Molteplici opportunità

La Scuola Manageriale della Cc-Ti è frequentata da professionisti con formazioni di base diverse fra loro e che rappresentano uno spaccato molto interessante del tessuto economico ticinese, notoriamente molto variegato. Abbiamo intervistato una partecipante dell’ultima edizione del corso “Specialista della gestione PMI”, Ilena Grasso.

Tutti i partecipanti (esponenti di piccole e grandi aziende, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi in particolare) della Scuola manageriale Cc-Ti hanno uno scopo comune, ossia integrare e migliorare le loro competenze, nell’ottica della gestione aziendale e di funzioni dirigenti. Il corso viene erogato seguendo dei contenuti tradizionali, ma applicati tenendo conto dei problemi di attualità.

Le lezioni permettono ai partecipanti di acquisire maggiori competenze che gli consentiranno di assumere nuove responsabilità in azienda, con soddisfazione personale e competenze diverse all’interno dell’ambito in cui operano. Il corso mira così a garantire competenze pragmatiche, strategiche e operative rispondendo al desiderio di acquisire una maggiore efficienza ed efficacia nella gestione aziendale. Il percorso formativo in questione risponde alle direttive del regolamento d’esame federale e è completato da casi pratici.

Nell’intervista a Ilena Grasso vogliamo raccontare il suo percorso ed evidenziare come lo “Specialista della gestione PMI” si adatti a svariati ambiti.


Ilena Grasso

Signora Grasso, il suo percorso professionale è particolare, dopo un AFC quale informatica, è diventata – sempre con un AFC – assistente di farmacia. Ora frequenta il corso Cc-Ti per diventare “Specialista della gestione PMI”. Quali sono i motivi che l’hanno spinta ad iscriversi alla Scuola Manageriale Cc-Ti?

Sostanzialmente terminato l’apprendistato in Informatica ed aver lavorato nell’ambito mi sono resa conto che la professione implicava svolgere mansioni sistematiche e con poca interazione con le persone, salvo confronti mirati per svariati progetti. Da qui sono stata portata ad una riqualifica quale assistente di farmacia, conclusa nel 2017. Per crescita professionale personale, ho optato in primis per la specializzazione di “Assistente aziendale di farmacia”. Tuttavia, il corso non ha avuto luogo in Ticino per svariati anni e una volta riproposto non ha raggiunto il numero minimo di iscrizioni per avviare il corso. Non appena ATAF ha proposto la possibilità di partecipare al corso “Specialista della gestione PMI” ho colto immediatamente l’opportunità. Una volta conosciuto il programma del corso sono stata entusiasta di poter trattare temi che potrebbero aiutare nella gestione di una farmacia.

Dopo 6 mesi di corsi circa, può tracciare un primo bilancio?

Il bilancio è sicuramente positivo, già dopo questi primi 6 mesi, posso affermare di aver applicato alcune nozioni acquisite pur avendo solo concluso due moduli del corso. Un altro aspetto interessante e non convenzionale è la composizione della classe. Formata da studenti di settori lavorativi differenti, ciò impone di trattare diversi casi di studio, permettendo di affrontare le lezioni senza la ridondanza focalizzata esclusivamente sull’ambito farmaceutico; ciò porta ad ampliare le proprie conoscenze culturali generali e stimolanti discussioni di confronto per le singole realtà.

In una farmacia le dinamiche d’interazione sono differenti rispetto ad un’azienda o al “lavoro d’ufficio”. Come applica quanto apprende sui banchi della Scuola Manageriale nel suo contesto lavorativo?

Da quanto appreso ad oggi, non riesco a riscontrare grosse differenze. A tutti gli effetti anche la farmacia è considerata un’azienda; chiaramente spesso e volentieri rispetto a una media impresa è composta da un effettivo minore. Tuttavia si è confrontati con gli stessi temi.
Dal mio punto di vista ritengo che questa formazione può giovare alle farmacie: anche un’assistente di farmacia può acquisire, ad esempio, nozioni commerciali che spesso e volentieri il titolare affida a terzi.
Questo mi sembra l’esempio più lampante ed è interessante sviluppare conoscenze nell’ambito gestionale per diventare una reale risorsa all’interno della farmacia e supportare il titolare.
Spontaneamente oggi mi viene naturale confrontare le nozioni apprese a scuola con il contesto lavorativo, per scorgere eventuali punti di miglioramento.

Consiglierebbe la Scuola Manageriale Cc-Ti ad altri professionisti?

Assolutamente sì. Le aziende contemporanee sono sempre più confrontate con la necessità di una nuova figura all’interno del proprio organico, per rivestire mansioni all’apparenza banali come social media manager o capi risorse umane e allestimenti, che richiedono impegno, creatività e tempo, essenziali al giorno d’oggi.

Per maggiori informazioni su questo percorso formativo, visitate il nostro sito web.

Certificato medico online

Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, molte aree sono in continua evoluzione. Il settore medico, e di conseguenza i certificati medici, non fanno eccezione. È diventato possibile richiedere un certificato medico online compilando un modulo sulla piattaforma, tramite applicazioni di videoconferenza, o anche semplicemente telefonando.

La particolarità della telemedicina è che il medico non incontra fisicamente il suo paziente, il che può porre un certo numero di problemi, sia etici che legali.

