Anche la responsabilità sociale delle imprese entrerà in conto fra i criteri utilizzati per stilare la classifica dei migliori offerenti nell’ambito della Legge sulle commesse pubbliche. Il Consiglio di Stato, infatti, ha approvato le modalità di applicazione della premialità relativa al criterio della responsabilità sociale delle imprese (CSR) nella Legge sulle commesse pubbliche (LCPubb).
La Responsabilità Sociale di Impresa “RSI” si sta infatti sempre più configurando anche come un fattore di competitività delle aziende e di attrattività del territorio e l’Amministrazione cantonale intende supportare le imprese in questo percorso. La Cc-Ti che fa parte del Gruppo CSR Ticino e condivide questo obiettivo. Si impegna anche nella sensibilizzazione verso i propri associati attraverso l’offerta di diversi strumenti operativi a supporto delle aziende.
Da oltre un anno la Cc-Ti ha messo online, a disposizione dei suoi associati, il “Formulario di autovalutazione”, strumento che permette alle PMI di valutare la propria attitudine per rapporto ai temi della sostenibilità. Oltre 200 imprese del nostro territorio hanno utilizzato questo strumento, ottenendo un primo riscontro rispetto al grado di sostenibilità della loro impresa. Il formulario è gratuito e disponibile per le aziende affiliate nell’area soci sul nostro sito (accesso diretto tramite questo link: www.cc-ti.ch/areasoci).
Da gennaio 2022, inoltre, la Cc-Ti metterà online uno strumento attraverso il quale le aziende potranno redigere, data un’impostazione grafica e tematica, il proprio “Rapporto di sostenibilità” in modo semplificato ed integrarlo con i 30 indicatori scelti dal Consiglio di Stato, pronto da stampare.
Nel “Rapporto di sostenibilità” le aziende potranno descrivere le loro “buone pratiche” in tema di • Governance, • Mercato, • Risorse umane, • Rapporti con la comunità • e Tutela dell’ambiente.
Il punteggio massimo ottenuto nei criteri di aggiudicazione della CSR peserà per un 4% rispetto alla ponderazione degli altri fattori presi in esame per l’aggiudicazione.
Si procederà da gennaio 2022 con una fase di test pilota interna all’Amministrazione cantonale, che coinvolgerà la Divisione delle costruzioni del Dipartimento del territorio e la Sezione della logistica del DFE e le relative commesse, a partire da quelle concernenti le opere da impresario costruttore. Successivamente avverrà l’estensione graduale a tutte le tipologie di commesse. La Cc-Ti organizzerà quindi degli eventi formativi e informativi dedicati alle associazioni di categoria e alle aziende per spiegare i principi e i metodi di compilazione del “Rapporto di sostenibilità” e della scheda riassuntiva degli indicatori.
L’inserimento della CSR nella legislazione sulle commesse pubbliche è un esempio concreto di applicazione dello sviluppo sostenibile in ambito pubblico, che si pone come obiettivo la sensibilizzazione delle imprese nei confronti della responsabilità economica, sociale e ambientale del loro operato.
Nel prossimo numero di Ticino Business presenteremo lo strumento di compilazione del “Report di sostenibilità facilitato” e tutte le relative istruzioni per compilarlo.
Il CAS in CSR SUPSI
Per le imprese che fossero interessate ad approfondire il tema, nel mese di febbraio prenderà il via la quarta edizione del Certificate of Advanced Studies in Responsabilità sociale delle imprese (CSR) promosso dalla SUPSI. Il corso transfrontaliero è riservato a 30 imprese e si pone l’obiettivo di formare manager nell’ambito della sostenibilità in grado di promuovere una strategia all’interno delle loro imprese, valorizzando le buone pratiche e redigendo il rapporto di sostenibilità. Il corso ha una durata di 120 ore, con lezioni sia in presenza che a distanza. Alcuni dei temi trattati, all’interno dei moduli, riguarderanno: l’evoluzione del concetto di responsabilità sociale d’impresa; la mappatura degli stakeholder, il codice etico, compliance, risk management, la catena della fornitura e diritti umani, la gestione delle materie prime, i nuovi sistemi di produzione, eco design, l’economia circolare, le certificazioni, il welfare aziendale, la work life balance, il diversity management, le relazioni con la comunità, i progetti con associazioni, il volontariato d’impresa, la gestione dell’energia, dei rifiuti e dei trasporti, la mobilità aziendale, la strategia e gli strumenti di comunicazione, il rapporto di sostenibilità.
Le lezioni saranno articolate in una parte frontale e in un laboratorio con lo svolgimento di esercitazioni, con testimonianze da parte di imprese, associazioni ed esperti del settore. Le iscrizioni sono aperte fino alla fine del mese di dicembre. Per informazioni: cliccare qui.
Sostegno alla formazione
Tra le misure previste dal Consiglio di Stato, per il periodo 2021-2023, al fine di promuovere ulteriormente l’ambito della responsabilità sociale delle imprese rientra anche l’introduzione di un sostegno diretto alle imprese che intendono investire nella formazione di un responsabile aziendale CSR. Possono accedere al contributo tutte le aziende con sede nel Cantone Ticino che intendono formare un proprio responsabile in CSR. Il sostegno finanziario può essere concesso per la frequentazione di percorsi formativi in CSR quali CAS (Certificate of Advanced Studies), DAS (Diploma of Advanced Studies), MAS (Master of Advanced Studies) e/o formazioni certificate equivalenti. Nella “Direttiva per il sussidiamento della formazione di responsabile aziendale CSR” edita dal DFE viene spiegata la procedura da seguire per effettuare la richiesta di contributo finanziario.
Gianluca Pagani, CSR Manager della Cc-Ti, è a disposizione di tutte le aziende interessate per consulenze o informazioni (pagani@cc-ti.ch).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/07/ART19-sostenibilità.jpg36386000Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-11-30 06:44:002021-12-02 09:28:42Commesse pubbliche, conterà anche la responsabilità sociale
Anche durante la pandemia, la Scuola Manageriale Cc-Ti ha erogato le proprie lezioni adattandosi ad un nuovo modello formativo. La formazione a distanza è stata senz’altro un’opportunità di testare un nuovo modo di insegnamento e di apprendimento, ma ha anche evidenziato degli svantaggi, come per esempio la mancanza del contatto umano o la difficoltà di “creare il gruppo”, di creare l’ambiente” tra gli studenti. Questi importanti aspetti risultano più automatici quando le lezioni sono in presenza.
Abbiamo intervistato due corsisti “Specialisti della gestione PMI” che si sono diplomati recentemente e che hanno seguito le lezioni durante i lockdown. Ecco alcune impressioni.
Intervista a Pelin Kandemir Bordoli, Direttrice Sostare Sagl
Il periodo peculiare attraversato (pensando a COVID-19, smart working, homeschooling, ecc.) ha modificato il nostro quotidiano. Termini come home working, BYOD, lavoro da remoto, games for learning, ecc. hanno fatto la loro prepotente comparsa nelle aziende. Conseguentemente a ciò anche la formazione è stata erogata in modo diverso, ma non meno efficacemente. Anche la Scuola Manageriale si è adeguata. Quali sono stati i momenti che ricorda maggiormente? È servita determinazione e coraggio?
Il ricordo più vivo è sicuramente legato alla fase iniziale della pandemia e al periodo di lockdown con la necessità in tempi brevi e veloci di dover reagire e cambiare radicalmente le nostre modalità di lavoro ma anche di vita. In un momento di incertezza che ha richiesto anche professionalmente una elevata attenzione, capacità di adattamento e flessibilità non è stato facile riuscire a trovare lo spazio necessario per continuare la formazione. Nonostante le difficoltà del caso e la necessità di trovare le strategie personali adeguate a seguire la formazione a distanza, sono contenta di avere portato a termine questo percorso.
Già attiva professionalmente, si è messa in gioco, affrontando un percorso di formazione superiore con la Cc-Ti. Ce ne può parlare?
Penso che sia importante, anche nella vita adulta, trovare degli spazi per aggiornarsi e appropriarsi di nuovi strumenti personali e professionali. Inoltre, per me il valore aggiunto di una formazione per adulti, già attivi professionalmente, risiede anche nella possibilità di incontro e scambio di esperienze tra persone che provengono da situazioni e contesti diversi. Anche in questo senso è stata un’esperienza arricchente grazie al dialogo che si è instaurato con le/gli altri partecipanti e le formatrici e formatori del corso.
Intervista a Christian Bernardi, Specialista della gestione PMI con attestato federale
I dati statistici delle ultime rilevazioni (Ufficio federale di Statistica) mostrano che il tasso di partecipazione alla formazione continua in Svizzera è buono, soprattutto se si considerano le persone che già possiedono solide qualifiche grazie alla formazione di base. Nell’ultimo anno, durante e dopo la pandemia, la modalità di fruizione dell’insegnamento dei corsi di formazione è stata cambiata e adattata a nuove esigenze. Ciò ha sicuramente comportato un’esperienza peculiare, anche per il corso “Specialista della gestione PMI” che lei ha frequentato. Come ha affrontato questo percorso?
Indubbiamente in Ticino e in Svizzera si ha una buona possibilità di formazione, sia di base che continua e superiore. Questo percorso è stato sicuramente una grande sfida personale, che però mi sento di consigliare a chi volesse intraprenderlo. Inizialmente ero un po’ scettico, poiché leggendo le informative sui vari moduli, avevo fatto un’analisi sulle mie conoscenze e competenze come sul mio percorso formativo pensando che non avessi le capacità e mi ero quasi convinto del fatto di desistere. Dialogando però con i vari referenti della Cc-Ti e con la mia Direzione, ho cambiato idea e iniziato questo percorso. Durante il corso si è instaurata un’ottima intesa sia con i compagni, stringendo nuove amicizie con le quali, a tutt’oggi, abbiamo scambi d’informazioni e collaborazioni lavorative, come pure con i docenti; analizzando oggi l’intero percorso posso certamente affermare che ne sono molto soddisfatto.
Essendo un corso manageriale, ciò implica che si andranno ad approfondire diverse nozioni, concetti, come molti temi che spesso e volentieri sono dati per scontati, che però durante il corso i formatori provvedono a spiegare in modo chiaro; vengono poi elaborati, nominati e di conseguenza resi comprensibili e applicabili da noi “studenti”. Non bisogna dimenticare l’impegno aggiuntivo che si necessita per seguire le lezioni come per lo studio individuale, senza tralasciare o trascurare la vita famigliare e l’attività professionale che, con i suoi impegni giornalieri, possono essere molteplici. Questo può diminuire la possibilità di studio, cosa che ho riscontrato molto nel mio campo lavorativo, il quale è molto dinamico e senza orari. La situazione sanitaria creatasi ha fatto sì che le lezioni in presenza fossero sostituite da lezioni online. Questa nuova “normalità” (smart working, home office, ecc.) ha creato diffidenza, confusione, impreparazione. Nel nostro caso le lezioni hanno potuto continuare online. Così facendo le lezioni si sono rilevate più impegnative e difficoltose da seguire, questo poiché le materie trattate richiedevano l’interazione dei partecipanti. Seguire online i moduli di contabilità non è per nulla evidente… Un plauso va agli insegnati che si sono prodigati per fornirci tutte le informazioni come se fossimo in presenza, come pure alla Cc-Ti, la quale si è attivata immediatamente per far sì che il corso potesse continuare ed essere portato a termine per noi partecipanti.
Quali saranno gli insegnamenti che metterà maggiormente in pratica rispetto al percorso intrapreso?
La formazione mi ha permesso di approfondire l’analisi di problematiche alle quali non mi era mai stato richiesto di riflettere e di trovare delle soluzioni rapide, efficienti ed efficaci nello stesso tempo. I diversi temi trattati mi hanno portato a eseguire delle riflessioni sulla mia attività quotidiana con la conseguenza di agire in modo diverso, apportando dei correttivi. Sicuramente nei prossimi anni dovrò eseguire dei cambiamenti, specialmente un miglioramento nell’utilizzo del tempo, come nella mia pianificazione. L’aspetto organizzativo durante il corso, mi ha fatto comprendere l’importanza di avere un “fil rouge”, mettere dei punti di controllo e di verifica in modo da poter analizzare, gestire e risolvere cambiamenti e/o imprevisti. La leadership e la conduzione sicuramente saranno messe in pratica in modo più approfondito nel contesto lavorativo. Posso confermare che la tipologia delle riunioni è stata modificata con gli strumenti forniti nel corso, risultando più proficue e dando la possibilità a tutti i partecipanti di trarne beneficio.
La Scuola Manageriale è frequentata da professionisti con formazioni di base diverse fra loro e che rappresentano uno spaccato molto interessante del tessuto economico ticinese, notoriamente molto variegato. Vi sono pertanto esponenti di piccole e grandi aziende, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi in particolare. Tutti hanno uno scopo comune, cioè integrare e migliorare le loro competenze, nell’ottica della gestione aziendale e di funzioni dirigenti. Il corso viene erogato seguendo dei contenuti tradizionali, ma applicati tenendo conto dei problemi di attualità. Le lezioni permettono ai partecipanti di acquisire maggiori competenze che gli consentiranno di assumere nuove responsabilità in azienda, con soddisfazione personale e competenze diverse all’interno dell’ambito in cui operano. Il corso mira così a garantire competenze pragmatiche, strategiche e operative rispondendo al desiderio di acquisire una maggiore efficienza ed efficacia nella gestione aziendale. Il percorso formativo in questione risponde alle direttive del regolamento d’esame federale e è completato da casi pratici. Per tutti i dettagli in merito è possibile consultare il sito web www.cc-ti.ch/scuola-manageriale.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2018/04/ELM-riga-03.jpg201500Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-11-29 15:27:462025-01-03 14:36:07Ripartire e diplomarsi
Ogni giorno i manager prendono decisioni che determinano il funzionamento delle aziende per cui lavorano. Ciascuna di queste decisioni è presa nella convinzione che le azioni decise, una volta messe in pratica con perizia e impegno produrranno un risultato prevedibile, controllabile e auspicabilmente positivo.
