Svizzera Turismo nell’ambito del programma Swisstainable, conferisce ai fornitori di servizi sostenibili un marchio che consentirà loro di fungere da esempio.
Il marchio Swisstainable rende visibile a colpo d’occhio l’impegno per la sostenibilità nel settore. Il marchio è facile da integrare nella comunicazione di tutti i fornitori di servizi. In base al livello di sostenibilità adottato dai partner, Svizzera Turismo riconosce tre livelli di adesione al programma: livello 1 committed, livello 2 engaged, livello 3 leading. Per le imprese del settore turistico alberghiero del Cantone Ticino che dispongono del rapporto di sostenibilità con certificato di conformità della Camera di Commercio, Svizzera Turismo riconosce il livello Swisstainable 2. Per il Dipartimento delle Finanze e dell’economia che ha sostenuto il modello di rapporto semplificato realizzato da SUPSI e promosso dalla Camera di Commercio si tratta di un riconoscimento prestigioso che conferma la qualità dello strumento messo a disposizione delle imprese ticinesi.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/03/ART24-CSR-Label-1.png8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-03-05 10:20:302024-03-05 10:20:32Swisstainable e rapporto di sostenibilità semplificato: un accordo per il label
Le aziende che operano a livello internazionale si trovano ad operare in un contesto sempre più complesso, caratterizzato da sanzioni economiche e disposizioni in materia di controllo delle esportazioni. Molti operatori credono, erroneamente, che il controllo delle esportazioni riguardi solo le esportazioni di beni di natura militare.
In quest’ultimo caso, i controlli riguardano beni che sembrano innocui per l’uso quotidiano ma che, se sottoposti a un’analisi più approfondita, potrebbero anche essere utilizzati per scopi militari. Questi beni sono definiti beni duplice impiego o “dual-use”. È innanzitutto opportuno specificare che, con il termine di “beni”, si intendono merci, tecnologie e software.
I beni a duplice impiego sono elencati nell’allegato 2 dell’Ordinanza sul controllo dei beni a duplice impego (OBDI) in base alla classificazione ECCN (Export Control Classification Number), che a sua volta poggia sulla natura dei beni stessi (tipologia di prodotto, software o tecnologia) e sui suoi parametri tecnici. Questa forma di controllo oggettiva richiede maggiori sforzi e risorse perché presuppone un’analisi tecnica del bene nel suo insieme e delle sue parti (componenti) per assicurarsi che non rientrino nell’allegato di cui sopra. Se lo sono, all’esportazione è necessaria un’autorizzazione preventiva della Segreteria di Stato dell’economia (SECO).
Il 26 marzo prossimo in occasione di un workshop organizzato con il supporto e l’intervento della SECO, analizzeremo in dettaglio questioni come la classificazione dei beni, l’obbligo di autorizzazione e la responsabilità delle aziende. Coglieremo altresì l’occasione di passare in rassegna la legge sul materiale bellico. I partecipanti avranno l’opportunità di sottoporre i loro quesiti in anticipo.
Autorizzazioni temporanee per il lavoro notturno e domenicale possono essere concesse alle imprese quando le autorità dispongono misure per prevenire o controllare la carenza di gas o di energia elettrica. La modifica dell’ordinanza sul lavoro entrerà in vigore il 1° aprile 2024
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/02/ART24-lavoro-notturno-e-domenicale.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-02-23 09:51:022024-02-23 09:51:04Lavoro notturno e domenicale in caso di carenza di energia
L’Arabia Saudita ha aggiornato l’elenco delle sostanze che non possono essere utilizzate nella produzione di cosmetici.
La Saudi Food and Drug Authority (SFDA), l’autorità saudita per gli alimenti e i farmaci, ha ampliato l’elenco delle sostanze che non possono essere utilizzate nella produzione di cosmetici. Tra queste figurano numerose sostanze potenzialmente cancerogene. Le nuove disposizioni, entrate in vigore il 1° gennaio 2024, sono precisate nella circolare n. 6391.
Ulteriori informazioni relative all’importazione di cosmetici in Arabia Saudita (es. elenco delle sostanze soggette a restrizione, norme/standard, marchi registrati) sono disponibili sul sito web della SFDA.
Fonte: German Trade & Invest (GTAI)
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/02/ART24-Arabia-Saudita-cosmesi-divieti.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-02-22 08:00:002024-02-16 16:54:23Arabia Saudita: nuovi ingredienti vietati nei cosmetici
Per l’AVS servono scelte responsabili e non slogan
La previdenza per la vecchiaia e la più importante voce di spesa della Confederazione e l’AVS, simbolo stesso della solidarietà tra giovani e anziani, ricchi e poveri, rappresenta, senza dubbio, una delle colonne portanti del sistema svizzero delle assicurazioni sociali. E una scelta di grande responsabilità, dunque, garantire la sua sostenibilità finanziaria, la solidità e la sicurezza delle rendite anche per le nuove generazioni. Senza costringerle a dover pagare nel corso della loro vita lavorativa maggiori contributi salariali e più imposte, per il solo fatto che noi non abbiamo saputo gestire con oculatezza e lungimiranza le casse del primo pilastro. Ecco perché e cruciale il prossimo 3 marzo un voto ragionato e basato sui fatti sull’iniziativa popolare “Vivere meglio la pensione”, per concedere una 13esima mensilità AVS – promossa dall’Unione sindacale svizzera, sostenuta dalla sinistra e da altre forze sindacali -, e sull’ iniziativa “Per una previdenza vecchiaia sicura e sostenibile”, lanciata dai Giovani Liberali Radicali, che mira ad un consolidamento strutturale del primo pilastro, innalzando a tappe l’età della pensione a 66 anni entro il 2033 e adattandola in seguito all’aspettativa di vita. Per votare con cognizione di causa, senza lasciarsi fuorviare da slogan allettanti, occorre conoscere la reale situazione finanziaria dell’AVS, far parlare dati e cifre sul suo stato attuale e le tendenze future.
I numeri dell’AVS – beneficiari e contributi
Oggi ricevono la rendita AVS 2,5 milioni di pensionati (di cui 800mila all’estero, per lo più immigrati rientrati in Patria), con un importo medio di circa 1’800 franchi al mese, per una spesa complessiva di oltre 50 miliardi di franchi ogni anno. Le prestazioni sono finanziate sulla base del principio di ripartizione: oltre il 70% circa delle rendite e coperto grazie ai contributi versati dai datori di lavoro e dai loro dipendenti, ci sono poi una parte delle entrate dell’IVA e quelle derivanti dalla tassa sull’alcol, sul tabacco e dall’imposta sul gioco di azzardo. Complessivamente la Confederazione, attraverso il gettito fiscale, finanzia il 20,2% della spesa pensionistica, che per l’anno in corso equivale a 10,3 miliardi franchi, ossia più del 12% delle sue entrate totali. Dopo cinque anni di cifre rosse, con le riforme del 2020 e del 2022, accettate in votazione popolare, si e assicurato il finanziamento dell’AVS sino al 2030 grazie all’aumento dei contributi salariali, il rincaro dell’IVA e l’armonizzazione dell’età pensionabile. Un apporto finanziario non da poco e stato assicurato nel corso degli anni anche da quel milione e mezzo d’immigrati, soprattutto dall’UE, che lavorando e risiedendo in Svizzera ha rafforzato il volume dei contributi versati per il primo pilastro. Si e cosi raggiunta una certa stabilita nelle entrate, ma soltanto sino al 2030, dopo di che, per non precipitare di nuovo nei ricorrenti deficit, bisognerà trovare altre soluzioni. Le proiezioni indicano, infatti, che dall’inizio del prossimo decennio, senza interventi correttivi, le uscite saliranno dai 50 miliardi dello scorso anno a 63,5 miliardi.
Quello attuale e, quindi, un equilibrio contabile temporaneo e molto delicato perché soggetto a diversi fattori: l’invecchiamento della popolazione, l’andamento demografico, la crescita del lavoro part-time o discontinuo che assottiglia il volume delle quote salariali, la speranza di vita che si allunga e il pensionamento di centinaia di migliaia di baby boomers, variabili che s’impatteranno negativamente sui bilanci del primo pilastro. Per questo il Consiglio federale dovrà presentare per la fine del 2026 un progetto di riforma in grado di assicurare una sostenibilità finanziaria più duratura per il primo pilastro.
Deficit miliardari
Oggi le riserve dell’AVS ammontano a 47 miliardi di franchi circa, nel 2030 sfioreranno i 70 miliardi. Settanta miliardi sembrano una gran bella cifra, ma in realtà non sono tanti. Bastano, infatti, a coprire appena un anno e poco più del totale delle rendite versate dall’AVS. Tant’e che già nel 2032, a causa dell’incidenza di quei fattori di cui si e detto sopra, le spese dell’AVS supereranno le entrate di 4,7 miliardi di franchi. A cui si aggiungerebbero altri 5 miliardi in più ogni anno, qualora l’iniziativa per la 13esima AVS venisse approvata in votazione popolare. Entrando nel dettaglio, questa tredicesima, ossia un aumento dell’8,3% delle rendite, provocherebbe un costo aggiuntivo di 4,1 miliardi di franchi all’anno a partire dal 2026, che saliranno a 5,3 miliardi dal 2033, per superare i 10 miliardi nel 2050. Secondo le stesse previsioni dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali, con la rendita supplementare il primo pilastro dopo il 2030 accumulerebbe di anno in anno deficit miliardari. E chiaro che per la tredicesima AVS i soldi non ci sono o, meglio, ci sarebbero forse oggi ma di certo non domani. A meno che per finanziarla non si ritocchi di nuovo verso l’alto l’IVA oppure, come si suggerisce a sinistra, aumentando dell’0,8% i contributi salariali e chiamando alla cassa anche la Confederazione che dovrebbe contribuire con un miliardo di franchi in più all’anno. E che sarebbe, perciò, costretta ad aumentare le imposte per non sottrarre fondi ad altre spese necessarie. Non affrontando comunque alla radice il vero problema: la forbice tra chi versa i contributi per il primo pilastro e chi ne beneficia si va allargando sempre più.
