La presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter e il consigliere federale Ignazio Cassis rappresenteranno la Svizzera all’apertura dell’80a Assemblea generale dell’ONU a New York

Nella sua seduta del 12 settembre 2025 il Consiglio federale è stato informato del risultato della consultazione delle Commissioni della politica estera in merito all’anteprima dell’80a Assemblea generale dell’ONU. Durante la settimana di alto livello che si terrà dal 22 al 30 settembre 2025, in occasione dell’apertura dell’Assemblea generale dell’ONU, la Svizzera sarà rappresentata dalla presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter e dal consigliere federale Ignazio Cassis.


Quest’anno l’Assemblea generale dell’ONU, che si riunirà da settembre 2025 ad agosto 2026, si concentrerà sui profondi sconvolgimenti nel sistema onusiano, dove la cooperazione globale risulta compromessa dalle tensioni in ambito finanziario e dai cambiamenti di rotta politici. La sede dell’Organizzazione a Ginevra è direttamente interessata da questi sviluppi. Il Consiglio federale si impegna per un multilateralismo credibile e nel dibattito sulle riforme si fa portavoce degli interessi della Svizzera quale Stato ospite, donatore e membro delle Nazioni Unite.

Settimana di apertura dell’80a Assemblea generale dell’ONU

Questa settimana rappresenta un’opportunità unica per incontri e scambi di opinioni con una grande varietà di attori, tra cui 100 capi di Stato e di governo come pure ministre e ministri degli esteri da tutto il mondo.

Il 22 settembre la presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter parteciperà al vertice per commemorare l’80° anniversario dell’ONU. Nello stesso giorno prenderà parte anche alla celebrazione del 30° anniversario della Conferenza mondiale sulle donne, che ha rappresentato un passo fondamentale verso la parità di genere a livello mondiale. Il 24 settembre la presidente della Confederazione terrà inoltre, a nome della Svizzera, il discorso ufficiale durante il dibattito generale.

Il consigliere federale Ignazio Cassis interverrà alla riunione ministeriale sulla protezione del personale umanitario, in cui presenterà la posizione della Svizzera nella dichiarazione politica – in continuità con la risoluzione 2730 del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Inoltre parteciperà a un evento organizzato dall’Istituto internazionale per la pace (International Peace Institute) sulla situazione in Medio Oriente e rappresenterà la Svizzera a un incontro di alto livello sulle persone scomparse nei conflitti armati, un tema chiave nell’ambito dell’impegno del nostro Paese per la promozione della pace.

L’Assemblea generale è la più ampia piattaforma di dialogo per i 193 Stati membri dell’ONU, che vi discutono delle sfide globali come la risoluzione dei conflitti, la costruzione della pace, la riduzione della povertà, lo sviluppo sostenibile, il rispetto dei diritti umani e la lotta ai cambiamenti climatici.


Fonte: CF – Comunicato stampa

Asia Centrale e Caucaso meridionale: tra corridoi strategici e transizione verde

Il 9 settembre, la Cc-Ti e la JCC hanno acceso i riflettori su Asia Centrale e Caucaso meridionale. In un mondo che cambia velocemente, queste due aree si impongono come snodi cruciali. La sintesi del dibattito non lascia dubbi: chi le governa, governa anche una parte degli equilibri geopolitici ed economici globali di domani.

L’incontro, dedicato all’analisi delle dinamiche geopolitiche ed economiche della regione, si è aperto con i saluti istituzionali di Monica Zurfluh, Responsabile Commercio internazionale della Cc-Ti, e Dorit Sallis, Managing Director di Joint Chamber of Commerce (JCC), la principale organizzazione svizzera del settore privato impegnata a promuovere i rapporti economici bilaterali tra la Svizzera e l’Europa orientale (extra-UE), l’Asia Centrale e il Caucaso meridionale.

Una nuova stagione geopolitica

Christopher J. Weafer (Macro-Advisory Ltd.) ha messo in luce come l’Asia Centrale e il Caucaso meridionale stiano conoscendo un inedito ritorno di centralità. Si parla ormai di “Great Game 3.0”, dove Cina, Russia, Stati Uniti, Unione europea, Turchia, Iran, India e monarchie del Golfo competono per il controllo di risorse, mercati e corridoi strategici che collegano Asia ed Europa.

Le risorse naturali rappresentano la posta più ambita: il Kazakistan è il principale fornitore globale di uranio, il Tagikistan è secondo nella produzione di antimonio, metallo chiave anche in ambito militare. L’energia rimane cruciale, ma cresce la corsa alle rinnovabili. Sul piano logistico, si moltiplicano i progetti di rotte alternative: il Corridoio di Mezzo (TITR), sostenuto dall’Unione europea, che collega l’Asia all’Europa aggirando la Russia; il Corridoio di Zangezur (Trump Route for International Peace and Prosperity – TRİPP), promosso da Azerbaigian, Armenia e Turchia con il sostegno statunitense, per ridurre i tempi di transito verso il Mediterraneo; il Corridoio di trasporto internazionale nord-sud (INSTC), voluto da Russia, Iran e India, per unire Asia meridionale ed Eurasia. Sullo sfondo, la Belt and Road Initiative cinese continua a tessere la sua rete di rotte terrestri e marittime.

Le strategie sono diverse: la Cina privilegia energia, risorse alimentari e vie di transito con un approccio pragmatico; la Russia, che considera l’Asia Centrale parte del proprio “estero vicino” e la utilizza come valvola di sfogo economica di fronte alle sanzioni, esercita ancora un forte controllo politico e militare; Stati Uniti e Unione europea cercano di contenere l’espansione di Pechino e Teheran e di garantire approvvigionamenti sicuri di minerali critici. Nel frattempo, la Turchia rilancia il progetto di un “mondo turco” che unisca popoli affini dalla steppa al Mediterraneo e gli Stati del Golfo investono massicciamente in energia, logistica e finanza islamica. Infine, l’Iran rafforza i legami con l’Unione economica eurasiatica (EaEU) e l’India, più lenta nel suo approccio, cerca spazio attraverso l’INSTC.

