A partire dal 1º ottobre 2022 le polizze di versamento rosse e arancioni (PV/PVR) saranno solo un ricordo. Ecco un’informativa sulla QR-fattura e su cosa comporta questo passaggio per emittenti e destinatari di fatture.
La nuova QR-fattura è stata introdotta a livello nazionale già a giugno 2020 e, da allora, può essere utilizzata parallelamente alle polizze di versamento classiche. Questo periodo transitorio terminerà il 30 settembre 2022. In seguito, sarà possibile pagare solo con la QR-fattura.
Come emittenti di fattura, avete già adottato tutte le misure necessarie per il passaggio? Sapete a cosa dovreste fare attenzione in qualità di destinatari della fattura?
Ecco le informazioni più importanti relative alla QR-fattura e al passaggio a questa soluzione.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-08-12 12:50:002022-08-18 12:51:27QR-fattura: cosa sapere e come procedere
Il 1° gennaio 2023 entrerà in vigore in Germania la legge sulla due diligence dei fornitori. Essa si applicherà inizialmente alle società con almeno 3’000 dipendenti (incluse le filiali di aziende estere) per poi estendersi alle aziende con 1’000 dipendenti a partire da gennaio 2024. La nuova legge sarà di fatto rilevante anche per le PMI fornitrici di tali imprese.
La legge tedesca sulla dovuta diligenza aziendale nelle catene di approvvigionamento (Lieferkettensorgfaltspflichtengesetz, LkSG), che entrerà in vigore il 1° gennaio 2023, è intesa a incoraggiare le aziende tedesche a monitorare il rispetto dei diritti umani e la protezione dell’ambiente lungo le loro catene di fornitura e, nello specifico, a combattere il lavoro minorile, il lavoro forzato, la discriminazione nonché gli standard di sicurezza e ambientali inadeguati da parte dei loro partner contrattuali e di altri fornitori, obbligando le aziende tedesche ad attuare un sistema di gestione del rischio, a nominare un responsabile dello stesso e ad effettuare analisi regolari (annuali). La legge stabilisce anche l’adozione da parte loro di misure preventive e correttive (ivi compresa la cessazione della relazione commerciale con il proprio fornitore), l’introduzione di procedure di reclamo, la documentazione del rispetto degli obblighi di diligenza (da conservare per sette anni) e la redazione e pubblicazione sul proprio sito web di un rapporto annuale sull’adempimento degli obblighi di diligenza.
Con l’adozione della LkSG, la Germania segue l’esempio di altre legislazioni europee come la “Loi de vigilance” francese (legge in materia di vigilanza, 2017) o la “Wet Zorgplicht Kinderarbeid” olandese (legge sul dovere di diligenza in materia di lavoro minorile, 2019), adeguandosi altresì allo standard riconosciuto a livello internazionale sulla responsabilità delle imprese per il rispetto dei diritti umani, ovvero i Principi guida delle Nazioni Unite, richiamati anche dall’OCSE nelle sue linee guida per imprese multinazionali e nella guida sul dovere di diligenza per la condotta d’impresa responsabile.
La legge si applicherà inizialmente alle aziende con almeno 3’000 dipendenti e la cui sede principale, il luogo principale di attività, la sede amministrativa o la sede legale sia in Germania, applicandosi così de facto anche alle aziende estere che hanno una filiale nel Paese. A partire dal 1° gennaio 2024, i nuovi obblighi saranno estesi alle aziende con 1’000 dipendenti. Le imprese che non rispetteranno gli obblighi legali potranno vedersi comminare delle multe fino a 8 milioni di euro (o fino al 2% del fatturato globale annuo per le imprese con un fatturato superiore a 400 milioni di euro). Nel caso di multe superiori a 175’000 euro, le aziende potranno vedersi precludere la partecipazione agli appalti pubblici per un periodo di tre anni.
Il termine “catena di approvvigionamento” è definito in modo ampio nella LkSG e si riferisce a “tutti i prodotti e servizi di un’azienda e comprende tutte le fasi, in patria e all’estero, necessarie alla fabbricazione dei prodotti o alla fornitura dei servizi, a partire dall’estrazione delle materie prime fino alla consegna al cliente finale”, ovvero a tutte le azioni dell’azienda nel proprio settore d’attività, alle attività di un fornitore diretto e alle azioni di un fornitore indiretto. All’entrata in vigore della legge, l’azienda tedesca dovrà pertanto prendere in considerazione anche i metodi di produzione dei suoi fornitori diretti e in caso di violazione – verificata o ritenuta imminente – dei diritti umani e/o degli standard ambientali, intraprendere azioni correttive volte a mitigare, interrompere o prevenire tale violazione, compresa quindi, se necessario, la cessazione del rapporto di collaborazione con il proprio fornitore. Nel caso di indicazioni concrete della possibile violazione di un obbligo in materia di diritti umani o ambientali da parte di fornitori indiretti, l’azienda dovrà intervenire anche in questo ambito.
In base a quanto appena esposto, anche le aziende svizzere che forniscono, direttamente o indirettamente, imprese tedesche toccate dalla nuova legge potrebbero vedersi richiedere informazioni riguardanti i processi di produzione e fabbricazione e il rispetto di requisiti in materia di responsabilità sociale d’impresa (CSR/RSI).
Per sostenere le imprese svizzere nel rispetto delle norme e degli standard internazionali sulla gestione aziendale responsabile, il 9 dicembre 2016 il Consiglio federale ha adottato un Piano d’azione nazionale (PAN) che attua i Principi guida delle Nazioni Unite. Il PAN è stato riveduto nel 2020 e copre gli anni 2020-2023. Nel suo ambito sono previste attività di sensibilizzazione delle aziende affinché applichino procedure di diligenza in materia di diritti umani nonché supporto/formazione mirati nell’implementazione concreta della loro responsabilità d’impresa.
Dal 1° gennaio 2022 sono entrate in vigore le disposizioni per una migliore tutela dell’essere umano e dell’ambiente. I nuovi obblighi di diligenza, inseriti nel Codice delle obbligazioni (CO) saranno applicati per la prima volta nell’esercizio 2023 e contengono due importanti novità: da un lato, le grandi imprese svizzere sono tenute per legge, in un’ottica di trasparenza, a presentare un rapporto non solo sui rischi della loro attività rispetto all’ambiente, agli aspetti sociali, alle condizioni dei lavoratori, ai diritti umani e alla lotta contro la corruzione, ma anche sulle misure adottate per contrastare tali rischi; dall’altro, le imprese che presentano rischi connessi ai minerali originari di zone di conflitto oppure al lavoro minorile devono rispettare obblighi di diligenza e di riferire specifici e di ampia portata. Il Consiglio federale ha disciplinato i dettagli di tali obblighi in una pertinente ordinanza. Quali sono le aziende interessate (direttamente o indirettamente!) dalla nuova normativa? Quali sono le possibili sanzioni? Sul suo sito web focusright ltd, agenzia di consulenza con la quale il Consiglio federale sta attualmente collaborando per mettere a punto forme di sostegno e di formazione sul tema per le aziende svizzere, illustra le nuove disposizioni in dettaglio.
Cc-Ti: CSR e due diligence in materia di diritti umani
La responsabilità sociale d’impresa è un tema di grande attualità, che si traduce anche in un fattore di competitività per le imprese. La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, incoraggia attivamente la CSR con diverse attività: tra queste si distinguono in particolare la promozione e il potenziamento dell’apprendistato grazie alla collaborazione con fill-up, la prima realtà a offrire un servizio di sostegno e accompagnamento alle aziende formatrici, nonché lo sviluppo, col supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), di un modello online di rapporto di sostenibilità disponibile sul portale ti-csrreport.ch.
Nel contesto delle sue attività in ambito di CSR, e per sensibilizzare ulteriormente le PMI della svizzera italiana sul tema della dovuta diligenza in materia di diritti umani, il 6 settembre prossimo la Cc-Ti organizza un webinar gratuito con focusright ltd e con la collaborazione di Global Compact Network Switzerland & Liechtenstein (GCNSL), della SECO e del DFAE.
Webinar del 6 settembre 2022 “Due diligence (Dovuta diligenza) in materia di diritti umani – requisiti crescenti e nuovi obblighi per le aziende”: informazioni e iscrizione
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/08/ART22-Germania-due-diligence.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-08-11 08:00:002022-08-16 08:12:43Due diligence dei fornitori: è d’obbligo in Germania
Nel quadro del sistema di preferenze generalizzate (SPG/GSP) a favore dei Paesi in via di sviluppo, la Svizzera applica preferenze doganali all’importazione di merci originarie di questi Paesi se queste sono provviste di prove dell’origine valide: il certificato d’origine modulo A, la dichiarazione su fattura o, nell’ambito del sistema degli Esportatori Registrati (REX), la dichiarazione d’origine. Il sistema REX si fonda sul principio dell’autocertificazione dell’azienda esportatrice che, per poter stilare la dichiarazione d’origine, deve richiedere all’autorità competente del suo Paese di essere registrata in un’apposita banca dati. Così facendo, l’azienda diventa un Esportatore Registrato. Vediamo il sistema più nel dettaglio.
Paesi partecipanti
Il sistema REX è entrato in vigore nel 2017 nel quadro del sistema di preferenze generalizzate (SPG/GSP). Non ha impatto sulle regole per la determinazione dell’origine delle merci, ma riguarda i metodi di attestazione dell’origine: infatti, sostituisce progressivamente il sistema di certificazione dell’origine basato sui certificati di origine emessi dalle autorità doganali/governative e sulle dichiarazioni su fattura emesse a determinate condizioni dalle stesse aziende esportatrici. Non tutti i Paesi in via di sviluppo partecipano al sistema REX. Quelli che hanno aderito sono elencati qui. In questo elenco è desumibile anche se un determinato Paese può ancora rilasciare certificati d’origine modulo A o dichiarazioni su fattura oppure a partire da che data di allestimento questi ultimi non possono più essere accettati e devono obbligatoriamente essere emesse delle dichiarazioni d’origine (in inglese: Statement on Origin, SoO). Fino ad ulteriore avviso, per i Paesi in sviluppo non menzionati nell’elenco vengono accettati sia i certificati d’origine modulo A (anche chiamato: Form A) sia la dichiarazione su fattura.
Registrazione ed emissione della dichiarazione d’origine
In linea di massima, ogni esportatore dei Paesi partecipanti al REX può allestire una dichiarazione d’origine. Tuttavia, se un invio destinato alla Svizzera contiene merce originaria di valore superiore a CHF 10’300 (EUR 6’000) (prezzo franco fabbrica), l’esportatore deve essere registrato presso l’autorità competente del suo Paese come Esportatore Registrato (in inglese: Registered Exporter, REX) e il suo numero di registrazione deve essere indicato nella dichiarazione d’origine. La validità del numero di registrazione dell’esportatore registrato (REX) può essere verificata sul sito Internet dell’UE REX number validation (europa.eu). Per i prodotti originari con un valore inferiore a CHF 10’300 rimane invece obbligatoria la dichiarazione su fattura (firmata); per contro l’indicazione del numero di registrazione sarà facoltativa.
Indipendentemente dal valore della merce, per i riesportatori svizzeri che intendono frazionare in Svizzera, sotto vigilanza doganale, gli invii da Paesi in via di sviluppo accompagnati da prove dell’origine valide oppure che vogliono rispedire simili invii nell’Unione europea (UE), in Norvegia o nel Regno Unito quali invii completi vige l’obbligo di registrarsi come REX e di emettere delle dichiarazioni d’origine sostitutive. La richiesta di registrazione come REX è da sottoporre tramite il relativo modulo al Circondario doganale competente (per il Ticino: Dogana Sud, Lugano, tel. +41 58 469 98 11, dogana.sud@bazg.admin.ch). Quest’ultimo rilascia un numero REX, che deve obbligatoriamente essere inserito nelle dichiarazioni d’origine.
Nel caso di un’esportazione dalla Svizzera verso un Paese in via di sviluppo, l’allestimento di una dichiarazione d’origine è previsto solo se la merce deve essere ulteriormente lavorata in tale Paese per poi essere riesportata in Svizzera o esportata nell’UE, in Norvegia o nel Regno Unito (quota parte del Paese concedente/donatore). Gli esportatori svizzeri che inviano materiali in un Paese in via di sviluppo per ulteriore lavorazione, e intendono allestire una dichiarazione d’origine, devono essere registrati unicamente se l’invio contiene merce di origine svizzera per un valore superiore a CHF 10’300 franchi. Per gli invii di merce con valore inferiore a CHF 10’300 è possibile emettere una dichiarazione d’origine senza essere registrati quali REX. È irrilevante che l’esportatore sia o meno un esportatore autorizzato. I giustificativi relativi all’origine dei prodotti devono essere conservati per tre anni. Il rilascio di certificati di circolazione delle merci EUR.1 non è più previsto.
Per quanto riguarda il Regno Unito, sulla base dell’accordo commerciale CH-UK, quest’ultimo accetta le dichiarazioni d’origine sostitutive nel quadro del sistema REX. In cambio, la Svizzera accetta le dichiarazioni d’origine sostitutive rilasciate nel Regno Unito con il numero EORI britannico invece del numero REX.