Telemedicina e certificato medico online

La telemedicina gode di un ampio sostegno da parte degli assicuratori nella misura in cui può ridurre il costo di una consulenza fino a tre volte. Se questa pratica ha i suoi vantaggi, presenta anche svantaggi, a cominciare dal fatto che il medico non può esaminare il paziente personalmente, condizione importante, anzi indispensabile per stabilire una diagnosi. Pertanto, il problema più grande con tali certificati è la loro affidabilità.

Per analogia con le norme applicabili alle consultazioni telefoniche, alcuni datori di lavoro considerano ammissibile un certificato medico online solo:

  • se è rilasciato dal medico curante del collaboratore;
  • se il paziente ha ripetutamente bisogno della stessa cura.

Il certificato medico è invece molto più difficile da accettare se è rilasciato da un medico che non conosce il paziente (come in linea di principio è il caso dei certificati online) o che il paziente non consulta da molto tempo.

La dottrina ritiene che tali certificati medici, rilasciati anche per un breve periodo, debbano ritenersi nulli e quindi privi di valore.

Sulla piattaforma soignez-moi.ch, ad esempio, il paziente risponde a un questionario online, poi viene richiamato da un medico che determina con lui la diagnosi e gli rilascia una ricetta per un importo di CHF 59.-.
Attualmente, questo tipo di piattaforma viene utilizzata principalmente per ottenere una prescrizione. Il rilascio di un certificato medico di congedo per malattia rimane l’eccezione ed è ancora molto restrittivo.

Un certificato medico è accessibile su Soignez-moi.ch solo tramite la piattaforma. Il paziente deve autenticarsi ed eseguire una doppia autenticazione oltre ad un login con password per potervi accedere (identica all’e-banking). Secondo le nostre informazioni, questa piattaforma è attualmente l’unica in Svizzera ad essere certificata OCPD (rispettando quindi l’ordinanza sulla protezione dei dati) nonché GoodPriv@cy, che garantisce una certa sicurezza per quanto riguarda i documenti emessi.
Soignez-moi.ch non comunica deliberatamente in modo proattivo la possibilità di sospendere la propria occupazione professionale. Non ci sono nemmeno domande sull’attività professionale. Al fine di limitare gli abusi, Soignez-moi.ch afferma, da un lato, di essere restrittivo per quanto riguarda il rilascio di certificati medici e dall’altro di rilasciarne in linea di principio solo uno all’anno e solo per interruzioni del lavoro brevi (fino a tre o eccezionalmente cinque giorni); si consiglia ai pazienti che ritengono di necessitare di una pausa più lunga di consultare il proprio medico.
Soignez-moi.ch prevede che ogni documento trasmesso sulla piattaforma venga firmato elettronicamente utilizzando un’identità SwissSign e che il documento venga crittografato. Queste funzionalità dovrebbero impedire la modifica digitale di tale documento e consentire ai datori di lavoro di confermare la veridicità del certificato.

Il datore di lavoro ha la possibilità di chiedere a soignez-moi@hin.ch se un documento è autentico. L’indirizzo e-mail è sicuro e crittografato.
Gli ospedali della Svizzera romanda utilizzano già Soignez-moi.ch per le loro semplici emergenze.

Medgate recita:

Certificato d’inabilità lavorativa dopo una teleconsultazione
Estratto delle linee guida di Medgate

• Il medico di Medgate può certificare solo fatti che ha valutato in maniera scrupolosa e competente e che reputa veri.

• Si certifica un’inabilità lavorativa del 100%. Un’inabilità lavorativa parziale non è valutabile al telefono o via video.

• Medgate rilascia un certificato semplice d’inabilità lavorativa, usando il formulario edito dalla Comunità d’interessi svizzera medicina assicurativa (Swiss Insurance Medicine).

• Se il paziente sottostà ad un rapporto di lavoro impiegatizio, tale rapporto di lavoro deve essere non disdetto.

Certificato medico online nell’ambito dei rapporti di lavoro

Certo, la telemedicina è una buona alternativa al tradizionale consulto con il medico curante, che risulterebbe più costoso. Tuttavia, nell’ambito dei rapporti di lavoro, un certificato medico rilasciato al lavoratore tramite telemedicina presenta un rischio concreto di essere impugnato dal datore di lavoro, il quale a sua volta chiederà una visita medica da parte del suo medico di fiducia, che potrà, alla fine, essere controproducente e portare conflitti.
Si segnala che durante l’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus, la FMH ha ritenuto eccezionalmente accettabile il rilascio di un certificato medico previo consulto telefonico purché espressamente menzionato nel suddetto certificato. Ciò aveva lo scopo di evitare che i pazienti si recassero personalmente dal medico solo per ottenere un certificato medico, in un contesto in cui i medici erano particolarmente sollecitati e i contagi da tenere sotto strettissimo controllo.

Tuttavia, questa dichiarazione della FMH non vincola i datori di lavoro, che rimangono liberi di rifiutare tali certificati.

