Discorso del Presidente Martinetti – Assemblea CATEF

Discorso pronunciato da Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti, in occasione dell’assemblea CATEF del 12.5.2017

Fa stato il discorso pronunciato oralmente

 

Carissimo Presidente, cari delegati della CATEF,

 Cari ospiti,

sono molto felice di poter intervenire in occasione dei vostri odierni lavori assembleari, per sottolineare quanto la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) sia attenta alle problematiche e alle necessità delle associazioni ad essa legate.

La CATEF, organizzazione ormai storica nel panorama associativo ticinese, è formalmente membro della Cc-Ti solo da qualche anno, ma la fruttuosa collaborazione ha radici lontane e molto profonde, grazie soprattutto al vostro attivissimo presidente Gianluigi Piazzini, inimitabile tessitore di relazioni e appassionato lettore ed interprete di messaggi governativi e atti parlamentari. Come non ricordare l’orami celeberrima frase del vostro presidente concernente l’aumento dei valori di stima: “Ci aspettavamo una spuntatina e ci avete fatto un taglio alla marines”. Impareggiabile!

Non è certo necessaria la mia sottolineatura per ribadire l’importanza del settore immobiliare, colonna portante della nostra economia e ciò nonostante regolarmente messo sotto pressione, soprattutto dal lato fiscale.

Paragonabile un po’ alla situazione degli automobilisti, regolarmente tartassati, forse per creare una sorta di “par condicio” fra beni tipicamente immobili e quelli per definizione mobili, come le auto.

Ma, esattamente come è anche lo stile della Cc-Ti, tengo a sottolineare come la vostra associazione abbia sempre dimostrato grande maturità e senso di responsabilità, esercitando si il diritto di critica ma senza lamentele piagnucolose né critiche scomposte, ma sempre con dati alla mano.

Approccio costruttivo forse figlio di tempi passati ma che mai come oggi dovrebbero essere attuali, nel contesto oramai cacofonico del “dagli al ricco” e quindi chiaramente compreso il proprietario immobiliare.

Numerose sono state le iniziative in questo senso combattute assieme alla vostra associazione negli anni scorsi. Una per tutte è stata la lotta condotta praticamente da soli a sostegno del referendum contro la revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale (LPT). Ricordo alcune affermazioni del direttore della Cc-Ti Luca Albertoni nel contesto della campagna di votazione, coordinata con la CATEF e cito:

“La messa in pratica di questo nuovo sistema porterebbe con sé un importante peso burocratico, la proprietà privata verrebbe inoltre notevolmente intaccata a causa dell’imposizione dell’utilizzo del terreno edificabile, pena il depennamento dello status di zone edificabili dai terreni. Elementi particolarmente pericolosi e anche un po’ liberticidi, dal momento che toccano profondamente la proprietà privata. Non da ultimo vi è anche il problema dell’autonomia cantonale: un buon numero di competenze verrebbe infatti trasferito a livello federale”.

Mi scuso per questo excursus auto-referenziale della Cc-Ti, ma era importante sottolinearlo quale esempio di lavoro comune fra la Camera (associazione-mantello dell’economia cantonale) e rappresentanti settoriali, tanto più che i fatti ci hanno dato poi ragione perché è proprio questo che è avvenuto e sta avvenendo. Purtroppo il responso delle urne del 3 marzo 2013 ci è stato chiaramente sfavorevole.  Ma ciò non significa che occorre abbassare le braccia: ci attende in questi giorni la consultazione sulla revisione delle norme cantonali e sarà nostro compito comune vegliare a un’applicazione proporzionata e rispettosa dei diritti costituzionali. Anche perché incombono altre iniziative molto preoccupanti, volte a bloccare le possibilità edificatorie in maniera eccessiva e spesso in nome di una volontà punitiva nei confronti dell’economia. Sia chiaro, il territorio va rispettato e la stragrande maggioranza degli operatori economici si impegna in questo senso, anche perché gli imprenditori respirano esattamente la stessa aria e vivono sullo stesso lembo di terra degli altri cittadini!

