di Gianni Righinetti, apparsa sul CdT
“L’auspicio per il 2017 è che ci si possa confrontare maggiormente nel merito dei temi, evitando sterili polemiche personali o preconcetti. “
«Ci sono aziende che praticano la precarietà come forma di business, il cui comportamento denunciamo senza riserve». Questo è il j’accuse del segretario cantonale dell’OCST Renato Ricciardi. Ha ragione?
La precarietà non è un obiettivo delle aziende “normali”. La denuncia è quindi di principio legittima, ma prediligo andare oltre le dichiarazioni generali e ragionare su casi concreti, anche perché la precarietà non è un’esclusiva del settore privato.
La flessibilità nel mondo del lavoro d’oggi è una condizione che deve essere accettata senza battere ciglio?
Flessibilità non significa non rispettare le regole esistenti. Poi che talune regole debbano essere adattate all’evoluzione della situazione reale non è certo scandaloso.
Ma è possibile stabilire delle regole o essere flessibili presuppone la totale assenza di una disciplina?
Flessibilità non significa anarchia, per cui è normale che si stabiliscano delle regole. La sfida è che queste siano equilibrate per tutti e che nuovi modelli di lavoro non vengano stigmatizzati a priori come negativi perché diversi da quelli a cui siamo abituati.
L’OCST è conosciuto per essere un sindacato piuttosto accomodante. Oppure di sindacalisti che usano il fioretto non ve ne sono più perché tutti sfoderano la sciabola?
Essere ragionevole non significa per forza essere accomodante. Nel contesto odierno effettivamente l’uso sempre più diffuso della sciabola fa rimpiangere chi tirava di fioretto, anche se non è detto che l’arma più pesante sia quella che provoca sempre i danni maggiori. Sono comunque abituato a fronteggiare indistintamente l’uno o l’altra per difendere i valori in cui credo.
Com’è il vostro rapporto in Ticino con il fronte sindacale?
Sono soprattutto le associazioni di categoria a essere al fronte e noi ci confrontiamo con il mondo sindacale prevalentemente su temi di carattere economico generale, per cui la visione è forzatamente diversa. Ci si confronta e ci si scontra, come è normale che sia, ma sono per fortuna rari i casi in cui manca il rispetto per la persona. Quindi posso dire che, salvo qualche eccezione, i rapporti sono buoni.
Ogni tanto si ha l’impressione che le forze sindacali non si rendano conto che “i padroni” (come li chiamano taluni) creano un lavoro che, senza loro, non ci sarebbe. È davvero così?
Non si può generalizzare, ma è innegabile che alcuni, probabilmente in virtù di una cultura sindacale di stampo poco elvetico, abbiano questo genere di atteggiamento. L’auspicio è che questa mentalità non si diffonda ulteriormente, anche se ammetto che qualche timore ce l’ho.
Spesso si ha però l’impressione che le vostre organizzazioni padronali agiscano unicamente a difesa della casta, senza la capacità di fare autocritica o puntare l’indice verso chi meriterebbe di essere ripreso duramente. Siete troppo buoni?
Per quanto mi riguarda ho sempre chiaramente detto che è giusto che chi sbaglia venga sanzionato e non mi sono mai opposto a misure fondate e basate su fatti accertati. Anche quando presiedevo la Commissione tripartita in materia di libera circolazione delle persone non mi sono mai tirato indietro nella lotta agli abusi, cosa non scontata quando si dirige l’associazione-mantello dell’economia cantonale. Non mi piacciono invece le sparate fatte per attirare l’attenzione e basate su ipotesi che poi spesso si rivelano sbagliate. Perché rovinare la reputazione di un’azienda sulla base di semplici illazioni è irresponsabile e contro questo sono pronto a lottare senza esclusione di colpi.
Faccia una critica senza mezzi termini a un ramo economico che è affiliato a voi?
Mutuando una metafora sportiva, la sacralità dello spogliatoio non va violata ed eventuali critiche vanno formulate nelle sedi opportune, cioè nei nostri gremi interni. Ogni settore ha forze e debolezze, il mio compito non è di criticare ma di cercare soluzioni.
Ai sindacati interessano la quote che versano i lavoratori, ma anche voi vivete di quanto vi danno gli associati. Insomma: alla fine sembrate diversi, ma siete uguali.
Almeno non pesiamo sullo Stato! E’ vero che abbiamo funzioni simili su fronti diversi, per cui è inevitabile che vi siano talune analogie. Per quanto ci riguarda, tengo a sottolineare che da anni rifiutiamo l’adesione di aziende che riteniamo non rispettose delle regole vigenti, rinunciando quindi anche a cospicue entrate. E’ una maniera responsabile di dimostrare attenzione verso il territorio e per non difendere casi indifendibili. E‘ una linea consolidata, essenziale per mantenere la credibilità.
I cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro sono stati importanti e rapidi, quasi che al posto di uomini e donne si volessero già robot da usare alla bisogna?
E’ un’esagerazione. I cambiamenti generano sempre insicurezza ma non tutti sono di segno negativo, anzi. Per le imprese serie (e sono la stragrande maggioranza) il capitale umano è fondamentale, per cui l’accusa di volere manichini senz’anima da pilotare a piacimento è infondata.
Lei crede nella sostituzione della mano e il cervello di uomini e donne a vantaggio di un’entità meccanica e informatizzata?
Abbiamo vissuto già molte fasi in cui il progresso tecnologico ha fatto sparire determinate professioni, creandone però altre e ritengo che sarà sempre così. La sfida è di gestire i periodi di transizione e di adattamento che per certe persone sono difficili. L’economia non ha interesse a creare tensioni sociali o a “perdere per strada” le persone.
Il lavoro su chiamata è una piaga sociale o una semplice e concreta necessità?
E’ avantutto una necessità e come tale non va demonizzata. Poi vale quanto detto in precedenza, cioè che c’è un quadro legale che va rispettato, senza eccezioni.
Ma flessibilità e lavoro su chiamata sono i principali nemici delle famiglie e della vita sociale?
La realtà sociale è troppo complessa oggi per ridurla a un fattore dipendente dalla flessibilità e dal lavoro su chiamata. Del resto, un numero sempre crescente di lavoratrici e lavoratori chiede flessibilità per cui essa va distinta dagli abusi, che sono altra cosa. Di questo occorre tenere conto, se si vogliono evitare battaglie di retroguardia.