Per incrementare l’efficienza occorre ampliare la prospettiva del nostro sguardo: finché guarderemo al solo risultato di oggi e terremo la vista al solo giardino di casa nostra, illudendoci che sia sufficiente a costruire aziende e organizzazioni di s successo, siamo destinati ad essere travolti dalle crisi.
Anche se sembrerà strano, questo non lo si impara nelle scuole manageriali di grido, ma nella culla. Ci togliamo il ciuccio dalla bocca e lo lanciamo aldilà del bordo della culla, la mamma lo riprende paziente e, dopo averlo pulito, ce lo rimette, noi lo togliamo e lo gettiamo ancora e così per molte altre volte sino a quando la pazienza della mamma finisce. Si chiama ripetizione ludica e serve ad apprendere come controllare la realtà. Quindi per il resto della vita partiremo dall’assunto che ad ogni azione segue una reazione e che questa reazione è generalmente prevedibile a condizione di padroneggiare l’azione. Funziona talmente bene questo principio che ci permette di fare molto altro nella realtà, come ad esempio guidare un’auto.
Di questo principio fa parte un interessante corollario, che ci arriva sempre dall’esperienza pratica: se applico una piccola forza ottengo un piccolo risultato, se ne applico una grande ottengo un risultato più eclatante. Ovvero esiste una proporzionalità diretta tra lo sforzo e il risultato. Del resto, se girate molto il volante dell’auto, questa fa una curva più stretta, o se schiacciate maggiormente l’acceleratore accelera più velocemente, o frena di più se voi premete forte sul pedale del freno. Nel codice manageriale tutto questo va sotto il nome di comando e controllo.
Con questi semplici principi e corollari abbiamo costruito navi, aerei e mandato l’Uomo sulla Luna. Quindi tornando al manager che ha appena preso una decisione, per quale ragione dovremmo contestargliela se il risultato auspicato non arriva?
Se i principi di comando e controllo sono validi, il motivo è di certo una cattiva esecuzione. Ciò sarà imputabile a scarsa competenza o mancanza di motivazione, oppure dei necessari impegno e determinazione. Insomma, è colpa dei collaboratori. Quindi basterà premere un po’ di più, cioè fare pressione manageriale, o mettere più risorse per ottenere il risultato richiesto. Tuttavia, la Storia insegna che molti Generali hanno perso più di una guerra per via dell’applicazione stolida di questi principi. Il punto è che essi pur non essendo sbagliati si applicano solo in alcuni contesti. Quali?
Contesti semplici o anche complicati, ma non a quelli complessi. La rete di interdipendenze che esiste fra gli elementi di un sistema complesso è tale che prevedere quale possa essere la risposta di un sistema a determinate azioni risulta difficile e talvolta persino impossibile. Le aziende e le organizzazioni moderne sono sistemi complessi che vivono all’interno di sistemi più ampi tutti correlati fra loro. In pratica esse sono all’interno di un ecosistema di business. Proprio come negli ecosistemi naturali una piccola modifica dell’ecosistema può produrre dinamiche e cambiamenti molto ampi su tutto l’ecosistema. La pandemia è un ottimo esempio, da una epidemia circoscritta le conseguenze si estendono ben oltre il confine sanitario, ma coinvolgono la scienza, l’economia, la sociologia, la psicologia, la politica e la geopolitica. Eravamo convinti che il mondo funzionasse in un modo estremamente stabile, in cui molte delle cose su cui facciamo affidamento erano date per scontate. La pandemia ha dimostrato il limite di queste illusioni.
Vivere in un contesto complesso cambia il modo in cui il management deve agire e richiede competenze che sono al momento rare. Per tutta una serie di ragioni socio-economiche, che sarebbe lungo esplorare, ci siamo spinti sempre di più in una focalizzazione al breve e abbiamo ridotto il raggio della nostra visione al nostro immediato intorno. Non siamo allenati ad avere visione d’insieme, cercando e mettendo assieme i tantissimi pezzi di puzzle che sono necessari per avere comprensione di uno scenario e un quadro minimamente predittivo.
Tendiamo a non privilegiare un approccio multidisciplinare alle cose e ci accontentiamo di visioni superficiali e unilaterali. Non siamo allenati a muoverci in contesti non ordinati, che mutano velocemente e che non sono facilmente prevedibili. Spesso non riconosciamo o ignoriamo i “segnali deboli”, ci accorgiamo di un fenomeno o, peggio, lo prendiamo in considerazione solo quando ormai è macroscopico, senza capire che i sistemi complessi non reagiscono in modo lineare, ma partono in sordina e poi esplodono. Perciò sottovalutiamo, non incrociamo gli elementi e quando il maremoto arriva diventa difficilissimo sostenerlo. Non siamo capaci di vivere nelle incertezze, ci produce stress, cerchiamo affannosamente punti certi e sicuri, che spesso non esistono.
Facciamo una grandissima fatica ad agire verificando i risultati e adattando costantemente le modalità con cui operiamo, sperimentando a volte in territori sconosciuti. Dopo ogni adattamento vogliamo e cerchiamo la stabilità. Un chiaro esempio sono le difficoltà di tutta la catena di approvvigionamento e logistica con cui le aziende si stanno dibattendo. Abbiamo creato prima un mondo basato sulla massimizzazione dell’ordine, con il just in time e il sincronismo fornitore-cliente, per garantirci la migliore efficienza abbiamo eliminato tutte le ridondanze all’interno delle nostre aziende, abbiamo spostato e concentrato larga parte della produzione in Cina e nei paesi asiatici. Abbiamo insomma creato le migliori condizioni di fragilità e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Consegne ritardate sino a molti mesi, materie prime e componenti di base alle stelle, funzioni di produzione in tilt e…probabilmente un notevole effetto sulle economie come rimbalzo più avanti nel tempo. Non voglio qui aprire il vaso di pandora del discorso ambientalista e della cosiddetta transizione green su cui pure ci sarebbe molto da dire. Tutte queste sono conseguenze di scelte prese senza visione sistemica e comprensione dei sistemi complessi. Si poteva prevedere? Probabilmente si, d’altronde era stata prevista e persino simulata nei dettagli anche la Pandemia. Le condizioni che potevano generare queste crisi, peraltro collegate fra loro, erano tutte visibili. Semplicemente o non le abbiamo viste o abbiamo sperato che non capitasse mai la tempesta perfetta. Ma le tempeste arrivano sempre. Perciò è necessario rendere le organizzazioni, non robuste, parola che implica rigidità, ma antifragili, cioè costruite per essere capaci di riadattarsi rapidamente e flessibilmente.
Quindi che fare?
C’è un lavoro profondo sulle competenze legate al management della complessità che richiede un ripensare a come leggiamo e interpretiamo il nostro ecosistema di business, a quali condizioni creiamo all’interno delle nostre organizzazioni per permettergli di adattarsi costantemente. Non sono solo gli stili di management ad essere coinvolti, ma l’intero impianto organizzativo e il modo con cui le persone si muovono all’interno dell’organizzazione. Un lavoro che impone anche un mutamento dell’orientamento dal breve al lungo periodo, perché le condizioni necessarie per rendere le organizzazioni antifragili si costruiscono nel tempo. Dobbiamo ripensare il concetto di efficienza perché in un mondo complesso essa si ottiene attraverso organizzazioni agili e non più basate su concetti di comando e controllo. Tutto ciò riguarda leader, manager, ma anche collaboratori. Finché guarderemo al solo risultato di oggi e terremo la vista al solo giardino di casa nostra, illudendoci che sia sufficiente a costruire aziende e organizzazioni di successo, siamo destinati ad essere travolti dalle crisi.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-11-29 14:53:572021-11-29 14:53:58La fallace illusione del comando e controllo
Il segretariato dell’International Chamber of Commerce (ICC) di Parigi è stato informato dall’associazione garante del Brasile (CNI) che non prolungherà il mandato quale associazione garante. Questo mandato scadrà il 31 dicembre 2021.
Le dogane brasiliane (RFB) hanno ufficializzato la fine del mandato della CNI e non hanno rinominato una nuova associazione garante, per questo motivo dal 1° gennaio 2022 le Camere di commercio non potranno più rilasciare Carnet ATA verso il Brasile.
È importante tenere conto che i Carnet in circolazione all’interno di questo Paese devono essere timbrati in riesportazione entro il 31.12.2021.
Il Brasile verrà cancellato dalla lista dei Paesi presenti sulla copertina del Carnet ATA.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/06/ART21-carnet-brasile.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-11-24 09:38:002022-06-22 15:03:51Il Brasile verrà cancellato dalla lista dei Paesi del sistema ATA dal 1° gennaio 2022
Canada e Unione Europea hanno firmato un accordo di libero scambio che offre molti vantaggi al Paese nordamericano. In quale misura questo accordo potrebbe offrire sinergie per la Svizzera?
Il rapporto tra Canada e UE è già stato presentato più volte come modello, anche per la Svizzera. Dopo il ‘no’ all’accordo quadro istituzionale fra Svizzera e UE dello scorso maggio, vale la pena approfondire il tema. L’UE usufruisce di un accordo di libero scambio valido dal 2017. Si tratta dell’Accordo economico commerciale globale (CETA), che mira a promuovere il commercio di beni, servizi e investimenti e a rafforzare le relazioni economiche. Qual è il suo contenuto?
Abolizione dei dazi doganali: all’entrata in vigore dell’accordo sono stati eliminati il 99% di tutte le tariffe industriali e il 92% di quelle agricole. Entro sette anni anche le restanti 17 tariffe industriali, ad esempio sulle automobili e le navi, saranno eliminate. Restano delle eccezioni per i prodotti particolarmente sensibili del settore agricolo.
Abolizione delle barriere commerciali non tariffarie: l’accordo CETA riduce gli ostacoli burocratici, ad esempio semplificando le procedure doganali o con il nuovo riconoscimento reciproco dei test di conformità. Allo stesso tempo, vengono ridotti gli ostacoli d’accesso al mercato per i fornitori di servizi.
Mobilità di lavoratori qualificati: viene agevolata la residenza temporanea per i prestatori di servizi a fini commerciali. Semplificando il distacco del personale presso le filiali, montatori e tecnici possono, ad esempio, installare o curare più facilmente macchine e attrezzature fornite in garanzia e con contratti di assistenza.
Accesso bilaterale agli appalti pubblici: per la prima volta l’accesso al mercato degli appalti pubblici sarà aperto a tutti gli ambiti statali. Il Canada e l’UE istituiranno inoltre una banca dati elettronica centrale sulla quale le imprese potranno ritrovare tutte le informazioni sugli appalti pubblici e le relative procedure, su tutti i livelli dell’Amministrazione.
Tutela e promozione degli investimenti: l’accordo prevede l’abbandono del vecchio sistema arbitrale privato a favore di una procedura di regolamentazione delle controversie radicalmente rinnovata e moderna, che sancisce esplicitamente il diritto statale.
L’ICS comprendente un doppio grado di giurisdizione, vale a dire un tribunale permanente e una corte d’appello competente a rivedere le sentenze pronunciate in primo grado dal tribunale, è costituito in via permanente. Al fine di rimuovere la spada di Damocle sospesa sopra le autorità decisionali, il CETA sancisce il diritto delle autorità pubbliche di regolamentare nell’interesse generale, diritto la cui portata è esplicitata nella nota interpretativa all’accordo. Ne consegue che una normativa che pregiudichi un investimento non avrà l’effetto di violare l’obbligo di un trattamento giusto ed equo.
Regole dell’origine: la struttura delle norme generali di origine, ovvero la prova del luogo di produzione, sarà semplificata e le norme locali saranno reciprocamente riconosciute.
Liberalizzazione del commercio di servizi: i fornitori di servizi beneficeranno di un accesso semplificato al mercato, come nei settori postali e delle telecomunicazioni, nonché sulle rotte parziali di navigazione marittima, a partire dalla data di entrata in vigore.
E la Svizzera?
Resta da vedere se l’accordo CETA possa valere quale modello nelle relazioni tra la Svizzera e l’UE. Innanzitutto, l’accordo è ancora troppo “giovane” per poter trarre delle conclusioni. In secondo luogo, molte clausole dell’accordo CETA sono da tempo presenti nell’accordo di libero scambio Svizzera-UE e negli accordi bilaterali e restano valide. In terzo luogo, la relazione politica tra la Svizzera e l’UE è differente da quella tra Svizzera e Canada. Comunque, le relazioni fra Svizzera e Canada sono già molto buone. In effetti, anche l’accordo di libero scambio tra l’AELS e il Canada è stato positivo e ha avuto un impatto significativo sulla crescita del volume degli scambi e degli investimenti osservati negli ultimi anni. In effetti, la Svizzera esporta in Canada circa 4 miliardi di franchi svizzeri all’anno.
Forti legami con la Svizzera
Considerata terra di emigrazione per molte famiglie svizzere, in particolare per il settore agricolo, il Canada dispone di potenzialità in termini di scambio e per le esportazioni. Il momento attuale non è propizio per viaggiare o per le visite da parte delle aziende svizzere verso questo territorio, ma i legami instaurati fra i due Paesi sono buoni e il federalismo e il multilinguismo fanno parte della cultura di entrambe le Nazioni. Per informazione, alla fine del 2019, più di 40’000 cittadini svizzeri risiedevano in Canada. In termini di cooperazione economica, la SECO indica che il Canada è, per importanza, il secondo partner economico della Svizzera nel Continente americano. Nel 2019, la Svizzera ha importato merci dal Canada per quasi 1,2 miliardi di franchi ed ha esportato in questo Paese per 4,4 miliardi di franchi. Queste esportazioni sono costituite principalmente da prodotti farmaceutici. La stessa fonte indica che la Svizzera rientra nella lista dei dieci maggiori investitori stranieri in Canada. Alla fine del 2018 il capitale svizzero investito ammontava a 31 miliardi di franchi. Nello stesso anno, le aziende svizzere impiegavano più di 35’800 persone. Tra i settori di maggiore spinta figurano quelli sanitari e del Medtech.