L’exportateur … a) (Numéro d’exportateur enregistré …) des produits couverts par le présent document déclare que, sauf indication claire du contraire, ces produits ont l’origine préférentielle …b) au sens des règles d’origine du Système des préférences tarifaires généralisées de la Suisse et que le critère d’origine satisfait est …c).
Versione inglese:
The exporter …d) (Number of Registered Exporter …) of the products covered by this document declares that, except where otherwise clearly indicated, these products are of …e) preferential origin according to the rules of origin of the Generalised System of Preferences of Switzerland and that the origin criterion met is …f)
dove: a) invece di indicare il nome e l’indirizzo completo, è possibile inserire un rimando a tali dati in un altro punto del documento commerciale; b) deve essere indicata l’origine della merce, vale a dire l’origine svizzera o quella del Paese beneficiario; c) in caso di prodotti interamente ottenuti o fabbricati, inserire la lettera «P»; in caso di prodotti lavorati o trasformati sufficientemente, inserire la lettera «W» seguita da una posizione del Sistema armonizzato (p. es.: «W 9618»).Se del caso, l’indicazione di cui sopra deve essere sostituita con una delle menzioni seguenti: a) in caso di cumulo bilaterale, «Switzerland cumulation» oppure «Cumul Suisse»; b) in caso di cumulo con l’UE, la Norvegia o la Turchia, rispettivamente «Cumul UE», «EU Cumulation», «Cumul Norvège», «Norway cumulation», «Cumul Turquie» oppure «Turkey cumulation»; c) in caso di cumulo regionale, «Cumul régional» oppure «Regional cumulation»; d) invece di indicare il nome e l’indirizzo completo, è possibile inserire un rimando a tali dati in un altro punto del documento commerciale; e) deve essere indicata l’origine della merce, vale a dire l’origine svizzera o quella del Paese beneficiario; f) in caso di prodotti interamente ottenuti o fabbricati, inserire la lettera «P»; in caso di prodotti lavorati o trasformati sufficientemente, inserire la lettera «W» seguita da una posizione del Sistema armonizzato (p. es.: «W 9618»).Se del caso, l’indicazione di cui sopra deve essere sostituita con una delle menzioni seguenti: a) in caso di cumulo bilaterale: «Switzerland cumulation» oppure «Cumul Suisse»; b) in caso di cumulo con l’UE, la Norvegia o la Turchia: «Cumul UE», «EU cumulation», «Cumul Norvège», «Norway cumulation», «Cumul Turquie», «Turkey cumulation»; c) in caso di cumulo regionale; «Cumul régional» oppure «Regional cumulation».
Si segnala invece che, per essere ritenuta valida, la dichiarazione d’origine sostitutiva fornita dall’esportatore britannico deve avere il seguente tenore:
The exporter of the products covered by this document (customs identification No…. g)) declares that, except where otherwise clearly indicated, these products are of …. h) preferential origin in accordance with the rules of origin of the Generalised Scheme of Preferences of the UK and that the origin criterion met is … … i).
(Place and date j))
(Name and signature of the exporter)
dove: g) i riesportatori del Regno Unito che riesportano merci in Svizzera devono indicare il loro numero EORI; h) deve essere indicata l’origine della merce; i) in caso di prodotti interamente ottenuti o fabbricati, inserire la lettera «P»; in caso di prodotti lavorati o trasformati sufficientemente, inserire la lettera «W» seguita da una posizione del Sistema armonizzato (p. es.: «W 9618»); j) questo può essere omesso se incluso nel documento stesso.
Validità e ulteriori ragguagli
La dichiarazione d’origine
deve essere indicata su un documento commerciale, unitamente al nome e all’indirizzo completo dell’esportatore nonché alla descrizione della merce e alla data d’emissione;
non deve essere firmata dall’esportatore né controfirmata da un’autorità (il sistema REX è basato sul principio dell’autocertificazione);
è valida per 12 mesi dal giorno del suo allestimento;
può essere rilasciata anche dopo l’esportazione della merce.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/05/ART22-REX.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-08-04 08:00:002022-08-03 09:41:41Il sistema degli Esportatori Registrati (REX)
Le direttive RoHS II e RAEE della Commissione europea limitano l’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche per proteggere la salute dei consumatori e l’ambiente e promuovono il recupero e lo smaltimento ecocompatibile dei rifiuti di tali apparecchiature. Le aziende estere che operano nell’UE sono tenute a rispettarle.
Nello specifico, la direttiva RoHS II (dall’inglese Restriction of Hazardous Substances Directive, 2011/65/UE) interviene nelle fasi di progettazione e produzione di vari tipi di apparecchiature elettriche ed elettroniche limitando l’uso di determinate sostanze pericolose quali il piombo, il mercurio, il cadmio, il cromo esavalente, i bifenili polibromurati (PBB) e l’etere di difenile polibromurato (PBDE) allo scopo di proteggere la salute dei consumatori e l’ambiente.
La direttiva RAEE (o WEEE dall’inglese Waste Electrical and Electronic Equipment, 2012/19/UE) regolamenta invece la gestione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche giunte in fin di vita (e considerati quindi come rifiuti), promuovendone il recupero e lo smaltimento ecocompatibile.
Chi fabbrica, distribuisce o vende apparecchiature elettriche ed elettroniche è tenuto al rispetto di queste normative. Quali apparecchiature sono effettivamente toccate da queste direttive? A quali obblighi devono adempiere produttori e importatori che intendono immettere sul mercato europeo tali apparecchiature?
Per rispondere a queste domande Switzerland Global Enterprise, l’organizzazione ufficiale svizzera per la promozione delle esportazioni e della piazza economica, ha stilato due pratiche factsheet (ad oggi disponibili solo in inglese, francese e tedesco).
La recente comunicazione della Commissione federale dell’energia elettrica (ElCom), secondo cui dobbiamo prepararci a un’eventuale penuria di corrente, non fa che confermare quanto la situazione in campo energetico sia delicata.
Conflitto russo-ucraino, interruzione dell’erogazione di gas, siccità costituiscono un mix ad alto rischio. La valutazione dell’El-Com è ovviamente inquietante benché non sorprendente e mette chiaramente in chiaro quanto gli equilibri nel campo dell’energia siano delicati e legati a dinamiche eternogenee, fra le quali, non di meno, quelle internazionali. Da una parte vi è l’interdipendenza di una moltitudine di fattori interni (come il livello dei laghi artificiali e la manutenzione delle centrali nucleari), dall’altra parte la dipendenza da quanto avviene sullo scenario internazionale (non solo il gas, ma anche le centrali nucleari francesi ad esempio). Il fattore geopolitico in mutamento sia continuo che preoccupante, esige una politica pronta alla flessibilità e mutazione in tempi brevi e volta a coniugare le legittime pluralità ed esigenze delle posizioni sociali. Il Consiglio federale ha comunicato che sta valutando, con attenzione, la situazione e che darà indicazioni più precise entro fine agosto. Bene, prendiamo atto fiduciosi, anche se le prime, provvisorie indicazioni non ci permettono di esserlo pienamente, visto che apparentemente si lavora soprattutto su scenari che andrebbero a colpire principalmente e in primo luogo, le aziende, obbligandole a una riduzione dell’indice produttivo, limitandone significativamente le attività. Non è pragmaticamente corretto pensare di poter scindere, nuovamente, l’economia dai cittadini. In più occasioni abbiamo sottolineato come alcune risoluzioni settoriali, mettano a grave rischio la serenità delle persone che, proprio da queste attività dipendono. Ci siamo messi alle spalle l’effetto “domino” delle chiusure in pandemia? Per memoria storica, non più di un anno fa, abbiamo potuto, purtroppo, constatare il costo umano e finanziario di scelte di parte.
Quali insegnamenti?
L’illusione di una scelta di transizione energetica unilaterale, tra eolica e solare, sta tramontando. Si tratta di vettori indubbiamente strategici per il futuro e da promuovere con decisione, ma oggi non ancora sufficienti per sostituire completamente i combustibili fossili. E saranno comunque necessari investimenti di proporzioni enormi e tempi di realizzazione lunghi per arrivare a un “Green Deal” energetico. Magari alleggerendo un po’ anche le procedure che oggi impongono tempi eccessivamente lunghi per alzare le dighe (procedura di per sé già impegnativa anche dal punto di vista logistico), o per prevedere pale eoliche o coperture fotovoltaiche massicce in talune valli. È indicativo che l’Unione europea, quasi per magia e ammettendo di fatto la difficoltà della transizione energetica, qualche settimana fa abbia improvvisamente stabilito prodotta con il gas sono “verdi ”. Forse meglio delle centrali che l’energia nucleare e quella a carbone che Francia e Germania si trovano costrette, frettolosamente, a dover riattivare…
Le dipendenze sono sempre tortuose
Si fa presto a dire che occorre ridurre la dipendenza dall’energia fossile. Si dimentica però spesso che le implicazioni sono molteplici. Il primo ragionamento di utilizzo va a quello pratico quotidiano che tutti conosciamo e utilizziamo. Ma i materiali sono le fondamenta di molteplici altri funzionamenti che, senza accorgerci, utilizziamo con disinvoltura e senza troppe riflessioni sulle loro componenti base. Ad esempio, rinunciare al petrolio come fonte energetica è un’operazione delicata e per niente scontata, perché dal greggio non si ricavano soltanto benzina, gasolio e olio combustibile, che a tutt’oggi muovono i trasporti privati e pubblici e riscaldano gran parte degli edifici privati e pubblici in tutto il mondo. Esso serve anche per produrre oli lubrificanti, paraffina, asfalto, catrame e i polimeri, ossia la maggior parte delle materie plastiche indispensabili, ad esempio, nell’edilizia, nell’industria e nella distribuzione commerciale. Quali alternative? Ricerca e innovazione su materiali alternativi, ma anche questo non si realizza da un giorno all’altro, ma richiedono anni di ricerche che richiedono investimenti corposi. La garanzia di un risultato sostenibile e pratico non è sempre scontata e così, bisogna continuare o, a volte, ricominciare. La fretta non è compresa certamente in questi percorsi e neanche la copertura infinita finanziaria, che spesso, nel frattempo deve invece coprire altre esigenze sociali prevalenti.
La realtà è il punto di partenza
La dipendenza energetica o dalle materie prime in generale sembra a volta un argomento un po’ astratto concernente, in prevalenza, i massimi sistemi. Con una facile riflessione è però facile comprendere come in realtà vi siano risvolti concreti sulla vita quotidiana di tutti. Prendiamo il caso del caro a tutti, telefono cellulare.
Sciences Avenir – «Les éléments chimiques qui composent nos smartphones»
Come si può vedere nell’immagine, un IPhone è composto da circa una quarantina di elementi, fra metalli rari, semimetalli e altri. Dai più conosciuti come il cobalto, il litio, l’alluminio, il rame, il piombo e il fosforo, ad altri dai nomi più esotici (almeno per i profani) come il gallio, l’indio e il gadolinio. Materie estratte nei paesi più disparati, anche se, in media il 54% della produzione mondiale è in mano cinese. Per alcune materie si raggiunge anche l’80%. La dipendenza delle importazioni europee da fornitori come la Cina o il Congo varia da un 30% per il cobalto al 100% per il magnesio. Già abbiamo sottolineato più volte come la Cina controlli anche oltre il 90% del mercato globale dei pannelli fotovoltaici. Analogo discorso vale pure per la tanto decantata svolta elettrica del parco dei veicoli. Anche in questo ambito, ca. il 90% della produzione mondiale di terre rare, leggere e pesanti, indispensabili per tali mezzi di trasporto, è di origine cinese. Cerio, lantanio, zirconio, neodimio, europio, ittrio, disprosio, praseodimio, terbio, tutti metalli che confluiscono nella produzione di un’automobile elettrica o ibrida, il doppio di una vettura a benzina. In particolare, per le batterie dei veicoli elettrici, è essenziale il cobalto, soprattutto per gli accumulatori di nuova generazione, prodotto anch’esso, nella misura del 71%, da Cina e Congo. Alternative dal Canada e dall’Australia sono insufficienti. Così come non è trascurabile il fatto che la Russia sia anche un Paese leader nelle forniture di palladio e rodio indispensabili nell’industria automobilistica. Senza dimenticare che la produzione di semiconduttori dipendeva in buona parte anche dal gas neon che arrivava da Mariupol e Odessa. Interi popoli in grave emergenza da dipendenze vitali e che sottolineano come solo un pensiero evolutivo sociale, nella sua interezza e che non dimentichi le interdipendenze sul campo, possa fare fronte alle sfide mondiali. Una Russia che insieme all’Ucraina assicurava il 28% del grano, il 29% dell’orzo, il 15% del mais e il 75% dell’olio di girasole che si consumano a livello mondiale ha inevitabilmente e pericolosamente sconvolto l’agenda delle priorità e messo in evidenza la fragilità dei sistemi. Cambiare le tendenze non può funzionare in tempi brevi. Non siamo pronti. Non abbiamo pensato, per molto tempo, di doverci preparare in tempi brevi. Va preso atto di questa ovvietà per costruire una politica seria in ambito energetico e di approvvigionamento generale. Soluzioni ve ne sarebbero in teoria, visto che ad esempio la zona dell’Extremadura in Spagna è ricca di litio e di cobalto, ma la popolazione si oppone all’estrazione. Scelta legittima, come sono legittime le proteste in Finlandia contro le già esistenti miniere di estrazione del cobalto, per l’impatto ecologico. Ma, come sempre, si tratta di scelte e priorità. In tutti gli ambiti se non si è disposti a determinati sacrifici occorre in qualche modo pagarne il prezzo. Il costo è alto per tutti, nessuno escluso. Ma poi le lamentele non sono più accettabili o legittime. È importante scegliere, nell’emergenza, una direzione, senza tuttavia dimenticare le altre. Le scelte difficili sono i passi che devono guardare al passato e al futuro per affrontare il presente.