Allo stesso tempo si e allungata l’aspettativa di vita per cui si riceve una rendita per molti più anni rispetto al passato. Quando nel 1948 venne istituita l’AVS c’erano 6 persone attive per ogni pensionato, nel 2020 questo rapporto e sceso a 3,3 e nel 2050 sarà di 2,2 attivi per un pensionato; a quell’epoca la rendita minima era di 40 franchi al mese, corrispondenti al 6% del salario medio di allora; nel 2022 si e arrivati a 1’195 franchi al mese, cioè il 15% del salario medio, dunque, 2,3 volte in più rispetto al 1948. Tre quarti di secolo fa la speranza di vita quando si raggiungevano i 65 anni, l’età della pensione, era di 12 anni per gli uomini e di 13 per le donne, nel 2020 si e arrivati ad una aspettativa di vita di oltre 20 anni per gli uomini e sino 22-23 anni per le donne. In sostanza, si percepisce la pensione molto più a lungo e il numero dei pensionati cresce più velocemente di quello degli occupati che con i loro contributi finanziano le rendite.
Serve un intervento strutturale
La maggiore aspettativa di vita, unitamente all’instabilità e alle fluttuazioni dei mercati finanziari, ha messo sotto pressione anche il secondo pilastro, tanto che anche in questo ambito occorreranno scelte strutturali sulle quali saremo chiamati a votare prossimamente.
Le tendenze delineate dall’Ufficio federale di statistica sono del resto chiare e indicano la necessita di adattamenti urgenti. Nel prossimo decennio, infatti, il numero dei pensionati aumenterà del 26%, del 41% tra 20 anni e del 54% tra 30 anni; quello delle persone attive invece aumenterà solo del 2% nei prossimi dieci anni, del 5% tra 20 anni e del 7% tra 30 anni. Considerato l’impatto dell’andamento demografico e della speranza di vita più elevata sulle casse del sistema pensionistico, non si può ignorare la necessita di un intervento strutturale che corregga il pericoloso squilibrio tra entrate e uscite, per scongiurare deficit insostenibili e salvaguardare le rendite AVS per le generazioni future. Senza dover ricorrere ancora a nuovi oneri a carico dei cittadini. L’unica strada che può assicurare al primo pilastro stabilita e solidità finanziaria sul lungo periodo e, quindi, intervenire con un innalzamento graduale dell’età della pensione, legandola anche all’aspettativa media di vita.
Una soluzione più soft di quella già adottata da diversi Stati europei, che permetterebbe, inoltre, all’economia di preservare e impiegare più a lungo competenze professionali indispensabili per la crescita del Paese, oggi ipotecata dalla carenza di manodopera qualificata.
VOTAZIONE FEDERALE DEL PROSSIMO 3 MARZO
NO all’iniziativa che vuole introdurre una tredicesima per tutti i beneficiari dell’AVS. La proposta di una tredicesima per tutti, indipendentemente dalla loro condizione finanziaria non è finanziabile. Si prevedono costi di oltre cinque miliardi di franchi che inevitabilmente porterebbero ad aumentare l’IVA, i prelievi sui salari a carico di datori di lavoro e lavoratrici e lavoratori, senza dimenticare gli aumenti di imposte. Una misura che inciderebbe quindi pesantemente sul potere d’acquisto di tutti, inutilmente costosa perché non mirata a sostenere chi è realmente in difficoltà.
SÌ all’iniziativa dei giovani liberali-radicali, volta a innalzare l’età pensionabile a 66 anni, collegandola poi all’aspettativa di vita. Essa ha il merito di mettere il dito sul problema strutturale della sfida demografica. Il momento scelto per proporre un aumento dell’età pensionabile non è forse il migliore, dato che da poco è stata parificata l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini. Ma il problema rimane e senza interventi strutturali di questo tipo è difficile garantire la solidità dell’AVS. Stabilire un legame con l’aspettativa di vita è una soluzione sostenibile ed efficace per garantire l’AVS a lungo termine, evitando di ridurre le rendite, di accumulare debiti o di aumentare le imposte.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/02/ART24-AVS-diamo-i-nr.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-02-20 08:00:002024-02-19 13:38:03AVS, diamo i numeri…
L’empatia è la capacità di comprendere lo stato d’animo, i comportamenti e le emozioni altrui. È un’abilità sociale di fondamentale importanza ed è uno dei principali strumenti per una comunicazione interpersonale efficace e gratificante. Daniel Goleman (psicologo, autore e giornalista scientifico, si è affermato come una figura di rilievo nel campo dell’intelligenza emotiva) ci dice che in ogni tipo di rapporto la radice dell’interesse sta nel riuscire ad entrare in sintonia emozionale. Le emozioni vengono però raramente verbalizzate, soprattutto in ambito professionale, ed è qui che entra in gioco l’empatia. Questa competenza ci permette di comprendere meglio le emozioni toccate decodificando sia i messaggi verbali che quelli emessi dai canali di comunicazione non verbali. Riuscire ad essere empatici facilita l’accettazione delle diversità, migliora la comunicazione, rafforza l’autostima, migliora i rapporti interpersonali e ci spinge a seguire alcuni principi morali come, ad esempio, intervenire a favore di una persona in difficoltà.
I vantaggi dell’empatia per il business
Le aziende e le organizzazioni sono formate da persone, per questo motivo diventa importante sviluppare l’empatia anche in questi contesti e a tutti i livelli, permettendo la crescita personale dei collaboratori ma anche di migliorare le relazioni tra colleghi, con i superiori o con clienti e fornitori. In altre parole, in un’organizzazione empatica vengono generate relazioni più solide, oltre a una maggiore e migliore collaborazione, e si potrà osservare un aumento della produttività. Sempre secondo Goleman le organizzazioni intelligenti a livello emotivo hanno maggiore chiarezza nei valori e nella missione aziendale gettando così le basi di una cultura organizzativa positiva e veicolando un’immagine chiara e precisa che riesce a distinguersi sul mercato. Ricapitolando, coltivare l’empatia in azienda significa: creare un ambiente di lavoro positivo, facilitare la libertà di espressione di tutti i lavoratori, sviluppare migliori relazioni interne facendo sentire tutti ascoltati, compresi e rispettati, favorire la collaborazione e la gestione dei conflitti ottenendo migliori risultati di business.
L’empatia si può imparare
Molti credono che l’empatia sia qualcosa di innato. È pur vero che ci sono persone più portate perché possiedono delle capacità di intelligenza emotiva naturali, questo però non significa che non si possa apprendere. Gli studi hanno dimostrato che le competenze empatiche, come del resto tutte le competenze, possono essere apprese, a patto che ne si conoscano e comprendano le componenti e le si possano poi mettere in pratica. Un’impresa che propone ai lavoratori di formarsi sul tema dell’empatia e riesce a metterla in pratica e quindi allenarla quotidianamente, permetterà ad ogni membro di un team di diventare un elemento importante della squadra che saprà lavorare in sintonia con il resto dei membri. Un gruppo di lavoro così formato sarà in grado di risolvere più rapidamente qualsiasi problema, aumenterà la sua efficacia e porterà proposte innovative. Individualmente ogni membro affinerà queste capacità che diventeranno parte integrante della sua professionalità. Si avrà così a che fare con persone capaci di rispettare le idee altrui, capaci di ascoltare punti di vista diversi ma anche di esprimere la propria opinione. Nella realtà lavorativa questo si tradurrà in un aumento della collaborazione tra colleghi e si moltiplicheranno gli scambi produttivi. I responsabili di team, se formati sull’empatia, saranno più efficaci nella gestione delle relazioni con i collaboratori, e non solo: sapranno accogliere i feedback e integrarli nei processi aziendali nell’ottica del miglioramento continuo. Offrire ai lavoratori gli strumenti adeguati per poter sviluppare l’empatia risulta essere una scelta vincente a tutti i livelli.
I leader empatici
Come sappiamo i leader sono fondamentali nel creare una cultura aziendale positiva. Questo vale anche per l’empatia. Una delle cinque componenti chiave dell’intelligenza emotiva, sempre secondo Goleman, è proprio la leadership empatica. I leader emotivamente intelligenti sono più efficaci perché sanno riconoscere i sentimenti e le esigenze dei loro collaboratori e infondono loro un senso di fiducia. Promuovono relazioni più forti all’interno del team, favoriscono senso di appartenenza e motivazione. Tutto questo si traduce in una maggiore soddisfazione professionale e nell’aumento del benessere dei dipendenti.