Il legno in primo piano
Un’altra area di interesse per le PMI svizzere si trova nel campo legato alle costruzioni in legno. S-GE cita Bernhard Gafner, Ingegnere specializzato in costruzioni in legno, sulle opportunità a disposizione delle PMI svizzere nel settore del Cleantech in Canada. “Occorre chinarsi sul quadro normativo, che non è il più complicato. È essenziale avere una buona conoscenza del mercato locale, prestando attenzione al fatto che le differenze fra Paesi possono essere numerose.Una solida analisi di mercato è molto importante per trovare il luogo dove investire e il partner giusto.A nostro avviso, le PMI svizzere che sono in grado di fornire prodotti e servizi relativi all’efficienza energetica e ai sistemi di fissaggio, possono avere successo. Gli standard costruttivi sono in continua evoluzione e sta emergendo la necessità di nuovi prodotti sul mercato. Le finestre e i prodotti per l’isolamento termico ne sono un perfetto esempio”.
Fonte: testo di Henrique Schneider, USAM; adattamento Cc-Ti
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-11-17 08:41:092022-06-22 15:04:06L’accordo di libero scambio fra Canada e l’UE
Le difficoltà riscontrate dal commercio per la scarsità di taluni prodotti sono ormai note. Quasi nessun settore fa eccezione e i commercianti confermano le difficoltà dovute all’elevata domanda globale di giocattoli e ai ritardi nei trasporti dall’Asia. È quindi probabile che la Svizzera, mercato certo attrattivo ma piccolo, potrebbe patire di ritardi notevoli nella fornitura di giocattoli, tanto che questo fattore potrebbe influire sull’attività di vendita natalizia.
I grandi rivenditori di giocattoli hanno cercato di procurarsi prodotti a sufficienza per l’imminente attività natalizia ma la pandemia ha reso questo compito assai arduo.
Il tradizionale negozio Franz Carl Weber e il rivenditore online Digitec Galaxus hanno già avvertito il pubblico delle possibili complicazioni. Le ragioni sono la forte domanda globale e i ritardi nei trasporti navali provenienti dall’Asia. Come detto in precedenza, a livello internazionale il nostro è considerato un Paese piccolo, per cui viene spesso posto tra gli ultimi per quanto riguarda le forniture.
“I mercati più grandi come l’America e l’Inghilterra vengono spesso e volentieri serviti per primi”, spiega Roger Bühler, CEO di Franz Carl Weber. “Dopo i due colossi anglofoni, vi sono i grandi Paesi europei come la Germania e la Francia e solo dopo arriva la Svizzera”.
“La Confederazione è quindi un ‘attore minore’ nel mercato internazionale dei giocattoli: ecco perché le consegne dei giocattoli per Natale potrebbero avere delle complicazioni e forti ritardi”, afferma Bühler. Tuttavia, il negozio Franz Carl Weber farà di tutto per cercare di non avere intoppi.
Problemi di spedizione
I ritardi nella fornitura di giocattoli sono dovuti anche ai problemi nella spedizione, poiché i più grandi porti cinesi come, ad esempio, Ningbo (il terzo porto più grande al mondo) e Yantian (il più grande punto di trasbordo nel Sud della Cina) continuano a ridurre le loro capacità, dati i numerosi lockdown, spiega Bühler.
Per l’industria dei giocattoli, le settimane che precedono il Natale sono tra le più importanti dell’anno. Di conseguenza, i rivenditori faranno tutto ciò che è in loro potere per garantire che gli scaffali delle filiali dei negozi siano ben forniti. Secondo Digitec Galaxus anche i rivenditori online si stanno preparando per avere le forniture necessarie, sperando così che i clienti potranno avere a disposizione un’ampia scelta.
Le merci che arriveranno potrebbero risultare più costose del solito e questo è imputabile ai costi maggiori di trasporto via container, incrementati durante la pandemia. È noto che in Asia i produttori di merci possono aggiungere dei dazi aggiuntivi ai loro prezzi di vendita, per cui aumentano anche i prezzi di vendita dei giocattoli per i clienti finali. Difficile, comunque, a oggi prevedere quale tipologia di giocattoli sarà la più penalizzata da scarsità e ritardi.
Ovviamente l’aumento dei prezzi è anche dovuto all’aumento dei costi per le materie prime, che, nella produzione di giocattoli, sono ad esempio i granulati, la carta, il legno e molti componenti elettronici, che hanno subito un rincaro fino al 35%; a si aggiungono costi di trasporto anche quadruplicati. Aumenti di prezzo già adottati lo scorso anno da alcuni fornitori come Mattel o Hasbro.
Chi ne trarrà vantaggio?
Mattel ha molti marchi di giocattoli famosi nel suo portafoglio: da Barbie a Fisher Price, Scrabble, il gioco di carte UNO e Matchbox. I giochi di Hasbro includono tra gli altri Monopoly, Play-Doh’s Playdough e Transformers.
Secondo gli esperti del settore, la situazione per i rivenditori di giocattoli è più difficile attualmente rispetto al 2020. Per concludere con una nota positiva: va detto che i produttori hanno registrato incrementi interessanti nelle vendite, visto che Mattel ha venduto significativamente più automobiline e bambole nel secondo trimestre 2021 rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente quando, a causa della pandemia, aveva invece avuto una flessione netta.
Fonte: Basler Zeitung, adattamento Cc-Ti
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-11-17 08:32:542021-11-18 17:00:07Anche i giocattoli rischiano di scarseggiare e di diventare più costosi
In un mondo iperconnesso e nelle strategie di marketing e comunicazione digitali delle aziende, parole come influencer, testimonial e ambasciatori del marchio non sono nuove. Chi sono però con esattezza queste figure? Quali le differenze li contraddistinguono? Che ruolo assumono all’interno delle PMI e quali vantaggi portano? Come possono le aziende costruire un network vincente?
Abbiamo risposto a queste e altre domande nel webinar del 9 novembre 2021, organizzato dalla Cc-Ti, dove è intervenuto Giuseppe Maffei, Fondatore Develed Sagl, introdotto da Lisa Pantini, Responsabile Relazioni con i soci Cc-Ti.
Oggi i clienti sono sempre più attratti dalle esperienze reali dei consumatori rispetto alla comunicazione che un marchio propone sui propri prodotti/servizi. I ‘band ambassador’ o ‘ambasciatori del marchio’ sono dei consumatori che hanno una relazione di rispetto e stima per un determinato brand; relazione acquisita nel tempo attraverso l’utilizzo dei prodotti della marca. Il brand ambassador promuove quindi i prodotti e viene ricompensato da una relazione speciale con l’impresa; ma non è pagato dalla stessa per questo tipo di promozione (a differenza ad esempio dagli influencer).
Queste figure creano e condividono esperienze autentiche che hanno/ hanno avuto con uno specifico prodotto, instaurando un ponte di collegamento tra la marca ed altri potenziali acquirenti.
I follower di ogni ‘ambasciatore’ non sono, inoltre, un elemento essenziale per l’azienda che decide di avvicinare un potenziale ‘brand ambassador’; a venir premiata è piuttosto l’autenticità e la credibilità della persona.
Per una PMI è sempre più impegnativo creare dei contenuti sui social media che generino engagement e creino – da parte dei consumatori finali – delle azioni mirate. Infatti, può essere dispendioso trovare la tipologia di contenuti giusti, relativi alle tematiche “in” rispetto al prodotto sul mercato. Il Brand Ambassador conosce invece dettagliatamente la merce (e può – se necessario – segnalare all’azienda eventuali migliorie), realizza foto e video nel luogo e nel contesto d’uso, coinvolge possibili distributori o stakeholders locali, osserva il prodotto dal punto di vista dell’utente (non dell’impresa) e comunica con il medesimo linguaggio dell’utilizzatore. Infine, pubblica poi i contenuti sul suo canale personale e su OPN (other people network) come gruppi di settore.
Come agire quindi? Per sviluppare un network vincente è innanzitutto necessario definire gli obiettivi commerciali e di marketing che si intendono raggiungere attraverso il supporto di queste figure e successivamente identificare il/i canale/i idoneo/i – dove è presente l’audience d’interesse – per veicolare il messaggio dell’azienda. Il programma di adesione a un ‘Brand Ambassador Network’ deve essere reso visibile e accessibile, pubblicando le regole e linee guida specifiche sul sito internet o sui canali social. Nella valutazione e selezione dei profili da parte dell’azienda è opportuno coinvolgere anche il reparto commerciale e, a parità di caratteristiche tra i candidati, sarà utile confrontare i diversi engagement rate (tasso di coinvolgimento dei follower rispetto ai contenuti). È inoltre fondamentale lasciare alle persone scelte ampi margini di manovra per esprimere al massimo la propria creatività, con la forma di comunicazione che più li caratterizza. Fornendo poi dei codici sconto da condividere con i follower si aumenterà la probabilità di creare nuovi lead e acquisire clienti. Utile è poi creare dei gruppi Whatsapp comuni per formare delle communities affiatate, facilitare il dialogo e il supporto reciproco.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-11-16 14:14:332021-11-16 14:14:34Chi sono i ‘Brand Ambassador’?
L’accordo di partenariato economico (CEPA) tra gli Stati dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) e l’Indonesia è entrato in vigore il 1° novembre 2021, migliorando in modo significativo l’accesso al mercato e la certezza giuridica per le PMI svizzere. Il presente articolo si focalizza sull’applicazione pratica del CEPA per quanto riguarda lo scambio di merci.
Giacarta è la capitale e la principale città dell’Indonesia
Scambio di merci: i vantaggi
La Svizzera accorda l’accesso in franchigia doganale ai prodotti industriali indonesiani. Le concessioni accordate nel settore agricolo corrispondono sostanzialmente a quelle di altri accordi di libero scambio.
Tutti i principali settori di esportazione svizzeri beneficiano dell’accordo; questo vale sia per il settore agricolo sia per l’industria. Nel primo caso, l’Indonesia ha eliminato sin da subito, o lo farà entro termini transitori fino a cinque anni, i dazi sul latte e i prodotti del latte; per lo yogurt il termine di abolizione è di nove anni, mentre i dazi su caffè, cioccolata e biscotti verranno eliminati entro dodici anni. Il settore industriale svizzero ha invece ottenuto le seguenti concessioni: nell’industria chimico-farmaceutica praticamente tutti i dazi sono stati eliminati o lo saranno entro termini transitori che variano fino a nove anni; nel settore tessile non vi è un’abolizione generale dei dazi, ma a seconda degli ambiti vi è un libero accesso al mercato con termini di abolizione che variano da cinque a dodici anni; salvo poche eccezioni, i dazi sui macchinari sono stati completamente eliminati con l’entrata in vigore dell’accordo o lo saranno entro termini transitori che variano da cinque a dodici anni; infine i dazi sugli orologi sono stati eliminati con l’entrata in vigore dell’accordo o lo saranno entro termini transitori che variano da cinque a nove anni. Allo scadere dei termini previsti per l’abolizione dei dazi, la Svizzera potrà esportare in Indonesia il 98 % dei suoi prodotti in franchigia doganale.
Le principali disposizioni in materia di origine
le disposizioni in materia di origine e le lavorazioni e trasformazioni necessarie per l’ottenimento dell’origine preferenziale sono elencate nell’allegato I dell’accordo e sono reperibili anche nella direttiva R-30 “Accordi di libero scambio, preferenze doganali e origine delle merci” dell’Amministrazione federale delle dogane. Con l’entrata in vigore del CEPA, l’Indonesia non beneficia più delle preferenze doganali secondo il sistema di preferenze generalizzate per Paesi in sviluppo;
l’accordo prevede il cumulo dei prodotti originari tra gli Stati dell’AELS e l’Indonesia. Non è ammesso il cumulo con merci di altri partner di libero scambio;
l’accordo prevede la regola di non modificazione: i prodotti esportati non devono subire alcuna lavorazione o trasformazione non ammessa e devono rimanere permanentemente sotto controllo doganale. È ammesso il trasbordo e/o il frazionamento di invii (splitting-up) in Stati terzi;
come prova dell’origine vale esclusivamente la dichiarazione d’origine (Allegato I, art. 12). Essa può essere allestita dall’esportatore, indipendentemente dal valore della merce. Il certificato di circolazione EUR1 non è ammesso.
La dichiarazione d’origine deve essere allestita esclusivamente in inglese ed avere il seguente tenore:
la procedura di controllo a posteriori prevede un termine di tre mesi (prorogabile di ulteriori tre mesi) per rispondere alle domande di controllo e per presentare i giustificativi. Le tempistiche sono brevi, gli esportatori devono pertanto prepararsi adeguatamente;
l’importazione preferenziale di olio di palma e olio di palmisti è soggetta, oltre alla dichiarazione d’origine, anche a una prova di sostenibilità e a un’autorizzazione preferenziale rilasciata dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO) precedentemente alla prima importazione, con attribuzione di un numero di autorizzazione;
le merci originarie che, al momento dell’entrata in vigore dell’accordo, si trovano in transito oppure in custodia temporanea in un deposito doganale o in una zona franca possono tuttavia beneficiare dell’imposizione all’aliquota preferenziale nel quadro dell’accordo. In questo caso, fino al 28 febbraio 2022 sussiste la possibilità di presentare una dichiarazione d’origine allestita nel Paese d’esportazione dopo l’entrata in vigore dell’Accordo nonché documenti che comprovano il trasporto diretto.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-11-09 13:58:162022-06-22 15:04:49In vigore l’accordo di partenariato economico (CEPA) tra AELS e Indonesia
Aziende più automatizzate e robotizzate per ottimizzare linee produttive, costi e competitività, più prossimità con clienti finali, catene di approvvigionamento più corte ma più sicure e controllabili. Sono gli elementi distintivi del reshoring, ovvero la rilocalizzazione in patria di produzioni, o parte di esse, che erano state trasferite all’estero. Un fenomeno di cui si è cominciato a parlare nel 2008, a ridosso della grande crisi finanziaria, ma che oggi potrebbe assumere maggiore consistenza alla luce della tempesta perfetta che si è abbattuta sull’economia mondiale con il coronavirus.