“Chi viene spremuto come un limone sul lavoro, magari per pochi franchi, è costretto a una vita da single”. Mi è stato detto con malinconia brindando il 31 dicembre in vista dell’anno nuovo. È una realtà o una esagerazione?
La generale accresciuta competitività in molti ambiti lavorativi è certamente una fonte di pressione, ma non si possono addossare tutte le responsabilità dei disagi sociali al lavoro. Vi sono molti fattori, a partire dall’auto-responsabilità, che influiscono sui nostri destini personali, per cui starei attento ad amalgamare situazioni difficili e quello che invece è vero e proprio sfruttamento.
Come sta la Camera di commercio e dell’industria che, quest’anno, compirà 100 anni?
E’ un’associazione molto dinamica, confrontata con grandi cambiamenti economici, politici e sociali, come tutte le altre Camere svizzere. Lo scopo principale della nostra attività resta la valorizzazione e la difesa della libertà economica e imprenditoriale e su questo costruiamo la nostra attività, improntata al rispetto e alla serietà. Valori forse oggi poco considerati, ma essenziali per affrontare in modo costruttivo ed efficace le molte sfide.
Qual è il suo auspicio per il 2017?
Che ci si possa confrontare maggiormente nel merito dei temi, evitando sterili polemiche personali o preconcetti. Ma forse è chiedere troppo.
Il vento del “primanostrismo” che soffia sul Ticino, quanto preoccupa (e perché) l’economia cantonale?
Chiedere maggiore attenzione per il nostro territorio è legittimo e condivisibile. Preoccupa invece molto il pressapochismo che illude che vi siano sempre soluzioni facili, fregandosene del principio della legalità, ormai considerato poco più che un fastidioso ammennicolo. Questo è pericoloso e poco svizzero.
La Cc-Ti: un’associazione completamente privata
/in Comunicazione e mediaL’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
La Cc-Ti compie 100 anni e per celebrare questo importante traguardo vuole portare l’attenzione su diversi temi importanti non solo per l’economia. Oggi scopriamo qualche elemento dei primi anni della sua storia.
Le basi per l’odierna Camera di commercio e dell’industria ticinese sono state poste di domenica, più precisamente il 21 gennaio 1917, con la creazione della Camera di commercio dell’Associazione commerciale industriale del cantone Ticino.
Forse la scelta atipica della domenica è simbolica per le caratteristiche particolari della nostra associazione, oppure la quiete del giorno festivo ha favorito un’intesa raggiunta solo dopo vari tentativi, contraddistinti, nella migliore tradizione ticinese, da vari personalismi. O, più prosaicamente, il fatto di non essere chiamati al lavoro ha concesso il tempo necessario ai fondatori.
Poco importa. E’ comunque un fatto che, per raggiungere l’intesa fra Associazione commerciale industriale del cantone Ticino, Sezione ticinese delle sezioni dei commercianti e l’Associazione industriale ticinese per creare una Camera di commercio cantonale, sono stati necessari vari tentativi. Scontro anche di tipo ideologico, visto che l’Associazione commerciale industriale del cantone Ticino spingeva per una forma completamente privata, mentre le altre due associazioni consideravano anche il coinvolgimento pubblico negli organi associativi.
La prima variante ha prevalso, secondo il modello anglo-sassone, che ancora oggi contraddistingue la nostra attività, cioè un’associazione di diritto privato completamente staccata dallo Stato e senza alcun contributo pubblico, a migliore tutela del mondo imprenditoriale.
La sede scelta dai 62 membri presenti all’atto di costituzione fu Lugano. Generalmente si pensa che la scelta della città sul Ceresio fosse dettata dalla volontà di fare da contraltare al potere politico concentrato a Bellinzona (un po’ come Zurigo e Berna, tanto per intenderci). In realtà essa fu probabilmente il frutto di una disposizione statutaria, secondo la quale la sede andava fissata nel luogo con il maggior numero di aderenti e i migliori requisiti (dal punto di vista della rilevanza economica) per averla.
Nel 1918 fu assunto un segretario a tempo pieno, in un contesto economico difficile all’ombra della prima Guerra Mondiale.
Interessante è rilevare come molti temi fossero simili a quelli trattati oggi. Vale la pena segnalarne alcuni.
Nel 1918 ci si occupava di riduzioni di tariffe sulla linea del Gottardo e dei rapporti con i partner esteri (allora i consolati storici presenti a Lugano). Nel 1919 la Camera segnala alle autorità competenti il fenomeno della spesa oltre confine e dei danni all’economia nazionale e al fisco!
E nel 1933 si chiede al Consiglio di Stato una riduzione temporanea della tassa sulle patenti, per dare fiato all’industria alberghiera in crisi galoppante.
Temi che oggi sembrano di difficoltà insormontabile erano già d’attualità molti decenni fa (nello specifico 84 anni…) e lo sono di fatto quasi sempre stati.
Quale insegnamento trarne? È fondamentale occuparsi di tali questioni con serietà, ma con la consapevolezza che forse esse sono fisiologiche per una zona di frontiera e legate anche alle peculiarità del sistema elvetico. Vale la pena ricordare che proprio le caratteristiche del territorio ticinese e svizzero, al di là delle difficoltà contingenti, hanno permesso alla nostra nazione e al nostro cantone di prosperare. Non vi sono motivi perché questo non possa ripetersi ai giorni nostri.
Carrosserie Suisse sezione Ticino
/in AssociazioneLa storia di Carrosserie Suisse inizia nel lontano 1957 con la fondazione della prima associazione di carrozzieri nominata: “Gruppo carrozzieri ticinesi” che contava 5 membri. Da quel momento l’associazione è cresciuta e cambiata molto, arrivando a contare una cinquantina di associati. Oggi l’associazione ticinese è affiliata a Carrosserie Suisse che raggruppa tutte le sezioni svizzere creando così un’associazione più forte ed influente su tutto il territorio. A livello nazionale sono più di 850 le carrozzerie associate che impiegano 4’500 professionisti e formano circa 1’100 apprendisti.
