Amministrazioni cantonali: procedure pesanti e costi elevati in un quadro globalmente positivo

Come nei rilevamenti degli scorsi anni, l’Amministrazione cantonale ticinese ottiene la miglior nota assegnata dalle imprese consultate nell’ambito della nostra inchiesta sul grado di soddisfazione relativo al lavoro delle amministrazioni cantonali. L’inchiesta viene condotta ogni due anni da MIS Trend. L’ottava edizione di questo studio, realizzata su incarico delle Camere di commercio e dell’industria della Svizzera latina, mostra nuovamente che in generale vi sono punti critici concernenti le procedure, l’attenzione verso gli utenti e gli emolumenti. Inoltre, i risultati evidenziano anche un inasprimento nell’ambito del rilascio dei permessi di lavoro e una parte considerevole di aziende ha rinunciato a progetti di sviluppo a seguito degli effetti dell’inasprimento delle regole pianificatorie, in particolare dovuti alla revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale.

Come in occasione dei tre precedenti studi realizzati nel 2011, 2013 e 2015, l’inchiesta evidenzia come elementi negativi concernenti la complessità delle procedure, l’attenzione per le esigenze degli utenti e il livello degli emolumenti restino motivi di insoddisfazione. Sono invece generalmente considerate in modo positivo la cortesia, la bravura e le competenze del personale dell’ente pubblico, sebbene un’azienda su tre rilevi una scarsa disponibilità al dialogo. L’attenzione per le esigenze degli utenti è ritenuta insoddisfacente per un quarto delle aziende prese in considerazione. Per quanto riguarda gli emolumenti, il risultato ricalca quello del 2015, visto che quattro imprese interrogate su dieci li ritengono troppo elevati.

Pianificazione del territorio

La soddisfazione generale resta purtroppo al di sotto della media generale, sebbene vi sia un leggero miglioramento rispetto al 2015. Le imprese consultate affermano di essere meglio informate rispetto al passato, ma hanno registrato un aumento preoccupante degli intralci burocratici soprattutto a livello comunale e un allungamento dei termini per l’ottenimento delle autorizzazioni. Inoltre, un’impresa su quattro dichiara di aver rinunciato ad almeno un progetto di pianificazione, a causa dell’inasprimento delle regole seguito all’adozione della revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale.

Ispezione del lavoro e rilascio dei permessi di lavoro

I risultati indicano globalmente un miglioramento rispetto all’inchiesta del 2015. Tuttavia, si osserva un generale e consistente aumento dei termini per l’ottenimento dei permessi di lavoro, soprattutto nei cantoni di frontiera. Un’impresa su tre registra, dopo il 9 febbraio 2014, un netto inasprimento generalizzato delle procedure per il rilascio dei permessi.

Digitalizzazione

Un po’ più della metà delle aziende interrogate ritiene che il loro cantone potrebbe compiere uno sforzo supplementare in materia di cyber amministrazione, onde agevolare le procedure amministrative e offrire un miglior servizio online.

Studio MIS Trend su incarico di Info-Chambers: Competitività delle amministrazioni cantonali della Svizzera latina 2017

Étude sur la compétitivité des administrations cantonales réalisée pour les Chambres de commerce latines

Mobility pricing: la posizione del Direttore Albertoni

Il Direttore Cc-Ti Luca Albertoni si esprime in merito al Mobility pricing

“La tentazione di “punire” finanziariamente chi viaggia negli orari di punta è purtroppo sempre in agguato”

L’idea di base del Mobility pricing potrebbe in teoria avere il pregio di considerare l’aspetto tariffale di tutto il traffico, pubblico e privato, e non solo quello legato all’utilizzo della strada.
Tuttavia, il rifiuto di alcune importanti regioni svizzere di ospitare un progetto-pilota sul tema, rispettivamente le dichiarazioni con cui la questione è considerata non prioritaria, dimostrano che non vi sono le basi per attuare il Mobility pricing, almeno secondo i termini previsti oggi dall’autorità federale.

È vero che una diversificazione delle tariffe che tenga conto dell’utilizzo delle infrastrutture sarebbe possibile anche verso il basso e non solo verso l’alto, come a volte già praticato dalle FFS per i treni meno frequentati.
Ma la tentazione di “punire” finanziariamente chi viaggia negli orari di punta è purtroppo sempre in agguato e la cosa non mi piace molto perché per molte persone non ci sono alternative. Il discorso andrebbe pertanto ampliato ad altri elementi assai complessi e legati alla struttura della società e dell’economia, come ad esempio gli orari scolastici o modelli di lavoro più flessibili.
Mi sembra però poco realistico che un discorso più strutturato possa trovare un sufficiente consenso politico.

Resto quindi scettico sulla fattibilità di un Mobility pricing che possa essere equo e al contempo portare reali soluzioni alla mobilità.

Intervista a Luca Albertoni

di Gianni Righinetti, apparsa sul CdT

“L’auspicio per il 2017 è che ci si possa confrontare maggiormente nel merito dei temi, evitando sterili polemiche personali o preconcetti. “

«Ci sono aziende che praticano la precarietà come forma di business, il cui comportamento denunciamo senza riserve». Questo è il j’accuse del segretario cantonale dell’OCST Renato Ricciardi. Ha ragione?
La precarietà non è un obiettivo delle aziende “normali”. La denuncia è quindi di principio legittima, ma prediligo andare oltre le dichiarazioni generali e ragionare su casi concreti, anche perché la precarietà non è un’esclusiva del settore privato.

La flessibilità nel mondo del lavoro d’oggi è una condizione che deve essere accettata senza battere ciglio?
Flessibilità non significa non rispettare le regole esistenti. Poi che talune regole debbano essere adattate all’evoluzione della situazione reale non è certo scandaloso.

