Discorso del Presidente Martinetti – Assemblea CATEF

Discorso pronunciato da Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti, in occasione dell’assemblea CATEF del 12.5.2017

Fa stato il discorso pronunciato oralmente

 

Carissimo Presidente, cari delegati della CATEF,

 Cari ospiti,

sono molto felice di poter intervenire in occasione dei vostri odierni lavori assembleari, per sottolineare quanto la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) sia attenta alle problematiche e alle necessità delle associazioni ad essa legate.

La CATEF, organizzazione ormai storica nel panorama associativo ticinese, è formalmente membro della Cc-Ti solo da qualche anno, ma la fruttuosa collaborazione ha radici lontane e molto profonde, grazie soprattutto al vostro attivissimo presidente Gianluigi Piazzini, inimitabile tessitore di relazioni e appassionato lettore ed interprete di messaggi governativi e atti parlamentari. Come non ricordare l’orami celeberrima frase del vostro presidente concernente l’aumento dei valori di stima: “Ci aspettavamo una spuntatina e ci avete fatto un taglio alla marines”. Impareggiabile!

Non è certo necessaria la mia sottolineatura per ribadire l’importanza del settore immobiliare, colonna portante della nostra economia e ciò nonostante regolarmente messo sotto pressione, soprattutto dal lato fiscale.

Paragonabile un po’ alla situazione degli automobilisti, regolarmente tartassati, forse per creare una sorta di “par condicio” fra beni tipicamente immobili e quelli per definizione mobili, come le auto.

Ma, esattamente come è anche lo stile della Cc-Ti, tengo a sottolineare come la vostra associazione abbia sempre dimostrato grande maturità e senso di responsabilità, esercitando si il diritto di critica ma senza lamentele piagnucolose né critiche scomposte, ma sempre con dati alla mano.

Approccio costruttivo forse figlio di tempi passati ma che mai come oggi dovrebbero essere attuali, nel contesto oramai cacofonico del “dagli al ricco” e quindi chiaramente compreso il proprietario immobiliare.

Numerose sono state le iniziative in questo senso combattute assieme alla vostra associazione negli anni scorsi. Una per tutte è stata la lotta condotta praticamente da soli a sostegno del referendum contro la revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale (LPT). Ricordo alcune affermazioni del direttore della Cc-Ti Luca Albertoni nel contesto della campagna di votazione, coordinata con la CATEF e cito:

“La messa in pratica di questo nuovo sistema porterebbe con sé un importante peso burocratico, la proprietà privata verrebbe inoltre notevolmente intaccata a causa dell’imposizione dell’utilizzo del terreno edificabile, pena il depennamento dello status di zone edificabili dai terreni. Elementi particolarmente pericolosi e anche un po’ liberticidi, dal momento che toccano profondamente la proprietà privata. Non da ultimo vi è anche il problema dell’autonomia cantonale: un buon numero di competenze verrebbe infatti trasferito a livello federale”.

Mi scuso per questo excursus auto-referenziale della Cc-Ti, ma era importante sottolinearlo quale esempio di lavoro comune fra la Camera (associazione-mantello dell’economia cantonale) e rappresentanti settoriali, tanto più che i fatti ci hanno dato poi ragione perché è proprio questo che è avvenuto e sta avvenendo. Purtroppo il responso delle urne del 3 marzo 2013 ci è stato chiaramente sfavorevole.  Ma ciò non significa che occorre abbassare le braccia: ci attende in questi giorni la consultazione sulla revisione delle norme cantonali e sarà nostro compito comune vegliare a un’applicazione proporzionata e rispettosa dei diritti costituzionali. Anche perché incombono altre iniziative molto preoccupanti, volte a bloccare le possibilità edificatorie in maniera eccessiva e spesso in nome di una volontà punitiva nei confronti dell’economia. Sia chiaro, il territorio va rispettato e la stragrande maggioranza degli operatori economici si impegna in questo senso, anche perché gli imprenditori respirano esattamente la stessa aria e vivono sullo stesso lembo di terra degli altri cittadini!

Il lavoro comune, non solo fra Cc-Ti e CATEF, ma anche con tutte le altre associazioni è già eccellente ma va ulteriormente rafforzato, perché è la sola via per garantire una difesa efficace degli interessi economici generali e di quelli settoriali.

Del resto, la ripartizione dei compiti è chiara: le associazioni di categoria o settoriali si occupano delle questioni appunto di categoria, mentre la Cc-Ti, quale associazione-mantello, si preoccupa delle questioni di politica economica generale. La Cc-Ti si attiva su problematiche settoriali solo se esplicitamente richiesto dagli stessi settori. Funzionamento semplice, che ha dimostrato di essere molto efficace.

La Cc-Ti è quindi anche un’importante cassa di risonanza per le tante eccellenti iniziative delle associazioni a essa legate e con questo sistema evita di invadere il campo degli specialisti settoriali, scongiurando quindi il pericolo di commettere delitti di lesa maestà che, si sa, nel nostro cantone sono considerati particolarmente gravi.

La mia presenza fra di voi questa sera è pertanto anche e soprattutto finalizzata a darvi un quadro generale della situazione dell’economia ticinese, presentata in maniera a volte bizzarra nella discussione pubblica. E per bizzarro intendo ovviamente le molte indicazioni di segno negativo, con le insistenti sottolineature di abusi veri o presunti, omettendo scientemente di menzionare anche i molti aspetti positivi della nostra realtà economica. Certo, in un contesto che considera automaticamente falsati i dati ritenuti scomodi perché non funzionali alla dimostrazione di talune tesi politiche, non è che ci si possa aspettare molto di più. Ma tant’è, questa è la realtà odierna.

Non posso però esimermi dal sottolineare con forza che l’economia ticinese ormai da anni segue l’andamento medio di quella elvetica, cosa inimmaginabile fino a una ventina d’anni fa.

L’esplosione del settore delle esportazioni ha contribuito in maniera decisiva alla diversificazione del nostro tessuto economico, che si è trovato a essere più robusto di altri alle grandi crisi. Se pensiamo che in meno di un decennio vi sono state tre grandi scossoni (2008 con la crisi finanziaria e due crisi legate al franco nel 2011 e nel 2015) e che non vi sono stati massicci interventi sul personale da parte delle nostre aziende, questo significa molto. A differenza ad esempio di quanto avvenuto nel bacino Neuchâtel-Giura o nella Svizzera orientale, dove dal 2015 sono andate perse migliaia di posti di lavoro, a causa di una certa struttura economica monotematica (non è una critica, ma un fatto). Immaginate cosa sarebbe successo se vi fossero state conseguenze anche solo lontanamente paragonabili in Ticino. E quando parlo di posti andati persi nelle regioni menzionate non parlo di statistiche della Seco sulla disoccupazione, considerate da taluni fasulle, ma di cifre comunicate direttamente dalle aziende su quanto hanno dovuto cancellare in termini di occupazione.

Con questo non voglio certo dire che siamo esenti da problemi. Come tutte le regioni svizzere, alcuni rami economici soffrono di più, all’interno di alcuni settori c’è chi va bene e c’è chi va male, tratto caratteristico anche di un’economia in costante e rapidissima evoluzione.

E’ chiaro che quando ci si concentra prevalentemente sul negativo, un mega-tema come ad esempio quello della digitalizzazione non può non preoccupare, perché la tendenza è di vedere solo i rischi e non gli effetti positivi che potrebbero esserci.

Capisco che quello che è diverso rispetto alle precedenti rivoluzioni industriali è soprattutto la velocità del cambiamento, che chiama in causa tutti, dagli operatori economici, alla politica, ai cittadini. Basti pensare alla formazione, messa sotto pressione da molte incognite portate da un mercato del lavoro sempre più esigente e anche diversificato. Ci troviamo infatti in un periodo storico di ricerca di equilibrio fra l’acquisizione di un vasto bagaglio di conoscenze generali e un intenso lavoro di apprendimento di quelle specialistiche.

Il mercato chiede un po’ tutto: da solide conoscenze di base che permettono una flessibilità di adattamento a situazioni sempre più mutevoli, a conoscenze specialistiche approfondite, ma nemmeno troppo approfondite, per evitare esclusioni dal mondo del lavoro nel caso di trasformazione profonda o addirittura di sparizione di determinate professioni.