Il lavoro comune, non solo fra Cc-Ti e CATEF, ma anche con tutte le altre associazioni è già eccellente ma va ulteriormente rafforzato, perché è la sola via per garantire una difesa efficace degli interessi economici generali e di quelli settoriali.

Del resto, la ripartizione dei compiti è chiara: le associazioni di categoria o settoriali si occupano delle questioni appunto di categoria, mentre la Cc-Ti, quale associazione-mantello, si preoccupa delle questioni di politica economica generale. La Cc-Ti si attiva su problematiche settoriali solo se esplicitamente richiesto dagli stessi settori. Funzionamento semplice, che ha dimostrato di essere molto efficace.

La Cc-Ti è quindi anche un’importante cassa di risonanza per le tante eccellenti iniziative delle associazioni a essa legate e con questo sistema evita di invadere il campo degli specialisti settoriali, scongiurando quindi il pericolo di commettere delitti di lesa maestà che, si sa, nel nostro cantone sono considerati particolarmente gravi.

La mia presenza fra di voi questa sera è pertanto anche e soprattutto finalizzata a darvi un quadro generale della situazione dell’economia ticinese, presentata in maniera a volte bizzarra nella discussione pubblica. E per bizzarro intendo ovviamente le molte indicazioni di segno negativo, con le insistenti sottolineature di abusi veri o presunti, omettendo scientemente di menzionare anche i molti aspetti positivi della nostra realtà economica. Certo, in un contesto che considera automaticamente falsati i dati ritenuti scomodi perché non funzionali alla dimostrazione di talune tesi politiche, non è che ci si possa aspettare molto di più. Ma tant’è, questa è la realtà odierna.

Non posso però esimermi dal sottolineare con forza che l’economia ticinese ormai da anni segue l’andamento medio di quella elvetica, cosa inimmaginabile fino a una ventina d’anni fa.

L’esplosione del settore delle esportazioni ha contribuito in maniera decisiva alla diversificazione del nostro tessuto economico, che si è trovato a essere più robusto di altri alle grandi crisi. Se pensiamo che in meno di un decennio vi sono state tre grandi scossoni (2008 con la crisi finanziaria e due crisi legate al franco nel 2011 e nel 2015) e che non vi sono stati massicci interventi sul personale da parte delle nostre aziende, questo significa molto. A differenza ad esempio di quanto avvenuto nel bacino Neuchâtel-Giura o nella Svizzera orientale, dove dal 2015 sono andate perse migliaia di posti di lavoro, a causa di una certa struttura economica monotematica (non è una critica, ma un fatto). Immaginate cosa sarebbe successo se vi fossero state conseguenze anche solo lontanamente paragonabili in Ticino. E quando parlo di posti andati persi nelle regioni menzionate non parlo di statistiche della Seco sulla disoccupazione, considerate da taluni fasulle, ma di cifre comunicate direttamente dalle aziende su quanto hanno dovuto cancellare in termini di occupazione.

Con questo non voglio certo dire che siamo esenti da problemi. Come tutte le regioni svizzere, alcuni rami economici soffrono di più, all’interno di alcuni settori c’è chi va bene e c’è chi va male, tratto caratteristico anche di un’economia in costante e rapidissima evoluzione.

E’ chiaro che quando ci si concentra prevalentemente sul negativo, un mega-tema come ad esempio quello della digitalizzazione non può non preoccupare, perché la tendenza è di vedere solo i rischi e non gli effetti positivi che potrebbero esserci.

Capisco che quello che è diverso rispetto alle precedenti rivoluzioni industriali è soprattutto la velocità del cambiamento, che chiama in causa tutti, dagli operatori economici, alla politica, ai cittadini. Basti pensare alla formazione, messa sotto pressione da molte incognite portate da un mercato del lavoro sempre più esigente e anche diversificato. Ci troviamo infatti in un periodo storico di ricerca di equilibrio fra l’acquisizione di un vasto bagaglio di conoscenze generali e un intenso lavoro di apprendimento di quelle specialistiche.