Ma è possibile stabilire delle regole o essere flessibili presuppone la totale assenza di una disciplina?
Flessibilità non significa anarchia, per cui è normale che si stabiliscano delle regole. La sfida è che queste siano equilibrate per tutti e che nuovi modelli di lavoro non vengano stigmatizzati a priori come negativi perché diversi da quelli a cui siamo abituati.

L’OCST è conosciuto per essere un sindacato piuttosto accomodante. Oppure di sindacalisti che usano il fioretto non ve ne sono più perché tutti sfoderano la sciabola?
Essere ragionevole non significa per forza essere accomodante. Nel contesto odierno effettivamente l’uso sempre più diffuso della sciabola fa rimpiangere chi tirava di fioretto, anche se non è detto che l’arma più pesante sia quella che provoca sempre i danni maggiori. Sono comunque abituato a fronteggiare indistintamente l’uno o l’altra per difendere i valori in cui credo.

Com’è il vostro rapporto in Ticino con il fronte sindacale?
Sono soprattutto le associazioni di categoria a essere al fronte e noi ci confrontiamo con il mondo sindacale prevalentemente su temi di carattere economico generale, per cui la visione è forzatamente diversa. Ci si confronta e ci si scontra, come è normale che sia, ma sono per fortuna rari i casi in cui manca il rispetto per la persona. Quindi posso dire che, salvo qualche eccezione, i rapporti sono buoni.

Ogni tanto si ha l’impressione che le forze sindacali non si rendano conto che “i padroni” (come li chiamano taluni) creano un lavoro che, senza loro, non ci sarebbe. È davvero così?
Non si può generalizzare, ma è innegabile che alcuni, probabilmente in virtù di una cultura sindacale di stampo poco elvetico, abbiano questo genere di atteggiamento. L’auspicio è che questa mentalità non si diffonda ulteriormente, anche se ammetto che qualche timore ce l’ho.

Spesso si ha però l’impressione che le vostre organizzazioni padronali agiscano unicamente a difesa della casta, senza la capacità di fare autocritica o puntare l’indice verso chi meriterebbe di essere ripreso duramente. Siete troppo buoni?
Per quanto mi riguarda ho sempre chiaramente detto che è giusto che chi sbaglia venga sanzionato e non mi sono mai opposto a misure fondate e basate su fatti accertati. Anche quando presiedevo la Commissione tripartita in materia di libera circolazione delle persone non mi sono mai tirato indietro nella lotta agli abusi, cosa non scontata quando si dirige l’associazione-mantello dell’economia cantonale. Non mi piacciono invece le sparate fatte per attirare l’attenzione e basate su ipotesi che poi spesso si rivelano sbagliate. Perché rovinare la reputazione di un’azienda sulla base di semplici illazioni è irresponsabile e contro questo sono pronto a lottare senza esclusione di colpi.

Faccia una critica senza mezzi termini a un ramo economico che è affiliato a voi?
Mutuando una metafora sportiva, la sacralità dello spogliatoio non va violata ed eventuali critiche vanno formulate nelle sedi opportune, cioè nei nostri gremi interni. Ogni settore ha forze e debolezze, il mio compito non è di criticare ma di cercare soluzioni.

Ai sindacati interessano la quote che versano i lavoratori, ma anche voi vivete di quanto vi danno gli associati. Insomma: alla fine sembrate diversi, ma siete uguali.
Almeno non pesiamo sullo Stato! E’ vero che abbiamo funzioni simili su fronti diversi, per cui è inevitabile che vi siano talune analogie. Per quanto ci riguarda, tengo a sottolineare che da anni rifiutiamo l’adesione di aziende che riteniamo non rispettose delle regole vigenti, rinunciando quindi anche a cospicue entrate. E’ una maniera responsabile di dimostrare attenzione verso il territorio e per non difendere casi indifendibili. E‘ una linea consolidata, essenziale per mantenere la credibilità.

I cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro sono stati importanti e rapidi, quasi che al posto di uomini e donne si volessero già robot da usare alla bisogna?
E’ un’esagerazione. I cambiamenti generano sempre insicurezza ma non tutti sono di segno negativo, anzi. Per le imprese serie (e sono la stragrande maggioranza) il capitale umano è fondamentale, per cui l’accusa di volere manichini senz’anima da pilotare a piacimento è infondata.

Lei crede nella sostituzione della mano e il cervello di uomini e donne a vantaggio di un’entità meccanica e informatizzata?
Abbiamo vissuto già molte fasi in cui il progresso tecnologico ha fatto sparire determinate professioni, creandone però altre e ritengo che sarà sempre così. La sfida è di gestire i periodi di transizione e di adattamento che per certe persone sono difficili. L’economia non ha interesse a creare tensioni sociali o a “perdere per strada” le persone.

Il lavoro su chiamata è una piaga sociale o una semplice e concreta necessità?
E’ avantutto una necessità e come tale non va demonizzata. Poi vale quanto detto in precedenza, cioè che c’è un quadro legale che va rispettato, senza eccezioni.

Ma flessibilità e lavoro su chiamata sono i principali nemici delle famiglie e della vita sociale?
La realtà sociale è troppo complessa oggi per ridurla a un fattore dipendente dalla flessibilità e dal lavoro su chiamata. Del resto, un numero sempre crescente di lavoratrici e lavoratori chiede flessibilità per cui essa va distinta dagli abusi, che sono altra cosa. Di questo occorre tenere conto, se si vogliono evitare battaglie di retroguardia.

“Chi viene spremuto come un limone sul lavoro, magari per pochi franchi, è costretto a una vita da single”. Mi è stato detto con malinconia brindando il 31 dicembre in vista dell’anno nuovo. È una realtà o una esagerazione?
La generale accresciuta competitività in molti ambiti lavorativi è certamente una fonte di pressione, ma non si possono addossare tutte le responsabilità dei disagi sociali al lavoro. Vi sono molti fattori, a partire dall’auto-responsabilità, che influiscono sui nostri destini personali, per cui starei attento ad amalgamare situazioni difficili e quello che invece è vero e proprio sfruttamento.