Perché questa è la realtà oggi. Tanto sono veloci le cancellazioni di talune professioni, altrettanto veloce è la creazione di nuove. Purtroppo nei media si parla quasi solo dei primi, dando l’impressione che la tanto temuta trasformazione digitale sarà solo uno strumento di cancellazione dei posti di lavoro.

Ignorando che, in determinate circostanze, a qualche centinaio di posti di lavoro soppresso fa da contraltare qualche migliaio di posti creati in funzioni diverse. Un punto principale della sfida risiede proprio qui, cioè nel gestire la transizione verso nuovi lidi di chi fa più fatica, per età o formazione. Cioè evitare che troppe persone “si perdano per strada”, realtà e preoccupazione di ogni rivoluzione industriale. Rivoluzioni industriali che, detto per inciso, hanno storicamente sempre portato a progresso e sviluppo nel medio e lungo termine. E’ nel breve che dobbiamo lavorare per evitare che vi siano troppe conseguenze negative.

La rapidità del cambiamento tocca ovviamente in primis le aziende. Un solo dato: Swisscom realizza oltre il 70% della propria cifra d’affari con prodotti che dieci anni fa non esistevano. Sono dati che non possono lasciare indifferenti, a cavallo tra timori e grandi possibilità di sviluppo.

Ho appreso qualche giorno fa che nella sola Svizzera tedesca sono nate una trentina di nuove professioni negli ultimi due anni, tutte legate ad ambiti tecnici e inimmaginabili fino anche solo a cinque anni fa. Nel Cantone TI si possono apprendere oltre 690 professioni.

Le potenzialità sono quindi enormi e il mondo economico svizzero e ticinese sembra esserne fortunatamente cosciente. Nell’ultima inchiesta congiunturale svolta dalla Cc-Ti qualche mese fa presso i nostri associati, oltre la metà delle aziende interpellate ha affermato che sta affrontando in maniera attiva e consapevole la trasformazione digitale.

Un dato importante perché la digitalizzazione ha effetti considerevoli sui modelli di business, che vanno costantemente aggiornati, sia per quanto concerne i prodotti, ma anche per i processi, l’organizzazione interna, la prospezione di mercati, ecc. Altro fatto rilevante, è che l’80% delle aziende ha segnalato che non vi saranno conseguenze sul personale, o perché già preparato o perché si sta preparando. Segnale importantissimo di stabilità, checché ne dicano i tanti politici lontanissimi dalle realtà aziendali.

Qui sta uno dei punti più delicati della situazione politica attuale: la scarsa conoscenza del mondo aziendale e delle sue dinamiche. Non si può né si deve negare che vi siano problemi legati a una concorrenza sempre più agguerrita e non sempre leale. Dumping, lavoro nero, abusi di vario genere, commessi soprattutto in nome di mentalità “imprenditoriali” lontane da quella elvetica, sono fenomeni da affrontare con la massima serietà e severità ed è giusto sanzionarli senza riserve né eccezioni. Ma non a costo di distruggere tutto il sistema elvetico che ha dimostrato di funzionare molto meglio di tanti altri. Regole sì, statalismo sfrenato no. Adattamento moderato, senza stravolgimenti epocali, perché la struttura liberale della nostra legislazione e il federalismo sono valori che ci hanno permesso di crescere e molto!

Ma è un dato di fatto che oggi è difficile contrastare questa ondata di richieste di regole coercitive e sempre più invadenti. Un’attività come la vostra è fondamentale nell’ottica della valorizzazione di quanto di positivo avviene sul territorio. Il valore di ogni singolo settore economico per il benessere comune è un messaggio che purtroppo passa ancora troppo poco. La Cc-Ti sta facendo importanti sforzi in questo senso, per dare spazio anche mediatico a chi, magari lontano dalle luci della ribalta, lavora con impegno e dedizione in un contesto tutt’altro che facile, contribuendo a generare quella ricchezza che sempre meno persone sembrano preoccupati di creare ma che sempre più sono pronti a ridistribuire a piene mani. La mia esortazione è che il dinamismo, la flessibilità e l’apertura dell’economia possano essere maggiormente veicolate verso l’esterno, cioè verso la politica e la popolazione. Il nostro compito principale oggi è di veicolare importanti messaggi positivi verso l’opinione pubblica. Anche perché raccontiamo realtà e non storielle inventate ad arte. Le aziende ticinesi non sono una specie di associazione a delinquere preoccupata solo di fare profitti grazie a prezzi esorbitanti e ingiustificati, ma sono entità che prendono cura del territorio e che garantiscono un’eccellente qualità.

Ribadisco quindi quanto sia importante la compattezza del mondo economico, confrontato con cambiamenti epocali, di rapidità inedita. La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, è sempre in prima linea per cercare di trovare gli equilibri necessari, anche fra settori e rami economici diversi. Non si può infatti nascondere che gli interessi di chi opera prevalentemente sul mercato interno siano spesso divergenti da chi opera sui mercati internazionali. Il legittimo bisogno di protezione dalla concorrenza sleale si scontra con la richiesta di sempre meno ostacoli, elemento essenziali per l’industria dell’esportazione.

Conciliare queste esigenze non è facilissimo, ma è fattibile, come dimostra la nostra attività quotidiana. Inflessibile severità contro chi viola le regole (penso a padroncini e distaccati), ma lotta instancabile contro l’introduzione di eccessive regole che chiudono il nostro paese in un inutile protezionismo, penalizzando in primis le aziende esportatrici ma in ultima analisi tutta l’economia.

E’ quindi necessario stare molto attenti al rispetto del principio della legalità elemento fondante del nostro Stato e che non può essere sacrificato a cuor leggero in nome di princìpi anche ampiamente condivisi ma di difficile applicazione pratica. Ogni riferimento a “Prima i nostri” e alla famosa o famigerata LIA è voluto. Idee lodevoli e che sul principio ci trovano molto aperti, ma che per un’applicazione pratica effettiva a favore delle nostre aziende e della popolazione ticinese richiedono equilibrio, attenzione, capacità di lavorare sulle sfumature, per evitare effetti contrari a quelli voluti.

Qualità, quelle appena citate, che purtroppo oggi nella discussione pubblica sembrano mancare totalmente e se l’economia non è capace di far valere in modo compatto la libertà economica e imprenditoriale, vi sarà sempre più spazio per “soluzioni” apparentemente facili e popolari, ma in realtà inutili e perfino dannose.

In conclusione voglio dirvi che per la libertà economica e imprenditoriale continueremo a combattere, sempre lealmente come è nel nostro stile, ma senza concessioni. Perché ne va del nostro sistema, che abbiamo costruito con fatica e che dà risultati eccellenti. Lo scimmiottare esempi di paesi a noi anche vicini, soffocati dalla burocrazia e da regole mostruose, non può essere un obiettivo condiviso in nome di una pseudo-protezione.

Grazie dell’invito e buon lavoro a tutti.

 

Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

In occasione dell’Assemblea CATEF, Camera ticinese dell’economia fondiaria, il Presidente Cc-Ti Glauco Martinetti ha tenuto il seguente discorso, scaricabile qui in formato PDF.

Il Regno Unito si avvicina alla Svizzera

Una conferenza molto interessante quella svoltasi giovedì 11 maggio all’Hotel Parco Paradiso dedicata al Regno Unito, organizzata dalla Cc-Ti in collaborazione con S-GE e il supporto degli sponsor Export (Cippà Trasporti, CRIF, Credit Suisse e Euler Hermes).

Durante gli interventi è emerso come il referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’UE nel giugno 2016 non ha causato – come si poteva pensare – una scossa economica in questo Paese. Ha suscitato invece un certo interesse per l’economia svizzera. Emergono quindi anche delle chances per le esportazioni elvetiche mentre rimane un po’ più di prudenza per il settore finanziario.

L’evento dedicato al Regno Unito ha attirato numerose aziende che hanno seguito con interesse gli interventi dei vari relatori. Nella foto Marco Passalia, Marco Arrighini, Damian Künzi, Geraldine Mortby, Haig Simonian, Peter Steimle e Monica Zurfluh al Parco Paradiso.