Nessuna soluzione?
In sostanza, un mondo molto complesso, interconnesso su tantissimi livelli diversi fra loro, che rende difficili le decisioni, smentendo puntualmente chi “la fa facile”, promettendo soluzioni rapide, indolori, ideali per tutti. La realtà è molto diversa. Corretto cercare di ridurre le dipendenze, illusorio pensare di eliminarle, sbagliato vendere ipotetiche soluzioni nuove con faciloneria. In realtà tutti siamo chiamati a fare sacrifici e sarebbe sbagliato e pericoloso limitarsi interrompendo o limitando determinate attività aziendali, considerate troppo energivore. Sarebbe un messaggio doppiamente sbagliato, economicamente e socialmente. All’interno di un equilibrio fortemente delicato, sottovalutare o colpire un solo tassello innescherebbe quell’effetto a domino che avremmo già dovuto apprendere durante la fase più dura della pandemia e non dimenticato da molti imprenditori che, ancora oggi, stanno lottando per riattivare e sostenere le proprie attività, collaboratori compresi. Dal punto di vista economico perché minaccerebbe molti posti di lavoro e porrebbe limiti ulteriori a determinati approvvigionamenti, rendendo di conseguenza le dipendenze l’unica via di uscita. È proprio la tendenza che stiamo faticosamente cercando di contrastare. Dal punto di vista sociale perché si proporrebbe nuovamente una spaccatura fra economia e cittadine e cittadini, quando in realtà l’economia siamo tutti noi, nessuno escluso. Le intenzioni interconnesse per una soluzione ottimale deve comprendere tutte le parti sociali. È illusorio pensare, o anche solo immaginare, che una sola parte della nostra società possa, da sola, risolvere le difficoltà di una collettività.
Sottolineando che i sacrifici li deve fare sempre e solo qualcun altro, non risolve alcun problema e rischia di aprire nuovamente una diatriba che speravamo fosse stata accantonata e compresa molto bene. È chiaro che si possano e debbano prevedere dei sacrifici commisurati ai diversi contesti, ma il messaggio deve prevalere sul populismo: tutti devono essere chiamati a contribuire al superamento delle difficoltà che coinvolgono il Paese. È questo l’atteggiamento che diventa vincente in ogni presente e futuro contesto. Creando e spiegando una coerenza e responsabilità sociale nella sua interezza è certamente una forza sulla quale potremo contare anche nelle sfide future. La coesione delle parti, il rispetto reciproco e lo stesso intento rappresentano la differenza.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-ENERGIA.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-07-26 08:55:552022-07-27 09:30:40La volontà è la forza motrice
In una dichiarazione congiunta di Italia e Svizzera del 22 luglio 2022, le autorità competenti dei due Paesi hanno convenuto che l’accordo amichevole del 18/19 giugno 2020 per evitare la doppia imposizione del reddito da lavoro dipendente percepito all’estero continuerà ad applicarsi al telelavoro.
Le autorità competenti italiana e svizzera si manterranno in stretto contatto e torneranno a consultarsi entro la fine del mese di ottobre 2022.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-Telelavoro-frontalieri-svizzera-italia.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-07-22 14:00:002022-07-27 09:35:15Telelavoro dei frontalieri: accordo amichevole tra Svizzera e Italia
Se ne parla tanto, ma in realtà sono ancora poco utilizzate dalle aziende: parliamo dell’intelligenza artificiale e della blockchain. Eppure sono proprio queste tecnologie a migliorare nettamente la pianificazione e la gestione delle crisi nelle catene di approvvigionamento.
La pandemia e la guerra in Ucraina hanno dimostrato la rapidità con cui le supply chain globalizzate subiscono interruzioni e rotture, con conseguenze quali scaffali vuoti nei negozi da un lato e magazzini sovraccarichi nelle aziende dall’altro. La diversificazione dei fornitori aiuta, ma a lungo termine è soprattutto la trasparenza a fare la differenza: le catene di approvvigionamento sono sempre più collegate in rete e, per gestire correttamente i flussi di merci, è necessario essere in grado di controllarle in qualsisi momento e in ogni fase.
Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso una digitalizzazione coerente. Due tecnologie, in particolare, sono molto utili per la filiera: l’intelligenza artificiale (IA) e la blockchain.
Quando si parla di IA, è quasi immediato pensare agli androidi, mentre in realtà si tratta di un insieme di software basati su algoritmi che replicano il ragionamento umano e sono in grado di analizzare enormi quantità di dati in tempi brevi, di migliorarsi continuamente, di prendere decisioni e in sostanza di risolvere problemi. Nell’ambito della supply chain, l’IA può analizzarne la situazione sulla base dei dati ricevuti dal suo monitoraggio digitale, fornendo quindi suggerimenti per migliorarne la logistica, facendo previsioni e creando persino piani alternativi.
Le supply chain stanno diventando sempre più complesse
La logistica può essere molto delicata. Prendiamo l’esempio degli alimenti o dei prodotti sostenibili per la cura della persona: in entrambi i casi, la base è costituita da materie prime prodotte solo a intermittenza e spesso deperibili. A complicare ulteriormente le cose vi sono le richieste dei clienti, in rapida evoluzione e personalizzate, per non parlare degli effetti a lungo termine della pandemia e della guerra in Ucraina. Tutto ciò rende le reti della supply chain estremamente complesse. Una singola persona può difficilmente tenerle sotto controllo ed anche i pianificatori logistici più esperti stanno raggiungendo i limiti delle loro capacità perché la quantità di dati generata dalle supply chain è enorme. Così, fave di cacao, carne cruda, frutta, piante medicinali, miele, latte, oli essenziali e simili rischiano di rimanere a lungo nei container e di marcire.
Attraverso gli algoritmi di intelligenza artificiale è invece possibile monitorare l’intera attività: essi riescono infatti a coordinare meglio e più velocemente i singoli processi all’interno delle catene di approvvigionamento, stimano l’evoluzione delle attività e pianificano la produzione di materie prime verificando nel contempo le scorte in magazzino e i percorsi e i tempi di consegna. Gli algoritmi tengono anche conto della durata di conservazione della merce nonché della quantità necessaria per la realizzazione del prodotto finale, rilevano inoltre molto rapidamente possibili colli di bottiglia e possono anticipare zone di interruzione, definendo punti di trasbordo meno congestionati e calcolando percorsi alternativi. Ciò consente da un lato di risparmiare tempo e dall’altro di evitare che le delicate merci trasportate deperiscano.
Facilitare il processo decisionale
È proprio in occasione di ingorghi imprevisti e/o di cambiamenti improvvisi dei tempi di attesa, che l’elaborazione rapida e fondata di scenari alternativi si rivela importante. Più dati vengono presi in considerazione, migliori sono le soluzioni – e solo l’IA può elaborare big data ad alta velocità.
Numerosi altri fattori possono inoltre entrare in gioco, primi fra tutti il rapido aumento delle richieste dei clienti, le loro nuove preferenze in merito ai prodotti e quindi il loro cambiamento nel comportamento d’acquisto. Grazie all’IA tutte queste condizioni possono essere prese in considerazione in tempo utile per adeguare tempestivamente l’approvvigionamento delle materie prime e la produzione di prodotti finiti. In breve, gli algoritmi sono in grado di fornire rapidamente ai responsabili della logistica suggerimenti e previsioni fondati che facilitano enormemente il processo decisionale.
Il trasferimento sicuro delle informazioni
La seconda tecnologia utile alle supply chain è la blockchain. La blockchain è una serie concatenata di blocchi (da cui il suo nome) carichi di informazioni, ordinati cronologicamente e la cui integrità è garantita da un algoritmo crittografico che li lega ai precedenti. Una volta inseriti all’interno dei blocchi, i dati non possono più essere modificati senza che vengano invalidati tutti i processi successivi. Molti l’associano al bitcoin e all’ambito finanziario, ma in realtà la blockchain può essere applicata a molti altri settori e si presta alla condivisione rapida, sicura, efficiente e trasparente, con tutti gli attori della filiera, delle informazioni sulla catena di approvvigionamento e sugli scenari calcolati in precedenza dall’IA.
Tracciabilità, risparmio e certezza
Quando la blockchain viene combinata con l’Internet of Things (IoT), e ad esempio con sensori che misurano le scorte di materie prime o con robot mobili e altri elementi automatizzati in magazzino, gli attori della supply chain beneficiano di tre vantaggi principali:
l’aumento della produttività e il risparmio di tempo e denaro: il trasferimento rapido e sicuro delle informazioni consente infatti di operare in modo efficiente in un magazzino automatizzato, con più cicli e meno errori;
la tracciabilità immediata: grazie alla connessione ultraveloce tra tutti i partecipanti della rete, ogni azienda ha il controllo della tracciabilità dei prodotti in tempo reale, consentendo un servizio più rapido ed efficiente per il cliente finale;
la possibilità di concludere degli “smart contracts” (letteralmente: contratti intelligenti), incorporando clausole contrattuali in software o protocolli informatici, che hanno la caratteristica di eseguirsi automaticamente sulla base di condizioni predeterminate dalle parti. I benefici? L’impossibilità di modificare o annullare il contratto, la trasparenza degli obblighi contrattuali e la certezza della loro esecuzione.
In sostanza: un supply chain management intelligente
L’abbiamo letto poc’anzi: un delle sfide più grandi della supply chain è quella di ottenere in tempo reale una visione trasparente e completa della filiera, così da facilitare e velocizzare il processo decisionale e assicurare un servizio efficiente nonché una consegna rapida al cliente. Tecnologie come l’intelligenza artificiale e la blockchain, combinate con l’IoT, ricoprono un ruolo chiave in termini di produttività, riduzione dei rischi, agilità, tracciabilità, fiducia e, in sostanza, nella gestione intelligente della filiera.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-Algoritmi-avanzati-filiera.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-07-21 08:00:002022-07-15 08:57:51Algoritmi avanzati per migliorare le supply chain
Si sono svolti a fine primavera 2022 gli esami dei percorsi formativi Cc-Ti, che la nostra associazione ha proposto in alcuni ambiti. Nello specifico si sono concretizzati i percorsi relativi al “Diritto del lavoro” e alla “Vendita”.
Hanno ottenuto l’attestato di “Competenze nel diritto del lavoro”: Patrizia Daelli, Federica Gregorio, Benedetta Landoni, Anna Luminati, Jessica Meroni, Roberta Oltolina, Alessia Sironi, Francesca Spaini, Barbara Tommasiello. Sulla foto anche: Rosella Chiesa-Lehmann e Roberta Bazzana-Marcoli, docenti e Cécile Chiodini Polloni, Resp. formazione puntuale Cc-Ti.
Si tratta di corsi di formazione costituiti da più moduli interconnessi che possono, però, essere frequentati anche singolarmente. Coloro che seguono la formazione completa hanno la possibilità di sostenere un esame finale e, al superamento dello stesso, viene rilasciato un attestato Cc-Ti.
Generalmente i percorsi si declinano su 5-8 moduli. Avendo l’opportunità di frequentare anche solo alcuni dei temi proposti nel percorso, lo stesso può essere gestito secondo le singole esigenze personali e aziendali. Proposte che abbiamo aggiunto alla nostra, già variegata, formazione continua e che rispondono alle crescenti e in continua mutazione competenze richieste dal mondo lavorativo.
In questo articolo vi proponiamo 3 brevi testimonianze di partecipanti che hanno ottenuto l’attestato in “Diritto del lavoro” e, cambiando prospettiva, dei docenti che si sono occupati del percorso della “Vendita”.
Benedetta Landoni, Ticicom SA Da alcuni mesi la Cc-Ti propone nuovi percorsi formativi costituiti da più moduli interconnessi che possono essere frequentati anche singolarmente. Lei ha completato il ciclo dedicato al “Diritto del lavoro”, superando l’esame finale. Come è andata? Quali le sue impressioni?