Nuovi equilibri
Due anni di pandemia hanno messo a dura prova le global value chains, già sfibrate dai dazi e dalle barriere protezionistiche di una guerra commerciale a scena aperta che aveva bruscamente frenato gli scambi internazionali. La diffusione del virus, inceppando l’economia di tutti i Paesi avanzati, ha evidenziato l’importanza e le criticità delle supply chain mondiali. Le lunghe catene di approvvigionamento sono state messe sotto stress da una ripresa asimmetrica, tra Asia e Occidente, che ha ingolfato l’intero sistema di produzione e distribuzione delle merci, facendo impennare i costi dei trasporti.
A inasprire il quadro delle nuove tensioni geopolitiche, nel quale la Cina va dismettendo il ruolo di fabbrica mondiale a basso costo per proiettarsi in quello di super potenza a tutti gli effetti, sono arrivati la crisi delle materie prime e lo shock energetico. I prezzi di petrolio, gas e carbone hanno raggiunto livelli record, ridestando ovunque le spinte inflazionistiche. Difficoltà negli approvvigionamenti, linee produttive ferme o che lavorano a scartamento ridotto e numerosi Paesi occidentali, tra cui la Svizzera come ha avvertito il consigliere federale Guy Parmelin, che rischiano il blackout. Gli equilibri su cui si sono retti sinora la produzione e il commercio mondiali sono divenuti instabili.
Cambia la mappa della divisione internazionale del lavoro e per l’economia, già alle prese con la complessità della trasformazione digitale e gli ingenti costi di una transizione ecologica programmata avventatamente più sulla base delle emozioni che dei fatti, si aprono scenari inediti. Scenari che impongono ripensamenti anche nelle scelte d’investimento e di allocazione delle risorse.
Si ritorna casa?
È in questa prospettiva che il backshoring, il ritorno in patria delle attività produttive, e il nearshoring, il rientro in un Paese limitrofo, potrebbero diventare un’opzione concreta. Gli Stati Uniti fanno ad esempio capo al Messico, mentre i paesi del Vecchio Continente si rivolgono verso l’Est europeo o il Nordafrica, magari più cari dei paesi asiatici, ma appunto più vicini e quindi più “accessibili” per puntuali fasi di produzione. Tuttavia, malgrado le molte speranze riposte in evoluzioni che portino a un rimpatrio delle attività, gli studi internazionali non hanno ancora registrato numeri tali da rilevare una vera e propria tendenza verso il ritorno a casa delle imprese. Anche in Svizzera si sono avuti pochi casi di backshoring, più frequente invece quelli del rientro in Stati vicini, come Romania o Polonia, di alcune fasi produttive che erano state delocalizzate in Asia. Il caso più conosciuto è quello della Wander, che ha riportato in Svizzera la produzione dell’Ovomaltina da spalmare sul pane. Adidas ha fatto la stessa cosa in Germania per alcuni suoi modelli di scarpe, ma va detto che, in generale, in termini di posti di lavoro il “fenomeno” (se così si può chiamare) resta molto contenuto.
Se la tecnologia permette di produrre a costi che ridiventano interessanti, d’altra parte non vi è grande necessità di maggiorare la forza lavoro umana. Magari più qualificata, questo certamente, ma non dal punto di vista numerico.
Anche se va rimarcato l’effetto di creazione di posti di lavoro legato al fatto che attività nuove, seppur limitate, attirino altre aziende e si approvvigionano di attrezzature e prestazioni di servizi in loco.
Stimolare il rimpatrio?
Leggermente diversa è la situazione quando il reshoring è incoraggiato con sovvenzioni dichiarate, o più meno “nascoste”, da alcuni Stati che, con una strategia protezionistica, vorrebbero garantirsi l’autonomia e l’indipendenza per alcune produzioni. Ci ha provato negli USA, con poco successo, il presidente Trump, ci sta tentando la Francia di Macron per alcuni prodotti farmaceutici, mentre in Giappone il governo ha stanziato 2,2 miliardi di dollari per riportare in patria imprese che si erano trasferite in Cina.
Da un punto di vista elvetico, questo approccio però è considerato, poco “svizzero”. Come indicato qualche tempo fa dalla Seco, il Consiglio federale non è incline a una politica industriale aggressiva, ma si predilige la scelta di garantire condizioni generali che possano essere interessanti per tutte le aziende per “fare impresa”, per fare in modo che l’economia “se la cavi da sola”. Scelta che a corto termine può magari metterci in posizione di debolezza verso la concorrenza sempre più agguerrita di molti altri paesi, ma che probabilmente, sul lungo termine è più pagante e soprattutto va a beneficio di tutti i settori, senza distinzioni fra grandi e piccole aziende.
Elemento importante perché finora si è rilevato piuttosto un rimpatrio di piccole e medie imprese, emigrate soprattutto per ragioni di costi, mentre le grandi aziende sono più restìe a spostarsi. Avantutto per i tempi spesso molto lunghi del trasferimento di un’attività (spesso calcolato in termini di numerosi anni) e per la necessità di ammortizzare investimenti magari molto importanti in siti di produzione non abbandonabili in tempi brevi. Inoltre, le grandi aziende prediligono spesso paesi vicini a quelli che sono i mercati di destinazione dei loro prodotti.
Assicurarsi l’autosufficienza in diversi settori economici e non solo in quelli tradizionalmente ritenuti strategici, può indurre a politiche aggressive di “recupero” delle aziende. Non sono mancate negli ultimi anni misure protezionistiche che tendono anche al controllo preventivo su acquisizioni e fusioni da parte di investitori stranieri, nuovi dazi sui prodotti esteri e barriere doganali. Strategie che, inevitabilmente, irrigidiscono le dinamiche del libero mercato, generando inefficienze e costi aggiuntivi per la collettività e che riducono anche per tutte le altre imprese la possibilità di acquisire vantaggi competitivi attraverso una migliore allocazione dei fattori produttivi lungo le catene del valore globale. Ma l’esercizio è più complesso di quanti molti credono, perché il mondo e l’economia sono a tal punto interconnessi e interdipendenti che scegliere di ritornare non succede dall’oggi al domani. In realtà si apre solo un altro ciclo con la riconfigurazione delle supply chain globali e il consolidarsi delle supply network, con nuovi assetti nella divisione internazionale del lavoro e nel commercio mondiale che si rafforzerà in alcune aree regionali attraverso catene del valore che si svilupperanno anche a medio e corto raggio.
Le ragioni del reshoring
“Reshoring di Stato” a parte, sotto la pressione dell’incertezza e dell’instabilità odierne sono tante le ragioni che possono indurre un’impresa a rientrare in patria: difficoltà nell’approvvigionamento e nelle forniture, tempi di consegna troppo lunghi, vantaggio reputazionale sui mercati internazionali con un autentico “Made in…” , problemi di qualità, elevati costi logistici, ostacoli doganali, minore dispersione del know-how, più prossimità per reagire rapidamente alla domanda dei consumatori, maggiore sicurezza coi fornitori locali, produzioni che richiedono manodopera sempre più qualificata (non sempre reperibile nei Paesi dove costa meno), sensibilità ambientale, digitalizzazione che oggi permette di mantenere e rafforzare i contatti anche con i mercati più lontani, e, non da ultimo, la necessità di ridurre i rischi nel caso di nuove emergenze mondiali. Ma, come visto in precedenza, tra i fattori determinanti del reshoring ci sono soprattutto l’automazione e la robotica che aumentano la produttività e riducono il costo del lavoro, mentre laddove prima costava molto meno ora va rincarando.
Nel giro di quindici anni appena, il prezzo dei robot industriali è sceso da 70mila a 15mila dollari, dunque alla portata pure delle piccole aziende, l’automazione è ancora più sofisticata, precisa, e l’intelligenza artificiale riesce a sovrintendere i processi produttivi più complessi. Non per nulla è emersa anche la tesi di tassare i robot, discussa anche nel quadro della nostra Assemblea generale dello scorso 15 ottobre 2021 con il noto fiscalista ginevrino Xavier Oberson. Tema molto complesso dal punto di vista giuridico e pratico e che suscita numerose perplessità anche per le difficoltà che potrebbe creare nell’ambito dell’innovazione.
Ma sarebbe sbagliato ignorarlo, perché nel contesto dei profondi e rapidi cambiamenti portati dalla tecnologia e dall’intelligenza artificiale, sarà quasi inevitabile anche affrontare gli adattamenti dei sistemi fiscali, togliendo ad esempio determinate imposte che stanno diventando obsolete o che non avranno più la stessa giustificazione. Come l’imposta sulla sostanza che la Svizzera mantiene, nonostante sia ormai poco diffusa a livello internazionale.
Chi spera nel tramonto o nella forte limitazione degli scambi internazionali non deve però farsi troppe illusioni. Il “reshoring” non significa un ripiegamento esclusivo nei confini domestici, rinunciando all’internazionalizzazione che è spesso un fattore decisivo per la crescita delle imprese e del sistema economico. Si resta competitivi se si resta nelle reti globali della produzione che permettono di acquisire le risorse migliori, le tecnologie più avanzate, gli approvvigionamenti più convenienti e di raggiungere più facilmente i mercati di riferimento. Dunque, se si vuole favorire, anche nel nostro Paese, la rilocalizzazione aziendale, senza scadere in deleterie pratiche protezionistiche, serve “rinverdire” l’approccio elvetico summenzionato, cioè la cura delle spesso menzionate condizioni quadro. Sembrano banalità, ma una fiscalità leggera, infrastrutture e formazione al passo con i tempi, regole e burocrazia meno vessatorie per la libertà economica sono elementi-chiave per potersi giocare anche la sfida di un rimpatrio di talune attività. Così come l’accoglienza di idee e persone in una buona collaborazione fra pubblico e privato e un dialogo più costruttivo tra le parti sociali sono fondamentali per ogni insediamento. Questa è la base non solo per cercare di richiamare in Svizzera talune attività, ma anche per evitare che ne partano delle altre.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-11-02 06:25:002021-10-29 10:27:29Pronti a tornare a casa?
Lo scorso 19 ottobre, in un webinar dedicato, la Cc-Ti ha trattato il tema della nuova la legge federale sulla protezione dei dati (LPD). Ad intervenire quale relatore esperto è stato Gianni Cattaneo, Avv., LL. M., Cattaneo Bionda Mazzucchelli Studio legale e notarile, dopo un breve saluto da parte di Lisa Pantini, Responsabile delle relazioni con i soci della Cc-Ti.
La nuova LPD è stata adottata dall’Assemblea federale il 25 settembre 2020, dopo un lungo periodo di gestazione. L’esatta data di entrata in vigore non è ancora stata decretata, realisticamente si prevede però che essa sarà fissata nel secondo semestre 2022 o per l’inizio di gennaio 2023. Essa si prefigge di proteggere la personalità e i diritti fondamentali delle persone fisiche, i cui dati personali sono oggetto di trattamento da parte di privati e organi federali. Lo scopo è quello di creare una società digitale sicura, efficiente e non discriminatoria.
I principi generali cardine alla base della nuova LPD sono la liceità (tramite il supporto di un motivo giustificativo riconosciuto, quale la legge, il consenso o l’interesse preponderante pubblico o privato), la buona fede, la proporzionalità, la sicurezza, la finalità, l’esattezza e la privacy by design e by default. Essi vanno considerati e applicati da ogni azienda nello svolgimento di qualsiasi operazione in relazione a dati personali ordinari o degni di particolare protezione.
È inoltre necessario adempiere ai seguenti obblighi: informare le persone interessate circa i trattamenti svolti dall’impresa (o delegati a terzi) fornendo tutte le indicazioni previste dalla legge; munirsi di un apposito registro in cui repertoriare le attività (quali dati vengono trattati, da chi, come, dove, per quale scopo, chi ne è destinatario e sulla base di quale motivo giustificativo avviene il processo); svolgere valutazioni d’impatto sulla protezione dei dati personali per i trattamenti a rischio accresciuto e, ove necessario, effettuare la consultazione preventiva dell’Incaricato federale; notificare all’Incaricato federale le violazioni della sicurezza dei dati in situazioni di probabile pericolo ingente e alla persona coinvolta su ordine di quest’ultimo o se richiesto per la sua protezione; e, infine, non trasferire, salvo particolari eccezioni, dati verso Stati privi di una legislazione adeguata di protezione dei dati.
La nuova LPD non prevede l’obbligatorietà in Svizzera (diversamente dal resto d’Europa) della figura del Data Protection Officer (DPO) nel settore privato, ma la sua eventuale nomina comporta l’esclusione dell’obbligo di consultazione preventiva dell’Incaricato federale in presenza di trattamenti a rischio elevato.
Data la complessità della questione è essenziale sensibilizzare e formare i dipendenti in maniera adeguata sui rischi, sui diritti e sugli oneri di ciascuno in materia di protezione dei dati personali, nonché sulle responsabilità collegate, considerando anche la diffusione di situazioni straordinarie come quella del telelavoro. Decisivo per la buona riuscita della trasformazione anche lo sviluppo di un piano d’azione preciso ed efficiente che spazia dalla creazione di un team di progetto autorevole supportato dalla Direzione e dal CdA, alla determinazione di un programma di lavoro con relativo scadenziario in base alle risorse disponibili, agli obiettivi e alle priorità d’intervento.
Il termine di entrata in vigore è ancora lontano (ipotesi: gennaio 2023). Alcune aziende potrebbero commettere l’errore di rinviare la questione del trattamento dati tenere presente la complessità degli adempimenti, delle fasi tecniche per la loro attuazione e del fatto che la nuova LPD non prevede un periodo di adattamento dopo la sua introduzione. È perciò di primaria importanza sfruttare i prossimi mesi per avviare, senza indugio, il processo di messa a norma, trattandosi di una revisione complessa che avrà un notevole impatto sulla società e le imprese.