Come sta la Camera di commercio e dell’industria che, quest’anno, compirà 100 anni?
E’ un’associazione molto dinamica, confrontata con grandi cambiamenti economici, politici e sociali, come tutte le altre Camere svizzere. Lo scopo principale della nostra attività resta la valorizzazione e la difesa della libertà economica e imprenditoriale e su questo costruiamo la nostra attività, improntata al rispetto e alla serietà. Valori forse oggi poco considerati, ma essenziali per affrontare in modo costruttivo ed efficace le molte sfide.

Qual è il suo auspicio per il 2017?
Che ci si possa confrontare maggiormente nel merito dei temi, evitando sterili polemiche personali o preconcetti. Ma forse è chiedere troppo.

Il vento del “primanostrismo” che soffia sul Ticino, quanto preoccupa (e perché) l’economia cantonale?
Chiedere maggiore attenzione per il nostro territorio è legittimo e condivisibile. Preoccupa invece molto il pressapochismo che illude che vi siano sempre soluzioni facili, fregandosene del principio della legalità, ormai considerato poco più che un fastidioso ammennicolo. Questo è pericoloso e poco svizzero.

L’UE vuole guardare avanti – insieme alla Svizzera

Giornata dell’export 2017

Quali sono gli effetti della geopolitica sull’economia? Era questo il tema della giornata dell’export 2017 della Cc-Ti a Lugano. L‘ambasciatore UE in Svizzera, Michael Matthiessen, ha incentivato la Confederazione a rafforzare la collaborazione a favore del mercato unico. Altri ospiti hanno discusso delle conseguenze della Brexit, della tendenza del protezionismo e della situazione nei paesi chiave al di fuori dell’UE.

Oltre un centinaio le persone presenti alla Villa Principe Leopoldo che hanno assistito con interesse ai vari interventi della conferenza. Nella foto i relatori della tavola rotonda e l’ambasciatore dell’UE in Svizzera Matthiesen.

Quest’anno ricorre il 60° anniversario dell’Unione europea mentre la Camera di commercio del Cantone Ticino (Cc-Ti) festeggia il suo centenario. Si tratta di un anno importante per l’economia, ha ribadito durante la sua introduzione Marco Passalia, vice direttore della Cc-Ti e responsabile del servizio export. In considerazione dei cento anni dalla sua fondazione, la Camera di commercio intende ampliare i servizi per i suoi affiliati e rendersi ancora più visibile sul territorio cantonale.

Quale ospite d‘onore della Giornata dell’Export la Cc-Ti ha invitato l‘ambasciatore UE in Svizzera, Michael Matthiessen. Dopo 60 anni dalla sua fondazione, l’Unione Europea come affronta le nuove sfide, come per esempio la Brexit? Ha chiesto Michele Rossi, esperto di accordi bilaterali, che ha intervistato l’ambasciatore. Secondo Matthiessen il 60° anniversario dell’Unione europea è segnato da un contesto difficile per la politica economica. L’ambasciatore si è detto dispiaciuto della decisione della Gran Bretagna di uscire dall’UE ma è convinto che la Brexit non frenerà lo sviluppo comune dei 27 Paesi restanti dell‘Unione. Ciò non solo a livello politico bensì anche riguardo del cosiddetto “single market”. Stando a Matthiessen il mercato unico è infatti decisivo per il futuro europeo che non deve venir bloccato dal populismo emergente.

Proprio gli esiti „anti populistici“ delle elezioni in Olanda e in Austria confermano l’atteggiamento degli europei di voler rimanere uniti. Rimangono comunque da risolvere in breve tempo il problema della disoccupazione e un certo timore della globalizzazione. Matthiessen ha ammesso che i partiti populistici riescono spesso a far vedere in maniera azzeccata i tipici problemi della popolazione, ma poi non sono capaci a trovare soluzioni adeguate.

Gli ulteriori passi della Svizzera

E dove si situa la Svizzera con la sua iniziativa contro l’immigrazione di massa che provocava tanto timore? L’UE, nella persona del suo ambasciatore Matthiessen, si è dichiarata soddisfatta dall’implementazione soft decisa dal parlamento nazionale lo scorso dicembre. A Lugano l’ambasciatore ha potuto così sottolineare la riapertura dei buoni rapporti tra la Confederazione e l’UE.

Ma il tempo corre e affinché non vi siano più ripercussioni sull’economia, bisogna procedere al più presto con ulteriori passi: la Svizzera dovrebbe acconsentire al cosiddetto institutional framework agreement, ovvero ad un accordo complessivo con l’UE concernente i singoli trattati bilaterali. Senza tale accordo, l’accesso delle aziende svizzere al mercato unico europeo non potrebbe più essere facilitato data la mancanza di una certo dinamismo – soprattutto a scapito dei settori elvetici dell’energia e di quello finanziario.

Le banche svizzere dovranno ancora aspettare

Purtroppo il futuro non è roseo neanche per il settore finanziario per il quale si prevedono ancora difficoltà. Benché grazie alla decisione del parlamento nazionale del cosiddetto “Inländervorrang light“ l’UE abbia sbloccato certi dossier, quello dell’accesso libero per le banche svizzere al mercato europeo rimane ancora molto limitato. Secondo l’ambasciatore vi è una speranza di una soluzione rapida visti i buoni contatti recentemente rinnovati.

Matthiessen si è invece mostrato un po’ più critico in merito all’implementazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa nella variante „soft“. Sarebbe un passo giusto ma vi sarebbe una trappola insidiosa nascosta nei dettagli: per esempio, in quale modo concreto e conveniente sarebbero coinvolti i cantoni?