Ho da poco concluso, con molta soddisfazione, il percorso dedicato al “Diritto del Lavoro” iniziato a settembre 2021 e devo dire che il corso, sia se seguito nella sua interezza che partecipando solo a singoli moduli, è complessivamente ben organizzato e strutturato. Dal punto di vista dei contenuti tutte le tematiche sono state trattate in maniera esaustiva grazie alla competenza, alla preparazione e aggiungerei anche all’esperienza delle docenti. Con esempi pratici ed esercitazioni di gruppo è stato possibile chiarire dubbi anche sulle questioni più controverse e, contestualmente, alternare la parte teorica con quella pratica. Aggiungo che la modalità online, sebbene personalmente preferisca sempre essere in presenza, ha sicuramente facilitato la frequenza permettendomi di conciliare il momento formativo con le attività lavorative. Complessivamente ritengo che il corso riesca a fornire a responsabili e collaboratori HR tutti gli strumenti per poter orientarsi tra le diverse problematiche relative alla gestione delle risorse umane e le questioni giuridiche ad essa connesse.
Roberta Oltolina, Parametric Design Suisse
Il percorso formativo era composto da moduli distinti che trattavano argomenti specifici. Cosa riporterà nel suo quotidiano in azienda di quanto appreso?
Lo scopo era quello di confermare e aggiornare determinate conoscenze già acquisite e l’obiettivo è stato raggiunto. Mi sono personalmente acculturata con argomenti che avevo solo sfiorato nel mio ambito lavorativo. Sicuramente mi serviranno per svolgere al meglio il mio ruolo interagendo con il personale ed essendo di supporto al Direttore del Dipartimento HR.
Francesca Spaini, Humabs BioMed SA
Un percorso del genere è anche un’occasione per intrecciare nuove relazioni e fare networking. In che modo ha potuto beneficiarne (visto il gruppo eterogeneo di partecipanti)?
Il percorso Cc-Ti in diritto del lavoro è stata un’ottima occasione per conoscere colleghe e colleghi provenienti da contesti lavorativi eterogenei, e quindi estremamente arricchente per chiunque lavori nell’ambito delle risorse umane. Sarebbe stato sicuramente utile e ancor più coinvolgente poter condividere anche delle lezioni in presenza, ma è stato molto pratico e time-saving poter seguire le lezioni in remoto dal proprio ufficio o da casa, senza per questo perdere in qualità. Consiglio vivamente questo percorso anche per la competenza delle docenti.
La voce dei docenti: Stefano Bosia ed Andrea Carlesso
Selling Revolution: 2°edizione percorso formativo con attestato Cc-Ti e Associazione vendita svizzera
Presentato per la prima volta nel 2022 in forma totalmente digitale, i favorevoli commenti dei partecipanti hanno invitato a riproporre una seconda edizione. Partendo da basi e tecniche consolidate consente a chiunque, a contatto con il cliente, di acquisire il giusto mindset per trasformarsi in un ottimo venditore. Dal prospecting alla cura del cliente, il corso tocca ogni aspetto della fase di vendita, senza perdere di vista il processo di acquisto, sempre più importante nel determinare la scelta dei partner commerciali. Composto da 6 moduli, frequentabili anche separatamente, termina con un esame finale riservato a chi ha frequentato l’intero percorso.
Hanno ottenuto l’attestato “2022 Selling Revolution”: Salvatore Carmeci, Miruna Marinescu Seminara, Gianmarco Paduano, Andrea Parini, Federico Proserpio, Giovanni Sergi. Sulla foto anche: Stefano Bosia ed Andrea Carlesso, docenti e Cécile Chiodini Polloni, Resp. formazione puntuale Cc-Ti.
Ai partecipanti offre un taglio molto pratico affinché, partendo da basi teoriche, consenta a ognuno di inserire nel proprio processo le tecniche per migliorare le proprie performance di vendita. Attraverso tecniche comprovate basate sul continuo aggiornamento e sull’esperienza dei relatori e sulla messa in pratica delle più recenti teorie e ricerche delle migliori università, lavoreremo sulle sei fasi del processo di vendita di successo. Saremo così in grado di avere una panoramica dell’intero processo e comprendere le due diverse prospettive: quella del venditore e quella dell‘acquirente. In questo modo potremo individuare dove si trova l’acquirente nel processo decisionale e cosa possiamo concretamente fare per guidare la vendita in ogni fase e convincere (vincere insieme) il cliente della bontà della sua scelta: noi! Al termine del percorso ogni partecipante avrà elaborato il proprio kit personale di strumenti e tecniche di vendita e una tabella di marcia per sviluppare abitudini significative e durature.
In conclusione
Investire in modo costante nella formazione dei propri collaboratori è una delle migliori azioni concrete da attuare per contare su risorse umane qualificate e fidelizzarle. Un progetto win-win.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-Percorsi-diplomi.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-07-18 12:12:382022-07-19 13:45:14Percorsi formativi con attestato Cc-Ti: i primi diplomati
La deadline sulla fine dei motori termici a scoppio, benzina e diesel in Europa è stata tracciata dalla Commissione Europea che con il pacchetto “Fit for 55” ha indicato la data: sarà il 2035 l’anno in cui non saranno più vendute auto a benzina, diesel, metano e pure ibride.
A questa fatidica data mancano ormai meno di 14 anni, ma molte case automobilistiche hanno deciso di anticiparla anche perché con una scadenza così ravvicinata non ha più senso investire nei motori a combustione interna e con le risorse, sempre più esigue a causa della crisi del settore automobilistico, che sono tutte investite nello sviluppo della mobilità elettrica. La notizia è quindi così eclatante? In primo luogo, i ministri dell’ambiente UE si devono ancora chinare sulla decisione e prendere posizione in merito. È possibile che vengano ancora apportate delle modifiche come, per esempio, l’apertura ai combustili sintetici o all’idrogeno come carburante per motori a scoppio. In secondo luogo, nel 2035 quanti modelli con motore a benzina o diesel saranno in listino per le varie marche? La notizia non è quindi assolutamente sconvolgente.
Dal punto di vista dei costruttori…
Per le fabbriche, a detta degli esperti del settore, tutto sommato questa decisione gioca a loro favore. Con un termine di così corto (lo sviluppo di nuove tecnologie richiede anni) e con la spada di Damocle delle prossime norme antinquinamento EURO7 assai più severe per quanto concerne le emissioni dei motori a combustione interna, si concentreranno sullo sviluppo e la produzione di auto a trazione elettrica. Allo stesso tempo ridurranno sicuramente la gamma di modelli proposti per ogni marca e passeranno alla produzione su ordinazione mettendosi alle spalle anni di sovrapproduzioni che hanno portato anche un abbassamento dei prezzi delle auto nuove vendute (vedi per esempio Km0 o promozioni importanti). Con questo cambio di mentalità, unito anche alla commercializzazione diretta online da parte dei costruttori di auto, vedranno i loro margini crescere in maniera importante. Questo non andrà però a favore dei lavoratori e, soprattutto dei subfornitori di componenti per il settore automotive. Quest’ultimo punto toccherà in maniera importante anche la Svizzera dove risiedono diverse aziende produttrici di componenti ad alto contenuto tecnologico. Per i primi si prospettano licenziamenti di massa a causa della riduzione di produzione delle fabbriche, per i secondi, grazie alla minore necessità di componenti delle auto totalmente elettriche, una drastica riduzione del lavoro con inevitabili chiusure e cessazioni di attività. Naturalmente, per esempio, in ambito di sviluppo e fabbricazione delle batterie per l’autotrazione si apriranno nuove opportunità, ma queste non saranno sufficienti per assorbire tutti gli esuberi del settore.
…e da quello dell’automobilista
Una cosa va chiarita: chi nel 2035 sarà ancora in possesso di un’auto a benzina, a diesel o a metano, potrà continuare ad usarla anche oltre questa data. Magari utilizzando carburanti sintetici oggi in fase di sviluppo che promettono una neutralità nelle emissioni di CO2 grazie al recupero della CO2 presente nell’aria. Alcune marche tra le quali Porsche e BMW stanno investendo somme importanti in questo settore. Chi nei prossimi anni dovrà acquistare una nuova automobile più ci si avvicinerà al 2035 avrà meno scelta tra modelli e motorizzazioni. Già diversi costruttori hanno annunciato che toglieranno dai loro listini ben prima del 2035 le auto benzina o diesel. Opel, per esempio, ha dichiarato apertamente che l’intera gamma di modelli sarà completamente elettrica entro il 2028. Un rischio reale sarà poi quello della sparizione quasi totale delle auto utilitarie. Costruire vetture elettriche di bassa gamma sarà poco redditizio in quanto il costo elevato delle batterie le renderebbe troppo costose e quindi invendibili. Ad andarci di mezzo potrebbe quindi essere quella parte di popolazione più debole che oggi può permettersi una vettura perché il prezzo d’acquisto è sostenibile, ma domani con l’aumento dei costi d’acquisto dovrà rinunciare ad avere una vettura in famiglia. Non va poi sottovalutato l’aspetto dell’infrastruttura di ricarica. Per poter essere utilizzata in maniera efficiente e conveniente un’auto elettrica deve poter essere ricaricata presso il proprio domicilio o presso il datore di lavoro. Affidandosi unicamente alla rete pubblica, tra l’altro oggi ancora largamente insufficiente, l’utilizzo dell’auto risulterebbe macchinoso e poco conveniente.
Dal punto di vista delle autorità politiche
La sfida più grande legata alla decisione dell’UE di vietare dal 2035 la vendita di auto a benzina o diesel spetta alle autorità politiche di ogni paese. Cominciando dall’approvvigionamento di energia elettrica. Già oggi non è più un tabù parlare di blackout elettrico, cosa succederà quando gran parte delle auto necessiteranno di una presa per la ricarica? Non meno importante sarà il potenziamento della rete di distribuzione. Anche in questo caso non siamo pronti. Collegare molte auto alla rete di distribuzione elettrica nello stesso momento comporta un picco di potenza richiesta che metterà in crisi la distribuzione di energia elettrica. La messa in funzione poi di un numero adeguato di colonnine di ricarica pubblica nei luoghi strategici come lungo le autostrade o nei parcheggi pubblici è pure un obiettivo che va perseguito iniziando già da oggi.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-mobilita.png7531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-07-18 08:13:002022-07-15 15:14:052035: (e)missione zero
Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Di recente il Tribunale federale si è occupato di due casi concernenti il sistema di trasporto Uber, ormai a tutti più o meno noto. Di cosa si tratta concretamente? Uber mette a disposizione un servizio di trasporto privato mediante una semplice app dello smart phone. Con questo sistema è possibile inviare una richiesta di trasporto che viene automaticamente inoltrata ad un autista ubicato nelle vicinanze del richiedente. Questo sistema mette quindi in contatto diretto passeggeri e autisti, i quali vengono avvisati tramite geolocalizzazione dell’ubicazione del cliente. Una variante di questo sistema riguarda la consegna di pasti. In questo caso il servizio concerne la consegna di un pasto preparato da un ristorante ad un cliente che rimane a casa sua. Questa seconda variante (Uber eats) implica pertanto, a differenza del semplice trasporto passeggeri, un rapporto a tre: autista, ristorante e cliente. Le citate sentenze del Tribunale federale (2C_575/2020, 2C_34/2021) si riferiscono a situazioni venutesi a creare a Ginevra. Nel primo caso si è trattato del servizio “ordinario” di trasporto di passeggeri. Le autorità ginevrine, in questa prima fattispecie hanno valutato che il sistema Uber doveva essere qualificato alla stregua di un’impresa di trasporto ai sensi della legge cantonale sui taxi e i mezzi di traporto e come tale doveva rispettare tutti gli obblighi legali, inclusi quelli relativi alla protezione sociale e alle condizioni lavorative degli autisti. Il Tribunale federale ha confermato questa interpretazione sottolineando che tra i conducenti e Uber vengono conclusi dei veri e propri contratti di lavoro e che la relativa struttura operativa deve essere qualificata come azienda di trasporto, con tutti gli obblighi che ne conseguono. Nel caso della consegna dei pasti i giudici, trattandosi, come già indicato, di un rapporto a tre, hanno dovuto inoltre valutare se il sistema messo in atto non configurasse un prestito di personale, attività che soggiace a chiare e rigorose norme di legge. Lo stesso Ufficio cantonale ginevrino del lavoro aveva considerato in prima istanza che il servizio di consegna pasti ricadeva sotto tale definizione, nel senso che Uber metteva a disposizione dei ristoranti personale per la consegna del cibo ai propri clienti. Prestito di personale insomma, non permesso senza le necessarie autorizzazioni. Su questo punto il Tribunale federale è però giunto ad una diversa conclusione. Pur essendoci un rapporto di lavoro tra Uber eats e i singoli corrieri non vi è alcuna fornitura di personale ai ristoranti.
Il Tribunale federale ha sottolineato che nella fornitura di tale servizio non vi era infatti alcuna trasmissione ai ristoratori del diritto di dare istruzioni ai corrieri, i quali non venivano inoltre integrati nell’organigramma del ristorante. Nessun prestito di personale quindi, e nessuna violazione della Legge federale sul collocamento e il personale a prestito.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-07-15 14:24:002023-09-20 10:07:30Uber: contratti di lavoro e prestito di personale?
