La Cc-Ti incontra l’Ambasciatrice di Polonia in Svizzera Iwona Kozlowska

Comunicato stampa

Dopo essere stata ricevuta dal Presidente del Consiglio di Stato Manuele Bertoli ieri in serata, questa mattina l’Ambasciatrice di Polonia in Svizzera Iwona Kozlowska, ha incontrato – in occasione di una visita di cortesia – i rappresentanti della Camera di Commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino, associazione mantello dell’economia ticinese.

In questo contesto è stato possibile uno scambio di vedute sui principali dossier economici che riguardano le relazioni bilaterali nonché i rapporti con l’Unione Europea.

Da sin.: Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti; Monica Zurfluh, Responsabile Commercio internazionale Cc-Ti; Iwona Kozlowska, Ambasciatrice di Polonia in Svizzera e Michele Rossi, Avv., Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti

Dobbiamo riflettere!

Serve una grande riforma fiscale

Il prossimo 13 febbraio si voterà sul referendum contro l’abolizione della tassa di bollo sull’emissione di capitale proprio lanciato da PS, Verdi e sindacati. Nell’arsenale fiscale dello Stato questo diritto di bollo è uno strumento che risale alla Prima guerra mondiale. Un’imposizione iniqua e poco sensata, poiché il capitale proprio, che i privati mettono a disposizione dell’impresa, rappresenta la sostanza indispensabile per investire, innovare e creare posti di lavoro. Si colpisce il risparmio aziendale che spesso è utilizzato in caso di crisi, come in questi anni di pandemia, ma che poi deve essere ricostituito. Quando si fonda una società, si lancia una raccolta di capitali o si fa una ricapitalizzazione, si paga all’erario un pedaggio che ammonta all’1% sui fondi raccolti che superano il milione di franchi. Contrariamente a quanto sostengono i promotori del referendum, la soppressione di un simile balzello non è un regalo alle grandi imprese e alla finanza. Si elimina, invece, un peso che indebolisce l’economia e le PMI. Che si vada votare su questa “reliquia” del diritto tributario è la dimostrazione più evidente di quanto il nostro sistema fiscale non sia più al passo coi tempi. Della necessità di una riforma strutturale ad ampio respiro, ben oltre, quindi, il solito battibeccare sugli sgravi, per adeguarlo alla realtà odierna, molto più complessa e diversificata rispetto a normative e principi rimasti ancorati a schemi superati dall’evoluzione del contesto economico e sociale.

Una tassa da abolire

Ci sono buone ragioni per abolire la tassa di bollo sui fondi propri. Imposizione a volte definita, non a torto, borbonica e adottata solo in altri quattro Paesi al mondo: Grecia, Spagna, Giappone e Corea del Sud. L’80-90% delle circa 2’300 aziende che in Svizzera pagano questo diritto di bollo sono PMI, che si vedono così erodere la sostanza e limitare le loro potenzialità di sviluppo. Si applica un prelievo che favorisce l’indebitamento, rende più costosi gli investimenti e ostacola chi vuole creare o far crescere un’impresa. Scoraggiando, altresì, gli investimenti privati che iniettano nuovi capitali nelle aziende, senza pesare sulle finanze pubbliche. È ingiusto pagare una tassa su una raccolta di capitale prima ancora che esso generi un fatturato o che sia investito per sviluppare l’attività produttiva. Un tributo gravoso in particolare per le start-up che, non disponendo solitamente di grande liquidità, necessitano dell’aumento dei capitali grazie all’apporto di investitori privati o di fondi di partecipazione. Tarpando le ali alle start-up si frena l’innova zione nelle ICT, nell’intelligenza artificiale, nella robotica e le scienze della vita. Settori cruciali per il futuro del Paese.
A fronte di una perdita per l’erario di 200-250 milioni, eliminando questa tassa, ci sarebbero più investimenti delle aziende e stimoli alla competitività, con effetti positivi sulla crescita, sull’occupazione e, quindi, con un maggiore gettito fiscale per lo Stato.

Un fisco più equo e moderno

Nella fiscalità occorre rimuovere le anticaglie di un secolo fa come le tasse di bollo e ripensare altri strumenti come il valore locativo, istituito nel 1915 come imposta di guerra una tantum, e trasformatosi, con l’espansione del mercato immobiliare e con vari artifici politici, in un prelievo ordinario. Senza dimenticare le necessità di riforma dell’imposta preventiva e la semplificazione dell’IVA. In Ticino vanno approfondite le legittime richieste di aggiustamenti più che mai urgenti all’imposta sulla successione aziendale che scoraggia i parenti non diretti o terze persone dal subentrare nella titolarità dell’impresa, mettendone a rischio la continuità. Così come la riduzione, altrettanto improrogabile, delle aliquote sulle persone fisiche con redditi elevati oggi estremamente penalizzanti, soprattutto nell’ottica, come vedremo più avanti, della concorrenza fiscale internazionale. A livello federale e cantonale c’è da lavorare intensamente e rapidamente su una riforma strutturale del sistema fiscale, commisurata a una realtà contrassegnata da un’elevata mobilità di capitali, aziende, professioni e patrimoni personali. Calibrata su una società sempre più marcata da nuove forme di impiego, da carriere, redditi e utili d’impresa non più lineari, dall’irrompere della robotica nella produzione e, soprattutto, da un “lavoro asincrono” svincolato da orari e luoghi fissi. Si lavora facilmente per un’azienda ticinese abitando in parte all’estero o in un’altra regione svizzera, pur conservando il domicilio nel cantone o, ancora, una società con sede in Svizzera fornisce un servizio di manutenzione ad un’azienda all’estero ma gestendolo esclusivamente per via telematica. Ecco due esempi di situazioni ormai abituali che aprono nuovi scenari anche nel diritto tributario. A cambiare il quadro della fiscalità internazionale ci sarà anche la tassa minima globale del 15% per i grandi gruppi. Con la Global Tax la concorrenza fiscale, tra regioni e Paesi, dalle aliquote sugli utili si sposterà su altri possibili incentivi e maggiormente sulle persone fisiche. La concorrenza si giocherà su un’imposizione più leggera per le persone fisiche ad alto reddito, come manager e dirigenti, che hanno un ruolo decisivo proprio sulla scelta della sede di un’impresa. Perciò, il Ticino deve giocare d’anticipo, riducendo le aliquote sui redditi elevati, che attualmente ci collocano negli ultimi posti della classifica fiscale nazionale, per profilare il Cantone come location conveniente per le società estere e soprattutto per le persone fisiche a esse legate.

