei membri del consiglio, all’impegno, supporto ed entusiasmo di volontari presenti sul nostro territorio, e nata la sezione per la Svizzera Italiana dell’Associazione Svizzera dei Credit Manager.

La nostra intenzione è di creare un gruppo di lavoro che riunisca Credit Manager locali per favorire lo scambio d’idee, esperienze e professionalità nell’ottica di sviluppare le rispettive competenze. In particolare ci piacerebbe condividere le nostre esperienze lavorative con chi necessita di linee guida per la gestione del credito, del rischio o semplicemente con chi sia interessato a mettere a disposizione il proprio know how con colleghi meno esperti. La poca praticità e la scarsa conoscenza dei principi che regolano una sana gestione del credito possono infatti diventare un fattore di altissimo rischio con conseguenze impattanti sul bilancio di una società.

Dati di contatto:
Associazione Svizzera dei Credit Manager – Sezione Ticino,
Sergio Vignone, Responsabile dell’Ufficio Crediti presso Duferco SA e Presidente Regionale, sergio.vignone@dith.com,
oppure Andrea Carlesso, RAM presso Bisnode D&B Sa, Lugano, andrea.carlesso@bisnode.com, www.creditmanager.ch

Il Progetto RESTART per il ricollocamento dei disoccupati del settore commerciale

La Cc-Ti è impegnata nel sostegno fattivo al collocamento di persone in cerca d’impiego con un profilo professionale quale impiegato di commercio. Questo grazie al progetto RESTART, ed alla collaborazione con l’OCST. Ecco maggiori dettagli su questo specifico progetto.

RESTART è un percorso di sostegno intensivo al collocamento destinato a persone in cerca d’impiego con profili professionali del settore commerciale (impiegati di commercio). Questo progetto è gestito dal Centro di Formazione Professionale OCST (CFP-OCST) su mandato dell’Ufficio misure attive (UMA) della Sezione del Lavoro del Canton Ticino e accoglie annualmente nelle tre sedi di Lugano, Locarno e Porza fino a 450 persone. Ogni assicurato è affiancato a tempo pieno da un team di coach, formatori e consulenti, che lo seguono da vicino per un mese al massimo. Ne valutano il profilo, le competenze e l’atteggiamento, sostenendolo nell’elaborazione di un piano d’azione, nella redazione di un dossier di candidatura, nella preparazione dei colloqui di lavoro, nell’analisi e valorizzazione delle competenze e nelle tecniche di ricerca impiego.

Il 6 ottobre 2016 ha preso avvio una collaborazione tra la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino (Cc-Ti) e il CFP-OCST, al fine di favorire l’integrazione nel mondo del lavoro delle persone iscritte in disoccupazione in Ticino.

Questo servizio rappresenta una soluzione vantaggiosa per tutti gli attori in gioco, creando una situazione win-win. Le aziende possono far capo a personale qualificato residente, di cui sono state verificate competenze e attitudini; le persone in cerca d’impiego possono cogliere maggiori opportunità di rientrare nel mondo del lavoro; lo Stato può mettere a frutto gli investimenti nelle politiche attive del mercato del lavoro grazie alla collaborazione con le organizzazioni del mondo del lavoro.

Principali vantaggi per le aziende

Il servizio offerto dal programma RESTART è gratuito. Il coach RESTART diventa una forma di “garante” nei confronti delle aziende interessate al servizio di selezione offerto dal Centro di Formazione Professionale OCST. In questo senso, l’azienda in cerca di personale non deve fare altro che inviare la propria richiesta al Segretariato centrale RESTART e nel giro di poche ore riceverà un feedback, corredato dal dossier di candidatura dei potenziali candidati, verificato e selezionato dal coach responsabile. All’azienda viene inoltre data facoltà di mettere alla prova il/la candidato/a con la formula dello stage orientativo o della prova di lavoro di 3-5 giorni, con copertura assicurativa completa. Non da ultimo, in alcuni casi, qualora il profilo risultasse essere adeguato, le aziende interessate all’assunzione dei nostri candidati potrebbero beneficiare di incentivi previsti dalla legge, tramite l’Ufficio Regionale di Collocamento. Qualora le aziende associate alla Cc-Ti fossero alla ricerca di personale con un profilo commerciale più o meno qualificato, possono scegliere di rivolgersi al Segretariato RESTART, inviando possibilmente una job description ai contatti: Tel. 091 940 29 06, restart@cfp-ocst.ch