A tal proposito la Cc-Ti organizza regolarmente dei corsi di formazione (dove l’Avv. Gianni Cattaneo interviene quale relatore) chiamati “Nuova legge sulla protezione dei dati personali: un Action Plan per trovarsi pronti in tempo utile”. Questi percorsi formativi – riproposti regolarmente – sono pensati per fornire gli strumenti concreti alle PMI per arrivare all’entrata in vigore della LPD in modo efficiente.Per accedere all’offerta formativa Cc-Ti è possibile cliccare su questo link.
Infine, contrariamente al diritto europeo, che prevede pesanti sanzioni amministrative pecuniarie a carico delle società, il diritto svizzero opta per la responsabilizzazione dei membri del Consiglio di Amministrazione e/o manager in quanto detentori del potere decisionale. Essi saranno ritenuti penalmente perseguibili per le violazioni intenzionali della LPD imputabili alle loro aziende, tra cui la mancata implementazione degli standard minimi di sicurezza (con multe fino a CHF 250’000.-).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-10-28 07:48:262021-10-28 07:48:27Per una società digitale sicura
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Commesse pubbliche, conterà anche la responsabilità sociale
/in Sostenibilità, TematicheAnche la responsabilità sociale delle imprese entrerà in conto fra i criteri utilizzati per stilare la classifica dei migliori offerenti nell’ambito della Legge sulle commesse pubbliche. Il Consiglio di Stato, infatti, ha approvato le modalità di applicazione della premialità relativa al criterio della responsabilità sociale delle imprese (CSR) nella Legge sulle commesse pubbliche (LCPubb).
La Responsabilità Sociale di Impresa “RSI” si sta infatti sempre più configurando anche come un fattore di competitività delle aziende e di attrattività del territorio e l’Amministrazione cantonale intende supportare le imprese in questo percorso. La Cc-Ti che fa parte del Gruppo CSR Ticino e condivide questo obiettivo. Si impegna anche nella sensibilizzazione verso i propri associati attraverso l’offerta di diversi strumenti operativi a supporto delle aziende.
Da oltre un anno la Cc-Ti ha messo online, a disposizione dei suoi associati, il “Formulario di autovalutazione”, strumento che permette alle PMI di valutare la propria attitudine per rapporto ai temi della sostenibilità. Oltre 200 imprese del nostro territorio hanno utilizzato questo strumento, ottenendo un primo riscontro rispetto al grado di sostenibilità della loro impresa. Il formulario è gratuito e disponibile per le aziende affiliate nell’area soci sul nostro sito (accesso diretto tramite questo link: www.cc-ti.ch/areasoci).
Da gennaio 2022, inoltre, la Cc-Ti metterà online uno strumento attraverso il quale le aziende potranno redigere, data un’impostazione grafica e tematica, il proprio “Rapporto di sostenibilità” in modo semplificato ed integrarlo con i 30 indicatori scelti dal Consiglio di Stato, pronto da stampare.
Nel “Rapporto di sostenibilità” le aziende potranno descrivere le loro “buone pratiche” in tema di
• Governance,
• Mercato,
• Risorse umane,
• Rapporti con la comunità
• e Tutela dell’ambiente.
Il punteggio massimo ottenuto nei criteri di aggiudicazione della CSR peserà per un 4% rispetto alla ponderazione degli altri fattori presi in esame per l’aggiudicazione.
Si procederà da gennaio 2022 con una fase di test pilota interna all’Amministrazione cantonale, che coinvolgerà la Divisione delle costruzioni del Dipartimento del territorio e la Sezione della logistica del DFE e le relative commesse, a partire da quelle concernenti le opere da impresario costruttore. Successivamente avverrà l’estensione graduale a tutte le tipologie di commesse. La Cc-Ti organizzerà quindi degli eventi formativi e informativi dedicati alle associazioni di categoria e alle aziende per spiegare i principi e i metodi di compilazione del “Rapporto di sostenibilità” e della scheda riassuntiva degli indicatori.
L’inserimento della CSR nella legislazione sulle commesse pubbliche è un esempio concreto di applicazione dello sviluppo sostenibile in ambito pubblico, che si pone come obiettivo la sensibilizzazione delle imprese nei confronti della responsabilità economica, sociale e ambientale del loro operato.
Nel prossimo numero di Ticino Business presenteremo lo strumento di compilazione del “Report di sostenibilità facilitato” e tutte le relative istruzioni per compilarlo.
Il CAS in CSR SUPSI
Per le imprese che fossero interessate ad approfondire il tema, nel mese di febbraio prenderà il via la quarta edizione del Certificate of Advanced Studies in Responsabilità sociale delle imprese (CSR) promosso dalla SUPSI. Il corso transfrontaliero è riservato a 30 imprese e si pone l’obiettivo di formare manager nell’ambito della sostenibilità in grado di promuovere una strategia all’interno delle loro imprese, valorizzando le buone pratiche e redigendo il rapporto di sostenibilità. Il corso ha una durata di 120 ore, con lezioni sia in presenza che a distanza. Alcuni dei temi trattati, all’interno dei moduli, riguarderanno: l’evoluzione del concetto di responsabilità sociale d’impresa; la mappatura degli stakeholder, il codice etico, compliance, risk management, la catena della fornitura e diritti umani, la gestione delle materie prime, i nuovi sistemi di produzione, eco design, l’economia circolare, le certificazioni, il welfare aziendale, la work life balance, il diversity management, le relazioni con la comunità, i progetti con associazioni, il volontariato d’impresa, la gestione dell’energia, dei rifiuti e dei trasporti, la mobilità aziendale, la strategia e gli strumenti di comunicazione, il rapporto di sostenibilità.
Le lezioni saranno articolate in una parte frontale e in un laboratorio con lo svolgimento di esercitazioni, con testimonianze da parte di imprese, associazioni ed esperti del settore. Le iscrizioni sono aperte fino alla fine del mese di dicembre. Per informazioni: cliccare qui.
Sostegno alla formazione
Tra le misure previste dal Consiglio di Stato, per il periodo 2021-2023, al fine di promuovere ulteriormente l’ambito della responsabilità sociale delle imprese rientra anche l’introduzione di un sostegno diretto alle imprese che intendono investire nella formazione di un responsabile aziendale CSR. Possono accedere al contributo tutte le aziende con sede nel Cantone Ticino che intendono formare un proprio responsabile in CSR. Il sostegno finanziario può essere concesso per la frequentazione di percorsi formativi in CSR quali CAS (Certificate of Advanced Studies), DAS (Diploma of Advanced Studies), MAS (Master of Advanced Studies) e/o formazioni certificate equivalenti. Nella “Direttiva per il sussidiamento della formazione di responsabile aziendale CSR” edita dal DFE viene spiegata la procedura da seguire per effettuare la richiesta di contributo finanziario.
Gianluca Pagani, CSR Manager della Cc-Ti, è a disposizione di tutte le aziende interessate per consulenze o informazioni (pagani@cc-ti.ch).
Ripartire e diplomarsi
/in Appuntamenti, Scuola managerialeAnche durante la pandemia, la Scuola Manageriale Cc-Ti ha erogato le proprie lezioni adattandosi ad un nuovo modello formativo. La formazione a distanza è stata senz’altro un’opportunità di testare un nuovo modo di insegnamento e di apprendimento, ma ha anche evidenziato degli svantaggi, come per esempio la mancanza del contatto umano o la difficoltà di “creare il gruppo”, di creare l’ambiente” tra gli studenti. Questi importanti aspetti risultano più automatici quando le lezioni sono in presenza.
Abbiamo intervistato due corsisti “Specialisti della gestione PMI” che si sono diplomati recentemente e che hanno seguito le lezioni durante i lockdown. Ecco alcune impressioni.
Intervista a Pelin Kandemir Bordoli, Direttrice Sostare Sagl
Il periodo peculiare attraversato (pensando a COVID-19, smart working, homeschooling, ecc.) ha modificato il nostro quotidiano. Termini come home working, BYOD, lavoro da remoto, games for learning, ecc. hanno fatto la loro prepotente comparsa nelle aziende. Conseguentemente a ciò anche la formazione è stata erogata in modo diverso, ma non meno efficacemente. Anche la Scuola Manageriale si è adeguata. Quali sono stati i momenti che ricorda maggiormente? È servita determinazione e coraggio?
Il ricordo più vivo è sicuramente legato alla fase iniziale della pandemia e al periodo di lockdown con la necessità in tempi brevi e veloci di dover reagire e cambiare radicalmente le nostre modalità di lavoro ma anche di vita. In un momento di incertezza che ha richiesto anche professionalmente una elevata attenzione, capacità di adattamento e flessibilità non è stato facile riuscire a trovare lo spazio necessario per continuare la formazione. Nonostante le difficoltà del caso e la necessità di trovare le strategie personali adeguate a seguire la formazione a distanza, sono contenta di avere portato a termine questo percorso.
Già attiva professionalmente, si è messa in gioco, affrontando un percorso di formazione superiore con la Cc-Ti. Ce ne può parlare?
Penso che sia importante, anche nella vita adulta, trovare degli spazi per aggiornarsi e appropriarsi di nuovi strumenti personali e professionali. Inoltre, per me il valore aggiunto di una formazione per adulti, già attivi professionalmente, risiede anche nella possibilità di incontro e scambio di esperienze tra persone che provengono da situazioni e contesti diversi. Anche in questo senso è stata un’esperienza arricchente grazie al dialogo che si è instaurato con le/gli altri partecipanti e le formatrici e formatori del corso.
Intervista a Christian Bernardi, Specialista della gestione PMI con attestato federale
I dati statistici delle ultime rilevazioni (Ufficio federale di Statistica) mostrano che il tasso di partecipazione alla formazione continua in Svizzera è buono, soprattutto se si considerano le persone che già possiedono solide qualifiche grazie alla formazione di base. Nell’ultimo anno, durante e dopo la pandemia, la modalità di fruizione dell’insegnamento dei corsi di formazione è stata cambiata e adattata a nuove esigenze. Ciò ha sicuramente comportato un’esperienza peculiare, anche per il corso “Specialista della gestione PMI” che lei ha frequentato. Come ha affrontato questo percorso?
Indubbiamente in Ticino e in Svizzera si ha una buona possibilità di formazione, sia di base che continua e superiore. Questo percorso è stato sicuramente una grande sfida personale, che però mi sento di consigliare a chi volesse intraprenderlo. Inizialmente ero un po’ scettico, poiché leggendo le informative sui vari moduli, avevo fatto un’analisi sulle mie conoscenze e competenze come sul mio percorso formativo pensando che non avessi le capacità e mi ero quasi convinto del fatto di desistere. Dialogando però con i vari referenti della Cc-Ti e con la mia Direzione, ho cambiato idea e iniziato questo percorso. Durante il corso si è instaurata un’ottima intesa sia con i compagni, stringendo nuove amicizie con le quali, a tutt’oggi, abbiamo scambi d’informazioni e collaborazioni lavorative, come pure con i docenti; analizzando oggi l’intero percorso posso certamente affermare che ne sono molto soddisfatto.
Essendo un corso manageriale, ciò implica che si andranno ad approfondire diverse nozioni, concetti, come molti temi che spesso e volentieri sono dati per scontati, che però durante il corso i formatori provvedono a spiegare in modo chiaro; vengono poi elaborati, nominati e di conseguenza resi comprensibili e applicabili da noi “studenti”. Non bisogna dimenticare l’impegno aggiuntivo
che si necessita per seguire le lezioni come per lo studio individuale, senza tralasciare o trascurare la vita famigliare e l’attività professionale che, con i suoi impegni giornalieri, possono essere molteplici. Questo può diminuire la possibilità di studio, cosa che ho riscontrato molto nel mio campo lavorativo, il quale è molto dinamico e senza orari. La situazione sanitaria creatasi ha fatto sì che le lezioni in presenza fossero sostituite da lezioni online. Questa nuova “normalità” (smart working, home office, ecc.) ha creato diffidenza, confusione, impreparazione. Nel nostro caso le lezioni hanno potuto continuare online. Così facendo le lezioni si sono rilevate più impegnative e difficoltose da seguire, questo poiché le materie trattate richiedevano l’interazione dei partecipanti.
Seguire online i moduli di contabilità non è per nulla evidente… Un plauso va agli insegnati che si sono prodigati per fornirci tutte le informazioni come se fossimo in presenza, come pure alla Cc-Ti, la quale si è attivata immediatamente per far sì che il corso potesse continuare ed essere portato a termine per noi partecipanti.
Quali saranno gli insegnamenti che metterà maggiormente in pratica rispetto al percorso intrapreso?
La formazione mi ha permesso di approfondire l’analisi di problematiche alle quali non mi era mai stato richiesto di riflettere e di trovare delle soluzioni rapide, efficienti ed efficaci nello stesso tempo. I diversi temi trattati mi hanno portato a eseguire delle riflessioni sulla mia attività quotidiana con la conseguenza di agire in modo diverso, apportando dei correttivi. Sicuramente nei prossimi anni dovrò eseguire dei cambiamenti, specialmente un miglioramento nell’utilizzo del tempo, come nella mia pianificazione. L’aspetto organizzativo durante il corso, mi ha fatto comprendere l’importanza di avere un “fil rouge”, mettere dei punti di controllo e di verifica in modo da poter analizzare, gestire e risolvere cambiamenti e/o imprevisti. La leadership e la conduzione sicuramente saranno messe in pratica in modo più approfondito nel contesto lavorativo. Posso confermare che la tipologia delle riunioni è stata modificata con gli strumenti forniti nel corso, risultando più proficue e dando la possibilità a tutti i partecipanti di trarne beneficio.
La Scuola Manageriale è frequentata da professionisti con formazioni di base diverse fra loro e che rappresentano uno spaccato molto interessante del tessuto economico ticinese, notoriamente molto variegato. Vi sono pertanto esponenti di piccole e grandi aziende, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi in particolare. Tutti hanno uno scopo comune, cioè integrare e migliorare le loro competenze, nell’ottica della gestione aziendale e di funzioni dirigenti. Il corso viene erogato seguendo dei contenuti tradizionali, ma applicati tenendo conto dei problemi di attualità.