Una discussione più razionale

Matthiesen ci tiene molto che i cittadini dell’UE vengano trattati equamente come i lavoratori svizzeri. A questo proposito l’ambasciatore seguirà per esempio con grande attenzione quali saranno i prossimi passi concernenti l’iniziativa ticinese „Prima i nostri“. Un’iniziativa di un cantone che Matthiessen apprezza molto, anche a livello economico: il Ticino nei suoi rapporti commerciali è leggermente più legato all’Europa rispetto al resto della Svizzera.

Un ulteriore motivo per rendere razionale la discussione fra l‘UE e la Svizzera sui loro rapporti bilaterali – malgrado i punti di vista diversi. Una cosa risulta chiara: il futuro economico non può essere che uno in comune.

Montreux, fra jazz e gallerie

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“Se si vuole ragionare in termini di Smart City la base d’azione utilizzata dalle autorità di Montreux è la via migliore per decidere quali siano le misure adatte per intervenire sul traffico.”

La ridente cittadina vodese di Montreux è universalmente conosciuta per uno dei più importanti festival musicali al mondo. E nella zona vi sono anche alcune famose o famigerate (a causa dei frequenti controlli di velocità) gallerie autostradali. E allora? Cosa c’entra questo con il nostro piccolo e fantastico mondo ticinese, che comunque le sue belle gallerie già le ha? Tutto e niente. In realtà qui mi riferisco a una galleria che non esiste ancora e che mai esisterà. Perché parlarne allora? Il motivo è legato agli argomenti che hanno indotto la città di Montreux a non costruire una galleria per gestire il traffico, perché non era la migliore soluzione.

Autorità e cittadinanza avevano in sostanza l’impressione che il traffico attraverso fosse soprattutto di transito e non legato ai residenti e alle attività commerciali. Di qui l’ipotesi di investire una vagonata di milioni per costruire un tunnel sotto l’arteria stradale principale, per convogliarvi il fastidioso traffico di transito (non sono frontalieri ma la sostanza non cambia, sempre di transito si tratta). Sennonché qualcuno ha pensato bene di effettuare qualche approfondimento prima di dare avvio a un progetto mostruoso in termini di costi e disagi, perché dubbi sul fatto che si trattasse della migliore misura possibile ve ne erano comunque parecchi. Analogamente a quanto già fatto in altri comuni vodesi (Pully) o altre città svizzere (Basilea e Friborgo tanto per citarne qualcuna), si è pensato di fare capo all’analisi delle tracce lasciate dai telefoni cellulari, il che consente un monitoraggio 24/24 e 7/7 di tutti i flussi, distinguendo anche mobilità lenta e più sostenuta. Ovviamente il tutto in forma anonima, senza individuare i possessori dei cellulari. Ebbene, con una cifra modesta di qualche decina di migliaia di franchi (a fronte della possibile spesa di 150 milioni per una galleria), è chiaramente emerso che le percezioni di autorità e popolazione erano sbagliate, perché il traffico di Montreux è di transito solo nella misura del 20% (a differenza di Pully, ad esempio, dove invece è il 60%). Significa che l’80% del traffico è legato alle attività commerciali del centro cittadino e agli spostamenti dei residenti, per cui una galleria di transito sarebbe stata, se non inutile, un lusso eccessivo per risolvere solo una parte minima del problema del traffico. Per cui, niente galleria, senza psicodrammi né interminabili beghe politiche. Decisione presa sulla base di dati oggettivi, punto e basta. Nello specifico un monitoraggio costante è stato chiaramente decisivo perché ha dato risultati molto più probanti rispetto ai rilevamenti puntuali effettuati su periodi particolari come i rientri dai week-end e le manifestazioni (festival, congressi, ecc.), poco probanti per dare indicazioni attendibili sulle tendenze globali del traffico. Quali insegnamenti per la situazione ticinese? Avantutto che fidarsi solo delle percezioni è talvolta sbagliato e rischia di portare a commettere costosi errori che non risolvono nulla. In secondo luogo, non bisogna essere timidi quando si tratta di utilizzare la tecnologia, soprattutto se questa garantisce la protezione dei dati personali secondo i più severi criteri della legislazione vigente. Se si vuole ragionare in termini di Smart City, termine usato a volte anche in modo improprio per definire la mobilità intelligente, una base d’azione di questo tipo è la via migliore per decidere quali siano le misure adatte per intervenire sul traffico.

Il tema della mobilità è di nostro grande interesse.
La Cc-Ti si è già ampiamente espressa sulla tematica, cliccate qui per saperne di più.

Contatto diretto per progetti vincenti

Prosegue l’interazione tra la Cc-Ti e le associazioni di categoria affiliate. Emergono soluzioni innovative su tematiche d’attualità.

Le associazioni di categoria rappresentano, per la Svizzera, un vero e proprio plus valore. Contiamo nel nostro Paese oltre 100’000 associazioni, attive in diversi ambiti.
La rilevanza di questa forma giuridica per il tessuto sociale elvetico è di primaria importanza, e la Cc-Ti lo sa bene, annoverando tra i propri associati, oltre a quasi 1’000 soci individuali, anche 44 realtà associative. Si tratta di un vero e proprio punto di forza per la nostra struttura, che, quotidianamente si interfaccia con differenti settori economici rappresentati da queste entità. La collaborazione che nasce da queste interazioni ci porta a migliorare costantemente i nostri servizi e calibrare al meglio le nostre azioni verso il territorio.

Da molti anni sono affiliate alla Cc-Ti delle realtà importanti per l’economia ticinese, rappresentative di settori professionali molto diversi fra loro, ma che agiscono insieme e creano un tessuto economico cantonale ricco di caratteristiche positive. Motivo che ci rende orgogliosi e ci spinge a puntare ancora maggiormente al dialogo con le differenti entità.