Trasparenza assicurata

Nel caso in cui il CFP-OCST non fosse in grado di segnalare profili in linea con le job description ricevute dalle aziende in cerca di personale, informerà tempestivamente queste ultime, le quali potranno quindi procedere alla selezione del personale attraverso altri canali.

Siamo a vostra disposizione qualora voleste approfondire la tematica e il progetto presentotavi.
Per ulteriori dettagli in merito, è possibile contattare Roberto Klaus, Direttore SSIB, klaus@cc-ti.ch

Un pomeriggio informativo sul valore dell’azienda

Vi proponiamo la testimonianza della Società Mastri Panettieri Pasticcieri Confettieri (SMPPC), attraverso le parole del suo Presidente, Massimo Turuani (già apparsa sul giornale settoriale dell’associazione «panissimo» del 23 giugno 2017), che spiega un nuovo progetto su cui la Cc-Ti si è chinata nel corso del 2017 a favore delle associazioni di categoria ad esse affiliate. Il valore dell’azienda e la sua valutazione è un tema che interessa settorialmente (e non) molti comparti economici, con cui le ditte ticinesi sono confrontate.

 

Da sinistra: Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti; Massimo Turuani, Presidente SMPPC e Claudio Cereghetti,
Direttore AWB AG – Allgemeine Wirtschaftsprüfung und Beratung AG, Lugano

Uno studio sul valore delle aziende

Interessante la partecipazione che ha accompagnato l’incontro tra la Cc-Ti e i soci della Società Mastri Panettieri Pasticcieri Confettieri lo scorso 8 giugno. Da diverso tempo a questa parte la SMPPC voleva organizzare una giornata che potesse fungere da riferimento economico per tutte quelle aziende che hanno nel loro prossimo futuro l’eventualità di una vendita o comunque di un passaggio di consegne. Logico quindi mettere per la prima volta sul tavolo, in maniera chiara e semplice, quelli che sono i parametri di calcolo e di discussione più importanti per far si che questo possa avvenire nel migliore dei modi.

Problemi: i costi

Tanto per cambiare i più pesanti restano sempre quelli del personale. Le materie prime occupano una percentuale di costo che rientra in una logica comune a molte altre professioni. Invece per quanto riguarda la mano d’opera il sentore di maggior preoccupazione resta il fatto che si è abbastanza al di sotto di cifra d’affari che viene sviluppata dalla mano d’opera impiegata.

Possibili misure

L’ottima conduzione del corso da parte di Claudio Cereghetti della AWB AG di Lugano ha permesso di focalizzare alcune contromisure da prendere in questi contesti. Diventa indispensabile riuscire a eliminare alcuni rami secchi che per molto tempo non si è mai avuto il coraggio di affrontare. Al giorno d’oggi non ci si può più permettere di continuare a subire situazioni non vantaggiose unicamente per il fatto di garantire un determinato servizio che, se ben analizzato e calcolato, non porta a quei profitti assolutamente indispensabili per il buon andamento dell’azienda.

Si tratta di una tematica comune a molte aziende di differenti settori economici. La Cc-Ti si conferma sul pezzo.

Partecipazione

Gli intervenuti si sono dimostrati molto attenti e comunicativi. Parecchie sono state le domande formulate man mano che il corso procedeva. Tutti stanno capendo che se non si prende il toro per le corna è molto facile trovarsi spiazzati. Quasi sempre quando questo avviene, ci si rende conto che si è perso troppo tempo e che i buoi rischiano di trovarsi irrimediabilmente fuori dalla stalla.

