Le direttive RoHS II e RAEE della Commissione europea limitano l’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche per proteggere la salute dei consumatori e l’ambiente e promuovono il recupero e lo smaltimento ecocompatibile dei rifiuti di tali apparecchiature. Le aziende estere che operano nell’UE sono tenute a rispettarle.
Nello specifico, la direttiva RoHS II (dall’inglese Restriction of Hazardous Substances Directive, 2011/65/UE) interviene nelle fasi di progettazione e produzione di vari tipi di apparecchiature elettriche ed elettroniche limitando l’uso di determinate sostanze pericolose quali il piombo, il mercurio, il cadmio, il cromo esavalente, i bifenili polibromurati (PBB) e l’etere di difenile polibromurato (PBDE) allo scopo di proteggere la salute dei consumatori e l’ambiente.
La direttiva RAEE (o WEEE dall’inglese Waste Electrical and Electronic Equipment, 2012/19/UE) regolamenta invece la gestione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche giunte in fin di vita (e considerati quindi come rifiuti), promuovendone il recupero e lo smaltimento ecocompatibile.
Chi fabbrica, distribuisce o vende apparecchiature elettriche ed elettroniche è tenuto al rispetto di queste normative. Quali apparecchiature sono effettivamente toccate da queste direttive? A quali obblighi devono adempiere produttori e importatori che intendono immettere sul mercato europeo tali apparecchiature?
Per rispondere a queste domande Switzerland Global Enterprise, l’organizzazione ufficiale svizzera per la promozione delle esportazioni e della piazza economica, ha stilato due pratiche factsheet (ad oggi disponibili solo in inglese, francese e tedesco).
La recente comunicazione della Commissione federale dell’energia elettrica (ElCom), secondo cui dobbiamo prepararci a un’eventuale penuria di corrente, non fa che confermare quanto la situazione in campo energetico sia delicata.
Conflitto russo-ucraino, interruzione dell’erogazione di gas, siccità costituiscono un mix ad alto rischio. La valutazione dell’El-Com è ovviamente inquietante benché non sorprendente e mette chiaramente in chiaro quanto gli equilibri nel campo dell’energia siano delicati e legati a dinamiche eternogenee, fra le quali, non di meno, quelle internazionali. Da una parte vi è l’interdipendenza di una moltitudine di fattori interni (come il livello dei laghi artificiali e la manutenzione delle centrali nucleari), dall’altra parte la dipendenza da quanto avviene sullo scenario internazionale (non solo il gas, ma anche le centrali nucleari francesi ad esempio). Il fattore geopolitico in mutamento sia continuo che preoccupante, esige una politica pronta alla flessibilità e mutazione in tempi brevi e volta a coniugare le legittime pluralità ed esigenze delle posizioni sociali. Il Consiglio federale ha comunicato che sta valutando, con attenzione, la situazione e che darà indicazioni più precise entro fine agosto. Bene, prendiamo atto fiduciosi, anche se le prime, provvisorie indicazioni non ci permettono di esserlo pienamente, visto che apparentemente si lavora soprattutto su scenari che andrebbero a colpire principalmente e in primo luogo, le aziende, obbligandole a una riduzione dell’indice produttivo, limitandone significativamente le attività. Non è pragmaticamente corretto pensare di poter scindere, nuovamente, l’economia dai cittadini. In più occasioni abbiamo sottolineato come alcune risoluzioni settoriali, mettano a grave rischio la serenità delle persone che, proprio da queste attività dipendono. Ci siamo messi alle spalle l’effetto “domino” delle chiusure in pandemia? Per memoria storica, non più di un anno fa, abbiamo potuto, purtroppo, constatare il costo umano e finanziario di scelte di parte.
Quali insegnamenti?
L’illusione di una scelta di transizione energetica unilaterale, tra eolica e solare, sta tramontando. Si tratta di vettori indubbiamente strategici per il futuro e da promuovere con decisione, ma oggi non ancora sufficienti per sostituire completamente i combustibili fossili. E saranno comunque necessari investimenti di proporzioni enormi e tempi di realizzazione lunghi per arrivare a un “Green Deal” energetico. Magari alleggerendo un po’ anche le procedure che oggi impongono tempi eccessivamente lunghi per alzare le dighe (procedura di per sé già impegnativa anche dal punto di vista logistico), o per prevedere pale eoliche o coperture fotovoltaiche massicce in talune valli. È indicativo che l’Unione europea, quasi per magia e ammettendo di fatto la difficoltà della transizione energetica, qualche settimana fa abbia improvvisamente stabilito prodotta con il gas sono “verdi ”. Forse meglio delle centrali che l’energia nucleare e quella a carbone che Francia e Germania si trovano costrette, frettolosamente, a dover riattivare…
Le dipendenze sono sempre tortuose
Si fa presto a dire che occorre ridurre la dipendenza dall’energia fossile. Si dimentica però spesso che le implicazioni sono molteplici. Il primo ragionamento di utilizzo va a quello pratico quotidiano che tutti conosciamo e utilizziamo. Ma i materiali sono le fondamenta di molteplici altri funzionamenti che, senza accorgerci, utilizziamo con disinvoltura e senza troppe riflessioni sulle loro componenti base. Ad esempio, rinunciare al petrolio come fonte energetica è un’operazione delicata e per niente scontata, perché dal greggio non si ricavano soltanto benzina, gasolio e olio combustibile, che a tutt’oggi muovono i trasporti privati e pubblici e riscaldano gran parte degli edifici privati e pubblici in tutto il mondo. Esso serve anche per produrre oli lubrificanti, paraffina, asfalto, catrame e i polimeri, ossia la maggior parte delle materie plastiche indispensabili, ad esempio, nell’edilizia, nell’industria e nella distribuzione commerciale. Quali alternative? Ricerca e innovazione su materiali alternativi, ma anche questo non si realizza da un giorno all’altro, ma richiedono anni di ricerche che richiedono investimenti corposi. La garanzia di un risultato sostenibile e pratico non è sempre scontata e così, bisogna continuare o, a volte, ricominciare. La fretta non è compresa certamente in questi percorsi e neanche la copertura infinita finanziaria, che spesso, nel frattempo deve invece coprire altre esigenze sociali prevalenti.
La realtà è il punto di partenza
La dipendenza energetica o dalle materie prime in generale sembra a volta un argomento un po’ astratto concernente, in prevalenza, i massimi sistemi. Con una facile riflessione è però facile comprendere come in realtà vi siano risvolti concreti sulla vita quotidiana di tutti. Prendiamo il caso del caro a tutti, telefono cellulare.
Sciences Avenir – «Les éléments chimiques qui composent nos smartphones»
Come si può vedere nell’immagine, un IPhone è composto da circa una quarantina di elementi, fra metalli rari, semimetalli e altri. Dai più conosciuti come il cobalto, il litio, l’alluminio, il rame, il piombo e il fosforo, ad altri dai nomi più esotici (almeno per i profani) come il gallio, l’indio e il gadolinio. Materie estratte nei paesi più disparati, anche se, in media il 54% della produzione mondiale è in mano cinese. Per alcune materie si raggiunge anche l’80%. La dipendenza delle importazioni europee da fornitori come la Cina o il Congo varia da un 30% per il cobalto al 100% per il magnesio. Già abbiamo sottolineato più volte come la Cina controlli anche oltre il 90% del mercato globale dei pannelli fotovoltaici. Analogo discorso vale pure per la tanto decantata svolta elettrica del parco dei veicoli. Anche in questo ambito, ca. il 90% della produzione mondiale di terre rare, leggere e pesanti, indispensabili per tali mezzi di trasporto, è di origine cinese. Cerio, lantanio, zirconio, neodimio, europio, ittrio, disprosio, praseodimio, terbio, tutti metalli che confluiscono nella produzione di un’automobile elettrica o ibrida, il doppio di una vettura a benzina. In particolare, per le batterie dei veicoli elettrici, è essenziale il cobalto, soprattutto per gli accumulatori di nuova generazione, prodotto anch’esso, nella misura del 71%, da Cina e Congo. Alternative dal Canada e dall’Australia sono insufficienti. Così come non è trascurabile il fatto che la Russia sia anche un Paese leader nelle forniture di palladio e rodio indispensabili nell’industria automobilistica. Senza dimenticare che la produzione di semiconduttori dipendeva in buona parte anche dal gas neon che arrivava da Mariupol e Odessa. Interi popoli in grave emergenza da dipendenze vitali e che sottolineano come solo un pensiero evolutivo sociale, nella sua interezza e che non dimentichi le interdipendenze sul campo, possa fare fronte alle sfide mondiali. Una Russia che insieme all’Ucraina assicurava il 28% del grano, il 29% dell’orzo, il 15% del mais e il 75% dell’olio di girasole che si consumano a livello mondiale ha inevitabilmente e pericolosamente sconvolto l’agenda delle priorità e messo in evidenza la fragilità dei sistemi. Cambiare le tendenze non può funzionare in tempi brevi. Non siamo pronti. Non abbiamo pensato, per molto tempo, di doverci preparare in tempi brevi. Va preso atto di questa ovvietà per costruire una politica seria in ambito energetico e di approvvigionamento generale. Soluzioni ve ne sarebbero in teoria, visto che ad esempio la zona dell’Extremadura in Spagna è ricca di litio e di cobalto, ma la popolazione si oppone all’estrazione. Scelta legittima, come sono legittime le proteste in Finlandia contro le già esistenti miniere di estrazione del cobalto, per l’impatto ecologico. Ma, come sempre, si tratta di scelte e priorità. In tutti gli ambiti se non si è disposti a determinati sacrifici occorre in qualche modo pagarne il prezzo. Il costo è alto per tutti, nessuno escluso. Ma poi le lamentele non sono più accettabili o legittime. È importante scegliere, nell’emergenza, una direzione, senza tuttavia dimenticare le altre. Le scelte difficili sono i passi che devono guardare al passato e al futuro per affrontare il presente.
Nessuna soluzione?
In sostanza, un mondo molto complesso, interconnesso su tantissimi livelli diversi fra loro, che rende difficili le decisioni, smentendo puntualmente chi “la fa facile”, promettendo soluzioni rapide, indolori, ideali per tutti. La realtà è molto diversa. Corretto cercare di ridurre le dipendenze, illusorio pensare di eliminarle, sbagliato vendere ipotetiche soluzioni nuove con faciloneria. In realtà tutti siamo chiamati a fare sacrifici e sarebbe sbagliato e pericoloso limitarsi interrompendo o limitando determinate attività aziendali, considerate troppo energivore. Sarebbe un messaggio doppiamente sbagliato, economicamente e socialmente. All’interno di un equilibrio fortemente delicato, sottovalutare o colpire un solo tassello innescherebbe quell’effetto a domino che avremmo già dovuto apprendere durante la fase più dura della pandemia e non dimenticato da molti imprenditori che, ancora oggi, stanno lottando per riattivare e sostenere le proprie attività, collaboratori compresi. Dal punto di vista economico perché minaccerebbe molti posti di lavoro e porrebbe limiti ulteriori a determinati approvvigionamenti, rendendo di conseguenza le dipendenze l’unica via di uscita. È proprio la tendenza che stiamo faticosamente cercando di contrastare. Dal punto di vista sociale perché si proporrebbe nuovamente una spaccatura fra economia e cittadine e cittadini, quando in realtà l’economia siamo tutti noi, nessuno escluso. Le intenzioni interconnesse per una soluzione ottimale deve comprendere tutte le parti sociali. È illusorio pensare, o anche solo immaginare, che una sola parte della nostra società possa, da sola, risolvere le difficoltà di una collettività.
Sottolineando che i sacrifici li deve fare sempre e solo qualcun altro, non risolve alcun problema e rischia di aprire nuovamente una diatriba che speravamo fosse stata accantonata e compresa molto bene. È chiaro che si possano e debbano prevedere dei sacrifici commisurati ai diversi contesti, ma il messaggio deve prevalere sul populismo: tutti devono essere chiamati a contribuire al superamento delle difficoltà che coinvolgono il Paese. È questo l’atteggiamento che diventa vincente in ogni presente e futuro contesto. Creando e spiegando una coerenza e responsabilità sociale nella sua interezza è certamente una forza sulla quale potremo contare anche nelle sfide future. La coesione delle parti, il rispetto reciproco e lo stesso intento rappresentano la differenza.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-ENERGIA.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-07-26 08:55:552022-07-27 09:30:40La volontà è la forza motrice
In una dichiarazione congiunta di Italia e Svizzera del 22 luglio 2022, le autorità competenti dei due Paesi hanno convenuto che l’accordo amichevole del 18/19 giugno 2020 per evitare la doppia imposizione del reddito da lavoro dipendente percepito all’estero continuerà ad applicarsi al telelavoro.
Le autorità competenti italiana e svizzera si manterranno in stretto contatto e torneranno a consultarsi entro la fine del mese di ottobre 2022.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-Telelavoro-frontalieri-svizzera-italia.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-07-22 14:00:002022-07-27 09:35:15Telelavoro dei frontalieri: accordo amichevole tra Svizzera e Italia
Se ne parla tanto, ma in realtà sono ancora poco utilizzate dalle aziende: parliamo dell’intelligenza artificiale e della blockchain. Eppure sono proprio queste tecnologie a migliorare nettamente la pianificazione e la gestione delle crisi nelle catene di approvvigionamento.
La pandemia e la guerra in Ucraina hanno dimostrato la rapidità con cui le supply chain globalizzate subiscono interruzioni e rotture, con conseguenze quali scaffali vuoti nei negozi da un lato e magazzini sovraccarichi nelle aziende dall’altro. La diversificazione dei fornitori aiuta, ma a lungo termine è soprattutto la trasparenza a fare la differenza: le catene di approvvigionamento sono sempre più collegate in rete e, per gestire correttamente i flussi di merci, è necessario essere in grado di controllarle in qualsisi momento e in ogni fase.
Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso una digitalizzazione coerente. Due tecnologie, in particolare, sono molto utili per la filiera: l’intelligenza artificiale (IA) e la blockchain.