Sono ben 44, dicevamo, le associazioni che hanno aderito alla Cc-Ti. Tra esse si spazia attraverso tutti i settori professionali esistenti. Ogni realtà possiede missioni e obiettivi propri, e si confronta regolarmente con dinamiche interne al proprio settore. Tutti i collaboratori della Cc-Ti hanno costantemente relazioni con i Comitati delle diverse associazioni, in quanto vi sono anche alcune di esse che hanno deciso di affidarci la gestione del loro Segretariato. Citando qualche esempio, possiamo facilmente dimostrare quanto ricca sia la rappresentanza associativa, e soprattutto trasversale su molteplici settori della nostra economia: Ticinomoda, Federcommercio, Spedlogswiss Ticino, Lugano Commodity Trading Association, Associazione Installatori Elettricisti Ticinesi, Unione Professionale Svizzera dell’Automobile – sezione Ticino, ASA – Associazione Svizzera d’Assicurazioni, ecc. (per una panoramica più completa e l’elenco esaustivo degli associati collettivi, potete consultare l’apposita sezione dedicata sul nostro sito web).

Le tematiche di dialogo fra la Cc-Ti e gli associati collettivi riguardano sia argomenti comuni che soddisfano molteplici necessità, come pure soluzioni mirate che nascono dall’interazione e riguardano i bisogni settoriali. Molte idee sono individuate e vengono poi proposte dall’associazione affiliata alle proprie imprese, con nuovi servizi e misure settoriali di qualità.

Da sempre abbiamo ribadito l’attenzione verso la Responsabilità Sociale delle Imprese (RSI) quale risposta alla gestione di problematiche legate all’ambito economico, ambientale e sociale. La RSI offre infatti un approccio metodologico.

In questo senso, oltre agli indicatori scelti per la nostra valutazione interna in termini di sostenibilità (rileggete qui i risultati), ci siamo fatti interpreti delle diverse voci e necessità degli associati verso questo ambito. Abbiamo potuto sviluppare competenze specifiche per l’accompagnamento e lo svolgimento di analisi e progetti aziendali ed associativi legati alla RSI, con l’obiettivo di dare delle linee guida ai soci per azioni concrete di governance sostenibile.

In particolare, vi proponiamo l’esperienza di viscom sulla sostenibilità, dalle parole del suo Segretario Stefano Gazzaniga.


Senza sostenibilità non c’è futuro

di Stefano Gazzaniga, Segretario viscom Ticino

Il dialogo con la Cc-Ti è sempre stato basilare per la nostra associazione, sin dalla nostra affiliazione. Vi è sempre stata una comunicazione costruttiva e aperta in entrambe le direzioni, che ci ha resi più forti e rappresentativi a livello ticinese e svizzero.

viscom, sul piano nazionale, e con la sua sezione ticinese, è l´associazione di settore leader nel campo della comunicazione visiva, rappresentando gli interessi di oltre 750 aziende (dati relativi al territorio nazionale). Tra i nostri soci annoveriamo tipografie classiche e ditte che operano nei settori della concezione, progettazione, produzione di prodotti stampati e digitali.

Per la nostra realtà il tema della sostenibilità è sempre stato molto importante, soprattutto per riuscire a differenziarsi dalla concorrenza estera.

Da alcuni anni abbiamo implementato un codice etico a livello svizzero; un marchio di sostenibilità composto da certificazioni varie che portano ad un punteggio all’interno di una classifica e, a seconda delle misure scelte, mettono l’accento su un aspetto sostenibile piuttosto che un altro; e una Whitelist ticinese, firmata da 38 dei 42 soci della nostra sezione.

Le aziende che intendono presentare domanda d’ammissione ed essere socie della viscom devono, obbligatoriamente, rispettare il codice etico. Questo strumento ha l’obiettivo di considerare equamente gli interessi di clienti, concorrenti, dipendenti, opinione pubblica, dell’associazione e dei suoi membri in contrapposizione alle pratiche commerciali sleali nell’ambito della comunicazione visiva. Il codice mira pure alla protezione degli interessi legittimi di tutti gli associati, dell’opinione pubblica e dell’ambiente.
Parallelamente a ciò, il nostro ranking, visibile cliccando qui, presenta l’impegno degli associati verso la sostenibilità ambientale. Grazie a diverse certificazioni, ci siamo autoregolati con un punteggio attribuito in una “classifica” pubblica, dove, per chi la consulta, è facile sapere che le aziende presenti sono sostenibili.

Rientrano qui misure come la certificazione FSC (elementi essenziali per una gestione forestale rispettosa dal punto di vista ambientale, per cui nel nostro caso la carta e derivati); l’analisi energetica; le emissioni di CO2; ecc.. Questo marchio di sostenibilità è sviluppato in collaborazione con l’Ufficio federale delle costruzioni e della logistica (UFCL).
Infine vi è la Whitelist, già creata in Ticino nel 2013, dove alcune aziende presenti sul territorio l’hanno adottata come principio per i propri acquisti in fatto di prodotti stampati.

La Cc-Ti, forte della sua esperienza di autocertificazione portata avanti con Quantis, e della grande competenza maturata sul tema, ci ha fornito diverse consulenze mirate. Ci ha, in primis, seguito nell’implementazione di indicatori preparati in accordo con il GRI (Global Reporting Initiative) della nostra Whitelist, che rappresentano le linee guida per il reporting di sostenibilità.

In Ticino abbiamo potuto contare sull’adesione alla Cc-Ti e alla collaborazione diretta (anche) su questo tema, per rilanciarlo tra le aziende operanti del settore. Sarà uno dei cavalli di battaglia per il 2017. Crediamo che, grazie alla Cc-Ti, e quanto fatto finora dalla nostra associazione, possiamo accogliere con favore le sfide future che ci presenterà il mercato, arrivando pronti e preparati alle novità in corso.