Empatia al lavoro: non solo parole ma azioni
Concretamente quindi come può un’organizzazione sviluppare l’intelligenza emozionale? La risposta spontanea è: attraverso la consulenza e la formazione. Vediamo più nel dettaglio cosa si intende. Per prima cosa offrire una formazione mirata ai collaboratori, partendo dai vertici, per far crescere competenza e consapevolezza su questo tema all’interno dell’organizzazione. Occorrono poi delle azioni concrete da implementare in azienda, per questo la collaborazione di uno specialista che sappia consigliare le azioni da intraprendere e che aiuti a monitorare e tracciare l’efficacia di quanto messo in atto è auspicabile. Una volta appresa questa competenza sarebbe opportuno coinvolgere i collaboratori e trovare il modo di mettere in pratica quanto acquisito introducendo piccoli cambiamenti nella quotidianità lavorativa. Ad esempio, sviluppando una cultura del feedback, utilizzando l’ascolto empatico e accertandosi di dare seguito a quanto emerso.
Si potrebbe anche realizzare un progetto di sviluppo condiviso, con attività volte a coltivare le relazioni all’interno dell’impresa. Anche in questo caso occorre coinvolgere il personale, tenendo sempre presente la necessità di misurare l’efficacia degli interventi effettuati, di condividere i risultati e di discutere insieme sui possibili miglioramenti. I responsabili potrebbero elaborare con ogni collaboratore dei piani di sviluppo personale, valorizzandone i meriti, indagando sulle loro aspirazioni e sostenendoli nel cambiamento. Una pratica ancora poco utilizzata in Ticino e che mi sta particolarmente a cuore è la cultura dell’errore. È una preziosa risorsa di apprendimento e miglioramento continuo personale e di tutto il team che, per essere messa in pratica in maniera efficace, deve essere sostenuta dall’empatia. Un altro punto critico in molte realtà aziendali è la comunicazione. Spesso c’è un divario importante tra quanto ci si sforza di mettere in atto per favorire la comunicazione e quanto viene recepito. Rivedere dal punto di vista empatico i processi comunicativi (come, ad esempio, le riunioni) può dare risultati sorprendenti.
In conclusione
Le aziende a volte sottovalutano l’importanza e l’impatto dell’intelligenza emotiva sul luogo di lavoro. Diversi studi hanno dimostrato che in ogni organizzazione ci sono regole non esplicitate che guidano i collaboratori e che vengono trasmesse inconsciamente. Essi sanno esattamente cosa possono o non possono esprimere sul posto di lavoro e agiscono di conseguenza. Per questo è estremamente importante che le imprese misurino il livello di empatia al loro interno. Purtroppo, gli strumenti standard che vengono normalmente utilizzati per le valutazioni aziendali non sono adatti allo scopo. Per questo motivo le aziende che valutano la loro empatia e sviluppano l’intelligenza emotiva sono ancora poche. Riuscire ad instaurare una comunicazione interna più aperta aiuta a considerare tutti gli aspetti degli eventuali problemi e a trovare soluzioni migliori e innovative. Questo è però possibile unicamente se il personale si sente abbastanza libero di dire quello che pensa, senza paura di ritorsioni. Spesso tra quello che pensano i vertici aziendali e quello che percepiscono i collaboratori c’è un divario che non viene percepito o considerato. Troviamo quindi la dirigenza convinta che il personale possa dire liberamente la sua opinione mentre i collaboratori non si sentono al sicuro e per questo non esprimono il loro parere. Da qui l’importanza di costruire e coltivare relazioni empatiche. Ricorrendo all’aiuto di un consulente preparato e dando ai propri collaboratori la possibilità di formarsi, ogni azienda o organizzazione può sviluppare l’intelligenza emozionale al proprio interno.
Articolo a cura di Monica Garbani-Nerini, Formatrice, consulente e Chief Happiness Officer
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/02/ART24-Potere-empatia.png8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-02-19 08:00:002024-02-14 13:56:21Il potere dell’empatia
Il termine “Intelligenza Artificiale (IA)” è oggi sulla bocca di tutti
Pur essendo oltre 50 anni che se ne parla, sono stati i più recenti progressi nella potenza dei computer, la disponibilità e la capacità di analizzare enormi quantità di dati e lo sviluppo di nuovi e sempre più complessi algoritmi, ad aver fatto fare balzi in avanti giganteschi all’IA.
Balzi avanti talmente dirompenti che oggi i Governi di tutto il mondo discutono di come “gestire” questa tecnologia e, soprattutto, come stabilire delle norme che ne regolino l’applicazione ed il funzionamento garantendo i diritti fondamentali dell’individuo i cui dati sono coinvolti nei processi.
Con IA si definisce “l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività”. In altre parole, l’IA è una tecnologia che simula i processi dell’intelligenza umana attraverso la creazione e l’applicazione di algoritmi (sequenza finita di operazioni da svolgere per risolvere un problema).
L’applicazione dell’IA nel mondo del lavoro non è fantascienza ma ormai realtà. Il mondo digitale ha visto emergere nuove professioni inesistenti fino a pochi anni fa ma anche l’incremento di lavoratori autonomi che offrono servizi tramite piattaforme o applicazioni mobili che utilizzano l’IA basandosi su algoritmi predefiniti. Far queste citiamo Uber, Deliveroo o Airnbnb.
L’IA non tocca solo la “forma” del lavoro ma ne influenza e stravolge anche la sostanza, andando a condizionarne le strutture di funzionamento ed i processi più profondi. Ormai da tempo l’IA è parte integrante dei programmi di recruiting utilizzati dalle aziende per la selezione del personale. Significa che sempre più aziende delegano alle macchine la gestione dei colloqui di selezione e di conseguenza la scelta dei collaboratori. Tali sistemi riposano su un sistema di presa di “decisione automatizzata” e sono altresì utilizzati nella sorveglianza e nella valutazione del personale. Questo determina il fatto che l’IA non interviene solo nelle procedure di selezione ma anche nella valutazione dei collaboratori e, in ultima analisi, può determinare eventuali collaboratori non più idonei a svolgere il lavoro attribuitogli.
Un altro esempio. Oggi l’IA è in grado di redigere agilmente e in maniera autonomia testi anche complessi, la piattaforma più famosa in questo ambito è senz’altro Chat GPT (Generative Pretrained Transformer). Applicando questa capacità alla casella mail di una persona, l’IA è in grado, in brevissimo tempo, di sostituirla. L’IA è in grado di leggere e comprendere le mail in entrata e in uscita. Può rispondere simulando lo stile di chi scrive, il suo modo di ragionare, il suo atteggiamento e addirittura la sua fantasia. L’interlocutore, artificiale o umano o che sia, non si accorgerà della sostituzione.
Questa tecnologia specifica, sviluppata ad esempio da Microsoft, è già in uso in numerose aziende, soprattutto americane, dove l’IA si occupa della gestione delle mail e di tutta una serie di processi aziendali un tempo appannaggio degli uomini e oggi sempre più delegati ai computer.
Se l’IA costituisce un’importante opportunità di sviluppo, non mancano i rischi ad essa connessi. In particolare, l’utilizzo improprio dell’IA potrebbe comportare rischi anche gravi. L’Unione Europea parla espressamente del rischio di manipolare il comportamento delle persone, violandone, di fatto, i diritti fondamentali.
Proprio allo scopo di definire e contenere i potenziali rischi dell’IA, la Commissione Europea ha stabilito delle linee guida e dei limiti chiari: i sistemi di IA devono essere “sicuri, trasparenti, tracciabili, non discriminatori e rispettosi dell’ambiente”. Inoltre, è esplicito che la supervisione deve essere affidata a delle persone e non a degli automi. Dunque, non può essere l’IA a controllare l’IA. Nelle scorse settimane, il Consiglio e il Parlamento europeo sono riusciti a trovare un’intesa su quello che sarà il contenuto del primo atto normativo che regolamenterà l’utilizzo dell’IA (Regolamento europeo sull’IA), il quale pone le basi per un utilizzo dell’IA sicuro e rispettoso dei diritti umani.
La Svizzera, come centro scientifico dello sviluppo dell’IA, seppur con un approccio moderato, vuole contribuire all’elaborazione di questo quadro normativo internazionale che consenta di sfruttare le opportunità offerte dall’IA e di affrontare in modo mirato le sfide che essa pone.
In attesa di norme che definiscano in modo più concreto l’utilizzo dell’IA, ci si chiede in che modo sia attualmente regolamentato l’utilizzo dell’IA all’interno dei rapporti professionali e in che misura i diritti fondamentali dei dipendenti siano tutelati.
Il punto centrale che permette da subito di definire delle regole è riconoscere che le tecnologie che si basano sull’IA utilizzano i dati personali degli individui e dunque rientrano indubbiamente nell’ambito del “trattamento dei dati personali”. Il trattamento di dati è regolamentato in Svizzera dalla Legge sulla Protezione dei dati (la cui modifica sostanziale è entrata in vigore il 1° settembre 2023) e, per quanto riguarda il rapporto di lavoro, dall’art. 328b del Codice delle Obbligazioni che circoscrive la cerchia di dati che il datore di lavoro può utilizzare nell’ambito del rapporto di lavoro. Questa norma prevede infatti che il datore di lavoro è legittimato ad utilizzare (trattare) le informazioni (dati) dei dipendenti solo se si riferiscono all’idoneità lavorativa o se necessari all’esecuzione del contratto. Un utilizzo, oltre questo scopo sarebbe illecito e comporterebbe una violazione della personalità del dipendente (diritto inalienabile e fondamentale dello stesso). Questi principi sono validi anche nell’ambito dell’utilizzo dell’IA e, anzi, ne ampliano il campo d’applicazione.