Sono in atto cambiamenti radicali sia nei paradigmi produttivi che nei criteri impositivi, si dispiegano processi transnazionali che riorienteranno i flussi della ricchezza mondiale e il sistema fiscale svizzero non può restare indietro. Un fisco non al passo coi tempi, oltre che iniquo, frena la crescita, penalizzando non solo le aziende ma anche i ceti meno abbienti. Serve pertanto un’attenta analisi su nuove attività e base imponibile con soluzioni fiscali moderne che incoraggino e non ostacolino l’innovazione economica e sociale.

Meno imposizione per avere più gettito

Anche per il voto del 13 febbraio si levano le immancabili proteste contro gli sgravi che favorirebbero il capitale dissanguando le casse pubbliche. Rimostranze che non reggono alla prova delle cifre sulle entrate fiscali della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni, soprattutto tenendo conto degli effetti sul medio e lungo termine.
Se negli anni ‘90 le imposte sul capitale fruttavano allo Stato il 5% del PIL, oggi – dopo tre riforme federali per una fiscalità più attrattiva (1997-2008-2019) – si è quasi arrivati al 7%. Una crescita generata in gran parte dal boom dell’imposta sull’utile. Da anni il gettito dell’IFD, Imposta federale diretta, assicurato dalle imprese supera quello delle persone fisiche. Ancora più inconsistente è la costante critica sugli sgravi fiscali a livello ticinese che avrebbero disastrato le finanze cantonali. In realtà riducendo mediamente del 30% la pressione fiscale, si generò anni fa un aumento del gettito di oltre il 40%: circa 450 milioni di franchi in più. Non c’è stato alcun “golpe” al gettito fiscale che in questi anni è invece aumentato. Del resto, le imposte versate dalle persone fisiche sono passate dagli 822 milioni del 2009 ai 1’117 del 2019. Rispetto al 1999 l’incremento delle entrate fiscali annuali è stato di 439 milioni. E sono aumentate anche quelle delle persone giuridiche, nonostante la crisi che ha investito la piazza finanziaria ne abbia drasticamente ridotto il gettito. A vanificare la crescita degli introiti tributari è piuttosto l’aumento costante della spesa pubblica, riconducibile a vari fattori, a volte giustificabili, a volte meno. In Ticino, ma anche in molti altri cantoni, uno dei problemi principali è la fragilità della stratificazione fiscale: su poco più di 200mila contribuenti, il 26,6%, ossia 54’492 persone, non paga imposte perché non raggiunge il minimo imponibile, mentre poco meno del 10%, circa 8mila cittadini, paga quasi il 60% delle imposte delle persone fisiche. Da soli, i vituperati globalisti, 896 soggetti, nel 2020 hanno versato a Cantone, Comuni e Confederazione 157,8 milioni. Dati che dimostrano quanto sia sociale la fiscalità in Ticino, ma anche come essa dipenda da una fascia ristretta di contribuenti. Contro cui abitualmente taluni inveiscono in modo sconsiderato, ma senza la quale lo Stato non avrebbe le risorse per finanziare una generosa socialità.

Un efficace sistema redistributivo

È evidente che non si combatte la povertà impoverendo i ricchi. Tanto più in un Paese come il nostro che vanta un’efficace ridistribuzione attraverso l’imposta sulla sostanza e le aliquote dell’imposta sul reddito. L’imposizione dei redditi da capitale, come pure dei salari, è difatti fortemente progressiva: l’1% dei contribuenti versa il 44% circa dell’IFD, il 50% dei cittadini con redditi meno alti assicura il 2%, il 47% della popolazione non paga alcuna imposta federale . Allargando lo sguardo, si stima che il 53% delle imposte federali, cantonali e comunali è pagato dal 10% dei contribuenti, cioè poco meno di 515mila persone. I ceti più alti lasciano nelle casse dell’AVS una quota consistente di contributi che non riscuoteranno mai. Questi importi superano la soglia massima dell’indennità loro dovuta, di cui beneficeranno, invece, i pensionati meno abbienti. Proprio grazie alle prestazioni sociali si assicura gran parte della ridistribuzione: nel 2018 si sono spesi 177 miliardi di franchi, vale a dire un quarto del totale della produzione economica annuale, per pensioni vecchiaia, malattia e invalidità, disoccupazione ed emarginazione sociale.

