Think outside the box?

Sarà capitato, navigando in rete o scrollando i social media, di vedere immagini quali il giochino del tetris che si faceva su carta, con la ‘X’ vincente posta fuori dalla griglia di gioco, accompagnata da una frase, solitamente in lingua inglese, che dice “think outside the box”, ovvero “pensa fuori dagli schemi”.

Sarebbe possibile riassumere così, graficamente, il concetto di ‘pensiero laterale’. Si tratta di una modalità di risoluzione di problemi, che prevede un approccio differente di pensiero, ovvero l‘osservazione del problema da diverse angolazioni, contrapposta alla tradizionale modalità che prevede concentrazione su una soluzione diretta al problema.

Gli studi sul tema sono stati sviluppati da Edward de Bono, psicologo maltese, negli anni ‘60, e rappresentano un approccio non convenzionale alla risoluzione dei problemi. A differenza del pensiero logico, che segue un percorso lineare e razionale, il pensiero laterale invita a esplorare strade alternative, distaccandosi, appunto, dai classici schemi di pensiero.

Definizione e caratteristiche

Il pensiero laterale è un metodo di pensiero che incoraggia l‘individuo a considerare problemi e soluzioni da angolazioni diverse. Invece di seguire un processo logico e lineare, il pensiero laterale si basa sull‘idea che spesso le soluzioni più efficaci si trovano al di fuori delle convenzioni

e delle norme stabilite. Questo approccio è particolarmente utile in contesti complessi e incerti, dove le soluzioni tradizionali possono risultare inadeguate. Abbracciando di volta in volta differenti modi di pensare si potranno trovare soluzioni creative, inusuali e stimolanti.

Applicandolo a diverse situazioni, anche aziendali, vengono favoriti alcuni aspetti, fra cui:

  • la creatività, stimolando la generazione di idee innovative
  • l’elasticità mentale, permettendo di adattarsi e modificare le traiettorie in corso d’opera
  • la collaborazione, promuovendo il lavoro di squadra ed il brainstorming.

Oltre alle analisi condotte da Edward de Bono, precedentemente citato, altri studiosi si sono chinati sulla tematica, condividendo molti assunti (con declinazioni diverse). Ad esempio, lo psicologo statunitense Joy Paul Guilford – noto per i suoi studi psicometrici sull‘intelligenza umana
– identifica altri quattro elementi per definire il pensiero laterale:

  • la fluidità: elemento quantitativo che si riferisce al numero di idee
  • la flessibilità: l’attitudine all’adozione di diversi approcci di pensiero rispetto un problema da affrontare
  • l’originalità: la capacità di formulare pensieri unici, che non seguano necessariamente quelle della maggioranza
  • l’elaborazione: la modalità in cui queste idee e questi pensieri vengono concretizzati.

Il pensiero laterale può essere esercitato: quando ci si prepara per migliorare le proprie prestazioni sportive, ad esempio, un allenamento assiduo della creatività migliora sicuramente l’immaginazione e stimola le menti, attraverso la risoluzione di enigmi e giochi.

Vantaggi nell’utilizzo

In un contesto aziendale sempre più competitivo e in continua evoluzione, le organizzazioni devono cercare metodi innovativi per risolvere problemi, prendere decisioni e affrontare le sfide quotidiane con cui sono confrontate. Eccone alcune:

  • Promozione dell’innovazione, miglioramento della capacità di problem solving e aumento della collaborazione
    Il pensiero laterale permette di superare le soluzioni tradizionali, favorendo l‘emergere di idee innovative. Invece di seguire schemi logici predefiniti, i collaboratori sono spinti a esplorare opzioni alternative, sviluppando idee che altrimenti potrebbero non essere considerate.
    Questo approccio creativo è essenziale per l‘innovazione continua, che rappresenta uno dei principali fattori di successo per le aziende. Inoltre, si affrontano le tematiche da prospettive nuove, atto che consente di promuovere – all’interno di un team o un gruppo di lavoro, una maggiore
    sensibilità verso la collaborazione. Ogni individuo è incoraggiato a contribuire con le proprie idee, arricchendo le proposte tematiche.
  • Adattabilità al cambiamento, nuova cultura aziendale
    L‘ambiente aziendale è in continua evoluzione, e le aziende devono essere in grado di adattarsi velocemente ai cambiamenti. Il pensiero laterale favorisce la flessibilità mentale, consentendo ai dirigenti e ai dipendenti di adattarsi rapidamente a nuove circostanze, affrontare situazioni
    inaspettate e trovare soluzioni adeguate anche in contesti in continuo mutamento. L’utilizzo di nuove tecniche per affrontare sfide ed ostacoli crea anche una cultura aziendale che valorizza l’innovazione, promuovendo una mentalità orientata alla crescita, rendendo l’organizzazione, nel suo insieme, agile. In un precedente articolo (link: www.cc-ti.ch/abracadabra) abbiamo parlato delle organizzazioni adattive, quali entità composte da persone che, attivando meccanismi di adattamento finalizzati a mantenere lo stato ottimale dell’entità stessa, quale cambiamento evolutivo costante, si distinguono per la loro capacità di rispondere prontamente e in modo efficace ai cambiamenti nell’ambiente esterno, evidenziandone i benefici in termini di identificazione delle nuove tendenze e delle opportunità emergenti, adattando rapidamente le proprie strategie e operazioni per capitalizzare su tali cambiamenti. Agilità e flessibilità sono caratteristiche fondamentali, che spesso si traducono in una maggiore capacità di innovazione e di adattamento alle mutevoli condizioni congiunturali.

Conclusioni

Think outside the box? Sì, il pensiero laterale non è solo una tecnica per risolvere problemi complessi, ma un approccio che può trasformare la cultura aziendale e contribuire in modo decisivo alla crescita e al successo dell‘azienda nel lungo periodo. Con originalità, quale base dell’impulso creativo, la ricerca di nuove possibili combinazioni può essere una fonte di ispirazione per soluzioni, anche, inaspettate.

Imballaggi: pubblicato il nuovo regolamento UE

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 22 gennaio 2025, il Regolamento (UE) 2025/40 sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio sostituirà la Direttiva 94/62/CE introducendo significative innovazioni per la gestione degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio. Entrato in vigore il 12 febbraio 2025, sarà pienamente applicabile dal 12 agosto 2026.

Il regolamento (UE) 2025/40 mira a ridurre l’impatto ambientale e a incentivare il riuso e il riciclo, segnando così un passo significativo verso la riduzione dei rifiuti e il rilancio dell’economia circolare.

Le principali disposizioni includono:

  • adozione di imballaggi più leggeri e eliminazione di materiali superflui
  • aumento della percentuale di imballaggi riutilizzabili
  • fissazione di obiettivi minimi di utilizzo di materiali riciclati entro il 2030, percentuale che aumenterà progressivamente fino al 2040
  • divieto di sostanze chimiche (tra cui PFAS) al di sopra di determinate soglie negli imballaggi alimentari
  • standardizzazione nella progettazione degli imballaggi e un’etichettatura più chiara a livello europeo, così da semplificare il corretto smaltimento
  • divieto di imballaggi di plastica monouso, ad esempio quelli per frutta e verdura fresche, per alimenti e bevande in bar e ristorante

Il fabbricante ha l’obbligo di redazione della dichiarazione di conformità UE. Per gli imballaggi provenienti da Paesi terzi, l’importatore dovrà assicurarsi la loro conformità alle prescrizioni del Regolamento e mettere a disposizione dell’autorità nazionale la relativa documentazione.