Quando si parla di IA, è quasi immediato pensare agli androidi, mentre in realtà si tratta di un insieme di software basati su algoritmi che replicano il ragionamento umano e sono in grado di analizzare enormi quantità di dati in tempi brevi, di migliorarsi continuamente, di prendere decisioni e in sostanza di risolvere problemi. Nell’ambito della supply chain, l’IA può analizzarne la situazione sulla base dei dati ricevuti dal suo monitoraggio digitale, fornendo quindi suggerimenti per migliorarne la logistica, facendo previsioni e creando persino piani alternativi.
Le supply chain stanno diventando sempre più complesse
La logistica può essere molto delicata. Prendiamo l’esempio degli alimenti o dei prodotti sostenibili per la cura della persona: in entrambi i casi, la base è costituita da materie prime prodotte solo a intermittenza e spesso deperibili. A complicare ulteriormente le cose vi sono le richieste dei clienti, in rapida evoluzione e personalizzate, per non parlare degli effetti a lungo termine della pandemia e della guerra in Ucraina. Tutto ciò rende le reti della supply chain estremamente complesse. Una singola persona può difficilmente tenerle sotto controllo ed anche i pianificatori logistici più esperti stanno raggiungendo i limiti delle loro capacità perché la quantità di dati generata dalle supply chain è enorme. Così, fave di cacao, carne cruda, frutta, piante medicinali, miele, latte, oli essenziali e simili rischiano di rimanere a lungo nei container e di marcire.
Attraverso gli algoritmi di intelligenza artificiale è invece possibile monitorare l’intera attività: essi riescono infatti a coordinare meglio e più velocemente i singoli processi all’interno delle catene di approvvigionamento, stimano l’evoluzione delle attività e pianificano la produzione di materie prime verificando nel contempo le scorte in magazzino e i percorsi e i tempi di consegna. Gli algoritmi tengono anche conto della durata di conservazione della merce nonché della quantità necessaria per la realizzazione del prodotto finale, rilevano inoltre molto rapidamente possibili colli di bottiglia e possono anticipare zone di interruzione, definendo punti di trasbordo meno congestionati e calcolando percorsi alternativi. Ciò consente da un lato di risparmiare tempo e dall’altro di evitare che le delicate merci trasportate deperiscano.
Facilitare il processo decisionale
È proprio in occasione di ingorghi imprevisti e/o di cambiamenti improvvisi dei tempi di attesa, che l’elaborazione rapida e fondata di scenari alternativi si rivela importante. Più dati vengono presi in considerazione, migliori sono le soluzioni – e solo l’IA può elaborare big data ad alta velocità.
Numerosi altri fattori possono inoltre entrare in gioco, primi fra tutti il rapido aumento delle richieste dei clienti, le loro nuove preferenze in merito ai prodotti e quindi il loro cambiamento nel comportamento d’acquisto. Grazie all’IA tutte queste condizioni possono essere prese in considerazione in tempo utile per adeguare tempestivamente l’approvvigionamento delle materie prime e la produzione di prodotti finiti. In breve, gli algoritmi sono in grado di fornire rapidamente ai responsabili della logistica suggerimenti e previsioni fondati che facilitano enormemente il processo decisionale.
Il trasferimento sicuro delle informazioni
La seconda tecnologia utile alle supply chain è la blockchain. La blockchain è una serie concatenata di blocchi (da cui il suo nome) carichi di informazioni, ordinati cronologicamente e la cui integrità è garantita da un algoritmo crittografico che li lega ai precedenti. Una volta inseriti all’interno dei blocchi, i dati non possono più essere modificati senza che vengano invalidati tutti i processi successivi. Molti l’associano al bitcoin e all’ambito finanziario, ma in realtà la blockchain può essere applicata a molti altri settori e si presta alla condivisione rapida, sicura, efficiente e trasparente, con tutti gli attori della filiera, delle informazioni sulla catena di approvvigionamento e sugli scenari calcolati in precedenza dall’IA.
Tracciabilità, risparmio e certezza
Quando la blockchain viene combinata con l’Internet of Things (IoT), e ad esempio con sensori che misurano le scorte di materie prime o con robot mobili e altri elementi automatizzati in magazzino, gli attori della supply chain beneficiano di tre vantaggi principali:
l’aumento della produttività e il risparmio di tempo e denaro: il trasferimento rapido e sicuro delle informazioni consente infatti di operare in modo efficiente in un magazzino automatizzato, con più cicli e meno errori;
la tracciabilità immediata: grazie alla connessione ultraveloce tra tutti i partecipanti della rete, ogni azienda ha il controllo della tracciabilità dei prodotti in tempo reale, consentendo un servizio più rapido ed efficiente per il cliente finale;
la possibilità di concludere degli “smart contracts” (letteralmente: contratti intelligenti), incorporando clausole contrattuali in software o protocolli informatici, che hanno la caratteristica di eseguirsi automaticamente sulla base di condizioni predeterminate dalle parti. I benefici? L’impossibilità di modificare o annullare il contratto, la trasparenza degli obblighi contrattuali e la certezza della loro esecuzione.
In sostanza: un supply chain management intelligente
L’abbiamo letto poc’anzi: un delle sfide più grandi della supply chain è quella di ottenere in tempo reale una visione trasparente e completa della filiera, così da facilitare e velocizzare il processo decisionale e assicurare un servizio efficiente nonché una consegna rapida al cliente. Tecnologie come l’intelligenza artificiale e la blockchain, combinate con l’IoT, ricoprono un ruolo chiave in termini di produttività, riduzione dei rischi, agilità, tracciabilità, fiducia e, in sostanza, nella gestione intelligente della filiera.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-Algoritmi-avanzati-filiera.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2022-07-21 08:00:002022-07-15 08:57:51Algoritmi avanzati per migliorare le supply chain
Si sono svolti a fine primavera 2022 gli esami dei percorsi formativi Cc-Ti, che la nostra associazione ha proposto in alcuni ambiti. Nello specifico si sono concretizzati i percorsi relativi al “Diritto del lavoro” e alla “Vendita”.
Hanno ottenuto l’attestato di “Competenze nel diritto del lavoro”: Patrizia Daelli, Federica Gregorio, Benedetta Landoni, Anna Luminati, Jessica Meroni, Roberta Oltolina, Alessia Sironi, Francesca Spaini, Barbara Tommasiello. Sulla foto anche: Rosella Chiesa-Lehmann e Roberta Bazzana-Marcoli, docenti e Cécile Chiodini Polloni, Resp. formazione puntuale Cc-Ti.
Si tratta di corsi di formazione costituiti da più moduli interconnessi che possono, però, essere frequentati anche singolarmente. Coloro che seguono la formazione completa hanno la possibilità di sostenere un esame finale e, al superamento dello stesso, viene rilasciato un attestato Cc-Ti.
Generalmente i percorsi si declinano su 5-8 moduli. Avendo l’opportunità di frequentare anche solo alcuni dei temi proposti nel percorso, lo stesso può essere gestito secondo le singole esigenze personali e aziendali. Proposte che abbiamo aggiunto alla nostra, già variegata, formazione continua e che rispondono alle crescenti e in continua mutazione competenze richieste dal mondo lavorativo.
In questo articolo vi proponiamo 3 brevi testimonianze di partecipanti che hanno ottenuto l’attestato in “Diritto del lavoro” e, cambiando prospettiva, dei docenti che si sono occupati del percorso della “Vendita”.
Benedetta Landoni, Ticicom SA Da alcuni mesi la Cc-Ti propone nuovi percorsi formativi costituiti da più moduli interconnessi che possono essere frequentati anche singolarmente. Lei ha completato il ciclo dedicato al “Diritto del lavoro”, superando l’esame finale. Come è andata? Quali le sue impressioni?
Ho da poco concluso, con molta soddisfazione, il percorso dedicato al “Diritto del Lavoro” iniziato a settembre 2021 e devo dire che il corso, sia se seguito nella sua interezza che partecipando solo a singoli moduli, è complessivamente ben organizzato e strutturato. Dal punto di vista dei contenuti tutte le tematiche sono state trattate in maniera esaustiva grazie alla competenza, alla preparazione e aggiungerei anche all’esperienza delle docenti. Con esempi pratici ed esercitazioni di gruppo è stato possibile chiarire dubbi anche sulle questioni più controverse e, contestualmente, alternare la parte teorica con quella pratica. Aggiungo che la modalità online, sebbene personalmente preferisca sempre essere in presenza, ha sicuramente facilitato la frequenza permettendomi di conciliare il momento formativo con le attività lavorative. Complessivamente ritengo che il corso riesca a fornire a responsabili e collaboratori HR tutti gli strumenti per poter orientarsi tra le diverse problematiche relative alla gestione delle risorse umane e le questioni giuridiche ad essa connesse.
Roberta Oltolina, Parametric Design Suisse
Il percorso formativo era composto da moduli distinti che trattavano argomenti specifici. Cosa riporterà nel suo quotidiano in azienda di quanto appreso?
Lo scopo era quello di confermare e aggiornare determinate conoscenze già acquisite e l’obiettivo è stato raggiunto. Mi sono personalmente acculturata con argomenti che avevo solo sfiorato nel mio ambito lavorativo. Sicuramente mi serviranno per svolgere al meglio il mio ruolo interagendo con il personale ed essendo di supporto al Direttore del Dipartimento HR.
Francesca Spaini, Humabs BioMed SA
Un percorso del genere è anche un’occasione per intrecciare nuove relazioni e fare networking. In che modo ha potuto beneficiarne (visto il gruppo eterogeneo di partecipanti)?
Il percorso Cc-Ti in diritto del lavoro è stata un’ottima occasione per conoscere colleghe e colleghi provenienti da contesti lavorativi eterogenei, e quindi estremamente arricchente per chiunque lavori nell’ambito delle risorse umane. Sarebbe stato sicuramente utile e ancor più coinvolgente poter condividere anche delle lezioni in presenza, ma è stato molto pratico e time-saving poter seguire le lezioni in remoto dal proprio ufficio o da casa, senza per questo perdere in qualità. Consiglio vivamente questo percorso anche per la competenza delle docenti.
La voce dei docenti: Stefano Bosia ed Andrea Carlesso
Selling Revolution: 2°edizione percorso formativo con attestato Cc-Ti e Associazione vendita svizzera
Presentato per la prima volta nel 2022 in forma totalmente digitale, i favorevoli commenti dei partecipanti hanno invitato a riproporre una seconda edizione. Partendo da basi e tecniche consolidate consente a chiunque, a contatto con il cliente, di acquisire il giusto mindset per trasformarsi in un ottimo venditore. Dal prospecting alla cura del cliente, il corso tocca ogni aspetto della fase di vendita, senza perdere di vista il processo di acquisto, sempre più importante nel determinare la scelta dei partner commerciali. Composto da 6 moduli, frequentabili anche separatamente, termina con un esame finale riservato a chi ha frequentato l’intero percorso.
Hanno ottenuto l’attestato “2022 Selling Revolution”: Salvatore Carmeci, Miruna Marinescu Seminara, Gianmarco Paduano, Andrea Parini, Federico Proserpio, Giovanni Sergi. Sulla foto anche: Stefano Bosia ed Andrea Carlesso, docenti e Cécile Chiodini Polloni, Resp. formazione puntuale Cc-Ti.
Ai partecipanti offre un taglio molto pratico affinché, partendo da basi teoriche, consenta a ognuno di inserire nel proprio processo le tecniche per migliorare le proprie performance di vendita. Attraverso tecniche comprovate basate sul continuo aggiornamento e sull’esperienza dei relatori e sulla messa in pratica delle più recenti teorie e ricerche delle migliori università, lavoreremo sulle sei fasi del processo di vendita di successo. Saremo così in grado di avere una panoramica dell’intero processo e comprendere le due diverse prospettive: quella del venditore e quella dell‘acquirente. In questo modo potremo individuare dove si trova l’acquirente nel processo decisionale e cosa possiamo concretamente fare per guidare la vendita in ogni fase e convincere (vincere insieme) il cliente della bontà della sua scelta: noi! Al termine del percorso ogni partecipante avrà elaborato il proprio kit personale di strumenti e tecniche di vendita e una tabella di marcia per sviluppare abitudini significative e durature.
In conclusione
Investire in modo costante nella formazione dei propri collaboratori è una delle migliori azioni concrete da attuare per contare su risorse umane qualificate e fidelizzarle. Un progetto win-win.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-Percorsi-diplomi.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-07-18 12:12:382022-07-19 13:45:14Percorsi formativi con attestato Cc-Ti: i primi diplomati
La deadline sulla fine dei motori termici a scoppio, benzina e diesel in Europa è stata tracciata dalla Commissione Europea che con il pacchetto “Fit for 55” ha indicato la data: sarà il 2035 l’anno in cui non saranno più vendute auto a benzina, diesel, metano e pure ibride.
A questa fatidica data mancano ormai meno di 14 anni, ma molte case automobilistiche hanno deciso di anticiparla anche perché con una scadenza così ravvicinata non ha più senso investire nei motori a combustione interna e con le risorse, sempre più esigue a causa della crisi del settore automobilistico, che sono tutte investite nello sviluppo della mobilità elettrica. La notizia è quindi così eclatante? In primo luogo, i ministri dell’ambiente UE si devono ancora chinare sulla decisione e prendere posizione in merito. È possibile che vengano ancora apportate delle modifiche come, per esempio, l’apertura ai combustili sintetici o all’idrogeno come carburante per motori a scoppio. In secondo luogo, nel 2035 quanti modelli con motore a benzina o diesel saranno in listino per le varie marche? La notizia non è quindi assolutamente sconvolgente.
Dal punto di vista dei costruttori…
Per le fabbriche, a detta degli esperti del settore, tutto sommato questa decisione gioca a loro favore. Con un termine di così corto (lo sviluppo di nuove tecnologie richiede anni) e con la spada di Damocle delle prossime norme antinquinamento EURO7 assai più severe per quanto concerne le emissioni dei motori a combustione interna, si concentreranno sullo sviluppo e la produzione di auto a trazione elettrica. Allo stesso tempo ridurranno sicuramente la gamma di modelli proposti per ogni marca e passeranno alla produzione su ordinazione mettendosi alle spalle anni di sovrapproduzioni che hanno portato anche un abbassamento dei prezzi delle auto nuove vendute (vedi per esempio Km0 o promozioni importanti). Con questo cambio di mentalità, unito anche alla commercializzazione diretta online da parte dei costruttori di auto, vedranno i loro margini crescere in maniera importante. Questo non andrà però a favore dei lavoratori e, soprattutto dei subfornitori di componenti per il settore automotive. Quest’ultimo punto toccherà in maniera importante anche la Svizzera dove risiedono diverse aziende produttrici di componenti ad alto contenuto tecnologico. Per i primi si prospettano licenziamenti di massa a causa della riduzione di produzione delle fabbriche, per i secondi, grazie alla minore necessità di componenti delle auto totalmente elettriche, una drastica riduzione del lavoro con inevitabili chiusure e cessazioni di attività. Naturalmente, per esempio, in ambito di sviluppo e fabbricazione delle batterie per l’autotrazione si apriranno nuove opportunità, ma queste non saranno sufficienti per assorbire tutti gli esuberi del settore.
