Il Consiglio federale ha proceduto ad una revisione totale dell’ordinanza che istituisce provvedimenti nei confronti della Bielorussia. Sulla scia di quanto adottato contro la Russia, le misure riguardano in particolare il settore commerciale e quello finanziario.
Tra le novità vi è il divieto di esportazione in Bielorussia di tutti i beni a duplice impiego (civile o militare), a prescindere dallo scopo o dal destinatario finale. Viene inoltre vietata l’esportazione di determinati macchinari e di beni per il rafforzamento militare e tecnologico o per lo sviluppo del settore della difesa e della sicurezza. In relazione a tali beni non è più permesso fornire assistenza tecnica, servizi di intermediazione né mezzi finanziari. Sono stati ampliati anche i divieti di importazione nei confronti della Bielorussia, che ora includono anche i prodotti del legno e della gomma, ferro, acciaio e cemento. In base alla nuova ordinanza è vietato fornire finanziamenti pubblici o assistenza finanziaria pubblica per gli scambi commerciali o gli investimenti in tale Paese. Altri provvedimenti in ambito finanziario concernono titoli di credito, mutui e l’accettazione di depositi. Le transazioni con la Banca centrale bielorussa non sono più consentite. Inoltre, le banche elencate nell’allegato sono escluse dal sistema di messaggistica internazionale SWIFT.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/03/ART22-sanzioni-bielorussia.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-03-16 14:00:002022-06-22 14:58:51Nuove sanzioni contro la Bielorussia
La formazione continua è la chiave del successo personale e aziendale. È questa la filosofia che ispira il costante impegno della Cc-Ti nell’offrire agli operatori dell’economia ticinese, anche su diretta sollecitazione delle associazioni di categoria e delle imprese affiliate, un’ampia scelta di percorsi formativi, sia di breve che di lunga durata.
La Scuola Manageriale, la nuova Scuola dell’Export, che prenderà avvio il prossimo settembre con il primo corso, e la ricca offerta della formazione puntuale, sono gli assi strategici su quali si sviluppa l’ampia proposta formativa targata Cc-Ti. Sempre animata dalla ferma convinzione che solo investendo di più sulla conoscenza, sull’acquisizione di nuove competenze e l’aggiornamento professionale è possibile continuare a crescere nella propria professione ed essere profili chiave per le aziende.
La Scuola Manageriale
Con un nuovo corso che prenderà avvio il prossimo maggio, la Scuola Manageriale entrerà nel quinto anno di attività, sull’onda di un crescente interesse che ha visto sinora un centinaio di iscritti provenienti dai più diversi settori produttivi, non arrestandosi neanche con le inevitabili difficoltà provocate dalla pandemia nell’ultimo biennio. Una formazione specifica superiore che non esisteva ancora in Ticino, a differenza dei Cantoni della Svizzera tedesca, e che la Cc-Ti ha promosso nel febbraio del 2018 rispondendo alle specifiche richieste avanzate dei propri soci e dal proprio Consiglio economico (formato da circa 50 associazioni categoria). Articolata su sei moduli (più un modulo interdisciplinare finale) per un totale di 352 ore di lezioni su tre semestri, la Scuola Manageriale permette ai partecipanti di ottenere il titolo di “Specialista della Gestione PMI” con attestato federale. In pratica, superati i sei moduli del corso si riceve un certificato di frequenza SIU/IFCAM, rilasciato dalla Cc-Ti, che dà accesso all’esame federale per conseguire il relativo attestato.
Ma chi è o, meglio, cosa fa uno Specialista della Gestione PMI? “È una figura professionale in grado di condurre correttamente una piccola/media impresa, identificandone rischi e opportunità. O anche colui che aspira ad occupare una posizione di quadro in un’azienda (anche di grandi dimensioni)”, spiega Roberto Klaus, Direttore della SSIB Ticino, Swiss School for International Business, e Responsabile della Scuola Manageriale e della Scuola dell’Export della Cc-Ti.
Lo scopo del corso è quello di incentivare la promozione della formazione continua e preparare adeguatamente imprenditori, futuri dirigenti delle PMI e quadri aziendali. La quota d’iscrizione dei partecipanti può essere sussidiata fino al 50% da parte della Confederazione (il sussidio viene riconosciuto solo a formazione conclusa e se i partecipanti sono domiciliati in Ticino). Con un ciclo formativo di lunga durata articolato su moduli tematici specifici che spaziano dalla conduzione generale dell’impresa alla leadership, alla comunicazione e gestione del personale, dall’organizzazione aziendale alla contabilità e alla finanza, dal marketing alle pubbliche relazioni, ai rapporti con i fornitori e al diritto in materia di piccole e medie aziende. Temi che vengono affrontati non solo da un profilo teorico, ma anche con un approccio pratico per potersi misurare concretamente con i problemi reali che quotidianamente il partecipante può incontrare e dover affrontare in azienda. Dopo ogni lezione si dovrà, infatti, cercare di applicare quanto appreso nella propria attività lavorativa.
Un trampolino per la crescita professionale
Teoria e pratica, quindi, unite dal fil rouge dell’obiettivo finale del corso: acquisire le necessarie competenze, pragmatiche, operative e strategiche, per migliorare l’efficienza e l’efficacia della conduzione dell’impresa. Alla fine del percorso formativo, con la formazione in gestione PMI si avranno tutti i requisiti per guidare una piccola e media azienda o per ricoprire la funzione di quadro in un’azienda di più grande dimensione. Un progetto formativo che rappresenta indubbiamente un trampolino per la crescita professionale personale e un importante atout per la crescita aziendale. Tanto più in una realtà economica come quella ticinese il cui tessuto connettivo è per oltre il 90% costituito da piccole/medie imprese e con un mercato del lavoro spesso penalizzato dalla mancanza di personale dirigenziale. Una carenza che la Scuola Manageriale sta cercando di colmare accompagnando in questa direzione un’eterogenea tipologia di partecipanti che hanno o stanno, appunto, frequentato il corso: un terzo di iscritti da imprese familiari che intendono prepararsi alla successione aziendale; un terzo da dipendenti che aspirano a una migliore carriera professionale; un altro gruppo, poi, di piccoli imprenditori che hanno avviato un’attività economica in Ticino e, infine, titolari e personale di start-up. Una diversificazione che si riscontra nella composizione multisettoriale delle classi del corso, a favorire un arricchimento reciproco e una maggiore interazione grazie al confronto tra esperienze differenti, ma che è anche il riflesso diretto che contraddistingue la realtà imprenditoriale del Cantone. Un costante impegno anche nell’aggiornamento del materiale didattico della Scuola Manageriale, focalizzandolo sulle nuove sfide date dall’evoluzione tecnologica e dall’importanza crescente della sostenibilità.
La Cc-Ti ha in cantiere un nuovo corso quale “Economista aziendale PMI”, con accesso ad una formazione superiore e al diploma federale, che si potrà frequentare solo dopo aver conseguito il titolo di “Specialista della gestione PMI”. Si creerà così una vera e propria filiera formativa per le piccole/medie imprese improntata all’apprendimento duale.
Cinque anni di attività rappresentano per la Scuola Manageriale un solido background da cui sono scaturite importanti collaborazioni con le associazioni di categoria e considerevoli riconoscimenti, come la certificazione “eduQua” e l’attestato SQS (eduQua è il label di qualità svizzero per gli istituti di formazione continua e SQS – l’associazione svizzera per servizi professionali di certificazione e valutazione per imprese e organizzazioni di qualsiasi dimensione e settore). Riconoscimenti che imprimono il marchio della qualità su questo progetto di formazione continua, targato interamente Cc-Ti.
A fianco delle imprese sul mercato mondiale
Dallo scorso dicembre la Cc-Ti ha arricchito la sua attività ampliando la propria attività con un servizio dedicato al commercio internazionale (Servizio Commercio Internazionale), per offrire alle imprese informazioni e consulenze professionali ancora più esaustive, sia per le esportazioni come pure per le importazioni. Un’iniziativa che rappresenta una prima in Svizzera e che vede la Cc-Ti alla guida di un progetto pilota anche per le altre Camere di commercio e dell’industria svizzere (20 in totale).
Questa rinnovata sezione, nata da una reale e comunicata esigenza delle imprese per meglio sostenere il processo di crescente internazionalizzazione dell’economia cantonale, consentirà anche di potenziare le sinergie con gli altri servizi interni preposti al commercio estero e con l’offerta di informazione-formazione puntuale sui temi dell’export e dell’import.
Naturale sbocco di questo potenziamento sarà la Scuola dell’Export che il prossimo settembre avvierà il suo primo corso. Molte piccole e medie aziende ticinesi che operano sul mercato mondiale si trovano talvolta in difficoltà perché prive delle necessarie competenze, dei giusti profili professionali e di affidabili partner per affrontare un’agguerrita concorrenza e un contesto geopolitico internazionale instabile e in continua trasformazione. La Scuola dell’Export ha l’obiettivo di colmare queste carenze, acuite peraltro dal pensionamento della generazione dei baby boomers, con un percorso formativo completo e rispondente ai bisogni concreti delle imprese. Anche per questo nuovo percorso, la quota d’iscrizione può essere sussidiata direttamente ai partecipanti fino al 50% da parte della Confederazione (il sussidio viene riconosciuto solo a formazione conclusa e se i partecipanti sono domiciliati in Ticino).
La Scuola dell’Export
La nuova Scuola dell’Export, articolata su tre corsi, si affiancherà alla formazione puntuale sui temi attuali legati all’export. Un settore ormai sempre più importante per la crescita economica del Cantone. Il primo corso che, come detto inizia a settembre, permetterà di conseguire il titolo di “Impiegato/a export”, con certificato rilasciato dalle Camere di commercio e dell’industria svizzere dopo un esame finale. Con lezioni distribuite su sei giornate verranno affrontate tutte le tematiche tecniche dell’export dalle condizioni quadro internazionali all’Incoterms, dalle procedure doganali ai canali distributivi internazionali e alle garanzie bancarie- con un processo di apprendimento volto ad acquisire le competenze specifiche.
L’anno prossimo si terrà invece, sull’arco di un semestre, il corso di secondo livello per ottenere la qualifica di “Specialista in commercio internazionale” con attestato federale. Ventiquattro giorni interi di lezione con un taglio più strettamente operativo, quindi più direttamente legato alla pratica concreta nell’export. Si imparerà, ad esempio, come organizzare un reparto esportazione o sviluppare una campagna di marketing internazionale. Con un terzo corso si consegue l’attestato di “Responsabile commercio internazionale”, con la possibilità di accedere anche ad una formazione superiore. Anche per questo ultimo livello sono previste 24 giornate di lezione, distribuite su un semestre, finalizzate all’acquisizione delle competenze necessarie per poter gestire tutte le attività e le problematiche legate all’export. La Scuola dell’Export si terrà in collaborazione diretta con diverse associazioni di categoria e potrà offrire ai partecipanti nuove opportunità d’impiego o di avanzamento professionale. I tre percorsi formativi sono, difatti, rivolti soprattutto alle imprese orientate sulle esportazioni per supplire alla mancanza di personale formato.