Le lezioni permettono ai partecipanti di acquisire maggiori competenze che gli consentiranno di assumere nuove responsabilità in azienda, con soddisfazione personale e competenze diverse all’interno dell’ambito in cui operano. Il corso mira così a garantire competenze pragmatiche, strategiche e operative rispondendo al desiderio di acquisire una maggiore efficienza ed efficacia nella gestione aziendale. Il percorso formativo in questione risponde alle direttive del regolamento d’esame federale e è completato da casi pratici. Per tutti i dettagli in merito è possibile consultare il sito web www.cc-ti.ch/scuola-manageriale.
La fallace illusione del comando e controllo
/in Risorse umane, TematicheOgni giorno i manager prendono decisioni che determinano il funzionamento delle aziende per cui lavorano. Ciascuna di queste decisioni è presa nella convinzione che le azioni decise, una volta messe in pratica con perizia e impegno produrranno un risultato prevedibile, controllabile e auspicabilmente positivo.
Anche se sembrerà strano, questo non lo si impara nelle scuole manageriali di grido, ma nella culla. Ci togliamo il ciuccio dalla bocca e lo lanciamo aldilà del bordo della culla, la mamma lo riprende paziente e, dopo averlo pulito, ce lo rimette, noi lo togliamo e lo gettiamo ancora e così per molte altre volte sino a quando la pazienza della mamma finisce. Si chiama ripetizione ludica e serve ad apprendere come controllare la realtà. Quindi per il resto della vita partiremo dall’assunto che ad ogni azione segue una reazione e che questa reazione è generalmente prevedibile a condizione di padroneggiare l’azione. Funziona talmente bene questo principio che ci permette di fare molto altro nella realtà, come ad esempio guidare un’auto.
Di questo principio fa parte un interessante corollario, che ci arriva sempre dall’esperienza pratica: se applico una piccola forza ottengo un piccolo risultato, se ne applico una grande ottengo un risultato più eclatante. Ovvero esiste una proporzionalità diretta tra lo sforzo e il risultato. Del resto, se girate molto il volante dell’auto, questa fa una curva più stretta, o se schiacciate maggiormente l’acceleratore accelera più velocemente, o frena di più se voi premete forte sul pedale del freno. Nel codice manageriale tutto questo va sotto il nome di comando e controllo.
Con questi semplici principi e corollari abbiamo costruito navi, aerei e mandato l’Uomo sulla Luna. Quindi tornando al manager che ha appena preso una decisione, per quale ragione dovremmo contestargliela se il risultato auspicato non arriva?
Se i principi di comando e controllo sono validi, il motivo è di certo una cattiva esecuzione. Ciò sarà imputabile a scarsa competenza o mancanza di motivazione, oppure dei necessari impegno e determinazione. Insomma, è colpa dei collaboratori. Quindi basterà premere un po’ di più, cioè fare pressione manageriale, o mettere più risorse per ottenere il risultato richiesto. Tuttavia, la Storia insegna che molti Generali hanno perso più di una guerra per via dell’applicazione stolida di questi principi. Il punto è che essi pur non essendo sbagliati si applicano solo in alcuni contesti. Quali?
Contesti semplici o anche complicati, ma non a quelli complessi. La rete di interdipendenze che esiste fra gli elementi di un sistema complesso è tale che prevedere quale possa essere la risposta di un sistema a determinate azioni risulta difficile e talvolta persino impossibile. Le aziende e le organizzazioni moderne sono sistemi complessi che vivono all’interno di sistemi più ampi tutti correlati fra loro. In pratica esse sono all’interno di un ecosistema di business. Proprio come negli ecosistemi naturali una piccola modifica dell’ecosistema può produrre dinamiche e cambiamenti molto ampi su tutto l’ecosistema. La pandemia è un ottimo esempio, da una epidemia circoscritta le conseguenze si estendono ben oltre il confine sanitario, ma coinvolgono la scienza, l’economia, la sociologia, la psicologia, la politica e la geopolitica. Eravamo convinti che il mondo funzionasse in un modo estremamente stabile, in cui molte delle cose su cui facciamo affidamento erano date per scontate. La pandemia ha dimostrato il limite di queste illusioni.
Vivere in un contesto complesso cambia il modo in cui il management deve agire e richiede competenze che sono al momento rare. Per tutta una serie di ragioni socio-economiche, che sarebbe lungo esplorare, ci siamo spinti sempre di più in una focalizzazione al breve e abbiamo ridotto il raggio della nostra visione al nostro immediato intorno. Non siamo allenati ad avere visione d’insieme, cercando e mettendo assieme i tantissimi pezzi di puzzle che sono necessari per avere comprensione di uno scenario e un quadro minimamente predittivo.
Tendiamo a non privilegiare un approccio multidisciplinare alle cose e ci accontentiamo di visioni superficiali e unilaterali. Non siamo allenati a muoverci in contesti non ordinati, che mutano velocemente e che non sono facilmente prevedibili. Spesso non riconosciamo o ignoriamo i “segnali deboli”, ci accorgiamo di un fenomeno o, peggio, lo prendiamo in considerazione solo quando ormai è macroscopico, senza capire che i sistemi complessi non reagiscono in modo lineare, ma partono in sordina e poi esplodono. Perciò sottovalutiamo, non incrociamo gli elementi e quando il maremoto arriva diventa difficilissimo sostenerlo. Non siamo capaci di vivere nelle incertezze, ci produce stress, cerchiamo affannosamente punti certi e sicuri, che spesso non esistono.
Facciamo una grandissima fatica ad agire verificando i risultati e adattando costantemente le modalità con cui operiamo, sperimentando a volte in territori sconosciuti. Dopo ogni adattamento vogliamo e cerchiamo la stabilità. Un chiaro esempio sono le difficoltà di tutta la catena di approvvigionamento e logistica con cui le aziende si stanno dibattendo. Abbiamo creato prima un mondo basato sulla massimizzazione dell’ordine, con il just in time e il sincronismo fornitore-cliente, per garantirci la migliore efficienza abbiamo eliminato tutte le ridondanze all’interno delle nostre aziende, abbiamo spostato e concentrato larga parte della produzione in Cina e nei paesi asiatici. Abbiamo insomma creato le migliori condizioni di fragilità e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Consegne ritardate sino a molti mesi, materie prime e componenti di base alle stelle, funzioni di produzione in tilt e…probabilmente un notevole effetto sulle economie come rimbalzo più avanti nel tempo. Non voglio qui aprire il vaso di pandora del discorso ambientalista e della cosiddetta transizione green su cui pure ci sarebbe molto da dire. Tutte queste sono conseguenze di scelte prese
senza visione sistemica e comprensione dei sistemi complessi. Si poteva prevedere? Probabilmente si, d’altronde era stata prevista e persino simulata nei dettagli anche la Pandemia. Le condizioni che potevano generare queste crisi, peraltro collegate fra loro, erano tutte visibili. Semplicemente o non le abbiamo viste o abbiamo sperato che non capitasse mai la tempesta perfetta. Ma le tempeste arrivano sempre. Perciò è necessario rendere le organizzazioni, non robuste, parola che implica rigidità, ma antifragili, cioè costruite per essere capaci di riadattarsi rapidamente e flessibilmente.
Quindi che fare?
C’è un lavoro profondo sulle competenze legate al management della complessità che richiede un ripensare a come leggiamo e interpretiamo il nostro ecosistema di business, a quali condizioni creiamo all’interno delle nostre organizzazioni per permettergli di adattarsi costantemente. Non sono solo gli stili di management ad essere coinvolti, ma l’intero impianto organizzativo e il modo con cui le persone si muovono all’interno dell’organizzazione. Un lavoro che impone anche un mutamento dell’orientamento dal breve al lungo periodo, perché le condizioni necessarie per rendere le organizzazioni antifragili si costruiscono nel tempo. Dobbiamo ripensare il concetto di efficienza perché in un mondo complesso essa si ottiene attraverso organizzazioni agili e non più basate su concetti di comando e controllo. Tutto ciò riguarda leader, manager, ma anche collaboratori. Finché guarderemo al solo risultato di oggi e terremo la vista al solo giardino di casa nostra, illudendoci che sia sufficiente a costruire aziende e organizzazioni di successo, siamo destinati ad essere travolti dalle crisi.
Articolo a cura di
Andrea Abbatelli, Partner KIAI Sagl
Il Brasile verrà cancellato dalla lista dei Paesi del sistema ATA dal 1° gennaio 2022
/in Dogana, Internazionale, TematicheIl segretariato dell’International Chamber of Commerce (ICC) di Parigi è stato informato dall’associazione garante del Brasile (CNI) che non prolungherà il mandato quale associazione garante. Questo mandato scadrà il 31 dicembre 2021.
Le dogane brasiliane (RFB) hanno ufficializzato la fine del mandato della CNI e non hanno rinominato una nuova associazione garante, per questo motivo dal 1° gennaio 2022 le Camere di commercio non potranno più rilasciare Carnet ATA verso il Brasile.
È importante tenere conto che i Carnet in circolazione all’interno di questo Paese devono essere timbrati in riesportazione entro il 31.12.2021.
Il Brasile verrà cancellato dalla lista dei Paesi presenti sulla copertina del Carnet ATA.
L’ufficio Export della Cc-Ti rimane sempre a vostra disposizione.
L’accordo di libero scambio fra Canada e l’UE
/in Dogana, Internazionale, TematicheCanada e Unione Europea hanno firmato un accordo di libero scambio che offre molti vantaggi al Paese nordamericano. In quale misura questo accordo potrebbe offrire sinergie per la Svizzera?
Il rapporto tra Canada e UE è già stato presentato più volte come modello, anche per la Svizzera. Dopo il ‘no’ all’accordo quadro istituzionale fra Svizzera e UE dello scorso maggio, vale la pena approfondire il tema.
L’UE usufruisce di un accordo di libero scambio valido dal 2017. Si tratta dell’Accordo economico commerciale globale (CETA), che mira a promuovere il commercio di beni, servizi e investimenti e a rafforzare le relazioni economiche. Qual è il suo contenuto?
Abolizione dei dazi doganali: all’entrata in vigore dell’accordo sono stati eliminati il 99% di tutte le tariffe industriali e il 92% di quelle agricole. Entro sette anni anche le restanti 17 tariffe industriali, ad esempio sulle automobili e le navi, saranno eliminate. Restano delle eccezioni per i prodotti particolarmente sensibili del settore agricolo.
Abolizione delle barriere commerciali non tariffarie: l’accordo CETA riduce gli ostacoli burocratici, ad esempio semplificando le procedure doganali o con il nuovo riconoscimento reciproco dei test di conformità. Allo stesso tempo, vengono ridotti gli ostacoli d’accesso al mercato per i fornitori di servizi.
Mobilità di lavoratori qualificati: viene agevolata la residenza temporanea per i prestatori di servizi a fini commerciali. Semplificando il distacco del personale presso le filiali, montatori e tecnici possono, ad esempio, installare o curare più facilmente macchine e attrezzature fornite in garanzia e con contratti di assistenza.
Accesso bilaterale agli appalti pubblici: per la prima volta l’accesso al mercato degli appalti pubblici sarà aperto a tutti gli ambiti statali. Il Canada e l’UE istituiranno inoltre una banca dati elettronica centrale sulla quale le imprese potranno ritrovare tutte le informazioni sugli appalti pubblici e le relative procedure, su tutti i livelli dell’Amministrazione.
Tutela e promozione degli investimenti: l’accordo prevede l’abbandono del vecchio sistema arbitrale privato a favore di una procedura di regolamentazione delle controversie radicalmente rinnovata e moderna, che sancisce esplicitamente il diritto statale.
L’ICS comprendente un doppio grado di giurisdizione, vale a dire un tribunale permanente e una corte d’appello competente a rivedere le sentenze pronunciate in primo grado dal tribunale, è costituito in via permanente. Al fine di rimuovere la spada di Damocle sospesa sopra le autorità decisionali, il CETA sancisce il diritto delle autorità pubbliche di regolamentare nell’interesse generale, diritto la cui portata è esplicitata nella nota interpretativa all’accordo. Ne consegue che una normativa che pregiudichi un investimento non avrà l’effetto di violare l’obbligo di un trattamento giusto ed equo.
Regole dell’origine: la struttura delle norme generali di origine, ovvero la prova del luogo di produzione, sarà semplificata e le norme locali saranno reciprocamente riconosciute.
Liberalizzazione del commercio di servizi: i fornitori di servizi beneficeranno di un accesso semplificato al mercato, come nei settori postali e delle telecomunicazioni, nonché sulle rotte parziali di navigazione marittima, a partire dalla data di entrata in vigore.
E la Svizzera?
Resta da vedere se l’accordo CETA possa valere quale modello nelle relazioni tra la Svizzera e l’UE. Innanzitutto, l’accordo è ancora troppo “giovane” per poter trarre delle conclusioni.
In secondo luogo, molte clausole dell’accordo CETA sono da tempo presenti nell’accordo di libero scambio Svizzera-UE e negli accordi bilaterali e restano valide. In terzo luogo, la relazione politica tra la Svizzera e l’UE è differente da quella tra Svizzera e Canada. Comunque, le relazioni fra Svizzera e Canada sono già molto buone. In effetti, anche l’accordo di libero scambio tra l’AELS e il Canada è stato positivo e ha avuto un impatto significativo sulla crescita del volume degli scambi e degli investimenti osservati negli ultimi anni. In effetti, la Svizzera esporta in Canada circa 4 miliardi di franchi svizzeri all’anno.
Forti legami con la Svizzera
Considerata terra di emigrazione per molte famiglie svizzere, in particolare per il settore agricolo, il Canada dispone di potenzialità in termini di scambio e per le esportazioni.