…e da quello dell’automobilista
Una cosa va chiarita: chi nel 2035 sarà ancora in possesso di un’auto a benzina, a diesel o a metano, potrà continuare ad usarla anche oltre questa data. Magari utilizzando carburanti sintetici oggi in fase di sviluppo che promettono una neutralità nelle emissioni di CO2 grazie al recupero della CO2 presente nell’aria. Alcune marche tra le quali Porsche e BMW stanno investendo somme importanti in questo settore. Chi nei prossimi anni dovrà acquistare una nuova automobile più ci si avvicinerà al 2035 avrà meno scelta tra modelli e motorizzazioni. Già diversi costruttori hanno annunciato che toglieranno dai loro listini ben prima del 2035 le auto benzina o diesel. Opel, per esempio, ha dichiarato apertamente che l’intera gamma di modelli sarà completamente elettrica entro il 2028. Un rischio reale sarà poi quello della sparizione quasi totale delle auto utilitarie. Costruire vetture elettriche di bassa gamma sarà poco redditizio in quanto il costo elevato delle batterie le renderebbe troppo costose e quindi invendibili. Ad andarci di mezzo potrebbe quindi essere quella parte di popolazione più debole che oggi può permettersi una vettura perché il prezzo d’acquisto è sostenibile, ma domani con l’aumento dei costi d’acquisto dovrà rinunciare ad avere una vettura in famiglia. Non va poi sottovalutato l’aspetto dell’infrastruttura di ricarica. Per poter essere utilizzata in maniera efficiente e conveniente un’auto elettrica deve poter essere ricaricata presso il proprio domicilio o presso il datore di lavoro. Affidandosi unicamente alla rete pubblica, tra l’altro oggi ancora largamente insufficiente, l’utilizzo dell’auto risulterebbe macchinoso e poco conveniente.
Dal punto di vista delle autorità politiche
La sfida più grande legata alla decisione dell’UE di vietare dal 2035 la vendita di auto a benzina o diesel spetta alle autorità politiche di ogni paese. Cominciando dall’approvvigionamento di energia elettrica. Già oggi non è più un tabù parlare di blackout elettrico, cosa succederà quando gran parte delle auto necessiteranno di una presa per la ricarica? Non meno importante sarà il potenziamento della rete di distribuzione. Anche in questo caso non siamo pronti. Collegare molte auto alla rete di distribuzione elettrica nello stesso momento comporta un picco di potenza richiesta che metterà in crisi la distribuzione di energia elettrica. La messa in funzione poi di un numero adeguato di colonnine di ricarica pubblica nei luoghi strategici come lungo le autostrade o nei parcheggi pubblici è pure un obiettivo che va perseguito iniziando già da oggi.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-mobilita.png7531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-07-18 08:13:002022-07-15 15:14:052035: (e)missione zero
Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Di recente il Tribunale federale si è occupato di due casi concernenti il sistema di trasporto Uber, ormai a tutti più o meno noto. Di cosa si tratta concretamente? Uber mette a disposizione un servizio di trasporto privato mediante una semplice app dello smart phone. Con questo sistema è possibile inviare una richiesta di trasporto che viene automaticamente inoltrata ad un autista ubicato nelle vicinanze del richiedente. Questo sistema mette quindi in contatto diretto passeggeri e autisti, i quali vengono avvisati tramite geolocalizzazione dell’ubicazione del cliente. Una variante di questo sistema riguarda la consegna di pasti. In questo caso il servizio concerne la consegna di un pasto preparato da un ristorante ad un cliente che rimane a casa sua. Questa seconda variante (Uber eats) implica pertanto, a differenza del semplice trasporto passeggeri, un rapporto a tre: autista, ristorante e cliente. Le citate sentenze del Tribunale federale (2C_575/2020, 2C_34/2021) si riferiscono a situazioni venutesi a creare a Ginevra. Nel primo caso si è trattato del servizio “ordinario” di trasporto di passeggeri. Le autorità ginevrine, in questa prima fattispecie hanno valutato che il sistema Uber doveva essere qualificato alla stregua di un’impresa di trasporto ai sensi della legge cantonale sui taxi e i mezzi di traporto e come tale doveva rispettare tutti gli obblighi legali, inclusi quelli relativi alla protezione sociale e alle condizioni lavorative degli autisti. Il Tribunale federale ha confermato questa interpretazione sottolineando che tra i conducenti e Uber vengono conclusi dei veri e propri contratti di lavoro e che la relativa struttura operativa deve essere qualificata come azienda di trasporto, con tutti gli obblighi che ne conseguono. Nel caso della consegna dei pasti i giudici, trattandosi, come già indicato, di un rapporto a tre, hanno dovuto inoltre valutare se il sistema messo in atto non configurasse un prestito di personale, attività che soggiace a chiare e rigorose norme di legge. Lo stesso Ufficio cantonale ginevrino del lavoro aveva considerato in prima istanza che il servizio di consegna pasti ricadeva sotto tale definizione, nel senso che Uber metteva a disposizione dei ristoranti personale per la consegna del cibo ai propri clienti. Prestito di personale insomma, non permesso senza le necessarie autorizzazioni. Su questo punto il Tribunale federale è però giunto ad una diversa conclusione. Pur essendoci un rapporto di lavoro tra Uber eats e i singoli corrieri non vi è alcuna fornitura di personale ai ristoranti.
Il Tribunale federale ha sottolineato che nella fornitura di tale servizio non vi era infatti alcuna trasmissione ai ristoratori del diritto di dare istruzioni ai corrieri, i quali non venivano inoltre integrati nell’organigramma del ristorante. Nessun prestito di personale quindi, e nessuna violazione della Legge federale sul collocamento e il personale a prestito.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-07-15 14:24:002023-09-20 10:07:30Uber: contratti di lavoro e prestito di personale?
La Repubblica Dominicana è conosciuta come una delle Nazioni caraibiche con le mete turistiche per eccellenza. Questo è dovuto, tra altri fattori, alle sue spiagge paradisiache, ai suoi campi da golf, al turismo interno e alla calorosa accoglienza che riceve chi visita l’isola.
Lo slogan del Paese recita “La Repubblica Dominicana ha tutto”, e non può essere altrimenti. È una Nazione insulare situata al centro dell’arcipelago dei Caraibi. Questa posizione centrale è perfetta per le aziende internazionali che cercano un accesso facilitato all’America del Nord e del Sud, in particolare gli Stati Uniti. Le aziende manifatturiere e commerciali possono raggiungere gli States in 3 giorni via mare e 2 ore di volo. Inoltre, i call center e altre attività orientate ai servizi si situano nello stesso fuso orario della costa orientale degli Stati Uniti (EST) e ciò rappresenta un vantaggio non indifferente in termini di possibilità di sviluppo del business.
L’economia della Repubblica Dominicana rende questo Stato un luogo ideale per gli investitori che desiderano ridurre i costi operativi, mitigando al contempo i rischi. In prospettiva futura, il Paese continua a impegnarsi per raggiungere l’eccellenza macroeconomica, grazie al forte sostegno del Governo e a un regime di zone franche.
Numerose aziende internazionali hanno scelto la Repubblica Dominicana come meta per lo sviluppo delle proprie attività commerciali. Secondo gli indicatori di governance della Banca Mondiale, la Repubblica Dominicana rappresenta uno dei 5 Paesi più sicuri per fare affari in America Latina.
Dopo 50 anni di regime democratico, lo Stato continua a fare progressi verso istituzioni sempre più aperte e trasparenti. Negli ultimi dieci anni, il Governo ha fatto grandi passi avanti per consolidare la stabilità attraverso misure come la riforma costituzionale, l’adesione all’“Asociación de Gobierno Abierto” (un’organizzazione internazionale il cui scopo è valutare e sviluppare meccanismi per promuovere governi “più aperti, responsabili e sensibili ai cittadini”) e iniziative anticorruzione.
La Repubblica Dominicana vanta 79 parchi industriali con zone franche che offrono servizi e infrastrutture altamente competitivi. Molti parchi sono specializzati in attività produttive di nicchia e offrono alle aziende un interessante pacchetto di incentivi fiscali, tassi agevolati e collegamenti. I vantaggi competitivi sono molto importanti e hanno consentito lo sviluppo di forti cluster in un’ampia gamma di settori industriali.
Dagli anni ‘80, ad esempio, la Repubblica Dominicana ha lavorato per posizionarsi tra i principali attori nella catena di approvvigionamento globale di dispositivi medici e di prodotti farmaceutici. La produzione di dispositivi medici rappresenta, infatti, una delle industrie di esportazione più dinamiche del Paese. Attualmente 33 produttori di dispositivi medici e prodotti farmaceutici operano nelle zone franche. Qui hanno sede cinque dei primi dieci produttori mondiali di dispositivi medici, fra cui: B Braun, Cardinal Health, Baxter Healthcare e altri. Tra i principali prodotti figurano: dispositivi per stomia, teli chirurgici e strumenti elettromedicali. Per sostenere lo sviluppo continuo, gli organi governativi delle zone franche hanno istituito un cluster di produttori di dispositivi medici che opera per difendere l’industria del settore.
Il settore dell’elettronica è progredito grazie agli ottimi servizi logistici offerti da alcuni parchi delle zone franche. Attualmente, 22 società attive nell’elettronica operano in queste piattaforme. Queste aziende possiedono capacità distinte che vanno dalla produzione di componenti intermedi all’assemblaggio di prodotti finali, e comprendono produttori a contratto e marchi prestigiosi quali Vishay o Rockwell Automation.
Calzature, tabacco, tessile, gioielleria e back office sono altri settori con grande presenza nel Paese.
I parchi logistici e le aree di attività sono stati creati o ampliati per facilitare attività come lo stoccaggio, il deconsolidamento, l’imballaggio, il riconfezionamento, l’etichettatura, la rietichettatura, la distribuzione e la riesportazione delle merci. Tra le aziende che hanno già stabilito centri logistici e/o di distribuzione nel Paese figurano: IKEA, Caterpillar, Rolex, Diageo, Evergreen, ecc..
Anche la Svizzera ha affidato la propria produzione alla Repubblica Dominicana con società dedicate principalmente ai settori farmaceutico, degli strumenti medici, del tabacco e dei suoi derivati, dei servizi logistici, del commercio e dell’industria, che globalmente generano all’incirca cinquemila posti di lavoro diretti. Al di fuori delle nostre zone franche, Nestlé o Kuehne + Nagel International hanno sfruttato le opportunità che il Paese offre in termini di collegamenti, infrastrutture e posizione strategica nella regione.
Cosa rende la Repubblica Dominicana così interessante? L’ampio sistema di infrastrutture del Paese è adatto a supportare il commercio globale. Nel 2019 il “Global Competitiveness Report”, pubblicato dal World Economic Forum, ha classificato la Repubblica Dominicana come lo Stato con l’infrastruttura di trasporti numero 1 nella regione dell’America Latina. Questa rete comprende 9 aeroporti internazionali, 12 porti marittimi e oltre 20’000 chilometri di autostrade e strade. Attualmente nella Repubblica Dominicana giungono circa 90 navi settimanali con rotte dirette verso l’America del Nord, il Centroamerica e i Caraibi, il Sud America, l’Europa e l’Asia. Si contano altresì oltre 270 voli giornalieri, con un’ottima connessione con il Nord America, l’America Centrale e l’Europa.
Il 90% circa della merce che entra ed esce dal Paese transita attraverso il trasporto marittimo. La Repubblica Dominicana ha la capacità di ricevere navi Post-Panamax (ovvero navi le cui dimensioni non permettono loro di transitare nelle chiuse del canale di Panama originale – fanno parte di questa tipologia le superpetroliere e le più grandi navi portacontainer): il parco industriale e logistico “DP World Caucedo”, ad esempio, dispone di 5 gru Super Post-Panamax.
Le aziende che cercano di espandere la loro presenza globale ritrovano nella Repubblica Dominicana uno dei loro migliori alleati.
Chi fa domande conduce, questo è indiscutibile. Ma ciò che i dipendenti raccontano dei loro superiori durante le sessioni di formazione e coaching spesso sembra a mille miglia da questa verità.
Il Signor H. parla del suo capo, che fa costantemente domande, ma spesso H. ha l’impressione che non vengano strutturate in modo propositivo e quindi non portino a nessun esito costruttivo, per nessuno dei due. Allora, forse, porre le “giuste” domande può rivelarsi più difficoltoso di come si possa pensare. Facciamo un passo indietro e vediamo come si pongono i giornalisti, questi professionisti che vivono dell’arte di porre domande. Durante la loro formazione, imparano prima a porre domande e a far “aprire” le persone. Sanno che devono assolutamente trovare le informazioni chiave e che le troveranno nelle risposte degli interlocutori. Possiamo trarne ispirazione.
Essere preparati
Non basta, però, imparare a memoria un elenco di domande. Prima di lanciarsi, i giornalisti si preparano accuratamente sull’argomento che tratteranno e sullo scopo finale del loro colloquio. Sanno anticipatamente quali domande porre per mettere il loro interlocutore a suo agio, mostrano interesse per lui: l’intervistato si trova in un approccio corretto e rispettoso e collabora volentieri.
I giornalisti sanno anche come giocare sui punti interrogativi per mettere all’angolo qualcuno quando presumono, ad esempio, che ci sia uno “scheletro nell’armadio” (cioè informazioni importanti) e vogliono saperne di più (per i loro lettori). Bisogna affinare questo sesto senso, mostrare tatto, altrimenti l’interlocutore sfugge e si chiude.