Dopo i saluti introduttivi di Marco Passalia, vice direttore e responsabile del Servizio Export della Cc-Ti, è intervenuto Damian Künzi, Vicepresident Global Macro Analysis di Credit Suisse che ha sottolineato come contro le previsioni pessimiste di tanti media, l’economia britannica ha dimostrato la sua forza di resistenza. Rimane comunque una certa incertezza dovuta al rallentamento della crescita, all’aumento dell’inflazione – seppur minore del previsto – ma, come detto da Künzi, si mangia comunque «meno Toblerone per lo stesso prezzo».

In seguito sono intervenute Geraldine Mortby, Deputy Head and Head of Export dello Swiss Business Hub UK & Ireland e Nadja Kolb, consulente S-GE per questi Paesi, che hanno evidenziato come le relazioni commerciali dovrebbero rimanere stabili e invariate almeno fino al mese di aprile 2019.

Opportunità importanti per le aziende elvetiche

Secondo le consulenti di S-GE, i settori più importanti del commercio tra la Svizzera e la Gran Bretagna manterranno la loro posizione privilegiata. Vi saranno anche in futuro delle opportunità interessanti per le aziende elvetiche: ben venga tutto quello che viene concepito e elaborato in Svizzera, per esempio il cioccolato, ma anche prodotti nell’ambito dell’automatizzazione o della nanotecnologia che sono molto importanti per il Regno Unito. Lo stesso vale per prodotti innovativi nel settore assicurativo che concernono applicazioni smartphone o nel contesto della blockchain.

Sempre assicurarsi contro i rischi

Marco Arrighini, Key Account Manager di Euler Hermes, ha in seguito sottolineato ai numerosi partecipanti che, malgrado queste opportunità ed il fatto che il mercato britannico sia uno dei più affidabili, ci sono delle incertezze riguardo il consumo privato, gli investimenti e l’esportazione. A questi si aggiunge la possibilità della volatilità a lungo termine ed anche del numero crescente delle insolvenze.

Due Paesi partner, ma anche rivali

Al termine di questi interventi, è poi seguita un’interessante discussione tra Peter Steimle, Chairman of the Ticino Chapter, della British Swiss Chamber of Commerce e Haig Simonian, Freelance journalist and formerly on the staff of the FT and Economist. Steimle ha innanzitutto evidenziato come la Gran Bretagna è il secondo più grande esportatore europeo. Il Regno Unito ha inoltre un accesso facilitato ai 53 Paesi del Commonwealth e quindi a un mercato con due miliardi di persone. Haig Simonian ha poi constatato come la curiosità nel Regno Unito per la Svizzera è aumentata considerevolmente. Il nostro Paese gode infatti di un forte sviluppo tecnologico e vanta delle relazioni più o meno stabili con l’UE.

Dalla discussione è emerso come vi siano diversi aspetti in comune tra i due Paesi, ma anche delle differenze e persino una concorrenza evidente: entrambe le nazioni dispongono di una forte piazza finanziaria, ma per il Regno Unito il segreto bancario non ha un significato così attuale. “In merito a questo punto la Svizzera deve essere molto attenta” ha affermato Simonian.

Buone maniere britanniche

Al termine dell’evento, grazie al supporto di Ti Traduce, vi è stato anche un momento di approfondimento dedicato al “Business etiquette”.  Nigel Casey ha presentato alcuni buoni consigli di comunicazione e di comportamento per chi desidera approcciarsi alla realtà professionale britannica. Suggerimenti interessanti da mettere sicuramente in pratica.

Tech for Insurance – What’s next for the insurance industry in Switzerland and the UK?

Sponsor export

Le presentazioni

Economic outlook
Damian Künzi, vicepresident Global Macro Analysis, Credit Suisse
Business opportunities for Swiss companies
Geraldine Mortby, Deputy Head and Head of Export, Swiss Business Hub UK & Ireland
Credit risk management
Marco Arrighini, Key Account Manager, Euler Hermes
Business Etiquette
Nigel Casey, Digital Professionals Academy

Incontri e scambi proficui in Iran per la Cc-Ti e la LCTA

Dal 29 aprile al 3 maggio 2017 una numerosa delegazione ticinese (25 persone) ha partecipato alla prima missione in Iran organizzata dalla Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti) e dalla Lugano Commodity Trading Association (LCTA), in stretta collaborazione con Switzerland Global Enterprise (S-GE).

Marco Passalia, Vice direttore della Cc-Ti e General Secretary della LCTA con Pedram Soltani, Vicepresidente della Camera di commercio iraniana (Iran Chamber of Commerce, Industries, Mines and Agriculture)

Ad accompagnare i rappresentanti delle aziende, Michele Rossi e Marco Passalia per la Cc-Ti/LCTA e Monica Zurfluh per S-GE che hanno coordinato il programma e assistito le aziende ticinesi nei vari colloqui avuti in loco con interlocutori iraniani.  I partecipanti, rappresentanti di diversi settori (bancario, fiduciario, commodity trading, energia, automotive, costruzioni,…), hanno infatti seguito un intenso programma, il cui scopo era quello, da un lato, di offrire alle aziende una panoramica conoscitiva del mercato iraniano tramite dei seminari e degli incontri istituzionali, e, al medesimo tempo, di fornire dei contatti concreti con potenziali partner tramite l’organizzazione di incontri B2B.

Oltre ai contatti con le aziende locali, la delegazione ticinese ha incontrato il Chargé d’affaires a.i. dell’Ambasciata Svizzera, Stéphane Rey, che ha fornito un briefing estremamente dettagliato sulla situazione attuale in Iran. Inoltre Marco Passalia, Vicedirettore della Cc-Ti, ha avuto modo di discutere direttamente con Pedram Soltani, Vicepresidente della Camera di commercio iraniana (Iran Chamber of Commerce, Industries, Mines and Agriculture), sottolineando l’importanza del progresso delle relazioni economiche tra Svizzera e Iran e individuando alcuni settori in cui vi è un grande potenziale per lo sviluppo di sinergie, soprattutto nel settore della farmaceutica e delle cosiddette “life sciences”, nel commercio di materie prime e nella moda.

I partecipanti hanno avuto modo, inoltre, di prendere parte alla conferenza organizzata dalla Cc-Ti e dalla LCTA, in stretta collaborazione con la Camera di commercio Iran-Svizzera, intitolata “Key business sectors in Switzerland”. Davanti ad un selezionato pubblico di potenziali partner sono stati presentati i principali settori dell’economia ticinese tramite quattro panel (“Swiss Energy Technologies” / “Swiss Life Sciences” / “Swiss Technologies in the automotive sector” e “Swiss commodity trading”) in cui sono intervenute alcune aziende della delegazione, vere punte di diamante della nostra economia. Si è trattato quindi di un momento chiave del programma in cui le imprese svizzere hanno avuto un’ulteriore occasione di farsi conoscere e di allargare la propria rete di contatti locali.

Gli incontri e gli scambi avuti durante questa visita sono stati molto proficui e il grande numero di partecipanti alla missione va a dimostrare il notevole interesse per l’Iran, Paese che attualmente attira indubbiamente molto. Il successo della missione conferma la pertinenza del lavoro della Cc-Ti e della LCTA sul mercato iraniano. I prossimi passi dipendono ovviamente dagli sviluppi politici in Iran e a livello internazionale, che la Cc-Ti sta monitorando attivamente.

Cc-Ti e LCTA continueranno anche in futuro a creare queste ottime occasioni per conoscere e sviluppare contatti con mercati esteri. Attualmente ricordiamo che i Paesi prioritari per le nostre attività sono: Russia e paesi CSI (Ucraina, Kazakistan) e Iran.

Per maggiori informazioni sulle missioni economiche, contattare Chiara Crivelli, Head of International Desk.

Resoconto dell’evento “Responsabilità sociale d’impresa e strategia aziendale”

La responsabilità sociale delle imprese è un concetto ampio che integra anche aspetti economici ed ambientali. Tre rappresentanti rispettivamente dei settori fashion, alimentare e dell’analisi ambientale hanno esposto le loro strategie per mantenere un equilibrio tra tali esigenze. E questo sforzo funge anche da incentivo per l’innovazione.