Un progetto da attivare

È questo il primo pensiero che ha toccato la Cc-Ti, soprattutto verso altre categorie professionali. Il fatto di esserci arrivati per primi a proporre un corso del genere incentrato sul valore d’azienda ha suscitato parecchio entusiasmo per una proficua forma di lungimiranza. È infatti questo un problema molto presente anche in altre professioni. A maggior ragione per il fatto che nei prossimi anni è prevista una massiccia forma di successione in molte aziende. Ci si vuole quindi far trovar pronti al momento che il problema si presenterà. Un ringraziamento particolare alla Cc-Ti che ha collaborato in tutti i sensi per la positiva riuscita.

Per maggiori informazioni in merito è possibile contattare
Roberto Klaus, Direttore SSIB, klaus@cc-ti.ch

“È inevitabile trovare l’equilibrio tra sostenibilità ed economia”

Se una azienda vuole avere successo a lungo termine dovrebbe prendere in considerazione le nuove generazioni, afferma Simone Pedrazzini, Consulente in Sostenibilità dell’azienda Quantis. Per i giovani la  sostenibilità è parte integrante della vita quotidiana. Eccovi un’intervista che affronta la tematica della responsabilità sociale delle imprese, argomento molto caro alla Cc-Ti, di cui continuiamo a parlare con spunti sempre differenti. Ritrovate qui il resoconto dell’evento sulla RSI e la strategia aziendale dello scorso mese di maggio, e la nostra posizione sulla RSI.

Signor Pedrazzini, quali circostanze hanno reso possibile la fondazione della ditta Quantis, la quale si occupa della comunicazione dei contenuti di sostenibilità?

Non siamo nati sotto l’ottica della comunicazione bensì sotto quella della quantificazione di metriche legate alla sostenibilità. Quantis è stata fondata quale start up del politecnico di Losanna, con un background scientifico, che oggi valorizziamo anche con il supporto alle aziende per la comunicazione.

Secondo Lei, quale tipo di sostenibilità è più importante per le aziende, quella ambientale o quella sociale?

In generale dipende dal settore. Noi ci muoviamo piuttosto nella sfera ambientale con lo scopo di calcolare e valutare in maniera oggettiva l’impatto delle attività aziendali. Penso che gli strumenti quantitativi a disposizione del campo della sostenibilità ambientale siano più sviluppati perché il legame con quello che viene svolto nel mondo fisico è più immediato.

Ma verosimilmente questo non è l’unico motivo per dare tanta importanza alla sostenibilità ambientale.

I dirigenti delle ditte concordano sul fatto seguente: se voglio avere una vera strategia aziendale mi conviene avere una fotografia completa della situazione ambientale ed anche sociale al fine di essere a conoscenza in modo completo del ciclo intero.

Da quali settori provengono le imprese che si rivolgono a voi?

Siamo attivi in tutti gli ambiti economici. Tradizionalmente il settore degli alimentari si ritrova più frequentemente degli altri perché il campo agroalimentare richiama molto l’attenzione pubblica. Questo perché ci tocca tutti da vicino ed ha quindi un’alta componente emotiva.

E al di fuori del campo agroalimentare?

Oggigiorno i settori sono molto variegati: la gamma si estende dal tessile alla telecomunicazione e alla logistica. Senza dimenticare l’ambito dei servizi, penso per esempio al settore finanziario o a quello dei grandi eventi sportivi.

 Sembra essere una tendenza molto in voga.

Sicuramente la sensibilità è aumentata, anche perché un possibile incidente in questo campo può avere grandi ripercussioni sulle aziende. Nel passato era prerogativa quasi esclusiva dei grandi gruppi multinazionali anticipare lo sviluppo in questo campo. Mentre oggigiorno anche le PMI si posizionano bene nella tematica della sostenibilità, questo anche perché molto spesso riforniscono le grandi aziende. La sostenibilità inizia ad essere vista come un vantaggio competitivo, se affrontata in maniera proattiva permette di migliorare anche il posizionamento economico.

Se la sostenibilità viene affrontata in maniera proattiva permette di migliorare anche il posizionamento economico.

Perché le aziende fanno fatica a comunicare efficacemente la loro attenzione verso il campo della sostenibilità?