Per gli investitori privati, i settori più promettenti spaziano da energia (tradizionale e rinnovabile) e logistica, a sanità, fintech e turismo. L’aumento del reddito medio rafforza inoltre il potenziale dei consumi interni, mentre le privatizzazioni in corso aprono nuove opportunità in settori strategici. Tuttavia, restano ostacoli importanti: la concorrenza agguerrita di Russia e Cina, che possono contare su rapporti storici, reti linguistiche e minori vincoli normativi, burocrazia lenta, normative poco trasparenti e rischi reputazionali.

Transizione verde: dall’ambizione alla realtà

Dinara Jarmukhanova (Centil Law Firm) ha sottolineato come l’Asia Centrale stia tentando di trasformarsi da periferia energetica a laboratorio della transizione verde. I governi hanno fissato obiettivi ambiziosi: neutralità carbonica a metà secolo e quote rilevanti di rinnovabili già entro il 2030. La posta in gioco non riguarda soltanto la sicurezza energetica interna, ma la possibilità di trasformare la regione in un hub di esportazione di energia pulita verso Europa e Asia meridionale.

Kazakistan e Uzbekistan guidano la corsa sia a livello di obiettivi sia di pacchetti di incentivi capaci di attrarre grandi operatori internazionali. Il Kazakistan mira al 15% di rinnovabili entro il 2030 e al 50% entro il 2050. Colossi come Masdar, Total Energies e Acwa Power hanno firmato accordi per parchi eolici da un gigawatt ciascuno, da completare entro il 2028. L’Uzbekistan si muove con altrettanta determinazione e punta al 40% entro il 2030. Qui è stato inaugurato il progetto Sungrow Lochin, la più grande batteria di accumulo dell’Asia Centrale, capace di garantire stabilità di rete e di rafforzare l’attrattività per nuovi investitori. Kirghizistan e Tagikistan, dal canto loro, concentrano gli sforzi sull’idroelettrico, con il progetto CASA-1000 che porterà energia verso Pakistan e Afghanistan entro il 2027. Sul piano regionale, il Corridoio trans-caspico per l’energia verde, sostenuto da istituzioni finanziarie multilaterali, promette di collegare direttamente l’energia pulita centroasiatica ai mercati europei. Una prospettiva che non solo diversificherebbe i mercati, ma inserirebbe la regione in un network energetico continentale in forte trasformazione.

Anche Jarmukhanova conferma le opportunità concrete per il capitale privato: crescita della domanda interna, programmi di privatizzazione, incentivi. Permangono tuttavia sfide significative: alti costi iniziali dei grandi impianti, reti elettriche obsolete, carenza di manodopera qualificata, oltre a regole ancora fragili. La stagionalità delle rinnovabili e la mancanza di capacità di accumulo aggravano i rischi di instabilità.
La spinta politica è forte, ma l’influenza delle industrie fossili e la lentezza burocratica rischiano di rallentare la trasformazione.

I corridoi eurasiatici tra logistica e sovranità

Il terzo e ultimo contributo, a cura di Nikolaus Kohler (M&M Militzer & Münch AG), ha sottolineato il peso crescente della logistica e delle infrastrutture di trasporto nel futuro della regione, evidenziando a sua volta come, dietro l’espansione dei corridoi eurasiatici, non ci sia soltanto la volontà di accorciare le distanze commerciali tra Asia ed Europa, ma una competizione geopolitica che volta a ridefinire equilibri e alleanze e che, a ben guardare, mette a dura prova la capacità dei Paesi dell’Asia Centrale e del Caucaso di gestire investimenti esteri senza cedere sovranità politica.

Ne sono la prova i due principali assi di sviluppo, il Corridoio di Mezzo (TITR) e il Corridoio di Trasporto Internazionale Nord-Sud (INSTC): il primo, che collega Cina e Turchia passando da Kazakistan, Azerbaigian e Georgia, rappresenta un’alternativa strategica alle rotte settentrionali attraverso la Russia, oggi ostacolate dalle sanzioni. Il secondo, che attraversa Iran e Russia per connettere l’Asia meridionale con l’Europa e l’Eurasia, consolida la cooperazione tra Mosca e Teheran. A queste vie si aggiungono iniziative più recenti come il Corridoio di Zangezur (TRIPP), nato dal fragile processo di pace tra Armenia e Azerbaigian, o il collegamento Uzbekistan–Afghanistan–Pakistan, sostenuto anche da interessi cinesi e pakistani.

Gli investimenti sono imponenti e provengono da più direzioni. Bruxelles, attraverso il programma Global Gateway, cerca di offrire ai Paesi centroasiatici un’alternativa credibile alla Nuova Via della Seta cinese. Pechino, dal canto suo, rafforza la propria presa con il progetto ferroviario Cina–Kirghizistan–Uzbekistan, che ridisegnerà le tempistiche dei traffici euroasiatici. La Russia, isolata a ovest, rilancia il ruolo dell’INSTC per mantenere un piede in una regione che considera vitale per la sua proiezione verso il sud. Washington, infine, osserva con crescente attenzione, cercando di sostenere progetti che limitino l’influenza di Mosca e Pechino (leggi: Corridoio di Zangezur).

Se sul piano infrastrutturale i progressi sono tangibili – nuovi porti, terminal, linee ferroviarie e sistemi digitali come eTIR e Single Window – le criticità rimangono evidenti: il Mar Caspio è un collo di bottiglia, i confini rallentano i flussi e la forte dipendenza da capitali esteri solleva interrogativi sulla sovranità degli Stati coinvolti. In questo scenario, la logistica non è solo economia: è geopolitica allo stato puro.