Il quartier generale di Carrosserie Suisse Sezione Ticino si trova a Giubiasco, presso lo stabile ESA ed è stato inaugurato nel 2001. Esso ospita i corsi interaziendali degli apprendisti carrozzieri, giornate di reclutamento apprendisti, svariati corsi di formazione continua, nonché la sede del segretariato dell’associazione.
Oggi come allora, lo scopo primario dell’associazione è quello di promuovere gli interessi professionali dei suoi soci e quelli generali del ramo della carrozzeria, ma, in un periodo più recente, il reclutamento di apprendisti e la formazione, hanno assunto una posizione principale nei compiti associativi.
Il ramo della carrozzeria offre vari profili professionali tra cui: carrozzieri verniciatori, lattonieri e fabbri di veicoli. Da settembre 2022 verrà introdotto un nuovo percorso formativo della durata di 3 anni che prenderà il nome di riparatore/trice e che mira ad offrire un profilo con competenze meno specifiche, ma che abbracciano entrambi i settori principali ossia la lattoneria e la verniciatura. Un carrozziere riparatore verrà formato in soli 3 anni (rispetto agli altri profili di 4 anni) ed avrà la possibilità di proseguire la formazione ottenendo un ulteriore diploma di verniciatore o lattoniere in un tempo più breve.
Il costante mutamento del settore automobilistico impone agli attori un continuo aggiornamento sulle tecniche di lavorazione e sulle nuove tecnologie. Ecco perché la formazione di base e continua devono essere aggiornate per rimanere all’avanguardia e rispondere ottimamente alle esigenze della clientela. L’associazione vigila affinché i percorsi formativi siano sempre adeguati ed aggiornati.
L’associazione ha sempre trovato vie di mediazione con tutti i coinvolti come ad esempio con i partner sociali. Il settore della carrozzeria vanta, infatti, un contratto collettivo decretato di forza obbligatoria dal 2006 e nel corso del mese di luglio 2022 verrà rinnovato attualizzando le condizioni. L’ultimo aggiornamento risaliva invece al 2018.
Nell’ambito della carrozzeria, come nelle officine meccaniche e in tutto il mondo dei veicoli occorre dinamicità: essere ancorati al passato traendone insegnamento, ma guardare sempre al futuro e cogliere ogni cambiamento come una sfida. Le carrozzerie ticinesi affiliate al nostro marchio si adoperano per offrire sempre il meglio e consigliare i clienti con professionalità e cortesia, non solo in caso di incidente o semplice intervento estetico.
Dati di contatto: Carrosserie Suisse Sezione Ticino, Via Baragge 15, 6512 Giubiasco, T +41 91 857 58 46, segretariato@carrosseriesuisse-ti.ch, www.carrosseriesuisse-ti.ch
Il fiume della digitalizzazione scorre vigoroso e libero in Svizzera
/in Digitalizzazione, TematicheIl tema della digitalizzazione e come esso cambierà il nostro futuro prossimo, è oramai divenuto moneta corrente nelle discussioni e molte sono le ipotesi su come questa rivoluzione avrà un impatto sul nostro modo di vivere e fare impresa. Non solo l’economia privata si è attivata per trarre i maggiori vantaggi da questo cambio di paradigma, ma che anche il Governo federale ha studiato il fenomeno ed ha rilasciato, lo scorso 11 gennaio 2017, un rapporto sulle condizioni quadro affinché l’economia digitale possa prosperare nel nostro Paese (rapporto che potete trovare al seguente link). Il Consiglio Federale ha preso posizione, esordendo che al momento non sono necessarie nuove leggi per regolamentare il settore e che si deve continuare sulla via della ottimizzazione delle condizioni quadro. Ha proposto inoltre qualche adeguamento puntuale, ad esempio precisando alcuni aspetti del diritto di locazione per quanto riguarda i portali specializzati in pernottamenti e fare un esame della legislazione in materia di digitalizzazione per capire se sussistano degli ostacoli normativi ad essa. La via tracciata dal Governo è ragionevole, ci piace però guardare ancora più in là del recente passato e ci azzardiamo a fare un’ipotesi su quali potrebbero essere, in un futuro prossimo, gli aspetti importanti da considerare in questo campo.
Crediamo che il tema dell’intelligenza artificiale e come trattare questa nuova forma di persona sarà molto di attualità. Se di persona si tratta! I robot, in soldoni, dovranno pagare le imposte oppure no?
Prima di tutto dovremo definire quando un computer o una macchina diventi un robot e quindi una “persona”. Abbiamo deciso di riportare due tesi sul tema, la prima è quella di Xavier Oberson, Avvocato e Professore all’Università di Ginevra mentre la seconda è di Marco Salvi, Senior Fellow presso Avenir Suisse.
Secondo Xavier Oberson, dal momento che un robot potrà rimpiazzare un lavoratore, allora non si tratterà più di una semplice (per modo di dire) macchina, ma di un robot appunto. E da questa definizione scaturiscono poi interessatissime riflessioni sul costrutto di personalità giuridica e addirittura di una persona giuridica “virtuale”. Insomma, potrà darsi che in un futuro, magari non vicinissimo, molti posti di lavoro potranno essere rimpiazzati dai robot, con perdite ingenti per quanto riguarda (tra le altre cose) le assicurazioni sociali, riflette l’Avvocato e Professore. A questo punto quando arriverà il caso emblematico agli occhi dell’opinione pubblica in cui un’azienda rinuncerà a molti posti di lavoro in favore della nuova forza lavoro, non ci si potrà più esimere dal dibattito. E a quel punto si dovrà anche discutere della possibilità o meno di tassare dei robot. Quelli elencati sono solo alcuni spunti sul tema, per chi fosse interessato ad approfondirlo segnaliamo un’interessante intervista sul portale online di Le Temps. Ma questa è solo una faccia della medaglia, ci sono anche una vasta gamma di argomenti di ordine teorico e pratico per non prendere in considerazione questa proposta, e schierarsi contro una possibile tassazione dei robot. A questo proposito si veda il contributo di Avenir Suisse a pagina 11.
Come Cc-Ti una cosa ci preme sottolineare: è importante anticipare i tempi e lanciare il dibattito sul tema adesso, la nostra opinione è che le soluzioni in questo nuovo ambito vanno cercate altrove rispetto alla tesi del Professor Oberson, favorendo un approccio al tema più globale anche sulla fiscalità.