 

 

Per Hugo Boss Ticino SA, azienda attiva nel settore fashion, la sostenibilità implica sia responsabilità sociale sia quella ambientale, ha spiegato Heinz Zeller, Head of Sustainability and Logistics dell’azienda tedesca con una sede svizzera a Coldrerio. Hugo Boss offre lavoro a circa 14‘000 impiegati in tutto il mondo, di cui 380 in Ticino. In merito ai collaboratori e al loro profilo Heinz Zeller constata un aumento rimarchevole della necessità di avere dipendenti che abbiano un profilo da creativi, da tecnici e di gestione, mentre stanno diminuendo coloro che lavorano nella produzione stessa. Questa negli ultimi dieci anni si è delocalizzata sempre di più dalla Germania, Zurigo e il Ticino verso l’Oriente ed il Sudamerica.

Impedire lo sfruttamento del lavoro

Ma proprio nell’Oriente asiatico vengono riscontrate incertezze legali che concernono il personale da diversi punti di vista. Soprattutto nell’ambito dello sportswear si constatava, soprattutto negli anni 80 e 90, per esempio lavoro minorile o forzato. Sono nate quindi delle iniziative sociali dove partecipa anche Hugo Boss, con lo scopo di impedire lo sfruttamento del lavoro.
Ma quella appena citata non è l’unica incognita nella produzione in certe nazioni: in Bangladesh per esempio mancavano delle precauzioni contro possibili incendi nelle fabbriche o delle misure per proteggere la salute dei lavoratori (precauzioni che ora esistono grazie ad esempio al “Bangladesh Accord”). Quindi Hugo Boss e altre aziende del comparto della moda hanno preso delle precauzioni a riguardo.
Ma non solo misure a tutela dei collaboratori , anche i „fiumi colorati“ danno nell’occhio: insieme ad altre aziende ed organizzazioni ambientali sono stati creati dei programmi per evitare che i prodotti chimici portassero ad un inquinamento delle acque.

Tutti gli aspetti menzionati incidono molto anche nell’ambito dell‘innovazione. Infatti la coscienza verso la sostenibilità è in forte crescita anche nel grande pubblico, è quindi importante anticipare le tendenze e le necessità generali, anche per (ma non solo) suscitare dell’interesse in nuovi potenziali clienti.

Questo risulta essere uno stimolo per l’azienda e per il suo impegno a riguardo dell‘innovazione aziendale. E così la sostenibilità si posiziona al centro della strategia dell‘azienda, trovando un buon equilibrio fra le richieste economiche, sociali ed ambientali.

Usare treni per un beneficio economico ed ambientale

L’aspetto della protezione ambientale incide anche per le aziende che hanno solo indirettamente a che fare con il trasporto delle merci. Hugo Boss, come altre ditte del settore, dipendono molto dalla logistica e la possono influenzare in modo decisivo. La filosofia applicata è quella di avere un impatto minimo a seconda della necessità e del tempo disponibile: secondo questa formula è quindi meglio usare il treno in certe circostanze piuttosto che grandi navi, con un minor impatto sul tempo, sui costi e sull’ambiente.
Senza dimenticare la digitalizzazione: grazie al design tridimensionale offerto dai più avanzati programmi compiuterizzati si possono oggigiorno creare nuove collezioni senza dover attivare l’intera catena di produzione fisica, la quale richiede tempo e risorse.

Anche nel settore alimentare la tutela dell’ambiente porta a generare delle innovazioni proficue, senza dimenticare la tutela degli animali. Già da decenni sono stati riconosciuti in loro favore dei diritti fondamentali, incluso il divieto di mutilazione per la tutela del loro benessere, ha ribadito Glauco Martinetti, CEO di Rapelli. Inoltre il trasporto degli animali è rigorosamente regolato: il viaggio dalla stalla fino al macello deve durare un massimo di 6 ore, mentre nell’UE questo limite viene allargato a 24 ore.

La riduzione del biossido di carbonio

Una delle grandi sfide per Rapelli è stata la riduzione del biossido di carbonio (anidride carbonica). La fabbrica di salumi è un importante consumatore di energia, ma con volontà ed organizzazione è già riuscita a diminuire la produzione di biossido da 3100 tonnellate nell’anno 2010 alle attuali 1700 tonnellate. Queste dovrebbero essere ridotte ulteriormente nel 2019 di 150 tonnelate. E in quanto al consumo di elettricità l’azienda ha raggiunto sinora una riduzione del 13 percento. Come è stato possibile ciò? Tramite delle misure piuttosto semplici, ha spiegato Glauco Martinetti, come l’ottimizzazione dei parametri d’esercizio a riguardo della climatizzazione, il riscaldamento e l’impianto frigorifero, la coibentazione delle tubature e la ventilazione. A questo si è aggiunto il cambiamento della fonte di approvigionamento energetica, dall’olio combustibile al gas naturale. Una fase successiva prevede l’inserimento di una pompa di calore termica.

Ma non solo energia, anche gli imballaggi plastici sono finiti sotto la lente di Rapelli, infatti anche la loro produzione implica un accumulo di biossido di carbonio. Per questo l’azienda si è impegnata a ridurre lo spessore degli imballaggi senza alterare la loro impermeabilità e ciò ha portato ad una rimarchevole diminuzione del 36% del materiale ovvero circa 90 tonnellate all’anno. Un importante investimento in un nuovo centro di commissionamento ha permesso di filializzare in modo migliorativo i prodotti, con una diminuzione del 24% del volume della merce che deve essere trasportata. Con un risparmio sia ambientale che economico per l’azienda.

Comunicare vuol dire semplificare

Infine ci vuole un’adeguata comunicazione di tutto quello che concerne la sostenibilità. Questo è un ambito dove si è confrontati con molti dati scientifici e una complessità tematica tale che i non addetti ai lavori possono avere difficoltà a comprendere appieno il tema. E se non si comprende, non ci si confronta davvero con un approfondimento del tema della sostenibilità. Bisogna quindi semplificare, ha affermato Simone Pedrazzini responsabile Ticino per l’azienda Quantis, la quale si occupa dell’attestazione scientifica come pure della comunicazione di aspetti legati alla sostenibilità.

Per raggiungere questo scopo Simone Pedrazzini ha proposto un metodo composto da tre passi. Il primo implica l’introduzione della tematica e la presentazione degli obbiettivi nell’ambito della sostenibilità. Facendo il secondo passo, quello della prova, si raffigurano le cause e soprattutto i fatti corrispondenti, in questo passo si fa ricorso molto spesso all’uso di grafici. Infine ci vuole il posizionamento: le spiegazioni devono essere adattate o personalizzate secondo il gruppo target. Inoltre vale la pena considerare l’installazione di un sito web web interattivo, il quale può portare un grande risparmio per quanto attiene il consumo di carta e l’impatto ecologico della sua produzione.

Ma la cosa più importante è verificare nel contesto della reale crescita economica e della propria produzione qual è la riduzione effettiva a riguardo del biossido di carbonico, ha affermato Simone Pedrazzini.

Sintonia tra esigenze economiche ed ambientali

Le considerazioni conclusive sono state svolte dal direttore della Cc-Ti Luca Albertoni. Secondo Albertoni dobbiamo essere attenti alla tematica della sostenibilità e responsabilità delle imprese. Questa è però un concetto ampio che non integra soltanto aspetti sociali ed ambientali: non va dimenticato che il compito primario delle aziende è di occuparsi della sostenibilità economica, ovvero quello di far prosperare le loro attività, generando posti di lavoro, contribuendo al gettito fiscale e creando ricchezza per il paese. Si tratta di creare una sintonia tra le esigenze economiche e quelle ambientali e sociali.

Ripensare il proprio modello di business: il vantaggio competitivo di domani

Molte PMI a causa del superfranco continuano a subire una forte pressione sui margini e hanno quasi esaurito il potenziale per l’ottimizzazione dei loro processi e gli strumenti per investire in altre innovazioni di prodotto. Mega-tendenze quali la globalizzazione, i cambiamenti demografici, la sostenibilità, la digitalizzazione e la mobilità stanno cambiando il mondo e l’economia globale, facendo emergere nuovi concorrenti: ne sono un esempio Apple, il rivenditore di musica che non ha venduto un solo CD, Uber, l’impresa di taxi che non possiede automobili o AirBnB, l’azienda che affitta abitazioni senza aver mai piantato un mattone. Il mondo del business viene completamente rivoltato e le PMI che operano a livello internazionale non possono cullarsi nella falsa sicurezza che proprio il loro settore venga risparmiato.