Il prezzo della centralità eurasiatica

Dall’evento di Cc-Ti e JCC emerge un quadro chiaro: Asia Centrale e Caucaso meridionale rappresentano snodi cruciali in cui convergono interessi energetici, logistici e geopolitici delle grandi potenze. Le opportunità sono rilevanti – dall’energia tradizionale e rinnovabile alla logistica, dai consumi interni alle privatizzazioni – ma si accompagnano a rischi elevati, legati a instabilità politica, burocrazia lenta, quadri normativi poco trasparenti e pressioni esterne.

Il futuro della regione dipenderà dalla capacità dei governi di tradurre ambizioni e incentivi in progetti concreti, bilanciando l’apertura agli investimenti con la difesa della sovranità strategica. Per gli investitori, significa alto potenziale, ma anche alta volatilità: chi saprà navigare tra opportunità e rischi potrà giocare un ruolo di primo piano in questa nuova rete di relazioni euro-asiatiche.

Egitto: registrazione anticipata obbligatoria delle spedizioni aeree dal 2026

Da gennaio 2026 tutte le spedizioni aeree dirette in Egitto dovranno essere preregistrate nel sistema ACI (Advanced Cargo Information).

Il Ministero delle Finanze egiziano ha confermato le nuove tempistiche dopo diversi rinvii: la fase sperimentale si concluderà a dicembre 2025 e, dal nuovo anno, l’utilizzo del sistema ACI diventerà obbligatorio per il trasporto aereo.

Ricordiamo che il sistema è già operativo per le spedizioni marittime dal 1° ottobre 2021: con l’estensione al cargo aereo, si completa il processo di digitalizzazione dei controlli doganali egiziani.

Come funziona l’ACI

Il sistema integra due piattaforme complementari:

  • CargoX: utilizzata dagli esportatori per trasmettere la documentazione alle autorità doganali egiziane;
  • Nafeza: gestita dagli importatori egiziani, raccoglie e valida i documenti ricevuti tramite CargoX per le pratiche di sdoganamento.

Questa architettura garantisce maggiore tracciabilità e trasparenza nelle operazioni doganali.

Passaggi operativi per le aziende esportatrici

Per garantire uno sdoganamento regolare, le aziende esportatrici devono seguire i seguenti passaggi:

  • Registrazione su CargoX
    • attivazione di una chiave blockchain e acquisto di crediti per il caricamento e l’invio dei documenti;
    • prevedere alcuni giorni per il completamento della registrazione.
  • Coordinamento con l’importatore
    • l’importatore inserisce i dati della spedizione (fattura commerciale o proforma) nella piattaforma Nafeza;
    • il sistema genera automaticamente il numero ACID (Advance Cargo Information Declaration);
    • il codice viene comunicato a entrambe le parti;
    • lato esportatore, il codice deve essere riportato su tutti i documenti dal lato esportatore.
  • Caricamento dei documenti
    • obbligatori: fattura commerciale, certificato d’origine e polizze di carico, in formato PDF e comprensivi del numero ACID;
    • la fattura deve essere caricata anche in formato XLS tramite il template fornito dalla piattaforma;
    • i documenti devono essere caricati al più tardi 48 ore prima dell’arrivo della merce in Egitto.
  • Coordinamento con lo spedizioniere
    • il numero ACID va comunicato allo spedizioniere, che lo utilizzerà per l’emissione corretta dei documenti di trasporto.

Fonte: Germany Trade & Invest, GTAI

Dazi “reciproci USA”: nuovo ordine esecutivo

Il 5 settembre 2025 il Presidente Trump ha firmato un nuovo Ordine esecutivo che modifica l’attuale regime dei dazi “reciproci” e introduce meccanismi inediti per l’attuazione di accordi commerciali e di sicurezza. Le misure entrano in vigore l’8 settembre 2025.

Contesto normativo

L’Ordine esecutivo del 5 settembre 2025 si inserisce nella cornice degli Ordini esecutivi 14257 (2 aprile 2025) e 14326 (31 luglio), che avevano dichiarato uno stato di emergenza nazionale collegato ai deficit commerciali e introdotto misure tariffarie straordinarie per motivi di sicurezza nazionale.

Il nuovo Ordine aggiorna le categorie di merci esentate dai “dazi reciproci” (Allegato I) e istituisce un regime tariffario condizionato al grado di allineamento strategico dei partner commerciali (Allegati II e III).

Modifiche all’Allegato II dell’Ordine esecutivo 14257

L’elenco dei beni esclusi dai dazi “reciproci” contenuto nell’Allegato II dell’Ordine esecutivo 14257 è stato significativamente ampliato. Tra le principali categorie introdotte figurano:

  • settore farmaceutico: lidocaina e altri anestetici locali, ingredienti attivi per farmaci generici non brevettati;
  • metalli critici: nichel, grafite, oro (in polveri, foglie, lingotti);
  • minerali rari essenziali per tecnologie avanzate:torio, stagno, molibdeno;
  • tecnologie avanzate: LED di alta precisione, magneti permanenti in terre rare (neodimio).

Parallelamente, alcune categorie precedentemente esentate tornano soggette a dazi “reciproci”:

  • plastiche e polimeri: PET, resine epossidiche, siliconi, poliestere;
  • prodotti chimici di base: idrossido di alluminio, miscele di alcoli aciclici.

L’Allegato I dell’Ordine esecutivo del 5 settembre elenca le categorie di merci interessate, riportando i corrispondenti codici tariffari HTSUS.

Introduzione del meccanismo “PTAAP”

La novità più rilevante è l’introduzione degli Allegati II e III Potential Tariff Adjustments for Aligned Partners (Allegato PTAAP), che prevede un regime tariffario preferenziale e condizionato.

Per le merci elencate, gli Stati Uniti possono applicare esclusivamente il dazio MFN (Most-Favored-Nation) anziché tariffe punitive se il Paese partner

  • conclude un accordo di commercio e sicurezza con clausole specifiche di cooperazione strategica;
  • assume impegni vincolanti, concreti e misurabili per ridurre gli squilibri commerciali bilaterali; e
  • rafforza la cooperazione economica in settori strategici, inclusa la condivisione di tecnologie critiche e l’allineamento in ambito di standard di sicurezza.