Abbiamo parlato poc’anzi dello scenario di sostituzione dei lavoratori e ci preme approfondire la questione. Non crediamo che questo sviluppo delle macchine sia da guardare con sospetto, come anche sottolineato nell’editoriale del Direttore (p. 4-5) e nell’articolo di economieusuisse a pagina 10: siamo consapevoli e non neghiamo che alcuni lavori spariranno e che probabilmente, alla fine, il saldo totale giocherà leggermente in sfavore dell’uomo. Ma siamo convinti che guadagneremo anche tanto da questa sostituzione, prima di tutto molti lavori alienanti, ripetitivi e/o pesanti potranno sparire in favore di lavori più di concetto, creativi ed interessanti. Potremo anche guadagnare una standardizzazione delle prestazioni, che potrebbero essere molto utili ad assicurare sempre almeno un certo livello di risultato, cosa non da poco se si pensa ad esempio al vasto, complesso e delicatissimo ambito medico. Chiaramente per questa transizione sarà fondamentale il ruolo della formazione, servirà un sempre più costante scambio con il modo del lavoro per fare in modo che, dalla formazione duale sino alla formazione accademica, ci sia un vero legame con quanto accade nel mondo reale. Inoltre la formazione stessa dovrà puntare su un sapere diverso, focalizzandosi esplicitamente su nuove competenze, come ben delineato alla fine dell’articolo di Alessio del Grande proposto a pagina 8-9.
Nel sopracitato rapporto del Consiglio Federale viene anche esplicitamente commissionata un’analisi approfondita delle sfide che dovrà affrontare il settore formativo (dalla formazione professionale sino alle scuole universitarie svizzere), alfine di stabilire se i modelli formativi attuali e soprattutto futuri saranno in grado di preparare adeguatamente le nuove leve. Un altro punto che il Consiglio Federale intende analizzare, e che riteniamo centrale per padroneggiare al meglio la sfida digitale, è la coordinazione e la collaborazione tra istituti scolastici e mondo del lavoro. Diventerà sempre più critico per il successo il sapere scambiarsi efficacemente le informazioni e creare sinergie che hanno un senso. In quest’ottica la sfida della digitalizzazione mette una pressione ancora maggiore alla complessità del gestire e coordinare le attività, ma sarà sempre più un fattore centrale per il buon esito dei progetti.
E non solo collaborazione tra strutture, ma anche tra infrastrutture. Esse devono e dovranno rimanere moderne e performanti, con un legame tra di loro e possibilmente anche con uno sbocco all’estero che ci ricorda, se mai ce ne fosse bisogno, quanto sia importante (se non vitale) in taluni ambiti, l’importanza della collaborazione transnazionale. Questo vale per i mezzi di trasposto e le vie di transito, esempio che subito viene alla mente, ma vale anche per l’approvvigionamento dell’energia, per le nuove regole e standard internazionali in ambiti sovranazionali come il clima e Internet.
Come Camera di commercio, industria, artigianato e servizi del Cantone Ticino ribadiamo che la nostra posizione sul tema della digitalizzazione rimane quella del no a nuove regole, adesso, in questo campo: si rischierebbe fortemente di condizionare un processo in divenire che non si sa ancora veramente come mostrerà i suoi punti di forza.
D’altro canto siamo pragmatici e possiamo dire di sì a nuove regole, solo se serviranno ad uniformare le regole nel settore online e il settore tradizionale. Non ci piace la concorrenza “sleale”, e cerchiamo, da sempre, di far giocare tutti i giocatori secondo regole uguali e precise: che vinca poi il migliore. Inoltre, nel caso di nuove regole per il modo digitale sarà imperativo abrogare alcune delle vecchie non più necessarie. Insomma, tante sfide per un tema vastissimo e che sta mostrando solo adesso alcune delle sue peculiarità.
Fit for BEPS with Value Chain Analysis
/in Appuntamenti, Eventi e missioni, Eventi tematiciA ormai quattro anni di distanza, da quando l’OCSE ed i Paesi del G20 hanno approvato le 15 misure che avrebbero trasformato le regole del diritto tributario internazionale, sono molteplici le società interessate da significativi cambiamenti: un’analisi globale dell’organizzazione societaria funge da ottimo supporto per assicurare competitività ed efficienza alla luce dei nuovi standard internazionali.
In occasione del recente Business Breakfast dello scorso 3 aprile 2017 organizzato dalla Camera di Commercio del Canton Ticino in collaborazione con KPMG presso il Grand Hotel Villa Castagnola di Lugano, gli esperti di KPMG in Value Chain Management (Hans Mies) e in International Corporate Tax (Simone Leonardi), hanno avuto modo di far luce sui rischi e sulle opportunità celati dietro al progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) e alla Value Chain Analysis (VCA). Questo progetto avrà un impatto su tutte le aziende con attività internazionale e non solo sulle multinazionali propriamente dette.
Il piano d’azione BEPS si fonda su tre principi cardine: si vuole fare in modo che gli utili siano tassati nel luogo in cui viene effettivamente esercitata l’attività economica, che sia impedita una pianificazione fiscale aggressiva e che siano evitati fenomeni di doppia non imposizione nei rapporti internazionali. Il progetto BEPS, per quanto concerne la Svizzera, metterà la parola fine ai regimi fiscali ritenuti potenzialmente dannosi alla concorrenza, con particolare riferimento agli statuti fiscali speciali previsti dal diritto cantonale (società di domicilio, società miste, società holding). Tuttavia, la Riforma III delle imprese (RIII), che teneva conto di questi importanti sviluppi, è stata rifiutata dal Popolo svizzero lo scorso 12 febbraio 2017. I lavori per un nuovo progetto relativo all’imposizione delle imprese denominato “Progetto fiscale 17 (PF17)”, atto a rendere conforme le normative interne svizzere agli sviluppi internazionali entro il 2019, sono attualmente in corso. Anche questo nuovo progetto dovrà tenere debitamente conto delle esigenze derivanti dal piano d’azione BEPS.