Il momento attuale non è propizio per viaggiare o per le visite da parte delle aziende svizzere verso questo territorio, ma i legami instaurati fra i due Paesi sono buoni e il federalismo e il multilinguismo fanno parte della cultura di entrambe le Nazioni.
Per informazione, alla fine del 2019, più di 40’000 cittadini svizzeri risiedevano in Canada.
In termini di cooperazione economica, la SECO indica che il Canada è, per importanza, il secondo partner economico della Svizzera nel Continente americano. Nel 2019, la Svizzera ha importato merci dal Canada per quasi 1,2 miliardi di franchi ed ha esportato in questo Paese per 4,4 miliardi di franchi. Queste esportazioni sono costituite principalmente da prodotti farmaceutici. La stessa fonte indica che la Svizzera rientra nella lista dei dieci maggiori investitori stranieri in Canada. Alla fine del 2018 il capitale svizzero investito ammontava a 31 miliardi di franchi. Nello stesso anno, le aziende svizzere impiegavano più di 35’800 persone. Tra i settori di maggiore spinta figurano quelli sanitari e del Medtech.
Il legno in primo piano
Un’altra area di interesse per le PMI svizzere si trova nel campo legato alle costruzioni in legno. S-GE cita Bernhard Gafner, Ingegnere specializzato in costruzioni in legno, sulle opportunità a disposizione delle PMI svizzere nel settore del Cleantech in Canada. “Occorre chinarsi sul quadro normativo, che non è il più complicato. È essenziale avere una buona conoscenza del mercato locale, prestando attenzione al fatto che le differenze fra Paesi possono essere numerose. Una solida analisi di mercato è molto importante per trovare il luogo dove investire e il partner giusto. A nostro avviso, le PMI svizzere che sono in grado di fornire prodotti e servizi relativi all’efficienza energetica e ai sistemi di fissaggio, possono avere successo. Gli standard costruttivi sono in continua evoluzione e sta emergendo la necessità di nuovi prodotti sul mercato. Le finestre e i prodotti per l’isolamento termico ne sono un perfetto esempio”.
Fonte: testo di Henrique Schneider, USAM; adattamento Cc-Ti
Anche i giocattoli rischiano di scarseggiare e di diventare più costosi
/in Internazionale, TematicheLe conseguenze della pandemia toccano tutti
Le difficoltà riscontrate dal commercio per la scarsità di taluni prodotti sono ormai note. Quasi nessun settore fa eccezione e i commercianti confermano le difficoltà dovute all’elevata domanda globale di giocattoli e ai ritardi nei trasporti dall’Asia. È quindi probabile che la Svizzera, mercato certo attrattivo ma piccolo, potrebbe patire di ritardi notevoli nella fornitura di giocattoli, tanto che questo fattore potrebbe influire sull’attività di vendita natalizia.
I grandi rivenditori di giocattoli hanno cercato di procurarsi prodotti a sufficienza per l’imminente attività natalizia ma la pandemia ha reso questo compito assai arduo.
Il tradizionale negozio Franz Carl Weber e il rivenditore online Digitec Galaxus hanno già avvertito il pubblico delle possibili complicazioni. Le ragioni sono la forte domanda globale e i ritardi nei trasporti navali provenienti dall’Asia. Come detto in precedenza, a livello internazionale il nostro è considerato un Paese piccolo, per cui viene spesso posto tra gli ultimi per quanto riguarda le forniture.
“I mercati più grandi come l’America e l’Inghilterra vengono spesso e volentieri serviti per primi”, spiega Roger Bühler, CEO di Franz Carl Weber. “Dopo i due colossi anglofoni, vi sono i grandi Paesi europei come la Germania e la Francia e solo dopo arriva la Svizzera”.
“La Confederazione è quindi un ‘attore minore’ nel mercato internazionale dei giocattoli: ecco perché le consegne dei giocattoli per Natale potrebbero avere delle complicazioni e forti ritardi”, afferma Bühler. Tuttavia, il negozio Franz Carl Weber farà di tutto per cercare di non avere intoppi.
Problemi di spedizione
I ritardi nella fornitura di giocattoli sono dovuti anche ai problemi nella spedizione, poiché i più grandi porti cinesi come, ad esempio, Ningbo (il terzo porto più grande al mondo) e Yantian (il più grande punto di trasbordo nel Sud della Cina) continuano a ridurre le loro capacità, dati i numerosi lockdown, spiega Bühler.
Per l’industria dei giocattoli, le settimane che precedono il Natale sono tra le più importanti dell’anno. Di conseguenza, i rivenditori faranno tutto ciò che è in loro potere per garantire che gli scaffali delle filiali dei negozi siano ben forniti. Secondo Digitec Galaxus anche i rivenditori online si stanno preparando per avere le forniture necessarie, sperando così che i clienti potranno avere a disposizione un’ampia scelta.
Le merci che arriveranno potrebbero risultare più costose del solito e questo è imputabile ai costi maggiori di trasporto via container, incrementati durante la pandemia. È noto che in Asia i produttori di merci possono aggiungere dei dazi aggiuntivi ai loro prezzi di vendita, per cui aumentano anche i prezzi di vendita dei giocattoli per i clienti finali. Difficile, comunque, a oggi prevedere quale tipologia di giocattoli sarà la più penalizzata da scarsità e ritardi.
Ovviamente l’aumento dei prezzi è anche dovuto all’aumento dei costi per le materie prime, che, nella produzione di giocattoli, sono ad esempio i granulati, la carta, il legno e molti componenti elettronici, che hanno subito un rincaro fino al 35%; a si aggiungono costi di trasporto anche quadruplicati. Aumenti di prezzo già adottati lo scorso anno da alcuni fornitori come Mattel o Hasbro.
Chi ne trarrà vantaggio?
Mattel ha molti marchi di giocattoli famosi nel suo portafoglio: da Barbie a Fisher Price, Scrabble, il gioco di carte UNO e Matchbox. I giochi di Hasbro includono tra gli altri Monopoly, Play-Doh’s Playdough e Transformers.
Secondo gli esperti del settore, la situazione per i rivenditori di giocattoli è più difficile attualmente rispetto al 2020. Per concludere con una nota positiva: va detto che i produttori hanno registrato incrementi interessanti nelle vendite, visto che Mattel ha venduto significativamente più automobiline e bambole nel secondo trimestre 2021 rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente quando, a causa della pandemia, aveva invece avuto una flessione netta.
Fonte: Basler Zeitung, adattamento Cc-Ti
Chi sono i ‘Brand Ambassador’?
/in Marketing e Vendita, TematicheIn un mondo iperconnesso e nelle strategie di marketing e comunicazione digitali delle aziende, parole come influencer, testimonial e ambasciatori del marchio non sono nuove. Chi sono però con esattezza queste figure? Quali le differenze li contraddistinguono? Che ruolo assumono all’interno delle PMI e quali vantaggi portano? Come possono le aziende costruire un network vincente?
Abbiamo risposto a queste e altre domande nel webinar del 9 novembre 2021, organizzato dalla Cc-Ti, dove è intervenuto Giuseppe Maffei, Fondatore Develed Sagl, introdotto da Lisa Pantini, Responsabile Relazioni con i soci Cc-Ti.
Oggi i clienti sono sempre più attratti dalle esperienze reali dei consumatori rispetto alla comunicazione che un marchio propone sui propri prodotti/servizi.
I ‘band ambassador’ o ‘ambasciatori del marchio’ sono dei consumatori che hanno una relazione di rispetto e stima per un determinato brand; relazione acquisita nel tempo attraverso l’utilizzo dei prodotti della marca. Il brand ambassador promuove quindi i prodotti e viene ricompensato da una relazione speciale con l’impresa; ma non è pagato dalla stessa per questo tipo di promozione (a differenza ad esempio dagli influencer).
Queste figure creano e condividono esperienze autentiche che hanno/ hanno avuto con uno specifico prodotto, instaurando un ponte di collegamento tra la marca ed altri potenziali acquirenti.
I follower di ogni ‘ambasciatore’ non sono, inoltre, un elemento essenziale per l’azienda che decide di avvicinare un potenziale ‘brand ambassador’; a venir premiata è piuttosto l’autenticità e la credibilità della persona.
Per una PMI è sempre più impegnativo creare dei contenuti sui social media che generino engagement e creino – da parte dei consumatori finali – delle azioni mirate. Infatti, può essere dispendioso trovare la tipologia di contenuti giusti, relativi alle tematiche “in” rispetto al prodotto sul mercato.
Il Brand Ambassador conosce invece dettagliatamente la merce (e può – se necessario – segnalare all’azienda eventuali migliorie), realizza foto e video nel luogo e nel contesto d’uso, coinvolge possibili distributori o stakeholders locali, osserva il prodotto dal punto di vista dell’utente (non dell’impresa) e comunica con il medesimo linguaggio dell’utilizzatore. Infine, pubblica poi i contenuti sul suo canale personale e su OPN (other people network) come gruppi di settore.
Come agire quindi? Per sviluppare un network vincente è innanzitutto necessario definire gli obiettivi commerciali e di marketing che si intendono raggiungere attraverso il supporto di queste figure e successivamente identificare il/i canale/i idoneo/i – dove è presente l’audience d’interesse – per veicolare il messaggio dell’azienda.
Il programma di adesione a un ‘Brand Ambassador Network’ deve essere reso visibile e accessibile, pubblicando le regole e linee guida specifiche sul sito internet o sui canali social. Nella valutazione e selezione dei profili da parte dell’azienda è opportuno coinvolgere anche il reparto commerciale e, a parità di caratteristiche tra i candidati, sarà utile confrontare i diversi engagement rate (tasso di coinvolgimento dei follower rispetto ai contenuti). È inoltre fondamentale lasciare alle persone scelte ampi margini di manovra per esprimere al massimo la propria creatività, con la forma di comunicazione che più li caratterizza. Fornendo poi dei codici sconto da condividere con i follower si aumenterà la probabilità di creare nuovi lead e acquisire clienti.
Utile è poi creare dei gruppi Whatsapp comuni per formare delle communities affiatate, facilitare il dialogo e il supporto reciproco.
SCARICA LA PRESENTAZIONE POWERPOINT E RIVEDI IL WEBINAR
In vigore l’accordo di partenariato economico (CEPA) tra AELS e Indonesia
/in Dogana, Internazionale, TematicheL’accordo di partenariato economico (CEPA) tra gli Stati dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) e l’Indonesia è entrato in vigore il 1° novembre 2021, migliorando in modo significativo l’accesso al mercato e la certezza giuridica per le PMI svizzere. Il presente articolo si focalizza sull’applicazione pratica del CEPA per quanto riguarda lo scambio di merci.
Scambio di merci: i vantaggi
La Svizzera accorda l’accesso in franchigia doganale ai prodotti industriali indonesiani. Le concessioni accordate nel settore agricolo corrispondono sostanzialmente a quelle di altri accordi di libero scambio.
Tutti i principali settori di esportazione svizzeri beneficiano dell’accordo; questo vale sia per il settore agricolo sia per l’industria. Nel primo caso, l’Indonesia ha eliminato sin da subito, o lo farà entro termini transitori fino a cinque anni, i dazi sul latte e i prodotti del latte; per lo yogurt il termine di abolizione è di nove anni, mentre i dazi su caffè, cioccolata e biscotti verranno eliminati entro dodici anni. Il settore industriale svizzero ha invece ottenuto le seguenti concessioni: nell’industria chimico-farmaceutica praticamente tutti i dazi sono stati eliminati o lo saranno entro termini transitori che variano fino a nove anni; nel settore tessile non vi è un’abolizione generale dei dazi, ma a seconda degli ambiti vi è un libero accesso al mercato con termini di abolizione che variano da cinque a dodici anni; salvo poche eccezioni, i dazi sui macchinari sono stati completamente eliminati con l’entrata in vigore dell’accordo o lo saranno entro termini transitori che variano da cinque a dodici anni; infine i dazi sugli orologi sono stati eliminati con l’entrata in vigore dell’accordo o lo saranno entro termini transitori che variano da cinque a nove anni. Allo scadere dei termini previsti per l’abolizione dei dazi, la Svizzera potrà esportare in Indonesia il 98 % dei suoi prodotti in franchigia doganale.
Le principali disposizioni in materia di origine
La dichiarazione d’origine deve essere allestita esclusivamente in inglese ed avere il seguente tenore:
Altri ambiti
La scheda informativa “Accordo di partenariato economico completo AELS-Indonesia” del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR) fornisce ampi ragguagli sui contenuti del CEPA nei seguenti ambiti:
Pronti a tornare a casa?
/in Comunicazione e mediaIl rientro delle aziende trasferite all’estero, tra aspirazioni e realtà
Aziende più automatizzate e robotizzate per ottimizzare linee produttive, costi e competitività, più prossimità con clienti finali, catene di approvvigionamento più corte ma più sicure e controllabili. Sono gli elementi distintivi del reshoring, ovvero la rilocalizzazione in patria di produzioni, o parte di esse, che erano state trasferite all’estero. Un fenomeno di cui si è cominciato a parlare nel 2008, a ridosso della grande crisi finanziaria, ma che oggi potrebbe assumere maggiore consistenza alla luce della tempesta perfetta che si è abbattuta sull’economia mondiale con il coronavirus.
Nuovi equilibri
Due anni di pandemia hanno messo a dura prova le global value chains, già sfibrate dai dazi e dalle barriere protezionistiche di una guerra commerciale a scena aperta che aveva bruscamente frenato gli scambi internazionali. La diffusione del virus, inceppando l’economia di tutti i Paesi avanzati, ha evidenziato l’importanza e le criticità delle supply chain mondiali. Le lunghe catene di approvvigionamento sono state messe sotto stress da una ripresa asimmetrica, tra Asia e Occidente, che ha ingolfato l’intero sistema di produzione e distribuzione delle merci, facendo impennare i costi dei trasporti.