Che fare quindi?

Dopo anni di miglioramento dell’efficienza e dei prodotti, le imprese svizzere attive a livello internazionale giungono sempre più ai limiti del potenziale di ottimizzazione, in taluni comparti la pressione sui margini continua però ad essere presente. È importante quindi superare il modo di pensare secondo la logica aziendale tradizionale. Prendendo ad esempio Apple, Uber o AirBnB, il vantaggio competitivo internazionale del futuro risiede in un modello commerciale intelligente.

Se, in parole povere, i modelli di business descrivono il funzionamento di un’impresa, il modo in cui si devono realizzare gli utili e, in particolare, quali esigenze dei clienti debbano essere soddisfatte, per attuare un modello commerciale innovativo servono soprattutto creatività e un pensiero fuori dagli schemi. Il punto di partenza è dato dalle esigenze dei propri clienti e dalla possibilità di apportare un plusvalore in un modo nuovo, più efficiente o più interessante, in ognuno dei mercati di riferimento, di offrire loro una nuova esperienza, di distinguersi dalla concorrenza e di generare ulteriori fonti di guadagno. Bisogna in particolare riflettere sui seguenti punti: quale vantaggio offre il mio prodotto o servizio ai clienti? Come viene generato tale vantaggio e quale valore aggiunto porta con sé? Qual è il mio modello di ricavi? In realtà non c’è bisogno di reinventare la ruota, è sufficiente guardarsi attorno, dare un’occhiata anche ad altri settori e conoscere le loro soluzioni sul mercato. Lasciatevi ispirare.

Come?

Il Forum del commercio estero svizzero che Switzerland Global Enterprise terrà il prossimo 18 maggio alla Fiera di Zurigo può essere una prima occasione. Tra le varie testimonianze, ad esempio, troviamo quella dell’azienda Elite SA di Aubonne (associata alla Camera di commercio vodese e a S-GE), produttrice di materassi, ci piace particolarmente: l’attuale CEO ha lavorato in precedenza nel settore automobilistico e ha portato con sé l’idea del «leasing». I pregiati materassi sono stati dotati di sensori e da allora vengono noleggiati agli alberghi, che pagano solo se effettivamente un cliente ci dorme sopra. In questo modo gli alberghi risparmiano notevoli investimenti, realizzando così un vantaggio per il cliente in modo più interessante. Nel contempo Elite SA riceve informazioni su come i clienti utilizzano il suo prodotto e su come migliorare ulteriormente i suoi materassi. Con questo modello di business la PMI della Svizzera romanda opera con successo anche a livello europeo.

Siamo convinti che anche in Ticino molte aziende stiano compiendo passi simili. Ci farebbe molto piacere se si mettessero in contatto con noi così da poterle promuovere e renderle fonte d’ispirazione per altre PMI del Cantone.

Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana
Marco Passalia, responsabile Servizio Export Cc-Ti

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Discorso del Presidente Martinetti – Assemblea FPCE

Discorso pronunciato da Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti, in occasione dell’assemblea FPCE del 2.5.2017

Fa stato il discorso pronunciato oralmente


Caro presidente, cari membri della FPCE,

sono onorato di poter partecipare ai vostri lavori a testimonianza dell’eccellente rapporto esistente fra la vostra associazione e tutto quanto ruota attorno alla vostra professione e la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino. Il settore degli impianti elettrici (in senso largo) ha una lunga tradizione di collaborazione con la Cc-Ti, con l’AIET in primis, socio storico con uno dei segretariati più importanti per la nostra struttura. Attraverso il rapporto con la FPCE, che data di tempi più recenti, il tutto si è ulteriormente intensificato, anche perché la formazione costituisce un elemento strategico fondamentale per le aziende avantutto, ma pure per la Cc-Ti che da tempo ne ha fatto un cavallo di battaglia per le innumerevoli battaglie politiche che stiamo conducendo a tutela dell’economia ticinese.

Certo, parlare di formazione davanti a questa platea qualificata, potrebbe essere considerato un po’ strano, visto che gli esperti siete voi. E di fronte alla varietà di corsi proposti dalla vostra associazione, non avete certo bisogno di indicazioni particolari né sul valore della formazione in quanto tale, né sui contenuti da darle per cavalcare le molte e rapide evoluzioni del mercato. Mi limito pertanto a sottolineare quanto sia importante in generale tutto l’ambito dell’apprendimento delle conoscenze, dalla formazione scolastica a quella professionale fino al perfezionamento e all’aggiornamento costante. E’ una sfida non da poco per tutti, se pensiamo alla velocità dei cambiamenti che pongono problemi non da poco già a partire dalla scuola media. Trovare un equilibrio fra un vasto bagaglio di conoscenze generali e quelle specialistiche è ormai il tema dominante della discussione. Il mercato, con le sue sempre più repentine evoluzioni, chiede un po’ tutto. Solide conoscenze di base che permettono una flessibilità di adattamento a situazioni sempre più mutevoli. Conoscenze specialistiche approfondite, ma nemmeno troppo, per evitare esclusioni dal mondo del lavoro nel caso di trasformazione profonda o addirittura di sparizione di determinate professioni. Perché è questa la realtà oggi. Tanto sono veloci le cancellazioni di talune professioni, altrettanto veloce è la creazione di nuove specialità. Purtroppo nei media si parla solo dei primi, dando l’impressione che la tanto temuta trasformazione digitale sarà solo uno strumento di cancellazione dei posti di lavoro. Ignorando che, in determinate circostanze, a qualche centinaio di posti di lavoro soppresso fa da contraltare qualche migliaio di posti creati in funzioni diverse. Un punto principale della sfida risiede proprio qui, cioè nel gestire la transizione verso nuovi lidi di chi fa più fatica, per età e/o formazione. Cioè evitare che troppe persone “si perdano per strada”, realtà e preoccupazione di ogni rivoluzione industriale. Rivoluzioni industriali che, detto per inciso, hanno storicamente sempre portato a progresso e sviluppo nel medio e lungo termine. E’ nel breve che dobbiamo lavorare per evitare che vi siano troppe conseguenze negative.

Impressiona pensare che talune aziende (Swisscom per non fare nomi) realizzi oltre il 70% della propria cifra d’affari con prodotti che dieci anni fa non esistevano. Sono dati che non possono lasciare indifferenti, a cavallo tra timori e grandi possibilità di sviluppo. Leggevo qualche giorno fa che nella sola Svizzera tedesca sono nate una trentina di nuove professioni negli ultimi due anni, tutte legate ad ambiti tecnici. Le potenzialità sono quindi enormi e il mondo economico sembra esserne fortunatamente cosciente. Nell’ultima inchiesta congiunturale svolta dalla Cc-Ti qualche mese fa, oltre la metà delle aziende interpellate ha affermato che sta affrontando in maniera attiva e consapevole la trasformazione digitale. Non sono cifre da poco, anche nel contesto svizzero. Senza dimenticare poi che l’80% delle aziende ha segnalato che non vi saranno conseguenze sul personale, o perché già preparato o perché si sta preparando. Altro segnale importantissimo di stabilità, checché ne dicano i tanti politici che l’interno di un’azienda non l’hanno mai visto, figuriamoci se ne capiscono il funzionamento.

Qui sta uno dei punti più delicati della situazione politica attuale. La scarsa conoscenza del mondo aziendale e delle sue dinamiche. Non si può né si deve negare che vi siano problemi legati a una concorrenza sempre più agguerrita e non sempre leale e la vostra professione li conosce bene. Dumping, lavoro nero, ecc. sono fenomeni che non vanno trascurati ed è giusto sanzionarli senza riserve né eccezioni. Ma non a costo di distruggere tutto il sistema elvetico che ha dimostrato di funzionare molto meglio degli altri che ci circondano. Regole sì, statalismo sfrenato no.

Ma oggi è difficile contrastare questa ondata di richieste di regole coercitive e sempre più invadenti.