Domande poste in modo scoordinato o non serio, senza empatia e con poca preparazione posso addirittura effettuare l’effetto contrario. Il nostro interlocutore mente, inventa, o porta il tema nella direzione a lui più affine, rendendo vano tutto il colloquio. Peccato!
Raccogliere informazioni? Sostenere? Controllare?
In qualità di dirigente e collaboratore all’interno dell’azienda, si combinano più funzioni e spesso vengono esercitate contemporaneamente. Le informazioni corrette sono alla base di una strategia vincente… tante occasioni per porre domande in modo mirato.
In qualità di responsabile gerarchico, porre domande aiuta ad assicurarsi che le informazioni circolino. La gestione di professionisti che spesso sono molto più preparati di voi nei propri campi di competenza, e che, attraverso le vostre domande, forniranno informazioni importanti, aggiornamenti sullo stato di avanzamento di un progetto, informazioni sul “polso di soddisfazione / critica” dei collaboratori, vi aiutano a verificare che gli obiettivi raggiunti siano in linea con quelli pianificati…
In qualità di specialista, potete, ponendo domande, verificare che la qualità di un prodotto soddisfi le aspettative e garantire l’efficienza del processo.
In qualità di mediatore, potete dimostrare il vostro interesse ponendo domande e quindi sottolineare l’identificazione e l’investimento riversato o percepito dai membri del team; le domande sono anche un valido strumento di gestione dei conflitti.
In qualità di coach, fare domande porterà a supportare lo sviluppo individuale dei collaboratori o colleghi. Chiedere informazioni sulle reciproche risorse personali e poi dare i giusti consigli, il giusto feedback, condividere una riflessione tempestiva.
In qualità di imprenditore, il quadro generale dell’organizzazione risulta più delineato. Un occhio più attento sul mercato e quindi più rappresentativo per la vostra azienda all’esterno. Le domande permettono di guadagnare la fiducia degli altri, sia internamente che esternamente, di rilevare aspetti fino ad allora sconosciuti all’interno dell’azienda e di stimolare il senso di responsabilità dei dipendenti.
In qualità di dipendente, fare domande consente, ad esempio, di assicurarsi che i passi siano in linea con gli obiettivi dell’azienda e di conoscere il margine di manovra rispetto ai processi innovativi e all’evoluzione della propria posizione.
Ognuno è chiamato a rivestire tanti ruoli in diversi contesti, funzioni e responsabilità: per ognuno di essi può essere molto utile porre la domanda giusta al momento giusto. È quindi essenziale prendersi il tempo necessario e adottare un atteggiamento aperto per ottenere risultati a volte anche inattesi.
Anche nella nostra pratica professionale dobbiamo esercitarci a porre le domande (anche a sé stessi) che ci permetteranno di raggiungere i nostri obiettivi nel rispetto dei nostri differenti interlocutori.
L’altro
Chi di noi potrebbe negare che non tendiamo a pensare di conoscere i dettagli delle cose prima ancora di porre le nostre domande? Sicuramente interroghiamo i nostri interlocutori, ma crediamo di conoscere già le risposte. Ascoltiamo prima noi stessi e poi gli altri… forse, e non con attenzione.
Tuttavia, in un mondo sempre più specializzato, non potremmo mai essere dei “tuttologi. Un collaboratore, un dipendente del servizio esterno, un conoscente persino, può rivelarsi la giusta persona di riferimento. In breve: scoprite cosa ha da dire ogni persona sul vostro cammino.
Apprezzare le risposte
Vedendo i giornalisti al lavoro sul piccolo schermo, possiamo chiederci se sarebbe possibile per noi fare lo stesso nella nostra pratica professionale. Alcuni giornalisti sono freddi e distanti. Il nostro sangue si congela nelle vene solo a vederli. Altri mostrano più calore umano e sembrano sinceramente interessati alla persona che stanno intervistando. Dobbiamo aggiungere che ogni intervista ha le sue funzioni (vedi sopra). Sta a ognuno di noi definire l’obiettivo della conversazione. In generale, bisogna trovare un equilibrio tra prova di interesse e distanza professionale, tra cordialità e missione. Se avete imparato a porre davvero domande e domande reali, otterrete risposte più o meno utili. Considerate le risposte che vengono date come doni. Considerateli come una prova di fiducia da parte del vostro interlocutore. Non reagire alle risposte con delle critiche o rifiutandole (anche se a prima vista sembrano spiacevoli o diverse da quelle che vi attendevate).
Quando il tempo sta per scadere
Con l’aiuto di esercizio e autocritica, le persone sono in grado di destreggiarsi poi, tra le domande. La preparazione è la chiave per raggiungere questo obiettivo. Ma a volte dobbiamo condurre un’intervista sul posto, senza essere davvero in grado di rifletterci sopra e scandire una dinamica precisa. Oppure nuove informazioni cambiano il gioco proprio durante l’intervista. In questi casi, ci saranno molto utili alcune domande basilari e generali, purché ci limitiamo ad esse.
Un esempio:
Chiedi informazioni sull’obiettivo
Chiedi un aggiornamento
Chiedi (e ascolta) il parere del tuo interlocutore
Lo scopo di queste tre domande è quello di permettervi di avere successo anche in un territorio sconosciuto e poter comunque usufruire al meglio della situazione. In questo caso, ancora più che in altri contesti, è fondamentale ascoltare con attenzione.
Già gli antichi cinesi…
Già gli antichi cinesi dicevano che chi fa una domanda è stupido per cinque minuti, mentre chi non chiede rimane stupido per il resto della sua vita.
Fonte: WEKA, Equipe de rédaction, 13.6.22, adattamento Cc-Ti
Lo spirito critico, dal greco κριτικός (“che discerne”), è un atteggiamento riflessivo proprio di chi non accetta nessuna affermazione senza interrogarsi sulla sua validità e che considera una proposizione come vera solo quando è stata verificata, dove possibile, o quantomeno attentamente considerata. Quando pensiamo a una “critica”, però, spesso, questa parola assume con una connotazione negativa non considerando le sue diverse valenze: la critica può essere anche costruttiva (anzi lo dovrebbe essere) e volgere al miglioramento.
Cominciamo con un esempio: il vostro capo si avvicina chiedendo di preparare una presentazione per un incontro con un cliente. La consegnate. Poco dopo vi viene fornito un feedback, in cui si dice che non avete affrontato un punto che era considerato importante.
La critica
Se la mancanza sollevata nel feedback non è chiara o non la condividete, diventa costruttivo per entrambe le parti, cercare di comprendere con domande puntuali e condivisione di pensiero le reali priorità che dovevano venire espresse nel compito che era stato affidato. Attuare poi quanto appreso renderà il lavoro più confacente alle esigenze aziendali. Allo stesso tempo, il dirigente è tenuto ad esprimersi con modalità proattive chiare. Solo un reciproco rispetto e obiettivo comune potranno dare il risultato sperato.
Una “cattiva” gestione della critica può portare rapidamente alla nascita di un conflitto. Accettare le critiche è difficile per la maggior parte delle persone, sia professionalmente, sia socialmente. Occorre focalizzare la critica in un’ottica positiva. Spesso, permette di imparare e crescere. François de La Rochefoucauld (scrittore e filosofo francese, 1613 – 1680) affermò: “pochi sono tanto saggi da preferire un benefico biasimo a una lode traditrice”.
Oltre a presentare il problema in modo propositivo, la critica costruttiva dovrebbe essere formulata quale spunto di miglioramento alla persona alla quale è rivolta. Accade di frequente che le persone si sentano attaccate, anche se la critica voleva essere costruttiva, e considerano ogni osservazione come un attacco personale. Un ottimale scambio di opinioni tiene conto di tutte queste, appunto, criticità.
Come accettare la critica costruttiva?
La persona e l’azione: la critica non è diretta contro di voi, ma riguarda un fatto o una situazione specifica. Quindi si consiglia di cambiare prospettiva e guardare il problema in modo obiettivo.
Ascoltare attentamente ciò che viene detto dal vostro interlocutore prima di reagire.
Essere riconoscenti: ringraziate l’interlocutore per i suoi suggerimenti e considerate quanto esposto come un supporto alla risoluzione di un problema comune.
Chiedere precisazioni: porre domande. Verificare di aver compreso correttamente la critica. Spesso i problemi sorgono solo a causa di incomprensioni.
Non difendersi: non giustificare il vostro punto di vista, ma spiegare con calma perché si è agito in un determinato modo.
La buona notizia: si può imparare
Quando si ricevono delle critiche, è consigliabile assicurarsi che “il linguaggio del corpo” non manifesti un rifiuto a priori. Evitate di incrociare le braccia sul petto e di alzare le ciglia, ancora prima di porvi in ascolto. Se le argomentazioni del vostro interlocutore saranno comprensibili e convincenti, si potranno accettare con più facilità le critiche enunciate e attuare la proposta di miglioramento, qualora si presenti l’opportunità. Il confronto tra i metodi di gestione del problema/compito consentirà di trovare la soluzione ottimale per entrambi le parti.
Come formulare la critica costruttiva?
Non lasciarsi trasportare dalle emozioni: anche se qualcosa vi infastidisce, prendere tempo prima di criticare.
Restare obiettivi: rivolgere sempre le critiche alla situazione e non all’interlocutore.
Evitare i tormentoni: quando si esprime una valutazione, evitare parole come: sempre, spesso, ogni volta.
Mostrare comprensione: nella critica, occorrerebbe tener conto dell’altra persona, esprimendosi in modo appropriato (dicendo, ad esempio, “capisco il tuo punto di vista/argomento/approccio)”.
Presentare la critica in modo positivo: invece di affermare “non mi piace la tua idea“, si potrebbe cambiare prospettiva affermando: “grazie per averci esposto la tua idea. Non abbiamo ancora approfondito questo aspetto e quanto detto ci permette di abbracciare altri punti di vista”.
Relativizzare e difendersi dalle critiche ingiustificate
Può accadere che le critiche siano ingiustificate, quindi prive di fondamento. È possibile che la persona criticata accetti comunque la critica, come pure che affronti attivamente e, se necessario, vi si opponga. Ad esempio, se una persona è criticata ma non è la causa del problema, la critica è ingiustificata e questa forma di critica non è produttiva. Chi accetta tacitamente tali situazioni rischia di diventare il “capro espiatorio” per tutte le problematiche future che possono occorrere.
Accettare una critica significa chiarire i punti erroneamente messi in discussione. È importante restare sempre al livello dei fatti e frenare le proprie emozioni. Difendersi o difendere la propria posizione, però, non significa “contrattaccare” nello stesso verso di chi ha mosso la critica. Alcuni punti di cui tener conto:
Respirare: non reagire immediatamente ed emotivamente alle critiche, ma cercare di calmarsi per un momento.
Cercare un interlocutore: si può risolvere la discussione con chi ha mosso la critica o è meglio rivolgersi a una terza persona? Essa potrebbe fungere da mediatore.
Giustificare la decisione: spiegare in dettaglio e oggettivamente perché la critica è giunta al destinatario sbagliato.
Non essere ostinati: se si è arrabbiati a seguito di una critica, non è opportuno bloccare tutto ciò che l’interlocutore ha da dire sulla sua giustificazione.
Reagire in tempo: un chiarimento rapido può prevenire ulteriori critiche ingiustificate. In una situazione del genere, la gestione della critica è messa a dura prova, soprattutto se la capacità critica del proprio interlocutore non è particolarmente sviluppata.
Non portare rancore: la capacità di critica è caratterizzata anche dal fatto che si continui a lavorare con qualcuno, anche se si sono ricevute critiche in maniera ingiustificata.
Ma allora… è una questione di comunicazione?
La maggior parte delle persone si considera un buon ascoltatore. In realtà, gran parte delle persone non sanno ascoltare. L’entusiasmo per le proprie idee e la voglia di comunicarle non permette un vero ascolto e, quindi, non migliora la conversazione. Osservate se, in una conversazione, mostrate più entusiasmo per ciò che sentite o per i vostri pensieri. La maggior parte delle volte la voglia di parlare impedisce un ascolto attento. Seguire attivamente una conversazione è faticoso, richiede concentrazione e non porta una soddisfazione così immediata rispetto alla reazione immediata delle parole dette a fiume su di un argomento che ci sta a cuore.
Per diventare buoni ascoltatori, occorre sapere come porsi e come prestare attenzione. Uno dei metodi che si possono mettere in atto consiste nel non reagire immediatamente a ciò che viene detto, ma creare uno spazio di riflessione. Ciò impedirà ai pregiudizi o ad altre abitudini di pensiero di determinare una reazione impulsiva, che magari potrà rivelarsi errata per l’occasione. Allo stesso modo, una breve pausa può offrire l’opportunità di estrapolare dal discorso informazioni preziose, che altrimenti potrebbero andare perse. Superare le abitudini che si fossilizzano nella comunicazione interpersonale richiede degli sforzi. Quindi provate ad ascoltare attentamente il vostro interlocutore.
È utile porsi domande: sto davvero ascoltando per imparare qualcosa di nuovo o sto solo cercando una conferma della mia opinione? Un buon indizio è la volontà di conoscere posizioni opposte. Se non si mostra una predisposizione all’ascolto attivo, almeno in linea di principio, la nostra comunicazione risulterà imparziale e chiusa. Anche in azienda valgono gli stessi principi, per migliorare la comunicazione interna con i dipendenti occorre sviluppare ed “allenare” l’ascolto attivo.
Manifestare partecipazione per la vita dei collaboratori, valorizzare i loro interessi, renderli partecipi: 3 azioni di ascolto e coinvolgimento che incrementano la motivazione e la soddisfazione del team.
Fortunatamente si può affermare l’arte dell’ascolto può essere appresa. Un primo passo è chiedersi, durante una conversazione, se si è attenti all’interlocutore dinnanzi a noi. Se ci stiamo pensando… la risposta è: non abbastanza! È utile iniziare dal contesto privato ed “osservarsi” quanto si ascolta durante un pasto con amici. Stabilire un primo obiettivo, come, ad esempio, cercare di ascoltare per almeno l’80% del tempo. In questo modo ci si esercita prestando attenzione all’impulso di intervenire interrompendo l’altra persona, restando in ascolto, appunto. Anche se si affrontano temi seri (problemi personali, ecc.) è importante restare concentrati sull’altro: si tende, spesso, a imporre le proprie esperienze su quelle degli altri e poi a dare consigli frettolosamente. Tre termini fondamentali sono compassione e comprensione, ma anche moderazione: ciò si traduce nel mettersi sullo stesso piano dell’interlocutore, porre domande se qualcosa non è chiaro, mantenere il contatto visivo, non prendere sul personale le critiche, osservare le emozioni.