Questo progetto, che fondamentalmente vuole evitare una traslazione dei profitti (profit shifting) da Paesi ad alta imposizione a Paesi a tassazione nulla o ridotta, con conseguente erosione della base imponibile (base erosion), non riguarda solamente società multinazionali in senso stretto, ma può bensì interessare tutte le società con attività a livello internazionale. Si pensi ad esempio alle modifiche relative alle condizioni per riconoscere una stabile organizzazione all’estero, regolate dall’Action Plan 7 del BEPS. Questo punto mira a irrigidire la definizione di attività accessorie e ausiliarie all’art. 5 del modello di convenzione dell’OCSE, evitando che tramite semplici accorgimenti amministrativi e giuridici un’azienda riesca ad evitare la costituzione di una stabile organizzazione estera.
Inoltre, non sono da sottovalutare le nuove regole sul Transfer Pricing previste dagli Action Plan 8-10. In effetti, da parte di talune società attive in ambito internazionale, esiste la tendenza a far emergere i profitti dove è possibile godere di maggiori vantaggi dal punto di vista fiscale e non dove ha luogo l’effettiva attività di impresa. Le linee guida sul Transfer Pricing sono pertanto oggetto di aggiornamento tramite emendamenti volti ad integrare le disposizioni esistenti.
Come menzionato, all’origine del progetto BEPS vi è un disallineamento fra le strutture organizzative e la relativa allocazione degli utili generati con l’effettivo valore aggiunto creato. A questo proposito, l’analisi della catena del valore (“Value Chain Analysis VCA”) permette di avere un approccio onnicomprensivo sull’intera struttura organizzativa societaria, non limitandosi alla mera analisi fiscale. La VCA funge da ottimo strumento per allineare Funzioni (Value Drivers), Assets e Rischi da un profilo geografico e operazionale nonché di prospettiva fiscale, esplicando effetti positivi in termini di sostenibilità ed efficienza societaria. In questo contesto sono in sensibile aumento le società che hanno fatto uso e riconoscono i benefici della VCA quale strumento di supporto alle proprie strategie operative.
Swissness: come districarsi con le nuove regolamentazioni
/in Internazionale, TematicheAnche in questa edizione di Ticino Business desideriamo continuare a proporvi alcune delle principali novità inerenti la nuova regolamentazione Swissness, entrata in vigore il 1° gennaio 2017. L’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI) ha redatto un documento utile, intitolato “Domande frequenti”, di cui vi presentiamo un breve estratto.
Un prodotto di origine svizzera ai sensi del diritto doganale soddisfa automaticamente i criteri dello “Swiss made”?
No. La provenienza di un prodotto in virtù del diritto che regola le indicazioni di provenienza (p.es. se su un prodotto figura la designazione “Swiss made”) non va confusa con l’origine di un prodotto in virtù del diritto doganale (p.es. menzione della Svizzera sul certificato d’origine di un prodotto). Le due indicazioni svolgono funzioni diverse (la prima indica la provenienza mentre la seconda serve per il calcolo della tariffa doganale). Le condizioni che un prodotto “svizzero” deve soddisfare sono diverse sotto il profilo del diritto delle indicazioni di provenienza e del diritto doganale. Improntare il diritto delle indicazioni di provenienza su quello doganale produrrebbe risultati assurdi: in virtù del diritto doganale, ad esempio, un pesce di mare pescato da un battello battente bandiera svizzera è considerato “integralmente fabbricato in Svizzera”. Se i criteri per determinare la provenienza “Svizzera” fossero improntati alle regole sull’origine doganale, un pesce pescato nell’Oceano indiano da un peschereccio panamense battente bandiera svizzera potrebbe fregiarsi della croce svizzera ed essere venduto con la designazione “Swiss Delice” o “Swiss Sea Food”!
È consentito utilizzare la croce svizzera?
Sì. La nuova legge prevede che la croce svizzera possa essere utilizzata anche per i prodotti svizzeri oltre che per i servizi come finora. In futuro sarà quindi possibile contrassegnare anche prodotti e imballaggi con questa indicazione di provenienza dal valore di marketing inestimabile. Se la croce svizzera è utilizzata su un prodotto o in relazione con un servizio, è fondamentalmente percepita come un rinvio geografico. Occorre tuttavia che i prodotti soddisfino i requisiti Swissness. Se i consumatori non percepiscono la croce svizzera come rinvio alla provenienza geografica del prodotto, può essere il caso di una t-shirt rossa raffigurante una croce bianca, una palla da gioco o un ombrello con una croce bianca, l’uso è decorativo e non è necessario che siano soddisfatti i criteri Swissness.
Che la croce svizzera sia un’indicazione di provenienza o meno, va valutato per ogni singolo caso in funzione del pubblico interessato. È centrale appurare se la croce svizzera evochi determinate attese in relazione con la provenienza geografica dei prodotti e servizi contrassegnati.
L’uso della croce svizzera come elemento di uno stemma è riservato alla Confederazione. Questa regola conosce qualche eccezione
È ammesso l’utilizzo di una riproduzione parziale dello stemma della Confederazione?
No. L’utilizzo di riproduzioni identiche o parziali degli stemmi e dei segni con essi confondibili è ormai riservato alla collettività. Non basta dunque cambiare le proporzioni dello stemma protetto o utilizzare uno scudo di forma diversa per escludere un rischio di confusione con il segno protetto. Lo stesso vale se viene utilizzato un colore che non si scosta sufficientemente dal colore del segno protetto. Una croce bianca verticale in campo arancione è dunque considerata un segno confondibile con lo stemma svizzero: il colore scelto non si scosta infatti sufficientemente dal rosso dello stemma protetto. La situazione cambia se il segno raffigura una croce bianca verticale in campo blu. Questo colore si scosta infatti sufficientemente dal rosso dello stemma svizzero da escludere qualsivoglia rischio di confusione e il segno può essere utilizzato liberamente.
Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana
Marco Passalia, responsabile Servizio Export Cc-Ti
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ZOOM: Giornata dell’export 2017
/in Appuntamenti, Eventi e missioni, Eventi tematiciCome evolveranno i rapporti tra la Svizzera e l’Unione Europea dopo la legge d’applicazione del 9 febbraio? L’Europa ha ancora un futuro? A queste e altre domande ha provato a rispondere l’ambasciatore UE in Svizzera Michael Matthiessen, ospite d’onore al Principe Leopoldo di Lugano in occasione della Giornata dell’export della Camera di Commercio del Canton Ticino.