Nel concreto, come per tutti i processi, il datore di lavoro è autorizzato ad utilizzare le tecnologie basate sull’IA solo ed esclusivamente se lo scopo ricercato è quello indicato nella norma citata. È primordiale che nell’utilizzo delle tecnologie “permesse” il datore di lavoro salvaguardi la personalità del dipendente, applicando altresì in modo rigoroso i principi previsti dalla LPD. In particolare: liceità, informazione, consenso esplicito (dove necessario), buona fede, esattezza, finalità, trasparenza, proporzionalità e sicurezza. Per quanto concerne il caso concreto delle “decisioni individuali automatizzate” (quali i casi di selezione di dipendenti per l’assunzione, la promozione o il licenziamento nel rapporto di lavoro), l’art. 21 LPD accorda a colui i cui dati sono oggetto di trattamento (in questo caso al dipendente) il diritto di ottenere un riesame della decisione da parte di una persona fisica (questa prerogativa può essere esclusa in caso di consenso preventivo e completo alla presa di decisione automatizzata). È opportuno osservare che vi sono altre norme (sovente trascurate) che devono essere considerate nell’applicazione dell’IA al rapporto di lavoro, in particolare la Legge sul lavoro e la Legge sulla Partecipazione. Per ogni singolo caso, vi è una declinazione specifica dei principi citati che va discussa e delineata, ma vi è sempre un denominatore comune: un obbligo di informazione chiaro e completo.
Per approfondire il tema, circoscrivere e definire le norme applicabili a situazioni concrete durante il rapporto di lavoro, rinviamo al corso: “L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro: quali obblighi per il datore di lavoro?” che si terrà il prossimo 6 maggio 2024 online.
Articolo a cura di Avv. Roberta Bazzana-Marcoli, titolare RB Legal
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/02/ART24-IA-mondo-lavoro.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-02-16 08:00:002024-02-14 13:54:40Intelligenza artificiale e mondo del lavoro: una sfida per le imprese
Su queste pagine ho scritto spesso a favore delle automobili a propulsione totalmente elettrica. Che questa sia la mobilità del futuro sono certo che non ci siano dubbi. Ma oggi come vanno le cose per i possessori di auto a batteria? Dallo scorso aprile utilizzo una vettura completamente elettrica per i miei spostamenti giornalieri per recarmi al lavoro, ma anche per quelli saltuari su medie e lunghe distanze. Ho quindi deciso di condividere l’esperienza di dieci mesi di viaggi in modalità elettrica.
Il primo impatto a bordo della nuova auto elettrica è senz’altro positivo. Basta premere il pulsante start, inserire la modalità drive e, in completo silenzio, la vettura si mette in marcia. L’assenza del rumore del motore (che ad alcuni amanti delle auto sportive potrebbe mancare) e del cambio (le auto elettriche non hanno bisogno di un cambio di velocità) offrono a conducente e passeggeri un confort di marcia superiore. Anche la guida risulta tendenzialmente più dolce e tranquilla malgrado l’elevata potenza e coppia di cui generalmente dispongono questo genere di vetture. Per il resto l’auto si guida come un’aut a propulsione tradizionale se non per una percepibile differenza in fase di decelerazione. In particolare, selezionando la modalità recupero energia togliendo il piede dall’acceleratore, la decelerazione del veicolo è abbastanza brusca tanto che sembra di aver azionato i freni. Questo effetto, inizialmente anche un po’ fastidioso in quanto non si è abituati, è dovuto al motore elettrico che si trasforma in generatore, trasformando l’energia di movimento in energia elettrica che viene immagazzinata nelle batterie. Oltre che recuperare energia gratuitamente, questo sistema permette di risparmiare in maniera decisa l’utilizzo dei freni con un evidente risparmio anche a livello di costi di manutenzione. Fino ad oggi ho percorso oltre sedicimila chilometri, una percorrenza quindi superiore alla media che si attesta a circa quindicimila chilometri all’anno, con un consumo medio di 17,5 Kwh che corrisponde a poco più di 2’800 Kwh di energia elettrica. Ipotizzando un costo medio dell’elettricità di 27 centesimi al Kwh per la carica al domicilio e di 55 centesimi per le ricariche pubbliche (colonnine di ricarica con potenza massima 22 Kw) ho speso grosso modo 1’150.00 CHF per ricaricare la batteria del veicolo. Questo corrisponde a circa 7.20 CHF per cento chilometri con un risparmio rispetto ad un veicolo a benzina di oltre il quarantacinque percento. Non male. E questo non considerando che buona parte dell’energia che ho utilizzato a domicilio per caricare la vettura è stata prodotta con un impianto fotovoltaico e quindi a costo quasi zero.
Ma veniamo all’esperienza di utilizzo quotidiana. Per recarmi al lavoro percorro ogni giorno circa ottanta chilometri. Con un’autonomia della batteria dichiarata di circa trecento chilometri (in realtà l’autonomia sarebbe di quattrocento chilometri, ma, come consigliato dal fabbricante dell’auto, carico la batteria generalmente solo all’ottanta percento della sua capacità così da preservarne l’efficienza anche sull’arco di molti anni) posso viaggiare almeno tre giorni senza bisogno di collegare la vettura alla wallbox di casa. Abitando in collina e percorrendo quindi i primi cinque chilometri di strada casa-lavoro in discesa recuperando energia, ho avuto la gradevole sorpresa di riuscire ad arrivare sul posto di lavoro quasi completamente a gratis spendendo solo pochi centesimi di elettricità. Un bel risultato anche se in inverno la situazione è un po’ meno esaltante a causa dell’importante limitazione dell’autonomia. Preriscaldando però la batteria e l’abitacolo del veicolo è possibile limitare questa sgradita situazione. Nell’uso di tutti i giorni quindi, potendo caricare la vettura al domicilio, l’esperienza della mobilità elettrica è più che positiva e i maggiori costi dovuti al prezzo del veicolo ancora più elevato rispetto ad un veicolo con propulsione tradizionale e al costo della wallbox installata a casa, presto sarà ammortizzato.
E per i viaggi più lunghi? In questi mesi mi è capitato spesso di fare diversi viaggi giornalieri di quasi 200 chilometri e alcuni di oltre 300/400. Per i primi il comportamento da tenere non cambia molto rispetto ai tragitti casa-lavoro se non quello, comunque da tenere in considerazione, di organizzarsi la sera verificando di avere un’autonomia della batteria sufficiente e, se necessario, di provvedere alla carica durante la notte. Per i viaggi più lunghi le cose cambiano e questa è forse la situazione che crea ancora scetticismo verso la mobilità elettrica. In questo caso bisogna veramente reimparare a pianificare gli spostamenti.
Reimparare perché ormai, in particolare con l’avvento dei sistemi di navigazione, siamo abituati a non più preparare i viaggi ma semplicemente a salire in macchina, impostare la destinazione sul navigatore e partire senza nemmeno conoscere la strada da percorrere. Tanto ci guida la signora del navigatore. Con una vettura elettrica questo non funziona più o almeno è perlomeno rischioso.
Sì, perché sicuramente partendo per un viaggio più lungo di quanto permetta l’autonomia della batteria della nostra auto, dobbiamo prevedere una o più soste per fare rifornimento di energia elettrica. Pena il rischio di rimanere in mezzo alla strada con la batteria completamente scarica. Per questa pianificazione, almeno nelle auto di categoria medio/superiore, ci viene in aiuto il navigatore dell’auto o l’applicazione per smartphone che viene messa a disposizione dal fabbricante dell’auto.
Per ora la mia esperienza in questo genere di viaggi è assolutamente positiva e non ho mai avuto problemi nel trovare una stazione di ricarica quando serviva. Sulle autostrade svizzere le stazioni di ricarica sono numerose, funzionano senza troppe difficoltà, permettono di fare rifornimento in pochi minuti (il tempo di bere un caffè) e garantiscono così di poter viaggiare in tutta tranquillità. Una sola volta mi è capitato di arrivare ad una stazione di rifornimento e trovare tutte le colonnine occupate. Questa è una situazione che deve far riflettere i gestori di questi impianti che dovranno ancora investire in nuove strutture per garantirne un numero adeguato al crescente numero di veicoli elettrici in circolazione. Ma poter caricare in autostrada non è sufficiente, per chi fa viaggi lunghi con una sosta di diverse ore durante il giorno, per esempio per partecipare ad una riunione, o si ferma per una o più notti in un albergo, è indispensabile poter contare su una stazione di ricarica disponibile alla destinazione. E questo purtroppo non è sempre il caso.
La mobilità elettrica oggi è realtà e funziona (almeno in Svizzera), ma c’è ancora molto da fare. Autosili, parcheggi pubblici nelle vicinanze di luoghi d’aggregazione, alberghi e strutture pubbliche devono essere equipaggiate con un numero adeguato di stazioni di ricarica così da garantire il rifornimento di tutte le auto elettriche che in questi anni verranno messe in circolazione. Un autosilo di oltre 300 parcheggi, in una struttura per manifestazioni che possono accogliere anche migliaia di persone, che dispone di solo 6 posti auto con possibilità di ricarica elettrica, è assolutamente inadeguato. E questo purtroppo è una situazione ancora troppo presente anche in Svizzera.
