Dobbiamo riflettere!

Serve una grande riforma fiscale

Il prossimo 13 febbraio si voterà sul referendum contro l’abolizione della tassa di bollo sull’emissione di capitale proprio lanciato da PS, Verdi e sindacati. Nell’arsenale fiscale dello Stato questo diritto di bollo è uno strumento che risale alla Prima guerra mondiale. Un’imposizione iniqua e poco sensata, poiché il capitale proprio, che i privati mettono a disposizione dell’impresa, rappresenta la sostanza indispensabile per investire, innovare e creare posti di lavoro. Si colpisce il risparmio aziendale che spesso è utilizzato in caso di crisi, come in questi anni di pandemia, ma che poi deve essere ricostituito. Quando si fonda una società, si lancia una raccolta di capitali o si fa una ricapitalizzazione, si paga all’erario un pedaggio che ammonta all’1% sui fondi raccolti che superano il milione di franchi. Contrariamente a quanto sostengono i promotori del referendum, la soppressione di un simile balzello non è un regalo alle grandi imprese e alla finanza. Si elimina, invece, un peso che indebolisce l’economia e le PMI. Che si vada votare su questa “reliquia” del diritto tributario è la dimostrazione più evidente di quanto il nostro sistema fiscale non sia più al passo coi tempi. Della necessità di una riforma strutturale ad ampio respiro, ben oltre, quindi, il solito battibeccare sugli sgravi, per adeguarlo alla realtà odierna, molto più complessa e diversificata rispetto a normative e principi rimasti ancorati a schemi superati dall’evoluzione del contesto economico e sociale.

Una tassa da abolire

Ci sono buone ragioni per abolire la tassa di bollo sui fondi propri. Imposizione a volte definita, non a torto, borbonica e adottata solo in altri quattro Paesi al mondo: Grecia, Spagna, Giappone e Corea del Sud. L’80-90% delle circa 2’300 aziende che in Svizzera pagano questo diritto di bollo sono PMI, che si vedono così erodere la sostanza e limitare le loro potenzialità di sviluppo. Si applica un prelievo che favorisce l’indebitamento, rende più costosi gli investimenti e ostacola chi vuole creare o far crescere un’impresa. Scoraggiando, altresì, gli investimenti privati che iniettano nuovi capitali nelle aziende, senza pesare sulle finanze pubbliche. È ingiusto pagare una tassa su una raccolta di capitale prima ancora che esso generi un fatturato o che sia investito per sviluppare l’attività produttiva. Un tributo gravoso in particolare per le start-up che, non disponendo solitamente di grande liquidità, necessitano dell’aumento dei capitali grazie all’apporto di investitori privati o di fondi di partecipazione. Tarpando le ali alle start-up si frena l’innova zione nelle ICT, nell’intelligenza artificiale, nella robotica e le scienze della vita. Settori cruciali per il futuro del Paese.
A fronte di una perdita per l’erario di 200-250 milioni, eliminando questa tassa, ci sarebbero più investimenti delle aziende e stimoli alla competitività, con effetti positivi sulla crescita, sull’occupazione e, quindi, con un maggiore gettito fiscale per lo Stato.

Un fisco più equo e moderno

Nella fiscalità occorre rimuovere le anticaglie di un secolo fa come le tasse di bollo e ripensare altri strumenti come il valore locativo, istituito nel 1915 come imposta di guerra una tantum, e trasformatosi, con l’espansione del mercato immobiliare e con vari artifici politici, in un prelievo ordinario. Senza dimenticare le necessità di riforma dell’imposta preventiva e la semplificazione dell’IVA. In Ticino vanno approfondite le legittime richieste di aggiustamenti più che mai urgenti all’imposta sulla successione aziendale che scoraggia i parenti non diretti o terze persone dal subentrare nella titolarità dell’impresa, mettendone a rischio la continuità. Così come la riduzione, altrettanto improrogabile, delle aliquote sulle persone fisiche con redditi elevati oggi estremamente penalizzanti, soprattutto nell’ottica, come vedremo più avanti, della concorrenza fiscale internazionale. A livello federale e cantonale c’è da lavorare intensamente e rapidamente su una riforma strutturale del sistema fiscale, commisurata a una realtà contrassegnata da un’elevata mobilità di capitali, aziende, professioni e patrimoni personali. Calibrata su una società sempre più marcata da nuove forme di impiego, da carriere, redditi e utili d’impresa non più lineari, dall’irrompere della robotica nella produzione e, soprattutto, da un “lavoro asincrono” svincolato da orari e luoghi fissi. Si lavora facilmente per un’azienda ticinese abitando in parte all’estero o in un’altra regione svizzera, pur conservando il domicilio nel cantone o, ancora, una società con sede in Svizzera fornisce un servizio di manutenzione ad un’azienda all’estero ma gestendolo esclusivamente per via telematica. Ecco due esempi di situazioni ormai abituali che aprono nuovi scenari anche nel diritto tributario. A cambiare il quadro della fiscalità internazionale ci sarà anche la tassa minima globale del 15% per i grandi gruppi. Con la Global Tax la concorrenza fiscale, tra regioni e Paesi, dalle aliquote sugli utili si sposterà su altri possibili incentivi e maggiormente sulle persone fisiche. La concorrenza si giocherà su un’imposizione più leggera per le persone fisiche ad alto reddito, come manager e dirigenti, che hanno un ruolo decisivo proprio sulla scelta della sede di un’impresa. Perciò, il Ticino deve giocare d’anticipo, riducendo le aliquote sui redditi elevati, che attualmente ci collocano negli ultimi posti della classifica fiscale nazionale, per profilare il Cantone come location conveniente per le società estere e soprattutto per le persone fisiche a esse legate.