A seguire una tavola rotonda moderata dal direttore della Cc-Ti Luca Albertoni che ha portato i punti di vista di paesi come la Gran Bretagna o la Turchia.
ZOOM: Giornata dell’export
Intervista a Guido De Carli sul tema della digitalizzazione
/in Digitalizzazione, TematicheLa digitalizzazione sta accelerando il passo. Certe professioni spariranno, delle nuove si creeranno. E le future forme di lavoro diventeranno molto flessibili, riferisce nell’intervista lo specialista delle risorse umane Guido De Carli (sotto nella foto), titolare della ditta ARU SA (Architettura Risorse Umane) a Lugano.
Signor De Carli, in quale misura il settore delle risorse umane è „digitalizzato“ o può diventarlo?
Praticamente tutti i settori lavorativi vengono digitalizzati, e il nostro non fa eccezione. Stiamo introducendo, per esempio, una piattaforma virtuale per i nostri clienti e una per il cosiddetto clouding: in tale modo saremo pronti all’immensa quantità di dati utili per la valutazione del mercato di lavoro provenienti da tutto il mondo.
A causa della digitalizzazione di certo diverse attività umane verranno sostituite da apparecchi o computer.
La necessità e la voglia di evolvere sono nel DNA dell’uomo. Da sempre cerca di facilitarsi la vita tramite dei macchinari che riescano ad aumentare la sua performance o che si occupino di attività ripetitive e noiose. Questa tendenza si rafforzerà ancor di più. Emergono nuovi bisogni e i lavori che sono eseguibili solo tramite delle macchine o dei robot diventeranno ancora più performanti grazie all’intelligenza artificiale.
Quali professioni concretamente spariranno prima o poi?
Invece di professioni parliamo piuttosto della natura che sta alla base dell‘attività. Lavoratori che svolgono delle attività manuali, ripetitive e di scarso valore aggiunto verranno sostituiti da macchine. Penso per esempio a operai nell’industria o a boscaioli. Ma attenti anche alle attività analitiche che si basano su algoritmi in quanto sono adattissime per essere svolte da computer, i quali sono i migliori analisti dell’uomo.
Vengono quindi toccati anche parecchi compiti nel settore terziario.
Nello specifico tutte le attività che hanno a che fare con un certo tipo di intermediazione: nel settore immobiliare o nell’ambito del turismo. Inoltre cambierà tutto quello che concerne il rilievo manuale dei dati e la relativa immissione, con i computer questo lavoro viene automatizzato e quindi i cosiddetti backofficer dovranno trasformare la loro attività. La rivoluzione 4.0 coinvolgerà tutte le procedure intermedie. È persino verosimile che sparisca il mestiere del notaio.
È proprio questo il motivo per il quale la digitalizzazione crea non solo speranze ma anche tanti timori.
C’erano già tanti timori quando la diligenza venne rimpiazzata dal treno. Il problema è che una grande parte della popolazione fa fatica ad accettare il cambiamento digitale per la sua rapidità e pertanto si sente colta alla sprovvista.
Cosa raccomanda loro?
La gente deve cambiare atteggiamento di fronte alla digitalizzazione .Le persone che sono curiose ed aperte riusciranno a cavalcare il cambiamento ed avranno delle chances immense. Bisogna sviluppare un atteggiamento pro attivo nei confronti dei problemi invece di evitarli.
In futuro, quali abilità saranno importanti da parte dei collaboratori? Dovranno essere multifunzionali?
Certamente, e dovranno sviluppare soprattutto l’abilità del problem solving. Soltanto le menti umane sono capaci di sviluppare dei pensieri critici, di fare delle vere sintesi, delle interpretazioni e delle messe in rete o dei coordinamenti complessi. Le competenze sociali non sono digitalizzabili e rimarranno certamente importanti anche in futuro.
E ci saranno diverse professioni nuove che oggigiorno non sappiamo ancora definire esattamente.
Un’attività nuova che sarà molto in voga è quella del data scientist. Questa figura non sarà soltanto un matematico, ma simultaneamente farà anche da economista e persino da psicologo. Sarà una persona che uscirà spesso dal suo ufficio per incontrare colleghi di altri reparti e discutere sullo sviluppo del business tramite le sue sintesi molto elaborate, scaturite dall’analisi dei suoi algoritmi.
Ovunque si sente la parole chiave formazione continua.
Questa incide molto, in primis per le persone ancora impiegate e naturalmente anche per quelle che hanno perso il lavoro e magari, nel frattempo, le loro competenze sono diventate obsolete. Perché anche chi dispone di skills importanti avrà con il tempo uno svantaggio senza un aggiornamento continuo – dato che lo sviluppo digitale avanza in modo estremamente veloce.
Impiego a tempo parziale, lavoro interinale, telelavoro, job-sharing, lavoro on demand, freelance: tutti questi sembrano diventare modelli tipici di lavoro.
Una flessibilizzazione del lavoro è necessaria perché il datore di lavoro non potrà più garantire un intervallo lavorativo di otto ore. Questo per ragioni di cambiamento della società e i suoi bisogni di mobilità ed anche per necessità commerciali. Certamente ci sarà molto più job-sharing e homework. Per i datori di lavoro non conterà più tanto la presenza in termini di tempo del collaboratore, ma il risultato.
Come devono adattarsi le aziende per accompagnare al meglio i collaboratori?
Le imprese devono mantenere i corsi di formazione ma anche allargarli all’ambito della psicologia, delle competenze sociali e dei valori – proprio per incentivare l’atteggiamento giusto di cui ho parlato prima.
Del resto, dove sono i limiti della digitalizzazione?
Anche in passato si parlava di limiti, che poi vennero superati di colpo. I veri limiti concernono l’etica e la sostenibilità: dobbiamo rimanere attenti alla possibilità di una certa disputa tra uomo e macchine e tenere conto dell’equilibrio sensibile tra il progresso tecnico e il nostro ambiente. Comunque l’uomo deve rimanere al centro di ogni sviluppo evolutivo.