Categorie di beni inclusi nel PTAAP

L’Allegato PTAAP si applica a quattro aree strategiche:

  • aerospazio: aeromobili completi, parti di ricambio, avionica e componentistica certificata;
  • farmaceutica: medicinali generici, principi attivi non brevettati e ingredienti per l’industria;
  • risorse naturali critiche: materiali non disponibili negli USA e derivati industriali;
  • agricoltura specializzata: prodotti agricoli non coltivati o in quantità sufficienti sul mercato interno.

L’Allegato II elenca le categorie di merci interessate, riportando i corrispondenti codici tariffari HTSUS.

Attivazione e gestione operativa

Le esenzioni tariffarie previste dal PTAAP si attivano automaticamente al momento della ratifica dell’accordo bilaterale, senza bisogno di ulteriori ordini esecutivi.

La gestione operativa del sistema è affidata a tre organismi federali:

  • USTR (United States Trade Representative) – negoziazione e supervisione degli accordi commerciali
  • Department of Commerce – valutazione tecnica dei prodotti e classificazione tariffaria
  • U.S. Customs and Border Protection (CPB) – implementazione pratica alle frontiere e controlli doganali

Raccomandazioni operative

La CPB ha già pubblicato le linee guida per una corretta dichiarazione doganale, cfr. CSMS # 66151866 del 6 settembre 2025.

Considerando la natura dinamica del framework normativo e la possibilità di aggiornamenti periodici, è opportuno monitorare con attenzione le modifiche agli allegati tariffari, in una prima fase gli aggiornamenti all’Allegato II dell’ordine esecutivo 14257 del 2 aprile.

Une voie à suivre. Visite du chantier de la gare de Lausanne en présence du conseiller fédéral Albert Rösti

Lundi, le conseiller fédéral Albert Rösti s’est réjoui de l’avancement du «projet ambitieux» de la gare de Lausanne, qui se concrétisera d’ici à… 2037. Pendant ce temps, Zurich fait la nique à l’arc lémanique. Un exemple dont la région devrait s’inspirer.


La météo très automnale de ce début de semaine n’a en rien perturbé la visite du chantier de la gare de Lausanne en présence du conseiller fédéral Albert Rösti, des CFF, ainsi que des autorités lausannoises, vaudoises et genevoises. Les partenaires «ont salué le dialogue et l’engagement qui ont permis d’avancer dans ce projet ambitieux», qui a pris une bonne douzaine d’années de retard, rappelons-le. A ce jour, quelque 530 millions de francs ont été investis dans ce projet au centre-ville, sur un budget total de 1,7 milliard de francs. Le premier quai transformé sera opérationnel en 2030, puis les déploiements des quatre autres quais auront lieu successivement jusqu’en 2036. La mise en service complète de la gare transformée est prévue pour… 2037.

Zurich loin devant

Pendant ce temps, la gare centrale de Zurich continue d’être désignée comme la meilleure d’Europe selon une enquête portant sur les cinquante gares les plus fréquentées du continent. Zurich fait la nique à l’arc lémanique, et pas seulement dans le domaine des infrastructures ferroviaires. Comme l’a relevé le mathématicien Xavier Comtesse dans l’Agefi, la plus grande ville du pays a pris le dessus dans quatre directions significatives: transport, école polytechnique, start-up et IA. Il semble loin le temps où la Suisse romande se démarquait avec Patrick Aebischer, Daniel Borel ou encore Ernesto Bertarelli. «C’était une époque glorieuse. Tous les espoirs étaient permis. Et pourtant, en seulement deux décennies, les rêves se sont envolés», déplore le chroniqueur. Sans aller aussi loin que lui dans le constat, force est d’admettre que la métropole alémanique nous regarde aujourd’hui du haut de la Prime Tower.

L’Ecole polytechnique de Zurich se classe régulièrement parmi les meilleures universités et est souvent la mieux classée d’Europe continentale, loin devant l’EPFL. Au niveau de l’innovation et de l’entrepreneuriat, les Zurichois créent le plus de start-up en Suisse. Côté IA, la ville des bords de la Limmat joue dans la cour des grands. Google et ses 5000 employés peuvent en témoigner. Président de l’EPFZ, Joël Mesot relevait il y a quelques mois sur les ondes de la RTS que «Zurich s’est complètement transformée ces vingt dernières années, passant d’une place bancaire à un centre mondial de haute technologie. Il y a eu Google, Microsoft, Nvidia, Disney et auparavant IBM. Toutes ces entreprises ont leurs centres de recherche et de développement à Zurich.»

Inspirer les générations à venir

De talents et d’ambitions, l’arc lémanique ne manque pourtant pas. Il s’agit aujourd’hui de donner une vision forte à cette région où le canton de Vaud dispose de nombreux atouts. Il faut fédérer les énergies, lancer des projets prestigieux pour inspirer les générations à venir. On a appris mardi le lancement d’Apertus, un modèle de langage multilingue appelé à concurrencer ChatGPT, ouvert et transparent, fruit d’une collaboration entre l’EPFL, l’EPFZ et le Centre suisse de calcul scientifique de Lugano. L’union fait la force: et si c’était l’une des voies à suivre?


Fonte: Chambre vaudoise du commerce et de l’industrie

Il Consiglio federale discute gli effetti dei dazi USA e punta sul lavoro ridotto

Nella riunione del 3 settembre 2025, il Consiglio federale ha deciso di sostenere un’iniziativa parlamentare che chiede un’urgente estensione dell’indennità per lavoro ridotto. I dazi supplementari statunitensi non dovrebbero comportare un imminente crollo dell’economia elvetica nel suo complesso, come è emerso dalla discussione in seno all’Esecutivo. I settori orientati all’esportazione e alcune singole imprese potrebbero tuttavia patirne. Pertanto, il Consiglio federale continua a puntare sul perfezionamento mirato degli stabilizzatori automatici e delle condizioni quadro economiche.