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Il protezionismo è una minaccia per la nostra economia

di Alessio del Grande

Questo primo scorcio del nuovo Secolo sarà ricordato dagli storici dell’economia come il ventennio del grande paradosso. In un mondo sempre più interconnesso grazie alle grandi reti infrastrutturali che facilitano la produzione di merci e la circolazione di persone, capitali, idee, innovazioni, dati, materie prime e informazioni, i Governi di molti Paesi tendono, invece, a chiudere e proteggere la loro economia, limitando il libero scambio. Solo negli Stati del G20, secondo i dati del Global Trade Allert, dal 2008 al 2016, sono state introdotte oltre 3’500 misure che limitano gli scambi commerciali, che stanno, perciò, registrando una brusca frenata. Dopo 5 anni di crescita, nel 2015 le esportazioni globali sono diminuite del 13,6%.

Ormai è di moda inveire contro la globalizzazione e il libero mercato, ma si dimentica che nell’ultimo mezzo secolo lo sviluppo del commercio internazionale ha strappato centinaia di milioni di persone dalla miseria più nera. Nella sola Cina ben 700 milioni di abitanti si sono lasciati alle spalle la povertà. Ex poveri che cominciano a consumare merci prodotte anche nei Paesi ricchi. Nel 1998 in tutto il pianeta si contavano 2 miliardi di persone sotto la soglia d’indigenza, oggi sono 767 milioni (dati Banca mondiale). Certo, la globalizzazione ha provocato nei singoli Paesi squilibri sociali che richiedono correttivi e aggiustamenti, ma sono sotto gli occhi di tutti gli immensi progressi fatti nelle condizioni di vita e di salute, nell’accessibilità a beni e consumi prima impossibili e nelle libertà di scelta di ognuno di noi.

Nell’epoca del grande paradosso capita persino di vedere il leader di un Paese comunista, il cinese Xi Jinping, che dalla tribuna del WEF difende la globalizzazione e il libero commercio, mentre Donald Trump, neo Presidente USA, la più grande democrazia liberale del mondo, si profila come l’alfiere del neo protezionismo. Il suo “America First” è un concentrato di nazionalismo che molti politici europei hanno eletto a loro modello. E qui il gioco si fa pericoloso. Anche per la Svizzera, la cui forza economica è trainata dalle esportazioni favorite dalla libertà di commercio. Se nei suoi furori protezionistici Trump dovesse davvero applicare quella tassa del 20% sulle importazioni, già ipotizzata per la Germania, anche per il nostro Paese sarebbero guai seri, poiché la catena di creazione del valore delle imprese svizzere si basa essenzialmente sugli scambi internazionali. Oggi la Svizzera esporta negli USA beni per 17 miliardi di franchi in più di quanto importa, sostenuta anche dagli interventi della BNS per mantenere un cambio vantaggioso. Interventi che potrebbero far storcere il naso a Trump, il quale ha, peraltro, già criticato il prezzo dei farmaci importati dalla Svizzera.

Ma il problema immediato per l’economia elvetica non è Trump, bensì l’ondata protezionista che sta montando in tutta e Europa, Svizzera compresa. Restrizioni al commercio e agli scambi, con dazi doganali e altre limitazioni, non significano solo grosse perdite per la nostra industria d’esportazione e per i consumatori che vedranno aumentare i prezzi di molti beni, ma indeboliscono tutto il tessuto produttivo. Perché è con il mercato aperto alla competizione internazionale che tutte le imprese imparano a restare competitive, invece di vivacchiare grazie a barriere protezionistiche e aiuti statali. È dall’apertura dei mercati, e non dalla loro chiusura, che nasce la spinta ad innovare processi e prodotti per conquistare altri spazi di business, a creare nuove imprese. Se il protezionismo può sembrare un vantaggio a breve termine, alla lunga si rivela un veleno per tutta la società. Come hanno dimostrato le disastrose esperienze del 1914 e degli anni Trenta.

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La digitalizzazione oggi – dossier tematico

Nell’inchiesta congiunturale, che ogni anno conduciamo unitamente ad altre Camere di commercio e dell’industria, vi sono sempre alcuni approfondimenti specifici che vanno oltre le cifre dell’andamento economico generale. L’edizione 2016/2017 si è soffermata in particolare sui temi dell’innovazione, della trasformazione digitale e della formazione. Temi per molti aspetti ovviamente legati (visionate qui l’intervista).

Per quanto attiene il vastissimo mondo della trasformazione digitale, i nostri soci hanno mostrato di essere ben coscienti dell’entità del fenomeno e degli effetti concreti e potenziali non solo sui prodotti e le procedure ma anche sui modelli di business, elemento quest’ultimo che rappresenta probabilmente il risvolto che comporta le sfide più impegnative. Ben il 56% delle aziende consultate ha risposto in maniera affermativa alla domanda se “La digitalizzazione (integrazione delle tecnologie numeriche nel funzionamento dell’impresa) modifica o modificherà la vostra attività?”. La Cc-Ti da anni sensibilizza sul tema dell’utilizzo dei più o meno nuovi strumenti digitali nel contesto della valutazione del modello di business e i numerosi eventi e corsi proposti indicano che la diffusione della sensibilità verso questa trasformazione epocale sta funzionando. Poi ovviamente le singole categorie dovranno effettuare le valutazioni commisurate alle esigenze specifiche, ma questo è appunto compito dei singoli settori.

Quale associazione-mantello abbiamo il compito di accrescere l’attenzione verso il cambiamento e il dato summenzionato ci serve da spunto di riflessione per chiederci se abbia un senso parlare della digitalizzazione solo come foriera di paure. Ogni cambiamento porta insicurezze, rimette in questione modelli acquisiti ecc., per cui è umano che, almeno in una fase iniziale, prevalgano i timori.

Ben il 56% delle aziende consultate ha risposto in maniera affermativa alla domanda se “La digitalizzazione (integrazione delle tecnologie numeriche nel funzionamento dell’impresa) modifica o modificherà la vostra attività?”