Il mercato chiede un po’ tutto: da solide conoscenze di base che permettono una flessibilità di adattamento a situazioni sempre più mutevoli, a conoscenze specialistiche approfondite, ma nemmeno troppo approfondite, per evitare esclusioni dal mondo del lavoro nel caso di trasformazione profonda o addirittura di sparizione di determinate professioni.

Perché questa è la realtà oggi. Tanto sono veloci le cancellazioni di talune professioni, altrettanto veloce è la creazione di nuove. Purtroppo nei media si parla quasi solo dei primi, dando l’impressione che la tanto temuta trasformazione digitale sarà solo uno strumento di cancellazione dei posti di lavoro.

Ignorando che, in determinate circostanze, a qualche centinaio di posti di lavoro soppresso fa da contraltare qualche migliaio di posti creati in funzioni diverse. Un punto principale della sfida risiede proprio qui, cioè nel gestire la transizione verso nuovi lidi di chi fa più fatica, per età o formazione. Cioè evitare che troppe persone “si perdano per strada”, realtà e preoccupazione di ogni rivoluzione industriale. Rivoluzioni industriali che, detto per inciso, hanno storicamente sempre portato a progresso e sviluppo nel medio e lungo termine. E’ nel breve che dobbiamo lavorare per evitare che vi siano troppe conseguenze negative.

La rapidità del cambiamento tocca ovviamente in primis le aziende. Un solo dato: Swisscom realizza oltre il 70% della propria cifra d’affari con prodotti che dieci anni fa non esistevano. Sono dati che non possono lasciare indifferenti, a cavallo tra timori e grandi possibilità di sviluppo.

Ho appreso qualche giorno fa che nella sola Svizzera tedesca sono nate una trentina di nuove professioni negli ultimi due anni, tutte legate ad ambiti tecnici e inimmaginabili fino anche solo a cinque anni fa. Nel Cantone TI si possono apprendere oltre 690 professioni.

Le potenzialità sono quindi enormi e il mondo economico svizzero e ticinese sembra esserne fortunatamente cosciente. Nell’ultima inchiesta congiunturale svolta dalla Cc-Ti qualche mese fa presso i nostri associati, oltre la metà delle aziende interpellate ha affermato che sta affrontando in maniera attiva e consapevole la trasformazione digitale.

Un dato importante perché la digitalizzazione ha effetti considerevoli sui modelli di business, che vanno costantemente aggiornati, sia per quanto concerne i prodotti, ma anche per i processi, l’organizzazione interna, la prospezione di mercati, ecc. Altro fatto rilevante, è che l’80% delle aziende ha segnalato che non vi saranno conseguenze sul personale, o perché già preparato o perché si sta preparando. Segnale importantissimo di stabilità, checché ne dicano i tanti politici lontanissimi dalle realtà aziendali.

Qui sta uno dei punti più delicati della situazione politica attuale: la scarsa conoscenza del mondo aziendale e delle sue dinamiche. Non si può né si deve negare che vi siano problemi legati a una concorrenza sempre più agguerrita e non sempre leale. Dumping, lavoro nero, abusi di vario genere, commessi soprattutto in nome di mentalità “imprenditoriali” lontane da quella elvetica, sono fenomeni da affrontare con la massima serietà e severità ed è giusto sanzionarli senza riserve né eccezioni. Ma non a costo di distruggere tutto il sistema elvetico che ha dimostrato di funzionare molto meglio di tanti altri. Regole sì, statalismo sfrenato no. Adattamento moderato, senza stravolgimenti epocali, perché la struttura liberale della nostra legislazione e il federalismo sono valori che ci hanno permesso di crescere e molto!