Vedo due aspetti che sono decisivi a questo proposito. Per prima cosa c‘è il rischio del cosiddetto green washing cioè di una sostenibilità ambientale soltanto superficiale che si dimostra molto spesso quale problema fondamentale. In secondo luogo esistono delle realtà con base solida riguardo agli sforzi di sostenibilità e la sensibilizzazione, ma c`è il problema della complessità: come semplificare i messaggi senza snaturare il contenuto che rispecchia complessivamente una situazione di solito non semplice?

Ma da ogni situazione risulta una verità piuttosto semplice.

Se voglio comunicare i miei sforzi di sostenibilità in maniera ampiamente comprensibile debbo fare i tre passi della proposizione tematica, della prova e del posizionamento. Ma a parte queste tre “p” devo raccontare qualcosa alla gente che le dia la voglia di, in un certo modo, sognare. Le nuove generazioni vogliono associarsi ad una vita in cui la sostenibilità viene incentivata, è proprio così. I giovani tendono ad essere coinvolte in belle storie che però sono vere e oggettive.

Trova esista un buon compromesso tra la sostenibilità ambientale e quella economica?

È inevitabile trovare questo equilibrio. Mi capita di poter lavorare con persone che ne sono convinte sin dall’inizio. Ma a quelle che sono molto pragmatiche devo dimostrare le positive conseguenze economiche della sostenibilità.

Quali sarebbero?

Miglior posizionamento del brand, dialogo sincero e trasparente con il cliente finale in modo da fidelizzarlo e conquista di nuovi mercati sensibili alla tematica. E non da ultimo, citerei anche la capacità di attirare nuovi dipendenti, visto che i talenti delle nuove generazioni vogliono mettersi a disposizione di aziende che possano avere un’influenza positiva sulla società.

Lei certamente ha una visione della sostenibilità futura.

Per me la sostenibilità rimane tale qual è: bisogna cambiare il ritmo per evitare il peggio. Dobbiamo affrettarci perché gli obiettivi da raggiungere sono ambiziosi ed il tempo corre. Per ridurre l’aumento della temperatura globale per esempio bisogna reagire adesso.

“Previdenza 2020”: occorrerebbe correggere gli squilibri – dossier tematico

a cura di Alessio Del Grande

Che riforma è una riforma che discrimina tra i pensionati di oggi e quelli di domani, che non distingue tra chi ha veramente bisogno e chi no, che impone anche ai giovani di pagare di più senza la garanzia di benefici futuri? Che senso ha tentare di salvare provvisoriamente le casse dell’AVS, per ritrovarsi tra un decennio con un deficit di sette miliardi di franchi all’anno? Quale logica di risanamento c’è nel risparmiare 1,2 miliardi portando a 65 anni l’età di pensionamento delle donne, ma spendendo 1,4 miliardi in più con l’aumento di 70 franchi dell’AVS?

Ecco perché “Previdenza 2020” non è una vera revisione del sistema previdenziale, ma solo una “riforma farsa”. Approfondiamo dunque il tema in questo testo. Potremo avere un quadro completo sulla tematica trattata, in votazione il prossimo 24 settembre.