L’Unione europea mette un freno alla deforestazione e al degrado delle foreste e da fine anno introduce una due diligence obbligatoria su determinate materie prime e i prodotti derivati.
Le aziende che immettono sul mercato comunitario o che esportano dall’UE materie prime e prodotti regolamentati dal Regolamento (UE) 2023/1115, noto anche come EUDR (EU Deforestation Regulation), sono tenute a rispettarne i requisiti a partire dal 30 dicembre 2024.
I prodotti interessati
Il regolamento si applica a sette materie prime – bovini, cacao, caffè, palma da olio, gomma, soia e legno – e ai prodotti che le contengono o che sono stati fabbricati a partire da esse. L’allegato I al regolamento contiene l’elenco completo dei prodotti interessati, identificati con la rispettiva voce doganale.
Chi deve ottemperare agli obblighi?
Il regolamento opera la seguente distinzione:
operatore: persona fisica o giuridica che nel corso di un’attività commerciale immette i prodotti interessati sul mercato o li esporta;
commerciante: persona nella catena di approvvigionamento, diversa dall’operatore, che nel corso di un’attività commerciale mette a disposizione sul mercato i prodotti interessati.
Gli operatori devono assicurarsi che i prodotti in questione siano a deforestazione zero, siano stati realizzati nel rispetto della legislazione pertinente del Paese di produzione e siano oggetto di una dichiarazione di dovuta diligenza. A seconda delle loro dimensioni, anche i commercianti possono essere obbligati a eseguire gli stessi controlli degli operatori.
Contrariamente alla direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, il regolamento 2023/1115 non si applica direttamente agli operatori extra-UE: in effetti, sarà il primo operatore stabilito nell’UE a dover prendersi carico del rispetto degli obblighi stabiliti dalla norma. L’esportatore extra-UE dovrà tuttavia essere pronto a fornire le informazioni e i documenti necessari al proprio partner/importatore europeo.
Due diligence, controllo e sanzioni
Per garantire la piena conformità al regolamento, gli operatori interessati sono tenuti ad implementare un sistema di due diligence che preveda la raccolta di informazioni dettagliate, dati e documenti, nonché una valutazione dei rischi e misure di mitigazione degli stessi. In particolare, essi devono riunire, conservare (per un periodo di cinque anni dalla data in cui il prodotto è stato messo sul mercato o esportato) e, se necessario, mettere a disposizione delle autorità le seguenti informazioni e documenti:
descrizione dei prodotti, compresa la denominazione commerciale, il tipo di prodotto e l’elenco delle materie prime o dei prodotti intermedi utilizzati per la loro fabbricazione
quantità dei prodotti interessati, espressa in kg, volume o unità
Paese di produzione ed eventuali aree geografiche
geolocalizzazione degli appezzamenti da cui provengono le materie prime unitamente alla data o al periodo di produzione
nome e indirizzi di tutte le aziende della catena di approvvigionamento
informazioni sufficientemente probanti e verificabili che attestino che i prodotti e le materie prime non comportano alcuna deforestazione.
La Commissione europea classificherà i Paesi in tre categorie di rischio (alto, standard, basso) entro il 30 dicembre 2024 e il regolamento prevede sia controlli più severi per le importazioni provenienti da aree ad alto rischio di deforestazione e degrado forestale sia un sistema sanzionatorio complesso, che include multe pecuniarie e pene detentive.
Le piccole e medie imprese (PMI) possono sfruttare le pratiche ambientali, sociali e di governance (ESG) come potente stimolo all’innovazione e come elemento chiave della loro strategia aziendale.
L’integrazione delle considerazioni ESG nelle operazioni aziendali non solo si allinea alle pratiche commerciali responsabili, ma migliora anche la competitività e la sostenibilità a lungo termine. Alcuni di questi temi sono stati anche affrontati in un evento organizzato dalla Cc-Ti in collaborazione con ESG Center of Excellence e Ticino Blockchain Technologies Association (TBTA) lo scorso 20.11.2023, intitolato “ESG come opportunità di business per le PMI ticinesi – Come la tecnologia Blockchain può aiutare”.
Ecco una tabella di marcia per le PMI per sviluppare l’ESG come fattore di innovazione e ottenere un vantaggio competitivo.
Comprendere i principi ESG:
Familiarizzare con i principi fondamentali dell’ESG ambientale (E), sociale (S) e di governance (G). Questi principi guidano una condotta aziendale responsabile e uno sviluppo sostenibile.
Condurre una valutazione di materialità Identificate i fattori ESG più rilevanti per la vostra attività conducendo una valutazione di materialità. Considerate l’impatto di ciascun fattore sugli stakeholder e sulle operazioni aziendali.
Inserire l’ESG nella cultura aziendale Integrare le considerazioni ESG nella cultura e nei valori aziendali. Assicuratevi che i dipendenti comprendano e facciano propria l’importanza della sostenibilità e delle pratiche commerciali responsabili.
Sviluppare politiche e metriche ESG Stabilire politiche ESG chiare e metriche misurabili. Definire obiettivi e indicatori chiave di performance (KPI) per monitorare i progressi e dimostrare l’impegno verso gli obiettivi ESG.
Coinvolgere gli stakeholder Coinvolgete gli stakeholder, compresi clienti, dipendenti, fornitori e comunità locali, nelle vostre iniziative ESG. Il loro contributo può fornire spunti preziosi e rafforzare le relazioni.
Innovare prodotti/servizi sostenibili Sfruttate l’ESG come motore di innovazione sviluppando prodotti o servizi sostenibili. Considerate l’impatto ambientale, l’approvvigionamento etico e la responsabilità sociale nello sviluppo dei vostri prodotti/servizi.
Gestione efficiente delle risorse Implementate pratiche di efficienza delle risorse per ridurre i rifiuti, il consumo energetico e l’impronta di carbonio. Questo non solo è in linea con gli obiettivi ambientali, ma può anche portare a risparmi sui costi.
Sostenibilità della catena di fornitura Assicuratevi che la vostra catena di fornitura aderisca a pratiche etiche e sostenibili. Questo migliora la responsabilità sociale dell’azienda e riduce il rischio di impatti negativi associati ai fornitori.
Migliorare la diversità e l’inclusione Favorire un ambiente di lavoro diversificato e inclusivo, promuovendo l’uguaglianza e l’equità di trattamento. I team eterogenei spesso portano a una maggiore creatività e innovazione, contribuendo al successo aziendale.
Pratiche di governance trasparenti Rafforzare le strutture di governance migliorando la trasparenza e la responsabilità. Comunicare chiaramente l’impegno dell’azienda verso una condotta aziendale etica e un processo decisionale responsabile.
Gestione del rischio e integrazione ESG Integrare i fattori ESG nei processi di gestione del rischio. La comprensione e la mitigazione dei rischi ESG possono aumentare la resilienza e proteggere la reputazione dell’azienda.
Reporting e comunicazionecon gli stakeholder Comunicate regolarmente i vostri sforzi ESG attraverso i rapporti di sostenibilità e altri canali di comunicazione. Un reporting trasparente crea fiducia e credibilità con gli stakeholder.
Cercare certificazioni esterne Cercate di ottenere certificazioni o standard pertinenti (ad esempio, ISO 14001 per la gestione ambientale) per convalidare il vostro impegno nelle pratiche ESG.
Miglioramento continuo L’ESG è un processo continuo. Rivedete e aggiornate regolarmente le vostre strategie in base ai cambiamenti delle circostanze, alle aspettative degli stakeholder e alle best practice emergenti.
Conclusione Incorporando strategicamente i principi ESG nelle loro attività, le PMI possono non solo contribuire allo sviluppo sostenibile, ma anche posizionarsi come entità innovative, responsabili e competitive sul mercato. Questo approccio olistico si allinea alle preferenze dei consumatori e alle tendenze normative in evoluzione, favorendo il successo a lungo termine.
Articolo a cura di Marco Casanova, Direttore Centro di eccellenza ESG, Lugano, www.esgcenter.ch
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/02/ART24-PMI-ESG.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-02-14 09:00:002024-03-05 14:55:27ESG come fattore di innovazione e vantaggio competitivo nella strategia aziendale PMI?
Cliccando il pulsante «Accetta», acconsentite all’utilizzo di tutti i nostri cookie così come quelli dei nostri partner. Utilizziamo i cookie per raccogliere informazioni sulle visite al nostro sito web, con lo scopo di fornirvi un'esperienza ottimale e per migliorare continuamente le prestazioni del nostro sito web. Per maggiori informazioni potete consultare la nostra informativa sulla privacy.
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Swisstainable e rapporto di sostenibilità semplificato: un accordo per il label
/in Sostenibilità, TematicheSvizzera Turismo nell’ambito del programma Swisstainable, conferisce ai fornitori di servizi sostenibili un marchio che consentirà loro di fungere da esempio.