Viene altresì rafforzato il principio della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR): il produttore (o, nel caso di imballaggi provenienti da Paesi terzi, l’importatore) sarà responsabile anche della fase di fine vita degli imballaggi immessi sul mercato.

Gennaio 2025: Le novità

Vi segnaliamo cosa cambia nel nuovo anno


Il panorama degli investimenti diretti esteri in Vietnam 2024

Nel 2024, l’economia del Vietnam ha dato prova di una notevole resilienza in un contesto globale dinamico caratterizzato da conflitti militari, competizione strategica tra grandi potenze, crescente protezionismo commerciale, interruzioni delle catene di approvvigionamento ed eventi climatici estremi. Nonostante queste sfide, l’economia ha mostrato segni di stabilizzazione, con miglioramenti nelle prestazioni commerciali, una riduzione delle pressioni inflazionistiche e un panorama finanziario e del mercato del lavoro più solido. Questi risultati, sostenuti da proiezioni ottimistiche di esperti e istituzioni globali, pongono le basi per un promettente 2025 per il Paese.

In questo articolo, esaminiamo i principali aspetti che hanno caratterizzato l’economia del Vietnam nel 2024 e le implicazioni per gli anni a venire.

Performance del PIL

Innanzitutto, è importante soffermarsi sul PIL del Paese: il Vietnam ha raggiunto un impressionante tasso di crescita del PIL del 7,09% nel 2024, a dimostrazione della sua robusta ripresa e adattabilità nonostante le sfide esterne. Sebbene leggermente al di sotto dei picchi del 2018, 2019 e 2022, questa crescita sottolinea la resilienza del Vietnam, posizionandolo come un mercato di spicco nella regione ASEAN.

Il settore dei servizi si è rivelato il principale motore di crescita durante l’anno, contribuendo al 49,46% dell’aumento totale del PIL. I settori “industria e costruzioni” e “agricoltura, silvicoltura e pesca” hanno contribuito rispettivamente al 45,17% e al 5,37%. Il PIL del Vietnam ha raggiunto 11,51 quadrilioni di VND (476,3 miliardi di USD), con un aumento del PIL pro capite a 4’700 USD, pari a un incremento di 377 USD rispetto al 2023.

Inflazione

L’inflazione è un indicatore cruciale della stabilità economica, poiché influisce direttamente sul potere d’acquisto, sui costi aziendali e sulla fiducia economica complessiva. Nel 2024, il Vietnam ha dimostrato una gestione economica efficace mantenendo l’inflazione sotto controllo. L’indice dei prezzi al consumo (CPI) è aumentato del 3,63%, allineandosi all’obiettivo dell’Assemblea Nazionale. L’inflazione core, che esclude elementi volatili, è aumentata di un moderato 2,71%, garantendo stabilità economica e sostenendo la fiducia dei consumatori.

Panorama del commercio

Quando si analizzano i risultati economici di un paese, è importante considerare il panorama commerciale, poiché riflette l’interazione tra la domanda globale, la capacità produttiva domestica e le politiche commerciali. È evidente che, per il Vietnam, il commercio rimane un fattore trainante di crescita economica e integrazione globale. Il Paese ha registrato un totale di 786,29 miliardi di USD di flussi commerciali complessivi nel 2024, con un incremento del 15,4% rispetto all’anno precedente e un surplus commerciale di 24,77 miliardi di USD. Le esportazioni sono cresciute del 14,3% raggiungendo i 405,53 miliardi di USD, mentre le importazioni sono aumentate del 16,7% arrivando a 380,76 miliardi di USD.

Inoltre, vale la pena notare che, per stimolare la crescita delle esportazioni nel 2025, il governo sta migliorando i quadri normativi, promuovendo la competitività industriale e ottimizzando gli accordi di libero scambio (FTA).

Panoramica sugli Investimenti Diretti Esteri (IDE) 

Anche gli investimenti diretti esteri (IDE) sono un indicatore chiave dell’attrattività economica di un paese e della sua integrazione nelle catene del valore globali. Per il Vietnam, nel 2024, il panorama degli IDE riflette una fiducia costante degli investitori e un interesse internazionale duraturo. Infatti, fino a novembre 2024, il Vietnam ha attratto 31,4 miliardi di USD (tenendo in considerazione nuovi investimenti, conferimenti di capitale e acquisizioni di azioni da parte di investitori stranieri), segnando un incremento dell’1% rispetto all’anno precedente. Al 30 novembre 2024 si contavano 41’720 progetti attivi in tutto il Paese, con un capitale totale registrato di 496,7 miliardi di USD. Il capitale realizzato accumulato dei progetti di investimento estero ha raggiunto circa 318,9 miliardi di USD, pari al 64,2% del totale del capitale di investimento registrato.

Nel 2024 gli investitori stranieri hanno investito principalmente nei settori della produzione e della lavorazione, che hanno rappresentato il 64,4% del totale. Fanno seguito il settore immobiliare, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, nonché la generazione e distribuzione di energia elettrica. Vale anche la pena rilevare che il commercio all’ingrosso e al dettaglio è stato il settore con il maggior numero di nuovi progetti registrati, contributi di capitale e acquisizioni di azioni, mentre la produzione è stata il settore leader in termini di capitale aggiuntivo (64,4%).

Nei primi undici mesi del 2024, il Vietnam ha attratto investimenti diretti esteri (IDE) da 110 paesi, evidenziando l’attrattività crescente del Paese come destinazione di investimento globale. Singapore è stata la principale fonte di investimento estero per il Vietnam, rappresentando il 29,1% del totale degli investimenti; la Corea del Sud è arrivata seconda con il 12,4%, seguita da Cina, Hong Kong (Cina) e Giappone.

Confronto con l’ASEAN

Infine, vale la pena menzionare che il Vietnam si distingue come protagonista della trasformazione economica nel Sud-est asiatico, pronto a diventare l’economia a più rapida crescita della regione nel prossimo decennio, con una crescita media annua del PIL del 6,6%, superando le Filippine e l’Indonesia. Il Vietnam ha un’economia orientata alle esportazioni ben posizionata, fonti di IDE altamente diversificate, una competizione inter-provinciale produttiva e livelli elevati di istruzione e forza lavoro qualificata. Notoriamente, il Vietnam sta riscontrando una robusta crescita del capitale, supportata anche dall’aumento degli IDE in semiconduttori e batterie per veicoli elettrici. In questo contesto, si ritiene che il Paese abbia un’importante finestra di opportunità nel prossimo decennio per sfruttare al meglio le opportunità di cui sopra e i vantaggi demografici.

Conclusione

Nonostante le sfide globali e locali, il panorama degli IDE in Vietnam nel 2024 è stato caratterizzato da una crescita costante, fonti di investimento diversificate e un focus sui settori della produzione e della lavorazione. Gli sforzi del governo per migliorare il clima degli investimenti e fornire incentivi competitivi hanno posto solide basi per un successo economico continuativo.

Guardando al 2025, le prospettive economiche del Vietnam rimangono positive, con opportunità sia per gli attori domestici che internazionali.