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QR-fattura: cosa sapere e come procedere
/in Digitalizzazione, Organizzazione, TematicheA partire dal 1º ottobre 2022 le polizze di versamento rosse e arancioni (PV/PVR) saranno solo un ricordo. Ecco un’informativa sulla QR-fattura e su cosa comporta questo passaggio per emittenti e destinatari di fatture.
La nuova QR-fattura è stata introdotta a livello nazionale già a giugno 2020 e, da allora, può essere utilizzata parallelamente alle polizze di versamento classiche. Questo periodo transitorio terminerà il 30 settembre 2022. In seguito, sarà possibile pagare solo con la QR-fattura.
Come emittenti di fattura, avete già adottato tutte le misure necessarie per il passaggio? Sapete a cosa dovreste fare attenzione in qualità di destinatari della fattura?
Ecco le informazioni più importanti relative alla QR-fattura e al passaggio a questa soluzione.
LINK al sito di Postfinace: https://www.postfinance.ch/it/tema/scelta/fattura-qr.html
Fonte dell’articolo: Postfinance.ch
Due diligence dei fornitori: è d’obbligo in Germania
/in Certificazioni, Internazionale, Sostenibilità, TematicheIl 1° gennaio 2023 entrerà in vigore in Germania la legge sulla due diligence dei fornitori. Essa si applicherà inizialmente alle società con almeno 3’000 dipendenti (incluse le filiali di aziende estere) per poi estendersi alle aziende con 1’000 dipendenti a partire da gennaio 2024. La nuova legge sarà di fatto rilevante anche per le PMI fornitrici di tali imprese.
La legge tedesca sulla dovuta diligenza aziendale nelle catene di approvvigionamento (Lieferkettensorgfaltspflichtengesetz, LkSG), che entrerà in vigore il 1° gennaio 2023, è intesa a incoraggiare le aziende tedesche a monitorare il rispetto dei diritti umani e la protezione dell’ambiente lungo le loro catene di fornitura e, nello specifico, a combattere il lavoro minorile, il lavoro forzato, la discriminazione nonché gli standard di sicurezza e ambientali inadeguati da parte dei loro partner contrattuali e di altri fornitori, obbligando le aziende tedesche ad attuare un sistema di gestione del rischio, a nominare un responsabile dello stesso e ad effettuare analisi regolari (annuali). La legge stabilisce anche l’adozione da parte loro di misure preventive e correttive (ivi compresa la cessazione della relazione commerciale con il proprio fornitore), l’introduzione di procedure di reclamo, la documentazione del rispetto degli obblighi di diligenza (da conservare per sette anni) e la redazione e pubblicazione sul proprio sito web di un rapporto annuale sull’adempimento degli obblighi di diligenza.
Con l’adozione della LkSG, la Germania segue l’esempio di altre legislazioni europee come la “Loi de vigilance” francese (legge in materia di vigilanza, 2017) o la “Wet Zorgplicht Kinderarbeid” olandese (legge sul dovere di diligenza in materia di lavoro minorile, 2019), adeguandosi altresì allo standard riconosciuto a livello internazionale sulla responsabilità delle imprese per il rispetto dei diritti umani, ovvero i Principi guida delle Nazioni Unite, richiamati anche dall’OCSE nelle sue linee guida per imprese multinazionali e nella guida sul dovere di diligenza per la condotta d’impresa responsabile.
La legge si applicherà inizialmente alle aziende con almeno 3’000 dipendenti e la cui sede principale, il luogo principale di attività, la sede amministrativa o la sede legale sia in Germania, applicandosi così de facto anche alle aziende estere che hanno una filiale nel Paese. A partire dal 1° gennaio 2024, i nuovi obblighi saranno estesi alle aziende con 1’000 dipendenti. Le imprese che non rispetteranno gli obblighi legali potranno vedersi comminare delle multe fino a 8 milioni di euro (o fino al 2% del fatturato globale annuo per le imprese con un fatturato superiore a 400 milioni di euro). Nel caso di multe superiori a 175’000 euro, le aziende potranno vedersi precludere la partecipazione agli appalti pubblici per un periodo di tre anni.
Il termine “catena di approvvigionamento” è definito in modo ampio nella LkSG e si riferisce a “tutti i prodotti e servizi di un’azienda e comprende tutte le fasi, in patria e all’estero, necessarie alla fabbricazione dei prodotti o alla fornitura dei servizi, a partire dall’estrazione delle materie prime fino alla consegna al cliente finale”, ovvero a tutte le azioni dell’azienda nel proprio settore d’attività, alle attività di un fornitore diretto e alle azioni di un fornitore indiretto. All’entrata in vigore della legge, l’azienda tedesca dovrà pertanto prendere in considerazione anche i metodi di produzione dei suoi fornitori diretti e in caso di violazione – verificata o ritenuta imminente – dei diritti umani e/o degli standard ambientali, intraprendere azioni correttive volte a mitigare, interrompere o prevenire tale violazione, compresa quindi, se necessario, la cessazione del rapporto di collaborazione con il proprio fornitore. Nel caso di indicazioni concrete della possibile violazione di un obbligo in materia di diritti umani o ambientali da parte di fornitori indiretti, l’azienda dovrà intervenire anche in questo ambito.
In base a quanto appena esposto, anche le aziende svizzere che forniscono, direttamente o indirettamente, imprese tedesche toccate dalla nuova legge potrebbero vedersi richiedere informazioni riguardanti i processi di produzione e fabbricazione e il rispetto di requisiti in materia di responsabilità sociale d’impresa (CSR/RSI).
La situazione nel resto dell’Unione europea
In diversi altri Paesi europei vi sono iniziative e campagne di valutazione sulla due diligence in materia di diritti umani. Il 23 febbraio 2022, la Commissione europea ha presentato una proposta di quadro normativo sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità.
E in Svizzera?
Per sostenere le imprese svizzere nel rispetto delle norme e degli standard internazionali sulla gestione aziendale responsabile, il 9 dicembre 2016 il Consiglio federale ha adottato un Piano d’azione nazionale (PAN) che attua i Principi guida delle Nazioni Unite. Il PAN è stato riveduto nel 2020 e copre gli anni 2020-2023. Nel suo ambito sono previste attività di sensibilizzazione delle aziende affinché applichino procedure di diligenza in materia di diritti umani nonché supporto/formazione mirati nell’implementazione concreta della loro responsabilità d’impresa.
Dal 1° gennaio 2022 sono entrate in vigore le disposizioni per una migliore tutela dell’essere umano e dell’ambiente. I nuovi obblighi di diligenza, inseriti nel Codice delle obbligazioni (CO) saranno applicati per la prima volta nell’esercizio 2023 e contengono due importanti novità: da un lato, le grandi imprese svizzere sono tenute per legge, in un’ottica di trasparenza, a presentare un rapporto non solo sui rischi della loro attività rispetto all’ambiente, agli aspetti sociali, alle condizioni dei lavoratori, ai diritti umani e alla lotta contro la corruzione, ma anche sulle misure adottate per contrastare tali rischi; dall’altro, le imprese che presentano rischi connessi ai minerali originari di zone di conflitto oppure al lavoro minorile devono rispettare obblighi di diligenza e di riferire specifici e di ampia portata. Il Consiglio federale ha disciplinato i dettagli di tali obblighi in una pertinente ordinanza. Quali sono le aziende interessate (direttamente o indirettamente!) dalla nuova normativa? Quali sono le possibili sanzioni? Sul suo sito web focusright ltd, agenzia di consulenza con la quale il Consiglio federale sta attualmente collaborando per mettere a punto forme di sostegno e di formazione sul tema per le aziende svizzere, illustra le nuove disposizioni in dettaglio.
La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) hanno altresì pubblicato un opuscolo per le piccole e medie imprese (PMI) sulle loro responsabilità in materia di diritti umani, che fornisce una panoramica dei passi necessari per l’attuazione della dovuta diligenza in materia.
Cc-Ti: CSR e due diligence in materia di diritti umani
La responsabilità sociale d’impresa è un tema di grande attualità, che si traduce anche in un fattore di competitività per le imprese. La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti), quale associazione-mantello dell’economia ticinese, incoraggia attivamente la CSR con diverse attività: tra queste si distinguono in particolare la promozione e il potenziamento dell’apprendistato grazie alla collaborazione con fill-up, la prima realtà a offrire un servizio di sostegno e accompagnamento alle aziende formatrici, nonché lo sviluppo, col supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), di un modello online di rapporto di sostenibilità disponibile sul portale ti-csrreport.ch.
Nel contesto delle sue attività in ambito di CSR, e per sensibilizzare ulteriormente le PMI della svizzera italiana sul tema della dovuta diligenza in materia di diritti umani, il 6 settembre prossimo la Cc-Ti organizza un webinar gratuito con focusright ltd e con la collaborazione di Global Compact Network Switzerland & Liechtenstein (GCNSL), della SECO e del DFAE.
Webinar del 6 settembre 2022 “Due diligence (Dovuta diligenza) in materia di diritti umani – requisiti crescenti e nuovi obblighi per le aziende”: informazioni e iscrizione
Link utili:
BAFA (Ufficio federale tedesco per l’economia e il controllo delle esportazioni): dossier sulla LkSG (in DE)
Il sistema degli Esportatori Registrati (REX)
/in Certificazioni, Dogana, Internazionale, TematicheNel quadro del sistema di preferenze generalizzate (SPG/GSP) a favore dei Paesi in via di sviluppo, la Svizzera applica preferenze doganali all’importazione di merci originarie di questi Paesi se queste sono provviste di prove dell’origine valide: il certificato d’origine modulo A, la dichiarazione su fattura o, nell’ambito del sistema degli Esportatori Registrati (REX), la dichiarazione d’origine. Il sistema REX si fonda sul principio dell’autocertificazione dell’azienda esportatrice che, per poter stilare la dichiarazione d’origine, deve richiedere all’autorità competente del suo Paese di essere registrata in un’apposita banca dati. Così facendo, l’azienda diventa un Esportatore Registrato. Vediamo il sistema più nel dettaglio.
Paesi partecipanti
Il sistema REX è entrato in vigore nel 2017 nel quadro del sistema di preferenze generalizzate (SPG/GSP). Non ha impatto sulle regole per la determinazione dell’origine delle merci, ma riguarda i metodi di attestazione dell’origine: infatti, sostituisce progressivamente il sistema di certificazione dell’origine basato sui certificati di origine emessi dalle autorità doganali/governative e sulle dichiarazioni su fattura emesse a determinate condizioni dalle stesse aziende esportatrici. Non tutti i Paesi in via di sviluppo partecipano al sistema REX. Quelli che hanno aderito sono elencati qui. In questo elenco è desumibile anche se un determinato Paese può ancora rilasciare certificati d’origine modulo A o dichiarazioni su fattura oppure a partire da che data di allestimento questi ultimi non possono più essere accettati e devono obbligatoriamente essere emesse delle dichiarazioni d’origine (in inglese: Statement on Origin, SoO). Fino ad ulteriore avviso, per i Paesi in sviluppo non menzionati nell’elenco vengono accettati sia i certificati d’origine modulo A (anche chiamato: Form A) sia la dichiarazione su fattura.
Registrazione ed emissione della dichiarazione d’origine
In linea di massima, ogni esportatore dei Paesi partecipanti al REX può allestire una dichiarazione d’origine. Tuttavia, se un invio destinato alla Svizzera contiene merce originaria di valore superiore a CHF 10’300 (EUR 6’000) (prezzo franco fabbrica), l’esportatore deve essere registrato presso l’autorità competente del suo Paese come Esportatore Registrato (in inglese: Registered Exporter, REX) e il suo numero di registrazione deve essere indicato nella dichiarazione d’origine. La validità del numero di registrazione dell’esportatore registrato (REX) può essere verificata sul sito Internet dell’UE REX number validation (europa.eu). Per i prodotti originari con un valore inferiore a CHF 10’300 rimane invece obbligatoria la dichiarazione su fattura (firmata); per contro l’indicazione del numero di registrazione sarà facoltativa.
Indipendentemente dal valore della merce, per i riesportatori svizzeri che intendono frazionare in Svizzera, sotto vigilanza doganale, gli invii da Paesi in via di sviluppo accompagnati da prove dell’origine valide oppure che vogliono rispedire simili invii nell’Unione europea (UE), in Norvegia o nel Regno Unito quali invii completi vige l’obbligo di registrarsi come REX e di emettere delle dichiarazioni d’origine sostitutive. La richiesta di registrazione come REX è da sottoporre tramite il relativo modulo al Circondario doganale competente (per il Ticino: Dogana Sud, Lugano, tel. +41 58 469 98 11, dogana.sud@bazg.admin.ch). Quest’ultimo rilascia un numero REX, che deve obbligatoriamente essere inserito nelle dichiarazioni d’origine.