Amministrazioni cantonali: procedure pesanti e costi elevati in un quadro globalmente positivo
/in Comunicazione e mediaCome nei rilevamenti degli scorsi anni, l’Amministrazione cantonale ticinese ottiene la miglior nota assegnata dalle imprese consultate nell’ambito della nostra inchiesta sul grado di soddisfazione relativo al lavoro delle amministrazioni cantonali. L’inchiesta viene condotta ogni due anni da MIS Trend. L’ottava edizione di questo studio, realizzata su incarico delle Camere di commercio e dell’industria della Svizzera latina, mostra nuovamente che in generale vi sono punti critici concernenti le procedure, l’attenzione verso gli utenti e gli emolumenti. Inoltre, i risultati evidenziano anche un inasprimento nell’ambito del rilascio dei permessi di lavoro e una parte considerevole di aziende ha rinunciato a progetti di sviluppo a seguito degli effetti dell’inasprimento delle regole pianificatorie, in particolare dovuti alla revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale.
Come in occasione dei tre precedenti studi realizzati nel 2011, 2013 e 2015, l’inchiesta evidenzia come elementi negativi concernenti la complessità delle procedure, l’attenzione per le esigenze degli utenti e il livello degli emolumenti restino motivi di insoddisfazione. Sono invece generalmente considerate in modo positivo la cortesia, la bravura e le competenze del personale dell’ente pubblico, sebbene un’azienda su tre rilevi una scarsa disponibilità al dialogo. L’attenzione per le esigenze degli utenti è ritenuta insoddisfacente per un quarto delle aziende prese in considerazione. Per quanto riguarda gli emolumenti, il risultato ricalca quello del 2015, visto che quattro imprese interrogate su dieci li ritengono troppo elevati.
Pianificazione del territorio
La soddisfazione generale resta purtroppo al di sotto della media generale, sebbene vi sia un leggero miglioramento rispetto al 2015. Le imprese consultate affermano di essere meglio informate rispetto al passato, ma hanno registrato un aumento preoccupante degli intralci burocratici soprattutto a livello comunale e un allungamento dei termini per l’ottenimento delle autorizzazioni. Inoltre, un’impresa su quattro dichiara di aver rinunciato ad almeno un progetto di pianificazione, a causa dell’inasprimento delle regole seguito all’adozione della revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale.
Ispezione del lavoro e rilascio dei permessi di lavoro
I risultati indicano globalmente un miglioramento rispetto all’inchiesta del 2015. Tuttavia, si osserva un generale e consistente aumento dei termini per l’ottenimento dei permessi di lavoro, soprattutto nei cantoni di frontiera. Un’impresa su tre registra, dopo il 9 febbraio 2014, un netto inasprimento generalizzato delle procedure per il rilascio dei permessi.
Digitalizzazione
Un po’ più della metà delle aziende interrogate ritiene che il loro cantone potrebbe compiere uno sforzo supplementare in materia di cyber amministrazione, onde agevolare le procedure amministrative e offrire un miglior servizio online.
Studio MIS Trend su incarico di Info-Chambers: Competitività delle amministrazioni cantonali della Svizzera latina 2017
Étude sur la compétitivité des administrations cantonales réalisée pour les Chambres de commerce latines
Mobility pricing: la posizione del Direttore Albertoni
/in Comunicazione e mediaIl Direttore Cc-Ti Luca Albertoni si esprime in merito al Mobility pricing
L’idea di base del Mobility pricing potrebbe in teoria avere il pregio di considerare l’aspetto tariffale di tutto il traffico, pubblico e privato, e non solo quello legato all’utilizzo della strada.
Tuttavia, il rifiuto di alcune importanti regioni svizzere di ospitare un progetto-pilota sul tema, rispettivamente le dichiarazioni con cui la questione è considerata non prioritaria, dimostrano che non vi sono le basi per attuare il Mobility pricing, almeno secondo i termini previsti oggi dall’autorità federale.
È vero che una diversificazione delle tariffe che tenga conto dell’utilizzo delle infrastrutture sarebbe possibile anche verso il basso e non solo verso l’alto, come a volte già praticato dalle FFS per i treni meno frequentati.
Ma la tentazione di “punire” finanziariamente chi viaggia negli orari di punta è purtroppo sempre in agguato e la cosa non mi piace molto perché per molte persone non ci sono alternative. Il discorso andrebbe pertanto ampliato ad altri elementi assai complessi e legati alla struttura della società e dell’economia, come ad esempio gli orari scolastici o modelli di lavoro più flessibili.
Mi sembra però poco realistico che un discorso più strutturato possa trovare un sufficiente consenso politico.
Resto quindi scettico sulla fattibilità di un Mobility pricing che possa essere equo e al contempo portare reali soluzioni alla mobilità.
Intervista a Luca Albertoni
/in Comunicazione e mediadi Gianni Righinetti, apparsa sul CdT
«Ci sono aziende che praticano la precarietà come forma di business, il cui comportamento denunciamo senza riserve». Questo è il j’accuse del segretario cantonale dell’OCST Renato Ricciardi. Ha ragione?
La precarietà non è un obiettivo delle aziende “normali”. La denuncia è quindi di principio legittima, ma prediligo andare oltre le dichiarazioni generali e ragionare su casi concreti, anche perché la precarietà non è un’esclusiva del settore privato.
La flessibilità nel mondo del lavoro d’oggi è una condizione che deve essere accettata senza battere ciglio?
Flessibilità non significa non rispettare le regole esistenti. Poi che talune regole debbano essere adattate all’evoluzione della situazione reale non è certo scandaloso.
Ma è possibile stabilire delle regole o essere flessibili presuppone la totale assenza di una disciplina?
Flessibilità non significa anarchia, per cui è normale che si stabiliscano delle regole. La sfida è che queste siano equilibrate per tutti e che nuovi modelli di lavoro non vengano stigmatizzati a priori come negativi perché diversi da quelli a cui siamo abituati.
L’OCST è conosciuto per essere un sindacato piuttosto accomodante. Oppure di sindacalisti che usano il fioretto non ve ne sono più perché tutti sfoderano la sciabola?
Essere ragionevole non significa per forza essere accomodante. Nel contesto odierno effettivamente l’uso sempre più diffuso della sciabola fa rimpiangere chi tirava di fioretto, anche se non è detto che l’arma più pesante sia quella che provoca sempre i danni maggiori. Sono comunque abituato a fronteggiare indistintamente l’uno o l’altra per difendere i valori in cui credo.
Com’è il vostro rapporto in Ticino con il fronte sindacale?