Una storia tormentata

Settant’ anni di vita e ben 11 revisioni. L’ultima, nel 2004, è stata bocciata dal popolo. Un altro tentativo si è arenato in Parlamento nel 2010, mentre nell’autunno scorso è stata respinta dal voto popolare l’iniziativa AVSplus. Storia tormentata e irrisolta quella dell’Assicurazione per la vecchiaia e il prossimo 24 settembre si tornerà ancora alle urne per “Previdenza 2020”, la riforma del Consigliere federale socialista Alain Berset. Con un doppio voto: sul previsto aumento dell’IVA (referendum obbligatorio) e sull’insieme della nuova legge contro cui è stato lanciato un altro referendum. Di fatto, si voterà due volte sullo stesso tema. Quando nel 1948 entrò in vigore l’AVS si contavano 6,5 persone attive per ogni pensionato, oggi sono soltanto 3,4. Stando agli attuali trend demografici, tra trent’anni il numero dei pensionati svizzeri passerà da 1,5 milioni a circa 2,6 milioni e ci saranno soltanto due lavoratori attivi per un pensionato. Detto altrimenti, saranno sempre meno le persone attive che dovranno sostenere il finanziamento delle rendite pensionistiche. Secondo un recente studio di UBS, nel 2060 il numero degli over 64 sarà raddoppiato e i costi dell’AVS, assieme a quelli dell’assistenza sanitaria, saranno, al netto dell’inflazione, più che duplicati. Di fronte a queste previsioni e considerando anche altri due preoccupanti fattori, ossia i giovani che arrivano sempre più tardi sul mercato del lavoro, rispetto a quanto avveniva con le precedenti generazioni, e la discontinuità contributiva, si profilano grosse incognite per un sistema previdenziale, che nei tempi d’oro di alta congiuntura e del baby boom aveva spesso registrato buone eccedenze. I primi segnali di allarme per l’AVS ci sono stati con la recessione economica degli anni ‘70, quando cominciò a farsi sentire anche in Svizzera il calo della nascite e l’aumento degli anziani. Da allora la situazione è andata peggiorando e oggi, con la forte crescita degli ultrasessantenni e il pensionamento della generazione dei “babyboomer”, il finanziamento del primo e del secondo pilastro non è più assicurato. Che sia necessaria una revisione radicale è, quindi, fuor di dubbio, ma certamente non secondo il modello messo a punto da Berset.

Cosa prevede “Previdenza 2020”?

In sintesi i punti principali della riforma Berset, che tocca sia il primo pilastro come la previdenza professionale, sono:

  • l’aumento a 65 anni dell’età di pensionamento per le donne;
  • il pensionamento flessibile tra i 62 e i 70 anni;
  • la riduzione dal 6,8 al 6,0% del tasso di conversione con cui si calcolano le rendite del secondo pilastro;
  • l’aumento di 0,3 punti dei prelievi salariali;
  • l’incremento dell’IVA di 0,6 punti per finanziare l’AVS;
  • 70 franchi in più al mese di rendita AVS per compensare la riduzione del tasso di conversione del secondo pilastro;
  • l’aumento del tetto massimo per i coniugi dal 150% al 155%.

Di queste due ultime misure beneficeranno, però, soltanto coloro che andranno in pensione a partire dal prossimo anno.

Ci si dovrebbe confrontare con i problemi strutturali del sistema, non rinviare le soluzioni.

La revisione si propone di garantire l’equilibrio finanziario dell’AVS sino alla fine del prossimo decennio. Ma in buona sostanza si tratta di una “pseudo riforma”, come è stata definita, perché non affronta i veri nodi della previdenza e rappresenta, inoltre, una cambiale in bianco per i lavoratori più giovani, chiamati alla cassa per saldare il conto di un meccanismo di finanziamento che non garantisce né stabilità né sicurezza per il futuro. Una revisione, quindi, che invece di misurarsi con i problemi strutturali del sistema ne rinvia solo la soluzione. Ma, intanto, ne crea di altri.

Perché NO a questa riforma?