Excursus: Il tifone Yagi a settembre 2024 ha sconvolto in modo significativo le attività socio-economiche nel Vietnam settentrionale, influenzando la produzione e le catene di approvvigionamento a livello nazionale. Uno studio del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) ha evidenziato l’impatto economico del tifone, illustrando però anche come il processo di ripresa abbia generato opportunità di crescita in settori come costruzioni, commercio al dettaglio e logistica. Gli sforzi di ricostruzione hanno creato un’impennata della domanda, sottolineando la capacità del Vietnam di adattarsi e prosperare di fronte alle avversità.

Fonti:

https://www.undp.org/vietnam/blog/vietnam-makes-great-contributions-human-development-sustainable-growth-undp-administrator

https://e.vnexpress.net/news/business/economy/gdp-expands-by-7-09-in-2024-4836083.html

https://vietnamnet.vn/en/vietnam-s-2024-gdp-and-inflation-key-metrics-and-achievements-2360544.html

https://en.vietnamplus.vn/vietnam-posts-trade-surplus-of-2477-billion-usd-in-2024-post307851.vnp

https://www.mpi.gov.vn/en/Pages/2024-12-13/FDI-attraction-situation-in-Vietnam-and-Vietnam-s-t5iwhr.aspx?utm

https://en.vneconomy.vn/dbs-vietnam-amongst-southeast-asia-fastest-growing-economies-in-the-next-10-years.htm?utm

Autore e contatto:
Francesca Severoni
Fidinam (Vietnam) Company Limited

francesca.severoni@fidinam.ch
www.fidinam.com

L’economia per la società

Un impegno costante

Già più volte ci siamo soffermati sul ruolo delle aziende nella società, spesso sottovalutato perché magari un po’ “oscuro” e poco pubblicizzato, ma fondamentale nel contesto della sostenibilità non solo economica ma anche sociale e ambientale, temi sempre più ricorrenti nella discussione pubblica.
È fuori di dubbio che la centralità della funzione di base delle impresa, cioè produrre ricchezza e creare posti di lavoro non è in discussione. Ma le aziende fanno anche molto altro nel contesto di quella che viene definita “Responsabilità sociale delle aziende” o anche CSR secondo la denominazione inglese).

Da tempo i dati certificano inequivocabilmente che nel contesto della CSR gli imprenditori svolgono un ruolo essenziale con comportamenti che favoriscono ad esempio la conciliabilità fra lavoro e famiglia. Senza dimenticare che dal 2019 al 2023 il mondo economico, proprio per questa tema, ha versato nelle casse cantonali 91 (novantuno) milioni di franchi prelevati sulle masse salariali, come previsto dalla cosiddetta riforma fisco-sociale del 2018. Mezzi destinati all’assegno parentale e alle misure sulla conciliabilità lavoro-famiglia e più particolarmente al sostegno alla spesa di collocamento dei figli, ai servizi e alle strutture di accoglienza e la sensibilizzazione delle aziende. Oltre alle misure di sostegno ai familiari curanti.

La concreta responsabilità sociale delle imprese

I dati raccolti in questi anni sul tema sono molto chiari, nel senso che le aziende ticinesi sono, a livello nazionale, posizionate nella media superiore delle misure prese a favore di collaboratrici e collaboratori, dell’ambiente e dell’efficienza economica (quindi a beneficio della società in generale). Le buone pratiche sono correnti e di varia natura, da misure apparentemente “banali” come l’informazione regolare di collaboratrici e collaboratori in merito all’andamento dell’azienda, passando per la priorità data ai fornitori locali e la promozione della formazione per il personale. Indicazioni più dettagliate si trovano nel documento CSRfocus “Responsabilità sociale delle aziende in Ticino”, che abbiamo pubblicato nel 2022. File disponibile sul nostro sito web www.cc-ti.ch.

A volte si tratta di comportamenti considerati assolutamente normali e usuali, magari immediatamente visibili, ma che hanno un risvolto rilevante sul benessere di chi lavora nell’azienda.
Per far emergere questa importante realtà, lo strumento del report online (www.ti-csrreport.ch) che abbiamo sviluppato con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) ha lo scopo di facilitare il lavoro delle aziende nell’evidenziare i vari ambiti nei quali il loro impegno va ben oltre quanto gli scettici considerano, a torto, “greenwashing”.

Lavoro e famiglia, come conciliarli?

Anche le aziende ticinesi sono, nel limite delle loro possibilità, molto sensibili al tema. Purtroppo, un tessuto economico caratterizzato da piccole realtà ha dei limiti fisiologici su questo tema, nel senso che organizzare assenze, congedi, ecc. è tutt’altro che un esercizio semplice. Di questo occorre tenere conto ed è precisamente il motivo per il quale soluzioni forfettarie non esistono e occorre togliersi dalla testa la tentazione di imposizioni generalizzate, perché queste non sono gestibili, pena la paralisi del sistema economico. Sono invece possibili ed auspicate vie concordate fra aziende e dipendenti, all’insegna della collaborazione. Una collaborazione che deve esistere anche con il settore pubblico, al fine di disporre anche misure che non richiedono sforzi finanziari imponenti ma che possono rendere più facile la vota di tutti applicando il buon senso. Pensiamo non a caso a talune regole troppo penalizzanti per la gestione degli asili-nido, agli orari scolastici, ecc..

Reintegrazione professionale di persone in difficoltà

Notoriamente da oltre dieci anni collaboriamo con l’Ufficio dell’Assicurazione Invalidità dell’Istituto delle assicurazioni sociali per sostenere il reintegro nel mondo del lavoro di persone che, per vari motivi, hanno avuto problemi di salute che ne hanno interrotto il percorso professionale. Nel quadro di una manifestazione annuale chiamata “Agiamo Insieme” (il sunto dell’ultima edizione è consultabile all’indirizzo www.cc-ti.ch/agiamo-insieme-2024), vengono celebrate persone e aziende che si sono particolarmente impegnate in questa delicata operazione. Un’occasione di aggregazione importante che deve servire da sprone per molte altre persone in difficoltà e mira a sensibilizzare le aziende sulle varie possibilità che sono messe a disposizione per facilitare il reintegro di lavoratrici e lavoratori che devono riattivare la propria autostima e vita. In questo senso la collaborazione fra pubblico e privato è decisiva. Una collaborazione fra pubblico e privato che dimostra come vi sia una volontà comune di andare ben oltre il solo interesse economico. Una vera sensibilità per le persone e il territorio, che vede aziende di ogni settore, dall’industria ai servizi, determinate a predisporre importanti misure per agevolare collaboratrici e collaboratori con difficoltà. Chi parla di disimpegno dell’economia dalla realtà sociale evidentemente si sbaglia di grosso.
I fatti dimostrano che le aziende, oltre a svolgere i loro compito primario essenziale di creare ricchezza, contribuiscono in maniera sostanziale allo sviluppo sostenibile. Ovviamente vi sono anche motivazioni legate alle esigenze di mercato, perché il posizionamento come entità moderne, innovative e responsabili ha certamente sempre maggiore rilevanza. Me se fosse solo un interesse “mercantile” a muoverle, la cosa emergerebbe molto in fretta e sarebbe addirittura controproducente. Il contributo dell’economia alla società è fattuale e reale, frutto di una convinzione ben radicata.
Le aziende sono fatte di persone e prendersi cura di loro è una relazione win-win.
Sono solo alcuni esempi di una lista non esaustiva del contributo delle aziende alla collettività. Sarebbe bene tenerne conto anche nei dibattiti pubblici.