Attenzione al multitasking!
Il multitasking (ossia lo svolgere più attività più o meno contemporaneamente) non solo può rendere meno efficienti, ma danneggia anche il ruolo di uditore. Per restare concentrati sul soggetto, si comincia in modo progressivo, come ad esempio non rispondendo insieme a un’e-mail mentre si parla al telefono. Si dovrebbe prestare sempre attenzione al proprio interlocutore, per valorizzarlo, per mostrare empatia, per comprendere a fondo il suo messaggio.
Panoramica delle critiche positive e negative
Fonte: WEKA 3-4.2022, adattamento Cc-Ti
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2022/07/ART22-CRITICHE.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2022-07-08 10:44:182022-07-08 10:44:19L’arte della critica costruttiva e della “buona” comunicazione
Cliccando il pulsante «Accetta», acconsentite all’utilizzo di tutti i nostri cookie così come quelli dei nostri partner. Utilizziamo i cookie per raccogliere informazioni sulle visite al nostro sito web, con lo scopo di fornirvi un'esperienza ottimale e per migliorare continuamente le prestazioni del nostro sito web. Per maggiori informazioni potete consultare la nostra informativa sulla privacy.
Quando visitate un sito web, questo può memorizzare o recuperare informazioni attraverso il vostro browser, di solito sotto forma di cookie. Poiché rispettiamo il vostro diritto alla privacy, potete scegliere di non consentire la raccolta di dati da alcuni tipi di servizi. Tuttavia, il mancato consenso a tali servizi potrebbe influire sull'esperienza dell'utente.
Questi cookie sono strettamente necessari per fornirti i servizi disponibili attraverso il nostro sito web e per utilizzare alcune delle sue funzionalità.
Cookie di Google Analytics
Utilizziamo Analytics con lo scopo di monitorare il funzionamento del sito e analizzare il comportamento utente.
Altri servizi
Utilizziamo cookies di YouTube e Vimeo per l'iterazione di video esterni nel nostro sito.
Direttive europee RoHS e RAEE: cosa bisogna sapere?
/in Certificazioni, Internazionale, Tematiche, VariaLe direttive RoHS II e RAEE della Commissione europea limitano l’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche per proteggere la salute dei consumatori e l’ambiente e promuovono il recupero e lo smaltimento ecocompatibile dei rifiuti di tali apparecchiature. Le aziende estere che operano nell’UE sono tenute a rispettarle.
Nello specifico, la direttiva RoHS II (dall’inglese Restriction of Hazardous Substances Directive, 2011/65/UE) interviene nelle fasi di progettazione e produzione di vari tipi di apparecchiature elettriche ed elettroniche limitando l’uso di determinate sostanze pericolose quali il piombo, il mercurio, il cadmio, il cromo esavalente, i bifenili polibromurati (PBB) e l’etere di difenile polibromurato (PBDE) allo scopo di proteggere la salute dei consumatori e l’ambiente.
La direttiva RAEE (o WEEE dall’inglese Waste Electrical and Electronic Equipment, 2012/19/UE) regolamenta invece la gestione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche giunte in fin di vita (e considerati quindi come rifiuti), promuovendone il recupero e lo smaltimento ecocompatibile.
Chi fabbrica, distribuisce o vende apparecchiature elettriche ed elettroniche è tenuto al rispetto di queste normative. Quali apparecchiature sono effettivamente toccate da queste direttive? A quali obblighi devono adempiere produttori e importatori che intendono immettere sul mercato europeo tali apparecchiature?
Per rispondere a queste domande Switzerland Global Enterprise, l’organizzazione ufficiale svizzera per la promozione delle esportazioni e della piazza economica, ha stilato due pratiche factsheet (ad oggi disponibili solo in inglese, francese e tedesco).
Maggiori informazioni e download delle schede RoHS e RAEE: Direttive UE ROHS e WEEE: Cosa devono sapere le aziende svizzere | S-GE
Altri link utili:
Apparecchiature elettriche ed elettroniche (Ufficio federale dell’ambiente UFAM)
La volontà è la forza motrice
/in Comunicazione e mediaLa recente comunicazione della Commissione federale dell’energia elettrica (ElCom), secondo cui dobbiamo prepararci a un’eventuale penuria di corrente, non fa che confermare quanto la situazione in campo energetico sia delicata.
Conflitto russo-ucraino, interruzione dell’erogazione di gas, siccità costituiscono un mix ad alto rischio. La valutazione dell’El-Com è ovviamente inquietante benché non sorprendente e mette chiaramente in chiaro quanto gli equilibri nel campo dell’energia siano delicati e legati a dinamiche eternogenee, fra le quali, non di meno, quelle internazionali. Da una parte vi è l’interdipendenza di una moltitudine di fattori interni (come il livello dei laghi artificiali e la manutenzione delle centrali nucleari), dall’altra parte la dipendenza da quanto avviene sullo scenario internazionale (non solo il gas, ma anche le centrali nucleari francesi ad esempio). Il fattore geopolitico in mutamento sia continuo che preoccupante, esige una politica pronta alla flessibilità e mutazione in tempi brevi e volta a coniugare le legittime pluralità ed esigenze delle posizioni sociali.
Il Consiglio federale ha comunicato che sta valutando, con attenzione, la situazione e che darà indicazioni più precise entro fine agosto. Bene, prendiamo atto fiduciosi, anche se le prime, provvisorie indicazioni non ci permettono di esserlo pienamente, visto che apparentemente si lavora soprattutto su scenari che andrebbero a colpire principalmente e in primo luogo, le aziende, obbligandole a una riduzione dell’indice produttivo, limitandone significativamente le attività. Non è pragmaticamente corretto pensare di poter scindere, nuovamente, l’economia dai cittadini. In più occasioni abbiamo sottolineato come alcune risoluzioni settoriali, mettano a grave rischio la serenità delle persone che, proprio da queste attività dipendono. Ci siamo messi alle spalle l’effetto “domino” delle chiusure in pandemia? Per memoria storica, non più di un anno fa, abbiamo potuto, purtroppo, constatare il costo umano e finanziario di scelte di parte.
Quali insegnamenti?
L’illusione di una scelta di transizione energetica unilaterale, tra eolica e solare, sta tramontando. Si tratta di vettori indubbiamente strategici per il futuro e da promuovere con decisione, ma oggi non ancora sufficienti per sostituire completamente i combustibili fossili. E saranno comunque necessari investimenti di proporzioni enormi e tempi di realizzazione lunghi per arrivare a un “Green Deal” energetico. Magari alleggerendo un po’ anche le procedure che oggi impongono tempi eccessivamente lunghi per alzare le dighe (procedura di per sé già impegnativa anche dal punto di vista logistico), o per prevedere pale eoliche o coperture fotovoltaiche massicce in talune valli. È indicativo che l’Unione europea, quasi per magia e ammettendo di fatto la difficoltà della transizione energetica, qualche settimana fa abbia improvvisamente stabilito prodotta con il gas
sono “verdi ”. Forse meglio delle centrali che l’energia nucleare e quella a carbone che Francia e Germania si trovano costrette, frettolosamente, a dover riattivare…
Le dipendenze sono sempre tortuose
Si fa presto a dire che occorre ridurre la dipendenza dall’energia fossile. Si dimentica però spesso che le implicazioni sono molteplici. Il primo ragionamento di utilizzo va a quello pratico quotidiano che tutti conosciamo e utilizziamo. Ma i materiali sono le fondamenta di molteplici altri funzionamenti che, senza accorgerci, utilizziamo con disinvoltura e senza troppe riflessioni sulle loro componenti base. Ad esempio, rinunciare al petrolio come fonte energetica è un’operazione delicata e per niente scontata, perché dal greggio non si ricavano soltanto benzina, gasolio e olio combustibile, che a tutt’oggi muovono i trasporti privati e pubblici e riscaldano gran parte degli edifici privati e pubblici in tutto il mondo. Esso serve anche per produrre oli lubrificanti, paraffina, asfalto, catrame e i polimeri, ossia la maggior parte delle materie plastiche indispensabili, ad esempio, nell’edilizia, nell’industria e nella distribuzione commerciale. Quali alternative? Ricerca e innovazione su materiali alternativi, ma anche questo non si realizza da un giorno all’altro, ma richiedono anni di ricerche che richiedono investimenti corposi. La garanzia di un risultato sostenibile e pratico non è sempre scontata e così, bisogna continuare o, a volte, ricominciare. La fretta non è compresa certamente in questi percorsi e neanche la copertura infinita finanziaria, che spesso, nel frattempo deve invece coprire altre esigenze sociali prevalenti.
La realtà è il punto di partenza
La dipendenza energetica o dalle materie prime in generale sembra a volta un argomento un po’ astratto concernente, in prevalenza, i massimi sistemi. Con una facile riflessione è però facile comprendere come in realtà vi siano risvolti concreti sulla vita quotidiana di tutti. Prendiamo il caso del caro a tutti, telefono cellulare.
Come si può vedere nell’immagine, un IPhone è composto da circa una quarantina di elementi, fra metalli rari, semimetalli e altri. Dai più conosciuti come il cobalto, il litio, l’alluminio, il rame, il piombo e il fosforo, ad altri dai nomi più esotici (almeno per i profani) come il gallio, l’indio e il gadolinio. Materie estratte nei paesi più disparati, anche se, in media il 54% della produzione mondiale è in mano cinese. Per alcune materie si raggiunge anche l’80%. La dipendenza delle importazioni europee da fornitori come la Cina o il
Congo varia da un 30% per il cobalto al 100% per il magnesio. Già abbiamo sottolineato più volte come la Cina controlli anche oltre il 90% del mercato globale dei pannelli fotovoltaici. Analogo discorso vale pure per la tanto decantata svolta elettrica del parco dei veicoli.
Anche in questo ambito, ca. il 90% della produzione mondiale di terre rare, leggere e pesanti, indispensabili per tali mezzi di trasporto, è di origine cinese. Cerio, lantanio, zirconio, neodimio, europio, ittrio, disprosio, praseodimio, terbio, tutti metalli che confluiscono nella produzione di un’automobile elettrica o ibrida, il doppio di una vettura a benzina. In particolare, per le batterie dei veicoli elettrici, è essenziale il cobalto, soprattutto per gli accumulatori di nuova generazione, prodotto anch’esso, nella misura del 71%, da Cina e Congo. Alternative dal Canada e dall’Australia sono insufficienti. Così come non è trascurabile il fatto che la Russia sia anche un Paese leader nelle forniture di palladio e rodio indispensabili nell’industria automobilistica. Senza dimenticare che la produzione di semiconduttori dipendeva in buona parte anche dal gas neon che arrivava da Mariupol e Odessa. Interi popoli in grave emergenza da dipendenze vitali e che sottolineano come solo un pensiero evolutivo sociale, nella sua interezza e che non dimentichi le interdipendenze sul campo, possa fare fronte alle sfide mondiali. Una Russia che insieme all’Ucraina assicurava il 28% del grano, il 29% dell’orzo, il 15% del mais e il 75% dell’olio di girasole che si consumano a livello mondiale ha inevitabilmente e pericolosamente sconvolto l’agenda delle priorità e messo in evidenza la fragilità dei sistemi. Cambiare le tendenze non può funzionare in tempi brevi. Non siamo pronti. Non abbiamo pensato, per molto tempo, di doverci preparare in tempi brevi. Va preso atto di questa ovvietà per costruire una politica seria in ambito energetico e di approvvigionamento generale. Soluzioni ve ne sarebbero in teoria, visto che ad esempio la zona dell’Extremadura in Spagna è ricca di litio e di cobalto, ma la popolazione si oppone all’estrazione. Scelta legittima, come sono legittime le proteste in Finlandia contro le già esistenti miniere di estrazione del cobalto, per l’impatto ecologico. Ma, come sempre, si tratta di scelte e priorità. In tutti gli ambiti se non si è disposti a determinati sacrifici occorre in qualche modo pagarne
il prezzo. Il costo è alto per tutti, nessuno escluso. Ma poi le lamentele non sono più accettabili o legittime. È importante scegliere, nell’emergenza, una direzione, senza tuttavia dimenticare le altre. Le scelte difficili sono i passi che devono guardare al passato e al futuro per affrontare il presente.
Nessuna soluzione?
In sostanza, un mondo molto complesso, interconnesso su tantissimi livelli diversi fra loro, che rende difficili le decisioni, smentendo puntualmente chi “la fa facile”, promettendo soluzioni rapide, indolori, ideali per tutti. La realtà è molto diversa. Corretto cercare di ridurre le dipendenze, illusorio pensare di eliminarle, sbagliato vendere ipotetiche soluzioni nuove con faciloneria. In realtà tutti siamo chiamati a fare sacrifici e sarebbe sbagliato e pericoloso limitarsi interrompendo o limitando determinate attività aziendali, considerate troppo energivore. Sarebbe un messaggio doppiamente sbagliato, economicamente e socialmente. All’interno di un equilibrio fortemente delicato, sottovalutare o colpire un solo tassello innescherebbe quell’effetto a domino che avremmo già dovuto apprendere durante la fase più dura della pandemia e non dimenticato da molti imprenditori che, ancora oggi, stanno lottando per riattivare e sostenere le proprie attività, collaboratori compresi. Dal punto di vista economico perché minaccerebbe molti posti di lavoro e porrebbe limiti ulteriori a determinati approvvigionamenti, rendendo di conseguenza le dipendenze l’unica via di uscita. È proprio la tendenza che stiamo faticosamente cercando di contrastare. Dal punto di vista sociale perché si proporrebbe nuovamente una spaccatura fra economia e cittadine e cittadini, quando in realtà l’economia siamo tutti noi, nessuno escluso. Le intenzioni interconnesse per una soluzione ottimale deve comprendere tutte le parti sociali. È illusorio pensare, o anche solo immaginare, che una sola parte della nostra società possa, da sola, risolvere le difficoltà di una collettività.