In Ticino nel 2022 per la socialità si spenderanno 1’130 milioni, 148 in più rispetto a due anni fa, mentre il volume dei sussidi dal 2003 al 2021 è aumentato del 99%. Cifre che smentiscono
le insistenti voci di presunti tagli al sociale. Ad impoverire i cittadini non sono gli sgravi che, secondo la vulgata corrente, priverebbero lo Stato dei fondi necessari per la protezione sociale, né è una semplice questione di salari, come taluni vogliono far credere. Non dimentichiamo ad esempio il notevole aumento delle tasse (quelle cosiddette causali, tanto per intenderci): sui rifiuti, sulla circolazione, su ogni documento rilasciato dalla pubblica amministrazione e su altri servizi, che gravano sempre di più sui redditi medi e medio-bassi. Una raffica di balzelli che nel 2005 fruttava al Cantone 190 milioni, dieci anni dopo 246 milioni, per arrivare nel 2019 attorno ai 270 milioni. Una stangata che, unitamente ad altri rincari legati spesso a spese obbligatorie, pesa sui bilanci di molte persone, fisiche e giuridiche. Un ulteriore argomento per proporre una visione complessiva di tutte le voci contributive, imposte, tasse e balzelli vari.

L’IVA nell’e-commerce B2C con l’UE

Come in tutto il resto del mondo, con la pandemia anche l’e-commerce nell’Unione europea (UE) è esploso. Oggi però, per molte aziende svizzere non si tratta più solo di sapere come si muovono i consumatori online e come promuovere i propri prodotti e servizi massimizzandone le vendite, ma piuttosto di impostare la propria operatività in modo corretto. Anche alla luce del nuovo pacchetto IVA per l’e-commerce lanciato il 1° luglio 2021 dall’UE: tale pacchetto ha infatti apportato cambiamenti sostanziali per quanto concerne le forniture di beni a consumatori privati (B2C), comprese quelle effettuate da aziende di Stati terzi, e introdotto regimi opzionali di gestione dell’IVA.

Nella fattispecie, il pacchetto IVA per l’e-commerce (“VAT e-commerce package”) ha esteso il regime semplificato di identificazione IVA dello sportello unico MOSS relativo ai servizi transfrontalieri di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici (“servizi TTE”) forniti ai privati anche alle altre prestazioni di servizi così come alle vendite a distanza di merci. Sono altresì stati introdotti tre regimi opzionali:

  • il regime opzionale One-Stop-Shop UE (OSS UE) si applica sia alle vendite intracomunitarie a distanza a privati ubicati nell’UE (anche effettuate da aziende di Stati terzi) sia alle cessioni nazionali di beni a privati effettuate tramite una piattaforma elettronica;
  • il regime One-Stop-Shop non UE (OSS non UE) si applica a tutte le prestazioni di servizi erogate da aziende di Stati terzi a privati ubicati nell’UE;
  • infine, il regime Import One-Stop-Shop (IOSS) si applica alle vendite a distanza a consumatori finali ubicati nell’UE di beni importati da Paesi terzi, purché esenti da accise e di valore non superiore a EUR 150.

In sostanza, l’OSS e l’IOSS semplificano gli obblighi in materia di IVA consentendo ai prestatori di servizi e ai fornitori di merci di

  • registrarsi elettronicamente ai fini IVA in un unico Stato membro;
  • dichiarare l’IVA tramite un’unica dichiarazione elettronica ed effettuare un unico pagamento dell’IVA dovuta su tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi realizzati nell’UE;
  • collaborare con l’amministrazione fiscale dello Stato membro nel quale sono registrati per l’OSS/IOSS, anche se le loro vendite avvengono in più Stati membri dell’UE.

Anche le aziende svizzere che effettuano prestazioni di servizi o vendita a distanza di merci a clienti privati nell’UE possono quindi, a seconda dei casi, optare per la registrazione opzionale ad uno dei regimi sopra indicati. Che impatto ha per loro il nuovo pacchetto IVA sull’e-commerce? Come devono gestire concretamente l’IVA sulle loro vendite a distanza o su prestazioni di servizi online a cittadini europei?

A supporto delle aziende associate, il servizio Commercio internazionale ha redatto una breve scheda che sintetizza la tematica e le problematiche. La scheda vuole essere a scopo esclusivamente informativo e non ha pretese di esaustività né vuole fornire parere legale o altro tipo di consulenza professionale.

Il trattamento corretto dell’IVA europea è infatti un tema complesso e si presta pertanto ad un approfondimento individuale. In questo contesto si segnalano innanzitutto i seguenti momenti formativi proposti dal servizio Formazione puntuale:

Le aziende associate che necessitano di una consulenza mirata possono inoltre contattare il servizio Commercio internazionale, che sarà lieto di fornire il necessario supporto in collaborazione con il suo esperto di fiducia. Tale consulenza è a pagamento.

La scheda informativa è disponibile nell’Area soci > Internazionale. Cliccare qui per recuperare i dati di accesso.

Entusiasmo, curiosità e fiducia nel 2022

Il saluto del Presidente Cc-Ti Andrea Gehri.

Carissimi associati, care aziende,

vorrei idealmente distanziarmi dal rievocare il particolare momento storico ed evitare di sottolineare ulteriormente i condizionamenti che, oramai da due anni ci tengono ostaggio, proponendo una visione del futuro prossimo con orientamenti positivi, pragmatici e oggettivi.