Un’attività come la vostra è fondamentale nell’ottica della valorizzazione di quanto di positivo avviene sul territorio. Per la qualità e la varietà dell’offerta formativa, che dimostra come le aziende ticinesi, ben oltre il singolo settore, abbiano a cuore il capitale umano. Questo messaggio purtroppo passa ancora troppo poco. Come Cc-Ti stiamo facendo importanti sforzi in questo senso, per dare spazio anche mediatico alla stragrande maggioranza di imprese ticinesi che lavora con impegno e dedizione in un contesto tutt’altro che facile. Non è sempre facile, anche perché ai media le notizie positive non interessano granché e si fatica ad avere continuità sulle cose positive in un panorama che sembra crogiolarsi con piacere in sterili polemiche o in fatti di cronaca nera che tanto stimolano la curiosità della massa. Basti pensare che un’azienda che assume dieci persone passa inosservata, mentre quella che ne licenzia dieci finisce in prima pagina ovunque, Se poi in ballo vi sono dei frontalieri…

E’ pertanto assolutamente necessario che le associazioni continuino a lavorare insieme con convinzione. La ripartizione dei ruoli è chiara: le associazioni di categoria o settoriali si occupano delle questioni appunto di categoria o di settore, mentre la Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, si preoccupa delle questioni di politica economica generale. La Cc-Ti si attiva su problematiche settoriali solo se esplicitamente richiesto dagli esperti di specifici ambiti economici. Funzionamento semplice, che ha dimostrato di essere molto efficace. La Cc-Ti è quindi anche un’importante cassa di risonanza per le tante eccellenti iniziative delle associazioni a essa legate e la FPCE rappresenta un esempio di grande qualità in questo senso. Le trasformazioni della professione nell’ambito degli impianti elettrici (termine ormai quasi riduttivo) sono state enormi negli ultimi anni, ma le aziende ticinesi sono rimaste competitive. E la lista dei corsi che la FPCE offre è significativa di questa evoluzione, tanto è variegata. Al di là degli esami professionali, spaziando dai corsi prettamente tecnici a quelli sulla domotica e sul multimedia, passando per quelli più gestionali, è evidente quanto la o le professioni nel campo degli impianti elettrici siano al passo con i tempi. La sfida della trasformazione digitale per il vostro settore sembra ormai uno scherzo, tanto è variegato il campo delle vostre attività. La mia esortazione è che questo dinamismo, questa flessibilità, questa apertura possano essere maggiormente veicolate verso l’esterno, cioè verso la politica e la popolazione.

Vero che anche agli addetti ai lavori ogni tanto fa bene conoscere meglio cosa capita in altri settori, ma oggi il nostro compito principale è di veicolare importanti messaggi positivi verso l’opinione pubblica. Avantutto per la dignità della professione e per promuoverla ai fini del reclutamento di nuove leve, ma anche per far capire che le aziende ticinesi non sono una specie di associazione a delinquere preoccupata solo di fare profitti grazie a prezzi esorbitanti e ingiustificati, ma sono entità che prendono cura del territorio e che garantiscono un’eccellente qualità. Il resto sono chiacchiere e la Cc-Ti è sempre a vostra disposizione per darvi una mano, per qualsiasi esigenza. Non a caso sta nascendo un progetto comune in ambito formativo per i principi della gestione aziendale. Sono molto riconoscente di poter contare su di voi.

Mai come in questi anni è infatti importante la compattezza del mondo economico, confrontato con cambiamenti epocali, di rapidità inedita. La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, è sempre in prima linea per cercare di trovare gli equilibri necessari, anche fra settori e rami economici. Non si può infatti nascondere che gli interessi di chi opera prevalentemente sul mercato interno siano spesso, almeno in parte, divergenti da quelli di chi opera sui mercati internazionali. Il legittimo bisogno di protezione dalla concorrenza sleale si scontra con la richiesta di sempre meno ostacoli, elemento essenziali per l’industria dell’esportazione. Conciliare queste esigenze non è facilissimo, ma è fattibile, come dimostra la nostra attività quotidiana. Inflessibile severità contro chi viola le regole (v. padroncini e distaccati), ma lotta instancabile contro l’introduzione di eccessive regole che chiudono il nostro paese in un inutile protezionismo, penalizzando in primis le aziende esportatrici ma in ultima analisi tutta l’economia. E’ quindi necessario stare molto attenti al rispetto del principio della legalità ad esempio, elemento fondante del nostro Stato e che non può essere sacrificato a cuor leggero in nome di princìpi anche ampiamente condivisi ma di difficile applicazione pratica. Ogni riferimento a “Prima i nostri” e alla famosa (o famigerata) LIA è voluto. Idee lodevoli e che sul principio ci trovano molto aperti, ma che per un’applicazione pratica effettiva a favore delle nostre aziende e della popolazione ticinese richiedono equilibrio, attenzione, capacità di lavorare sulle sfumature, per evitare effetti contrari a quelli voluti. Anche qui il riferimento alla LIA non è casuale. Qualità, quelle appena citate, che purtroppo oggi al mondo politico sembrano mancare totalmente e, se l’economia non è capace di far valere in modo compatto la libertà economica e imprenditoriale, vi sarà sempre più spazio per “soluzioni” apparentemente facili e popolari, ma in realtà inutili e perfino dannose.

Per la libertà economica e imprenditoriale continueremo a combattere, sempre lealmente come è nel nostro stile, ma senza concessioni. Perché ne va del nostro sistema, che abbiamo costruito con fatica e che dà risultati eccellenti. Lo scimmiottare esempi di paesi a noi anche vicini, soffocati dalla burocrazia e da regole mostruose, non può essere un obiettivo condiviso in nome di una pseudo-protezione.

Grazie dell’invito e buon lavoro a tutti.

 

Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

In occasione dell‘assemblea FPCE, l’associazione della formazione professionale continua nel ramo elettrico, il Presidente Cc-Ti Glauco Martinetti ha tenuto il seguente discorso, scaricabile qui in formato PDF.

La Lugano Commodity Trading Association

La Lugano Commodity Trading Association (LCTA) è un’associazione senza scopo di lucro con sede a Lugano fondata nel 2010. L’Associazione raccoglie alcuni dei maggiori operatori che ruotano attorno alla sfera del Commodity Trading, delle spedizioni, delle assicurazioni e del finanziamento di questo settore. Naturalmente, le società membro sono persone giuridiche ubicate e registrate in Svizzera con un legame commerciale con il Ticino e con le regioni attigue.

I principali obiettivi dell’associazione sono innanzitutto il rafforzamento del settore del Commodity Trading nell’area italo-svizzera del centro-sud dell’Europa, attraverso l’organizzazione di eventi e missioni sia in Ticino sia all’estero di cui più volte abbiamo riferito su Ticino Business. Inoltre, la LCTA fornisce una formazione mirata per le aziende del settore e, quindi, per il proprio personale, nonché la possibilità di aprire e garantire la formazione anche a chi intende intraprendere una nuova carriera. In particolare segnaliamo che, in collaborazione l’Università di Lucerna e la Zug Commodity Trading Association, la LCTA propone un certificato in studi avanzati (Certificate of Advanced Studies CAS) per tutte le persone interessate ad entrare a far parte di questo interessante settore (cfr: www.lcta.ch/cas-commodity-professional/).

Tra gli obiettivi dell’associazione vi è inoltre lo sviluppo dei servizi attorno al settore del Commodity Trading e l’accrescimento delle conoscenze e del know-how attorno agli ambiti del trading, delle spedizioni, delle assicurazioni e del finanziamento di tali attività. Infine, con l’associazione mantello nazionale, la Swiss Trading and Shipping Association (STSA), la LCTA fa attività di lobbying in collaborazione con le autorità per migliorare le condizioni quadro della piazza ticinese a favore delle aziende operanti in questo settore.

Il settore del commodity trading: questo sconosciuto

Due minuti e dieci secondi (in italiano, tedesco, francese e inglese) per presentare il mestiere del commerciante di materie prime. Con un breve video la STSA (l’associazione nazionale delle aziende di commodity trading) desidera raggiungere un pubblico più giovane e suscitare interesse per un settore dell’economia elvetica estremamente dinamico. Il settore delle materie prime impiega attualmente più di 30’000 persone in Svizzera e rappresenta quasi il 4% dell’economia nazionale. Malgrado la sua importanza rimane però sconosciuto al grande pubblico.