Sono in atto cambiamenti radicali sia nei paradigmi produttivi che nei criteri impositivi, si dispiegano processi transnazionali che riorienteranno i flussi della ricchezza mondiale e il sistema fiscale svizzero non può restare indietro. Un fisco non al passo coi tempi, oltre che iniquo, frena la crescita, penalizzando non solo le aziende ma anche i ceti meno abbienti. Serve pertanto un’attenta analisi su nuove attività e base imponibile con soluzioni fiscali moderne che incoraggino e non ostacolino l’innovazione economica e sociale.

Meno imposizione per avere più gettito

Anche per il voto del 13 febbraio si levano le immancabili proteste contro gli sgravi che favorirebbero il capitale dissanguando le casse pubbliche. Rimostranze che non reggono alla prova delle cifre sulle entrate fiscali della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni, soprattutto tenendo conto degli effetti sul medio e lungo termine.
Se negli anni ‘90 le imposte sul capitale fruttavano allo Stato il 5% del PIL, oggi – dopo tre riforme federali per una fiscalità più attrattiva (1997-2008-2019) – si è quasi arrivati al 7%. Una crescita generata in gran parte dal boom dell’imposta sull’utile. Da anni il gettito dell’IFD, Imposta federale diretta, assicurato dalle imprese supera quello delle persone fisiche. Ancora più inconsistente è la costante critica sugli sgravi fiscali a livello ticinese che avrebbero disastrato le finanze cantonali. In realtà riducendo mediamente del 30% la pressione fiscale, si generò anni fa un aumento del gettito di oltre il 40%: circa 450 milioni di franchi in più. Non c’è stato alcun “golpe” al gettito fiscale che in questi anni è invece aumentato. Del resto, le imposte versate dalle persone fisiche sono passate dagli 822 milioni del 2009 ai 1’117 del 2019. Rispetto al 1999 l’incremento delle entrate fiscali annuali è stato di 439 milioni. E sono aumentate anche quelle delle persone giuridiche, nonostante la crisi che ha investito la piazza finanziaria ne abbia drasticamente ridotto il gettito. A vanificare la crescita degli introiti tributari è piuttosto l’aumento costante della spesa pubblica, riconducibile a vari fattori, a volte giustificabili, a volte meno. In Ticino, ma anche in molti altri cantoni, uno dei problemi principali è la fragilità della stratificazione fiscale: su poco più di 200mila contribuenti, il 26,6%, ossia 54’492 persone, non paga imposte perché non raggiunge il minimo imponibile, mentre poco meno del 10%, circa 8mila cittadini, paga quasi il 60% delle imposte delle persone fisiche. Da soli, i vituperati globalisti, 896 soggetti, nel 2020 hanno versato a Cantone, Comuni e Confederazione 157,8 milioni. Dati che dimostrano quanto sia sociale la fiscalità in Ticino, ma anche come essa dipenda da una fascia ristretta di contribuenti. Contro cui abitualmente taluni inveiscono in modo sconsiderato, ma senza la quale lo Stato non avrebbe le risorse per finanziare una generosa socialità.

Un efficace sistema redistributivo

È evidente che non si combatte la povertà impoverendo i ricchi. Tanto più in un Paese come il nostro che vanta un’efficace ridistribuzione attraverso l’imposta sulla sostanza e le aliquote dell’imposta sul reddito. L’imposizione dei redditi da capitale, come pure dei salari, è difatti fortemente progressiva: l’1% dei contribuenti versa il 44% circa dell’IFD, il 50% dei cittadini con redditi meno alti assicura il 2%, il 47% della popolazione non paga alcuna imposta federale . Allargando lo sguardo, si stima che il 53% delle imposte federali, cantonali e comunali è pagato dal 10% dei contribuenti, cioè poco meno di 515mila persone. I ceti più alti lasciano nelle casse dell’AVS una quota consistente di contributi che non riscuoteranno mai. Questi importi superano la soglia massima dell’indennità loro dovuta, di cui beneficeranno, invece, i pensionati meno abbienti. Proprio grazie alle prestazioni sociali si assicura gran parte della ridistribuzione: nel 2018 si sono spesi 177 miliardi di franchi, vale a dire un quarto del totale della produzione economica annuale, per pensioni vecchiaia, malattia e invalidità, disoccupazione ed emarginazione sociale.

In Ticino nel 2022 per la socialità si spenderanno 1’130 milioni, 148 in più rispetto a due anni fa, mentre il volume dei sussidi dal 2003 al 2021 è aumentato del 99%. Cifre che smentiscono
le insistenti voci di presunti tagli al sociale. Ad impoverire i cittadini non sono gli sgravi che, secondo la vulgata corrente, priverebbero lo Stato dei fondi necessari per la protezione sociale, né è una semplice questione di salari, come taluni vogliono far credere. Non dimentichiamo ad esempio il notevole aumento delle tasse (quelle cosiddette causali, tanto per intenderci): sui rifiuti, sulla circolazione, su ogni documento rilasciato dalla pubblica amministrazione e su altri servizi, che gravano sempre di più sui redditi medi e medio-bassi. Una raffica di balzelli che nel 2005 fruttava al Cantone 190 milioni, dieci anni dopo 246 milioni, per arrivare nel 2019 attorno ai 270 milioni. Una stangata che, unitamente ad altri rincari legati spesso a spese obbligatorie, pesa sui bilanci di molte persone, fisiche e giuridiche. Un ulteriore argomento per proporre una visione complessiva di tutte le voci contributive, imposte, tasse e balzelli vari.