Sottolineando che i sacrifici li deve fare sempre e solo qualcun altro, non risolve alcun problema e rischia di aprire nuovamente una diatriba che speravamo fosse stata accantonata e compresa molto bene. È chiaro che si possano e debbano prevedere dei sacrifici commisurati ai diversi contesti, ma il messaggio deve prevalere sul populismo: tutti devono essere chiamati a contribuire al superamento delle difficoltà che coinvolgono il Paese. È questo l’atteggiamento che diventa vincente in ogni presente e futuro contesto. Creando e spiegando una coerenza e responsabilità sociale nella sua interezza è certamente una forza sulla quale potremo contare anche nelle sfide future. La coesione delle parti, il rispetto reciproco e lo stesso intento rappresentano la differenza.
Telelavoro dei frontalieri: accordo amichevole tra Svizzera e Italia
/in Diritto, Fiscalità, Internazionale, Tematiche, VariaIn una dichiarazione congiunta di Italia e Svizzera del 22 luglio 2022, le autorità competenti dei due Paesi hanno convenuto che l’accordo amichevole del 18/19 giugno 2020 per evitare la doppia imposizione del reddito da lavoro dipendente percepito all’estero continuerà ad applicarsi al telelavoro.
Le autorità competenti italiana e svizzera si manterranno in stretto contatto e torneranno a consultarsi entro la fine del mese di ottobre 2022.
La dichiarazione congiunta di Italia e Svizzera in merito all’accordo amichevole del 18-19 giugno 2020 può essere consultata qui: Convenzioni per evitare le doppie imposizioni Svizzera – Italia | AFC (admin.ch) – pto. III Accordo amichevole.
Algoritmi avanzati per migliorare le supply chain
/in Internazionale, Tematiche, VariaSe ne parla tanto, ma in realtà sono ancora poco utilizzate dalle aziende: parliamo dell’intelligenza artificiale e della blockchain. Eppure sono proprio queste tecnologie a migliorare nettamente la pianificazione e la gestione delle crisi nelle catene di approvvigionamento.
La pandemia e la guerra in Ucraina hanno dimostrato la rapidità con cui le supply chain globalizzate subiscono interruzioni e rotture, con conseguenze quali scaffali vuoti nei negozi da un lato e magazzini sovraccarichi nelle aziende dall’altro. La diversificazione dei fornitori aiuta, ma a lungo termine è soprattutto la trasparenza a fare la differenza: le catene di approvvigionamento sono sempre più collegate in rete e, per gestire correttamente i flussi di merci, è necessario essere in grado di controllarle in qualsisi momento e in ogni fase.
Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso una digitalizzazione coerente. Due tecnologie, in particolare, sono molto utili per la filiera: l’intelligenza artificiale (IA) e la blockchain.
Quando si parla di IA, è quasi immediato pensare agli androidi, mentre in realtà si tratta di un insieme di software basati su algoritmi che replicano il ragionamento umano e sono in grado di analizzare enormi quantità di dati in tempi brevi, di migliorarsi continuamente, di prendere decisioni e in sostanza di risolvere problemi. Nell’ambito della supply chain, l’IA può analizzarne la situazione sulla base dei dati ricevuti dal suo monitoraggio digitale, fornendo quindi suggerimenti per migliorarne la logistica, facendo previsioni e creando persino piani alternativi.
Le supply chain stanno diventando sempre più complesse
La logistica può essere molto delicata. Prendiamo l’esempio degli alimenti o dei prodotti sostenibili per la cura della persona: in entrambi i casi, la base è costituita da materie prime prodotte solo a intermittenza e spesso deperibili. A complicare ulteriormente le cose vi sono le richieste dei clienti, in rapida evoluzione e personalizzate, per non parlare degli effetti a lungo termine della pandemia e della guerra in Ucraina. Tutto ciò rende le reti della supply chain estremamente complesse. Una singola persona può difficilmente tenerle sotto controllo ed anche i pianificatori logistici più esperti stanno raggiungendo i limiti delle loro capacità perché la quantità di dati generata dalle supply chain è enorme. Così, fave di cacao, carne cruda, frutta, piante medicinali, miele, latte, oli essenziali e simili rischiano di rimanere a lungo nei container e di marcire.
Attraverso gli algoritmi di intelligenza artificiale è invece possibile monitorare l’intera attività: essi riescono infatti a coordinare meglio e più velocemente i singoli processi all’interno delle catene di approvvigionamento, stimano l’evoluzione delle attività e pianificano la produzione di materie prime verificando nel contempo le scorte in magazzino e i percorsi e i tempi di consegna. Gli algoritmi tengono anche conto della durata di conservazione della merce nonché della quantità necessaria per la realizzazione del prodotto finale, rilevano inoltre molto rapidamente possibili colli di bottiglia e possono anticipare zone di interruzione, definendo punti di trasbordo meno congestionati e calcolando percorsi alternativi. Ciò consente da un lato di risparmiare tempo e dall’altro di evitare che le delicate merci trasportate deperiscano.
Facilitare il processo decisionale
È proprio in occasione di ingorghi imprevisti e/o di cambiamenti improvvisi dei tempi di attesa, che l’elaborazione rapida e fondata di scenari alternativi si rivela importante. Più dati vengono presi in considerazione, migliori sono le soluzioni – e solo l’IA può elaborare big data ad alta velocità.
Numerosi altri fattori possono inoltre entrare in gioco, primi fra tutti il rapido aumento delle richieste dei clienti, le loro nuove preferenze in merito ai prodotti e quindi il loro cambiamento nel comportamento d’acquisto. Grazie all’IA tutte queste condizioni possono essere prese in considerazione in tempo utile per adeguare tempestivamente l’approvvigionamento delle materie prime e la produzione di prodotti finiti. In breve, gli algoritmi sono in grado di fornire rapidamente ai responsabili della logistica suggerimenti e previsioni fondati che facilitano enormemente il processo decisionale.
Il trasferimento sicuro delle informazioni
La seconda tecnologia utile alle supply chain è la blockchain. La blockchain è una serie concatenata di blocchi (da cui il suo nome) carichi di informazioni, ordinati cronologicamente e la cui integrità è garantita da un algoritmo crittografico che li lega ai precedenti. Una volta inseriti all’interno dei blocchi, i dati non possono più essere modificati senza che vengano invalidati tutti i processi successivi. Molti l’associano al bitcoin e all’ambito finanziario, ma in realtà la blockchain può essere applicata a molti altri settori e si presta alla condivisione rapida, sicura, efficiente e trasparente, con tutti gli attori della filiera, delle informazioni sulla catena di approvvigionamento e sugli scenari calcolati in precedenza dall’IA.
Tracciabilità, risparmio e certezza
Quando la blockchain viene combinata con l’Internet of Things (IoT), e ad esempio con sensori che misurano le scorte di materie prime o con robot mobili e altri elementi automatizzati in magazzino, gli attori della supply chain beneficiano di tre vantaggi principali:
In sostanza: un supply chain management intelligente
L’abbiamo letto poc’anzi: un delle sfide più grandi della supply chain è quella di ottenere in tempo reale una visione trasparente e completa della filiera, così da facilitare e velocizzare il processo decisionale e assicurare un servizio efficiente nonché una consegna rapida al cliente. Tecnologie come l’intelligenza artificiale e la blockchain, combinate con l’IoT, ricoprono un ruolo chiave in termini di produttività, riduzione dei rischi, agilità, tracciabilità, fiducia e, in sostanza, nella gestione intelligente della filiera.
Percorsi formativi con attestato Cc-Ti: i primi diplomati
/in Appuntamenti, Formazione puntualeSi sono svolti a fine primavera 2022 gli esami dei percorsi formativi Cc-Ti, che la nostra associazione ha proposto in alcuni ambiti. Nello specifico si sono concretizzati i percorsi relativi al “Diritto del lavoro” e alla “Vendita”.
Si tratta di corsi di formazione costituiti da più moduli interconnessi che possono, però, essere frequentati anche singolarmente. Coloro che seguono la formazione completa
hanno la possibilità di sostenere un esame finale e, al superamento dello stesso, viene rilasciato un attestato Cc-Ti.
Generalmente i percorsi si declinano su 5-8 moduli. Avendo l’opportunità di frequentare anche solo alcuni dei temi proposti nel percorso, lo stesso può essere gestito secondo le singole esigenze personali e aziendali. Proposte che abbiamo aggiunto alla nostra, già variegata, formazione continua e che rispondono alle crescenti e in continua mutazione competenze richieste dal mondo lavorativo.
In questo articolo vi proponiamo 3 brevi testimonianze di partecipanti che hanno ottenuto l’attestato in “Diritto del lavoro” e, cambiando prospettiva, dei docenti che si sono occupati del percorso della “Vendita”.
Benedetta Landoni, Ticicom SA
Da alcuni mesi la Cc-Ti propone nuovi percorsi formativi costituiti da più moduli interconnessi che possono essere frequentati anche singolarmente. Lei ha completato il ciclo dedicato al “Diritto del lavoro”, superando l’esame finale. Come è andata? Quali le sue impressioni?
Ho da poco concluso, con molta soddisfazione, il percorso dedicato al “Diritto del Lavoro” iniziato a settembre 2021 e devo dire che il corso, sia se seguito nella sua interezza che partecipando solo a singoli moduli, è complessivamente ben organizzato e strutturato. Dal punto di vista dei contenuti tutte le tematiche sono state trattate in maniera esaustiva grazie alla competenza, alla preparazione e aggiungerei anche all’esperienza delle docenti. Con esempi pratici ed esercitazioni di gruppo è stato possibile chiarire dubbi anche sulle questioni più controverse e, contestualmente, alternare la parte teorica con quella pratica. Aggiungo che la modalità online, sebbene personalmente preferisca sempre essere in presenza, ha sicuramente facilitato la frequenza permettendomi di conciliare il momento formativo con le attività lavorative. Complessivamente ritengo che il corso riesca a fornire a responsabili e collaboratori HR tutti gli strumenti per poter orientarsi tra le diverse problematiche relative alla gestione delle risorse umane e le questioni giuridiche ad essa connesse.
Roberta Oltolina, Parametric Design Suisse
Il percorso formativo era composto da moduli distinti che trattavano argomenti specifici. Cosa riporterà nel suo quotidiano in azienda di quanto appreso?
Lo scopo era quello di confermare e aggiornare determinate conoscenze già acquisite e l’obiettivo è stato raggiunto. Mi sono personalmente acculturata con argomenti che avevo solo sfiorato nel mio ambito lavorativo. Sicuramente mi serviranno per svolgere al meglio il mio ruolo interagendo con il personale ed essendo di supporto al Direttore del Dipartimento HR.
Francesca Spaini, Humabs BioMed SA
Un percorso del genere è anche un’occasione per intrecciare nuove relazioni e fare networking. In che modo ha potuto beneficiarne (visto il gruppo eterogeneo di partecipanti)?
Il percorso Cc-Ti in diritto del lavoro è stata un’ottima occasione per conoscere colleghe e colleghi provenienti da contesti lavorativi eterogenei, e quindi estremamente arricchente per chiunque lavori nell’ambito delle risorse umane. Sarebbe stato sicuramente utile e ancor più coinvolgente poter condividere anche delle lezioni in presenza, ma è stato molto pratico e time-saving poter seguire le lezioni in remoto dal proprio ufficio o da casa, senza per questo perdere in qualità. Consiglio vivamente questo percorso anche per la competenza delle docenti.
La voce dei docenti: Stefano Bosia ed Andrea Carlesso
Selling Revolution: 2°edizione percorso formativo con attestato Cc-Ti e Associazione vendita svizzera
Presentato per la prima volta nel 2022 in forma totalmente digitale, i favorevoli commenti dei partecipanti hanno invitato a riproporre una seconda edizione. Partendo da basi e tecniche consolidate consente a chiunque, a contatto con il cliente, di acquisire il giusto mindset per trasformarsi in un ottimo venditore. Dal prospecting alla cura del cliente, il corso tocca ogni aspetto della fase di vendita, senza perdere di vista il processo di acquisto, sempre più importante nel determinare la scelta dei partner commerciali.
Composto da 6 moduli, frequentabili anche separatamente, termina con un esame finale riservato a chi ha frequentato l’intero percorso.
Ai partecipanti offre un taglio molto pratico affinché, partendo da basi teoriche, consenta a ognuno di inserire nel proprio processo le tecniche per migliorare le proprie performance di vendita. Attraverso tecniche comprovate basate sul continuo aggiornamento e sull’esperienza dei relatori e sulla messa in pratica delle più recenti teorie e ricerche delle migliori università, lavoreremo sulle sei fasi del processo di vendita di successo. Saremo così in grado di avere una panoramica dell’intero processo e comprendere le due diverse prospettive: quella del venditore e quella dell‘acquirente. In questo modo potremo individuare dove si trova l’acquirente nel processo decisionale e cosa possiamo concretamente fare per guidare la vendita in ogni fase e convincere (vincere insieme) il cliente della bontà della sua scelta: noi! Al termine del percorso ogni partecipante avrà elaborato il proprio kit personale di strumenti e tecniche di vendita e una tabella di marcia per sviluppare abitudini significative e durature.
In conclusione
Investire in modo costante nella formazione dei propri collaboratori è una delle migliori azioni concrete da attuare per contare su risorse umane qualificate e fidelizzarle. Un progetto win-win.
Tutti i programmi dei corsi di formazione puntuale Cc-Ti sono consultabili su www.cc-ti.ch/formazione. Inoltre vi segnaliamo i nuovi percorsi per l’autunno 2022: Competenze nel diritto del lavoro con attestato Cc-Ti e Selling Revolution! II Edizione: percorso formativo con attestato Cc-Ti.
2035: (e)missione zero
/in Sostenibilità, TematicheLa deadline sulla fine dei motori termici a scoppio, benzina e diesel in Europa è stata tracciata dalla Commissione Europea che con il pacchetto “Fit for 55” ha indicato la data: sarà il 2035 l’anno in cui non saranno più vendute auto a benzina, diesel, metano e pure ibride.