Consigli per i datori di lavoro

A causa dell’aumentato rischio di abuso, allo stato attuale si consiglia al datore di lavoro di inserire nel contratto di lavoro una clausola secondo la quale il certificato medico rilasciato da un medico che non ha visitato il paziente faccia a faccia non viene ritenuto valido.
Ciò può essere specificato, ad esempio, per:

  • certificati medici rilasciati a seguito di una telefonata;
  • certificati medici rilasciati sulla base di informazioni trasmesse per corrispondenza;
  • certificati medici rilasciati dopo una semplice consultazione on-line.

NOTA BENE: in questo articolo vengono citate solo due delle piattaforme presenti in Svizzera e prese quindi ad esempio, non per scelta interna, ma per struttura d’articolo e fonte dello stesso.
Fonte: WEKA, 21/03/2022 – Pierre Matile
Vedi anche:
https://www.swisscom.ch/it/magazine/digitalizzazione/ecco-perche-la-telemedicina-e-migliore-di-dottor-google/
e
https://www.soignez-moi.ch/

Ukraine Recovery Conference (URC) 2022: informazioni utili

L’Ukraine Recovery Conference (URC) si terrà a Lugano il 4 e 5 luglio 2022

La pagina dedicata sul sito dell’Autorità cantonale riassume le informazioni più rilevanti relative alle ripercussioni legate all’organizzazione della conferenza e verrà aggiornata costantemente.


LINK UTILI
PAGINA SUL SITO DEL CANTONE – URC 2022 LUGANO
“Ukraine Recovery Conference: una sfida per la sicurezza” – COMUNICATO STAMPA DELLA POLIZIA CANTONALE DEL 28.06.2022
PAGINA SUL SITO DELLA CITTÀ DI LUGANO – URC 2022
DISPOSIZIONI DELLA CITTÀ DI LUGANO SU URC2022
ZONE DI SICUREZZA – FILE DEL 20.6.2022
VIABILITÀ – FILE DEL 20.6.2022

Chiusura uffici Cc-Ti al pubblico: 4 e 5 luglio 2022

Informazioni specifiche per le aziende sull’operatività dei nostri servizi

Gli uffici della Cc-Ti resteranno chiusi al pubblico i prossimi 4 e 5 luglio 2022. Siamo raggiungibili attraverso i contatti diretti.

Il Servizio delle legalizzazioni, in particolare, opererà come segue:

Per rispondere alle esigenze di associati e aziende che richiedono il rilascio cartaceo dei documenti sopra menzionati, lo sportello estenderà gli orari di apertura nei giorni che precedono rispettivamente seguono la chiusura della Cc-Ti:

  • venerdì 1° luglio 2022, dalle 08:00 alle 12:00 e dalle 13:30 alle 17:30
  • mercoledì 6 luglio 2022, dalle 08:00 alle 12:00 e dalle 13:30 alle 17:30

Potete trovare, nella pagina del nostro sito web, i nostri contatti diretti.

Le lacune di sicurezza della supply chain

Le catene di approvvigionamento sono reti complicate e la loro digitalizzazione le rende vulnerabili agli attacchi: una maggiore trasparenza sulle merci da parte dei produttori e misure di controllo più severe possono aiutare.

Se in taluni ambiti (ad es. mobilità, alimentare, farmaceutico, ecc.) l’integrità e la sicurezza dei prodotti fisici vengono verificate prima della loro commercializzazione, la qualità e la sicurezza di molti prodotti digitali non sono invece garantite. La sicurezza delle supply chain per i prodotti digitali è spesso insufficiente e a causa della mancanza di informazioni trasparenti e fondate, spesso il management di un’azienda non è in grado di prendere decisioni sostenibili. È quanto si evince da un rapporto del 2019 di ICTswitzerland, l’organizzazione mantello svizzera per l’economia digitale, sulla sicurezza della supply chain.

A fine 2021, l’azienda di servizi di sicurezza cibernetica BlueVoyant ha condotto un sondaggio su larga scala sulla sicurezza informatica, coinvolgendo 1’200 dirigenti di livello C di aziende con più di mille dipendenti e sei Paesi, tra cui Germania, Austria e Svizzera. I risultati di questi tre Paesi mostrano attacchi in aumento, scarsa visibilità dei fornitori e mancanza di informazioni sulla cibersicurezza di terzi. Nell’ultimo anno, il 99% delle aziende intervistate con sede in questi Paesi è stato vittima di un attacco diretto dovuto alla vulnerabilità di terzi a livello di sicurezza e addirittura il 100% ha subito indirettamente le conseguenze negative di una violazione della sicurezza nella propria rete di fornitori. Una situazione allarmante.

Pandemia e guerra in Ucraina hanno dimostrato chiaramente che le catene di approvvigionamento internazionali devono diventare più trasparenti, cosicché le aziende possano reagire molto presto a ostacoli e interruzioni. Ciò significa che le catene di approvvigionamento devono essere maggiormente digitalizzate.

Ma più aumenta la digitalizzazione, più aumentano le opportunità di attacchi digitali da parte degli hacker. Ciò rende necessario adottare maggiori misure di protezione digitale, come ad esempio programmi antivirus e malware specifici. Questi però da soli non sono sufficienti.