Il marchio Swisstainable rende visibile a colpo d’occhio l’impegno per la sostenibilità nel settore. Il marchio è facile da integrare nella comunicazione di tutti i fornitori di servizi. In base al livello di sostenibilità adottato dai partner, Svizzera Turismo riconosce tre livelli di adesione al programma: livello 1 committed, livello 2 engaged, livello 3 leading. Per le imprese del settore turistico alberghiero del Cantone Ticino che dispongono del rapporto di sostenibilità con certificato di conformità della Camera di Commercio, Svizzera Turismo riconosce il livello Swisstainable 2. Per il Dipartimento delle Finanze e dell’economia che ha sostenuto il modello di rapporto semplificato realizzato da SUPSI e promosso dalla Camera di Commercio si tratta di un riconoscimento prestigioso che conferma la qualità dello strumento messo a disposizione delle imprese ticinesi.
Fonte: Progetto CSR Ticino
Controlli all’esportazione e beni dual-use
/in Internazionale, Tematiche, VariaLe aziende che operano a livello internazionale si trovano ad operare in un contesto sempre più complesso, caratterizzato da sanzioni economiche e disposizioni in materia di controllo delle esportazioni. Molti operatori credono, erroneamente, che il controllo delle esportazioni riguardi solo le esportazioni di beni di natura militare.
In Svizzera, i controlli sui beni concordati a livello internazionale sono disciplinati da due leggi distinte: la legge federale sul materiale bellico (LMB) e la legge sul controllo dei beni a duplice impiego (LBDI).
In quest’ultimo caso, i controlli riguardano beni che sembrano innocui per l’uso quotidiano ma che, se sottoposti a un’analisi più approfondita, potrebbero anche essere utilizzati per scopi militari. Questi beni sono definiti beni duplice impiego o “dual-use”. È innanzitutto opportuno specificare che, con il termine di “beni”, si intendono merci, tecnologie e software.
I beni a duplice impiego sono elencati nell’allegato 2 dell’Ordinanza sul controllo dei beni a duplice impego (OBDI) in base alla classificazione ECCN (Export Control Classification Number), che a sua volta poggia sulla natura dei beni stessi (tipologia di prodotto, software o tecnologia) e sui suoi parametri tecnici. Questa forma di controllo oggettiva richiede maggiori sforzi e risorse perché presuppone un’analisi tecnica del bene nel suo insieme e delle sue parti (componenti) per assicurarsi che non rientrino nell’allegato di cui sopra. Se lo sono, all’esportazione è necessaria un’autorizzazione preventiva della Segreteria di Stato dell’economia (SECO).
Il 26 marzo prossimo in occasione di un workshop organizzato con il supporto e l’intervento della SECO, analizzeremo in dettaglio questioni come la classificazione dei beni, l’obbligo di autorizzazione e la responsabilità delle aziende. Coglieremo altresì l’occasione di passare in rassegna la legge sul materiale bellico. I partecipanti avranno l’opportunità di sottoporre i loro quesiti in anticipo.
Il controllo delle esportazioni
Martedì 26 marzo 2024, dalle 15:30 alle 17:00
Spazi Cc-Ti, Lugano
Lavoro notturno e domenicale in caso di carenza di energia
/in Comunicazione e mediaAutorizzazioni temporanee per il lavoro notturno e domenicale possono essere concesse alle imprese quando le autorità dispongono misure per prevenire o controllare la carenza di gas o di energia elettrica. La modifica dell’ordinanza sul lavoro entrerà in vigore il 1° aprile 2024
Comunicato stampa del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca:
https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/documentazione/comunicati-stampa.msg-id-100140.html
Arabia Saudita: nuovi ingredienti vietati nei cosmetici
/in Internazionale, Tematiche, VariaL’Arabia Saudita ha aggiornato l’elenco delle sostanze che non possono essere utilizzate nella produzione di cosmetici.
La Saudi Food and Drug Authority (SFDA), l’autorità saudita per gli alimenti e i farmaci, ha ampliato l’elenco delle sostanze che non possono essere utilizzate nella produzione di cosmetici. Tra queste figurano numerose sostanze potenzialmente cancerogene. Le nuove disposizioni, entrate in vigore il 1° gennaio 2024, sono precisate nella circolare n. 6391.
Ulteriori informazioni relative all’importazione di cosmetici in Arabia Saudita (es. elenco delle sostanze soggette a restrizione, norme/standard, marchi registrati) sono disponibili sul sito web della SFDA.
Fonte: German Trade & Invest (GTAI)
AVS, diamo i numeri…
/in Comunicazione e mediaPer l’AVS servono scelte responsabili e non slogan
La previdenza per la vecchiaia e la più importante voce di spesa della Confederazione e l’AVS, simbolo stesso della solidarietà tra giovani e anziani, ricchi e poveri, rappresenta, senza dubbio, una delle colonne portanti del sistema svizzero delle assicurazioni sociali. E una scelta di grande responsabilità, dunque, garantire la sua sostenibilità finanziaria, la solidità e la sicurezza delle rendite anche per le nuove generazioni. Senza costringerle a dover pagare nel corso della loro vita lavorativa maggiori contributi salariali e più imposte, per il solo fatto che noi non abbiamo saputo gestire con oculatezza e lungimiranza le casse del primo pilastro. Ecco perché e cruciale il prossimo 3 marzo un voto ragionato e basato sui fatti sull’iniziativa popolare “Vivere meglio la pensione”, per concedere una 13esima mensilità AVS – promossa dall’Unione sindacale svizzera, sostenuta dalla sinistra e da altre forze sindacali -, e sull’ iniziativa “Per una previdenza vecchiaia sicura e sostenibile”, lanciata dai Giovani Liberali Radicali, che mira ad un consolidamento strutturale del primo pilastro, innalzando a tappe l’età della pensione a 66 anni entro il 2033 e adattandola in seguito all’aspettativa di vita. Per votare con cognizione di causa, senza lasciarsi fuorviare da slogan allettanti, occorre conoscere la reale situazione finanziaria dell’AVS, far parlare dati e cifre sul suo stato attuale e le tendenze future.
I numeri dell’AVS – beneficiari e contributi
Oggi ricevono la rendita AVS 2,5 milioni di pensionati (di cui 800mila all’estero, per lo più immigrati rientrati in Patria), con un importo medio di circa 1’800 franchi al mese, per una spesa complessiva di oltre 50 miliardi di franchi ogni anno. Le prestazioni sono finanziate sulla base del principio di ripartizione: oltre il 70% circa delle rendite e coperto grazie ai contributi versati dai datori di lavoro e dai loro dipendenti, ci sono poi una parte delle entrate dell’IVA e quelle derivanti dalla tassa sull’alcol, sul tabacco e dall’imposta sul gioco di azzardo. Complessivamente la Confederazione, attraverso il gettito fiscale, finanzia il 20,2% della spesa pensionistica, che per l’anno in corso equivale a 10,3 miliardi franchi, ossia più del 12% delle sue entrate totali. Dopo cinque anni di cifre rosse, con le riforme del 2020 e del 2022, accettate in votazione popolare, si e assicurato il finanziamento dell’AVS sino al 2030 grazie all’aumento dei contributi salariali, il rincaro dell’IVA e l’armonizzazione dell’età pensionabile. Un apporto finanziario non da poco e stato assicurato nel corso degli anni anche da quel milione e mezzo d’immigrati, soprattutto dall’UE, che lavorando e risiedendo in Svizzera ha rafforzato il volume dei contributi versati per il primo pilastro. Si e cosi raggiunta una certa stabilita nelle entrate, ma soltanto sino al 2030, dopo di che, per non precipitare di nuovo nei ricorrenti deficit, bisognerà trovare altre soluzioni. Le proiezioni indicano, infatti, che dall’inizio del prossimo decennio, senza interventi correttivi, le uscite saliranno dai 50 miliardi dello scorso anno a 63,5 miliardi.
Quello attuale e, quindi, un equilibrio contabile temporaneo e molto delicato perché soggetto a diversi fattori: l’invecchiamento della popolazione, l’andamento demografico, la crescita del lavoro part-time o discontinuo che assottiglia il volume delle quote salariali, la speranza di vita che si allunga e il pensionamento di centinaia di migliaia di baby boomers, variabili che s’impatteranno negativamente sui bilanci del primo pilastro. Per questo il Consiglio federale dovrà presentare per la fine del 2026 un progetto di riforma in grado di assicurare una sostenibilità finanziaria più duratura per il primo pilastro.
Deficit miliardari
Oggi le riserve dell’AVS ammontano a 47 miliardi di franchi circa, nel 2030 sfioreranno i 70 miliardi. Settanta miliardi sembrano una gran bella cifra, ma in realtà non sono tanti. Bastano, infatti, a coprire appena un anno e poco più del totale delle rendite versate dall’AVS. Tant’e che già nel 2032, a causa dell’incidenza di quei fattori di cui si e detto sopra, le spese dell’AVS supereranno le entrate di 4,7 miliardi di franchi. A cui si aggiungerebbero altri 5 miliardi in più ogni anno, qualora l’iniziativa per la 13esima AVS venisse approvata in votazione popolare. Entrando nel dettaglio, questa tredicesima, ossia un aumento dell’8,3% delle rendite, provocherebbe un costo aggiuntivo di 4,1 miliardi di franchi all’anno a partire dal 2026, che saliranno a 5,3 miliardi dal 2033, per superare i 10 miliardi nel 2050. Secondo le stesse previsioni dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali, con la rendita supplementare il primo pilastro dopo il 2030 accumulerebbe di anno in anno deficit miliardari. E chiaro che per la tredicesima AVS i soldi non ci sono o, meglio, ci sarebbero forse oggi ma di certo non domani. A meno che per finanziarla non si ritocchi di nuovo verso l’alto l’IVA oppure, come si suggerisce a sinistra, aumentando dell’0,8% i contributi salariali e chiamando alla cassa anche la Confederazione che dovrebbe contribuire con un miliardo di franchi in più all’anno. E che sarebbe, perciò, costretta ad aumentare le imposte per non sottrarre fondi ad altre spese necessarie. Non affrontando comunque alla radice il vero problema: la forbice tra chi versa i contributi per il primo pilastro e chi ne beneficia si va allargando sempre più.