La formazione puntuale modulare
Come si vede la formazione proposta dalla Cc-Ti si sviluppa su più piani e su livelli diversi, ma sempre con un’attenzione particolare a quelle che sono le esigenze concrete. In questo contesto detiene una rilevanza centrale anche la formazione modulare che riscontra un notevole successo tra le imprese, grazie a una vasta gamma di corsi ed eventi formativi specifici che offrono l’opportunità per un costante perfezionamento e aggiornamento professionale dei propri collaboratori. Si tratta di una formazione puntuale di durata breve (mezza giornata, intera o massimo due giorni), che, anche su richiesta diretta delle imprese, del Cantone o della stessa Confederazione, è calibrata su materie puntuali e/o problematiche d’attualità. Sui temi, cioè, che contrassegnano le continue trasformazioni del tessuto produttivo, l’innovazione tecnologica, la gestione aziendale, gli accordi internazionali, l’evoluzione dei mercati, l’acquisizione di nuove competenze e risorse per accrescere la competitività. Cécile Chiodini Polloni, Responsabile del settore di formazione puntuale, è inoltre a vostra disposizione per creare dei percorsi ad hoc sulla base delle vostre esigenze specifiche.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/01/ART22-scuola22-1.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-03-15 07:54:002022-03-10 11:54:50Una formazione a misura d’impresa
Si tratta principalmente di sanzioni commerciali e finanziarie, tra cui:
Provvedimenti relativi ai beni
fatte salve le deroghe previste all’art. 6, divieto di esportazione in Russia di beni a duplice impiego (art. 4 cpv. 1, allegato 2 OBDI), a prescindere dallo scopo o dal destinatario finale;
divieto di esportazione in Russia di beni militari speciali (art. 3 cpv. 1, allegato 3 OBDI) e, fatte salve le deroghe previste all’art. 6, divieto relativo ai beni che potrebbero contribuire al rafforzamento militare e tecnologico o allo sviluppo del settore della difesa e della sicurezza della Russia (art. 5 cpv. 1, allegato 1). In questo contesto sono vietate anche l’assistenza tecnica, l’intermediazione e la concessione di mezzi finanziari (art. 5 cpv. 2);
divieto di importare armi da fuoco, munizioni, esplosivi, pezzi pirotecnici e polvere da fuoco dalla Russia e dall’Ucraina (art. 2);
divieti relativi ai beni per l’aviazione e l’industria spaziale e ai servizi ad essi connessi (art. 9);
divieti relativi ai beni per la raffinazione del petrolio (artt. 10-12).
Provvedimenti finanziari
blocco di averi e di risorse economiche (art. 15);
obbligo di notifica relativo al blocco degli averi e delle risorse economiche (art. 16);
divieto concernente i valori mobiliari e gli strumenti del mercato monetario (artt. 18 e 23, allegati 9, 10 e 11);
divieto di concessione di mutui (art. 19);
divieto di accettare depositi di più di 100’000 franchi da cittadini russi o da persone fisiche e giuridiche nella Russia (art. 20);
dichiarazione obbligatoria relativa ai depositi esistenti (art. 21);
divieto legato alle transazioni con la Banca Centrale della Russia (art. 24);
divieto di fornire servizi specializzati di messaggistica finanziaria (art. 27).
Provvedimenti relativi ai territori designati
divieto d’importare i beni originari dei territori designati senza un certificato d’origine rilasciato dalle autorità ucraine (art. 13 cpv. 1);
divieto d’esportare certi beni e di fornire servizi connessi (art. 14);
divieto di finanziamenti, partecipazioni e certi servizi (art. 25).
Ulteriori restrizioni
divieto di entrata o di transito per talune persone (art. 29, allegato 8).
Coordinate di contatto per richieste specifiche sulle sanzioni: Segreteria di Stato dell’economia (SECO), sanctions@seco.admin.ch, tel. +41 58 464 08 12 (dalle 08:00-12:00 e 13:00-17:00)
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/02/ART22-Ucraina-sanzioni.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-03-05 10:14:412022-06-22 10:48:49Situazione in Ucraina: ulteriori sanzioni contro la Russia
Dalla fine del lockdown la domanda di taluni prodotti è in continuo aumento. Questo causa ripetutamente dei colli di bottiglia nella fornitura e nel trasporto. Le aziende della supply chain sono quindi nel mirino: devono superare i colli di bottiglia dell’approvvigionamento e fare di più per soddisfare i loro clienti.
Le richieste dei clienti sono aumentate significativamente spinte anche dalla rapida digitalizzazione nel settore delle vendite: sempre più processi legati ai prodotti si stanno spostando su internet (vedi e-commerce o shopping online).
Contatto e trasparenza
Cosa ricercano i clienti? Desiderano di certo modi facili e veloci di contatto attraverso vari canali. Richiedono anche informazioni/raccomandazioni complete e personalizzate su prodotti e servizi. È importante anche la rapidità nell’elaborazione di un ordine, non soltanto nella consegna.
Si evidenzia una tendenza alla trasparenza: innanzitutto, i clienti stessi vogliono leggere su internet le informazioni inerenti ai servizi. Inoltre, vogliono poter seguire l’intero processo di trasporto e le transazioni commerciali e vederli adattati ai loro standard personali (order-to-cash-process).
Quali sono questi standard personali? Sempre più clienti sono interessati alla protezione dell’ambiente e agli standard etici. Pertanto, spesso vogliono un monitoraggio in tempo reale per poter conoscere direttamente lo stato delle cose.
Incidono gli strumenti digitali
Gli strumenti di comunicazione sono cruciali. Le aziende devono essere raggiungibili via e-mail, telefono fisso, social media e anche tramite una chat sul proprio sito web. In questo contesto è utile disporre di un’unica piattaforma digitale per tutti i canali di comunicazione (omnichannel solution).
Oltre a ciò, le aziende dovrebbero anche essere in grado di inviare SMS e messaggi personali alle applicazioni smartphone dei clienti: infatti, i clienti apprezzano il fatto di ricevere messaggi utili al momento giusto.
Un unico sistema digitale può anche coordinare l’ordine, la consegna e consentire il monitoraggio in tempo reale della merce da parte dei clienti stessi. In questo caso, aiutano gli strumenti basati sull’Internet of Things (IoT). L’IoT può anche far uso di telecamere speciali in loco che permettono di monitorare le merci nei magazzini e durante il trasporto.
Infine, le aziende della catena di approvvigionamento dovrebbero mettere in rete i singoli dipartimenti e filiali. Così facendo, avranno ovunque gli stessi standard elevati di qualità e di servizio al cliente. In questo contesto la tecnologia blockchain può fornire un accesso rapido a tutti i documenti e processi interni.
La consulenza personale
Un servizio clienti personalizzato significa anche digitalizzare i processi banali e impiegare i dipendenti in modo mirato per la consulenza personale ai clienti. In questo modo, i collaboratori possono fidelizzare i clienti coniugando l’accoglienza e l’empatia alla loro competenza in materia di prodotti e servizi.
È altresì importante trattare i reclami in modo positivo: i clienti lo apprezzano. Infine, ogni feedback è utile all’ottimizzazione dei processi interni dell’azienda.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/03/ART22-supply-chain-clienti.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-03-03 08:30:002022-06-22 10:49:13Supply chain: concentrarsi sui clienti
La sostenibilità è diventata un argomento rilevante nel mondo economico, anche nel commercio con l’estero.
Secondo diversi sondaggi internazionali, vi è un trend importante tra i consumatori: la stragrande maggioranza dei millenials, cioè i nati tra i primi anni ’80 e la metà degli anni ‘90, pagano volentieri di più per acquistare i prodotti se questi sono ecologicamente ed eticamente sostenibili. C’è anche un secondo trend: i clienti, così come i dipendenti, favoriscono le aziende che agiscono in modo ecologico e socialmente responsabile. Inoltre, sempre più investitori vogliono investire in aziende considerate sostenibili.
Sostenibilità economica, ecologica e sociale
Queste tendenze hanno implicazioni complesse per il supply chain management (SCM). Tre sono infatti gli aspetti importanti: la sostenibilità economica (efficienza delle risorse, costi), la sostenibilità ecologica (protezione dell’ambiente) e la sostenibilità sociale (etica sul lavoro).
Quali sono le “best practices” di sostenibilità per l’SCM? Queste risultano abbastanza chiare nell’area della sostenibilità economica: già da anni le aziende cercano di utilizzare le risorse in modo efficiente, ottimizzando i processi di lavoro tramite la tecnologia digitale e riducendo così i costi. Lo stesso vale per l’uso mirato dell’energia.
Qui incide anche il concetto della “circular economy” che incoraggia sempre più produttori e venditori a utilizzare più volte materiali e componenti di prodotti. Anche gli elementi che sono già stati smistati possono essere conseguentemente riciclati e rimessi in circolazione.
Le emissioni di CO2
Nell’ambito della sostenibilità ecologica, l’attenzione è rivolta alla riduzione delle emissioni di CO2. Il criterio della “product/corporate carbon footprint” (impronta di carbonio dell’azienda o del prodotto stesso) è decisivo: lungo tutta la catena di approvvigionamento si determina in modo trasparente il punto esatto in cui le emissioni di gas serra sono causate direttamente o indirettamente. In questo modo, si possono identificare i maggiori driver di CO2 e sviluppare contromisure mirate, come l’uso di materiali regionali a costi reali.
È anche importante usare le tecnologie moderne per monitorare o tracciare la sostenibilità della supply chain in ogni fase. Qui, il sistema dell’“internet of things” (IoT) offre la possibilità di monitoraggio in tempo reale tramite l’uso di dispositivi di misurazione e di telecamere esterne.
La sostenibilità etica
La sostenibilità etica riguarda il rispetto degli standard lavorativi e sociali che, nei principali paesi industrializzati, sono generalmente allineati. Questi standard non sono invece automaticamente garantiti nei vari siti di produzione delle catene di approvvigionamento internazionali. È qui che le aziende della supply chain europee possono intervenire, per esempio offrendo la prospettiva di benefici economici se si migliora la sostenibilità sociale oppure selezionando a monte fornitori che rispettino prerequisiti specifici.
Il database “Standards Map”
E dove si possono trovare le “best practices” di sostenibilità? Il database “Standards Map“, gestito dall’International Trade Center (ITC), offre una panoramica dettagliata: infatti si possono mettere a confronto più di 200 norme e i loro criteri, semplificando così il processo di valutazione dei fornitori o dei prodotti stessi.
Come stanno affrontando il tema della sostenibilità ambientale e sociale le aziende ticinesi che operano a livello internazionale? Ce ne parlerà il 24 marzo 2022 l’azienda Geomagworld SA di Novazzano, nel corso di un Lab congiunto di NZZ Impact e Switzerland Global Enterprise, con la collaborazione della Cc-Ti, di SUPSI e Rytec Circular. Maggiori ragguagli qui: Abbracciare la filosofia dell’economia circolare – Cc-Ti
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/03/ART22-estero-sostenibilita.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-03-03 08:00:002022-06-22 10:51:46Commercio estero e “best practices” di sostenibilità
Da molti mesi attiriamo l’attenzione sulla delicatezza del tema energetico, fondamentale per le aziende ma ovviamente per tutti le cittadine e i cittadini. Produzione insufficiente a coprire i consumi, pericolosi giochi ideologici che limitano le fonti di produzione a disposizione, dipendenza dall’estero, rischio di incremento dei prezzi, ecc.. Appelli passati quasi inosservati al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, fino a quando il Consiglio federale ha rotto gli indugi parlando apertamente di crisi energetica imminente, con probabili black-out. Il repentino e vertiginoso aumenti dei prezzi dell’energia ha dato il tocco finale, riaprendo un dibattito che rischiava di morire imbrigliato fra false credenze e illusioni, si spera solo dettate dall’ingenuità. È evidente che siamo di fronte a un’equazione che, allo stato attuale delle cose, sembra sempre più irrisolvibile, con consumi in aumento e limitazioni alla produzione, visto che taluni vettori restano ancora un tabù, il nucleare su tutto, malgrado l’evoluzione tecnologica.