Piccole aziende con grandi lacune nella sicurezza

Il problema fondamentale non è la digitalizzazione in sé, bensì la complessità delle catene di approvvigionamento: il numero di fornitori per ogni singola azienda è infatti cresciuto a causa della pandemia e della guerra in Ucraina, rendendo la filiera sempre più difficile da gestire e da controllare. Il rischio maggiore è rappresentato dalle imprese di piccole dimensioni, ben lontane dal disporre di misure di sicurezza solide, come è invece il caso delle aziende più grandi. La verifica e la valutazione di una catena di approvvigionamento a distanza di settimane o mesi non è sufficiente per tenere testa ad aggressori agili e persistenti. Il monitoraggio continuo e la risposta rapida alle nuove vulnerabilità critiche scoperte sono essenziali per una gestione efficace del rischio informatico. Ciò include l’automazione delle analisi, l’estensione delle valutazioni di sicurezza da alcuni fornitori chiave a tutti i fornitori, l’identificazione di aree di particolare vulnerabilità e l’informazione ai propri fornitori in merito ai rischi emergenti e alle misure pratiche da adottare per correggere i problemi, conclude il rapporto di BlueVoyant.

Lavatrici e tostapane intelligenti in balia degli hacker

Quali sono quindi i fattori di rischio e le vulnerabilità tipiche? In sostanza, nell’attacco ad una supply chain, hacker e ricattatori possono manipolare i prodotti digitali o i loro componenti anche prima della loro consegna all’acquirente. Ciò avviene, ad esempio, durante lo sviluppo dei chip, la produzione o l’integrazione di altri componenti digitali e persino durante il trasporto al cliente. Gli hacker ottengono l’accesso principalmente tramite accessi non documentati, mediante le cosiddette backdoor (letteralmente “porte di servizio” che consentono di accedere da remoto ad un sistema e di controllarlo, superando le procedure di sicurezza attivate) o, se si tratta di prodotti collegati in rete, tramite malfunzionamenti impiantati e che possono essere attivati da aggiornamenti successivi alla consegna.

Questa infiltrazione diventa pericolosa se si tratta di prodotti distribuiti su larga scala, ovvero di beni di consumo digitali come computer, sensori, IoT e sistemi di controllo domestico. Lo stesso vale per televisori, lavatrici e tostapane intelligenti.

Tutti questi prodotti presentano un’interfaccia tra software e hardware e possono essere dotati di funzioni nascoste che vengono attivate a distanza quando necessario. I prodotti digitali senza dispositivi di input (mouse, schermo, ecc.) spesso non sembrano computer collegati in rete… eppure lo sono e non sono sufficientemente protetti.

Il dipendente: un rischio rilevante

In molte aziende, anche i dipendenti rappresentano un rischio per la sicurezza: è il caso quando aprono gli allegati ai messaggi di posta elettronica ricevuti da sconosciuti oppure quando effettuano grandi trasferimenti di denaro su istruzioni ricevute dai loro superiori via e-mail. Infine, possono anche divulgare inconsapevolmente informazioni aziendali sensibili chiacchierando durante il pranzo. In questo caso può essere d’aiuto una formazione specifica su argomenti rilevanti per la sicurezza aziendale e la presentazione di scenari concreti.

Ci sono poi dipendenti che spiano o manipolano deliberatamente. Un controllo del background dei dipendenti è utile per prevenire questo problema, soprattutto nel caso di collaboratori destinati ad occupare posizioni sensibili. È inoltre possibile limitare l’accesso ai dati aziendali. Infine, strumenti interni di whistleblowing dovrebbero essere attivati per consentire la segnalazione anonima di comportamenti sospetti.

Occorre prestare sufficiente attenzione anche alla cosiddetta sicurezza mobile: la verifica delle e-mail tramite cellulare, il controllo dei livelli delle scorte dal proprio tablet, l’inoltro della scansione di un carico tramite WLAN, ecc. mettono infatti in moto flussi di dati rilevanti. Tra le misure di prevenzione e protezione da adottare vi è sicuramente l’adozione di programmi di sicurezza per i dispositivi digitali mobili o ancora l’astensione dall’utilizzo di hotspot.

Anche la protezione dei dati nella supply chain è importante: lo standard minimo dovrebbe includere la crittografia di tutti i dati e delle e-mail. Si sta inoltre diffondendo lo standard di identificazione di tutti gli utenti dei dispositivi tramite caratteristiche biometriche, come le impronte digitali o la voce. Un’altra precauzione di sicurezza interna è, ad esempio, il monitoraggio regolare delle penetrazioni del firewall dall’esterno. A ciò si aggiunge la simulazione di scenari di attacco concreti e la progettazione di contromisure adeguate.

I produttori devono assumersi responsabilità

Una valutazione continua dei rischi deve essere effettuata anche con i partner esterni della catena di approvvigionamento. È necessario proteggere l’intera supply chain e i singoli fornitori, i gestori di servizi e tutti i partner di comunicazione e, idealmente, poter verificare in qualsiasi momento chi è attivo nella rete della catena di fornitura, cosa sta facendo e se l’azione è stata autorizzata.

È inoltre importante responsabilizzare i produttori di dispositivi e componenti digitali: dovrebbero documentare tutti gli account predefiniti o standard, le password, i certificati e le chiavi integrati nel prodotto e renderli accessibili. Sarebbe inoltre auspicabile che il cliente fosse in grado di effettuare il cosiddetto “reverse engineering” per verificare l’integrità e la sicurezza dell’hardware e del software di un prodotto senza violare automaticamente i diritti di proprietà intellettuale.