A inasprire il quadro delle nuove tensioni geopolitiche, nel quale la Cina va dismettendo il ruolo di fabbrica mondiale a basso costo per proiettarsi in quello di super potenza a tutti gli effetti, sono arrivati la crisi delle materie prime e lo shock energetico. I prezzi di petrolio, gas e carbone hanno raggiunto livelli record, ridestando ovunque le spinte inflazionistiche. Difficoltà negli approvvigionamenti, linee produttive ferme o che lavorano a scartamento ridotto e numerosi Paesi occidentali, tra cui la Svizzera come ha avvertito il consigliere federale Guy Parmelin, che rischiano il blackout. Gli equilibri su cui si sono retti sinora la produzione e il commercio mondiali sono divenuti instabili.
Cambia la mappa della divisione internazionale del lavoro e per l’economia, già alle prese con la complessità della trasformazione digitale e gli ingenti costi di una transizione ecologica programmata avventatamente più sulla base delle emozioni che dei fatti, si aprono scenari inediti. Scenari che impongono ripensamenti anche nelle scelte d’investimento e di allocazione delle risorse.
Si ritorna casa?
È in questa prospettiva che il backshoring, il ritorno in patria delle attività produttive, e il nearshoring, il rientro in un Paese limitrofo, potrebbero diventare un’opzione concreta. Gli Stati Uniti fanno ad esempio capo al Messico, mentre i paesi del Vecchio Continente si rivolgono verso l’Est europeo o il Nordafrica, magari più cari dei paesi asiatici, ma appunto più vicini e quindi più “accessibili” per puntuali fasi di produzione. Tuttavia, malgrado le molte speranze riposte in evoluzioni che portino a un rimpatrio delle attività, gli studi internazionali non hanno ancora registrato numeri tali da rilevare una vera e propria tendenza verso il ritorno a casa delle imprese. Anche in Svizzera si sono avuti pochi casi di backshoring, più frequente invece quelli del rientro in Stati vicini, come Romania o Polonia, di alcune fasi produttive che erano state delocalizzate in Asia. Il caso più conosciuto è quello della Wander, che ha riportato in Svizzera la produzione dell’Ovomaltina da spalmare sul pane. Adidas ha fatto la stessa cosa in Germania per alcuni suoi modelli di scarpe, ma va detto che, in generale, in termini di posti di lavoro il “fenomeno” (se così si può chiamare) resta molto contenuto.
Se la tecnologia permette di produrre a costi che ridiventano interessanti, d’altra parte non vi è grande necessità di maggiorare la forza lavoro umana. Magari più qualificata, questo certamente, ma non dal punto di vista numerico.
Anche se va rimarcato l’effetto di creazione di posti di lavoro legato al fatto che attività nuove, seppur limitate, attirino altre aziende e si approvvigionano di attrezzature e prestazioni di servizi in loco.
Stimolare il rimpatrio?
Leggermente diversa è la situazione quando il reshoring è incoraggiato con sovvenzioni dichiarate, o più meno “nascoste”, da alcuni Stati che, con una strategia protezionistica, vorrebbero garantirsi l’autonomia e l’indipendenza per alcune produzioni. Ci ha provato negli USA, con poco successo, il presidente Trump, ci sta tentando la Francia di Macron per alcuni prodotti farmaceutici, mentre in Giappone il governo ha stanziato 2,2 miliardi di dollari per riportare in patria imprese che si erano trasferite in Cina.
Da un punto di vista elvetico, questo approccio però è considerato, poco “svizzero”. Come indicato qualche tempo fa dalla Seco, il Consiglio federale non è incline a una politica industriale aggressiva, ma si predilige la scelta di garantire condizioni generali che possano essere interessanti per tutte le aziende per “fare impresa”, per fare in modo che l’economia “se la cavi da sola”. Scelta che a corto termine può magari metterci in posizione di debolezza verso la concorrenza sempre più agguerrita di molti altri paesi, ma che probabilmente, sul lungo termine è più pagante e soprattutto va a beneficio di tutti i settori, senza distinzioni fra grandi e piccole aziende.
Elemento importante perché finora si è rilevato piuttosto un rimpatrio di piccole e medie imprese, emigrate soprattutto per ragioni di costi, mentre le grandi aziende sono più restìe a spostarsi. Avantutto per i tempi spesso molto lunghi del trasferimento di un’attività (spesso calcolato in termini di numerosi anni) e per la necessità di ammortizzare investimenti magari molto importanti in siti di produzione non abbandonabili in tempi brevi. Inoltre, le grandi aziende prediligono spesso paesi vicini a quelli che sono i mercati di destinazione dei loro prodotti.
Assicurarsi l’autosufficienza in diversi settori economici e non solo in quelli tradizionalmente ritenuti strategici, può indurre a politiche aggressive di “recupero” delle aziende. Non sono mancate negli ultimi anni misure protezionistiche che tendono anche al controllo preventivo su acquisizioni e fusioni da parte di investitori stranieri, nuovi dazi sui prodotti esteri e barriere doganali. Strategie che, inevitabilmente, irrigidiscono le dinamiche del libero mercato, generando inefficienze e costi aggiuntivi per la collettività e che riducono anche per tutte le altre imprese la possibilità di acquisire vantaggi competitivi attraverso una migliore allocazione dei fattori produttivi lungo le catene del valore globale. Ma l’esercizio è più complesso di quanti molti credono, perché il mondo e l’economia sono a tal punto interconnessi e interdipendenti che scegliere di ritornare non succede dall’oggi al domani. In realtà si apre solo un altro ciclo con la riconfigurazione delle supply chain globali e il consolidarsi delle supply network, con nuovi assetti nella divisione internazionale del lavoro e nel commercio mondiale che si rafforzerà in alcune aree regionali attraverso catene del valore che si svilupperanno anche a medio e corto raggio.
Le ragioni del reshoring
“Reshoring di Stato” a parte, sotto la pressione dell’incertezza e dell’instabilità odierne sono tante le ragioni che possono indurre un’impresa a rientrare in patria: difficoltà nell’approvvigionamento e nelle forniture, tempi di consegna troppo lunghi, vantaggio reputazionale sui mercati internazionali con un autentico “Made in…” , problemi di qualità, elevati costi logistici, ostacoli doganali, minore dispersione del know-how, più prossimità per reagire rapidamente alla domanda dei consumatori, maggiore sicurezza coi fornitori locali, produzioni che richiedono manodopera sempre più qualificata (non sempre reperibile nei Paesi dove costa meno), sensibilità ambientale, digitalizzazione che oggi permette di mantenere e rafforzare i contatti anche con i mercati più lontani, e, non da ultimo, la necessità di ridurre i rischi nel caso di nuove emergenze mondiali. Ma, come visto in precedenza, tra i fattori determinanti del reshoring ci sono soprattutto l’automazione e la robotica che aumentano la produttività e riducono il costo del lavoro, mentre laddove prima costava molto meno ora va rincarando.
Nel giro di quindici anni appena, il prezzo dei robot industriali è sceso da 70mila a 15mila dollari, dunque alla portata pure delle piccole aziende, l’automazione è ancora più sofisticata, precisa, e l’intelligenza artificiale riesce a sovrintendere i processi produttivi più complessi. Non per nulla è emersa anche la tesi di tassare i robot, discussa anche nel quadro della nostra Assemblea generale dello scorso 15 ottobre 2021 con il noto fiscalista ginevrino Xavier Oberson. Tema molto complesso dal punto di vista giuridico e pratico e che suscita numerose perplessità anche per le difficoltà che potrebbe creare nell’ambito dell’innovazione.
Ma sarebbe sbagliato ignorarlo, perché nel contesto dei profondi e rapidi cambiamenti portati dalla tecnologia e dall’intelligenza artificiale, sarà quasi inevitabile anche affrontare gli adattamenti dei sistemi fiscali, togliendo ad esempio determinate imposte che stanno diventando obsolete o che non avranno più la stessa giustificazione. Come l’imposta sulla sostanza che la Svizzera mantiene, nonostante sia ormai poco diffusa a livello internazionale.
Chi spera nel tramonto o nella forte limitazione degli scambi internazionali non deve però farsi troppe illusioni. Il “reshoring” non significa un ripiegamento esclusivo nei confini domestici, rinunciando all’internazionalizzazione che è spesso un fattore decisivo per la crescita delle imprese e del sistema economico. Si resta competitivi se si resta nelle reti globali della produzione che permettono di acquisire le risorse migliori, le tecnologie più avanzate, gli approvvigionamenti più convenienti e di raggiungere più facilmente i mercati di riferimento. Dunque, se si vuole favorire, anche nel nostro Paese, la rilocalizzazione aziendale, senza scadere in deleterie pratiche protezionistiche, serve “rinverdire” l’approccio elvetico summenzionato, cioè la cura delle spesso menzionate condizioni quadro. Sembrano banalità, ma una fiscalità leggera, infrastrutture e formazione al passo con i tempi, regole e burocrazia meno vessatorie per la libertà economica sono elementi-chiave per potersi giocare anche la sfida di un rimpatrio di talune attività. Così come l’accoglienza di idee e persone in una buona collaborazione fra pubblico e privato e un dialogo più costruttivo tra le parti sociali sono fondamentali per ogni insediamento. Questa è la base non solo per cercare di richiamare in Svizzera talune attività, ma anche per evitare che ne partano delle altre.
Per una società digitale sicura
/in Diritto, TematicheLa nuova Legge federale sulla protezione dei dati
Lo scorso 19 ottobre, in un webinar dedicato, la Cc-Ti ha trattato il tema della nuova la legge federale sulla protezione dei dati (LPD).
Ad intervenire quale relatore esperto è stato Gianni Cattaneo, Avv., LL. M., Cattaneo Bionda Mazzucchelli Studio legale e notarile, dopo un breve saluto da parte di Lisa Pantini, Responsabile delle relazioni con i soci della Cc-Ti.
La nuova LPD è stata adottata dall’Assemblea federale il 25 settembre 2020, dopo un lungo periodo di gestazione. L’esatta data di entrata in vigore non è ancora stata decretata, realisticamente si prevede però che essa sarà fissata nel secondo semestre 2022 o per l’inizio di gennaio 2023.
Essa si prefigge di proteggere la personalità e i diritti fondamentali delle persone fisiche, i cui dati personali sono oggetto di trattamento da parte di privati e organi federali. Lo scopo è quello di creare una società digitale sicura, efficiente e non discriminatoria.
I principi generali cardine alla base della nuova LPD sono la liceità (tramite il supporto di un motivo giustificativo riconosciuto, quale la legge, il consenso o l’interesse preponderante pubblico o privato), la buona fede, la proporzionalità, la sicurezza, la finalità, l’esattezza e la privacy by design e by default. Essi vanno considerati e applicati da ogni azienda nello svolgimento di qualsiasi operazione in relazione a dati personali ordinari o degni di particolare protezione.
È inoltre necessario adempiere ai seguenti obblighi: informare le persone interessate circa i trattamenti svolti dall’impresa (o delegati a terzi) fornendo tutte le indicazioni previste dalla legge; munirsi di un apposito registro in cui repertoriare le attività (quali dati vengono trattati, da chi, come, dove, per quale scopo, chi ne è destinatario e sulla base di quale motivo giustificativo avviene il processo); svolgere valutazioni d’impatto sulla protezione dei dati personali per i trattamenti a rischio accresciuto e, ove necessario, effettuare la consultazione preventiva dell’Incaricato federale; notificare all’Incaricato federale le violazioni della sicurezza dei dati in situazioni di probabile pericolo ingente e alla persona coinvolta su ordine di quest’ultimo o se richiesto per la sua protezione; e, infine, non trasferire, salvo particolari eccezioni, dati verso Stati privi di una legislazione adeguata di protezione dei dati.
La nuova LPD non prevede l’obbligatorietà in Svizzera (diversamente dal resto d’Europa) della figura del Data Protection Officer (DPO) nel settore privato, ma la sua eventuale nomina comporta l’esclusione dell’obbligo di consultazione preventiva dell’Incaricato federale in presenza di trattamenti a rischio elevato.
Data la complessità della questione è essenziale sensibilizzare e formare i dipendenti in maniera adeguata sui rischi, sui diritti e sugli oneri di ciascuno in materia di protezione dei dati personali, nonché sulle responsabilità collegate, considerando anche la diffusione di situazioni straordinarie come quella del telelavoro. Decisivo per la buona riuscita della trasformazione anche lo sviluppo di un piano d’azione preciso ed efficiente che spazia dalla creazione di un team di progetto autorevole supportato dalla Direzione e dal CdA, alla determinazione di un programma di lavoro con relativo scadenziario in base alle risorse disponibili, agli obiettivi e alle priorità d’intervento.
Il termine di entrata in vigore è ancora lontano (ipotesi: gennaio 2023). Alcune aziende potrebbero commettere l’errore di rinviare la questione del trattamento dati tenere presente la complessità degli adempimenti, delle fasi tecniche per la loro attuazione e del fatto che la nuova LPD non prevede un periodo di adattamento dopo la sua introduzione.
È perciò di primaria importanza sfruttare i prossimi mesi per avviare, senza indugio, il processo di messa a norma, trattandosi di una revisione complessa che avrà un notevole impatto sulla società e le imprese.
A tal proposito la Cc-Ti organizza regolarmente dei corsi di formazione (dove l’Avv. Gianni Cattaneo interviene quale relatore) chiamati “Nuova legge sulla protezione dei dati personali: un Action Plan per trovarsi pronti in tempo utile”. Questi percorsi formativi – riproposti regolarmente – sono pensati per fornire gli strumenti concreti alle PMI per arrivare all’entrata in vigore della LPD in modo efficiente. Per accedere all’offerta formativa Cc-Ti è possibile cliccare su questo link.
Infine, contrariamente al diritto europeo, che prevede pesanti sanzioni amministrative pecuniarie a carico delle società, il diritto svizzero opta per la responsabilizzazione dei membri del Consiglio di Amministrazione e/o manager in quanto detentori del potere decisionale. Essi saranno ritenuti penalmente perseguibili per le violazioni intenzionali della LPD imputabili alle loro aziende, tra cui la mancata implementazione degli standard minimi di sicurezza (con multe fino a CHF 250’000.-).