Tre pilastri essenziali
La politica energetica poggia fondamentalmente su tre pilastri: la garanzia dell’approvvigionamento, l’economicità e la sostenibilità ambientale. Su questi assi, legati indissolubilmente, occorre lavorare. Trascurarne anche solo uno significa pasticciare e trovare pseudo-soluzioni raffazzonate che, nella migliore delle ipotesi, si rivelano inutili. Un punto fermo è comunque il fatto che da parecchi anni la Svizzera è costretta a importare energia elettrica soprattutto da Germania, Francia, Italia e Austria. Energia prodotta anche con il nucleare e il carbone. Quindi consumiamo sempre di più ma siamo costretti a fare capo ad altri Paesi per coprire il fabbisogno energetico. Altri Paesi che, nel corso dei prossimi anni, avranno sempre più la necessità di pensare per sé. Da una parte l’ambiziosa e costosissima agenda verde dell’Unione Europea (UE), a cui si sommano decisioni nazionali come quella della Germania di abbandonare il nucleare porteranno inevitabilmente a ristrettezze ovunque e quindi è verosimile ritenere che cedere energia alla Svizzera non sarà più la priorità dei Paesi dell’UE. Non è quindi solo la difficoltà data dal mancato Accordo quadro con l’UE a caratterizzare la situazione, ma anche, molto più prosaicamente, la concreta quantità di energia disponibile. A fronte soprattutto di consumi crescenti, spesso non manifesti, ma non per questo meno “pesanti”. Il telelavoro ad esempio, per il grande consumo di dati, è tutt’altro che neutrale dal punto di vista dei consumi e delle emissioni di CO2, vista la forte necessità di energia dei data center. Magari si userà meno l’automobile per andare al lavoro, ma certamente lavorare dal salotto di casa non è a impatto zero. E anche di questo occorre tenere conto nel bilancio energetico globale. La sensazione netta è che le strategie energetiche pomposamente presentate dalla Confederazione negli scorsi anni siano ormai destinate al macero e necessitino cambi di paradigma importanti. Non a caso, il Consiglio federale ha comunicato la necessità di far ricorso, in caso di penuria energetica, anche a centrali a gas da realizzare nei prossimi anni, ammettendo di fatto che la legittima volontà di fare capo solo a energie rinnovabili, in particolare l’energia solare ed eolica, non sono sufficienti a coprire il fabbisogno. Inutile tergiversare, questa è la realtà.
Limitazioni pericolose
È più che evidente che non si può prescindere dal valutare soluzioni sistemiche, che comprendano tutto il pacchetto di risorse esistenti, cioè eolica, solare, idroelettrica, fotovoltaica e, ebbene sì, pure nucleare. Tema tabù quest’ultimo, malgrado l’evoluzione tecnologica ne faccia un vettore che non può essere ignorato, visto che reattori di nuova generazione offrono garanzie notevoli in termini di sicurezza. Visti però i lunghi tempi di realizzazione, sarebbe già un passo importante prolungare l’attività delle centrali nucleari svizzere esistenti, perché spegnerle nel 2035 significherebbe tagliare una percentuale consistente di copertura del fabbisogno (si stima il 25%), triplicando la parte che deve essere importata dall’estero, già oggi molto consistente. Non si tratta certamente di rigettare lo sviluppo e l’importanza delle energie cosiddette pulite, ma far collimare la crescente fame di energia, le ristrettezze produttive e al contempo l’obiettivo di decarbonizzare la società (cioè azzerare le emissioni di CO2) sembra facile quanto una fusione (a caldo) tra Lugano e Ambrì… Certamente, la via del nucleare è irta di ostacoli, sia per i tempi che per la decisione popolare del 2017 di abbandonare questo tipo di energia. Ma notoriamente, solo gli sciocchi non cambiano mai idea, soprattutto di fronte a sviluppi tecnologici che comunque meritano di essere approfonditi. Perché, nel contesto internazionale, gli attori maggiori si muovono in questo senso, con colossi come Cina, India e Russia che si muovono decisi nell’ottica nucleare con progetti in fase di realizzazione. Analogo discorso vale per gli Stati Uniti e per il nostro vicino tradizionalmente “nuclearista” come la Francia. Va detto che la Cina si è lanciata parallelamente nella sperimentazione di fonti differenziate, aggiungendo al nucleare pure il fotovoltaico (nel quale è leader), passando per l’eolico. Disponendo al contempo della riserva più ampia di carbone in tutto il mondo.
Costi per tutti
L’esplosione dei costi dell’energia sta già flagellando molti Paesi e segnali inquietanti si percepiscono anche da noi. Da questo fenomeno nessuno è escluso, perché sarebbe errato pensare che ne siano colpiti solo i cosiddetti grandi consumatori, cioè in particolare le aziende di ampie dimensioni. Il rincaro galoppante dell’elettricità, del gas e del gasolio, della benzina colpisce tutti indistintamente e in proporzione alle loro abitudini, comprese quindi le famiglie e le cittadine e i cittadini in generale. Nei consumi, infatti, secondo le statistiche dell’Ufficio federale dell’energia, la parte principale è costituita dalle economie domestiche con circa il 33%, seguite dall’industria e attività manifatturiere (30%), dai servizi (27%) e dal traffico (8%). Ben si capisce quindi gli effetti importanti se agli aumenti succitati sommiamo quelli delle altre materie prime che servono ad esempio alla costruzione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici, ecco che si crea un mix micidiale di rincari su ogni fronte. Rincara la realizzazione di siti produttivi e rincara il “prodotto finito”. Sarebbe illusorio pensare che vi siano soluzioni facili e a portata di mano, soprattutto perché si tratta di un problema complicatissimo, di dimensione mondiali, in cui si intersecano anche interessi geopolitici notevoli e speculazioni varie. Impensabile che nella nostra piccola realtà cantonale si possano fare miracoli, visto che anche la Confederazione fatica ad orientarsi. Non va però dimenticato l’articolo 89 della Costituzione federale che sancisce come “nell’ambito delle loro competenze, la Confederazione e i Cantoni si adoperano per un approvvigionamento energetico sufficiente, diversificato, sicuro, economico ed ecologico, nonché per un consumo energetico parsimonioso e razionale”. Teniamo a sottolineare il termine “diversificato”, e non è casuale. Dell’elenco degli obiettivi sembra in effetti l’elemento al momento più trascurato e non rispettare i dettami costituzionali, anche se a volte sembrano concetti astratti, non è mai una buona cosa (senza tirare in ballo le implicazioni giuridiche). Riconsiderare la politica energetica, unitamente a quella ambientale, non è quindi solo una questione di opportunità ma è un obbligo costituzionale che incombe a Confederazione e cantoni nei rispettivi ruoli. Le belle teorie, certo accattivanti per vincere elezioni e votazioni, stanno mostrando i loro limiti. Difficile pensare che la popolazione accetti di buon grado limitazioni nei consumi o importanti rincari imposti in nome di un presunto interesse generale (vedi l’esito della votazione sul CO2, affossata sostanzialmente perché giudicata troppo costosa per i singoli cittadini). Del resto, per ridurre i consumi si invoca spesso il progresso tecnologico, non si capisce perché questo principio non dovrebbe valere per le discussioni sui mezzi di produzione dell’energia. Nell’ambito dei consumi, ad esempio, le aziende stanno dando da anni esempi molto probanti di risparmi e misure votate all’efficienza energetica, come facilmente rilevabile dai lavori dell’Agenzia dell’energia per l’economia (enaw.ch).
Nessuna novità
Il mix di energie non è del resto una novità nel sistema elvetico. Attualmente le centrali nucleari svizzere producono circa il 33% di elettricità, il 7% circa è generato dalle energie eolica e solare e il 60% dal settore idroelettrico. Attenzione queste cifre indicano i rapporti della produzione indigena, diversi sono quelli dell’origine dell’energia distribuita, perché entra in linea di conto quanto importato dall’estero. Ma non è questa la sede per entrare in troppi tecnicismi, molte informazioni possono essere evinte dal sito internet dell’Ufficio federale dell’energia e da www.strom.ch. Il fatto è che, già oggi malgrado una strategia basata su varie fonti energetiche, a causa di vari fattori come il clima e le fluttuazioni stagionali, la produzione in Svizzera di energia solare ed eolica ha una parte ancora ridotta, malgrado l’incremento del fotovoltaico nel 2020 grazie in particolare all’installazione di impianti per il consumo privato. Difficile, se non impossibile recuperare questo divario, soprattutto se dal 2035 non vi fosse più il nucleare. Con le attuali 42 turbine eoliche non si va molto lontano, visto che ce ne vorrebbero 6’000. E sapendo le discussioni che questi impianti generano, così come l’eventuale innalzamento delle dighe, il tutto non è molto rassicurante e la realizzazione rapida sembra più un ideale che una realtà concreta. Per dare un’idea, qualche settimana fa una malcapitata aquila reale è stata decapitata da una pala eolica in Svizzera romanda. Il povero pennuto è uno dei circa 800 consimili che sciaguratamente incocciano contro queste strutture. Inevitabile la levata di scudi di chi non ama le pale eoliche sul territorio e delle associazioni di difesa degli uccelli, che tradizionalmente sono favorevoli alle energie cosiddette pulite. Un accenno di schizofrenia che evidentemente complica ancora di più una situazione già intricata. Con tutto il rispetto per le specie animali e gli uccelli in particolare, forse è bene ricordare che, come sottolinea la Confederazione, 30 milioni di volatili sono uccisi dai gatti, 5 milioni si schiantano contro i vetri e 1 milione è vittima delle automobili. Così, per dare il senso delle proporzioni sul tenore delle discussioni, visto che finora nessuno ha ancora pensato a proibire la caccia ai gatti (o a proibire i gatti tout court) o a obbligarci a vivere senza finestre (il che farebbe crescere ulteriormente i consumi energetici soprattutto in inverno). Aneddoti a parte, è chiaro che le pale eoliche, al di là dei costi di realizzazione, si scontrano con opposizioni pianificatorie e interessi divergenti di ogni tipo, anche da ambienti di solito non ostili. Facile immaginare cosa succederebbe per realizzare le superfici necessarie di pannelli solari (pari a circa 19mila campi di calcio, contro i 1’800 odierni), in termini di discussioni interminabili. E intanto si vuole abbandonare il nucleare… Una volta dismesse le due centrali di Beznau e quelle di Gösgen e Leibstadt, ci sarebbe il forte rischio che la Confederazione possa essere costretta a comprare all’estero ancora più energia, prodotta, magari, da impianti nucleari o col carbone, mentre noi facciamo i puristi. E la dipendenza dall’estero, comprese le fluttuazioni di prezzo, crescerebbe ancora.
Quali misure a breve?
Visto che è difficile procedere in tempi rapidi a modifiche strutturali, va valutato se vi siano margini per altre manovre anche di tipo congiunturale. La Svizzera, a nostro avviso giustamente, non ha la tradizione interventista come ad esempio la Francia, dove sono state bloccate le bollette dell’elettricità per i cittadini. Misura certamente popolare in tempi di elezioni presidenziali, ma che sposta solo il problema, perché comunque qualcuno (leggi: il contribuente) sarà chiamato a pagare presto o tardi, oppure in altro modo. Ciò detto, nulla proibisce che vi sia una presa di coscienza comune e un dialogo costante fra, nel nostro caso, le aziende, la politica e i produttori e i distributori di energia. In momenti difficili è ragionevole pensare che su certi aspetti della base contrattualistica si possa magari ragionare, anche solo per misure temporanee.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/02/ART22-energia.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-03-01 07:52:002022-02-28 11:53:46Energia a 360 gradi
La Brexit ha creato ostacoli agli scambi di merci e servizi anche tra la Svizzera e il Regno Unito. Pur avendo concluso vari accordi bilaterali per garantire il mantenimento delle loro strette relazioni, alcuni o parti di essi si fondano sull’armonizzazione delle disposizioni tra la Svizzera e l’Unione europea (UE) e quindi per il momento non vengono applicati (potranno esserlo solo se l’UE e il Regno Unito definiranno soluzioni contrattuali analoghe sulla base di standard armonizzati). Tutto ciò crea difficoltà nelle operazioni quotidiane degli operatori economici dei due Paesi.
Per essere di aiuto concreto ai suoi associati che operano con il Regno Unito, il servizio Commercio internazionale della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti) ha riunito le principali disposizioni in una scheda informativa che mira a rispondere a domande pratiche inerenti alle esportazioni di merci (questioni doganali, legislazione prodotti, IVA nell’e-commerce) e alla fornitura di servizi. Laddove di interesse la scheda è completata con informazioni inerenti alle importazioni e alla fornitura di servizi in Svizzera da parte di aziende o lavoratori britannici.