I dazi statunitensi si applicano a circa il 10 per cento di tutte le esportazioni di merci dalla Svizzera. Per le aziende interessate si tratta di un grave fardello. A livello macroeconomico si prevede una crescita nettamente inferiore alla media, ma non un crollo congiunturale. L’incertezza rimane tuttavia elevata.

Ulteriore sostegno al lavoro ridotto

L’indennità per lavoro ridotto è uno strumento collaudato ed efficace per attenuare le fasi di debolezza congiunturale e preservare posti di lavoro altrimenti a rischio. Il Consiglio federale intende quindi rafforzare questo strumento in modo mirato dando seguito alle proposte della Commissione della sicurezza sociale e della sanità del Consiglio degli Stati (CSSS-S).

Quest’ultima propone di adeguare urgentemente in due punti la legge sull’assicurazione contro la disoccupazione. In primo luogo, il Consiglio federale dovrà ottenere la competenza di estendere la durata massima di percezione dell’ILR fino a 24 mesi. Attualmente e fino al 31 luglio 2026, l’ILR può essere percepita al massimo per 18 mesi nell’ambito di un termine quadro di due anni. In secondo luogo, la commissione propone di introdurre un nuovo periodo di attesa. Un’azienda che ha percepito ILR per 24 mesi senza interruzioni durante un primo termine quadro dovrà rispettare un periodo di attesa di sei mesi prima di poterne aprire uno nuovo. Il Parlamento si pronuncerà su queste proposte nella sessione autunnale 2025.

Si prevede inoltre di spingere sulla digitalizzazione: a partire dal 1° settembre 2025 il conteggio dell’ILR sarà effettuato principalmente online secondo il principio «digital first» per alleviare gli oneri a carico delle aziende e accelerare i versamenti. A tal fine le aziende potranno utilizzare l’apposito «eService» dell’assicurazione contro la disoccupazione su www.job-room.ch, al quale è consigliato registrarsi tempestivamente.

Assistenza in sede di riposizionamento sul mercato

Nella situazione attuale molte aziende sono costrette a riposizionarsi. Per il Consiglio federale è fondamentale assisterle nel migliore dei modi in questo processo. Gli accordi di libero scambio recentemente conclusi e modernizzati, come quello con l’India, contribuiscono a schiudere nuovi mercati di sbocco e a ridurre la dipendenza da singole regioni. Switzerland Global Enterprise (S-GE) sostiene le imprese nel cercare mercati di sbocco alternativi con informazioni specifiche. L’assicurazione contro i rischi delle esportazioni (ASRE) consente invece alle aziende di assicurare i rischi economici derivanti dai dazi supplementari o dall’accesso a nuovi mercati.

Già il 20 agosto 2025 l’Esecutivo aveva deciso di intensificare gli sforzi per rinforzare la piazza economica svizzera. A questo riguardo ha conferito diversi mandati di verifica su come alleviare gli oneri normativi che gravano sulle imprese.

Il Consiglio federale segue da vicino gli sviluppi della situazione e si riserva il diritto di valutare e adottare ulteriori misure, se necessario.


Fonte: CF – Comunicato stampa

Il Consiglio federale vuole rafforzare l’attrattiva della Svizzera

La Svizzera offre eccellenti condizioni quadro in molti settori economici. I recenti cambiamenti a livello internazionale hanno però ripercussioni sulla competitività elvetica. Nella riunione del 20 agosto 2025 il Consiglio federale ha discusso in profondità della situazione: intende portare avanti con determinazione l’agenda di politica economica e concentrarsi sullo sgravio della regolamentazione che pesa sulle imprese.


Il 20 agosto 2025 il Consiglio federale riunitosi in «clausura» ha deciso di intensificare le iniziative per rafforzare la piazza economica svizzera. Ha incaricato i dipartimenti competenti di esaminare rapidamente le proposte di sgravio delle normative esistenti. Si valuterà anche la possibilità di rimandare i progetti non ancora conclusi che comportano costi elevati per le imprese. Su questa base in autunno il Consiglio federale deciderà ulteriori provvedimenti e riferirà in modo più dettagliato sui lavori. Il dialogo con il mondo economico proseguirà.

La Svizzera nel contesto internazionale

Da qualche tempo il contesto internazionale è molto instabile. Gli Stati Uniti mirano a un riassetto delle relazioni commerciali e prendono le distanze dalla riforma dell’imposta minima globale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). L’Unione europea si concentra maggiormente sul rafforzamento della competitività e sulla riduzione degli oneri amministrativi per le imprese.

Gli effetti di questi cambiamenti sulla piazza economica elvetica sono sia negativi che positivi. La Svizzera continua a offrire un contesto molto favorevole agli investimenti e all’innovazione grazie al suo spirito di apertura, alla stabilità delle condizioni quadro, a una regolamentazione relativamente snella e alle infrastrutture affidabili, nonché all’eccellente panorama di formazione e ricerca. Su uno sfondo di crescente incertezza a livello mondiale, la stabilità giuridica, economica e politica della Svizzera acquista sempre maggiore importanza.

Migliorare le condizioni della piazza economica

Alla luce dell’incertezza e delle sfide a medio termine per la piazza economica svizzera, il miglioramento delle condizioni generali per tutte le imprese è la via più efficace per mantenere la competitività dell’economia nazionale. Il Consiglio federale ne aveva già discusso il 28 maggio scorso, incaricando i dipartimenti di sottoporgli delle proposte di sgravio amministrativo. Su quella base, il Consiglio federale sta intensificando l’attuazione dell’agenda di politica economica del 22 maggio 2024. Sono prioritari gli sforzi volti a ridurre i costi di produzione delle imprese. Occorre inoltre rafforzare ulteriormente l’accesso a mercati internazionali alternativi per diversificare la distribuzione geografica, nonché garantire la certezza del diritto e la pianificazione per le imprese. Sono già stati raggiunti importanti traguardi, tra cui l’accordo di libero scambio con l’India che entrerà presto in vigore, e la recente conclusione dei negoziati per un accordo di libero scambio con il Mercosur.