A questa fatidica data mancano ormai meno di 14 anni, ma molte case automobilistiche hanno deciso di anticiparla anche perché con una scadenza così ravvicinata non ha più senso investire nei motori a combustione interna e con le risorse, sempre più esigue a causa della crisi del settore automobilistico, che sono tutte investite nello sviluppo della mobilità elettrica. La notizia è quindi così eclatante? In primo luogo, i ministri dell’ambiente UE si devono ancora chinare sulla decisione e prendere posizione in merito. È possibile che vengano ancora apportate delle modifiche come, per esempio, l’apertura ai combustili sintetici o all’idrogeno come carburante per motori a scoppio. In secondo luogo, nel 2035 quanti modelli con motore a benzina o diesel saranno in listino per le varie marche? La notizia non è quindi assolutamente sconvolgente.
Dal punto di vista dei costruttori…
Per le fabbriche, a detta degli esperti del settore, tutto sommato questa decisione gioca a loro favore. Con un termine di così corto (lo sviluppo di nuove tecnologie richiede anni) e con la spada di Damocle delle prossime norme antinquinamento EURO7 assai più severe per quanto concerne le emissioni dei motori a combustione interna, si concentreranno sullo sviluppo e la produzione di auto a trazione elettrica. Allo stesso tempo ridurranno sicuramente la gamma di modelli proposti per ogni marca e passeranno alla produzione su ordinazione mettendosi alle spalle anni di sovrapproduzioni che hanno portato anche un abbassamento dei prezzi delle auto nuove vendute (vedi per esempio Km0 o promozioni importanti). Con questo cambio di mentalità, unito anche alla commercializzazione diretta online da parte dei costruttori di auto, vedranno i loro margini crescere in maniera importante. Questo non andrà però a favore dei lavoratori e, soprattutto dei subfornitori di componenti per il settore automotive. Quest’ultimo punto toccherà in maniera importante anche la Svizzera dove risiedono diverse aziende produttrici di componenti ad alto contenuto tecnologico. Per i primi si prospettano licenziamenti di massa a causa della riduzione di produzione delle fabbriche, per i secondi, grazie alla minore necessità di componenti delle auto totalmente elettriche, una drastica riduzione del lavoro con inevitabili chiusure e cessazioni di attività. Naturalmente, per esempio, in ambito di sviluppo e fabbricazione delle batterie per l’autotrazione si apriranno nuove opportunità, ma queste non saranno sufficienti per assorbire tutti gli esuberi del settore.
…e da quello dell’automobilista
Una cosa va chiarita: chi nel 2035 sarà ancora in possesso di un’auto a benzina, a diesel o a metano, potrà continuare ad usarla anche oltre questa data. Magari utilizzando carburanti sintetici oggi in fase di sviluppo che promettono una neutralità nelle emissioni di CO2 grazie al recupero della CO2 presente nell’aria. Alcune marche tra le quali Porsche e BMW stanno investendo somme importanti in questo settore. Chi nei prossimi anni dovrà acquistare una nuova automobile più ci si avvicinerà al 2035 avrà meno scelta tra modelli e motorizzazioni. Già diversi costruttori hanno annunciato che toglieranno dai loro listini ben prima del 2035 le auto benzina o diesel. Opel, per esempio, ha dichiarato apertamente che l’intera gamma di modelli sarà completamente elettrica entro il 2028. Un rischio reale sarà poi quello della sparizione quasi totale delle auto utilitarie. Costruire vetture elettriche di bassa gamma sarà poco redditizio in quanto il costo elevato delle batterie le renderebbe troppo costose e quindi invendibili. Ad andarci di mezzo potrebbe quindi essere quella parte di popolazione più debole che oggi può permettersi una vettura perché il prezzo d’acquisto è sostenibile, ma domani con l’aumento dei costi d’acquisto dovrà rinunciare ad avere una vettura in famiglia. Non va poi sottovalutato l’aspetto dell’infrastruttura di ricarica. Per poter essere utilizzata in maniera efficiente e conveniente un’auto elettrica deve poter essere ricaricata presso il proprio domicilio o presso il datore di lavoro. Affidandosi unicamente alla rete pubblica, tra l’altro oggi ancora largamente insufficiente, l’utilizzo dell’auto risulterebbe macchinoso e poco conveniente.
Dal punto di vista delle autorità politiche
La sfida più grande legata alla decisione dell’UE di vietare dal 2035 la vendita di auto a benzina o diesel spetta alle autorità politiche di ogni paese. Cominciando dall’approvvigionamento di energia elettrica. Già oggi non è più un tabù parlare di blackout elettrico, cosa succederà quando gran parte delle auto necessiteranno di una presa per la ricarica? Non meno importante sarà il potenziamento della rete di distribuzione. Anche in questo caso non siamo pronti. Collegare molte auto alla rete di distribuzione elettrica nello stesso momento comporta un picco di potenza richiesta che metterà in crisi la distribuzione di energia elettrica. La messa in funzione poi di un numero adeguato di colonnine di ricarica pubblica nei luoghi strategici come lungo le autostrade o nei parcheggi pubblici è pure un obiettivo che va perseguito iniziando già da oggi.
Uber: contratti di lavoro e prestito di personale?
/in Diritto, TematicheUna scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Di recente il Tribunale federale si è occupato di due casi concernenti il sistema di trasporto Uber, ormai a tutti più o meno noto. Di cosa si tratta concretamente? Uber mette a disposizione un servizio di trasporto privato mediante una semplice app dello smart phone. Con questo sistema è possibile inviare una richiesta di trasporto che viene automaticamente inoltrata ad un autista ubicato nelle vicinanze del richiedente. Questo sistema mette quindi in contatto diretto passeggeri e autisti, i quali vengono avvisati tramite geolocalizzazione dell’ubicazione del cliente. Una variante di questo sistema riguarda la consegna di pasti. In questo caso il servizio concerne la consegna di un pasto preparato da un ristorante ad un cliente che rimane a casa sua. Questa seconda variante (Uber eats) implica pertanto, a differenza del semplice trasporto passeggeri, un rapporto a tre: autista, ristorante e cliente.
Le citate sentenze del Tribunale federale (2C_575/2020, 2C_34/2021) si riferiscono a situazioni venutesi a creare a Ginevra. Nel primo caso si è trattato del servizio “ordinario” di trasporto di passeggeri. Le autorità ginevrine, in questa prima fattispecie hanno valutato che il sistema Uber doveva essere qualificato alla stregua di un’impresa di trasporto ai sensi della legge cantonale sui taxi e i mezzi di traporto e come tale doveva rispettare tutti gli obblighi legali, inclusi quelli relativi alla protezione sociale e alle condizioni lavorative degli autisti. Il Tribunale federale ha confermato questa interpretazione sottolineando che tra i conducenti e Uber vengono conclusi dei veri e propri contratti di lavoro e che la relativa struttura operativa deve essere qualificata come azienda di trasporto, con tutti gli obblighi che ne conseguono. Nel caso della consegna dei pasti i giudici, trattandosi, come già indicato, di un rapporto a tre, hanno dovuto inoltre valutare se il sistema messo in atto non configurasse un prestito di personale, attività che soggiace a chiare e rigorose norme di legge. Lo stesso Ufficio cantonale ginevrino del lavoro aveva considerato in prima istanza che il servizio di consegna pasti ricadeva sotto tale definizione, nel senso che Uber metteva a disposizione dei ristoranti personale per la consegna del cibo ai propri clienti. Prestito di personale insomma, non permesso senza le necessarie autorizzazioni. Su questo punto il Tribunale federale è però giunto ad una diversa conclusione. Pur essendoci un rapporto di lavoro tra Uber eats e i singoli corrieri non vi è alcuna fornitura di personale ai ristoranti.
Il Tribunale federale ha sottolineato che nella fornitura di tale servizio non vi era infatti alcuna trasmissione ai ristoratori del diritto di dare istruzioni ai corrieri, i quali non venivano inoltre integrati nell’organigramma del ristorante. Nessun prestito di personale quindi, e nessuna violazione della Legge federale sul collocamento e il personale a prestito.
Repubblica Dominicana, l’hub logistico dei Caraibi
/in Approfondimenti Paese, Internazionale, TematicheLa Repubblica Dominicana è conosciuta come una delle Nazioni caraibiche con le mete turistiche per eccellenza. Questo è dovuto, tra altri fattori, alle sue spiagge paradisiache, ai suoi campi da golf, al turismo interno e alla calorosa accoglienza che riceve chi visita l’isola.
Lo slogan del Paese recita “La Repubblica Dominicana ha tutto”, e non può essere altrimenti. È una Nazione insulare situata al centro dell’arcipelago dei Caraibi. Questa posizione centrale è perfetta per le aziende internazionali che cercano un accesso facilitato all’America del Nord e del Sud, in particolare gli Stati Uniti. Le aziende manifatturiere e commerciali possono raggiungere gli States in 3 giorni via mare e 2 ore di volo. Inoltre, i call center e altre attività orientate ai servizi si situano nello stesso fuso orario della costa orientale degli Stati Uniti (EST) e ciò rappresenta un vantaggio non indifferente in termini di possibilità di sviluppo del business.
L’economia della Repubblica Dominicana rende questo Stato un luogo ideale per gli investitori che desiderano ridurre i costi operativi, mitigando al contempo i rischi. In prospettiva futura, il Paese continua a impegnarsi per raggiungere l’eccellenza macroeconomica, grazie al forte sostegno del Governo e a un regime di zone franche.
Numerose aziende internazionali hanno scelto la Repubblica Dominicana come meta per lo sviluppo delle proprie attività commerciali. Secondo gli indicatori di governance della Banca Mondiale, la Repubblica Dominicana rappresenta uno dei 5 Paesi più sicuri per fare affari in America Latina.
Dopo 50 anni di regime democratico, lo Stato continua a fare progressi verso istituzioni sempre più aperte e trasparenti. Negli ultimi dieci anni, il Governo ha fatto grandi passi avanti per consolidare la stabilità attraverso misure come la riforma costituzionale, l’adesione all’“Asociación de Gobierno Abierto” (un’organizzazione internazionale il cui scopo è valutare e sviluppare meccanismi per promuovere governi “più aperti, responsabili e sensibili ai cittadini”) e iniziative anticorruzione.
La Repubblica Dominicana vanta 79 parchi industriali con zone franche che offrono servizi e infrastrutture altamente competitivi. Molti parchi sono specializzati in attività produttive di nicchia e offrono alle aziende un interessante pacchetto di incentivi fiscali, tassi agevolati e collegamenti. I vantaggi competitivi sono molto importanti e hanno consentito lo sviluppo di forti cluster in un’ampia gamma di settori industriali.
Dagli anni ‘80, ad esempio, la Repubblica Dominicana ha lavorato per posizionarsi tra i principali attori nella catena di approvvigionamento globale di dispositivi medici e di prodotti farmaceutici. La produzione di dispositivi medici rappresenta, infatti, una delle industrie di esportazione più dinamiche del Paese. Attualmente 33 produttori di dispositivi medici e prodotti farmaceutici operano nelle zone franche. Qui hanno sede cinque dei primi dieci produttori mondiali di dispositivi medici, fra cui: B Braun, Cardinal Health, Baxter Healthcare e altri. Tra i principali prodotti figurano: dispositivi per stomia, teli chirurgici e strumenti elettromedicali. Per sostenere lo sviluppo continuo, gli organi governativi delle zone franche hanno istituito un cluster di produttori di dispositivi medici che opera per difendere l’industria del settore.
Il settore dell’elettronica è progredito grazie agli ottimi servizi logistici offerti da alcuni parchi delle zone franche. Attualmente, 22 società attive nell’elettronica operano in queste piattaforme. Queste aziende possiedono capacità distinte che vanno dalla produzione di componenti intermedi all’assemblaggio di prodotti finali, e comprendono produttori a contratto e marchi prestigiosi quali Vishay o Rockwell Automation.
Calzature, tabacco, tessile, gioielleria e back office sono altri settori con grande presenza nel Paese.
I parchi logistici e le aree di attività sono stati creati o ampliati per facilitare attività come lo stoccaggio, il deconsolidamento, l’imballaggio, il riconfezionamento, l’etichettatura, la rietichettatura, la distribuzione e la riesportazione delle merci. Tra le aziende che hanno già stabilito centri logistici e/o di distribuzione nel Paese figurano: IKEA, Caterpillar, Rolex, Diageo, Evergreen, ecc..
Anche la Svizzera ha affidato la propria produzione alla Repubblica Dominicana con società dedicate principalmente ai settori farmaceutico, degli strumenti medici, del tabacco e dei suoi derivati, dei servizi logistici, del commercio e dell’industria, che globalmente generano all’incirca cinquemila posti di lavoro diretti. Al di fuori delle nostre zone franche, Nestlé o Kuehne + Nagel International hanno sfruttato le opportunità che il Paese offre in termini di collegamenti, infrastrutture e posizione strategica nella regione.
Cosa rende la Repubblica Dominicana così interessante? L’ampio sistema di infrastrutture del Paese è adatto a supportare il commercio globale. Nel 2019 il “Global Competitiveness Report”, pubblicato dal World Economic Forum, ha classificato la Repubblica Dominicana come lo Stato con l’infrastruttura di trasporti numero 1 nella regione dell’America Latina. Questa rete comprende 9 aeroporti internazionali, 12 porti marittimi e oltre 20’000 chilometri di autostrade e strade. Attualmente nella Repubblica Dominicana giungono circa 90 navi settimanali con rotte dirette verso l’America del Nord, il Centroamerica e i Caraibi, il Sud America, l’Europa e l’Asia. Si contano altresì oltre 270 voli giornalieri, con un’ottima connessione con il Nord America, l’America Centrale e l’Europa.
Il 90% circa della merce che entra ed esce dal Paese transita attraverso il trasporto marittimo. La Repubblica Dominicana ha la capacità di ricevere navi Post-Panamax (ovvero navi le cui dimensioni non permettono loro di transitare nelle chiuse del canale di Panama originale – fanno parte di questa tipologia le superpetroliere e le più grandi navi portacontainer): il parco industriale e logistico “DP World Caucedo”, ad esempio, dispone di 5 gru Super Post-Panamax.
Le aziende che cercano di espandere la loro presenza globale ritrovano nella Repubblica Dominicana uno dei loro migliori alleati.
Autore e contatto:
Litzanna Marmolejos
Ambasciata della Repubblica Dominicana in Svizzera
lmarmolejos@mirex.gob.do
Non esistono domande inutili
/in Organizzazione, Risorse umane, Soft skills, TematicheChi fa domande conduce, questo è indiscutibile. Ma ciò che i dipendenti raccontano dei loro superiori durante le sessioni di formazione e coaching spesso sembra a mille miglia da questa verità.