La scheda informativa è riservata ai soci della Cc-Ti e può essere richiesta al servizio Commercio internazionale inviando una e-mail a internazionale@cc-ti.ch
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/02/ART22-indicazioni-pratiche-Brexit.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-02-24 08:30:002022-06-22 14:58:08Implicazioni pratiche della Brexit per le aziende svizzere
Di recente pubblicazione, una guida redatta da Dezan Shira & Associates, società specializzata in investimenti diretti esteri, illustra come aprire un’attività in Cina. La guida fa altresì riferimento alle tanto attese leggi sulla protezione dei dati e della privacy ed è pertanto utile anche alle aziende già insediate che vogliono tenersi aggiornate sui cambiamenti legislativi più recenti.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/02/ART22-guida-fare-business-cina.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-02-17 08:00:002022-06-22 15:03:12Fare business in Cina
Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Un contratto di lavoro può prevedere che il dipendente abbia diritto ad una partecipazione agli utili. L’art. 322a del Codice delle obbligazioni indica esplicitamente questa possibilità: se, in virtù del contratto, il lavoratore ha diritto a una parte degli utili o della cifra d’affari o altrimenti del risultato dell’esercizio, questa parte è calcolata, salvo diverso accordo, sul risultato dell’esercizio annuale, da determinare secondo le prescrizioni legali e i principi generalmente ammessi dalla pratica commerciale.
Cosa succede se il contratto viene disdetto per motivi gravi ex art. 337 CO? Sappiamo che una simile disdetta ha un effetto immediato ed interrompe il rapporto lavorativo senza alcun preavviso o termine di attesa. In tal caso è verosimile che le parti al momento della disdetta non siano in grado di determinare il risultato dell’esercizio o la cifra d’affari, essendo tali elementi dipendenti da un intero anno di attività. In altre parole, per poter disporre di questi dati è necessario attendere la fine dell’anno. Ma come si concilia questa situazione con la regola dell’art. 339 cpv.1 CO che prescrive l’immediata esigibilità dei crediti derivanti dal contratto di lavoro con la fine del medesimo? La risposta la troviamo all’art. 323 cpv3 CO: la partecipazione al risultato dell’esercizio è pagata non appena il risultato è accertato, ma al più tardi sei mesi dopo la fine dell’esercizio annuale. Ora, questa è una prima risposta che però non indica, almeno in modo diretto, a partire da quale momento la pretesa del dipendente matura interessi.
Fa stato la cessazione del rapporto di lavoro o l’accertamento del risultato d’esercizio? Di questo tema si è occupato il Tribunale federale nella sentenza 4A_126/2021. I giudici di Losanna hanno innanzitutto ricordato che, nonostante la legge non lo indichi esplicitamente, in generale la regola dell’esigibilità delle pretese al momento della fine del rapporto di lavoro si applica anche alle disdette con effetto immediato e non solo a quelle ordinarie. È il caso, ad esempio, delle pretese del lavoratore nel caso in cui i motivi addotti per il licenziamento non sono gravi e danno quindi diritto a determinati risarcimenti a suo favore. Gli interessi su tali pretese di indennizzo iniziano pertanto a decorrere con la fine del contratto. Il Tribunale federale ha però immediatamente ammesso che per la partecipazione all’utile debba valere un’eccezione e che gli interessi in tal caso inizino a maturare parallelamente all’esigibilità della pretesa, ossia non appena il risultato è accertato, al più tardi sei mesi dopo la fine dell’esercizio annuale.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-02-16 15:38:522022-02-16 15:38:52Disdetta con effetto immediato e interessi sulla partecipazione all’utile: a partire da quale momento?
La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, sta dedicando molte risorse a questo tema e ha s sviluppato, col supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE),un modello online di rapporto di sostenibilità, che sarà disponibile dal 1° marzo 2022. Questo strumento, unico nel suo genere, e che costituisce un progetto-pilota per tutte le Camere di commercio e dell’industria svizzere, va ad aggiungersi al “Questionario di autovalutazione” che la Cc-Ti da più di un anno ha già messo gratuitamente online a disposizione dei suoi associati, consentendo così a tutte le imprese, anche quelle piccole e medie, di disporre di una prima valutazione sulla propria posizione in tema della responsabilità sociale. Un primo step pensato per censire e conoscere le “buone pratiche” adottate sul territorio e che è stato già utilizzato da oltre 200 aziende del Cantone.
Uno strumento riconosciuto anche dall’Autorità cantonale
L’importanza di mettere a disposizione delle aziende un nuovo strumento è frutto quindi di un’evoluzione già esistente e riveste anche un’innegabile utilità pratica, soprattutto dopo la decisione del Consiglio di Stato di annoverare la CSR tra i criteri di valutazione delle offerte nella nuova Legge sulle commesse pubbliche. La responsabilità sociale delle imprese è infatti un elemento che dal 2021 rientra anche nei bandi di concorso pubblici, con un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione. In una prima fase le nuove disposizioni cantonali saranno adottate, e testate, solo per gli appalti della pubblica amministrazione (Divisione delle costruzioni e Sezione della logistica). Successivamente esse saranno estese a gran parte delle commesse.
Alla luce di questa fondamentale svolta normativa, la possibilità di disporre, dal 1° marzo 2022, di un modello di “Rapporto di sostenibilità” è essenziale per le imprese, trattandosi di un report con cui l’azienda descrive e certifica il suo impegno nell’ambito della responsabilità sociale, in relazione anche ai 30 indicatori selezionati dal Consiglio di Stato per la ponderazione delle offerte che concorrono agli appalti pubblici.
Grazie al rapporto di sostenibilità e con l’ottenimento di una separata “Dichiarazione di conformità” aggiuntiva (rilasciata dalla Cc-Ti) si faciliterà sia il lavoro delle aziende, sia quello delle autorità chiamate a valutare i dossier. Il documento della Cc-Ti rappresenta una naturale evoluzione dopo la fase di test condotta da oltre un anno con un formulario di autovalutazione e costituisce un unicum a livello svizzero, visto che permette di stilare concretamente un rapporto di sostenibilità che poi vene anche riconosciuto formalmente quale documento, dal Cantone.
Un lavoro di consulenza puntuale aiuterà le aziende a dimostrare la realizzazione degli obiettivi economici, ambientali e sociali idonei pure nell’ottica a ottenere questa percentuale. Questo strumento non rappresenta la condizione per partecipare agli appalti pubblici ma resta su base volontaria ed è sostenuta dal DFE e dall’ufficio di vigilanza sulle commesse pubbliche.
Procedura e contenuti del Rapporto di sostenibilità
Il “Rapporto di sostenibilità” sarà accessibile a tutte le aziende sulla piattaforma online della Cc-Ti. Si è espressamente voluta una formulazione di facile compilazione, che permette di includere, oltre a paragrafi descrittivi, logo, foto e tutte le informazioni puntuali aziendali di rilevanza. Perché, ed è importante sottolinearlo, non si tratta dell’ennesimo ostacolo burocratico a carico delle aziende, bensì di uno strumento pensato per dare loro la giusta e positiva visibilità e aiutarle con un mezzo semplice. Oltre ai principali dati sull’azienda e alla sua storia, la compilazione del documento porta a descrivere le misure adottate per la responsabilità sociale in relazione a: governance, mercato, risorse umane, rapporti con la comunità e tutela dell’ambiente. Per arrivare, poi, agli obiettivi che ci si prefigge a media e lunga scadenza.
Come già descritto in precedenza, il rapporto può essere completato da una scheda supplementare dedicata ai 30 indicatori determinati dal governo ticinese che sono suddivisi in tre aree tematiche: ambiente, economia, società. Grazie alla compilazione di questa scheda, saranno confermati i requisiti di base per ottenere il punteggio richiesto sul tema CSR negli appalti pubblici.
Per le imprese il Rapporto di sostenibilità rappresenta un ottimo dispositivo per monitorare costantemente il loro approccio alla sostenibilità, per metterne a fuoco limiti, progressi e obiettivi futuri. E scoprire, magari, che delle misure già adottate spontaneamente, ad esempio, per la mobilità aziendale, il risparmio energetico o per meglio conciliare lavoro e impegni familiari, rientrano a pieno titolo nelle “buone pratiche” contemplate dalla CSR.
La Cc-Ti organizzerà una presentazione al pubblico nelle prossime settimane e, assieme ai suoi partner istituzionali, proporrà alle imprese e alle associazioni di categoria, degli eventi formativi e informativi sui temi della CSR.
La visione del futuro vede la crescita delle nostre aziende strettamente collegata ad una prospettiva di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Con la ferma convinzione che la forza, la coesione di una comunità e il suo capitale sociale rappresentino un vantaggio competitivo per tutto il tessuto produttivo.
La responsabilità sociale, “questa sconosciuta”
Da anni la Cc-Ti, oltre a collaborare con istituzioni cantonali, associazioni e fondazioni per una fattiva sensibilizzazione sulla responsabilità sociale, supporta le aziende nell’implementare le “buone pratiche” della CSR attraverso un articolato lavoro di informazione e formazione. È importante rilevare che la CSR non è terreno sconosciuto per le nostre tante aziende del territorio, anzi! Nel quadro dell’annuale inchiesta congiunturale della Cc-Ti, condotta con le altre Camere di commercio e dell’industria svizzere, un’analisi specifica sul tema ha evidenziato il grande lavoro già in atto da parte delle imprese. Rilevando, ad esempio, oltre 130 “buone pratiche”, suddivise in 32 tipologie d’intervento, applicate nei diversi rami economici. Un impegno che investe, sia nelle grandi che nelle piccole imprese, gli obiettivi qualificanti della responsabilità sociale.
Con scelte imprenditoriali coraggiose, che vanno spesso oltre i canoni ordinari della CSR, per concretizzare un concetto di responsabilità più aderente non solo alla vita dell’azienda, ma anche alla realtà del territorio e della comunità. Va fatta chiarezza e sottolineato che, se da una parte è giusto avere dei parametri di CSR, dall’altra parte non va assolutamente trascurato quanto fatto anche al di fuori dei criteri “ufficiali”. Il peso e il valore dell’impegno sociale di un’impresa difficilmente possono essere misurati solo ed esclusivamente sulla base dei soli parametri citati. Già il fatto del rischio imprenditoriale assunto per avviare un’impresa e creare posti di lavoro è un atto sociale e non solo economico, molto importante. A maggior ragione chi crea e mantiene un’azienda, ad esempio, in una regione periferica o in altri contesti “svantaggiosi”, offrendo dei posti di lavoro laddove non ci sono molte opportunità occupazionali, non è socialmente meno meritevole di chi può fregiarsi di tutti i crismi della CSR. Questo va detto in modo forte e deciso.
Purtroppo, nella discussione politica, è sempre dietro l’angolo la tentazione di usare la responsabilità sociale come discriminante per stilare avventate classifiche sulle aziende più o meno “virtuose”, per dividerle tra “buone” e “cattive”, da premiare o penalizzare. Un termine, “virtuoso”, pesantemente abusato negli ultimi anni, spesso per cercare d’imporre una concezione ideologizzata dei principi della CSR con lo scopo di resettare la libertà economica e ingabbiare lo spirito imprenditoriale. Per colpire alle radici la vocazione naturale di ogni impresa: conseguire un profitto.