Ma è un dato di fatto che oggi è difficile contrastare questa ondata di richieste di regole coercitive e sempre più invadenti. Un’attività come la vostra è fondamentale nell’ottica della valorizzazione di quanto di positivo avviene sul territorio. Il valore di ogni singolo settore economico per il benessere comune è un messaggio che purtroppo passa ancora troppo poco. La Cc-Ti sta facendo importanti sforzi in questo senso, per dare spazio anche mediatico a chi, magari lontano dalle luci della ribalta, lavora con impegno e dedizione in un contesto tutt’altro che facile, contribuendo a generare quella ricchezza che sempre meno persone sembrano preoccupati di creare ma che sempre più sono pronti a ridistribuire a piene mani. La mia esortazione è che il dinamismo, la flessibilità e l’apertura dell’economia possano essere maggiormente veicolate verso l’esterno, cioè verso la politica e la popolazione. Il nostro compito principale oggi è di veicolare importanti messaggi positivi verso l’opinione pubblica. Anche perché raccontiamo realtà e non storielle inventate ad arte. Le aziende ticinesi non sono una specie di associazione a delinquere preoccupata solo di fare profitti grazie a prezzi esorbitanti e ingiustificati, ma sono entità che prendono cura del territorio e che garantiscono un’eccellente qualità.

Ribadisco quindi quanto sia importante la compattezza del mondo economico, confrontato con cambiamenti epocali, di rapidità inedita. La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, è sempre in prima linea per cercare di trovare gli equilibri necessari, anche fra settori e rami economici diversi. Non si può infatti nascondere che gli interessi di chi opera prevalentemente sul mercato interno siano spesso divergenti da chi opera sui mercati internazionali. Il legittimo bisogno di protezione dalla concorrenza sleale si scontra con la richiesta di sempre meno ostacoli, elemento essenziali per l’industria dell’esportazione.

Conciliare queste esigenze non è facilissimo, ma è fattibile, come dimostra la nostra attività quotidiana. Inflessibile severità contro chi viola le regole (penso a padroncini e distaccati), ma lotta instancabile contro l’introduzione di eccessive regole che chiudono il nostro paese in un inutile protezionismo, penalizzando in primis le aziende esportatrici ma in ultima analisi tutta l’economia.

E’ quindi necessario stare molto attenti al rispetto del principio della legalità elemento fondante del nostro Stato e che non può essere sacrificato a cuor leggero in nome di princìpi anche ampiamente condivisi ma di difficile applicazione pratica. Ogni riferimento a “Prima i nostri” e alla famosa o famigerata LIA è voluto. Idee lodevoli e che sul principio ci trovano molto aperti, ma che per un’applicazione pratica effettiva a favore delle nostre aziende e della popolazione ticinese richiedono equilibrio, attenzione, capacità di lavorare sulle sfumature, per evitare effetti contrari a quelli voluti.

Qualità, quelle appena citate, che purtroppo oggi nella discussione pubblica sembrano mancare totalmente e se l’economia non è capace di far valere in modo compatto la libertà economica e imprenditoriale, vi sarà sempre più spazio per “soluzioni” apparentemente facili e popolari, ma in realtà inutili e perfino dannose.

In conclusione voglio dirvi che per la libertà economica e imprenditoriale continueremo a combattere, sempre lealmente come è nel nostro stile, ma senza concessioni. Perché ne va del nostro sistema, che abbiamo costruito con fatica e che dà risultati eccellenti. Lo scimmiottare esempi di paesi a noi anche vicini, soffocati dalla burocrazia e da regole mostruose, non può essere un obiettivo condiviso in nome di una pseudo-protezione.

Grazie dell’invito e buon lavoro a tutti.

 

Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

In occasione dell’Assemblea CATEF, Camera ticinese dell’economia fondiaria, il Presidente Cc-Ti Glauco Martinetti ha tenuto il seguente discorso, scaricabile qui in formato PDF.