Come d’abitudine per ogni imprenditore ma non solo, all’inizio del nuovo anno è legittimo poter cullare sogni, porsi obiettivi e affrontarli con rinnovato ottimismo e ambizioni. Ma cosa ci vorrebbe per poter trasformare la, ahimè, negatività dilagante collettiva in energia costruttiva?

In verità non molto: ci vogliono entusiasmo, curiosità, un approccio fiducioso al futuro e condizioni economiche quadro ideali, stabili e innovative, poi l’imprenditore sa fare da sé.

L’entusiasmo rappresenta il motore per ogni individuo, ma in particolare costituisce la caratteristica che identifica idealmente l’imprenditore fortemente radicato nel suo lavoro. Senza entusiasmo, difficilmente si raggiungono obiettivi e si motivano le proprie maestranze a condividerne i traguardi e i successi.

La curiosità rappresenta quell’innato, straordinario ed essenziale tratto caratteriale che alimenta l’individuo in generale, e l’imprenditore in particolare, verso l’approfondimento puntuale che a sua volta si traduce in volontà di apprendimento, voglia di evoluzione e stimolo alla ricerca dell’eccellenza.

Entusiasmo e curiosità richiedono tuttavia da parte di tutti noi anche la convinzione per un approccio fiducioso al futuro. L’imprenditore è abituato ad affrontare fasi alterne nel suo percorso imprenditoriale, fatto di successi, di insuccessi, gioie e delusioni ma rimane sempre e comunque orientato verso una visione positiva del futuro. Futuro che, e ne sono un convinto sostenitore, potendo contare sul sistema “Svizzera” e sulle sue eccellenti basi e strutture ci pone, senza ombra di dubbio, in una posizione concorrenziale favorevole e privilegiata rispetto a tanti altri paesi.

Dobbiamo tuttavia evitare di cullarci nella convinzione di essere dei privilegiati, solo perché favoriti dalla nostra invidiabile posizione nel contesto internazionale, ma dobbiamo assolutamente rimanere accorti e focalizzati sui temi, sullo sviluppo, sull’evoluzione, sul progresso. Sarebbe sbagliato e pericoloso vivere di rendita.

Le condizioni quadro del nostro Paese per promuovere l’economia e gli imprenditori sono buone, ma si può e si deve far meglio. Tutti noi facciamo parte di un sistema che deve perseguire l’obiettivo di migliorarle ulteriormente. Evitiamo con determinazione di farci trascinare in un contesto dove allo Stato si chiedono sempre più sostegno e interventi sussidiari, ignorando con disinvoltura di chiedersi responsabilmente da dove arrivano i mezzi e chi li produce per finanziare e sostenere il dilagante assistenzialismo?

La ricchezza di uno Stato e di una regione come il Canton Ticino è costituita dalla multidisciplinarità e dalla varietà del substrato economico presente e, nonostante le criticità dovute ad un posizionamento geografico che, storicamente non sempre può rivelarsi favorevole, dimostra una dinamicità esemplare.

Crediamo nella nostra regione, crediamo nel Canton Ticino e sosteniamo i temi per condizioni quadro migliori:

  • dallo Stato e le istituzioni ci attendiamo un approccio costruttivo all’accoglienza e all’ospitalità, offrendo sostegno ai cittadini e alle imprese attraverso un atteggiamento attento, premuroso e conciliativo.
  • No ad aumenti di imposte, tasse e aggravi di ogni genere e applicazione senza indugi della riforma fiscale varata.
  • Serve una trasformazione digitale effettiva e non solo a parole da promuovere senza indugio nell’amministrazione pubblica e nel contesto economico.
  • Investiamo urgentemente in infrastrutture, in particolare nella mobilità, nell’istruzione, nella formazione continua e nella tecnologia.
  • Incentiviamo e sosteniamo la transizione verso una politica energetica sostenibile premiando gli investimenti e le iniziative virtuose.

Manteniamo quindi entusiasmo nel nostro operato, sviluppiamo la curiosità e traduciamo questi propositi in nuove opportunità, consolidando così la nostra eccellente realtà economica.

Il Ticino, oltre a terra d’artisti, è anche terra d’imprenditori seri ed affermati che amano il proprio territorio e credono nel futuro delle proprie aziende.

Buon anno a tutti.

Libero scambio con Albania e Serbia: applicabili le norme della Convenzione PEM riveduta

La Convenzione PEM si applica nel traffico delle merci di origine preferenziale nel quadro degli accordi di libero scambio (ALS) all’interno della zona di cumulo paneuromediterranea. Soggetta a revisione, la Convenzione riveduta non ha potuto sinora essere adottata poiché alcune Parti contraenti ne hanno rifiutato il testo. La maggioranza delle Parti, tra cui la Svizzera, ha tuttavia deciso di applicare transitoriamente le regole rivedute su base bilaterale. Dal 1° gennaio 2022 le norme rivedute possono essere applicate anche nel libero scambio tra AELS e Albania e AELS e Serbia. 

L’applicazione bilaterale transitoria della Convenzione PEM consente alle imprese degli Stati contraenti di beneficiare delle norme rivedute nel commercio bilaterale finché la Convenzione PEM riveduta non verrà ufficialmente adottata.