Sgravare le imprese in modo mirato

Particolare attenzione va riservata alla riduzione degli oneri normativi a carico delle imprese. Con la legge sullo sgravio delle imprese (LSgrI) dello scorso anno sono stati creati gli strumenti necessari, che ora devono essere attuati con coerenza. Bisogna evitare ulteriori oneri derivanti da nuovi progetti di regolamentazione, nonché individuare ulteriori sgravi per le normative esistenti. In questo contesto rivestono un ruolo centrale le valutazioni di settori normativi selezionati («studi settoriali»), inaugurate di recente.

Indennità per lavoro ridotto

Sono allo studio misure rapidamente attuabili per quanto riguarda l’indennità per lavoro ridotto (IRL). All’inizio di settembre il Consiglio federale prenderà posizione su un’iniziativa parlamentare che mira a estendere la durata massima dell’IRL da 18 a 24 mesi nell’arco di un termine quadro di 24 mesi. Anche nel settore della promozione delle esportazioni si sta valutando la necessità di misure supplementari.

Analisi continua della situazione economica

Attualmente i dazi supplementari statunitensi incidono sul 10% circa delle esportazioni di merci dalla Svizzera. A seconda del grado di esposizione, le conseguenze per le singole aziende possono essere gravi. Allo stato attuale, tuttavia, non si prevede una recessione con forti cali del prodotto interno lordo, come quella registrata durante la crisi finanziaria del 2008/2009 o la pandemia, né è opportuno varare un programma congiunturale.

Il Consiglio federale analizza costantemente la situazione economica e all’inizio di settembre si occuperà nuovamente delle misure necessarie di politica congiunturale.


Fonte: CF – Comunicato stampa

“Swiss Made” sotto pressione

Il dilemma delle imprese svizzere tra dazi punitivi e identità di marca

Il 7 agosto ha segnato una svolta nei rapporti commerciali tra Stati Uniti e Svizzera: i dazi “reciproci” introdotti dall’amministrazione Trump impongono ora un aggravio del 39% sui prodotti elvetici. Una soglia che erode margini, riduce volumi e mette a dura prova la competitività delle nostre imprese. In questo contesto le aziende si muovono su una linea sottile: da un lato la tentazione di sfuggire ai dazi punitivi con, talvolta, soluzioni creative, dall’altro l’esigenza di salvaguardare l’integrità dello “Swiss Made”.

Un marchio che vale più di un’etichetta

Lo “Swiss Made” è molto più di un marchio: rappresenta eccellenza, qualità e autenticità. La reputazione dell’ingegneria elvetica si fonda su precisione e affidabilità; l’orologeria è sinonimo di lusso e perfezione meccanica, il cioccolato di raffinatezza. In un mercato globalizzato poche etichette hanno lo stesso peso simbolico. Perderlo significherebbe intaccare un patrimonio fatto di credibilità, prestigio e fiducia costruiti nel tempo.
Molte aziende integrano già componenti o fasi produttive realizzati all’estero. La normativa prevede infatti criteri che lasciano un certo margine di manovra: per i prodotti industriali, ad esempio, almeno il 60% del costo di produzione deve essere sostenuto in Svizzera e il processo che conferisce le caratteristiche essenziali deve svolgersi sul territorio nazionale. Va però ricordato che le regole doganali sull’origine non coincidono perfettamente con quelle che disciplinano lo “Swiss made”, legate alla proprietà intellettuale. In questa sede, tuttavia, tali differenze non saranno approfondite, poiché meno rilevanti rispetto alla garanzia dell’identità svizzera del prodotto.

Soluzioni fantasiose: re-routing e rielaborazioni minime

Per ridurre i dazi, alcune imprese valutano il re-routing verso l’Unione europea (UE) per attività di confezionamento, reimballaggio o semplice assemblaggio. Operazioni legali, ma che non modificano le caratteristiche essenziali del prodotto, non richiedono competenze tecniche e non generano reale valore aggiunto. Si tratta quindi di soluzioni deboli e temporanee, che le espongono a rischi elevati in caso di controlli doganali, che le autorità statunitensi annunciano particolarmente severi nei prossimi mesi.

Ipotesi più realistiche: delocalizzare fasi produttive

Alcune aziende considerano di trasferire fasi produttive nell’UE per beneficiare di dazi più bassi: i prodotti di origine europea, infatti, sono soggetti a un’aliquota del 15%. Qualora tali lavorazioni configurino una “trasformazione sostanziale”, l’accesso al mercato americano risulta più conveniente. Questo approccio però, comporta la perdita dello “Swiss Made” (e, sebbene qui non approfondito, anche dei vantaggi derivanti dall’origine preferenziale svizzera nell’ambito di accordi di libero scambio di rilievo, come quello con Cina o India). Senza questa denominazione, un macchinario, ad esempio, diventa un “altro” prodotto europeo, in concorrenza diretta con prodotti italiani, francesi o tedeschi. Le conseguenze non sono solo semantiche: si perdono unicità, margini e la possibilità di mantenere un premium price.

Reputazione globale a rischio

Lo “Swiss Made” ha valore oltre gli USA: in Asia è sinonimo di lusso, in Medio Oriente garanzia di esclusività, in Europa simbolo di qualità.
Anche in mercati più sensibili al prezzo, come America Latina e Africa, l’etichetta influenza le decisioni d’acquisto. Rinunciarvi significherebbe compromettere la competitività su più mercati, indebolendo un asset strategico costruito in decenni di eccellenza.