Sono soprattutto le associazioni di categoria a essere al fronte e noi ci confrontiamo con il mondo sindacale prevalentemente su temi di carattere economico generale, per cui la visione è forzatamente diversa. Ci si confronta e ci si scontra, come è normale che sia, ma sono per fortuna rari i casi in cui manca il rispetto per la persona. Quindi posso dire che, salvo qualche eccezione, i rapporti sono buoni.
Ogni tanto si ha l’impressione che le forze sindacali non si rendano conto che “i padroni” (come li chiamano taluni) creano un lavoro che, senza loro, non ci sarebbe. È davvero così?
Non si può generalizzare, ma è innegabile che alcuni, probabilmente in virtù di una cultura sindacale di stampo poco elvetico, abbiano questo genere di atteggiamento. L’auspicio è che questa mentalità non si diffonda ulteriormente, anche se ammetto che qualche timore ce l’ho.
Spesso si ha però l’impressione che le vostre organizzazioni padronali agiscano unicamente a difesa della casta, senza la capacità di fare autocritica o puntare l’indice verso chi meriterebbe di essere ripreso duramente. Siete troppo buoni?
Per quanto mi riguarda ho sempre chiaramente detto che è giusto che chi sbaglia venga sanzionato e non mi sono mai opposto a misure fondate e basate su fatti accertati. Anche quando presiedevo la Commissione tripartita in materia di libera circolazione delle persone non mi sono mai tirato indietro nella lotta agli abusi, cosa non scontata quando si dirige l’associazione-mantello dell’economia cantonale. Non mi piacciono invece le sparate fatte per attirare l’attenzione e basate su ipotesi che poi spesso si rivelano sbagliate. Perché rovinare la reputazione di un’azienda sulla base di semplici illazioni è irresponsabile e contro questo sono pronto a lottare senza esclusione di colpi.
Faccia una critica senza mezzi termini a un ramo economico che è affiliato a voi?
Mutuando una metafora sportiva, la sacralità dello spogliatoio non va violata ed eventuali critiche vanno formulate nelle sedi opportune, cioè nei nostri gremi interni. Ogni settore ha forze e debolezze, il mio compito non è di criticare ma di cercare soluzioni.
Ai sindacati interessano la quote che versano i lavoratori, ma anche voi vivete di quanto vi danno gli associati. Insomma: alla fine sembrate diversi, ma siete uguali.
Almeno non pesiamo sullo Stato! E’ vero che abbiamo funzioni simili su fronti diversi, per cui è inevitabile che vi siano talune analogie. Per quanto ci riguarda, tengo a sottolineare che da anni rifiutiamo l’adesione di aziende che riteniamo non rispettose delle regole vigenti, rinunciando quindi anche a cospicue entrate. E’ una maniera responsabile di dimostrare attenzione verso il territorio e per non difendere casi indifendibili. E‘ una linea consolidata, essenziale per mantenere la credibilità.
I cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro sono stati importanti e rapidi, quasi che al posto di uomini e donne si volessero già robot da usare alla bisogna?
E’ un’esagerazione. I cambiamenti generano sempre insicurezza ma non tutti sono di segno negativo, anzi. Per le imprese serie (e sono la stragrande maggioranza) il capitale umano è fondamentale, per cui l’accusa di volere manichini senz’anima da pilotare a piacimento è infondata.
Lei crede nella sostituzione della mano e il cervello di uomini e donne a vantaggio di un’entità meccanica e informatizzata?
Abbiamo vissuto già molte fasi in cui il progresso tecnologico ha fatto sparire determinate professioni, creandone però altre e ritengo che sarà sempre così. La sfida è di gestire i periodi di transizione e di adattamento che per certe persone sono difficili. L’economia non ha interesse a creare tensioni sociali o a “perdere per strada” le persone.
Il lavoro su chiamata è una piaga sociale o una semplice e concreta necessità?
E’ avantutto una necessità e come tale non va demonizzata. Poi vale quanto detto in precedenza, cioè che c’è un quadro legale che va rispettato, senza eccezioni.
Ma flessibilità e lavoro su chiamata sono i principali nemici delle famiglie e della vita sociale?
La realtà sociale è troppo complessa oggi per ridurla a un fattore dipendente dalla flessibilità e dal lavoro su chiamata. Del resto, un numero sempre crescente di lavoratrici e lavoratori chiede flessibilità per cui essa va distinta dagli abusi, che sono altra cosa. Di questo occorre tenere conto, se si vogliono evitare battaglie di retroguardia.
“Chi viene spremuto come un limone sul lavoro, magari per pochi franchi, è costretto a una vita da single”. Mi è stato detto con malinconia brindando il 31 dicembre in vista dell’anno nuovo. È una realtà o una esagerazione?
La generale accresciuta competitività in molti ambiti lavorativi è certamente una fonte di pressione, ma non si possono addossare tutte le responsabilità dei disagi sociali al lavoro. Vi sono molti fattori, a partire dall’auto-responsabilità, che influiscono sui nostri destini personali, per cui starei attento ad amalgamare situazioni difficili e quello che invece è vero e proprio sfruttamento.
Come sta la Camera di commercio e dell’industria che, quest’anno, compirà 100 anni?
E’ un’associazione molto dinamica, confrontata con grandi cambiamenti economici, politici e sociali, come tutte le altre Camere svizzere. Lo scopo principale della nostra attività resta la valorizzazione e la difesa della libertà economica e imprenditoriale e su questo costruiamo la nostra attività, improntata al rispetto e alla serietà. Valori forse oggi poco considerati, ma essenziali per affrontare in modo costruttivo ed efficace le molte sfide.
Qual è il suo auspicio per il 2017?
Che ci si possa confrontare maggiormente nel merito dei temi, evitando sterili polemiche personali o preconcetti. Ma forse è chiedere troppo.
Il vento del “primanostrismo” che soffia sul Ticino, quanto preoccupa (e perché) l’economia cantonale?
Chiedere maggiore attenzione per il nostro territorio è legittimo e condivisibile. Preoccupa invece molto il pressapochismo che illude che vi siano sempre soluzioni facili, fregandosene del principio della legalità, ormai considerato poco più che un fastidioso ammennicolo. Questo è pericoloso e poco svizzero.