Nel caso di un’esportazione dalla Svizzera verso un Paese in via di sviluppo, l’allestimento di una dichiarazione d’origine è previsto solo se la merce deve essere ulteriormente lavorata in tale Paese per poi essere riesportata in Svizzera o esportata nell’UE, in Norvegia o nel Regno Unito (quota parte del Paese concedente/donatore). Gli esportatori svizzeri che inviano materiali in un Paese in via di sviluppo per ulteriore lavorazione, e intendono allestire una dichiarazione d’origine, devono essere registrati unicamente se l’invio contiene merce di origine svizzera per un valore superiore a CHF 10’300 franchi. Per gli invii di merce con valore inferiore a CHF 10’300 è possibile emettere una dichiarazione d’origine senza essere registrati quali REX. È irrilevante che l’esportatore sia o meno un esportatore autorizzato. I giustificativi relativi all’origine dei prodotti devono essere conservati per tre anni. Il rilascio di certificati di circolazione delle merci EUR.1 non è più previsto.
Per quanto riguarda il Regno Unito, sulla base dell’accordo commerciale CH-UK, quest’ultimo accetta le dichiarazioni d’origine sostitutive nel quadro del sistema REX. In cambio, la Svizzera accetta le dichiarazioni d’origine sostitutive rilasciate nel Regno Unito con il numero EORI britannico invece del numero REX.
Tenore della dichiarazione d’origine
Il tenore della dichiarazione d’origine è riportato nell’appendice 3 dell’Ordinanza sulle regole d’origine (OROPS):
Versione francese:
L’exportateur … a) (Numéro d’exportateur enregistré …) des produits couverts par le présent document déclare que, sauf indication claire du contraire, ces produits ont l’origine préférentielle …b) au sens des règles d’origine du Système des préférences tarifaires généralisées de la Suisse et que le critère d’origine satisfait est …c).
Versione inglese:
The exporter …d) (Number of Registered Exporter …) of the products covered by this document declares that, except where otherwise clearly indicated, these products are of …e) preferential origin according to the rules of origin of the Generalised System of Preferences of Switzerland and that the origin criterion met is …f)
dove:
a) invece di indicare il nome e l’indirizzo completo, è possibile inserire un rimando a tali dati in un altro punto del documento commerciale;
b) deve essere indicata l’origine della merce, vale a dire l’origine svizzera o quella del Paese beneficiario;
c) in caso di prodotti interamente ottenuti o fabbricati, inserire la lettera «P»; in caso di prodotti lavorati o trasformati sufficientemente, inserire la lettera «W» seguita da una posizione del Sistema
armonizzato (p. es.: «W 9618»).Se del caso, l’indicazione di cui sopra deve essere sostituita con una delle menzioni seguenti: a) in caso di cumulo bilaterale, «Switzerland cumulation» oppure
«Cumul Suisse»; b) in caso di cumulo con l’UE, la Norvegia o la Turchia, rispettivamente «Cumul UE», «EU Cumulation», «Cumul Norvège», «Norway cumulation», «Cumul Turquie» oppure «Turkey
cumulation»; c) in caso di cumulo regionale, «Cumul régional» oppure «Regional cumulation»;
d) invece di indicare il nome e l’indirizzo completo, è possibile inserire un rimando a tali dati in un altro punto del documento commerciale;
e) deve essere indicata l’origine della merce, vale a dire l’origine svizzera o quella del Paese beneficiario;
f) in caso di prodotti interamente ottenuti o fabbricati, inserire la lettera «P»; in caso di prodotti lavorati o trasformati sufficientemente, inserire la lettera «W» seguita da una posizione del Sistema
armonizzato (p. es.: «W 9618»).Se del caso, l’indicazione di cui sopra deve essere sostituita con una delle menzioni seguenti: a) in caso di cumulo bilaterale: «Switzerland cumulation» oppure
«Cumul Suisse»; b) in caso di cumulo con l’UE, la Norvegia o la Turchia: «Cumul UE», «EU cumulation», «Cumul Norvège», «Norway cumulation», «Cumul Turquie», «Turkey cumulation»; c) in caso
di cumulo regionale; «Cumul régional» oppure «Regional cumulation».
Si segnala invece che, per essere ritenuta valida, la dichiarazione d’origine sostitutiva fornita dall’esportatore britannico deve avere il seguente tenore:
The exporter of the products covered by this document (customs identification No…. g)) declares that, except where otherwise clearly indicated, these products are of …. h) preferential origin in accordance with the rules of origin of the Generalised Scheme of Preferences of the UK and that the origin criterion met is … … i).
(Place and date j))
(Name and signature of the exporter)
dove:
g) i riesportatori del Regno Unito che riesportano merci in Svizzera devono indicare il loro numero EORI;
h) deve essere indicata l’origine della merce;
i) in caso di prodotti interamente ottenuti o fabbricati, inserire la lettera «P»; in caso di prodotti lavorati o trasformati sufficientemente, inserire la lettera «W» seguita da una posizione del Sistema
armonizzato (p. es.: «W 9618»);
j) questo può essere omesso se incluso nel documento stesso.
Validità e ulteriori ragguagli
La dichiarazione d’origine
Fonti e documenti di riferimento
Direttive europee RoHS e RAEE: cosa bisogna sapere?
/in Certificazioni, Internazionale, Tematiche, VariaLe direttive RoHS II e RAEE della Commissione europea limitano l’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche per proteggere la salute dei consumatori e l’ambiente e promuovono il recupero e lo smaltimento ecocompatibile dei rifiuti di tali apparecchiature. Le aziende estere che operano nell’UE sono tenute a rispettarle.
Nello specifico, la direttiva RoHS II (dall’inglese Restriction of Hazardous Substances Directive, 2011/65/UE) interviene nelle fasi di progettazione e produzione di vari tipi di apparecchiature elettriche ed elettroniche limitando l’uso di determinate sostanze pericolose quali il piombo, il mercurio, il cadmio, il cromo esavalente, i bifenili polibromurati (PBB) e l’etere di difenile polibromurato (PBDE) allo scopo di proteggere la salute dei consumatori e l’ambiente.
La direttiva RAEE (o WEEE dall’inglese Waste Electrical and Electronic Equipment, 2012/19/UE) regolamenta invece la gestione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche giunte in fin di vita (e considerati quindi come rifiuti), promuovendone il recupero e lo smaltimento ecocompatibile.
Chi fabbrica, distribuisce o vende apparecchiature elettriche ed elettroniche è tenuto al rispetto di queste normative. Quali apparecchiature sono effettivamente toccate da queste direttive? A quali obblighi devono adempiere produttori e importatori che intendono immettere sul mercato europeo tali apparecchiature?
Per rispondere a queste domande Switzerland Global Enterprise, l’organizzazione ufficiale svizzera per la promozione delle esportazioni e della piazza economica, ha stilato due pratiche factsheet (ad oggi disponibili solo in inglese, francese e tedesco).
Maggiori informazioni e download delle schede RoHS e RAEE: Direttive UE ROHS e WEEE: Cosa devono sapere le aziende svizzere | S-GE
Altri link utili:
Apparecchiature elettriche ed elettroniche (Ufficio federale dell’ambiente UFAM)
La volontà è la forza motrice
/in Comunicazione e mediaLa recente comunicazione della Commissione federale dell’energia elettrica (ElCom), secondo cui dobbiamo prepararci a un’eventuale penuria di corrente, non fa che confermare quanto la situazione in campo energetico sia delicata.
Conflitto russo-ucraino, interruzione dell’erogazione di gas, siccità costituiscono un mix ad alto rischio. La valutazione dell’El-Com è ovviamente inquietante benché non sorprendente e mette chiaramente in chiaro quanto gli equilibri nel campo dell’energia siano delicati e legati a dinamiche eternogenee, fra le quali, non di meno, quelle internazionali. Da una parte vi è l’interdipendenza di una moltitudine di fattori interni (come il livello dei laghi artificiali e la manutenzione delle centrali nucleari), dall’altra parte la dipendenza da quanto avviene sullo scenario internazionale (non solo il gas, ma anche le centrali nucleari francesi ad esempio). Il fattore geopolitico in mutamento sia continuo che preoccupante, esige una politica pronta alla flessibilità e mutazione in tempi brevi e volta a coniugare le legittime pluralità ed esigenze delle posizioni sociali.
Il Consiglio federale ha comunicato che sta valutando, con attenzione, la situazione e che darà indicazioni più precise entro fine agosto. Bene, prendiamo atto fiduciosi, anche se le prime, provvisorie indicazioni non ci permettono di esserlo pienamente, visto che apparentemente si lavora soprattutto su scenari che andrebbero a colpire principalmente e in primo luogo, le aziende, obbligandole a una riduzione dell’indice produttivo, limitandone significativamente le attività. Non è pragmaticamente corretto pensare di poter scindere, nuovamente, l’economia dai cittadini. In più occasioni abbiamo sottolineato come alcune risoluzioni settoriali, mettano a grave rischio la serenità delle persone che, proprio da queste attività dipendono. Ci siamo messi alle spalle l’effetto “domino” delle chiusure in pandemia? Per memoria storica, non più di un anno fa, abbiamo potuto, purtroppo, constatare il costo umano e finanziario di scelte di parte.
Quali insegnamenti?
L’illusione di una scelta di transizione energetica unilaterale, tra eolica e solare, sta tramontando. Si tratta di vettori indubbiamente strategici per il futuro e da promuovere con decisione, ma oggi non ancora sufficienti per sostituire completamente i combustibili fossili. E saranno comunque necessari investimenti di proporzioni enormi e tempi di realizzazione lunghi per arrivare a un “Green Deal” energetico. Magari alleggerendo un po’ anche le procedure che oggi impongono tempi eccessivamente lunghi per alzare le dighe (procedura di per sé già impegnativa anche dal punto di vista logistico), o per prevedere pale eoliche o coperture fotovoltaiche massicce in talune valli. È indicativo che l’Unione europea, quasi per magia e ammettendo di fatto la difficoltà della transizione energetica, qualche settimana fa abbia improvvisamente stabilito prodotta con il gas
sono “verdi ”. Forse meglio delle centrali che l’energia nucleare e quella a carbone che Francia e Germania si trovano costrette, frettolosamente, a dover riattivare…
Le dipendenze sono sempre tortuose
Si fa presto a dire che occorre ridurre la dipendenza dall’energia fossile. Si dimentica però spesso che le implicazioni sono molteplici. Il primo ragionamento di utilizzo va a quello pratico quotidiano che tutti conosciamo e utilizziamo. Ma i materiali sono le fondamenta di molteplici altri funzionamenti che, senza accorgerci, utilizziamo con disinvoltura e senza troppe riflessioni sulle loro componenti base. Ad esempio, rinunciare al petrolio come fonte energetica è un’operazione delicata e per niente scontata, perché dal greggio non si ricavano soltanto benzina, gasolio e olio combustibile, che a tutt’oggi muovono i trasporti privati e pubblici e riscaldano gran parte degli edifici privati e pubblici in tutto il mondo. Esso serve anche per produrre oli lubrificanti, paraffina, asfalto, catrame e i polimeri, ossia la maggior parte delle materie plastiche indispensabili, ad esempio, nell’edilizia, nell’industria e nella distribuzione commerciale. Quali alternative? Ricerca e innovazione su materiali alternativi, ma anche questo non si realizza da un giorno all’altro, ma richiedono anni di ricerche che richiedono investimenti corposi. La garanzia di un risultato sostenibile e pratico non è sempre scontata e così, bisogna continuare o, a volte, ricominciare. La fretta non è compresa certamente in questi percorsi e neanche la copertura infinita finanziaria, che spesso, nel frattempo deve invece coprire altre esigenze sociali prevalenti.
La realtà è il punto di partenza
La dipendenza energetica o dalle materie prime in generale sembra a volta un argomento un po’ astratto concernente, in prevalenza, i massimi sistemi. Con una facile riflessione è però facile comprendere come in realtà vi siano risvolti concreti sulla vita quotidiana di tutti. Prendiamo il caso del caro a tutti, telefono cellulare.
Come si può vedere nell’immagine, un IPhone è composto da circa una quarantina di elementi, fra metalli rari, semimetalli e altri. Dai più conosciuti come il cobalto, il litio, l’alluminio, il rame, il piombo e il fosforo, ad altri dai nomi più esotici (almeno per i profani) come il gallio, l’indio e il gadolinio. Materie estratte nei paesi più disparati, anche se, in media il 54% della produzione mondiale è in mano cinese. Per alcune materie si raggiunge anche l’80%. La dipendenza delle importazioni europee da fornitori come la Cina o il
Congo varia da un 30% per il cobalto al 100% per il magnesio. Già abbiamo sottolineato più volte come la Cina controlli anche oltre il 90% del mercato globale dei pannelli fotovoltaici. Analogo discorso vale pure per la tanto decantata svolta elettrica del parco dei veicoli.