Protezione contro i rischi cibernetici: anche a livello nazionale

La sicurezza cibernetica assume sempre più un ruolo di prim’ordine, anche sul piano nazionale: lo conferma il recente annuncio da parte del Consiglio federale di voler trasformare il Centro nazionale per cibersicurezza (NCSC) in un ufficio federale, incaricando a tale scopo il Dipartimento federale delle finanze (DFF) di elaborare proposte relative alla sua struttura e al suo posizionamento all’interno di un dipartimento entro la fine del 2022.

Questa misura altro non fa che sottolineare ulteriormente la necessità di garantire la sicurezza della catena di approvvigionamento: infatti, la sicurezza cibernetica non deve più essere percepita come un compito isolato, bensì come un processo permanente all’interno della filiera.

Origine non preferenziale: i criteri

Per fare chiarezza, anche alla luce delle numerose richieste, il Servizio Legalizzazioni ha creato una scheda informativa sull’origine non preferenziale, con particolare riferimento ai criteri di origine. Nel documento vengono illustrate nel dettaglio le particolarità di ogni singolo criterio e il loro utilizzo.

SCARICA LA SCHEDA INFORMATIVA

Regno Unito: introdotta la plastic packaging tax

Dal 1° aprile 2022 nel Regno Unito vige una nuova tassa sugli imballaggi in plastica: essa è a carico delle aziende che producono o importano, nell’arco di 12 mesi, più di 10 tonnellate di imballaggi che contengono meno del 30% di plastica riciclata.

Per incentivare l’economia circolare e l’utilizzo di plastica riciclata nel settore del packaging, il 1° aprile scorso il governo inglese ha introdotto la plastic packaging tax (PPT), una tassa sugli imballaggi in plastica. La tassa consiste in un’aliquota di 200 sterline per tonnellata ed è applicata a chi produce o importa nel Regno Unito imballaggi in plastica che contengono meno del 30% di materiale plastico riciclato per un volume di oltre 10 tonnellate nell’arco di 12 mesi (calcolate dal momento della prima produzione o importazione dell’imballaggio).

I seguenti imballaggi sono esenti dalla tassa, indipendentemente dalla quantità di plastica riciclata in essi contenuta:

  • imballaggi in plastica fabbricati o importati per essere utilizzati nel confezionamento primario di un medicinale
  • imballaggi per il trasporto utilizzati su merci importate
  • imballaggi utilizzati come provviste per aerei, navi e ferrovie
  • componenti che hanno uno scopo ed utilizzo permanentemente diverso da quello di imballaggio.

Assoggettamento, registrazione, tassazione

Nella pratica, bisogna dapprima appurare se gli imballaggi prodotti o importati sottostanno effettivamente alla PPT ed effettuare in seguito una verifica dei quantitativi (produzione o importazione superiore a 10 tonnellate all’anno di imballaggi in plastica). Se questi sono superati o si prevede di superarli nei successivi 30 giorni, è necessario registrarsi per la PPT. Solo i produttori o importatori di imballaggi che contengono meno del 30% di plastica riciclata sottostanno tuttavia al pagamento dell’imposta. L’accertamento dell’imposta dovuta è effettuato in base a dichiarazioni trimestrali.

Sul suo sito web, il governo britannico fornisce indicazioni utili sui requisiti per l’applicazione della PPT, come ad es. quali imballaggi sottostanno alla PPT, la necessità effettiva di registrarsi, come calcolare il peso dell’imballaggio, quali documenti presentare, ecc: Plastic Packaging Tax – GOV.UK (www.gov.uk)

Per aiutare produttori e importatori a comprendere se i loro imballaggi sottostanno alla PPT e se essi devono effettuare o meno la registrazione alla tassa sulla plastica, l’erario britannico ha preparato due brevi guide in pdf sugli step da seguire:

In che misura la PPT tocca le aziende esportatrici svizzere?
La PPT è rivolta sia ai produttori inglesi sia agli importatori. L’azienda esportatrice svizzera è a rischio assoggettamento alla tassa dal momento in cui agisce in qualità di importatore, ad es. con la stipula di una clausola Incoterms DDP.

Vietnam: vivo interesse da parte delle aziende ticinesi

Lo scorso 21 giugno 2022, in concomitanza con la prima visita ufficiale nella città di Lugano dell’Ambasciatore del Vietnam in Svizzera Phung The Long e su iniziativa del Gruppo Fidinam, della stessa Città di Lugano e della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti), si è tenuto un evento volto a presentare alle PMI ticinesi i vantaggi e le opportunità che il “Paese dei draghi” offre agli investitori stranieri.

Dopo i saluti iniziali da parte degli organizzatori e un breve intervento dell’Ambasciatore Phung The Long, si è entrati nel vivo dell’evento con l’intervento di Phuong Thao Bui, Managing Director di Fidinam (Vietnam) Ltd, che ha innanzitutto illustrato come la sua posizione strategica nel cuore del sud-est asiatico, la scena politica stabile, l’ampia forza lavoro dai costi competitivi e l’apertura agli investimenti diretti (IDE) rendano il Vietnam una promettente destinazione in cui investire o avviare un’attività. Esperta di diritto fiscale e societario, l’avvocatessa Bui ha in seguito presentato gli incentivi offerti agli investitori esteri, i settori di interesse, il funzionamento del sistema di tassazione, il processo di costituzione di un’azienda e i costi del lavoro.