L’ordinamento provvisorio ha introdotto semplificazioni amministrative quali l’abolizione della prova d’origine EUR-MED e l’uniformazione delle regole di lista. Durante il periodo di transizione, le aziende possono decidere autonomamente se applicare le norme d’origine della Convenzione attuali o le norme d’origine rivedute. Esse devono tuttavia determinare quali norme sceglieranno prima di calcolare l’origine e utilizzare le rispettive prove d’origine.

Le prove d’origine rilasciate sotto le norme transitorie vanno infatti distinte dalle prove d’origine rilasciate conformemente all’attuale Convenzione PEM: il certificato di circolazione delle merci EUR.1 deve includere nella casella 7 la dicitura in inglese «TRANSITIONAL RULES»; anche la dichiarazione di origine d’origine va adeguata: “L’esportatore delle merci contemplate nel presente documento (autorizzazione doganale n. ..…) dichiara che, salvo indicazione contraria, le merci sono di origine preferenziale……. conformemente alle norme di origine transitorie.”
Inoltre, le prove dell’origine hanno ora una validità di dieci mesi.

Oltre che negli accordi di libero scambio tra AELS e Albania e tra AELS e Serbia, la Svizzera applica le norme transitorie anche nell’accordo di libero scambio con l’UE (dal 1° settembre 2021) e nella Convenzione AELS (dal 1° novembre 2021), cf. Matrix

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SECO: indagine sull’uso degli accordi di libero scambio nell’export

Ogni anno, circa 400 milioni di franchi di dazi doganali sono riscossi sui prodotti esportati dalla Svizzera verso i Paesi con i quali esistono accordi di libero scambio. Perché ciò avviene? La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) vorrebbe approfondire questa questione e conta sull’aiuto delle aziende esportatrici svizzere.

La SECO ha lanciato un sondaggio sull’utilizzo degli accordi di libero scambio (ALS), tramite il quale vuole chiedere agli esportatori svizzeri quali sono le sfide legate agli ALS. L’obiettivo è quello di capire meglio come gli ALS conclusi dalla Svizzera sono utilizzati dalle aziende esportatrici e come il loro uso può essere ulteriormente semplificato.

Il questionario può essere compilato sia in francese sia in tedesco su https://seco.limequery.com/388298?lang=fr

Termine: 31 gennaio 2022

Tempo di compilazione: 5-15 minuti, a seconda della situazione specifica dell’azienda.

Si consiglia di far compilare il sondaggio direttamente dai collaboratori che si occupano delle esportazioni in particolar modo riguardo agli accordi di libero scambio.

Ulteriori ragguagli sono disponibili sul sito della SECO: Utilità degli accordi di libero scambio (admin.ch)

Tariffa doganale: adeguamento in vigore dal 1.1.2022

Il 1° gennaio 2022, l’Organizzazione Mondiale delle Dogane (OMD) implementerà la settima edizione del suo Sistema Armonizzato (SA), apportando importanti cambiamenti alle voci di tariffa di molti prodotti.

Il Sistema Armonizzato (SA) è stato sviluppato e introdotto dall’Organizzazione mondiale delle dogane (OMD) per identificare in maniera uniforme e a livello internazionale le diverse tipologie di prodotto. Esso comprende più di 5’000 gruppi di merci; ognuno identificato da un codice a sei cifre, organizzato in una struttura logica e supportato da regole ben definite per ottenerne una classificazione uniforme. Tale codice viene comunemente chiamato “voce doganale” (o “HS code” in inglese). I singoli Paesi possono adottare ulteriori e più specifiche suddivisioni (8-12 cifre) nelle loro tariffe nazionali.

Il sistema è usato da più di 200 Paesi ed economie come base per le loro tariffe doganali, per le statistiche sul commercio internazionale nonché per gli accordi commerciali. Oltre il 98% delle merci nel commercio internazionale è classificato in termini di SA e, per restare al passo con gli sviluppi tecnologici, l’OMD aggiorna tale sistema ogni 5-6 anni. Gli Stati membri dell’OMD devono trasporre questi cambiamenti nella loro legislazione nazionale. L’attuale SA è del 2017 e l’ultima revisione del SA entrerà in vigore il 1° gennaio 2022. In Svizzera, il Consiglio federale ha dato il via libera nel giugno 2021 agli adeguamenti necessari nella tariffa nazionale (Tares).

Quest’ultima revisione risulta particolarmente critica, poiché l’OMD ha apportato ben 351 emendamenti al SA, tra cui: l’introduzione della classificazione dei rifiuti elettrici ed elettronici (e-waste), dei nuovi prodotti a base di tabacco e nicotina (sigarette elettroniche), dei veicoli aerei senza equipaggio (UAV – ovvero i droni), degli smartphone, delle stampanti 3-D (produzione additiva) e dei pannelli per schermi piatti. Vi sono, tra gli altri, anche cambiamenti per quanto riguarda i prodotti chimici (tra cui i placebo e i kit diagnostici nonché merci controllate da varie convenzioni), le fibre di vetro e le macchine per la lavorazione dei metalli. Molte nuove sottovoci sono state create per i beni a duplice impiego che potrebbero essere impiegati per un uso non autorizzato, come i materiali radioattivi e gli armadietti di sicurezza biologica, così come per gli articoli necessari per la costruzione di dispositivi esplosivi improvvisati, quali i detonatori. Gli emendamenti al SA non si limitano solo a creare nuove disposizioni specifiche per varie merci, ma includono anche spiegazioni volte ad assicurare un’applicazione uniforme della nomenclatura.