Anche in questo ambito, ca. il 90% della produzione mondiale di terre rare, leggere e pesanti, indispensabili per tali mezzi di trasporto, è di origine cinese. Cerio, lantanio, zirconio, neodimio, europio, ittrio, disprosio, praseodimio, terbio, tutti metalli che confluiscono nella produzione di un’automobile elettrica o ibrida, il doppio di una vettura a benzina. In particolare, per le batterie dei veicoli elettrici, è essenziale il cobalto, soprattutto per gli accumulatori di nuova generazione, prodotto anch’esso, nella misura del 71%, da Cina e Congo. Alternative dal Canada e dall’Australia sono insufficienti. Così come non è trascurabile il fatto che la Russia sia anche un Paese leader nelle forniture di palladio e rodio indispensabili nell’industria automobilistica. Senza dimenticare che la produzione di semiconduttori dipendeva in buona parte anche dal gas neon che arrivava da Mariupol e Odessa. Interi popoli in grave emergenza da dipendenze vitali e che sottolineano come solo un pensiero evolutivo sociale, nella sua interezza e che non dimentichi le interdipendenze sul campo, possa fare fronte alle sfide mondiali. Una Russia che insieme all’Ucraina assicurava il 28% del grano, il 29% dell’orzo, il 15% del mais e il 75% dell’olio di girasole che si consumano a livello mondiale ha inevitabilmente e pericolosamente sconvolto l’agenda delle priorità e messo in evidenza la fragilità dei sistemi. Cambiare le tendenze non può funzionare in tempi brevi. Non siamo pronti. Non abbiamo pensato, per molto tempo, di doverci preparare in tempi brevi. Va preso atto di questa ovvietà per costruire una politica seria in ambito energetico e di approvvigionamento generale. Soluzioni ve ne sarebbero in teoria, visto che ad esempio la zona dell’Extremadura in Spagna è ricca di litio e di cobalto, ma la popolazione si oppone all’estrazione. Scelta legittima, come sono legittime le proteste in Finlandia contro le già esistenti miniere di estrazione del cobalto, per l’impatto ecologico. Ma, come sempre, si tratta di scelte e priorità. In tutti gli ambiti se non si è disposti a determinati sacrifici occorre in qualche modo pagarne
il prezzo. Il costo è alto per tutti, nessuno escluso. Ma poi le lamentele non sono più accettabili o legittime. È importante scegliere, nell’emergenza, una direzione, senza tuttavia dimenticare le altre. Le scelte difficili sono i passi che devono guardare al passato e al futuro per affrontare il presente.
Nessuna soluzione?
In sostanza, un mondo molto complesso, interconnesso su tantissimi livelli diversi fra loro, che rende difficili le decisioni, smentendo puntualmente chi “la fa facile”, promettendo soluzioni rapide, indolori, ideali per tutti. La realtà è molto diversa. Corretto cercare di ridurre le dipendenze, illusorio pensare di eliminarle, sbagliato vendere ipotetiche soluzioni nuove con faciloneria. In realtà tutti siamo chiamati a fare sacrifici e sarebbe sbagliato e pericoloso limitarsi interrompendo o limitando determinate attività aziendali, considerate troppo energivore. Sarebbe un messaggio doppiamente sbagliato, economicamente e socialmente. All’interno di un equilibrio fortemente delicato, sottovalutare o colpire un solo tassello innescherebbe quell’effetto a domino che avremmo già dovuto apprendere durante la fase più dura della pandemia e non dimenticato da molti imprenditori che, ancora oggi, stanno lottando per riattivare e sostenere le proprie attività, collaboratori compresi. Dal punto di vista economico perché minaccerebbe molti posti di lavoro e porrebbe limiti ulteriori a determinati approvvigionamenti, rendendo di conseguenza le dipendenze l’unica via di uscita. È proprio la tendenza che stiamo faticosamente cercando di contrastare. Dal punto di vista sociale perché si proporrebbe nuovamente una spaccatura fra economia e cittadine e cittadini, quando in realtà l’economia siamo tutti noi, nessuno escluso. Le intenzioni interconnesse per una soluzione ottimale deve comprendere tutte le parti sociali. È illusorio pensare, o anche solo immaginare, che una sola parte della nostra società possa, da sola, risolvere le difficoltà di una collettività.
Sottolineando che i sacrifici li deve fare sempre e solo qualcun altro, non risolve alcun problema e rischia di aprire nuovamente una diatriba che speravamo fosse stata accantonata e compresa molto bene. È chiaro che si possano e debbano prevedere dei sacrifici commisurati ai diversi contesti, ma il messaggio deve prevalere sul populismo: tutti devono essere chiamati a contribuire al superamento delle difficoltà che coinvolgono il Paese. È questo l’atteggiamento che diventa vincente in ogni presente e futuro contesto. Creando e spiegando una coerenza e responsabilità sociale nella sua interezza è certamente una forza sulla quale potremo contare anche nelle sfide future. La coesione delle parti, il rispetto reciproco e lo stesso intento rappresentano la differenza.
Telelavoro dei frontalieri: accordo amichevole tra Svizzera e Italia
/in Diritto, Fiscalità, Internazionale, Tematiche, VariaIn una dichiarazione congiunta di Italia e Svizzera del 22 luglio 2022, le autorità competenti dei due Paesi hanno convenuto che l’accordo amichevole del 18/19 giugno 2020 per evitare la doppia imposizione del reddito da lavoro dipendente percepito all’estero continuerà ad applicarsi al telelavoro.
Le autorità competenti italiana e svizzera si manterranno in stretto contatto e torneranno a consultarsi entro la fine del mese di ottobre 2022.
La dichiarazione congiunta di Italia e Svizzera in merito all’accordo amichevole del 18-19 giugno 2020 può essere consultata qui: Convenzioni per evitare le doppie imposizioni Svizzera – Italia | AFC (admin.ch) – pto. III Accordo amichevole.
Algoritmi avanzati per migliorare le supply chain
/in Internazionale, Tematiche, VariaSe ne parla tanto, ma in realtà sono ancora poco utilizzate dalle aziende: parliamo dell’intelligenza artificiale e della blockchain. Eppure sono proprio queste tecnologie a migliorare nettamente la pianificazione e la gestione delle crisi nelle catene di approvvigionamento.
La pandemia e la guerra in Ucraina hanno dimostrato la rapidità con cui le supply chain globalizzate subiscono interruzioni e rotture, con conseguenze quali scaffali vuoti nei negozi da un lato e magazzini sovraccarichi nelle aziende dall’altro. La diversificazione dei fornitori aiuta, ma a lungo termine è soprattutto la trasparenza a fare la differenza: le catene di approvvigionamento sono sempre più collegate in rete e, per gestire correttamente i flussi di merci, è necessario essere in grado di controllarle in qualsisi momento e in ogni fase.
Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso una digitalizzazione coerente. Due tecnologie, in particolare, sono molto utili per la filiera: l’intelligenza artificiale (IA) e la blockchain.
Quando si parla di IA, è quasi immediato pensare agli androidi, mentre in realtà si tratta di un insieme di software basati su algoritmi che replicano il ragionamento umano e sono in grado di analizzare enormi quantità di dati in tempi brevi, di migliorarsi continuamente, di prendere decisioni e in sostanza di risolvere problemi. Nell’ambito della supply chain, l’IA può analizzarne la situazione sulla base dei dati ricevuti dal suo monitoraggio digitale, fornendo quindi suggerimenti per migliorarne la logistica, facendo previsioni e creando persino piani alternativi.
Le supply chain stanno diventando sempre più complesse
La logistica può essere molto delicata. Prendiamo l’esempio degli alimenti o dei prodotti sostenibili per la cura della persona: in entrambi i casi, la base è costituita da materie prime prodotte solo a intermittenza e spesso deperibili. A complicare ulteriormente le cose vi sono le richieste dei clienti, in rapida evoluzione e personalizzate, per non parlare degli effetti a lungo termine della pandemia e della guerra in Ucraina. Tutto ciò rende le reti della supply chain estremamente complesse. Una singola persona può difficilmente tenerle sotto controllo ed anche i pianificatori logistici più esperti stanno raggiungendo i limiti delle loro capacità perché la quantità di dati generata dalle supply chain è enorme. Così, fave di cacao, carne cruda, frutta, piante medicinali, miele, latte, oli essenziali e simili rischiano di rimanere a lungo nei container e di marcire.
Attraverso gli algoritmi di intelligenza artificiale è invece possibile monitorare l’intera attività: essi riescono infatti a coordinare meglio e più velocemente i singoli processi all’interno delle catene di approvvigionamento, stimano l’evoluzione delle attività e pianificano la produzione di materie prime verificando nel contempo le scorte in magazzino e i percorsi e i tempi di consegna. Gli algoritmi tengono anche conto della durata di conservazione della merce nonché della quantità necessaria per la realizzazione del prodotto finale, rilevano inoltre molto rapidamente possibili colli di bottiglia e possono anticipare zone di interruzione, definendo punti di trasbordo meno congestionati e calcolando percorsi alternativi. Ciò consente da un lato di risparmiare tempo e dall’altro di evitare che le delicate merci trasportate deperiscano.
Facilitare il processo decisionale
È proprio in occasione di ingorghi imprevisti e/o di cambiamenti improvvisi dei tempi di attesa, che l’elaborazione rapida e fondata di scenari alternativi si rivela importante. Più dati vengono presi in considerazione, migliori sono le soluzioni – e solo l’IA può elaborare big data ad alta velocità.
Numerosi altri fattori possono inoltre entrare in gioco, primi fra tutti il rapido aumento delle richieste dei clienti, le loro nuove preferenze in merito ai prodotti e quindi il loro cambiamento nel comportamento d’acquisto. Grazie all’IA tutte queste condizioni possono essere prese in considerazione in tempo utile per adeguare tempestivamente l’approvvigionamento delle materie prime e la produzione di prodotti finiti. In breve, gli algoritmi sono in grado di fornire rapidamente ai responsabili della logistica suggerimenti e previsioni fondati che facilitano enormemente il processo decisionale.
Il trasferimento sicuro delle informazioni
La seconda tecnologia utile alle supply chain è la blockchain. La blockchain è una serie concatenata di blocchi (da cui il suo nome) carichi di informazioni, ordinati cronologicamente e la cui integrità è garantita da un algoritmo crittografico che li lega ai precedenti. Una volta inseriti all’interno dei blocchi, i dati non possono più essere modificati senza che vengano invalidati tutti i processi successivi. Molti l’associano al bitcoin e all’ambito finanziario, ma in realtà la blockchain può essere applicata a molti altri settori e si presta alla condivisione rapida, sicura, efficiente e trasparente, con tutti gli attori della filiera, delle informazioni sulla catena di approvvigionamento e sugli scenari calcolati in precedenza dall’IA.
Tracciabilità, risparmio e certezza
Quando la blockchain viene combinata con l’Internet of Things (IoT), e ad esempio con sensori che misurano le scorte di materie prime o con robot mobili e altri elementi automatizzati in magazzino, gli attori della supply chain beneficiano di tre vantaggi principali:
In sostanza: un supply chain management intelligente
L’abbiamo letto poc’anzi: un delle sfide più grandi della supply chain è quella di ottenere in tempo reale una visione trasparente e completa della filiera, così da facilitare e velocizzare il processo decisionale e assicurare un servizio efficiente nonché una consegna rapida al cliente. Tecnologie come l’intelligenza artificiale e la blockchain, combinate con l’IoT, ricoprono un ruolo chiave in termini di produttività, riduzione dei rischi, agilità, tracciabilità, fiducia e, in sostanza, nella gestione intelligente della filiera.
Percorsi formativi con attestato Cc-Ti: i primi diplomati
/in Appuntamenti, Formazione puntualeSi sono svolti a fine primavera 2022 gli esami dei percorsi formativi Cc-Ti, che la nostra associazione ha proposto in alcuni ambiti. Nello specifico si sono concretizzati i percorsi relativi al “Diritto del lavoro” e alla “Vendita”.
Si tratta di corsi di formazione costituiti da più moduli interconnessi che possono, però, essere frequentati anche singolarmente. Coloro che seguono la formazione completa
hanno la possibilità di sostenere un esame finale e, al superamento dello stesso, viene rilasciato un attestato Cc-Ti.
Generalmente i percorsi si declinano su 5-8 moduli. Avendo l’opportunità di frequentare anche solo alcuni dei temi proposti nel percorso, lo stesso può essere gestito secondo le singole esigenze personali e aziendali. Proposte che abbiamo aggiunto alla nostra, già variegata, formazione continua e che rispondono alle crescenti e in continua mutazione competenze richieste dal mondo lavorativo.
In questo articolo vi proponiamo 3 brevi testimonianze di partecipanti che hanno ottenuto l’attestato in “Diritto del lavoro” e, cambiando prospettiva, dei docenti che si sono occupati del percorso della “Vendita”.
Benedetta Landoni, Ticicom SA
Da alcuni mesi la Cc-Ti propone nuovi percorsi formativi costituiti da più moduli interconnessi che possono essere frequentati anche singolarmente. Lei ha completato il ciclo dedicato al “Diritto del lavoro”, superando l’esame finale. Come è andata? Quali le sue impressioni?