Perché soltanto se si realizza un profitto, si avranno le risorse necessarie per investire e innovare, fermo restando il rispetto delle norme legali e i principi etici che regolano la società. Restare competitivi sul mercato, creando più occupazione e ricchezza di cui beneficia poi, tutta la collettività. Esiste già una responsabilità sociale quotidiana, costante e volontaria, non dettata da prescrizioni calate dall’alto o da pressioni esterne. Le aziende sono pronte ad assumersi ulteriori responsabilità, ma è evidente che lo stesso comportamento deve essere tenuto da tutti gli attori in gioco: istituzioni, politica, partner sociali e società civile, al fine di una responsabilità condivisa per una crescita equilibrata ed armoniosa.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/02/ART22-timbro-rapporto-sost-1.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-02-15 09:41:592022-02-15 09:41:59Aziende e Responsabilità sociale
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Nuove sanzioni contro la Bielorussia
/in Dogana, Internazionale, Tematiche, VariaIl Consiglio federale ha proceduto ad una revisione totale dell’ordinanza che istituisce provvedimenti nei confronti della Bielorussia. Sulla scia di quanto adottato contro la Russia, le misure riguardano in particolare il settore commerciale e quello finanziario.
Tra le novità vi è il divieto di esportazione in Bielorussia di tutti i beni a duplice impiego (civile o militare), a prescindere dallo scopo o dal destinatario finale. Viene inoltre vietata l’esportazione di determinati macchinari e di beni per il rafforzamento militare e tecnologico o per lo sviluppo del settore della difesa e della sicurezza. In relazione a tali beni non è più permesso fornire assistenza tecnica, servizi di intermediazione né mezzi finanziari. Sono stati ampliati anche i divieti di importazione nei confronti della Bielorussia, che ora includono anche i prodotti del legno e della gomma, ferro, acciaio e cemento. In base alla nuova ordinanza è vietato fornire finanziamenti pubblici o assistenza finanziaria pubblica per gli scambi commerciali o gli investimenti in tale Paese. Altri provvedimenti in ambito finanziario concernono titoli di credito, mutui e l’accettazione di depositi. Le transazioni con la Banca centrale bielorussa non sono più consentite. Inoltre, le banche elencate nell’allegato sono escluse dal sistema di messaggistica internazionale SWIFT.
I nuovi provvedimenti possono essere visionati qui: https://www.seco.admin.ch/seco/it/home/Aussenwirtschaftspolitik_Wirtschaftliche_Zusammenarbeit/Wirtschaftsbeziehungen/exportkontrollen-und-sanktionen/sanktionen-embargos/sanktionsmassnahmen/massnahmen-gegenueber-belarus.html
Contatto per domande mirate: Segreteria di Stato dell’economia SECO, sanctions@seco.admin.ch, tel. 058 464 08 12
Fonte: Comunicato stampa del Consiglio federale Ucraina: il Consiglio federale inasprisce le sanzioni contro la Bielorussia (admin.ch)
Una formazione a misura d’impresa
/in Appuntamenti, Formazione puntuale, Scuola managerialeLa formazione continua è la chiave del successo personale e aziendale. È questa la filosofia che ispira il costante impegno della Cc-Ti nell’offrire agli operatori dell’economia ticinese, anche su diretta sollecitazione delle associazioni di categoria e delle imprese affiliate, un’ampia scelta di percorsi formativi, sia di breve che di lunga durata.
La Scuola Manageriale, la nuova Scuola dell’Export, che prenderà avvio il prossimo settembre con il primo corso, e la ricca offerta della formazione puntuale, sono gli assi strategici su quali si sviluppa l’ampia proposta formativa targata Cc-Ti. Sempre animata dalla ferma convinzione che solo investendo di più sulla conoscenza, sull’acquisizione di nuove competenze e l’aggiornamento professionale è possibile continuare a crescere nella propria professione ed essere profili chiave per le aziende.
La Scuola Manageriale
Con un nuovo corso che prenderà avvio il prossimo maggio, la Scuola Manageriale entrerà nel quinto anno di attività, sull’onda di un crescente interesse che ha visto sinora un centinaio di iscritti provenienti dai più diversi settori produttivi, non arrestandosi neanche con le inevitabili difficoltà provocate dalla pandemia nell’ultimo biennio. Una formazione specifica superiore che non esisteva ancora in Ticino, a differenza dei Cantoni della Svizzera tedesca, e che la Cc-Ti ha promosso nel febbraio del 2018 rispondendo alle specifiche richieste avanzate dei propri soci e dal proprio Consiglio economico (formato da circa 50 associazioni categoria). Articolata su sei moduli (più un modulo interdisciplinare finale) per un totale di 352 ore di lezioni su tre semestri, la Scuola Manageriale permette ai partecipanti di ottenere il titolo di “Specialista della Gestione PMI” con attestato federale. In pratica, superati i sei moduli del corso si riceve un certificato di frequenza SIU/IFCAM, rilasciato dalla Cc-Ti, che dà accesso all’esame federale per conseguire il relativo attestato.
Ma chi è o, meglio, cosa fa uno Specialista della Gestione PMI? “È una figura professionale in grado di condurre correttamente una piccola/media impresa, identificandone rischi e opportunità. O anche colui che aspira ad occupare una posizione di quadro in un’azienda (anche di grandi dimensioni)”, spiega Roberto Klaus, Direttore della SSIB Ticino, Swiss School for International Business, e Responsabile della Scuola Manageriale e della Scuola dell’Export della Cc-Ti.
Lo scopo del corso è quello di incentivare la promozione della formazione continua e preparare adeguatamente imprenditori, futuri dirigenti delle PMI e quadri aziendali. La quota d’iscrizione dei partecipanti può essere sussidiata fino al 50% da parte della Confederazione (il sussidio viene riconosciuto solo a formazione conclusa e se i partecipanti sono domiciliati in Ticino). Con un ciclo formativo di lunga durata articolato su moduli tematici specifici che spaziano dalla conduzione generale dell’impresa alla leadership, alla comunicazione e gestione del personale, dall’organizzazione aziendale alla contabilità e alla finanza, dal marketing alle pubbliche relazioni, ai rapporti con i fornitori e al diritto in materia di piccole e medie aziende. Temi che vengono affrontati non solo da un profilo teorico, ma anche con un approccio pratico per potersi misurare concretamente con i problemi reali che quotidianamente il partecipante può incontrare e dover affrontare in azienda.
Dopo ogni lezione si dovrà, infatti, cercare di applicare quanto appreso nella propria attività lavorativa.
Un trampolino per la crescita professionale
Teoria e pratica, quindi, unite dal fil rouge dell’obiettivo finale del corso: acquisire le necessarie competenze, pragmatiche, operative e strategiche, per migliorare l’efficienza e l’efficacia della conduzione dell’impresa. Alla fine del percorso formativo, con la formazione in gestione PMI si avranno tutti i requisiti per guidare una piccola e media azienda o per ricoprire la funzione di quadro in un’azienda di più grande dimensione. Un progetto formativo che rappresenta indubbiamente un trampolino per la crescita professionale personale e un importante atout per la crescita aziendale. Tanto più in una realtà economica come quella ticinese il cui tessuto connettivo è per oltre il 90% costituito da piccole/medie imprese e con un mercato del lavoro spesso penalizzato dalla mancanza di personale dirigenziale. Una carenza che la Scuola Manageriale sta cercando di colmare accompagnando in questa direzione un’eterogenea tipologia di partecipanti che hanno o stanno, appunto,
frequentato il corso: un terzo di iscritti da imprese familiari che intendono prepararsi alla successione aziendale; un terzo da dipendenti che aspirano a una migliore carriera professionale; un altro gruppo, poi, di piccoli imprenditori che hanno avviato un’attività economica in Ticino e, infine, titolari e personale di start-up. Una diversificazione che si riscontra nella composizione multisettoriale
delle classi del corso, a favorire un arricchimento reciproco e una maggiore interazione grazie al confronto tra esperienze differenti, ma che è anche il riflesso diretto che contraddistingue la realtà
imprenditoriale del Cantone.
Un costante impegno anche nell’aggiornamento del materiale didattico della Scuola Manageriale, focalizzandolo sulle nuove sfide date dall’evoluzione tecnologica e dall’importanza crescente della sostenibilità.
La Cc-Ti ha in cantiere un nuovo corso quale “Economista aziendale PMI”, con accesso ad una formazione superiore e al diploma federale, che si potrà frequentare solo dopo aver conseguito il titolo di “Specialista della gestione PMI”. Si creerà così una vera e propria filiera formativa per le piccole/medie imprese improntata all’apprendimento duale.
Cinque anni di attività rappresentano per la Scuola Manageriale un solido background da cui sono scaturite importanti collaborazioni con le associazioni di categoria e considerevoli riconoscimenti, come la certificazione “eduQua” e l’attestato SQS (eduQua è il label di qualità svizzero per gli istituti di formazione continua e SQS – l’associazione svizzera per servizi professionali di certificazione e valutazione per imprese e organizzazioni di qualsiasi dimensione e settore).
Riconoscimenti che imprimono il marchio della qualità su questo progetto di formazione continua, targato interamente Cc-Ti.
A fianco delle imprese sul mercato mondiale
Dallo scorso dicembre la Cc-Ti ha arricchito la sua attività ampliando la propria attività con un servizio dedicato al commercio internazionale (Servizio Commercio Internazionale), per offrire alle imprese informazioni e consulenze professionali ancora più esaustive, sia per le esportazioni come pure per le importazioni. Un’iniziativa che rappresenta una prima in Svizzera e che vede la Cc-Ti alla guida di un progetto pilota anche per le altre Camere di commercio e dell’industria svizzere (20 in totale).
Questa rinnovata sezione, nata da una reale e comunicata esigenza delle imprese per meglio sostenere il processo di crescente internazionalizzazione dell’economia cantonale, consentirà anche di potenziare le sinergie con gli altri servizi interni preposti al commercio estero e con l’offerta di informazione-formazione puntuale sui temi dell’export e dell’import.
Naturale sbocco di questo potenziamento sarà la Scuola dell’Export che il prossimo settembre avvierà il suo primo corso. Molte piccole e medie aziende ticinesi che operano sul mercato mondiale si trovano talvolta in difficoltà perché prive delle necessarie competenze, dei giusti profili professionali e di affidabili partner per affrontare un’agguerrita concorrenza e un contesto geopolitico internazionale instabile e in continua trasformazione.
La Scuola dell’Export ha l’obiettivo di colmare queste carenze, acuite peraltro dal pensionamento della generazione dei baby boomers, con un percorso formativo completo e rispondente ai bisogni concreti delle imprese. Anche per questo nuovo percorso, la quota d’iscrizione può essere sussidiata direttamente ai partecipanti fino al 50% da parte della Confederazione (il sussidio viene riconosciuto solo a formazione conclusa e se i partecipanti sono domiciliati in Ticino).
La Scuola dell’Export
La nuova Scuola dell’Export, articolata su tre corsi, si affiancherà alla formazione puntuale sui temi attuali legati all’export. Un settore ormai sempre più importante per la crescita economica del Cantone. Il primo corso che, come detto inizia a settembre, permetterà di conseguire il titolo di “Impiegato/a export”, con certificato rilasciato dalle Camere di commercio e dell’industria svizzere dopo un esame finale. Con lezioni distribuite su sei giornate verranno affrontate tutte le tematiche tecniche dell’export dalle condizioni quadro internazionali all’Incoterms, dalle procedure doganali ai canali distributivi internazionali e alle garanzie bancarie- con un processo di apprendimento volto ad acquisire le competenze specifiche.
L’anno prossimo si terrà invece, sull’arco di un semestre, il corso di secondo livello per ottenere la qualifica di “Specialista in commercio internazionale” con attestato federale. Ventiquattro giorni interi di lezione con un taglio più strettamente operativo, quindi più direttamente legato alla pratica concreta nell’export. Si imparerà, ad esempio, come organizzare un reparto esportazione o sviluppare una campagna di marketing internazionale. Con un terzo corso si consegue l’attestato di “Responsabile commercio internazionale”, con la possibilità di accedere anche ad una formazione superiore. Anche per questo ultimo livello sono previste 24 giornate di lezione, distribuite su un semestre, finalizzate all’acquisizione delle competenze necessarie per poter gestire tutte le attività e le problematiche legate all’export. La Scuola dell’Export si terrà in collaborazione diretta con diverse associazioni di categoria e potrà offrire ai partecipanti nuove opportunità d’impiego o di avanzamento professionale. I tre percorsi formativi sono, difatti, rivolti soprattutto alle imprese orientate sulle esportazioni per supplire alla mancanza di personale formato.