Il Signor H. parla del suo capo, che fa costantemente domande, ma spesso H. ha l’impressione che non vengano strutturate in modo propositivo e quindi non portino a nessun esito costruttivo, per nessuno dei due.
Allora, forse, porre le “giuste” domande può rivelarsi più difficoltoso di come si possa pensare.
Facciamo un passo indietro e vediamo come si pongono i giornalisti, questi professionisti che vivono dell’arte di porre domande. Durante la loro formazione, imparano prima a porre domande e a far “aprire” le persone. Sanno che devono assolutamente trovare le informazioni chiave e che le troveranno nelle risposte degli interlocutori. Possiamo trarne ispirazione.
Essere preparati
Non basta, però, imparare a memoria un elenco di domande. Prima di lanciarsi, i giornalisti si preparano accuratamente sull’argomento che tratteranno e sullo scopo finale del loro colloquio. Sanno anticipatamente quali domande porre per mettere il loro interlocutore a suo agio, mostrano interesse per lui: l’intervistato si trova in un approccio corretto e rispettoso e collabora volentieri.
I giornalisti sanno anche come giocare sui punti interrogativi per mettere all’angolo qualcuno quando presumono, ad esempio, che ci sia uno “scheletro nell’armadio” (cioè informazioni importanti) e vogliono saperne di più (per i loro lettori). Bisogna affinare questo sesto senso, mostrare tatto, altrimenti l’interlocutore sfugge e si chiude.
Domande poste in modo scoordinato o non serio, senza empatia e con poca preparazione posso addirittura effettuare l’effetto contrario. Il nostro interlocutore mente, inventa, o porta il tema nella direzione a lui più affine, rendendo vano tutto il colloquio. Peccato!
Raccogliere informazioni? Sostenere? Controllare?
In qualità di dirigente e collaboratore all’interno dell’azienda, si combinano più funzioni e spesso vengono esercitate contemporaneamente. Le informazioni corrette sono alla base di una strategia vincente… tante occasioni per porre domande in modo mirato.
In qualità di responsabile gerarchico, porre domande aiuta ad assicurarsi che le informazioni circolino. La gestione di professionisti che spesso sono molto più preparati di voi nei propri campi di competenza, e che, attraverso le vostre domande, forniranno informazioni importanti, aggiornamenti sullo stato di avanzamento di un progetto, informazioni sul “polso di soddisfazione / critica” dei collaboratori, vi aiutano a verificare che gli obiettivi raggiunti siano in linea con quelli pianificati…
In qualità di specialista, potete, ponendo domande, verificare che la qualità di un prodotto soddisfi le aspettative e garantire l’efficienza del processo.
In qualità di mediatore, potete dimostrare il vostro interesse ponendo domande e quindi sottolineare l’identificazione e l’investimento riversato o percepito dai membri del team; le domande sono anche un valido strumento di gestione dei conflitti.
In qualità di coach, fare domande porterà a supportare lo sviluppo individuale dei collaboratori o colleghi. Chiedere informazioni sulle reciproche risorse personali e poi dare i giusti consigli, il giusto feedback, condividere una riflessione tempestiva.
In qualità di imprenditore, il quadro generale dell’organizzazione risulta più delineato. Un occhio più attento sul mercato e quindi più rappresentativo per la vostra azienda all’esterno. Le domande permettono di guadagnare la fiducia degli altri, sia internamente che esternamente, di rilevare aspetti fino ad allora sconosciuti all’interno dell’azienda e di stimolare il senso di responsabilità dei dipendenti.
In qualità di dipendente, fare domande consente, ad esempio, di assicurarsi che i passi siano in linea con gli obiettivi dell’azienda e di conoscere il margine di manovra rispetto ai processi innovativi e all’evoluzione della propria posizione.
Ognuno è chiamato a rivestire tanti ruoli in diversi contesti, funzioni e responsabilità: per ognuno di essi può essere molto utile porre la domanda giusta al momento giusto. È quindi essenziale prendersi il tempo necessario e adottare un atteggiamento aperto per ottenere risultati a volte anche inattesi.
Anche nella nostra pratica professionale dobbiamo esercitarci a porre le domande (anche a sé stessi) che ci permetteranno di raggiungere i nostri obiettivi nel rispetto dei nostri differenti interlocutori.
L’altro
Chi di noi potrebbe negare che non tendiamo a pensare di conoscere i dettagli delle cose prima ancora di porre le nostre domande? Sicuramente interroghiamo i nostri interlocutori, ma crediamo di conoscere già le risposte. Ascoltiamo prima noi stessi e poi gli altri… forse, e non con attenzione.
Tuttavia, in un mondo sempre più specializzato, non potremmo mai essere dei “tuttologi. Un collaboratore, un dipendente del servizio esterno, un conoscente persino, può rivelarsi la giusta persona di riferimento. In breve: scoprite cosa ha da dire ogni persona sul vostro cammino.
Apprezzare le risposte
Vedendo i giornalisti al lavoro sul piccolo schermo, possiamo chiederci se sarebbe possibile per noi fare lo stesso nella nostra pratica professionale. Alcuni giornalisti sono freddi e distanti. Il nostro sangue si congela nelle vene solo a vederli. Altri mostrano più calore umano e sembrano sinceramente interessati alla persona che stanno intervistando.
Dobbiamo aggiungere che ogni intervista ha le sue funzioni (vedi sopra). Sta a ognuno di noi definire l’obiettivo della conversazione. In generale, bisogna trovare un equilibrio tra prova di interesse e distanza professionale, tra cordialità e missione. Se avete imparato a porre davvero domande e domande reali, otterrete risposte più o meno utili. Considerate le risposte che vengono date come doni. Considerateli come una prova di fiducia da parte del vostro interlocutore. Non reagire alle risposte con delle critiche o rifiutandole (anche se a prima vista sembrano spiacevoli o diverse da quelle che vi attendevate).
Quando il tempo sta per scadere
Con l’aiuto di esercizio e autocritica, le persone sono in grado di destreggiarsi poi, tra le domande. La preparazione è la chiave per raggiungere questo obiettivo. Ma a volte dobbiamo condurre un’intervista sul posto, senza essere davvero in grado di rifletterci sopra e scandire una dinamica precisa. Oppure nuove informazioni cambiano il gioco proprio durante l’intervista. In questi casi, ci saranno molto utili alcune domande basilari e generali, purché ci limitiamo ad esse.
Un esempio:
Lo scopo di queste tre domande è quello di permettervi di avere successo anche in un territorio sconosciuto e poter comunque usufruire al meglio della situazione. In questo caso, ancora più che in altri contesti, è fondamentale ascoltare con attenzione.
Già gli antichi cinesi…
Già gli antichi cinesi dicevano che chi fa una domanda è stupido per cinque minuti, mentre chi non chiede rimane stupido per il resto della sua vita.
Fonte: WEKA, Equipe de rédaction, 13.6.22, adattamento Cc-Ti
L’arte della critica costruttiva e della “buona” comunicazione
/in Risorse umane, Soft skills, TematicheLo spirito critico, dal greco κριτικός (“che discerne”), è un atteggiamento riflessivo proprio di chi non accetta nessuna affermazione senza interrogarsi sulla sua validità e che considera una proposizione come vera solo quando è stata verificata, dove possibile, o quantomeno attentamente considerata. Quando pensiamo a una “critica”, però, spesso, questa parola assume con una connotazione negativa non considerando le sue diverse valenze: la critica può essere anche costruttiva (anzi lo dovrebbe essere) e volgere al miglioramento.
Cominciamo con un esempio: il vostro capo si avvicina chiedendo di preparare una presentazione per un incontro con un cliente. La consegnate. Poco dopo vi viene fornito un feedback, in cui si dice che non avete affrontato un punto che era considerato importante.
La critica
Se la mancanza sollevata nel feedback non è chiara o non la condividete, diventa costruttivo per entrambe le parti, cercare di comprendere con domande puntuali e condivisione di pensiero le reali priorità che dovevano venire espresse nel compito che era stato affidato.
Attuare poi quanto appreso renderà il lavoro più confacente alle esigenze aziendali.
Allo stesso tempo, il dirigente è tenuto ad esprimersi con modalità proattive chiare. Solo un reciproco rispetto e obiettivo comune potranno dare il risultato sperato.
Una “cattiva” gestione della critica può portare rapidamente alla nascita di un conflitto. Accettare le critiche è difficile per la maggior parte delle persone, sia professionalmente, sia socialmente. Occorre focalizzare la critica in un’ottica positiva. Spesso, permette di imparare e crescere.
François de La Rochefoucauld (scrittore e filosofo francese, 1613 – 1680) affermò: “pochi sono tanto saggi da preferire un benefico biasimo a una lode traditrice”.
Oltre a presentare il problema in modo propositivo, la critica costruttiva dovrebbe essere formulata quale spunto di miglioramento alla persona alla quale è rivolta.
Accade di frequente che le persone si sentano attaccate, anche se la critica voleva essere costruttiva, e considerano ogni osservazione come un attacco personale.
Un ottimale scambio di opinioni tiene conto di tutte queste, appunto, criticità.
Come accettare la critica costruttiva?
La buona notizia: si può imparare
Quando si ricevono delle critiche, è consigliabile assicurarsi che “il linguaggio del corpo” non manifesti un rifiuto a priori. Evitate di incrociare le braccia sul petto e di alzare le ciglia, ancora prima di porvi in ascolto.
Se le argomentazioni del vostro interlocutore saranno comprensibili e convincenti, si potranno accettare con più facilità le critiche enunciate e attuare la proposta di miglioramento, qualora si presenti l’opportunità. Il confronto tra i metodi di gestione del problema/compito consentirà di trovare la soluzione ottimale per entrambi le parti.
Come formulare la critica costruttiva?
Relativizzare e difendersi dalle critiche ingiustificate
Può accadere che le critiche siano ingiustificate, quindi prive di fondamento. È possibile che la persona criticata accetti comunque la critica, come pure che affronti attivamente e, se necessario, vi si opponga. Ad esempio, se una persona è criticata ma non è la causa del problema, la critica è ingiustificata e questa forma di critica non è produttiva.
Chi accetta tacitamente tali situazioni rischia di diventare il “capro espiatorio” per tutte le problematiche future che possono occorrere.
Accettare una critica significa chiarire i punti erroneamente messi in discussione. È importante restare sempre al livello dei fatti e frenare le proprie emozioni. Difendersi o difendere la propria posizione, però, non significa “contrattaccare” nello stesso verso di chi ha mosso la critica.
Alcuni punti di cui tener conto:
Ma allora… è una questione di comunicazione?
La maggior parte delle persone si considera un buon ascoltatore. In realtà, gran parte delle persone non sanno ascoltare. L’entusiasmo per le proprie idee e la voglia di comunicarle non permette un vero ascolto e, quindi, non migliora la conversazione. Osservate se, in una conversazione, mostrate più entusiasmo per ciò che sentite o per i vostri pensieri. La maggior parte delle volte la voglia di parlare impedisce un ascolto attento. Seguire attivamente una conversazione è faticoso, richiede concentrazione e non porta una soddisfazione così immediata rispetto alla reazione immediata delle parole dette a fiume su di un argomento che ci sta a cuore.
Per diventare buoni ascoltatori, occorre sapere come porsi e come prestare attenzione. Uno dei metodi che si possono mettere in atto consiste nel non reagire immediatamente a ciò che viene detto, ma creare uno spazio di riflessione. Ciò impedirà ai pregiudizi o ad altre abitudini di pensiero di determinare una reazione impulsiva, che magari potrà rivelarsi errata per l’occasione. Allo stesso modo, una breve pausa può offrire l’opportunità di estrapolare dal discorso informazioni preziose, che altrimenti potrebbero andare perse. Superare le abitudini che si fossilizzano nella comunicazione interpersonale richiede degli sforzi. Quindi provate ad ascoltare attentamente il vostro interlocutore.
È utile porsi domande: sto davvero ascoltando per imparare qualcosa di nuovo o sto solo cercando una conferma della mia opinione?
Un buon indizio è la volontà di conoscere posizioni opposte. Se non si mostra una predisposizione all’ascolto attivo, almeno in linea di principio, la nostra comunicazione risulterà imparziale e chiusa.
Anche in azienda valgono gli stessi principi, per migliorare la comunicazione interna con i dipendenti occorre sviluppare ed “allenare” l’ascolto attivo.
Manifestare partecipazione per la vita dei collaboratori, valorizzare i loro interessi, renderli partecipi: 3 azioni di ascolto e coinvolgimento che incrementano la motivazione e la soddisfazione del team.
Fortunatamente si può affermare l’arte dell’ascolto può essere appresa. Un primo passo è chiedersi, durante una conversazione, se si è attenti all’interlocutore dinnanzi a noi. Se ci stiamo pensando… la risposta è: non abbastanza!
È utile iniziare dal contesto privato ed “osservarsi” quanto si ascolta durante un pasto con amici. Stabilire un primo obiettivo, come, ad esempio, cercare di ascoltare per almeno l’80% del tempo. In questo modo ci si esercita prestando attenzione all’impulso di intervenire interrompendo l’altra persona, restando in ascolto, appunto.
Anche se si affrontano temi seri (problemi personali, ecc.) è importante restare concentrati sull’altro: si tende, spesso, a imporre le proprie esperienze su quelle degli altri e poi a dare consigli frettolosamente.
Tre termini fondamentali sono compassione e comprensione, ma anche moderazione: ciò si traduce nel mettersi sullo stesso piano dell’interlocutore, porre domande se qualcosa non è chiaro, mantenere il contatto visivo, non prendere sul personale le critiche, osservare le emozioni.
Attenzione al multitasking!
Il multitasking (ossia lo svolgere più attività più o meno contemporaneamente) non solo può rendere meno efficienti, ma danneggia anche il ruolo di uditore. Per restare concentrati sul soggetto, si comincia in modo progressivo, come ad esempio non rispondendo insieme a un’e-mail mentre si parla al telefono. Si dovrebbe prestare sempre attenzione al proprio interlocutore, per valorizzarlo, per mostrare empatia, per comprendere a fondo il suo messaggio.
Panoramica delle critiche positive e negative
Fonte: WEKA 3-4.2022, adattamento Cc-Ti