Ho da poco concluso, con molta soddisfazione, il percorso dedicato al “Diritto del Lavoro” iniziato a settembre 2021 e devo dire che il corso, sia se seguito nella sua interezza che partecipando solo a singoli moduli, è complessivamente ben organizzato e strutturato. Dal punto di vista dei contenuti tutte le tematiche sono state trattate in maniera esaustiva grazie alla competenza, alla preparazione e aggiungerei anche all’esperienza delle docenti. Con esempi pratici ed esercitazioni di gruppo è stato possibile chiarire dubbi anche sulle questioni più controverse e, contestualmente, alternare la parte teorica con quella pratica. Aggiungo che la modalità online, sebbene personalmente preferisca sempre essere in presenza, ha sicuramente facilitato la frequenza permettendomi di conciliare il momento formativo con le attività lavorative. Complessivamente ritengo che il corso riesca a fornire a responsabili e collaboratori HR tutti gli strumenti per poter orientarsi tra le diverse problematiche relative alla gestione delle risorse umane e le questioni giuridiche ad essa connesse.
Roberta Oltolina, Parametric Design Suisse
Il percorso formativo era composto da moduli distinti che trattavano argomenti specifici. Cosa riporterà nel suo quotidiano in azienda di quanto appreso?
Lo scopo era quello di confermare e aggiornare determinate conoscenze già acquisite e l’obiettivo è stato raggiunto. Mi sono personalmente acculturata con argomenti che avevo solo sfiorato nel mio ambito lavorativo. Sicuramente mi serviranno per svolgere al meglio il mio ruolo interagendo con il personale ed essendo di supporto al Direttore del Dipartimento HR.
Francesca Spaini, Humabs BioMed SA
Un percorso del genere è anche un’occasione per intrecciare nuove relazioni e fare networking. In che modo ha potuto beneficiarne (visto il gruppo eterogeneo di partecipanti)?
Il percorso Cc-Ti in diritto del lavoro è stata un’ottima occasione per conoscere colleghe e colleghi provenienti da contesti lavorativi eterogenei, e quindi estremamente arricchente per chiunque lavori nell’ambito delle risorse umane. Sarebbe stato sicuramente utile e ancor più coinvolgente poter condividere anche delle lezioni in presenza, ma è stato molto pratico e time-saving poter seguire le lezioni in remoto dal proprio ufficio o da casa, senza per questo perdere in qualità. Consiglio vivamente questo percorso anche per la competenza delle docenti.
La voce dei docenti: Stefano Bosia ed Andrea Carlesso
Selling Revolution: 2°edizione percorso formativo con attestato Cc-Ti e Associazione vendita svizzera
Presentato per la prima volta nel 2022 in forma totalmente digitale, i favorevoli commenti dei partecipanti hanno invitato a riproporre una seconda edizione. Partendo da basi e tecniche consolidate consente a chiunque, a contatto con il cliente, di acquisire il giusto mindset per trasformarsi in un ottimo venditore. Dal prospecting alla cura del cliente, il corso tocca ogni aspetto della fase di vendita, senza perdere di vista il processo di acquisto, sempre più importante nel determinare la scelta dei partner commerciali.
Composto da 6 moduli, frequentabili anche separatamente, termina con un esame finale riservato a chi ha frequentato l’intero percorso.
Ai partecipanti offre un taglio molto pratico affinché, partendo da basi teoriche, consenta a ognuno di inserire nel proprio processo le tecniche per migliorare le proprie performance di vendita. Attraverso tecniche comprovate basate sul continuo aggiornamento e sull’esperienza dei relatori e sulla messa in pratica delle più recenti teorie e ricerche delle migliori università, lavoreremo sulle sei fasi del processo di vendita di successo. Saremo così in grado di avere una panoramica dell’intero processo e comprendere le due diverse prospettive: quella del venditore e quella dell‘acquirente. In questo modo potremo individuare dove si trova l’acquirente nel processo decisionale e cosa possiamo concretamente fare per guidare la vendita in ogni fase e convincere (vincere insieme) il cliente della bontà della sua scelta: noi! Al termine del percorso ogni partecipante avrà elaborato il proprio kit personale di strumenti e tecniche di vendita e una tabella di marcia per sviluppare abitudini significative e durature.
In conclusione
Investire in modo costante nella formazione dei propri collaboratori è una delle migliori azioni concrete da attuare per contare su risorse umane qualificate e fidelizzarle. Un progetto win-win.
Tutti i programmi dei corsi di formazione puntuale Cc-Ti sono consultabili su www.cc-ti.ch/formazione. Inoltre vi segnaliamo i nuovi percorsi per l’autunno 2022: Competenze nel diritto del lavoro con attestato Cc-Ti e Selling Revolution! II Edizione: percorso formativo con attestato Cc-Ti.
2035: (e)missione zero
/in Sostenibilità, TematicheLa deadline sulla fine dei motori termici a scoppio, benzina e diesel in Europa è stata tracciata dalla Commissione Europea che con il pacchetto “Fit for 55” ha indicato la data: sarà il 2035 l’anno in cui non saranno più vendute auto a benzina, diesel, metano e pure ibride.
A questa fatidica data mancano ormai meno di 14 anni, ma molte case automobilistiche hanno deciso di anticiparla anche perché con una scadenza così ravvicinata non ha più senso investire nei motori a combustione interna e con le risorse, sempre più esigue a causa della crisi del settore automobilistico, che sono tutte investite nello sviluppo della mobilità elettrica. La notizia è quindi così eclatante? In primo luogo, i ministri dell’ambiente UE si devono ancora chinare sulla decisione e prendere posizione in merito. È possibile che vengano ancora apportate delle modifiche come, per esempio, l’apertura ai combustili sintetici o all’idrogeno come carburante per motori a scoppio. In secondo luogo, nel 2035 quanti modelli con motore a benzina o diesel saranno in listino per le varie marche? La notizia non è quindi assolutamente sconvolgente.
Dal punto di vista dei costruttori…
Per le fabbriche, a detta degli esperti del settore, tutto sommato questa decisione gioca a loro favore. Con un termine di così corto (lo sviluppo di nuove tecnologie richiede anni) e con la spada di Damocle delle prossime norme antinquinamento EURO7 assai più severe per quanto concerne le emissioni dei motori a combustione interna, si concentreranno sullo sviluppo e la produzione di auto a trazione elettrica. Allo stesso tempo ridurranno sicuramente la gamma di modelli proposti per ogni marca e passeranno alla produzione su ordinazione mettendosi alle spalle anni di sovrapproduzioni che hanno portato anche un abbassamento dei prezzi delle auto nuove vendute (vedi per esempio Km0 o promozioni importanti). Con questo cambio di mentalità, unito anche alla commercializzazione diretta online da parte dei costruttori di auto, vedranno i loro margini crescere in maniera importante. Questo non andrà però a favore dei lavoratori e, soprattutto dei subfornitori di componenti per il settore automotive. Quest’ultimo punto toccherà in maniera importante anche la Svizzera dove risiedono diverse aziende produttrici di componenti ad alto contenuto tecnologico. Per i primi si prospettano licenziamenti di massa a causa della riduzione di produzione delle fabbriche, per i secondi, grazie alla minore necessità di componenti delle auto totalmente elettriche, una drastica riduzione del lavoro con inevitabili chiusure e cessazioni di attività. Naturalmente, per esempio, in ambito di sviluppo e fabbricazione delle batterie per l’autotrazione si apriranno nuove opportunità, ma queste non saranno sufficienti per assorbire tutti gli esuberi del settore.
…e da quello dell’automobilista
Una cosa va chiarita: chi nel 2035 sarà ancora in possesso di un’auto a benzina, a diesel o a metano, potrà continuare ad usarla anche oltre questa data. Magari utilizzando carburanti sintetici oggi in fase di sviluppo che promettono una neutralità nelle emissioni di CO2 grazie al recupero della CO2 presente nell’aria. Alcune marche tra le quali Porsche e BMW stanno investendo somme importanti in questo settore. Chi nei prossimi anni dovrà acquistare una nuova automobile più ci si avvicinerà al 2035 avrà meno scelta tra modelli e motorizzazioni. Già diversi costruttori hanno annunciato che toglieranno dai loro listini ben prima del 2035 le auto benzina o diesel. Opel, per esempio, ha dichiarato apertamente che l’intera gamma di modelli sarà completamente elettrica entro il 2028. Un rischio reale sarà poi quello della sparizione quasi totale delle auto utilitarie. Costruire vetture elettriche di bassa gamma sarà poco redditizio in quanto il costo elevato delle batterie le renderebbe troppo costose e quindi invendibili. Ad andarci di mezzo potrebbe quindi essere quella parte di popolazione più debole che oggi può permettersi una vettura perché il prezzo d’acquisto è sostenibile, ma domani con l’aumento dei costi d’acquisto dovrà rinunciare ad avere una vettura in famiglia. Non va poi sottovalutato l’aspetto dell’infrastruttura di ricarica. Per poter essere utilizzata in maniera efficiente e conveniente un’auto elettrica deve poter essere ricaricata presso il proprio domicilio o presso il datore di lavoro. Affidandosi unicamente alla rete pubblica, tra l’altro oggi ancora largamente insufficiente, l’utilizzo dell’auto risulterebbe macchinoso e poco conveniente.
Dal punto di vista delle autorità politiche
La sfida più grande legata alla decisione dell’UE di vietare dal 2035 la vendita di auto a benzina o diesel spetta alle autorità politiche di ogni paese. Cominciando dall’approvvigionamento di energia elettrica. Già oggi non è più un tabù parlare di blackout elettrico, cosa succederà quando gran parte delle auto necessiteranno di una presa per la ricarica? Non meno importante sarà il potenziamento della rete di distribuzione. Anche in questo caso non siamo pronti. Collegare molte auto alla rete di distribuzione elettrica nello stesso momento comporta un picco di potenza richiesta che metterà in crisi la distribuzione di energia elettrica. La messa in funzione poi di un numero adeguato di colonnine di ricarica pubblica nei luoghi strategici come lungo le autostrade o nei parcheggi pubblici è pure un obiettivo che va perseguito iniziando già da oggi.
Uber: contratti di lavoro e prestito di personale?
/in Diritto, TematicheUna scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Di recente il Tribunale federale si è occupato di due casi concernenti il sistema di trasporto Uber, ormai a tutti più o meno noto. Di cosa si tratta concretamente? Uber mette a disposizione un servizio di trasporto privato mediante una semplice app dello smart phone. Con questo sistema è possibile inviare una richiesta di trasporto che viene automaticamente inoltrata ad un autista ubicato nelle vicinanze del richiedente. Questo sistema mette quindi in contatto diretto passeggeri e autisti, i quali vengono avvisati tramite geolocalizzazione dell’ubicazione del cliente. Una variante di questo sistema riguarda la consegna di pasti. In questo caso il servizio concerne la consegna di un pasto preparato da un ristorante ad un cliente che rimane a casa sua. Questa seconda variante (Uber eats) implica pertanto, a differenza del semplice trasporto passeggeri, un rapporto a tre: autista, ristorante e cliente.
Le citate sentenze del Tribunale federale (2C_575/2020, 2C_34/2021) si riferiscono a situazioni venutesi a creare a Ginevra. Nel primo caso si è trattato del servizio “ordinario” di trasporto di passeggeri. Le autorità ginevrine, in questa prima fattispecie hanno valutato che il sistema Uber doveva essere qualificato alla stregua di un’impresa di trasporto ai sensi della legge cantonale sui taxi e i mezzi di traporto e come tale doveva rispettare tutti gli obblighi legali, inclusi quelli relativi alla protezione sociale e alle condizioni lavorative degli autisti. Il Tribunale federale ha confermato questa interpretazione sottolineando che tra i conducenti e Uber vengono conclusi dei veri e propri contratti di lavoro e che la relativa struttura operativa deve essere qualificata come azienda di trasporto, con tutti gli obblighi che ne conseguono. Nel caso della consegna dei pasti i giudici, trattandosi, come già indicato, di un rapporto a tre, hanno dovuto inoltre valutare se il sistema messo in atto non configurasse un prestito di personale, attività che soggiace a chiare e rigorose norme di legge. Lo stesso Ufficio cantonale ginevrino del lavoro aveva considerato in prima istanza che il servizio di consegna pasti ricadeva sotto tale definizione, nel senso che Uber metteva a disposizione dei ristoranti personale per la consegna del cibo ai propri clienti. Prestito di personale insomma, non permesso senza le necessarie autorizzazioni. Su questo punto il Tribunale federale è però giunto ad una diversa conclusione. Pur essendoci un rapporto di lavoro tra Uber eats e i singoli corrieri non vi è alcuna fornitura di personale ai ristoranti.
Il Tribunale federale ha sottolineato che nella fornitura di tale servizio non vi era infatti alcuna trasmissione ai ristoratori del diritto di dare istruzioni ai corrieri, i quali non venivano inoltre integrati nell’organigramma del ristorante. Nessun prestito di personale quindi, e nessuna violazione della Legge federale sul collocamento e il personale a prestito.