Un danNO alle libertà di tutti

Ci risiamo. Il prossimo 9 febbraio saremo chiamati alle urne per esprimerci sull’ennesima iniziativa moralizzatrice e liberticida.

La cosiddetta iniziativa sulla responsabilità ambientale su cui gli svizzeri è semplicemente assurda e irrealistica. Chiede in sostanza che la Svizzera riduca l’impatto ambientale del 67% nei prossimi dieci anni, operando entro i limiti naturali della terra entro dieci anni. Nessuno mette in dubbio che la protezione della natura e dell’ambiente sia un obiettivo da perseguire e del resto la Svizzera non è per nulla inattiva sul tema. Da anni si stanno predisponendo misure, anche molto incisive, basti pensare alla legge sul CO2 e alla legge sull’elettricità. Del resto, non è un caso che dal 2000 la Svizzera è riuscita a mantenere la sua crescita e la sua prosperità riducendo l’impatto ambientale di oltre un quarto, il che dimostra che il buon funzionamento dell’economia e la protezione della natura non sono incompatibili. Anzi. Seguendo l’iniziativa si giungerebbe paradossalmente all’assurdità della riduzione dell’attività economica, riducendo anche le fonti di finanziamento delle politiche pubbliche. Un’autorete clamorosa di cui i vati dei divieti e della moralizzazione sembrano non rendersi conto, illudendosi probabilmente che i mezzi finanziari crescano sulle piante.

Con le misure draconiane che verrebbero introdotte per limitare in pochi anni le attività economiche vi sarebbe un’insostenibile rivoluzione del sistema economico con penalizzazioni per molti settori (agricoltura, energia, abitazione, abbigliamento, mobilità, ecc.), aumenti di costi spropositati per beni e servizi e un impatto sociale devastante per la popolazione. In nome della sostenibilità ambientale si omettono completamente gli altri due pilastri della sostenibilità, cioè quello economico e quello sociale, altrettanto fondamentali affinché il sistema funzioni. La transizione verso una società a basse emissioni di carbonio e rispettosa dell’ambiente richiede la considerazione di tutte le variabili.

È davvero una via praticabile quella di tornare agli anni Trenta del secolo scorso? Restrizioni imposte ai consumi, alla mobilità all’interno della Svizzera e ai viaggi all’estero, esplosione dei costi di cibo, riscaldamento, affitto e abbigliamento a causa di una scelta sempre più ristretta di prodotti a prezzi molto più alti significano una drastica riduzione della qualità di vita di tutte le cittadine e di tutti i cittadini.

Chi pretende di dare lezioni agli altri e di punire i comportamenti che, per convinzioni personali, ritiene poco “virtuosi”, non si rende conto che, mettendo in ginocchio il sistema economico senza valide alternative, non si sanzionano solo le aziende presunte cattive ma si massacra la popolazione. Obbligare le aziende questo a modificare alcuni fattori produttivi, in particolare i macchinari, prima della fine del loro normale ciclo di vita, comporterebbe oneri insostenibili, con costi spropositati per consumatrici e consumatori. Dati i costi di produzione già estremamente elevati in Svizzera – in particolare salari, affitti e prezzi dell’energia – e la forza del franco svizzero, i margini non sono abbastanza elevati per assorbire tali investimenti in un decennio. Conseguenza: impoverimento del tessuto economico e di tutta la popolazione. Non vi sono alternative a un chiaro NO a questa iniziativa che, se venisse accettata, paradossalmente saboterebbe anche la realizzazione degli scopi che si prefigge perché prosciugherebbe le risorse necessarie alla tutela dell’ambiente. Un’assurdità irresponsabile.

https://no-divietiirresponsabili.ch

Rinviata di un anno l’applicazione del Regolamento UE sulla deforestazione

A metà dicembre 2024, il Parlamento e il Consiglio dell’Unione europea hanno approvato formalmente il rinvio al 30 dicembre 2025 dell’applicabilità del Regolamento sulla deforestazione e il degrado ambientale, che vieta l’importazione di determinate materie prime e prodotti lavorati se la loro produzione è legata alla deforestazione.

Il Regolamento (UE) 2024/3234 del 19 dicembre 2024, approvato il 17 e il 18 dicembre 2024 rispettivamente dal Parlamento e dal Consiglio dell’UE, che modifica il Regolamento sulla deforestazione per quanto riguarda le disposizioni relative alla data di applicazione. È  stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’UE il 23 dicembre 2024 ed è entrato in vigore tre giorni più tardi, concedendo alle aziende un anno di tempo per prepararsi al rispetto delle nuove regole. Le nuove tempistiche di applicazione sono le seguenti:

  • 30 dicembre 2025 per le grandi e medie imprese
  • 30 giugno 2026 per le piccole e micro imprese.

Il regolamento 2023/1115 in breve

Come già anticipato su questo canale (cfr. articolo Prodotti a “deforestazione zero” nell’UE – Cc-Ti del 15 febbraio 2024), il regolamento (UE) 2023/115 sulla deforestazione (EU Deforestation Regulation, EUDR) mira a regolamentare l’immissione e la messa a disposizione sul mercato comunitario, nonché l’esportazione dall’UE, di sette materie prime – bovini, cacao, caffè, palma da olio, gomma, soia e legno – e dei prodotti che le contengono o che sono stati fabbricati a partire da esse. L’obiettivo è  evitare il consumo nell’UE di beni che abbiano contribuito alla deforestazione e al degrado forestale.

In sostanza, a partire dal 30 dicembre 2025, l’UE impone alle aziende di documentare in modo completo l’origine delle materie e dei prodotti elencati tramite voce di tariffa doganale nell’allegato I (pagg. 38-42) dell’EUDR. Tali prodotti sono altresì assoggettati ad undivieto  di commercializzazione e di esportazione sul e dal mercato dell’UE a meno che non soddisfino le seguenti tre condizioni:

  • essere a deforestazione zero
  • essere stati prodotti conformemente alla legislazione applicabile nel Paese di produzione, e
  • essere accompagnati da una dichiarazione di dovuta diligenza (Due Diligence Statement, DDS) supportata da informazioni verificabili, come tracciabilità, monitoraggio continuo, ecc. che dimostrino che i prodotti non hanno causato né deforestazione né degrado forestale dopo il 31 dicembre 2020.

Contrariamene ad altre regolamentazioni, il regolamento 2023/115 non si applica direttamente agli operatori extra-UE: sarà infatti il primo operatore stabilito nell’UE a dover farsi carico del rispetto degli obblighi stabiliti dalla norma. Gli operatori extra-UE dovranno tuttavia essere pronti a fornire le informazioni e i documenti necessari al proprio partner europeo (per importazioni nell’UE) o assicurarsi di ottenerli da quest’ultimo (per esportazioni dall’UE). Essi dovranno anche verificare che sia stata eseguita la dovuta diligenza a monte della catena di fornitura (tramite dichiarazione di dovuta diligenza o Due Diligence Statement, DDS).