A testimoniare l’interesse nei confronti del “Paese dei draghi” la presenza in sala di una trentina di imprenditori e dirigenti d’impresa ticinesi.

La Nazione sta infatti emergendo quale valida alternativa per lo spostamento delle catene di approvvigionamento globale anche grazie alla sua ampia rete di accordi di libero scambio (ALS), tra cui accordi di nuova generazione quali l’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (CPTPP), l’ALS con l’Unione europea, l’ALS con il Regno Unito e, più di recente, l’Accordo di partenariato economico globale regionale (RCEP): tutti accordi, questi, che aprono a chi è presente in Vietnam l’accesso a importanti mercati di sbocco e di approvvigionamento. La Svizzera sta attualmente negoziando un ALS con il Vietnam nel quadro dell’Associazione europea di libero scambio (AELS).

Gli imprenditori interessati ad approfondire l’argomento posso trovare maggiori informazioni su come avviare una presenza in Vietnam sul sito web di Fidinam Group, a questa pagina, dove è anche possibile scaricare la relativa Business Guide.

L’esito dei primi controlli eseguiti mette in evidenza un sostanziale rispetto della legge sul salario minimo

L’Ufficio dell’ispettorato del lavoro ha svolto accertamenti in oltre 1’600 aziende attive in tutti i settori dell’economia ticinese. Solo in rari casi (3%) è stata riscontrata un’infrazione.

Dall’entrata in vigore della legge sul salario minimo (LSM) ad inizio 2021, i servizi della Divisione dell’economia hanno svolto un intenso e capillare lavoro di formazione e informazione in collaborazione con la Camera di commercio e le principali associazioni di categoria con lo scopo di facilitare le aziende nell’applicazione della nuova legge.

In vista dell’applicazione concreta del salario minimo a partire da dicembre 2021, nel corso dell’autunno dello scorso anno la Commissione tripartita in materia di libera circolazione delle persone (CT) ha quindi elaborato e approvato una nuova strategia di controllo del mercato del lavoro con lo scopo di verificare il rispetto della LSM e nel contempo constatare l’eventuale presenza di dumping salariale settoriale e accertare il rispetto dei Contratti normali di lavoro (CNL).

I controlli vengono svolti a campione in tutti i settori economici. In alcuni comparti, ritenuti più sensibili o che presentavano un numero statisticamente elevato di salari bassi, la quota di datori di lavoro verificati è più importante. Un ruolo fondamentale nella strategia di controllo è giocato anche dalle segnalazioni, alle quali viene puntualmente dato seguito. Il mancato rispetto della LSM è perlopiù da ricondurre a errori di calcolo. La quasi totalità dei datori di lavoro ha reintegrato la differenza dovuta.

Solo in 7 casi la sanzione supera i 2’000 franchi (la multa è calcolata in base alla differenza tra il salario dovuto secondo la LSM e il salario effettivamente versato). Sulle circa 50 infrazioni riscontrate, più di 30 riguardano datori di lavoro oggetto di segnalazioni puntuali.

È possibile segnalare una presunta violazione della LSM alla pagina internet: www.ti.ch/abusi-salariali.

Energia e Demagogia

Una società, molte fonti di approvvigionamento

Costi più alti e difficoltà nell’approvvigionamento. L’allarme lanciato qualche settimana fa da ElCom, la Commissione federale dell’energia elettrica, non lascia spazio a dubbi. La guerra russo-ucraina ha destabilizzato ulteriormente il mercato dell’energia, spingendo al rialzo il prezzo mondiale del petrolio e del gas. Un clima di pesante incertezza ha smorzato l’ottimismo nella tanto sperata ripresa economica nell’Europa del dopo pandemia.

Nel giro di pochi mesi si è passati dai proclami solenni contro i combustibili fossili alla corsa per il loro accaparramento, alimentandone l’escalation dei costi.

Per sostituire le forniture russe di gas e petrolio ci si deve rivolgere ad altri Stati retti, purtroppo, da governi instabili o da autocrati che non danno grandi garanzie di affidabilità sul medio e lungo termine. Una ricerca volutamente miope di nuove pericolose dipendenze, le cui possibili conseguenze si potranno valutare nella loro interezza solo in futuro.

Nonostante l’inevitabile “fame planetaria” di combustibili fossili, e l’emergenza che ne deriva, non sembra concedere tregua la “verde” corsa simultanea. Nel pieno della tempesta energetica l’Europarlamento ha deciso di porre fine alla vendita di auto a benzina e diesel nel 2035. I Verdi svizzeri, per non essere da meno, hanno annunciato un’iniziativa per mettere al bando i motori termici addirittura nel 2025. Un iper-attivismo ecologista che potrebbe avere effetti devastanti per l’economia e la società.