Opzioni strategiche a confronto

La preziosa reputazione globale dello “Swiss Made” pone le imprese elvetiche davanti a scelte complesse:

  • Mantenere la produzione in patria, negoziando, laddove possibile, riduzioni di prezzo o condivisione dei costi doganali. Una soluzione che preserva l’integrità del marchio, ma limita la competitività.
  • Delocalizzare nell’UE, riducendo i dazi ma sacrificando lo “Swiss Made”. Resta l’incognita: quanto resteranno in vigore questi dazi?
  • Adottare una strategia ibrida, con linee “Swiss Made” per altri mercati e “Made in EU” per gli USA. Una forma di segmentazione, che richiede una gestione attenta del proprio brand.
  • Abbandonare il mercato statunitense, opzione estrema che salvaguarda l’identità ma riduce le prospettive globali.

I costi nascosti

Trasferire fasi produttive non è mai un’operazione neutra: comporta nuovi contratti di fornitura, costi logistici aggiuntivi, il rafforzamento dei controlli qualità e l’adeguamento a normative differenti. Spesso, questi fattori erodono i risparmi doganali, riducendo il vantaggio competitivo atteso. Ancora di più se i trasferimenti sono “provvisori”: ci si è davvero interrogati sul costo reale della cosiddetta “exit”?

Identità o sopravvivenza?

La scelta strategica non è solo economica, ma anche culturale.
Accettare i dazi significa difendere un marchio che rappresenta la Svizzera nel mondo. Sacrificarlo per la competitività immediata equivale a rinunciare a un patrimonio simbolico difficile da ricostruire. In gioco non c’è solo un’etichetta: è l’essenza dello “Swiss Made”, un valore intangibile che nessuna scorciatoia doganale può sostituire.

Innovare per resistere

Molte aziende svizzere esplorano strategie alternative. Una è la diversificazione geografica, puntando su mercati dove lo “Swiss Made” mantiene fascino, crescita e vantaggi dal libero scambio. L’altra è l’innovazione: investimenti in R&D, digitalizzazione e sostenibilità possono giustificare anche un sovrapprezzo del 39%. Tecnologie proprietarie, certificazioni ambientali e servizi esclusivi trasformano il dazio da ostacolo a elemento distintivo: “costa di più perché vale di più”.

Verso una nuova eccellenza svizzera

Non esiste una soluzione unica: ogni azienda deve bilanciare pragmatismo e identità. Lo “Swiss Made” non può più fare affidamento solo sul prestigio storico; deve dimostrare ogni giorno il proprio valore attraverso innovazione e prestazioni superiori. Da questa sfida può nascere una versione moderna dell’eccellenza svizzera, capace di prosperare anche nei mercati più difficili. La vera forza del “Made in Switzerland” sta nell’evolversi senza tradire la propria essenza.

Nuova scheda SECO: attenzione all’export di macchine utensili

La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha pubblicato una nuova scheda informativa dedicata ai rischi legati all’esportazione di macchine utensili nel contesto delle sanzioni internazionali.

Il documento (PDF, 296 kB, 13.08.2025) richiama l’attenzione sul fatto che, in diversi casi, macchine utensili di origine svizzera sono state casi deviate verso Paesi sottoposti a sanzioni attraverso società di comodo situate in Stati terzi.

Per ridurre tali rischi, la SECO invita le aziende esportatrici a rafforzare i propri sistemi di compliance lungo l’intero processo di esportazione, e in particolare a:

  • applicare una due diligence continua sugli utenti finali e garantire un’adeguata formazione dei collaboratori;
  • effettuare verifiche approfondite prima dell’esportazione, incluse analisi della plausibilità degli ordini e del background dei clienti;
  • introdurre misure di controllo post-esportazione per monitorare ubicazione e utilizzo dei macchinari, segnalando altresì tempestivamente alla SECO eventuali deviazioni sospette;
  • prestare particolare attenzione ai segnali di rischio illegali (i cosiddetti red flags) tipici di acquisti illegali, come anomalie nei prezzi, richieste di riservatezza eccessiva, rotte di trasporto poco plausibili, uso ingiustificato di intermediari o scarsa trasparenza sull’utente finale.

Altri link utili:

Dazi USA: primi effetti

Aziende ticinesi sotto pressione

Da settimane i rapporti commerciali con gli Stati Uniti occupano le prime pagine e le agende di imprese e istituzioni. La decisione americana di imporre un dazio del 39% sulle merci di origine svizzera rappresenta un provvedimento tanto gravoso quanto difficile da comprendere nelle sue motivazioni.
E non facilmente “aggirabile”, perché è bene ribadire, con chiarezza, che il criterio discriminante per l’applicazione dei dazi è l’origine doganale della merce: non contano altre variabili o stratagemmi spesso descritti con eccessiva leggerezza come “vie d’uscita” o soluzioni miracolose.
Non siamo di fronte a un tecnicismo burocratico: l’origine della merce costituisce un elemento centrale della disciplina commerciale internazionale e, di conseguenza, un fattore determinante per le autorità di tutto il mondo e per le strategie aziendali.

Le imprese elvetiche si trovano attualmente a dover prendere decisioni rapide in un contesto che offre pochissime garanzie di stabilità. A oggi i dazi applicati alle merci europee sono ad esempio inferiori del 24% rispetto a quelli gravanti sui prodotti svizzeri, ma resta aperta la domanda: per quanto tempo questa disparità durerà? L’accordo tra Stati Uniti e Unione europea è stato pubblicato da pochi giorni e su diversi punti pesa, comunque, ancora l’incertezza quanto a interpretazione, conseguenze, ecc.
Nei nostri recenti interventi abbiamo più volte sottolineato la complessità del quadro generale. Parlare di delocalizzazione come risposta immediata non è realistico, perché trasferire anche solo una parte di un’attività produttiva richiede tempo, capitali e analisi approfondite. E una volta delocalizzata l’attività non si può fare marcia indietro a piacimento. Lo stesso vale per l’apertura di nuovi mercati. Un percorso che le imprese svizzere intraprendono in modo sistematico da anni, spesso indipendentemente da situazioni di crisi. Non è infatti da vedere come una mossa “disperata” dettata da necessità contingenti, bensì di un lavoro continuo, che comporta investimenti, valutazioni di rischio, ricerca di partner affidabili e tempi fisiologici di consolidamento.
Vale la pena sottolineare che questa attenzione costante delle aziende svizzere alle misure da intraprendere non è una novità. È una realtà che si è manifestata più volte anche in passato, quando il nostro tessuto imprenditoriale ha dovuto fronteggiare crisi di grande portata – dalla crisi finanziaria internazionale al franco forte, fino alla pandemia. Esperienze che hanno dimostrato la resilienza e la capacità di adattamento del sistema produttivo, pur all’interno di scenari difficili e spesso imprevedibili.