I traders hanno un ruolo fondamentale nelle nostre vite quotidiane. Che si tratti del nostro caffè, del cacao consumato dai più giovani, dal cotone di cui sono fatti i nostri vestiti, o dell’energia che ci dà calore o elettricità, niente di tutto ciò sarebbe possibile senza il lavoro dei commercianti in materie prime.

Molto più che dei semplici esperti in logistica, i traders costituiscono un anello essenziale della catena d’approvvigionamento. Analisi dei mercati, gestione dei rischi, finanziamenti, investimenti nelle infrastrutture, stoccaggio, certificazioni: alcune delle tante attività che ingloba la professione del trader. Incuriositi? Vi invitiamo quindi a visitare la pagina Youtube della STSA o guardare direttamente il video al seguente link.

Dati di contatto: LCTA, c/o Cc-Ti, Corso Elvezia 16, Lugano, info@lcta.ch; www.lcta.ch 

Resoconto dell’evento “L’economia del futuro è digitale”

Negli anni Ottanta il parlamento nazionale discusse dell’introduzione di una tassa contro la diffusione dei computer. Oggi la digitalizzazione migliora molti prodotti e servizi, crea delle nuove attività malgrado le incertezze nel mondo del lavoro – e può persino salvare delle vite umane.  Di questo e di molto altro ancora se ne è parlato durante l’evento organizzato da Cc-Ti e Swisscom il 26.04.2017.

 

 

L’economia del futuro è digitale: questa convinzione è condivisa da imprenditori e lavoratori. E proprio con questo titolo la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino ha organizzato un evento presso la Scuola Arti e Mestieri (SAM) di Bellinzona, per mostrare quali sono gli sviluppi già avvenuti sul territorio ticinese a riguardo del tema. Secondo il Direttore della Cc-Ti Luca Albertoni si è voluto dare un segnale di incoraggiamento verso il cambiamento digitale.

A che punto siamo? Agli occhi del Direttore Albertoni il Ticino si posiziona nella media svizzera e vi è un approccio prevalentemente positivo. E non è certamente nell’interesse dell’economia mettere in un angolo i lavoratori più “deboli” e veder emergere un disagio sociale, ha ribadito Albertoni. Perciò sia le aziende sia i singoli collaboratori devono affrontare la seconda grande sfida connessa a quella digitale, ovvero quella della formazione.

Reagire sempre più in fretta

In occasione dell’evento della Cc-Ti alcune imprese hanno presentato le loro attività a riguardo del cambiamento digitale. Lo sviluppo diventa sempre più veloce quindi le aziende devono reagire sempre più rapidamente, ha constatato Carlo Secchi, Head of Sales Ticino & Engadina di Swisscom. Per raggiungere un milione di clienti nel settore della telefonia ci sono voluti 79 anni, Facebook invece ha acquisito lo stesso numero di clienti in due anni mentre Snapchat viene usato sin dalla sua fondazione nel 2011 da 158 milioni di persone. E davanti a noi si staglia l’era dell’intelligenza artificiale che inciderà molto su tutte le prestazioni di servizio. Cosa bisogna fare quindi? Secondo Carlo Secchi occorre ridisegnare i modelli di business, eliminando soprattutto le procedure inefficaci per abbassare i costi. Ma la vera sfida riguarda la definizione dei tool futuri, la loro realizzazione e correzione istantanea nel caso d’insuccesso.

Geolocalizzare il cliente

Il tema di prodotti semplicissimi, adatti all’uso istantaneo è di centrale interesse per Andrea Maffioretti, Center Manager della Aduno SA, azienda attiva nel settore dei payment services. Secondo Maffioretti l’uso onnipresente dello smartphone richiederà l’integrazione totale della carta di credito nel cellulare: ci sarà un app per pagare e controllare il pagamento. La tendenza, voluta soprattutto dai giovani, è quella disvolgere tutto tramite smartphone, una realtà che potrà essere applicata già fra dieci anni. Ma lo sviluppo non si ferma qui: il concetto del pagamento mobile potrebbe anche venir allargato ad un genere di portachiavi o d‘orologio da polso come lo portano gli amanti del jogging, per avere sempre a portata di mano il mezzo di pagamento.

La carta di credito sta sparendo e la comunicazione tra aziende e clienti sarà personalizzata il più possibile. È questo il punto di vista di Matteo Marini, Head of Run IT di Avaloq Sourcing che tra l’altro si occupa di gestire le fatture per imprese nel settore finanziario. Agli occhi di Marini il futuro della fatturazione è il seguente: si comunicherà tramite dei file talmente individualizzati che il singolo cliente verrà geolocalizzato. E persino le fatture verranno trasmesse sotto forma di video personalizzato e tutto ciò avrà un grande impatto sui giovani, ha sostenuto Marini.

Controllare le mucche

I Big Data sono la parole chiave per Nicola Moresi, CEO di moresi.com. La sua azienda si dedica alla protezione dei dati digitali e si prepara ad un’ulteriore crescita dei dati che è già oggi immensa. Secondo Moresi i dati sono il core-business di ogni impresa perché la loro raccolta, in una quantità sempre più inimmaginabile, può aiutare a combattere delle malattie, trovare delle soluzioni per il traffico stradale o controllare tramite un orecchino elettronico le mucche e i loro bisogni senza doverle vedere ogni volta dal vero.

Un app per il cuore

A proposito di benessere: la digitalizzazione può persino salvare vite umane, lo ha dimostrato Stefano Doninelli, CEO di DOS Group. Oltre allo sviluppo di applicazioni, ad esempio per il settore della sicurezza, la sua azienda s’impegna nella Fondazione Ticino Cuore. Vi sono persone private che dispongono di un’autorizzazione per il massaggio cardiaco nel caso in cui accada un arresto cardiaco o un incidente. Prima si interveniva solo con un sistema complesso che faceva perdere tempestività, essenziale in questo campo. Ma la DOS Group ha creato una soluzione efficace: grazie a un app mobile vengono trasmessi via messaggi push i dati necessari per poter trovare subito la persona in difficoltà. Questo rende possibile un massaggio cardiaco prima dell‘arrivo dell’ambulanza. Il successo si è rivelato notevole: nel 2014 è stato salvato il 36 per cento delle persone con un arresto cardiaco, mentre oggigiorno è stato raggiunto il 57 per cento. In tale modo il Ticino avanza nel ranking mondiale al secondo posto per vite salvate grazie al massaggio cardiaco precoce. La digitalizzazione ci sta letteralmente a cuore!

Dalla diligenza al data scientist

“I robot ci manderanno in pensione o ci renderanno disoccupati?” ha chiesto in modo arguto lo specialista delle risorse umane Guido De Carli, titolare della ditta ARU. Stando alle sue parole, tali timori erano già presenti quando la diligenza venne rimpiazzata dal treno tanti anni orsono. È quindi una vecchia preoccupazione dell’uomo che sempre più attività automatizzabili vengano svolte da, appunto, macchine o automi. Con il tempo spariranno non solo le attività di lavoro manuale o ripetitivo ma anche, per esempio, quelle di intermediazione o di rilevamento e analisi dei data. Aumenteranno invece le attività nell’ambito del computing, della sanità, dell’ingegneria o del management. Una nuova professione sarà quella del data scientist: non si tratta soltanto di un matematico, ma questa persona sarà simultaneamente anche economista e persino psicologo.

Per saperne di più dell’opinione di Guido De Carli leggete l’intervista che ha rilasciato per Ticino Business, il mensile della Cc-Ti.

Informatica e formazione

Oggigiorno ci vuole un adattamento continuo alle nuove situazioni e ciò richiede sempre nuove competenze. E proprio qui entra in gioco l’aspetto di una formazione che sia sempre aggiornata. In questo contesto la Cc-Ti ha aiutato a fondare nel gennaio 2017 l’associazione ICT Formazione professionale Svizzera italiana (ICT-SI), di cui Luca Albertoni è diventato presidente. L’associazione mira a promuovere la formazione duale di apprendisti informatici e ha anche lo scopo di aumentare il numero di posti di apprendistato disponibili in questo campo nella Svizzera italiana. Cliccando qui potrete conoscere meglio potrete avere maggiori dettagli.