La formazione puntuale modulare
Come si vede la formazione proposta dalla Cc-Ti si sviluppa su più piani e su livelli diversi, ma sempre con un’attenzione particolare a quelle che sono le esigenze concrete. In questo contesto detiene una rilevanza centrale anche la formazione modulare che riscontra un notevole successo tra le imprese, grazie a una vasta gamma di corsi ed eventi formativi specifici che offrono l’opportunità per un costante perfezionamento e aggiornamento professionale dei propri collaboratori. Si tratta di una formazione puntuale di durata breve (mezza giornata, intera o massimo due giorni), che, anche su richiesta diretta delle imprese, del Cantone o della stessa Confederazione, è calibrata su materie puntuali e/o problematiche d’attualità. Sui temi, cioè, che contrassegnano le continue trasformazioni del tessuto produttivo, l’innovazione tecnologica, la gestione aziendale, gli accordi internazionali, l’evoluzione dei mercati, l’acquisizione di nuove competenze e risorse per accrescere la competitività.
Cécile Chiodini Polloni, Responsabile del settore di formazione puntuale, è inoltre a vostra disposizione per creare dei percorsi ad hoc sulla base delle vostre esigenze specifiche.
CONTATTI & INFO
Scuola Manageriale Cc-Ti, Roberto Klaus, klaus@cc-ti.ch
Formazione puntuale Cc-Ti, Cécile Chiodini Polloni, corsi@cc-ti.ch
Situazione in Ucraina: ulteriori sanzioni contro la Russia
/in Internazionale, Tematiche, VariaIl 4 marzo 2022 il Consiglio federale ha adottato la revisione totale dell’Ordinanza che istituisce provvedimenti per impedire l’aggiramento delle sanzioni internazionali in relazione alla situazione in Ucraina, riprendendo le sanzioni dell’UE del 23 e 25 febbraio e del 1° marzo 2022.
Si tratta principalmente di sanzioni commerciali e finanziarie, tra cui:
Provvedimenti relativi ai beni
Provvedimenti finanziari
Provvedimenti relativi ai territori designati
Ulteriori restrizioni
Coordinate di contatto per richieste specifiche sulle sanzioni: Segreteria di Stato dell’economia (SECO), sanctions@seco.admin.ch, tel. +41 58 464 08 12 (dalle 08:00-12:00 e 13:00-17:00)
Fonte: Consiglio federale – Ucraina: attuate ulteriori sanzioni commerciali e finanziarie contro la Russia (admin.ch)
Supply chain: concentrarsi sui clienti
/in Internazionale, Tematiche, VariaDalla fine del lockdown la domanda di taluni prodotti è in continuo aumento. Questo causa ripetutamente dei colli di bottiglia nella fornitura e nel trasporto. Le aziende della supply chain sono quindi nel mirino: devono superare i colli di bottiglia dell’approvvigionamento e fare di più per soddisfare i loro clienti.
Le richieste dei clienti sono aumentate significativamente spinte anche dalla rapida digitalizzazione nel settore delle vendite: sempre più processi legati ai prodotti si stanno spostando su internet (vedi e-commerce o shopping online).
Contatto e trasparenza
Cosa ricercano i clienti? Desiderano di certo modi facili e veloci di contatto attraverso vari canali. Richiedono anche informazioni/raccomandazioni complete e personalizzate su prodotti e servizi. È importante anche la rapidità nell’elaborazione di un ordine, non soltanto nella consegna.
Si evidenzia una tendenza alla trasparenza: innanzitutto, i clienti stessi vogliono leggere su internet le informazioni inerenti ai servizi. Inoltre, vogliono poter seguire l’intero processo di trasporto e le transazioni commerciali e vederli adattati ai loro standard personali (order-to-cash-process).
Quali sono questi standard personali? Sempre più clienti sono interessati alla protezione dell’ambiente e agli standard etici. Pertanto, spesso vogliono un monitoraggio in tempo reale per poter conoscere direttamente lo stato delle cose.
Incidono gli strumenti digitali
Gli strumenti di comunicazione sono cruciali. Le aziende devono essere raggiungibili via e-mail, telefono fisso, social media e anche tramite una chat sul proprio sito web. In questo contesto è utile disporre di un’unica piattaforma digitale per tutti i canali di comunicazione (omnichannel solution).
Oltre a ciò, le aziende dovrebbero anche essere in grado di inviare SMS e messaggi personali alle applicazioni smartphone dei clienti: infatti, i clienti apprezzano il fatto di ricevere messaggi utili al momento giusto.
Un unico sistema digitale può anche coordinare l’ordine, la consegna e consentire il monitoraggio in tempo reale della merce da parte dei clienti stessi. In questo caso, aiutano gli strumenti basati sull’Internet of Things (IoT). L’IoT può anche far uso di telecamere speciali in loco che permettono di monitorare le merci nei magazzini e durante il trasporto.
Infine, le aziende della catena di approvvigionamento dovrebbero mettere in rete i singoli dipartimenti e filiali. Così facendo, avranno ovunque gli stessi standard elevati di qualità e di servizio al cliente. In questo contesto la tecnologia blockchain può fornire un accesso rapido a tutti i documenti e processi interni.
La consulenza personale
Un servizio clienti personalizzato significa anche digitalizzare i processi banali e impiegare i dipendenti in modo mirato per la consulenza personale ai clienti. In questo modo, i collaboratori possono fidelizzare i clienti coniugando l’accoglienza e l’empatia alla loro competenza in materia di prodotti e servizi.
È altresì importante trattare i reclami in modo positivo: i clienti lo apprezzano. Infine, ogni feedback è utile all’ottimizzazione dei processi interni dell’azienda.
Commercio estero e “best practices” di sostenibilità
/in Internazionale, Tematiche, VariaLa sostenibilità è diventata un argomento rilevante nel mondo economico, anche nel commercio con l’estero.
Secondo diversi sondaggi internazionali, vi è un trend importante tra i consumatori: la stragrande maggioranza dei millenials, cioè i nati tra i primi anni ’80 e la metà degli anni ‘90, pagano volentieri di più per acquistare i prodotti se questi sono ecologicamente ed eticamente sostenibili. C’è anche un secondo trend: i clienti, così come i dipendenti, favoriscono le aziende che agiscono in modo ecologico e socialmente responsabile. Inoltre, sempre più investitori vogliono investire in aziende considerate sostenibili.
Sostenibilità economica, ecologica e sociale
Queste tendenze hanno implicazioni complesse per il supply chain management (SCM). Tre sono infatti gli aspetti importanti: la sostenibilità economica (efficienza delle risorse, costi), la sostenibilità ecologica (protezione dell’ambiente) e la sostenibilità sociale (etica sul lavoro).
Quali sono le “best practices” di sostenibilità per l’SCM? Queste risultano abbastanza chiare nell’area della sostenibilità economica: già da anni le aziende cercano di utilizzare le risorse in modo efficiente, ottimizzando i processi di lavoro tramite la tecnologia digitale e riducendo così i costi. Lo stesso vale per l’uso mirato dell’energia.
Qui incide anche il concetto della “circular economy” che incoraggia sempre più produttori e venditori a utilizzare più volte materiali e componenti di prodotti. Anche gli elementi che sono già stati smistati possono essere conseguentemente riciclati e rimessi in circolazione.
Le emissioni di CO2
Nell’ambito della sostenibilità ecologica, l’attenzione è rivolta alla riduzione delle emissioni di CO2. Il criterio della “product/corporate carbon footprint” (impronta di carbonio dell’azienda o del prodotto stesso) è decisivo: lungo tutta la catena di approvvigionamento si determina in modo trasparente il punto esatto in cui le emissioni di gas serra sono causate direttamente o indirettamente. In questo modo, si possono identificare i maggiori driver di CO2 e sviluppare contromisure mirate, come l’uso di materiali regionali a costi reali.
È anche importante usare le tecnologie moderne per monitorare o tracciare la sostenibilità della supply chain in ogni fase. Qui, il sistema dell’“internet of things” (IoT) offre la possibilità di monitoraggio in tempo reale tramite l’uso di dispositivi di misurazione e di telecamere esterne.
La sostenibilità etica
La sostenibilità etica riguarda il rispetto degli standard lavorativi e sociali che, nei principali paesi industrializzati, sono generalmente allineati. Questi standard non sono invece automaticamente garantiti nei vari siti di produzione delle catene di approvvigionamento internazionali. È qui che le aziende della supply chain europee possono intervenire, per esempio offrendo la prospettiva di benefici economici se si migliora la sostenibilità sociale oppure selezionando a monte fornitori che rispettino prerequisiti specifici.
Il database “Standards Map”
E dove si possono trovare le “best practices” di sostenibilità? Il database “Standards Map“, gestito dall’International Trade Center (ITC), offre una panoramica dettagliata: infatti si possono mettere a confronto più di 200 norme e i loro criteri, semplificando così il processo di valutazione dei fornitori o dei prodotti stessi.
Come stanno affrontando il tema della sostenibilità ambientale e sociale le aziende ticinesi che operano a livello internazionale? Ce ne parlerà il 24 marzo 2022 l’azienda Geomagworld SA di Novazzano, nel corso di un Lab congiunto di NZZ Impact e Switzerland Global Enterprise, con la collaborazione della Cc-Ti, di SUPSI e Rytec Circular. Maggiori ragguagli qui: Abbracciare la filosofia dell’economia circolare – Cc-Ti
Energia a 360 gradi
/in Comunicazione e mediaUna diversità imprescindibile
Da molti mesi attiriamo l’attenzione sulla delicatezza del tema energetico, fondamentale per le aziende ma ovviamente per tutti le cittadine e i cittadini. Produzione insufficiente a coprire i consumi, pericolosi giochi ideologici che limitano le fonti di produzione a disposizione, dipendenza dall’estero, rischio di incremento dei prezzi, ecc..
Appelli passati quasi inosservati al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, fino a quando il Consiglio federale ha rotto gli indugi parlando apertamente di crisi energetica imminente, con probabili black-out. Il repentino e vertiginoso aumenti dei prezzi dell’energia ha dato il tocco finale, riaprendo un dibattito che rischiava di morire imbrigliato fra false credenze e illusioni, si spera solo dettate dall’ingenuità. È evidente che siamo di fronte a un’equazione che, allo stato attuale delle cose, sembra sempre più irrisolvibile, con consumi in aumento e limitazioni alla produzione, visto che taluni vettori restano ancora un tabù, il nucleare su tutto, malgrado l’evoluzione tecnologica.
Tre pilastri essenziali
La politica energetica poggia fondamentalmente su tre pilastri: la garanzia dell’approvvigionamento, l’economicità e la sostenibilità ambientale. Su questi assi, legati indissolubilmente, occorre lavorare. Trascurarne anche solo uno significa pasticciare e trovare pseudo-soluzioni raffazzonate che, nella migliore delle ipotesi, si rivelano inutili. Un punto fermo è comunque il fatto che da parecchi anni la Svizzera è costretta a importare energia elettrica soprattutto da Germania, Francia, Italia e Austria. Energia prodotta anche con il nucleare e il carbone.
Quindi consumiamo sempre di più ma siamo costretti a fare capo ad altri Paesi per coprire il fabbisogno energetico. Altri Paesi che, nel corso dei prossimi anni, avranno sempre più la necessità di pensare per sé. Da una parte l’ambiziosa e costosissima agenda verde dell’Unione Europea (UE), a cui si sommano decisioni nazionali come quella della Germania di abbandonare il nucleare porteranno inevitabilmente a ristrettezze ovunque e quindi è verosimile ritenere che cedere energia alla Svizzera non sarà più la priorità dei Paesi dell’UE.