Le informazioni da fornire riguardano i prodotti, i produttori e le zone di produzione (attraverso dati di geolocalizzazione degli appezzamenti), nonché la catena di fornitura (mostrando di tutti i passaggi dei prodotti tra operatori economici). Per quanto riguarda invece la DDS, il numero di riferimento dovrà figurare nella dichiarazione doganale di importazione o esportazione per consentire i controlli in dogana. In tal senso, la Direzione generale fiscalità ed unione doganale (DG TAXUD) ha pubblicato già a settembre 2024, i codici TARIC relativi ai requisiti stabiliti dall’EUDR.

La Commissione europea metterà in atto un sistema volto a classificare i Paesi in base al loro rischio di deforestazione (basso, normale, alto). Gli obblighi di diligenza possono essere semplificati se le aziende si riforniscono di materie prime e prodotti da Paesi a basso rischio di deforestazione: esse possono infatti rinunciare alla valutazione se rispettano l’obbligo di fornire, su richiesta dell’autorità competente, documentazione a dimostrazione che il rischio di deforestazione è effettivamente trascurabile.

Per ulteriori ragguagli:
FAQ della Commissione europea (PDF in inglese)
Documento di orientamento della Commissione europea (PDF in italiano)

Prodotti ottenuti con il lavoro forzato: divieto UE dal 14 dicembre 2027

Il Regolamento UE sul lavoro forzato è entrato in vigore il 13 dicembre 2024. Dal 14 dicembre 2027 sarà vietato immettere sul mercato UE e mettere a disposizione beni realizzati attraverso il lavoro forzato.

Il Regolamento (UE) 2024/3015 che vieta i prodotti ottenuti con il lavoro forzato sul mercato dell’Unione (Regolamento sul lavoro forzato, FLR), allinea la definizione di “lavoro forzato” (o “lavoro obbligatorio”) alla Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro n. 29 (Convenzione sul lavoro forzato). Questo termine indica ogni lavoro o servizio “estorto a una persona sotto minaccia di una punizione o per la quale detta persona non si sia offerta spontaneamente”, o usato come misura di coercizione, sanzione, disciplina o discriminazione.

Il regolamento si applica a tutti i prodotti venduti nell’Unione europea o da essa esportati, indipendentemente dalla loro origine o dal settore e senza soglie di valore: a partire dal 14 dicembre 2027, i prodotti e i loro componenti saranno banditi dal mercato se è stato fatto ricorso al lavoro forzato in qualsiasi fase della loro produzione, fabbricazione, raccolta o estrazione, in tutto o in parte, compreso le lavorazioni o trasformazioni connesse a tali prodotti.

Il regolamento non introduce nuovi obblighi di diligenza in materia di diritti umani per le imprese, ma rafforza la legislazione degli Stati membri sul lavoro forzato e i quadri normativi dell’UE, tra cui la direttiva UE sulla dovuta diligenza in materia di sostenibilità delle imprese (CSDDD). Laddove la CSDDD stabilisce obblighi di due diligence relativi all’impatto del lavoro forzato per le imprese lungo tutta la catena del valore, ma non include disposizioni per vietare l’importazione di prodotti nel mercato dell’UE, il FLR implementa meccanismi per il divieto, il ritiro o lo smaltimento di prodotti realizzati con il lavoro forzato, chiedendo che tali  prodotti siano riciclati, resi inutilizzabili o distrutti.

Entro il 14 dicembre 2025, gli Stati membri devono nominare un’autorità competente e notificarla alla Commissione europea, che ne pubblicherà l’elenco nel cosiddetto “Portale unico del lavoro forzato”. Il portale, che dovrà essere istituito entro il 14 giugno 2026, servirà anche come archivio per le decisioni e le linee guida per le imprese, ivi comprese le procedure di due diligence e le migliori pratiche far cessare i rischi di lavoro forzato o per riparare ai casi di lavoro forzato. La Commissione europea è inoltre tenuta a istituire una banca dati pubblica delle zone geografiche o dei prodotti o gruppi di prodotti a rischio di lavoro forzato, anche per quanto riguarda il lavoro forzato imposto dalle autorità statali. Le decisioni relative al divieto, al ritiro o allo smaltimento dei prodotti saranno riconosciute in tutti gli Stati membri. Le imprese che non si conformano alle decisioni prese ai sensi del regolamento possono incorrere in sanzioni pecuniarie.

Raccomandazioni

Le imprese hanno tre anni di tempo per valutare l’esistenza di rischi legati al lavoro forzato all’interno delle loro catene di approvvigionamento, sia direttamente attraverso le loro attività di importazione o esportazione, sia indirettamente attraverso la dipendenza da prodotti importati o esportati, e mappare la loro potenziale esposizione. Allo stesso tempo, dovrebbero provvedere ad inserire nei contratti con i loro fornitori clausole volte a mitigare il rischio che determinati prodotti vengano trattenuti alle frontiere dell’UE, con conseguente loro ritiro dal mercato o smaltimento.

Origine preferenziale e Convenzione PEM: cos’è cambiato?

La Convenzione paneuromediterranea riveduta è entrata in vigore il 1° gennaio 2025 per tutti gli accordi di libero scambio (ALS) che contengono un cosiddetto “riferimento dinamico” alla Convenzione. Fino al 31 dicembre 2025 le norme di origine della vecchia Convenzione PEM possono continuare ad essere applicate in parallelo.

Dal 1° gennaio 2025 all’interno della zona PEM si applicano due serie di norme: quelle vecchie e quelle della Convenzione PEM riveduta. Negli scambi commerciali bisogna pertanto considerare diversi casi, a seconda del partner e/o dell’accordo di libero scambio:

Caso 1: ALS con riferimento dinamico e disposizioni transitorie

  • applicazione facoltativa delle norme vecchie o rivedute
  • possibilità di cumulo diagonale basato sulle norme rivedute e permeabilità con le vecchie norme, ciò comporta l’accettazione di un certificato di origine stabilito secondo le regole della vecchia Convenzione PEM come prova di origine valida ai sensi delle regole rivedute (ma non il contrario)

Questo caso si applica ai seguenti accordi di libero scambio: Svizzera-Unione europea, Convenzione AELS, AELS-Bosnia ed Erzegovina, AELS-Georgia, AELS-Macedonia del Nord, AELS-Montenegro, AELS-Serbia, AELS-Turchia.

Caso 2: ALS con riferimento dinamico ma senza disposizioni transitorie

  • applicazione delle norme rivedute
  • il cumulo diagonale è possibile unicamente in base alle norme rivedute

Questo caso si applica all’accordo AELS-Albania.

Caso 3: ALS senza riferimento dinamico e senza disposizioni transitorie

  • applicazione delle vecchie norme
  • il cumulo diagonale è possibile solo in base alle vecchie norme

Questo caso si applica ai seguenti ALS: CH-Isole Faroe, AELS-Egitto, AELS-Giordania, AELS-Israele, AELS-Libano, AELS-Marocco, AELS-OLP, AELS-Tunisia, AELS-Ucraina.

A partire dal 1° gennaio 2026 si applicheranno solo le norme rivedute. Dopo tale data, il cumulo diagonale con Paesi partner che non avranno ancora inserito il riferimento dinamico alla Convenzione PEM nei loro ALS non sarà più possibile.