Approvata nel marzo scorso dal Parlamento con una maggioranza risicata, grazie ad un’alleanza di centrosinistra, “Previdenza 2020” potrà offrire solo una boccata di ossigeno alle casse dell’AVS, rischiando però di compromettere, col suo meccanismo espansivo e la logica dell’innaffiatoio, tutto il sistema previdenziale. Infatti, nonostante l’apporto di nuova liquidità per miliardi di franchi tramite l’aumento dell’IVA e dei prelievi sui salari, tra dieci anni l’AVS sarà di nuovo in rosso. Si stima che a partire dal 2035 mancheranno ogni anno circa sette miliardi. Per scongiurare questa voragine bisognerà, dunque, intervenire prima. Ma come? Semplice, davanti alla nuova emergenza finanziaria la sola scelta possibile sarà di portare a 67 anni, per tutti, l’età del pensionamento oppure di aumentare di altri due punti percentuali l’IVA. Intanto i cittadini sopporteranno gli effetti di una revisione iniqua che non risolve nulla, ma che penalizza in particolare i giovani che lavorano e gli attuali pensionati. I primi saranno costretti a pagare un prezzo molto alto con maggiori contributi salariali e il rincaro dell’IVA, senza avere la garanzia di poter poi godere a loro volta della previdenza per la vecchiaia. Il che rappresenta una grave lesione di quel patto tra generazioni sui cui si fonda il nostro sistema assicurativo. I secondi si troveranno di fronte ad un’AVS a due velocità. Chi oggi è già è pensionato non riceverà, infatti, i 70 franchi di aumento previsti da “Previdenza 2020” soltanto per coloro che andranno in pensione dal 2018. Una discriminazione bella e buona che viola uno dei principi fondanti dell’Assicurazione vecchiaia e superstiti, secondo cui tutti devono essere trattati allo stesso modo. Gli attuali pensionati saranno di fatto beffati: dovranno pagare un’IVA più cara per finanziare una riforma che a loro non riconosce nessun aumento, subendo, perciò, un’erosione del potere di acquisto. E ci rimetteranno pure i beneficiari delle prestazioni complementari, da cui sarà detratto ogni franco in più che riceveranno dall’AVS. Inoltre, se le prestazioni complementari sono esentasse, su quanto riceveranno in più con la rendita vecchiaia dovranno, invece, pagare le imposte. Per i socialisti e i verdi questa riforma è una rivincita dopo la sonora bocciatura popolare di AVSplus, su cui è stata ricalcata “Previdenza 2020”. Ma è anche un nuovo tentativo di fare dell’AVS una leva di quel sistema redistributivo che da sempre ispira la politica della sinistra. Un’impostazione ideologica di cui faranno le spese i pensionati di oggi e di domani.

Se la “Previdenza 2020” venisse accettata in votazione il prossimo 24 settembre, assisteremmo ad una lesione del patto generazionale su cui si fonda il nostro sistema assicurativo.

Il dossier sulla Riforma 2020 è pubblicato sull’edizione di luglio+agosto di Ticino Business.
Esso si compone di tre articoli:

“Previdenza 2020”: occorrerebbe correggere gli squilibri
Previdenza vecchiaia: non sacrifichiamo la solidarietà tra generazioni
Età di pensionamento flessibile: basta con i tabù

 

Imprese familiari, un patrimonio da valorizzare

testo a cura di Alessio Del Grande

Si è tenuta lo scorso giugno l’assemblea dell’AIF Ticino, l’Associazione che raggruppa le imprese familiari, ossia le aziende il cui capitale appartiene da generazioni ad una famiglia. Un’occasione importante per ricordare il peso e il ruolo di una realtà imprenditoriale che per il Cantone, come del resto per tutta la Svizzera, rappresenta l’ossatura del sistema economico.
Basta pensare che da sole le 67 aziende ticinesi affiliate all’AIF hanno registrato nel 2016 un fatturato di quasi 2 miliardi di franchi, impiegando 3’800 collaboratori. Sebbene il 62% circa delle imprese del nostro Cantone e il 78% su scala nazionale abbiano una struttura familiare, si tratta di una realtà che, purtroppo, è spesso sottovalutata, se non ignorata, dal mondo politico.
Eppure negli anni più duri di questa ultima crisi, quelli che vanno dal 2008 al 2015, con i contraccolpi dell’abbandono del cambio fisso tra franco-euro, sono state soprattutto queste imprese a salvaguardare in Svizzera i livelli occupazionali, fronteggiando problemi e difficoltà non da poco per continuare ad investire nell’innovazione e restare competitive.
Le aziende “family business”, che in Ticino sono il principale contribuente per il fisco, costituiscono un articolato tessuto economico molto diversificato che si estende ad ogni settore produttivo. Si va da esercizi commerciali storici con oltre un secolo di attività, all’industria che dà lavoro a centinaia di persone, dalla piccola azienda artigianale o agricola con pochi dipendenti al gruppo bancario e alla grande multinazionale come la Rochedella famiglia Hoffmann. Per la loro stessa natura, connotata dall’impronta familiare, queste imprese possono vantare un più forte legame con il territorio in cui hanno costruito la loro storia, con le comunità locali, con i propri dipendenti, i fornitori e i clienti. Il nome della famiglia contrassegna, insomma, una cultura imprenditoriale che evidenzia un forte senso di responsabilità sociale. Anche quando hanno una chiara vocazione internazionale, esse non trascurano quelle radici territoriali in cui continuano ad identificarsi. Oltre che un fattore decisivo per la stabilità economica, sono quindi anche un potente motore di crescita e coesione sociale.