Non è quindi solo la difficoltà data dal mancato Accordo quadro con l’UE a caratterizzare la situazione, ma anche, molto più prosaicamente, la concreta quantità di energia disponibile. A fronte soprattutto di consumi crescenti, spesso non manifesti, ma non per questo meno “pesanti”.
Il telelavoro ad esempio, per il grande consumo di dati, è tutt’altro che neutrale dal punto di vista dei consumi e delle emissioni di CO2, vista la forte necessità di energia dei data center. Magari si userà meno l’automobile per andare al lavoro, ma certamente lavorare dal salotto di casa non è a impatto zero. E anche di questo occorre tenere conto nel bilancio energetico globale.
La sensazione netta è che le strategie energetiche pomposamente presentate dalla Confederazione negli scorsi anni siano ormai destinate al macero e necessitino cambi di paradigma importanti. Non a caso, il Consiglio federale ha comunicato la necessità di far ricorso, in caso di penuria energetica, anche a centrali a gas da realizzare nei prossimi anni, ammettendo di fatto che la legittima volontà di fare capo solo a energie rinnovabili, in particolare l’energia solare ed eolica, non sono sufficienti a coprire il fabbisogno. Inutile tergiversare, questa è la realtà.
Limitazioni pericolose
È più che evidente che non si può prescindere dal valutare soluzioni sistemiche, che comprendano tutto il pacchetto di risorse esistenti, cioè eolica, solare, idroelettrica, fotovoltaica e, ebbene sì, pure nucleare. Tema tabù quest’ultimo, malgrado l’evoluzione tecnologica ne faccia un vettore che non può essere ignorato, visto che reattori di nuova generazione offrono garanzie notevoli in termini di sicurezza. Visti però i lunghi tempi di realizzazione, sarebbe già un passo importante prolungare l’attività delle centrali nucleari svizzere esistenti, perché spegnerle nel 2035 significherebbe tagliare una percentuale consistente di copertura del fabbisogno (si stima il 25%), triplicando la parte che deve essere importata dall’estero, già oggi molto consistente.
Non si tratta certamente di rigettare lo sviluppo e l’importanza delle energie cosiddette pulite, ma far collimare la crescente fame di energia, le ristrettezze produttive e al contempo l’obiettivo di decarbonizzare la società (cioè azzerare le emissioni di CO2) sembra facile quanto una fusione (a caldo) tra Lugano e Ambrì…
Certamente, la via del nucleare è irta di ostacoli, sia per i tempi che per la decisione popolare del 2017 di abbandonare questo tipo di energia. Ma notoriamente, solo gli sciocchi non cambiano mai idea, soprattutto di fronte a sviluppi tecnologici che comunque meritano di essere approfonditi. Perché, nel contesto internazionale, gli attori maggiori si muovono in questo senso, con colossi come Cina, India e Russia che si muovono decisi nell’ottica nucleare con progetti in fase di realizzazione. Analogo discorso vale per gli Stati Uniti e per il nostro vicino tradizionalmente “nuclearista” come la Francia. Va detto che la Cina si è lanciata parallelamente nella sperimentazione di fonti differenziate, aggiungendo al nucleare pure il fotovoltaico (nel quale è leader), passando per l’eolico. Disponendo al contempo della riserva più ampia di carbone in tutto il mondo.
Costi per tutti
L’esplosione dei costi dell’energia sta già flagellando molti Paesi e segnali inquietanti si percepiscono anche da noi. Da questo fenomeno nessuno è escluso, perché sarebbe errato pensare che ne siano colpiti solo i cosiddetti grandi consumatori, cioè in particolare le aziende di ampie dimensioni. Il rincaro galoppante dell’elettricità, del gas e del gasolio, della benzina colpisce tutti indistintamente e in proporzione alle loro abitudini, comprese quindi le famiglie e le cittadine e i cittadini in generale. Nei consumi, infatti, secondo le statistiche dell’Ufficio federale dell’energia, la parte principale è costituita dalle economie domestiche con circa il 33%, seguite dall’industria e attività manifatturiere (30%), dai servizi (27%) e dal traffico (8%). Ben si capisce quindi gli effetti importanti se agli aumenti succitati sommiamo quelli delle altre materie prime che servono ad esempio alla costruzione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici, ecco che si crea un mix micidiale di rincari su ogni fronte. Rincara la realizzazione di siti produttivi e rincara il “prodotto finito”. Sarebbe illusorio pensare che vi siano soluzioni facili e a portata di mano, soprattutto perché si tratta di un problema complicatissimo, di dimensione mondiali, in cui si intersecano anche interessi geopolitici notevoli e speculazioni varie. Impensabile che nella nostra piccola realtà cantonale si possano fare miracoli, visto che anche la Confederazione fatica ad orientarsi.
Non va però dimenticato l’articolo 89 della Costituzione federale che sancisce come “nell’ambito delle loro competenze, la Confederazione e i Cantoni si adoperano per un approvvigionamento energetico sufficiente, diversificato, sicuro, economico ed ecologico, nonché per un consumo energetico parsimonioso e razionale”. Teniamo a sottolineare il termine “diversificato”, e non è casuale. Dell’elenco degli obiettivi sembra in effetti l’elemento al momento più trascurato e non rispettare i dettami costituzionali, anche se a volte sembrano concetti astratti, non è mai una buona cosa (senza tirare in ballo le implicazioni giuridiche).
Riconsiderare la politica energetica, unitamente a quella ambientale, non è quindi solo una questione di opportunità ma è un obbligo costituzionale che incombe a Confederazione e cantoni nei rispettivi ruoli. Le belle teorie, certo accattivanti per vincere elezioni e votazioni, stanno mostrando i loro limiti. Difficile pensare che la popolazione accetti di buon grado limitazioni nei consumi o importanti rincari imposti in nome di un presunto interesse generale (vedi l’esito della votazione sul CO2, affossata sostanzialmente perché giudicata troppo costosa per i singoli cittadini). Del resto, per ridurre i consumi si invoca spesso il progresso tecnologico, non si capisce perché questo principio non dovrebbe valere per le discussioni sui mezzi di produzione dell’energia.
Nell’ambito dei consumi, ad esempio, le aziende stanno dando da anni esempi molto probanti di risparmi e misure votate all’efficienza energetica, come facilmente rilevabile dai lavori dell’Agenzia
dell’energia per l’economia (enaw.ch).
Nessuna novità
Il mix di energie non è del resto una novità nel sistema elvetico. Attualmente le centrali nucleari svizzere producono circa il 33% di elettricità, il 7% circa è generato dalle energie eolica e solare e il 60% dal settore idroelettrico. Attenzione queste cifre indicano i rapporti della produzione indigena, diversi sono quelli dell’origine dell’energia distribuita, perché entra in linea di conto quanto importato dall’estero. Ma non è questa la sede per entrare in troppi tecnicismi, molte informazioni possono essere evinte dal sito internet dell’Ufficio federale dell’energia e da www.strom.ch.
Il fatto è che, già oggi malgrado una strategia basata su varie fonti energetiche, a causa di vari fattori come il clima e le fluttuazioni stagionali, la produzione in Svizzera di energia solare ed eolica ha una parte ancora ridotta, malgrado l’incremento del fotovoltaico nel 2020 grazie in particolare all’installazione di impianti per il consumo privato. Difficile, se non impossibile recuperare questo divario, soprattutto se dal 2035 non vi fosse più il nucleare. Con le attuali 42 turbine eoliche non si va molto lontano, visto che ce ne vorrebbero 6’000. E sapendo le discussioni che questi impianti generano, così come l’eventuale innalzamento delle dighe, il tutto non è molto rassicurante e la realizzazione rapida sembra più un ideale che una realtà concreta.
Per dare un’idea, qualche settimana fa una malcapitata aquila reale è stata decapitata da una pala eolica in Svizzera romanda. Il povero pennuto è uno dei circa 800 consimili che sciaguratamente incocciano contro queste strutture. Inevitabile la levata di scudi di chi non ama le pale eoliche sul territorio e delle associazioni di difesa degli uccelli, che tradizionalmente sono favorevoli alle energie cosiddette pulite. Un accenno di schizofrenia che evidentemente complica ancora di più una situazione già intricata. Con tutto il rispetto per le specie animali e gli uccelli in particolare, forse è bene ricordare che, come sottolinea la Confederazione, 30 milioni di volatili sono uccisi dai gatti, 5 milioni si schiantano contro i vetri e 1 milione è vittima delle automobili. Così, per dare il senso delle proporzioni sul tenore delle discussioni, visto che finora nessuno ha ancora pensato a proibire la caccia ai gatti (o a proibire i gatti tout court) o a obbligarci a vivere senza finestre (il che farebbe
crescere ulteriormente i consumi energetici soprattutto in inverno).
Aneddoti a parte, è chiaro che le pale eoliche, al di là dei costi di realizzazione, si scontrano con opposizioni pianificatorie e interessi divergenti di ogni tipo, anche da ambienti di solito non ostili. Facile immaginare cosa succederebbe per realizzare le superfici necessarie di pannelli solari (pari a circa 19mila campi di calcio, contro i 1’800 odierni), in termini di discussioni interminabili. E intanto si vuole abbandonare il nucleare… Una volta dismesse le due centrali di Beznau e quelle di Gösgen e Leibstadt, ci sarebbe il forte rischio che la Confederazione possa essere costretta a comprare all’estero ancora più energia, prodotta, magari, da impianti nucleari o col carbone, mentre noi facciamo i puristi. E la dipendenza dall’estero, comprese le fluttuazioni di prezzo, crescerebbe ancora.
Quali misure a breve?
Visto che è difficile procedere in tempi rapidi a modifiche strutturali, va valutato se vi siano margini per altre manovre anche di tipo congiunturale. La Svizzera, a nostro avviso giustamente, non ha la tradizione interventista come ad esempio la Francia, dove sono state bloccate le bollette dell’elettricità per i cittadini. Misura certamente popolare in tempi di elezioni presidenziali, ma che sposta solo il problema, perché comunque qualcuno (leggi: il contribuente) sarà chiamato a pagare presto o tardi, oppure in altro modo. Ciò detto, nulla proibisce che vi sia una presa di coscienza comune e un dialogo costante fra, nel nostro caso, le aziende, la politica e i produttori e i distributori di energia. In momenti difficili è ragionevole pensare che su certi aspetti della base contrattualistica si possa magari ragionare, anche solo per misure temporanee.
Implicazioni pratiche della Brexit per le aziende svizzere
/in Approfondimenti Paese, Certificazioni, Dogana, Fiscalità, Internazionale, TematicheLa Brexit ha creato ostacoli agli scambi di merci e servizi anche tra la Svizzera e il Regno Unito. Pur avendo concluso vari accordi bilaterali per garantire il mantenimento delle loro strette relazioni, alcuni o parti di essi si fondano sull’armonizzazione delle disposizioni tra la Svizzera e l’Unione europea (UE) e quindi per il momento non vengono applicati (potranno esserlo solo se l’UE e il Regno Unito definiranno soluzioni contrattuali analoghe sulla base di standard armonizzati). Tutto ciò crea difficoltà nelle operazioni quotidiane degli operatori economici dei due Paesi.
Per essere di aiuto concreto ai suoi associati che operano con il Regno Unito, il servizio Commercio internazionale della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti) ha riunito le principali disposizioni in una scheda informativa che mira a rispondere a domande pratiche inerenti alle esportazioni di merci (questioni doganali, legislazione prodotti, IVA nell’e-commerce) e alla fornitura di servizi. Laddove di interesse la scheda è completata con informazioni inerenti alle importazioni e alla fornitura di servizi in Svizzera da parte di aziende o lavoratori britannici.
La scheda informativa è riservata ai soci della Cc-Ti e può essere richiesta al servizio Commercio internazionale inviando una e-mail a internazionale@cc-ti.ch
Fare business in Cina
/in Fiscalità, Internazionale, TematicheUna guida pratica vi illustra come.