Matrix

La Matrix (PDF) è stata aggiornata di aggiornata di conseguenza:

Prove dell’origine e cumulo

L’UDSC ha aggiornato i seguenti documenti e istruzioni:

Per semplificare l’applicazione delle norme di origine rivedute, la Convenzione PEM riveduta introduce la cosiddetta “permeabilità”: gli esportatori che applicano le norme di origine rivedute possono cumulare anche se i loro fornitori applicano ancora le vecchie norme di origine. A tal fine e sino al 31 dicembre 2025, gli esportatori che applicano le norme rivedute devono contrassegnare la prova di origine con la dicitura «REVISED RULES» (esclusivamente in inglese, nella sezione 7 del certificato di circolazione EUR.1 o alla fine del testo della dichiarazione di origine). Il cumulo nell’altro senso (cioè se il fornitore applica le norme rivedute e gli esportatori applicano ancora le vecchie norme) non è invece possibile.

È opportuno sottolineare che la permeabilità può essere applicata solo alle seguenti merci per il cumulo secondo le norme rivedute fino al 31.12.2028: merci dei capitoli 1 e 3 del sistema armonizzato (SA), prodotti della pesca trasformati del capitolo 16 del SA e merci dei capitoli 25-97 del SA.

Tra le altre novità introdotte dalle norme rivedute figurano:

  • in generale le regole della lista per i prodotti industriali sono state semplificate: se viene applicato il criterio del valore, la percentuale autorizzata di materiali non originari passa dal 40% al 50% del prezzo franco fabbrica del prodotto; per i prodotti tessili, il carattere originario può essere ottenuto sulla base di un maggior numero di fasi di trasformazione, per i prodotti agricoli il limite autorizzato di materiali non originari non è più basato sul valore, ma sul peso.
  • il certificato di circolazione delle merci (CCM) EUR-MED e la dichiarazione di origine EUR-MED sono soppressi;
  • ai sensi dell’art. 8 par. 3 delle norme di origine della Convenzione PEM riveduta, la dicitura «CUMULATION APPLIED WITH…» deve essere indicata nella prova di origine se è stato applicato il cumulo dell’origine. Tuttavia, le Parti contraenti possono rinunciare a questa indicazione nella prova d’origine per le importazioni. La Svizzera non richiede informazioni sul cumulo nella prova d’origine. Allo stato attuale, nemmeno altre Parti contraenti che hanno ratificato la Convenzione PEM riveduta al 1° gennaio 2025 la richiedono (cfr. Comunicazione dell’UDSC, 01.01.2024);
  • nel quadro delle norme rivedute si può ora applicare il cosiddetto “cumulo totale”: la lavorazione o la trasformazione sufficiente non deve avvenire necessariamente nel territorio doganale di una Parte contraente, ma può avvenire complessivamente nella zona di cumulo delle norme rivedute. Eccezione: per quanto riguarda i prodotti dei capitoli 50–63 del SA, il cumulo totale si limita agli scambi bilaterali;
  • contrariamente alle vecchie norme di origine della Convenzione PEM, nel quadro delle norme rivedute sussiste la possibilità di far eseguire singole fasi di produzione in un Paese terzo anche per i prodotti dei capitoli 50–63 del SA, a condizione che il valore aggiunto acquisito in tale Paese non superi il 10% del prezzo franco fabbrica (principio di territorialità);
  • è introdotto il principio di non modificazione: i prodotti possono essere trasportati attraverso Paesi terzi a condizione che l’importatore possa provare che tali prodotti sono gli stessi che sono stati esportati dalla parte esportatrice. Le merci originarie devono continuare a rimanere sotto controllo doganale nel Paese terzo e possono essere lavorate solo in modo che rimangano invariate. È tuttavia consentita, in un Paese terzo, l’apposizione di marchi, etichette, sigilli o di qualsiasi altra documentazione atta a garantire la conformità a disposizioni nazionali specifiche. Inoltre ora è possibile dividere le spedizioni nel Paese di transito;
  • il cosiddetto “divieto di drawback” vale ora solo per i materiali di Paesi terzi utilizzati per la fabbricazione di prodotti dei capitoli 50–63 del SA. In tutti gli altri casi è possibile importare i materiali nel traffico di perfezionamento attivo. Tuttavia, tale divieto non vale per gli scambi bilaterali nei casi in cui l’origine preferenziale è stata ottenuta grazie al cumulo totale.

Ulteriore documentazione utile

Risultati inchiesta congiunturale 2024/2025

2024: bene i servizi, difficoltà per alcuni settori industriali

Le tendenze generali dell’economia ticinese ricalcano quelle delle altre regioni svizzere

Nel 2024 i risultati delle aziende ticinesi sono stati in generale soddisfacenti, anche se, rispetto al 2023, vi è stata una flessione dovuta soprattutto alle difficoltà per le aziende del settore industriale, legate al difficile contesto internazionale e in particolare alla forte crisi economica della Germania. Per il 36% delle aziende l’andamento è stato sufficiente (40% nel 2023), per il 34% buono (35% nel 2023) e per il 4% eccellente (2% nel 2023). Il settore dei servizi ha registrato risultati migliori di quello secondario (77% di risultati di segno positivo contro il 67%), in linea con le previsioni espresse a fine 2023.
Per il 2025 la tendenza resta sostanzialmente simile, con maggiori difficoltà per le aziende del settore secondario rispetto a quelle del terziario. Si riscontra l’identica tendenza in tutte le altre regioni svizzere.  

Malgrado le difficoltà, il livello degli investimenti, parametro fondamentale nell’ottica della competitività delle aziende e del territorio è rimasto complessivamente stabile, confermando i valori fatti registrare nel 2023, con il 46% delle aziende che ha dichiarato di avere effettuato investimenti. Questo benché sia scesa in maniera marcata la percentuale per le aziende del settore secondario (dal 67% al 60%). La media generale rappresenta un consolidamento degli investimenti rispetto agli anni difficili della pandemia, che avviene malgrado un contesto internazionale molto instabile, catene di approvvigionamento più complesse e costose e rincari diffusi (materie prime, energia, ecc.). Resta aperta la questione della costante erosione dei margini, in atto da diversi anni, che al momento non sembra avere però effetti eccessivi. Il buon grado di investimenti, comparato anche a quello delle altre regioni svizzere, costituisce un importante segnale di fiducia verso il territorio.

L’autofinanziamento, altro parametro a cui prestiamo sempre particolare attenzione per comprendere lo stato di salute delle imprese, si è confermato stabile anche per il 2024, con il 34% delle aziende che lo considera buono e il 36% che lo ritiene soddisfacente.

Le previsioni per il 2025, in parte difficili a causa del forte panorama di incertezza internazionale e di diverse iniziative politiche interne che creano notevole insicurezza, sono improntate a una sostanziale stabilità, sebbene prevalga una maggiore prudenza rispetto al passato. Il 71% delle imprese prevede un andamento da sufficiente a buono nel primo semestre del 2024 e leggermente migliore per il secondo semestre. Più preoccupante per contro il dato concernente gli investimenti previsti, con il 39% delle aziende che manifesta tale intenzione, in calo rispetto al 2024 (46%). Anche qui pesano particolarmente le difficoltà di taluni settori industriali.