Tanti sviluppi concreti e diversi per un tema che non smette di stupire. E il futuro digitale porterà con sé ancora tanti cambiamenti, talmente tanti che neanche gli addetti ai lavori possono veramente ancora predirne le sorti. Rimane quindi di fondamentale importanza la curiosità e la voglia di rimanere al passo con i tempi.

L’evento nei media
La rivoluzione è già iniziata, articolo dedicato all’evento sul Corriere del Ticino del 27.4.2017
Digital: un futuro migliore o ci manda in pensione?, articolo dedicato all’evento sul Giornale del Popolo del 27.4.2017
Digitalizzazione, la via economica è tracciata, articolo dedicato all’evento su La Regione del 27.4.2017
Il mondo del lavoro ticinese di fa sempre più flessibile, approfondimento con intervista al Direttore Cc-Ti Luca Albertoni, apparso sul Corriere del Ticino del 27.4.207
Luca Albertoni: “Il futuro dell’economia è digitale. E per non perdere posti di lavoro sarà fondamentale la formazione dei collaboratori”, apparsu su Libera TV
“Le aziende e il digitale”, Intervista a Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti, Il Quotidiano, da min. 23.07
Il tema ha stimolato il vostro interesse?
Al seguente link potete accedere al dossier tematico Cc-Ti dedicato alla digitalizzazione.
Nell’anno del nostro centenario abbiamo organizzato un ciclo di eventi dedicati a temi importanti per la Cc-Ti e per la nostra economia.
Potete rimanere aggiornati seguendo tutte le nostre attività a questo link.

La Cc-Ti compie cent’anni

La Cc-Ti compie 100 anni e per celebrare questo importante traguardo vuole portare l’attenzione su diversi temi importanti non solo per l’economia. Oggi scopriamo qualche elemento della sua storia e la funzione attuale. Già sono stati riassunti gli elementi principali che hanno portato alla creazione di una Camera di commercio e dell’industria cantonale.

Dopo i difficili anni della seconda guerra mondiale, parallelamente allo sviluppo economico del Ticino anche la Cc-Ti si è ampliata e trasformata, sia dal punto di vista numerico che nella sua funzione. Da organo prevalentemente composto da commercianti e industriali, sempre più è stata identificata come punto di riferimento per le questioni di politica economica generale, quindi complementare alle associazioni di categoria o di settore. Questo spiega l’adesione, che ricordiamo è volontaria trattandosi di un rapporto di natura puramente privato, di molti rami professionali e varie rappresentanze di tutti i settori economici, per giungere alle 44 associazioni oggi aderenti alla Cc-Ti. Senza dimenticare ovviamente i soci individuali, quantificabili in circa 1’000 aziende.

Questa tendenza si è consolidata soprattutto nell’ultimo decennio, dove è emersa ancora più chiaramente la ripartizione dei ruoli: la Cc-ti si occupa di questioni di ordine generale e solo sussidiariamente interviene a sostegno delle singole categorie, se queste ne fanno richiesta. Non è sempre facile capire dove stia il limite fra interessi settoriali e generali, ma questo è un compito anche appassionante, perché permette un confronto regolare su tutte le questioni che preoccupano i nostri molti associati, per definire al meglio quali siano gli interessi da difendere e quale sia la via migliore per farlo. Che il sistema funzioni lo testimonia il fatto che alla Cc-Ti aderiscono 44 associazioni in rappresentanza di tutti i settori dell’economia ticinese. Oltre naturalmente ai soci individuali, tutte aziende ben radicate sul territorio. Rappresentando circa 7’000 aziende e 120’000 posti di lavoro, è chiaro che la Cc-Ti non solo ha a cuore la tutela della libertà economica e imprenditoriale, ma dà il suo contributo costante affinché vi sia la necessaria attenzione verso il territorio da parte degli operatori economici associati.

Cercando di promuovere il partenariato sociale, proponendosi quale interlocutore affidabile delle autorità soprattutto cantonali e federali, affrontando anche i temi più delicati senza pregiudizi ideologici e restando aperta alla ricerca di soluzioni se possibile condivise. È anche per questo che aderire alla Cc-Ti non è automatico ma ogni richiesta viene attentamente valutata, affinché la struttura associativa serva alla tutela di chi effettivamente lo merita. E non è poco.

Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

Per saperne di più:
Il centenario della Cc-Ti:
tutte le attività previste per celebrare il traguardo della nostra associazione

Il protezionismo è una minaccia per la nostra economia

Questo primo scorcio del nuovo Secolo sarà ricordato dagli storici dell’economia come il ventennio del grande paradosso. In un mondo sempre più interconnesso grazie alle grandi reti infrastrutturali che facilitano la produzione di merci e la circolazione di persone, capitali, idee, innovazioni, dati, materie prime e informazioni, i Governi di molti Paesi tendono, invece, a chiudere e proteggere la loro economia, limitando il libero scambio. Solo negli Stati del G20, secondo i dati del Global Trade Allert, dal 2008 al 2016, sono state introdotte oltre 3’500 misure che limitano gli scambi commerciali, che stanno, perciò, registrando una brusca frenata. Dopo 5 anni di crescita, nel 2015 le esportazioni globali sono diminuite del 13,6%.

Ormai è di moda inveire contro la globalizzazione e il libero mercato, ma si dimentica che nell’ultimo mezzo secolo lo sviluppo del commercio internazionale ha strappato centinaia di milioni di persone dalla miseria più nera. Nella sola Cina ben 700 milioni di abitanti si sono lasciati alle spalle la povertà. Ex poveri che cominciano a consumare merci prodotte anche nei Paesi ricchi. Nel 1998 in tutto il pianeta si contavano 2 miliardi di persone sotto la soglia d’indigenza, oggi sono 767 milioni (dati Banca mondiale). Certo, la globalizzazione ha provocato nei singoli Paesi squilibri sociali che richiedono correttivi e aggiustamenti, ma sono sotto gli occhi di tutti gli immensi progressi fatti nelle condizioni di vita e di salute, nell’accessibilità a beni e consumi prima impossibili e nelle libertà di scelta di ognuno di noi.

Nell’epoca del grande paradosso capita persino di vedere il leader di un Paese comunista, il cinese Xi Jinping, che dalla tribuna del WEF difende la globalizzazione e il libero commercio, mentre Donald Trump, neo Presidente USA, la più grande democrazia liberale del mondo, si profila come l’alfiere del neo protezionismo. Il suo “America First” è un concentrato di nazionalismo che molti politici europei hanno eletto a loro modello. E qui il gioco si fa pericoloso. Anche per la Svizzera, la cui forza economica è trainata dalle esportazioni favorite dalla libertà di commercio. Se nei suoi furori protezionistici Trump dovesse davvero applicare quella tassa del 20% sulle importazioni, già ipotizzata per la Germania, anche per il nostro Paese sarebbero guai seri, poiché la catena di creazione del valore delle imprese svizzere si basa essenzialmente sugli scambi internazionali. Oggi la Svizzera esporta negli USA beni per 17 miliardi di franchi in più di quanto importa, sostenuta anche dagli interventi della BNS per mantenere un cambio vantaggioso. Interventi che potrebbero far storcere il naso a Trump, il quale ha, peraltro, già criticato il prezzo dei farmaci importati dalla Svizzera.

Ma il problema immediato per l’economia elvetica non è Trump, bensì l’ondata protezionista che sta montando in tutta e Europa, Svizzera compresa. Restrizioni al commercio e agli scambi, con dazi doganali e altre limitazioni, non significano solo grosse perdite per la nostra industria d’esportazione e per i consumatori che vedranno aumentare i prezzi di molti beni, ma indeboliscono tutto il tessuto produttivo. Perché è con il mercato aperto alla competizione internazionale che tutte le imprese imparano a restare competitive, invece di vivacchiare grazie a barriere protezionistiche e aiuti statali. È dall’apertura dei mercati, e non dalla loro chiusura, che nasce la spinta ad innovare processi e prodotti per conquistare altri spazi di business, a creare nuove imprese. Se il protezionismo può sembrare un vantaggio a breve termine, alla lunga si rivela un veleno per tutta la società. Come hanno dimostrato le disastrose esperienze del 1914 e degli anni Trenta.

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