Di recente pubblicazione, una guida redatta da Dezan Shira & Associates, società specializzata in investimenti diretti esteri, illustra come aprire un’attività in Cina. La guida fa altresì riferimento alle tanto attese leggi sulla protezione dei dati e della privacy ed è pertanto utile anche alle aziende già insediate che vogliono tenersi aggiornate sui cambiamenti legislativi più recenti.
Ecco i contenuti della guida in breve:
La guida può essere scaricata sul sito web di Switzerland Global Enterprise: Doing Business in China 2022 | S-GE
Disdetta con effetto immediato e interessi sulla partecipazione all’utile: a partire da quale momento?
/in Diritto, TematicheUna scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Un contratto di lavoro può prevedere che il dipendente abbia diritto ad una partecipazione agli utili. L’art. 322a del Codice delle obbligazioni indica esplicitamente questa possibilità: se, in virtù del contratto, il lavoratore ha diritto a una parte degli utili o della cifra d’affari o altrimenti del risultato dell’esercizio, questa parte è calcolata, salvo diverso accordo, sul risultato dell’esercizio annuale, da determinare secondo le prescrizioni legali e i principi generalmente ammessi dalla pratica commerciale.
Cosa succede se il contratto viene disdetto per motivi gravi ex art. 337 CO? Sappiamo che una simile disdetta ha un effetto immediato ed interrompe il rapporto lavorativo senza alcun preavviso o termine di attesa. In tal caso è verosimile che le parti al momento della disdetta non siano in grado di determinare il risultato dell’esercizio o la cifra d’affari, essendo tali elementi dipendenti da un intero anno di attività. In altre parole, per poter disporre di questi dati è necessario attendere la fine dell’anno. Ma come si concilia questa situazione con la regola dell’art. 339 cpv.1 CO che prescrive l’immediata esigibilità dei crediti derivanti dal contratto di lavoro con la fine del medesimo? La risposta la troviamo all’art. 323 cpv3 CO: la partecipazione al risultato dell’esercizio è pagata non appena il risultato è accertato, ma al più tardi sei mesi dopo la fine dell’esercizio annuale. Ora, questa è una prima risposta che però non indica, almeno in modo diretto, a partire da quale momento la pretesa del dipendente matura interessi.
Fa stato la cessazione del rapporto di lavoro o l’accertamento del risultato d’esercizio? Di questo tema si è occupato il Tribunale federale nella sentenza 4A_126/2021. I giudici di Losanna hanno innanzitutto ricordato che, nonostante la legge non lo indichi esplicitamente, in generale la regola dell’esigibilità delle pretese al momento della fine del rapporto di lavoro si applica anche alle disdette con effetto immediato e non solo a quelle ordinarie. È il caso, ad esempio, delle pretese del lavoratore nel caso in cui i motivi addotti per il licenziamento non sono gravi e danno quindi diritto a determinati risarcimenti a suo favore. Gli interessi su tali pretese di indennizzo iniziano pertanto a decorrere con la fine del contratto. Il Tribunale federale ha però immediatamente ammesso che per la partecipazione all’utile debba valere un’eccezione e che gli interessi in tal caso inizino a maturare parallelamente all’esigibilità della pretesa, ossia non appena il risultato è accertato, al più tardi sei mesi dopo la fine dell’esercizio annuale.
Aziende e Responsabilità sociale
/in Comunicazione e media, Sostenibilità, TematicheLa nuova piattaforma TI-CSRREPORT.CH
La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, sta dedicando molte risorse a questo tema e ha s sviluppato, col supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE),un modello online di rapporto di sostenibilità, che sarà disponibile dal 1° marzo 2022.
Questo strumento, unico nel suo genere, e che costituisce un progetto-pilota per tutte le Camere di commercio e dell’industria svizzere, va ad aggiungersi al “Questionario di autovalutazione” che la Cc-Ti da più di un anno ha già messo gratuitamente online a disposizione dei suoi associati, consentendo così a tutte le imprese, anche quelle piccole e medie, di disporre di una prima valutazione sulla propria posizione in tema della responsabilità sociale.
Un primo step pensato per censire e conoscere le “buone pratiche” adottate sul territorio e che è stato già utilizzato da oltre 200 aziende del Cantone.
Uno strumento riconosciuto anche dall’Autorità cantonale
L’importanza di mettere a disposizione delle aziende un nuovo strumento è frutto quindi di un’evoluzione già esistente e riveste anche un’innegabile utilità pratica, soprattutto dopo la decisione del Consiglio di Stato di annoverare la CSR tra i criteri di valutazione delle offerte nella nuova Legge sulle commesse pubbliche. La responsabilità sociale delle imprese è infatti un elemento che dal 2021 rientra anche nei bandi di concorso pubblici, con un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione. In una prima fase le nuove disposizioni cantonali saranno adottate, e testate, solo per gli appalti della pubblica amministrazione (Divisione delle costruzioni e Sezione della logistica). Successivamente esse saranno estese a gran parte delle commesse.
Alla luce di questa fondamentale svolta normativa, la possibilità di disporre, dal 1° marzo 2022, di un modello di “Rapporto di sostenibilità” è essenziale per le imprese, trattandosi di un report con cui l’azienda descrive e certifica il suo impegno nell’ambito della responsabilità sociale, in relazione anche ai 30 indicatori selezionati dal Consiglio di Stato per la ponderazione delle offerte che concorrono agli appalti pubblici.
Grazie al rapporto di sostenibilità e con l’ottenimento di una separata “Dichiarazione di conformità” aggiuntiva (rilasciata dalla Cc-Ti) si faciliterà sia il lavoro delle aziende, sia quello delle autorità chiamate a valutare i dossier. Il documento della Cc-Ti rappresenta una naturale evoluzione dopo la fase di test condotta da oltre un anno con un formulario di autovalutazione e costituisce un unicum a livello svizzero, visto che permette di stilare concretamente un rapporto di sostenibilità che poi vene anche riconosciuto formalmente quale documento, dal Cantone.
Un lavoro di consulenza puntuale aiuterà le aziende a dimostrare la realizzazione degli obiettivi economici, ambientali e sociali idonei pure nell’ottica a ottenere questa percentuale. Questo strumento non rappresenta la condizione per partecipare agli appalti pubblici ma resta su base volontaria ed è sostenuta dal DFE e dall’ufficio di vigilanza sulle commesse pubbliche.
Procedura e contenuti del Rapporto di sostenibilità
Il “Rapporto di sostenibilità” sarà accessibile a tutte le aziende sulla piattaforma online della Cc-Ti. Si è espressamente voluta una formulazione di facile compilazione, che permette di includere, oltre a paragrafi descrittivi, logo, foto e tutte le informazioni puntuali aziendali di rilevanza. Perché, ed è importante sottolinearlo, non si tratta dell’ennesimo ostacolo burocratico a carico delle aziende, bensì di uno strumento pensato per dare loro la giusta e positiva visibilità e aiutarle con un mezzo semplice. Oltre ai principali dati sull’azienda e alla sua storia, la compilazione del documento porta a descrivere le misure adottate per la responsabilità sociale in relazione a: governance, mercato, risorse umane, rapporti con la comunità e tutela dell’ambiente. Per arrivare, poi, agli obiettivi che ci si prefigge a media e lunga scadenza.
Come già descritto in precedenza, il rapporto può essere completato da una scheda supplementare dedicata ai 30 indicatori determinati dal governo ticinese che sono suddivisi
in tre aree tematiche: ambiente, economia, società. Grazie alla compilazione di questa scheda, saranno confermati i requisiti di base per ottenere il punteggio richiesto sul tema CSR negli appalti pubblici.
Per le imprese il Rapporto di sostenibilità rappresenta un ottimo dispositivo per monitorare costantemente il loro approccio alla sostenibilità, per metterne a fuoco limiti, progressi e obiettivi futuri. E scoprire, magari, che delle misure già adottate spontaneamente, ad esempio, per la mobilità aziendale, il risparmio energetico o per meglio conciliare lavoro e impegni familiari, rientrano a pieno titolo nelle “buone pratiche” contemplate dalla CSR.
La Cc-Ti organizzerà una presentazione al pubblico nelle prossime settimane e, assieme ai suoi partner istituzionali, proporrà alle imprese e alle associazioni di categoria, degli eventi formativi e informativi sui temi della CSR.
La visione del futuro vede la crescita delle nostre aziende strettamente collegata ad una prospettiva di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Con la ferma convinzione che la forza, la coesione
di una comunità e il suo capitale sociale rappresentino un vantaggio competitivo per tutto il tessuto produttivo.
La responsabilità sociale, “questa sconosciuta”
Da anni la Cc-Ti, oltre a collaborare con istituzioni cantonali, associazioni e fondazioni per una fattiva sensibilizzazione sulla responsabilità sociale, supporta le aziende nell’implementare le “buone pratiche” della CSR attraverso un articolato lavoro di informazione e formazione. È importante rilevare che la CSR non è terreno sconosciuto per le nostre tante aziende del territorio, anzi!
Nel quadro dell’annuale inchiesta congiunturale della Cc-Ti, condotta con le altre Camere di commercio e dell’industria svizzere, un’analisi specifica sul tema ha evidenziato il grande lavoro già in atto da parte delle imprese. Rilevando, ad esempio, oltre 130 “buone pratiche”, suddivise in 32 tipologie d’intervento, applicate nei diversi rami economici. Un impegno che investe, sia nelle grandi che nelle piccole imprese, gli obiettivi qualificanti della responsabilità sociale.
Con scelte imprenditoriali coraggiose, che vanno spesso oltre i canoni ordinari della CSR, per concretizzare un concetto di responsabilità più aderente non solo alla vita dell’azienda, ma anche alla realtà del territorio e della comunità. Va fatta chiarezza e sottolineato che, se da una parte è giusto avere dei parametri di CSR, dall’altra parte non va assolutamente trascurato quanto fatto anche al di fuori dei criteri “ufficiali”. Il peso e il valore dell’impegno sociale di un’impresa difficilmente possono essere misurati solo ed esclusivamente sulla base dei soli parametri citati. Già il fatto del rischio imprenditoriale assunto per avviare un’impresa e creare posti di lavoro è un atto sociale e non solo economico, molto importante. A maggior ragione chi crea e mantiene un’azienda, ad esempio, in una regione periferica o in altri contesti “svantaggiosi”, offrendo dei posti di lavoro laddove non ci sono molte opportunità occupazionali, non è socialmente meno meritevole di chi può fregiarsi di tutti i crismi della CSR. Questo va detto in modo forte e deciso.
Purtroppo, nella discussione politica, è sempre dietro l’angolo la tentazione di usare la responsabilità sociale come discriminante per stilare avventate classifiche sulle aziende più o meno “virtuose”, per dividerle tra “buone” e “cattive”, da premiare o penalizzare. Un termine, “virtuoso”, pesantemente abusato negli ultimi anni, spesso per cercare d’imporre una concezione ideologizzata dei principi della CSR con lo scopo di resettare la libertà economica e ingabbiare lo spirito imprenditoriale. Per colpire alle radici la vocazione naturale di ogni impresa: conseguire un profitto.
Perché soltanto se si realizza un profitto, si avranno le risorse necessarie per investire e innovare, fermo restando il rispetto delle norme legali e i principi etici che regolano la società.
Restare competitivi sul mercato, creando più occupazione e ricchezza di cui beneficia poi, tutta la collettività. Esiste già una responsabilità sociale quotidiana, costante e volontaria, non dettata da prescrizioni calate dall’alto o da pressioni esterne. Le aziende sono pronte ad assumersi ulteriori responsabilità, ma è evidente che lo stesso comportamento deve essere tenuto da tutti gli attori in gioco: istituzioni, politica, partner sociali e società civile, al fine di una responsabilità condivisa per una crescita equilibrata ed armoniosa.