Come avviene regolarmente da quando vengono effettuati questi rilevamenti, i risultati del 2024 e le attese per il 2025 sono in linea con quanto rilevato negli altri Cantoni.

Analisi dei risultati nello specifico

1. Andamento generale degli affari

L’andamento generale degli affari nel 2024 è risultato di segno tutto sommato positivo, benché, come previsto a fine 2023, leggermente inferiore al passato. Il 74% delle imprese (77% nel 2023) ha valutato in maniera favorevole l’andamento degli affari nello scorso anno (soddisfacente per il 36% delle aziende, buono per il 34%, eccellente per il 4%). Sul fronte delle aziende esportatrici i dati sono, senza sorprese, leggermente inferiori, sebbene restino ancora di buon livello, con il 36% delle aziende che definisce l’andamento soddisfacente e il 28% che lo considera buono e il 3% eccellente (per un complessivo 67%).

La differenza con il settore dei servizi è facilmente spiegabile con le difficoltà nell’ambito delle esportazioni. Difficoltà che fortunatamente non sono generalizzate, ma colpiscono solo taluni settori, in particolare l’industria MEM per la parte metallurgica e metalmeccanica, come sottolineato da Swissmem qualche settimana fa: Industria tecnologica: la crisi continua – Swissmem. Dato che le nostre aziende sono strettamente legate all’esportazione, direttamente o indirettamente attraverso le collaborazioni con altre imprese elvetiche, il risultato deve essere considerato “normale” ed era atteso. In effetti, per questi ambiti industriali, la Germania, in grave difficoltà, rappresenta ancora il primo mercato di esportazione.

Per le previsioni sull’andamento degli affari a breve termine, cioè̀ per i prossimi 6 mesi, le cifre sono sostanzialmente stabili, con il 38% delle aziende che si attende un’evoluzione sufficiente e il 33% che prevede un andamento buono (il 2% prevede un’evoluzione eccellente, in totale quindi abbiamo un 73% di previsioni di tendenza favorevole). Anche qui il settore secondario è più negativo, con “solo” il 64% di attese positive. Chi esporta è tendenzialmente più negativo di chi opera solo sul mercato interno (la differenza, a dipendenza della parte di export della cifra d’affari, varia dai 7 ai 12 punti).

Per il secondo semestre del 2025, le previsioni sono di un’evoluzione soddisfacente per il 41% delle aziende e l’andamento buono si attesta sul 34% (eccellente per il 2%, per un totale del 77%). Anche qui quanto espresso dal settore secondario è inferiore al terziario (71% contro il 79%), anche se le aspettative per il secondo semestre del 2025 risultano essere migliori di quelle del primo semestre.

2. Margine di autofinanziamento delle imprese

I valori del margine di autofinanziamento delle aziende sono sempre osservati con attenzione particolare, trattandosi di un indicatore importante dello stato di salute delle imprese e quindi anche della capacità competitiva del sistema in generale. Il valore è in crescita rispetto al 2023, con il 78% delle imprese che giudica positivamente il margine di autofinanziamento (36% soddisfacente, 34% buono, 8% eccellente). In questo ambito non si osservano differenze marcate fra settore secondario e terziario, né fra aziende di piccole e grandi dimensioni. Il dato è evidentemente importante anche nell’ottica della capacità di investimento.

3. Investimenti

Gli investimenti si confermano in media su livelli stabili, con il 46% delle aziende che segnala investimenti, malgrado la flessione nel settore secondario (60% dopo il 67% del 2023) che tocca le aziende di tutte le dimensioni. Visto quanto detto in precedenza, ossia le difficoltà legate alla situazione internazionale e all’export, non si tratta di una contrazione inattesa.

Per il 2025 queste incertezze pesano parecchio, perché la previsione di investimenti scende al 39% (55% per il settore secondario e 33% per quello terziario). Si tratta di una tendenza riscontrata anche nelle altre regioni ed è figlia, oltre che dell’usuale e comprensibile prudenza, di fattori come un certo rallentamento nel settore delle costruzioni e delle ormai note incertezze che gravano sul settore industriale soprattutto per le tensioni internazionali e anche in parte per la forza del franco.

4. Occupazione e politica salariale

Come emerge anche dalle cifre ufficiali concernenti l’impiego che sono pubblicate a scadenza regolare, resta sostanzialmente alta l’attenzione verso l’occupazione, con il 59% delle aziende che segnala una stabilità dell’effettivo e il 21% che ha riscontrato aumenti. È però aumentata la percentuale di riduzione dell’effettivo, che si attesta al 20% (contro il 12% dello scorso anno), con una non inaspettata incidenza maggiore nel settore secondario (30% di aziende che rileva riduzioni dell’effettivo). Un dato che emerge soprattutto nelle aziende medie e grandi. Spesso si tratta di modifiche di qualche unità, legate anche a chiusure di attività non più richieste dal mercato, oltre alle note difficoltà congiunturali legate al panorama internazionale. Un elemento diverso rispetto al passato è costituito dal fatto che è difficile individuare settori particolari in cui vi sono interventi sull’effettivo del personale, perché la situazione varia molto a dipendenza delle strutture delle singole aziende, per cui è attualmente difficile trarre conclusioni di tendenze generali. Anche perché dai dati ufficiali del lavoro ridotto non emerge per ora un rallentamento diffuso e da quelli sulla disoccupazione non risultano impennate particolarmente importanti, per cui vi è da ritenere che, al di là di qualche chiusura aziendale, si tratti appunto piuttosto di interventi su qualche unità aziendale e quindi numericamente contenuti o comunque riguardanti personale frontaliero o facilmente ricollocabile.

Confortante è il fatto che per il 2025 le previsioni sono di segno più positivo, con il 75% delle aziende che prevede una stabilità dell’effettivo e il 17% un aumento. Per contro solo l’8% ipotizza una riduzione dell’effettivo, percentuale da considerare fisiologica e che riporterebbe in linea con gli altri anni.  

Da rilevare che è in aumento la percentuale di impiegati a tempo parziale (17% rispetto al 77% di impiegati a tempo pieno) e che la percentuale di interinali si attesta sul 2%. Il 3% di apprendisti nell’effettivo è da considerare un valore buono e in linea con una generale tendenza alla valorizzazione dell’apprendistato e a un conseguente aumento di questa figura professionale nel contesto del personale aziendale.

In ambito di politica salariale, il 66% delle aziende che hanno risposto alla domanda hanno concesso aumenti di stipendio di varia entità nel 2024.

5. Commercio estero e accordi Svizzera-Unione europea (UE)

Come da tradizione, parte dell’inchiesta congiunturale prevede domande legate a un tema di attualità e quest’anno le aziende sono state chiamate ad esprimersi sul tema del commercio internazionale in generale e sugli accordi bilaterali Svizzera-UE in particolare.

Diversificazione dei mercati

Senza sorprese, quasi tutte le aziende (81%) rilevano la necessità di rafforzare le relazioni economiche con partner commerciali diversi dall’Unione europea, strategia del resto già adottata da tempo dalla Confederazione con la conclusione di Accordi di libero-scambio e dalle aziende, anche quelle ticinesi, sempre orientate a diversificare il portafoglio di clienti. In questo contesto, fra i paesi indicati quali mercati a cui dare la priorità, primeggiano senza sorpresa gli Stati Uniti (45%), divenuti primo mercato di esportazione (come paese singolo) per la Svizzera e perché vi sono fondate speranze che si possa riprendere il discorso di un eventuale Accordo di libero scambio, già discusso durante la prima presidenza di Donald Trump.