Le imprese familiari si distinguono per una cultura imprenditoriale che evidenzia una forte responsabilità sociale.

Per gli investimenti più che all’indebitamento ricorrono all’autofinanziamento, lavorano dunque con i propri soldi, secondo una logica che va ben al di là del “corto terminismo” della redditività immediata, orientandosi invece sul lungo periodo, pensando alla generazione futura per garantire la continuità aziendale. Ma l’enorme potenziale delle imprese familiari è oggi mortificato da una politica federale sempre meno liberale, da una burocrazia ancora più invasiva, da restrizioni e vincoli amministrativi che ne limitano la competitività e le prospettive di crescita. E, come ha ricordato il Professor Marco Bernasconi all’assemblea dell’AIF, sono pesantemente penalizzate da una pressione fiscale che in Ticino colpisce in modo particolare questo modello aziendale, con un’aliquota sulla sostanza del 3,5 per mille, vale a dire la stessa del 1950, mentre quella sul reddito è scesa dal 18% al 17% soltanto per effetto della tassazione annuale. Un quadro sconfortante per un patrimonio economico e sociale che andrebbe invece valorizzato e sostenuto, sia nella successione generazionale, che rappresenta sempre uno dei momenti più delicati e complessi per queste imprese, sia nel salto tecnologico imposto dalla nuova economia digitale che sta trasformando radicalmente la produzione di merci e servizi.

Esportazioni record nel primo semestre del 2017

di Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana e Marco Passalia, vice direttore e responsabile Export Cc-Ti

Il commercio con l’estero continua ad essere il fiore all’occhiello dell’economia elvetica. Ne sono la dimostrazione le statistiche divulgate dall’Amministrazione federale delle dogane relative ai primi sei mesi di quest’anno.

La prima metà del 2017 ha fatto segnare un notevole progresso sia nel campo delle esportazioni (+ 4,4%) sia in quello delle importazioni (+ 4,8%). Mentre le prime toccano un livello record, le importazioni fanno registrare il più alto valore degli ultimi 8 anni. In ambedue le direzioni di traffico i prodotti chimici e farmaceutici hanno contribuito considerevolmente alla crescita globale. La bilancia commerciale chiude con un surplus di 19 miliardi di franchi.

Gli Stati Uniti trascinano i mercati

In esportazione, l’evoluzione positiva è stata segnata nei tre principali mercati. In particolare nell’America del Nord, gli Stati Uniti hanno avuto un balzo del 7% e l’Asia ha progredito del 6%. Le vendite in questo continente hanno registrato 1.3 miliardi di franchi. Con una progressione di un quinto, le cifre d’affari con la Cina hanno raggiunto un nuovo record. Singapore e la Corea del Sud hanno anche marcato una crescita a due cifre mentre il Giappone si è, per così dire, limitato a un +9%. Il Medio Oriente è invece caduto nelle cifre rosse con un -16%. Il continente europeo si è limitato a un +4%, di cui le nazioni più performanti sono state la Germania (+7%), imitata dal Belgio (+9%), seguite da Austria e Italia (+5%).

L’evoluzione positiva è stata segnata nei tre principali mercati. In particolare nell’America del Nord, gli Stati Uniti hanno avuto un balzo del 7% e l’Asia ha progredito del 6%.