Per preparare le imprese ad applicare i cambiamenti del Sistema armonizzato in vigore dal 1° gennaio 2022, l’OMD in collaborazione con l’Organizzazione mondiale del commercio (OMD) ha messo a punto l’HS tracker, un motore di ricerca in grado di mostrare le modifiche intervenute e le motivazioni sottese all’aggiornamento. In Svizzera, l’Amministrazione federale delle dogane (AFD) ha pubblicato le modifiche sul suo sito web, compresa la “lista di concordanza” che illustra i numeri di tariffa interessati dalla revisione. Il Tares sarà aggiornato di conseguenza il 1° gennaio 2022.

L’importanza della voce di tariffa doganale e della sua corretta applicazione è spesso sottovalutata, sebbene sia una componente centrale di ogni processo di importazione ed esportazione. Ogni voce non solo determina l’importo dei dazi doganali e degli oneri doganali, ma anche gli eventuali obblighi di autorizzazioni (controllo delle esportazioni). La voce di tariffa ha inoltre un ruolo decisivo anche per determinare quale regola d’origine e della lista si applica per un determinato accordo di libero scambio. In virtù di quanto sopra esposto, le aziende sono chiamate ad agire tempestivamente e a verificare l’accuratezza delle voci doganali utilizzate per i loro prodotti per evitare ritardi nelle spedizioni e di incorrere in eventuali sanzioni.

Si ricorda infine che, in caso di dubbi, l’AFD rilascia informazioni tariffali vincolanti su richiesta. Le domande di classificazione devono essere inoltrate tramite e-mail utilizzando il questionario “40.10 Domanda di classificazione” disponibile sul sito web della stessa AFD.

Contratti collettivi per tutti?

Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.

I contratti collettivi di lavoro (CCL) rappresentano uno degli strumenti con cui le parti sociali, a volte, strutturano i reciproci rapporti e quelli tra aziende e lavoratori. È una possibilità esplicitamente prevista dal Codice delle obbligazioni. Infatti, l’art. 356 CO recita: “Mediante contratto collettivo di lavoro, datori di lavoro o loro associazioni, da una parte, e associazioni di lavoratori, dall’altra, stabiliscono in comune disposizioni circa la stipulazione, il contenuto e la fine dei rapporti individuali di lavoro tra i datori di lavoro e i lavoratori interessati”.

Già da questa definizione si evince che non tutti possono validamente sottoscrivere un CCL. In effetti la legge stabilisce che le parti ad un CCL possono essere i datori di lavoro o le loro associazioni da un lato, e le associazioni di lavoratori dall’altro lato, i sindacati per intenderci. Quindi affinché si possa parlare di CCL, il medesimo deve essere sottoscritto da un sindacato, non dai lavoratori medesimi. Questa condizione pone un importante quesito: chi sono le associazioni di lavoratori e come vengono definite?

Si tratta di una questione certamente rilevante in quanto senza un sindacato validamente riconosciuto non può essere firmato alcun CCL.

Ora, la dottrina e la giurisprudenza hanno affrontato il tema e formulato diversi criteri che permettono di valutare se un sindacato deve essere riconosciuto come parte sociale al fine di partecipare a negoziati collettivi volti a concludere un CCL. Eccone alcuni.


Innanzitutto, il sindacato deve essere sufficientemente rappresentativo. Ciò significa che l’organizzazione deve perlomeno essere il portavoce di una minoranza di lavoratori e non di semplici individui isolati. La giurisprudenza non ha fissato soglie quantitative minime generalmente applicabili. Al riguardo è stato però precisato che un sindacato non deve rappresentare per forza un’importante minoranza di lavoratori di una singola azienda soprattutto se gode di una rappresentatività sufficiente a livello cantonale e/o federale. Oltre ad essere rappresentativo un sindacato deve essere indipendente, nel senso di tutelare liberamente i lavoratori rappresentati nei confronti del datore di lavoro, e leale. Tale condizione di lealtà implica che il sindacato sia disposto a rispettare tutti gli impegni derivanti dal CCL e, in generale, sia un partner sociale degno di fiducia nel dialogo tra le parti. È già stato stabilito che un sindacato non può essere considerato sleale solo perché si trova in lite con alcuni dei suoi affiliati, non avendo tali controversie nessuna rilevanza per il comportamento dell’organizzazione quale parte sociale.

Essendo la rappresentatività, l’indipendenza e la lealtà, principi giuridici indeterminati essi vanno applicati e concretizzati ogni volta sulla base delle singole fattispecie, tenendo conto di tutte le peculiarità del caso.

Supply chain tra collaborazioni esistenti e diversificazione

Già prima della pandemia, le guerre commerciali in atto stavano mostrando i limiti delle filiere impostate sull’utilizzo di materie prime e semilavorati provenienti esclusivamente da alcuni Paesi, la Cina in particolare, e si iniziavano a intravvedere spostamenti di produzioni a basso costo.

Le interruzioni delle forniture causate dall’emergenza Covid e la ricerca simultanea di soluzioni alternative da parte di tutte le aziende hanno poi generato sui mercati turbolenze che non si vedevano da decenni, mettendo ulteriormente in risalto non solo la grande fragilità delle supply chain ma anche le debolezze del modello just in time (metodo Toyota), volto all’abbattimento dei costi di stoccaggio e alla riduzione del rischio di obsolescenza dei prodotti.