Allo stesso tempo si e allungata l’aspettativa di vita per cui si riceve una rendita per molti più anni rispetto al passato. Quando nel 1948 venne istituita l’AVS c’erano 6 persone attive per ogni pensionato, nel 2020 questo rapporto e sceso a 3,3 e nel 2050 sarà di 2,2 attivi per un pensionato; a quell’epoca la rendita minima era di 40 franchi al mese, corrispondenti al 6% del salario medio di allora; nel 2022 si e arrivati a 1’195 franchi al mese, cioè il 15% del salario medio, dunque, 2,3 volte in più rispetto al 1948. Tre quarti di secolo fa la speranza di vita quando si raggiungevano i 65 anni, l’età della pensione, era di 12 anni per gli uomini e di 13 per le donne, nel 2020 si e arrivati ad una aspettativa di vita di oltre 20 anni per gli uomini e sino 22-23 anni per le donne. In sostanza, si percepisce la pensione molto più a lungo e il numero dei pensionati cresce più velocemente di quello degli occupati che con i loro contributi finanziano le rendite.
Serve un intervento strutturale
La maggiore aspettativa di vita, unitamente all’instabilità e alle fluttuazioni dei mercati finanziari, ha messo sotto pressione anche il secondo pilastro, tanto che anche in questo ambito occorreranno scelte strutturali sulle quali saremo chiamati a votare prossimamente.
Le tendenze delineate dall’Ufficio federale di statistica sono del resto chiare e indicano la necessita di adattamenti urgenti. Nel prossimo decennio, infatti, il numero dei pensionati aumenterà del 26%, del 41% tra 20 anni e del 54% tra 30 anni; quello delle persone attive invece aumenterà solo del 2% nei prossimi dieci anni, del 5% tra 20 anni e del 7% tra 30 anni. Considerato l’impatto dell’andamento demografico e della speranza di vita più elevata sulle casse del sistema pensionistico, non si può ignorare la necessita di un intervento strutturale che corregga il pericoloso squilibrio tra entrate e uscite, per scongiurare deficit insostenibili e salvaguardare le rendite AVS per le generazioni future. Senza dover ricorrere ancora a nuovi oneri a carico dei cittadini. L’unica strada che può assicurare al primo pilastro stabilita e solidità finanziaria sul lungo periodo e, quindi, intervenire con un innalzamento graduale dell’età della pensione, legandola anche all’aspettativa media di vita.
Una soluzione più soft di quella già adottata da diversi Stati europei, che permetterebbe, inoltre, all’economia di preservare e impiegare più a lungo competenze professionali indispensabili per la crescita del Paese, oggi ipotecata dalla carenza di manodopera qualificata.
VOTAZIONE FEDERALE DEL PROSSIMO 3 MARZO
NO all’iniziativa che vuole introdurre una tredicesima per tutti i beneficiari dell’AVS. La proposta di una tredicesima per tutti, indipendentemente dalla loro condizione finanziaria non è finanziabile. Si prevedono costi di oltre cinque miliardi di franchi che inevitabilmente porterebbero ad aumentare l’IVA, i prelievi sui salari a carico di datori di lavoro e lavoratrici e lavoratori, senza dimenticare gli aumenti di imposte. Una misura che inciderebbe quindi pesantemente sul potere d’acquisto di tutti, inutilmente costosa perché non mirata a sostenere chi è realmente in difficoltà.
SÌ all’iniziativa dei giovani liberali-radicali, volta a innalzare l’età pensionabile a 66 anni, collegandola poi all’aspettativa di vita. Essa ha il merito di mettere il dito sul problema strutturale della sfida demografica. Il momento scelto per proporre un aumento dell’età pensionabile non è forse il migliore, dato che da poco è stata parificata l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini. Ma il problema rimane e senza interventi strutturali di questo tipo è difficile garantire la solidità dell’AVS. Stabilire un legame con l’aspettativa di vita è una soluzione sostenibile ed efficace per garantire l’AVS a lungo termine, evitando di ridurre le rendite, di accumulare debiti o di aumentare le imposte.
Il potere dell’empatia
/in Organizzazione, Risorse umane, TematicheCos’è l’empatia
L’empatia è la capacità di comprendere lo stato d’animo, i comportamenti e le emozioni altrui. È un’abilità sociale di fondamentale importanza ed è uno dei principali strumenti per una comunicazione interpersonale efficace e gratificante.
Daniel Goleman (psicologo, autore e giornalista scientifico, si è affermato come una figura di rilievo nel campo dell’intelligenza emotiva) ci dice che in ogni tipo di rapporto la radice dell’interesse sta nel riuscire ad entrare in sintonia emozionale. Le emozioni vengono però raramente verbalizzate, soprattutto in ambito professionale, ed è qui che entra in gioco l’empatia. Questa competenza ci permette di comprendere meglio le emozioni toccate decodificando sia i messaggi verbali che quelli emessi dai canali di comunicazione non verbali. Riuscire ad essere empatici facilita l’accettazione delle diversità, migliora la comunicazione, rafforza l’autostima, migliora i rapporti interpersonali e ci spinge a seguire alcuni principi morali come, ad esempio, intervenire a favore di una persona in difficoltà.
I vantaggi dell’empatia per il business
Le aziende e le organizzazioni sono formate da persone, per questo motivo diventa importante sviluppare l’empatia anche in questi contesti e a tutti i livelli, permettendo la crescita personale dei collaboratori ma anche di migliorare le relazioni tra colleghi, con i superiori o con clienti e fornitori. In altre parole, in un’organizzazione empatica vengono generate relazioni più solide, oltre a una maggiore e migliore collaborazione, e si potrà osservare un aumento della produttività. Sempre secondo Goleman le organizzazioni intelligenti a livello emotivo hanno maggiore chiarezza nei valori e nella missione aziendale gettando così le basi di una cultura organizzativa positiva e veicolando un’immagine chiara e precisa che riesce a distinguersi sul mercato.
Ricapitolando, coltivare l’empatia in azienda significa: creare un ambiente di lavoro positivo, facilitare la libertà di espressione di tutti i lavoratori, sviluppare migliori relazioni interne facendo sentire tutti ascoltati, compresi e rispettati, favorire la collaborazione e la gestione dei conflitti ottenendo migliori risultati di business.
L’empatia si può imparare
Molti credono che l’empatia sia qualcosa di innato. È pur vero che ci sono persone più portate perché possiedono delle capacità di intelligenza emotiva naturali, questo però non significa che non si possa apprendere. Gli studi hanno dimostrato che le competenze empatiche, come del resto tutte le competenze, possono essere apprese, a patto che ne si conoscano e comprendano le componenti e le si possano poi mettere in pratica.
Un’impresa che propone ai lavoratori di formarsi sul tema dell’empatia e riesce a metterla in pratica e quindi allenarla quotidianamente, permetterà ad ogni membro di un team di diventare un elemento importante della squadra che saprà lavorare in sintonia con il resto dei membri. Un gruppo di lavoro così formato sarà in grado di risolvere più rapidamente qualsiasi problema, aumenterà la sua efficacia e porterà proposte innovative. Individualmente ogni membro affinerà queste capacità che diventeranno parte integrante della sua professionalità. Si avrà così a che fare con persone capaci di rispettare le idee altrui, capaci di ascoltare punti di vista diversi ma anche di esprimere la propria opinione.
Nella realtà lavorativa questo si tradurrà in un aumento della collaborazione tra colleghi e si moltiplicheranno gli scambi produttivi.
I responsabili di team, se formati sull’empatia, saranno più efficaci nella gestione delle relazioni con i collaboratori, e non solo: sapranno accogliere i feedback e integrarli nei processi aziendali nell’ottica del miglioramento continuo.
Offrire ai lavoratori gli strumenti adeguati per poter sviluppare l’empatia risulta essere una scelta vincente a tutti i livelli.
I leader empatici
Come sappiamo i leader sono fondamentali nel creare una cultura aziendale positiva. Questo vale anche per l’empatia. Una delle cinque componenti chiave dell’intelligenza emotiva, sempre secondo Goleman, è proprio la leadership empatica. I leader emotivamente intelligenti sono più efficaci perché sanno riconoscere i sentimenti e le esigenze dei loro collaboratori e infondono loro un senso di fiducia. Promuovono relazioni più forti all’interno del team, favoriscono senso di appartenenza e motivazione. Tutto questo si traduce in una maggiore soddisfazione professionale e nell’aumento del benessere dei dipendenti.
Empatia al lavoro: non solo parole ma azioni
Concretamente quindi come può un’organizzazione sviluppare l’intelligenza emozionale?
La risposta spontanea è: attraverso la consulenza e la formazione. Vediamo più nel dettaglio cosa si intende. Per prima cosa offrire una formazione mirata ai collaboratori, partendo dai vertici, per far crescere competenza e consapevolezza su questo tema all’interno dell’organizzazione.