Eppure, l’attuale crisi energetica globale mostra chiaramente che il problema della transizione green, condiviso e condivisibile sul principio, dovrebbe venire affrontato con molto più pragmatismo.

Una scelta avventata

La decisione dell’Europarlamento deve ancora passare all’esame del Consiglio europeo e al vaglio degli Stati membri, e vogliamo pensare prevalga il buon senso. I costi di una scelta avventata si scaricheranno inevitabilmente sui ceti medi, sulle fasce a basso reddito e sulle imprese.

Persone e imprese che hanno adottato ormai da tempo, per quanto nelle proprie possibilità, priorità di sostenibilità non di poco conto. L’accusa d’indifferenza, spesso, non ascolta il grido d’emergenza.

Tra industria dell’automobile e indotto, ci sono in gioco, in tutta Europa, Svizzera compresa, centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ma non solo. Oggi il 70% delle batterie necessarie alle auto elettriche arrivano dall’Asia. Da sola la Cina copre il 45% del mercato, mentre nel Vecchio Continente la produzione di questi accumulatori sta muovendo ora i primi passi, vista anche la forte dipendenza dall’estero per le relative materie necessarie. Pertanto, ancora per molto tempo non ci sarà una sufficiente autonomia strategica.

La rincorsa ossessiva all’elettrificazione automobilistica sembra non riconoscere il fatto che non è possibile sostituire dall’oggi al domani i combustibili fossili. Che anche accelerando all’inverosimile con le fonti rinnovabili, queste da sole non saranno in grado di produrre una quantità tale di elettricità in grado di muovere i trasporti, pubblici e privati, e di riscaldare tutti gli edifici, di fare fronte alle crescenti e, spesso legittime, richieste della nostra società. Inoltre, per lo stoccaggio di questa energia servirà un mastodontico, e costosissimo, piano di infrastrutture che non si può realizzare nel giro di pochi anni.

Realismo e fattibilità

Uno sguardo attento e lungimirante deve indirizzarsi verso le fonti rinnovabili e il loro sviluppo. Questo è innegabile e non a caso, stiamo spingendo intensamente e unitamente al Dipartimento cantonale del territorio, la diffusione di impianti fotovoltaici per le imprese che dispongono di grandi superfici su tetti e facciate.

Infatti, il mondo delle imprese per primo è convinto della necessità della tutela dell’ambiente. Non per nulla l’industria svizzera già nel 2020 ha ridotto le sue emissioni del 15%, rispetto al 1990, raggiungendo gli obiettivi climatici stabiliti. Negli altri settori si sono progressivamente implementate con successo misure per migliorare l’efficienza energetica e ridurre l’impatto delle attività produttive. C’è la consapevolezza che la crescita futura non può dipendere così fortemente dai combustibili fossili, che è necessario puntare su vettori alternativi.

Il passaggio all’energia verde non può però prescindere da un’analisi oggettiva e da un confronto serio, senza distorsioni ideologiche, su fattibilità, costi, efficienza, tempi ed effetti economico-sociali di una transizione che è molto più problematica di quanto non lasci intendere.

Diversificazione e complementarità

Il febbraio scorso uno studio del Laboratorio federale EMPA e dell’EPFL, il Politecnico federale di Losanna, ha dimostrato che è irrealistico pensare di coprire il fabbisogno energetico della Svizzera ricorrendo alle sole fonti rinnovabili. Smentendo, di fatto, anche la strategia del Consiglio federale che vorrebbe raggiungere per questa via la neutralità climatica entro la metà secolo.

Lo studio ha preso in considerazione tre scenari basati sul fotovoltaico (perché meno discontinuo dell’eolico) e sull’ipotesi della sostituzione del nucleare con la chiusura delle 4 centrali nucleari attualmente in funzione entro il 2050: totale elettrificazione del sistema energetico, dalla mobilità al riscaldamento degli edifici, uso dell’idrogeno e carburanti sintetici.

In tutte le tre varianti sarebbero necessarie una spropositata superficie solare pro capite, da 3 sino a 12 volte l’estensione dei tetti disponibili in Svizzera, e adeguate batterie di accumulo giorno-notte che, a dipendenza dello scenario, vanno da 26 kWh sino a 109 kWh a persona.

Nella variante dell’elettrificazione totale servirebbero per lo stoccaggio, estate-inverno, delle grandi centrali di pompaggio, l’equivalente cioè di tredici bacini dalle dimensioni della Grande Dixence nel Vallese, che con i suoi 285 metri è la diga più alta d’Europa. Non disponiamo di valli capaci di ospitare simili infrastrutture.

Per immagazzinare l’idrogeno si dovrebbero invece impiegare caverne pari a 25 volte il tunnel di base del San Gottardo.

Infine, per rifornire tutto il Paese con i carburanti sintetici da elettricità verde (che andrebbero comunque generosamente sussidiati perché costerebbero molto di più di quelli a combustione), il 4,5% della Svizzera dovrebbe essere ricoperto di cellule solari. Supportate con batterie di accumulo da 109 kWh pro capite. I costi energetici annui triplicherebbero: dagli attuali 3’000 a 9’600 franchi a persona.