Oggi le supply chain stanno guardando sempre più oltre la Cina. Si parla di tendenze al reshoring e nearshoring: la prima soluzione potrebbe funzionare per i prodotti con un processo di produzione altamente automatizzato, mentre la seconda può portare a tempi di consegna più brevi e a costi di distribuzione inferiori rispetto alle spedizioni dall’Asia.
Vi sono però anche altre opzioni, forse più realistiche: quella del mantenimento dei fornitori attuali rivalutandone la collaborazione e, al suo opposto, quella della diversificazione dei fornitori, postando alcune linee di prodotti dalla Cina verso altri Paesi asiatici. Nel primo caso, per una migliore gestione dell’approvvigionamento, può essere vantaggioso stringere relazioni più strette con i propri fornitori, rivedendo i termini della cooperazione, rinegoziando i minimi oppure valutando forme più costruttive di cooperazione, favorendo ad esempio l’innovazione e collaborando allo sviluppo di nuovi prodotti. Tutto ciò richiede un cambiamento di mentalità, stabilire delle priorità, ma soprattutto approfondire la conoscenza reciproca nonché migliorare e incrementare la comunicazione. In sostanza adottare un nuovo modus operandi.

Nel secondo caso, complici sia la guerra commerciale con gli Stati Uniti, sia il piano “Made in China 2025”, ovvero le ambizioni e gli investimenti della “fabbrica del mondo” per diventare una potenza hi-tech, molte aziende stanno affrontando le sfide legate alla disponibilità di materie prime e alla logistica adottando l’approccio “China+1” di diversificazione della loro filiera produttiva istituendo ad esempio canali paralleli in altre azioni asiatiche. Se si pensa che entro il 2030 due terzi della classe media mondiale sarà basata in Asia, questo da solo rimette in discussione il concetto a lungo sostenuto che il consumo avviene tipicamente in Occidente e la produzione in Oriente.
Restare in Asia con la produzione, ovvero vicino al più grande bacino di consumatori, non appare quindi del tutto fuori luogo, purché vi sia però un’adeguata diversificazione geografica dei fornitori.

Grazie a politiche a favore dello sviluppo del settore manifatturiero, incentivi fiscali per investitori esteri e investimenti in infrastrutture, diversi mercati emergenti asiatici stanno cogliendo questa finestra di opportunità e, complice anche una specializzazione settoriale che si sta venendo a creare, presentano condizioni vantaggiose per gli investitori. È il caso di Vietnam e India, ad esempio. Nel sud-est asiatico, il Vietnam è una delle destinazioni più appetibili anche per le stesse aziende cinesi e questo già prima della pandemia. Certo, in ambito infrastrutturale, il Paese è molto indietro rispetto alla Cina, ma il piano generale del Ministero dei trasporti per il 2030 relativo alle infrastrutture è ambizioso. Il Paese dispone inoltre di manodopera qualificata nei settori a maggior valore aggiunto ed è in grado di assorbire parte della produzione cinese in settori mirati, quali ad esempio l’elettronica o il tessile. Le riforme legislative attuate consentono agli stranieri di possedere proprietà e partecipazioni di maggioranza in aziende vietnamite.

Le aziende europee stanno già guardando al Paese con un occhio di riguardo, in gran parte grazie all’accordo di libero scambio entrato in vigore il 1° agosto 2020 (Svizzera/AELS sono invece ancora in fase negoziale) e alla partecipazione del Paese al Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), l’accordo economicocommerciale tra i 10 Paesi dell’ASEAN più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, firmato il 15 novembre 2020 e finalizzato a superare le barriere commerciali in un’area in cui vive un terzo della popolazione mondiale e che rappresenta, da sola, il 30% del Pil globale. Spostandoci a ovest, nel sud dell’Asia è invece l’India a rappresentare un’opportunità per molte imprese grazie alla vasta dimensione del proprio mercato domestico, un costo del lavoro contenuto e un governo Modi che ha recentemente aperto la possibilità di investimenti diretti esteri al 100% in molti settori e che punta sullo sviluppo infrastrutturale.

Anche se i servizi continuano a ricoprire un ruolo primario nell’economia indiana e l’industria manifatturiera non è ancora riuscita ad esprimere il proprio potenziale, vi sono opportunità nell’elettronica, nella chimica e nella farmaceutica. Rispetto al Vietnam, fortemente dipendente dalla Cina in questo ambito, l’India ha inoltre una forte capacità di produzione di materie prime per varie industrie. Ad oggi è difficile capire come si ridisegneranno effettivamente le supply chain.

Le aziende attive a livello internazionale potrebbero però essere chiamate a compiere una scelta tra rafforzare le collaborazioni esistenti e diversificare.

Preparativi per una nuova Legge Brevetti svizzera

La Svizzera è uno dei Paesi più innovativi d’Europa, con il maggior numero di brevetti pro-capite. I brevetti svizzeri sono rilasciati dall’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI) che, secondo la legge attuale, non ha il compito di valutare la novità e l’originalità dell’invenzione brevettata e pertanto svolge un esame prevalentemente formale.

La validità di un brevetto può essere decisa dal Tribunale Federale dei Brevetti ma ciò accade solo nei contenziosi. La proposta di revisione messa in consultazione nel mese di ottobre 2020 prevedeva un esame più accurato per le domande di brevetto d’invenzione e parallelamente l’istituzione di un nuovo titolo, denominato modello di utilità, rilasciato senza esame ma di durata decennale anziché ventennale. I brevetti per modello di utilità esistono in diversi Paesi, tra cui Germania e Italia.