Altri paesi citati sono, nell’ordine, l’India (41%), la Cina (37%) e poi seguono aree geografiche o continenti come il resto dell’Asia (34%), il Sudamerica (23%) e l’Africa (22%).

Fra i motivi indicati per negoziare nuovi Accordi di libero scambio o aggiornare quelli esistenti, figurano la facilitazione amministrativa (73%), la riduzione dei dazi doganali (59%), la protezione della proprietà intellettuale (36%) e la protezione vincolante delle norme ambientali e sociali (31%).

UE e Accordi bilaterali III

Per quanto riguarda le domande più specifiche concernenti l’UE, il 79% delle aziende ha risposto di impiegare personale proveniente dall’UE (di ogni categoria di permesso, non solo i frontalieri) e in caso di restrizioni all’assunzione di lavoratori stranieri il 50% delle aziende ha indicato che proverebbe a intervenire per aumentare la formazione del personale locale, a patto ovviamente che questo sia disponibile. Per il 32% vi sarebbe invece la rinuncia a progetti di sviluppo aziendale (percentuale molto più alta nel settore secondario rispetto al terziario con 46% contro il 26%), per il 18% vi sarebbe un’esternalizzazione dei servizi all’estero e per un altro 18% la delocalizzazione all’estero.

L’impatto degli attuali Accordi bilaterali con l’UE viene valutato positivamente dal 42% delle imprese (il 2% lo valuta estremamente positivo), mentre per il 39% non vi è stato nessun impatto economico diretto. Una valutazione negativa è espressa dal 17% delle imprese.

Fra gli Accordi considerati essenziali da concludere o rinnovare sono stati menzionati: la libera circolazione delle persone (60%), ricerca e formazione (57%), riconoscimento reciproco (MRA, 43%), elettricità (35%), trasporti aerei e terrestri (34%), sanità (28%), sicurezza alimentare (25%) e agricoltura (19%).

Una firma degli Accordi bilaterali III attualmente negoziati non avrebbe un impatto economico diretto per il 56%, mentre per il 33% avrebbe effetti positivi. Conseguenze negative sono segnalate dal 10% di chi ha risposto alla domanda. La firma avrebbe per contro un impatto positivo sullo sviluppo economico per la Svizzera per il 54% delle imprese.

Alla domanda se ritengono che la protezione salariale prevista dal nuovo pacchetto di Accordi bilaterali sia sufficiente, il 64% delle aziende ha risposto di non essere in grado di formulare un’opinione, a dimostrazione della complessità del dossier e della difficoltà a esprimersi prima di potersi confrontare con gli esiti concreti dei negoziati.

Per le imprese, la firma degli Accordi bilaterali III rafforzerebbe la cooperazione economica, sociale e politica fra i 2 partner (48%), ma per il 46% imporrebbe al contempo obblighi alla Svizzera (fiscalità, concorrenza, protezione dei lavoratori, ecc.) Per il 38% garantirebbe un migliore accesso al mercato interno europeo, mentre per il 17% aumenterebbe la disoccupazione e la pressione sulle assicurazioni sociali.

Infine, il 39% delle aziende si esprime in maniera favorevole sulla firma degli Accordi bilaterali III, mentre rimane una percentuale alta (47%) di imprese che non sono ancora in grado di esprimere un’opinione.

In sostanza, i risultati non sono molto differenti da quanto è emerso negli altri cantoni. Si riconosce l’importanza delle relazioni con l’UE, manifestando al contempo la volontà di diversificare le attività, laddove possibile, su altri paesi. Vi sono dossier nell’ambito delle trattative con l’UE che sono considerati assolutamente imprescindibili, anche se gli impatti per molte aziende non sarebbero diretti. Anche fra chi non è direttamente toccato emerge comunque che Accordi aggiornati accrescerebbero lo sviluppo economico della Svizzera in generale. È importante sottolineare l’alto numero di risposte che indica come la tematica sia complessa e non ancora compiutamente valutabile nei suoi effetti. Data la complessità della materia e le scarse informazioni a disposizione su quello che sarà il contenuto effettivo di eventuali Accordi bilaterali III, la cosa non stupisce e anche in Romandia, tradizionalmente favorevole alle questioni di politica europea della Svizzera, vengono espresse le medesime riserve. Se vi sarà una firma fra Svizzera e UE, pareri più precisi potranno essere espressi nel contesto della relativa procedura di consultazione.

Hanno partecipato all’inchiesta 268 imprese associate alla Cc-Ti, che impiegano in tutto 14’035 dipendenti nel cantone.

Si tratta di 73 aziende del settore industria-artigianato e di 195 del comparto commercio e servizi.       
Un campione di aziende consolidato da un rilevamento che viene effettuato da 15 anni con risultati attendibili e sempre confermati da altre ricerche congiunturali condotte da istituti federali e cantonali e dai dati ufficiali.

L’indagine della Cc-Ti, che ha coinvolto 133 realtà̀ aziendali che operano sul mercato interno e altre 135 orientate in parte o totalmente all’export, mira appunto a fornire indicazioni sulle tendenze generali dell’economia ticinese, senza volersi sostituire ad analisi più mirate effettuate da singoli settori economici.

L’inchiesta è stata condotta unitamente alle Camere di commercio e dell’industria di Friborgo, Ginevra, Giura, Neuchâtel, e Vaud. Le Camere di commercio e dell’industria della Svizzera tedesca operano individualmente, ma seguendo lo stesso schema.


Link ai risultati delle Camere degli altri Cantoni che hanno condotto l’inchiesta comune (alcuni dati sono accessibili solo ai soci delle rispettive Camere)

VD :    
CVCI – Chambre vaudoise du commerce et de l’industrie – Enquêtes conjoncturelles

JU :     
Chambre de commerce et d’industrie du Jura – Chambre de commerce et d’industrie du Jura

NE :     
Les entreprises neuchâteloises, en particulier les industrielles, entrent dans le dur.  CNCI

FR :      
CCIF – Communiqué : L’activité ralentit toujours dans les entreprises fribourgeoises – Perspectives compliquées

GE :    
Geneva Chamber of Commerce, Industry and Services – Chambre de commerce, d’industrie et des services de Genève

Inchieste condotte da altre Camere di commercio e dell’industria svizzere con i propri associati

BE :
https://www.baerntoday.ch/bern/kanton-bern/der-fachkraeftemangel-bereitet-den-berner-kmu-am-meisten-sorgen-155171646

BS/BL
Stimmungsbarometer | Handelskammer beider Basel HKBB – Handelskammer beider Basel

SO :

Wirtschaftsinformationen

Svizzera centrale :
Wirtschaftscockpit | IHZ

Svizzera orientale (SG, TG, AI, AR) : 
Konjunkturanalysen – IHK St.Gallen-Appenzell

ZH
Zürcher Wirtschaftsmonitoring September 2024

Alcune Camere di commercio e dell’industria si basano di regola sui rapporti degli Uffici cantonali di statistica oppure su valutazioni del KOF.


Materiale informativo


Archivio delle edizioni passate