Pioggia di primati per le esportazioni

Nel primo semestre del 2017 la crescita delle esportazioni è stata registrata per i due terzi dai prodotti chimico-farmaceutici. Questi ultimi hanno infatti segnato un +7% raggiungendo un livello storico. Gli altri settori trainanti dell’export, ovvero quello delle macchine e dell’elettronica, come anche l’orologeria, hanno avuto una stagnazione. Dopo però tre mesi di cifre negative, gli orologi svizzeri sono riusciti a fermare l’emorragia che li attanagliava da mesi.

L’orologeria sembra uscire dalla spirale negativa

Come indica anche la Federazione dell’industria orologiera svizzera (FH) in un comunicato stampa sui dati del primo semestre dell’anno, dopo mesi difficili, il settore si è progressivamente adattato al nuovo contesto nel quale dovrà evolvere. Le conseguenze negative sui mercati hanno in effetti fatto spazio a un re-indirizzamento, che si è già tramutato in una netta ripresa. Se le esportazioni orologiere svizzere non mostrano dappertutto il medesimo dinamismo, globalmente s’iscrivono in una tendenza stabile che mostra la fine di un periodo negativo. Secondo la FH, tale stabilità non sarà però attesa prima della fine dell’anno.

Durante i primi sei mesi del 2017, le esportazioni di orologi si sono attestate a 9.5 miliardi di franchi. Paragonando i risultati dello stesso periodo con l’anno precedente, vi è stata una leggera variazione del +0.1%. La Cina e il Regno Unito sono i Paesi che hanno trainato in positivo le cifre e che hanno giocato un ruolo fondamentale in questa evoluzione.

Sempre secondo la Federazione svizzera dell’orologeria, con un buon secondo trimestre (+3%), l’obiettivo per l’anno 2017 è così già raggiunto. La situazione resta comunque fragile localmente. Gli Stati Uniti non hanno preso parte alle cifre positive e alcuni mercati europei o asiatici sono ancora sotto stretta osservazione. La previsione per il 2017 resta dunque prudente, ma cela un certo ottimismo.

Pioggia di primati per le esportazioni

Nel primo semestre del 2017 la crescita delle esportazioni è stata registrata per i due terzi dai prodotti chimico-farmaceutici. Questi ultimi hanno infatti segnato un +7% raggiungendo un livello storico. Gli altri settori trainanti dell’export, ovvero quello delle macchine e dell’elettronica, come anche l’orologeria, hanno avuto una stagnazione. Dopo però tre mesi di cifre negative, gli orologi svizzeri sono riusciti a fermare l’emorragia che li attanagliava da mesi.

L’orologeria sembra uscire dalla spirale negativa

Come indica anche la Federazione dell’industria orologiera svizzera (FH) in un comunicato stampa sui dati del primo semestre dell’anno, dopo mesi difficili, il settore si è progressivamente adattato al nuovo contesto nel quale dovrà evolvere. Le conseguenze negative sui mercati hanno in effetti fatto spazio a un re-indirizzamento, che si è già tramutato in una netta ripresa. Se le esportazioni orologiere svizzere non mostrano dappertutto il medesimo dinamismo, globalmente s’iscrivono in una tendenza stabile che mostra la fine di un periodo negativo. Secondo la FH, tale stabilità non sarà però attesa prima della fine dell’anno.

Durante i primi sei mesi del 2017, le esportazioni di orologi si sono attestate a 9.5 miliardi di franchi. Paragonando i risultati dello stesso periodo con l’anno precedente, vi è stata una leggera variazione del +0.1%. La Cina e il Regno Unito sono i Paesi che hanno trainato in positivo le cifre e che hanno giocato un ruolo fondamentale in questa evoluzione.

Sempre secondo la Federazione svizzera dell’orologeria, con un buon secondo trimestre (+3%), l’obiettivo per l’anno 2017 è così già raggiunto. La situazione resta comunque fragile localmente. Gli Stati Uniti non hanno preso parte alle cifre positive e alcuni mercati europei o asiatici sono ancora sotto stretta osservazione. La previsione per il 2017 resta dunque prudente, ma cela un certo ottimismo.