Il 18 agosto 2021 il Consiglio Federale ha preso atto dei risultati della consultazione. È emerso il favore ad una modernizzazione della legge ma anche l’auspicio verso una soluzione flessibile, che non precluda l’ottenimento di un brevetto con esame solo formale, di durata ventennale. Considerata la consultazione, il Consiglio Federale ha introdotto alcune importanti modifiche alla proposta di revisione.

L’Istituto continuerà di regola a rilasciare i brevetti d’invenzione senza esaminare il merito tecnico, cioè i requisiti comunemente chiamati novità e attività inventiva. Si rinuncia così all’introduzione del modello di utilità. Tuttavia, chi fa domanda di un brevetto potrà ottenere, su richiesta, anche un esame approfondito dei requisiti di brevettabilità, cosa che oggi non è possibile. Inoltre, ogni domanda di brevetto sarà soggetta ad una ricerca di arte nota, che oggi è solo facoltativa. L’esito della ricerca sarà reso pubblico e comprenderà un elenco di documenti di arte nota significativi, rispetto ai quali il brevetto dovrebbe distinguersi per avere valida efficacia. Queste misure daranno maggiore certezza del diritto sui brevetti nazionali.

È anche prevista l’introduzione di una procedura di ricorso semplificata. Su ricorso, le decisioni dell’IPI dovranno essere riesaminate da un tribunale che, in prospettiva futura, sarà il Tribunale Federale dei Brevetti. Così modernizzato, il sistema nazionale si allinea a quello dei principali Paesi industrializzati e al brevetto europeo, rilasciato dopo esame da parte dell’Ufficio Europeo Brevetti di Monaco. È presumibile che la domanda di brevetto svizzero, esaminata dall’Istituto, avrà costi inferiori e procedure più snelle rispetto a quella europea, e risulterà pertanto conveniente, specialmente per le PMI con particolare focus sul territorio elvetico. Entro la fine del 2022, l’IPI preparerà un messaggio sulla revisione della legge per il Consiglio Federale.


L’intelligenza artificiale (IA) ottiene il riconoscimento di inventore

Stephen Thaler è l’ideatore di un sistema di IA noto come Dabus (dispositivo per l’avvio autonomo di esseri senzienti unificati). Dabus ha lo scopo di creare in autonomia nuove invenzioni. Alcune di queste invenzioni sono state sottoposte all’esame di svariati Uffici Brevetti, ai fini del riconoscimento del carattere innovativo ma anche -e più provocatoriamente- della legittimità di Dabus di essere riconosciuto inventore.

L’Ufficio Europeo Brevetti (UEB) ha rifiutato due domande di brevetto, nelle quali Dabus era stato indicato come unico inventore, sulla base del fatto che l’IA non ha diritti da esercitare, in quanto priva di personalità giuridica. La decisione è stata impugnata di fronte alla Corte d’appello dell’UEB ed è attualmente in attesa di verdetto. L’ufficio brevetti statunitense (USPTO) è giunto ad una conclusione simile. Tuttavia, la Corte distrettuale della Virginia, alla quale il signor Thaler ha fatto ricorso, ha concluso con termini possibilistici: “si potrebbe arrivare ad un momento in cui l’IA avrà raggiunto un livello di sofisticazione tale che sarà sostenibile identificarla con l’inventore, ma quel momento non è ancora arrivato”.

La Corte Federale Australiana ha preso una posizione nettamente contrastante con le precedenti. Ha constatato che la legge brevetti non prevede esplicitamente che l’inventore sia una persona fisica e perciò non vieta di attribuire il titolo di inventore all’IA. La decisione sarà probabilmente oggetto di dibattito poiché è auspicabile che vi sia uniformità nell’interpretazione della legge brevetti, anche a livello internazionale.

Nell’ambito del diritto d’autore, il Tribunale cinese del distretto di Shenzhen Nanshan si è pronunciato sulla protezione di un articolo giornalistico generato dal programma Dreamwriter, ritenendolo “creativo”, e riconoscendo all’ideatore del programma la titolarità dei diritti di sfruttamento economico dell’articolo. In questo modo si è inteso evitare lo sfruttamento indiscriminato dell’articolo, attribuendolo all’ideatore del programma, senza il quale l’articolo non esisterebbe.

Questo orientamento, però, non sarebbe applicabile alle opere generate in completa autonomia dall’IA – se mai possibili – dove mancherebbe un nesso causale tra soggetto umano e IA. C’è chi ritiene che, in mancanza di un nesso, l’opera sarebbe di dominio pubblico. La norma giuridica in generale, infatti, serve a regolare il comportamento tra soggetti umani, e dove manca un soggetto umano non vi sarebbe diritto.
Diventerebbe quindi determinante rilevare una connessione soggetto umano-IA, considerando la titolarità del soggetto umano sul programma o sui mezzi tecnici (hardware) che hanno consentito
all’IA di realizzare l’opera.

Al momento, l’ipotesi che l’IA sia completamente indipendentemente dalla supervisione umana è lontana. Tuttavia, è auspicabile trovare al più presto un quadro giuridico di riferimento, che prevenga frammentazione normativa, e volto a promuovere l’adozione dell’IA tramite regole comuni.


Articolo a cura di Stefano Sinigaglia, European Patent Attorney, M. Zardi & Co. SA