Pochi ricordano che negli anni Ottanta il Parlamento federale discusse una proposta di introduzione di una tassa volta ad impedire la diffusione dei computer, rei di far sparire posti di lavoro. Fortunatamente tale tassa fu affossata e come è andata lo sappiamo tutti. Anche oggi probabilmente gli scenari apocalittici di business spazzati via in un solo colpo di mouse sono esagerati, anche se, lo concedo, i cambiamenti sono molto più rapidi di trenta anni fa e quindi il tempo di adattamento è minore. Nel contesto delle paure è però giusto rilevare che, come in tutte le trasformazioni (senza scomodare il termine di rivoluzione), vi sono elementi positivi.
A questo proposito si può ad esempio citare un articolo molto interessante pubblicato dalla “NZZ am Sonntag” lo scorso 1° gennaio 2017 intitolato “Die Weltveränderer”. Per quanto attiene lo sviluppo della robotica, che è solo una parte del vasto mondo della rivoluzione digitale, si sottolinea come essa potrà cambiare il volto non solo dell’industria, che da molto tempo ne ha compreso i vantaggi, ma anche il settore dei servizi. Si cita l’esempio della Royal Bank of Scotland presso la quale apparecchi automatici risponderanno alle domande dei clienti, come è già il caso anche per diverse aziende elvetiche. Ad una prima analisi si potrebbe reagire a questa notizia con il pensiero delle collaboratrici e collaboratori che perderanno il posto di lavoro, sostituiti da macchine e a questo occorre ovviamente prestare attenzione. Ma, cambiando prospettiva, non si può non notare che in questo modo un certo livello della qualità del servizio sarà sempre garantita e il personale, non più costretto a rispondere a semplici domande dei clienti, potrà concentrarsi su altre importanti attività. Qui entra ovviamente in gioco l’attenzione alla formazione continua e alla riqualificazione del personale. Ma il processo è ineluttabile e limitarsi a subirlo o a erigere barriere di resistenza serve a poco. Come ogni cambiamento, esso va cavalcato e affrontato con il giusto gusto della sfida.
Se pensiamo che molte aziende realizzano una fetta importante della loro cifra d’affari (anche fino al 75%) con prodotti che dieci anni fa non esistevano, senza aver ridotto l’occupazione, ecco che gli elementi positivi non mancano. Le preoccupazioni per gli esseri umani sono più che legittime, ma nel nostro piccolo Ticino vi sono indicazioni rassicuranti. Nella nostra inchiesta le aziende affermano chiaramente che non intendono procedere a licenziamenti massicci a causa, o forse grazie, alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Ben l’80% delle aziende pensa che essa non avrà nessun impatto sul numero di impiegati nella propria azienda! Alla faccia di chi continua, con eccessiva leggerezza o forse in malafede, a considerare il tessuto economico ticinese di scarso valore. L’esempio testé citato di un software che risponde alle domande dei clienti non è del resto stato scelto a caso. Infatti nei prossimi 5 anni il 30% delle aziende che hanno risposto alla nostra inchiesta prevedono di investire nel digitale per rinnovare la parte commerciale della loro attività e cioè la relazione con il cliente, la vendita e la comunicazione. E il segno degli investimenti su prodotti e processi in trasformazione sulla base dei mutamenti legati alla digitalizzazione è pure una fetta importante degli investimenti aziendali.

Ma il processo è ineluttabile e limitarsi a subirlo o a erigere barriere di resistenza serve a poco. Come ogni cambiamento, esso va cavalcato e affrontato con il giusto gusto della sfida.

Sempre nell’ottica del mito della digitalizzazione come fagocitatrice di relazioni umane e impieghi, l’articolo della “NZZ am Sonntag” cita un altro interessante caso di risvolto inaspettato dato delle nuove tecnologie: il “reshoring”, ossia il ritorno alla produzione di beni su suolo elvetico. Grazie alla robotica di nuova generazione la produzione, anche con il nostro alto costo del lavoro, sarà di nuovo più concorrenziale in Svizzera. Con il grande vantaggio di creare posti di lavoro ed essere più vicini ai clienti finali, diminuendo drasticamente i tempi di produzione e di fornitura delle merci. Si potrà quindi in una certa misura tornare a produrre dove poi si venderà la merce o comunque in prossimità dei mercati di destinazione. Chiaramente i nuovi posti di lavoro creati avranno delle esigenze diverse da quelle delle fabbriche ritenute “classiche”, il che non è una sfida facilissima. Ma implica molte possibilità di sviluppo. Anche in questo caso il ruolo della formazione sarà assolutamente centrale, ma le aziende ticinesi e svizzere hanno già dimostrato e dimostrano sensibilità in questo senso, con il forte accento posto sulla formazione professionale, asso nella manica della Svizzera e leva importantissima per riuscire a gestire i molti cambiamenti in atto.
Inutile illudersi, come in tutti i cambiamenti epocali probabilmente qualcuno, almeno all’inizio, uscirà sconfitto da questo cambio di paradigma. Una delle molte sfide sarà proprio quella di non “perdere per strada” chi sarà confrontato a queste difficoltà, perché il disagio sociale, al di là delle difficili situazioni individuali, non è nell’interesse di nessuno e nemmeno dell’economia, malgrado taluni teorici troppo ideologizzati tentino di far credere il contrario.
Continuare a cambiare, a evolversi e affrontare nuove sfide con mente aperta rimane quindi un modo lungimirante per mantenere il benessere. Niente è scontato e in futuro lo sarà sempre di meno, ma ci saranno anche tante diverse opportunità e magari potrà anche essere divertente svolgere i vecchi compiti in maniera totalmente nuova.