Il peso del mercato USA

Al tempo stesso, occorre ricordare che, nel caso specifico, il mercato statunitense non è facilmente sostituibile. Le sue dimensioni, la capacità di spesa e il grado di apertura a beni ad alto valore aggiunto lo rendono un interlocutore quasi imprescindibile. Ogni ipotesi di riduzione della presenza svizzera negli USA deve dunque essere valutata con estrema cautela, poiché implica conseguenze economiche e strategiche non paragonabili a quelle di altri mercati.
Per avere un quadro più preciso e fondato su dati concreti della situazione attuale, la Cc-Ti ha interpellato un campione rappresentativo di aziende associate attive a livello internazionale, appartenenti a settori differenti, per avere un primo rilevamento indicativo delle conseguenze per il tessuto economico ticinese.
In totale, hanno partecipato al sondaggio una sessantina di aziende prevalentemente attive nei comparti MEM (che costituiscono la quota principale), Logistica & Trasporti (14%), Farma/ Medtech/Biotech (7%) e Alimentare & Bevande (7%). Oltre la metà appartiene al settore industriale manifatturiero. Due terzi delle imprese hanno tra 1 e 49 dipendenti, mentre un terzo si colloca nella fascia 50-249.
Per una buona parte delle imprese, l’export verso gli Stati Uniti rappresenta meno del 10% del fatturato. Tuttavia, nel settore MEM la quota cresce in maniera significativa, raggiungendo in alcuni casi anche il 50%. È interessante rilevare come quasi la metà delle aziende dichiari di subire anche effetti indiretti – attraverso clienti o fornitori – e non solo un impatto diretto. Soltanto una minoranza afferma di non essere colpita.
Fra chi è esposto, il peso del dazio risulta tutt’altro che marginale: per il 36% delle imprese l’impatto stimato arriva fino al 25% del fatturato, mentre per il 9% supera tale soglia.
In sostanza, il sondaggio evidenzia che oltre l’84% delle aziende risulta direttamente o indirettamente esposto ai dazi USA. L’impatto più forte colpisce la redditività: quasi la metà delle imprese segnala effetti negativi rilevanti sui margini, mentre oltre il 42% teme cali di fatturato. Le ripercussioni
occupazionali, pur meno marcate, restano significative, con quasi un’azienda su tre che ipotizza riduzioni di organico se la situazione attuale dovesse perdurare.
Dal punto di vista strategico, la delocalizzazione produttiva viene valutata da circa il 23% come un’opzione di lavoro concreta
, mentre quasi un quinto individua nell’automazione un possibile correttivo per mitigare l’effetto dei dazi e rilanciare la competitività.
Nonostante ciò, le strategie di risposta al nuovo regime dei dazi appaiono ancora parziali e non strutturate, come è normale che sia in una situazione del genere.
Prevale un certo attendismo che però deve essere combinato con valutazioni strategiche molto avanzate. Un dilemma all’insegna dell’incertezza che complica notevolmente il lavoro. Le ipotesi di compensazione su altri mercati o di ricorso al lavoro ridotto emergono, ma la quota di indecisi dimostra che prevale, appunto, l’attesa. Molte imprese stanno avviando confronti diretti con i partner americani per valutare una condivisione del peso dei dazi. In alcuni casi i maggiori costi possono essere trasferiti ai consumatori finali, in altri – specie in settori sensibili al prezzo – questo non è possibile.


Accordi bilaterali III fra Svizzera e Unione europea (UE)

Nel giugno del 2025 il Consiglio federale ha approvato gli accordi con l’UE e ha avviato la procedura di consultazione, che durerà fino alla fine di ottobre. Per la fase che va dalla fine del 2024 all’’entrata in vigore del pacchetto, la Svizzera e l’UE hanno definito disposizioni transitorie relative al livello di partenariato e di cooperazione.
L’adozione del messaggio all’attenzione del Parlamento è prevista per il primo trimestre del 2026. Solo l’Accordo sui programmi UE (EUPA) dovrebbe essere firmato dal Consiglio federale già verso la fine dell’autunno 2025. Tale firma consentirà alla Svizzera di partecipare retroattivamente come Stato associato ai programmi Orizzonte Europa, Euratom ed Europa Digitale dal 1° gennaio 2025.

I nostri ospiti, che rappresentano il mondo politico, economico, sindacale e accademico, aiuteranno a comprendere la rilevanza della posta in gioco.

Vi diamo appuntamento il prossimo 19 settembre 2025, dalle ore 18.00, presso il Teatro sociale di Bellinzona, per questo importante momento di confronto che prevede il seguente programma:

  • Saluto introduttivo di Luca Albertoni, Direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino e di Jon Pult, Consigliere nazionale e Presidente dell’Associazione svizzera di politica estera
  • Intervento del Consigliere federale Ignazio Cassis, Capo del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE)

Seguirà una discussione con

  • Vania Alleva, Presidente nazionale del sindacato UNIA
  • Monika Rühl, Presidente della Direzione generale di economiesuisse
  • Giovanni Merlini, Avvocato e Presidente della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI)

La discussione sarà moderata da Pietro Bernaschina, Responsabile attualità TV della Radiotelevisione Svizzera di lingua Italiana (RSI).

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