In definitiva lo studio EMPA-EPFL è la dimostrazione scientifica che una strategia energetica vincente deve basarsi sulla diversificazione e la complementarità delle diverse fonti, nucleare compreso, solo così si riusciranno a raggiungere un buon livello di autonomia energetica, di sicurezza nell’approvvigionamento e un prezzo sostenibile.

E senza dimenticare che in futuro non si potrà fare a meno di una logistica energetica globale, per sfruttare le enormi potenzialità del fotovoltaico laddove la radiazione solare è così elevata da ridurre drasticamente i costi di produzione sia per l’idrogeno che per i combustibili sintetici.

Stando ai calcoli di ElCom, nel 2023 le aziende con un consumo annuo di 150mila chilowattora pagheranno 6’000 franchi in più (IVA esclusa); per una famiglia con un consumo medio di 4’500 chilowattora l’aumento sarà di circa 180 franchi all’anno. Secondo altri analisti, i rincari potrebbero essere molto più consistenti. Nuovi costi e sacrifici per famiglie e imprese.

Che sarà un “inverno da brivido”, sia per gli aumenti delle tariffe sia per la paura di non avere sufficiente energia per tutti, lo ha confermato la recente assemblea dell’Azienda elettrica ticinese. In Svizzera le riserve idriche, a causa della siccità, sono ai minimi storici, con volumi del 30% inferiori rispetto alla media pluriennale. L’Europa si ritrova invece ai livelli minimi con le riserve di gas. Insomma, per il nostro Paese che da 20 anni importa energia durante l’inverno, potrebbe diventare anche problematico un apporto dall’estero. Con le forniture russe che si ridurranno progressivamente e una costante crescita del fabbisogno energetico, gli Stati vicini non potranno garantire la condivisione delle risorse.

Come ha ricordato Giovanni Leonardi, Presidente di AET, abbiamo a che fare con un sistema elettrico che ha più di un secolo, ma dovremmo trasformarlo radicalmente nel giro di appena 25 anni per raggiungere la neutralità climatica nel 2050. Più che una transizione ecologica, che implica un processo graduale, ben ponderato e con esiti equi per tutti, si sta imponendo un cambio di paradigma troppo veloce e radicale per non creare pericolosi scompensi.

Purtroppo, la classe politica non pare ponderare con la necessaria cautela le conseguenze che la crisi energetica e i forti rincari avranno certamente per le famiglie e le imprese in termini di costi vivi e d’incertezza. Un “domino” di grande malessere.

È ormai più che un fondato timore, che gli effetti più gravi della guerra in Ucraina si debbano ancora manifestare nella loro complessità, che si stia sottovalutando, come è stato per l’inflazione, l’impatto di un conflitto che sta già ripensando i precedenti assetti geopolitici.

Con pesanti ripercussioni sui sistemi economici dei Paesi europei, che erano già in difficoltà per l’aumento delle materie prime e le strozzature nelle catene internazionali degli approvvigionamenti.

Un confronto deve essere serio

Non possiamo permetterci di escludere a priori una fonte d’energia che ha comunque un ruolo importante, cioè il nucleare.

Sarebbe oltremodo rischioso spegnere le nostre centrali nucleari entro il 2035, come si vorrebbe da più parti. Anche investendo massicciamente nelle energie rinnovabili non si riuscirebbe a compensare un ammanco di 22 miliardi di chilowattora di elettricità all’anno. Senza dimenticare l’opzione futura del nucleare di nuova generazione.

Una fonte complementare costante e affidabile, che è stata riconosciuta nella tassonomia verde dalla Commissione europea come una tecnologia pulita per la fase di transizione ecologica.

Svizzera e Germania sono stati gli unici Paesi a rinunciare al nucleare a cui invece si ricorre intensamente in molti altri Stati che stanno anche potenziando i loro impianti. Attualmente in tutto il mondo sono in attività 441 centrali nucleari, altre 171 sono in fase di costruzione o di progettazione, di cui una quarantina in Cina, 17 in Russia e 20 in India. Negli Usa, oltre a prolungare di una ventina d’anni l’esercizio degli attuali reattori, si sta investendo nel nucleare di quarta generazione. In Francia, che conta già 56 centrali nucleari, ne verranno realizzate altre 14, puntando soprattutto sugli “small modular reactors”, i mini reattori atomici più sicuri, meno costosi e realizzabili in tempi brevi.

Oltre che in Gran Bretagna e in Finlandia, persino nel Giappone di Fukushima si costruiscono nuove centrali, mentre da noi, proprio a seguito di quell’incidente vige il divieto di realizzarne di nuove. Ma distanza di 11 anni da quella tragedia, e tenuto conto dei grandi progressi tecnologici registrati nel frattempo in questo settore, sarebbe ragionevole rivedere la discussione sui rischi reali e sulle opportunità che offre oggi il nucleare. Come vettore complementare per un’energia pulita, sicura, potenzialmente inesauribile e a prezzo sostenibile. Per conciliare la difficoltà energetica del pianeta e la sostenibilità, sono del resto allo studio alternative sostenibili per lo sfruttamento veicolato delle “vecchie” fonti energetiche. In Svizzera una start-up sta sviluppando un nuovo tipo di reattore nucleare che utilizza il torio invece dell’uranio.

Un successo della linea “verde” e sostenibile per tutti deve ancora continuare a essere complementare.