Per approfondire il tema della digitalizzazione, qui di seguito trovate diversi contenuti quali approfondimenti tematici.
Il fiume della digitalizzazione scorre vigoroso e libero in Svizzera
Lasciate in pace i robot!
La rivoluzione digitale dell’economia e della società
La nuova frontiera della formazione

Torna “Oltre i confini”

Dopo il successo della prima edizione di “Oltre i confini”, dal 10 aprile ritornano su Teleticino tutti i lunedì alle 19.20 le interviste in pillole ad imprenditori ticinesi. Ricordiamo che il progetto è stato lanciato nel 2016 dal Servizio Export della Cc-Ti in collaborazione con il gruppo MediaTI e Switzerland Global Enterprise (S-GE). Anche nell’anno del centenario della Cc-Ti “Oltre i confini” vuole declinarsi in diverse forme: da approfondimenti tematici sul Corriere del Ticino e il Giornale del Popolo, alla rubrica apposita sul portale web Ticinonews.ch nonché con le interviste televisive. Queste ultime ripartiranno nelle prossime settimane su Teleticino e incontreranno imprenditori ticinesi che commerciano i loro prodotti sia in Svizzera, ma soprattutto all’estero. Perché scegliere di esportare? Quali sono i dettagli da prendere in considerazione? Quali le difficoltà o gli spunti che sono nati? Tutte queste domande troveranno risposta nei due minuti della trasmissione che vuole dare luce al mondo economico reale ticinese, quello fatto di impresa e di persone che quotidianamente sono confrontate con problematiche concrete. Oltre alle repliche settimanali, le puntate saranno inoltre nuovamente disponibili nella rubrica di Ticinonews dove sono già presenti – per chi se le fosse perse – quelle trasmesse nel 2016.

Sperando di attirare il vostro interesse, vi diamo appuntamento su Teleticino e Ticinonews e vi auguriamo una buona visione.

Articoli di approfondimento “Oltre i confini”
Puntate della trasmissione “Oltre i confini”

Swissness: come districarsi con le nuove regolamentazioni

La nuova regolamentazione concernente l’utilizzo dell’indicazione di provenienza “Svizzera” e la croce bianca su sfondo rosso, detta Swissness, è entrata in vigore il 1° gennaio 2017. La nuova legge sulla protezione dei marchi (LPM) suddivide i prodotti in tre categorie: prodotti naturali, derrate alimentari e prodotti industriali. Sono stati modificati anche i criteri di provenienza relativi ai servizi.

Sono molte le novità entrate in vigore, motivo per cui nelle prossime edizioni di TicinoBusiness desideriamo proporvi una serie di “Domande frequenti”, redatte dall’Istituto per la proprietà intellettuale (IPI), concernenti le principali problematiche della nuova legislazione.  

A quali condizioni si può utilizzare la designazione “Svizzera”?

La designazione “Svizzera”, utilizzata sola o con altri termini come “Made in Switzerland”, “Ricetta svizzera” o “Swiss quality”, è un’indicazione di provenienza, ossia un riferimento diretto alla provenienza geografica dei prodotti o dei servizi per i quali è utilizzata (art. 47 della legge sulla protezione dei marchi, LPM). Anche i segni figurativi come la croce svizzera, il Cervino o Guglielmo Tell sono considerati come indicazioni di provenienza svizzere. In linea di massima, il produttore o il fornitore del servizio non deve chiedere nessuna autorizzazione specifica per utilizzare l’indicazione di provenienza “Svizzera”. Quest’ultima può essere utilizzata liberamente a condizione che sia esatta, ossia che i prodotti o i servizi in questione siano realmente di provenienza svizzera. Le aziende che desiderano farne uso sono dunque tenute a garantire che i loro prodotti o servizi soddisfino appieno le condizioni di provenienza svizzera definiti nella legge. Solo in caso di contenzioso dovranno dimostrare di avere soddisfatto le condizioni legali di provenienza (cfr. domanda 22). I criteri di provenienza svizzera definiti nella legge tengono conto della natura specifica dei prodotti e divergono quindi per i prodotti naturali, per le derrate alimentari, i prodotti industriali e i servizi (cfr. artt. 48a, 48b, 48c et 49 LPM).

Indicazioni come “Designed in Switzerland” o “Swiss Research” sottostanno agli stessi criteri validi per la designazione “Svizzera”?

I produttori che non soddisfano i criteri di provenienza svizzera possono fare riferimento a determinate attività specifiche di ideazione o di fabbricazione del prodotto svoltesi in Svizzera (p.es. “Designed in Switzerland” o “Swiss Research”) se:

  1. l’intera attività specifica menzionata sul prodotto (nella fattispecie il design o la ricerca) si è svolta in Svizzera;
  2. il termine “Svizzera” non è apposto sul prodotto in maniera più vistosa – per quanto riguarda il colore, le dimensioni, la grafia – rispetto al resto dell’indicazione (esempio da non seguire: SWISS research).

Sono invece escluse da questa eccezione le indicazioni seguenti:

  • Le indicazioni del tipo “prodotto in Svizzera” sono troppo generiche per rientrare in questa eccezione. Non possono dunque essere utilizzate per un prodotto interamente fabbricato in Svizzera, che, tuttavia, non soddisfa i criteri generali di provenienza svizzera (cfr. domande da 1, 2, 3, 4). Ciò renderebbe infatti vana la legge e sarebbe contrario al suo scopo.
  • L’apposizione della croce svizzera accanto a una designazione come “Swiss research” è ingannevole: in linea di massima il consumatore percepisce la croce svizzera come un rinvio al luogo di provenienza del prodotto nel suo insieme e non come un rinvio a una fase specifica della sua lavorazione. L’utilizzo della croce svizzera in combinazione con designazioni come “Swiss research” è quindi vietato se i criteri di provenienza svizzera non sono soddisfatti.

Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana
Marco Passalia, responsabile Servizio Export Cc-Ti

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