Occorrono poi delle azioni concrete da implementare in azienda, per questo la collaborazione di uno specialista che sappia consigliare le azioni da intraprendere e che aiuti a monitorare e tracciare l’efficacia di quanto messo in atto è auspicabile.
Una volta appresa questa competenza sarebbe opportuno coinvolgere i collaboratori e trovare il modo di mettere in pratica quanto acquisito introducendo piccoli cambiamenti nella quotidianità lavorativa. Ad esempio, sviluppando una cultura del feedback, utilizzando l’ascolto empatico e accertandosi di dare seguito a quanto emerso.
Si potrebbe anche realizzare un progetto di sviluppo condiviso, con attività volte a coltivare le relazioni all’interno dell’impresa. Anche in questo caso occorre coinvolgere il personale, tenendo sempre presente la necessità di misurare l’efficacia degli interventi effettuati, di condividere i risultati e di discutere insieme sui possibili miglioramenti.
I responsabili potrebbero elaborare con ogni collaboratore dei piani di sviluppo personale, valorizzandone i meriti, indagando sulle loro aspirazioni e sostenendoli nel cambiamento. Una pratica ancora poco utilizzata in Ticino e che mi sta particolarmente a cuore è la cultura dell’errore. È una preziosa risorsa di apprendimento e miglioramento continuo personale e di tutto il team che, per essere messa in pratica in maniera efficace, deve essere sostenuta dall’empatia.
Un altro punto critico in molte realtà aziendali è la comunicazione. Spesso c’è un divario importante tra quanto ci si sforza di mettere in atto per favorire la comunicazione e quanto viene recepito. Rivedere dal punto di vista empatico i processi comunicativi (come, ad esempio, le riunioni) può dare risultati sorprendenti.
In conclusione
Le aziende a volte sottovalutano l’importanza e l’impatto dell’intelligenza emotiva sul luogo di lavoro. Diversi studi hanno dimostrato che in ogni organizzazione ci sono regole non esplicitate che guidano i collaboratori e che vengono trasmesse inconsciamente. Essi sanno esattamente cosa possono o non possono esprimere
sul posto di lavoro e agiscono di conseguenza.
Per questo è estremamente importante che le imprese misurino il livello di empatia al loro interno. Purtroppo, gli strumenti standard che vengono normalmente utilizzati per le valutazioni aziendali non sono adatti allo scopo. Per questo motivo le aziende che valutano la loro empatia e sviluppano l’intelligenza emotiva sono ancora poche.
Riuscire ad instaurare una comunicazione interna più aperta aiuta a considerare tutti gli aspetti degli eventuali problemi e a trovare soluzioni migliori e innovative. Questo è però possibile unicamente se il personale si sente abbastanza libero di dire quello che pensa, senza paura di ritorsioni. Spesso tra quello che pensano i vertici aziendali e quello che percepiscono i collaboratori c’è un divario che non viene percepito o considerato. Troviamo quindi la dirigenza convinta che il personale possa dire liberamente la sua opinione mentre i collaboratori non si sentono al sicuro e per questo non esprimono il loro parere. Da qui l’importanza di costruire e coltivare relazioni empatiche.
Ricorrendo all’aiuto di un consulente preparato e dando ai propri collaboratori la possibilità di formarsi, ogni azienda o organizzazione può sviluppare l’intelligenza emozionale al proprio interno.
Articolo a cura di Monica Garbani-Nerini, Formatrice, consulente e Chief Happiness Officer
Intelligenza artificiale e mondo del lavoro: una sfida per le imprese
/in Appuntamenti, Formazione puntuale, Innovazione, Organizzazione, Risorse umane, TematicheIl termine “Intelligenza Artificiale (IA)” è oggi sulla bocca di tutti
Pur essendo oltre 50 anni che se ne parla, sono stati i più recenti progressi nella potenza dei computer, la disponibilità e la capacità di analizzare enormi quantità di dati e lo sviluppo di nuovi e sempre più complessi algoritmi, ad aver fatto fare balzi in avanti giganteschi all’IA.
Balzi avanti talmente dirompenti che oggi i Governi di tutto il mondo discutono di come “gestire” questa tecnologia e, soprattutto, come stabilire delle norme che ne regolino l’applicazione ed il funzionamento garantendo i diritti fondamentali dell’individuo i cui dati sono coinvolti nei processi.
Con IA si definisce “l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività”. In altre parole, l’IA è una tecnologia che simula i processi dell’intelligenza umana attraverso la creazione e l’applicazione di algoritmi (sequenza finita di operazioni da svolgere per risolvere un problema).
L’applicazione dell’IA nel mondo del lavoro non è fantascienza ma ormai realtà. Il mondo digitale ha visto emergere nuove professioni inesistenti fino a pochi anni fa ma anche l’incremento di lavoratori autonomi che offrono servizi tramite piattaforme o applicazioni mobili che utilizzano l’IA basandosi su algoritmi predefiniti. Far queste citiamo Uber, Deliveroo o Airnbnb.
L’IA non tocca solo la “forma” del lavoro ma ne influenza e stravolge anche la sostanza, andando a condizionarne le strutture di funzionamento ed i processi più profondi.
Ormai da tempo l’IA è parte integrante dei programmi di recruiting utilizzati dalle aziende per la selezione del personale. Significa che sempre più aziende delegano alle macchine la gestione dei colloqui di selezione e di conseguenza la scelta dei collaboratori. Tali sistemi riposano su un sistema di presa di “decisione automatizzata” e sono altresì utilizzati nella sorveglianza e nella valutazione del personale. Questo determina il fatto che l’IA non interviene solo nelle procedure di selezione ma anche nella valutazione dei collaboratori e, in ultima analisi, può determinare eventuali collaboratori non più idonei a svolgere il lavoro attribuitogli.
Un altro esempio. Oggi l’IA è in grado di redigere agilmente e in maniera autonomia testi anche complessi, la piattaforma più famosa in questo ambito è senz’altro Chat GPT (Generative Pretrained Transformer). Applicando questa capacità alla casella mail di una persona, l’IA è in grado, in brevissimo tempo, di sostituirla. L’IA è in grado di leggere e comprendere le mail in entrata e in uscita. Può rispondere simulando lo stile di chi scrive, il suo modo di ragionare, il suo atteggiamento e addirittura la sua fantasia. L’interlocutore, artificiale o umano o che sia, non si accorgerà della sostituzione.
Questa tecnologia specifica, sviluppata ad esempio da Microsoft, è già in uso in numerose aziende, soprattutto americane, dove l’IA si occupa della gestione delle mail e di tutta una serie di processi aziendali un tempo appannaggio degli uomini e oggi sempre più delegati ai computer.
Se l’IA costituisce un’importante opportunità di sviluppo, non mancano i rischi ad essa connessi. In particolare, l’utilizzo improprio dell’IA potrebbe comportare rischi anche gravi. L’Unione Europea parla espressamente del rischio di manipolare il comportamento delle persone, violandone, di fatto, i diritti fondamentali.
Proprio allo scopo di definire e contenere i potenziali rischi dell’IA, la Commissione Europea ha stabilito delle linee guida e dei limiti chiari: i sistemi di IA devono essere “sicuri, trasparenti, tracciabili, non discriminatori e rispettosi dell’ambiente”. Inoltre, è esplicito che la supervisione deve essere affidata a delle persone e non a degli automi. Dunque, non può essere l’IA a controllare l’IA.
Nelle scorse settimane, il Consiglio e il Parlamento europeo sono riusciti a trovare un’intesa su quello che sarà il contenuto del primo atto normativo che regolamenterà l’utilizzo dell’IA (Regolamento europeo sull’IA), il quale pone le basi per un utilizzo dell’IA sicuro e rispettoso dei diritti umani.
La Svizzera, come centro scientifico dello sviluppo dell’IA, seppur con un approccio moderato, vuole contribuire all’elaborazione di questo quadro normativo internazionale che consenta di sfruttare le opportunità offerte dall’IA e di affrontare in modo mirato le sfide che essa pone.
In attesa di norme che definiscano in modo più concreto l’utilizzo dell’IA, ci si chiede in che modo sia attualmente regolamentato l’utilizzo dell’IA all’interno dei rapporti professionali e in che misura i diritti fondamentali dei dipendenti siano tutelati.
Il punto centrale che permette da subito di definire delle regole è riconoscere che le tecnologie che si basano sull’IA utilizzano i dati personali degli individui e dunque rientrano indubbiamente nell’ambito del “trattamento dei dati personali”.
Il trattamento di dati è regolamentato in Svizzera dalla Legge sulla Protezione dei dati (la cui modifica sostanziale è entrata in vigore il 1° settembre 2023) e, per quanto riguarda il rapporto di lavoro, dall’art. 328b del Codice delle Obbligazioni che circoscrive la cerchia di dati che il datore di lavoro può utilizzare nell’ambito del rapporto di lavoro. Questa norma prevede infatti che il datore di lavoro è legittimato ad utilizzare (trattare) le informazioni (dati) dei dipendenti solo se si riferiscono all’idoneità lavorativa o se necessari all’esecuzione del contratto.
Un utilizzo, oltre questo scopo sarebbe illecito e comporterebbe una violazione della personalità del dipendente (diritto inalienabile e fondamentale dello stesso).
Questi principi sono validi anche nell’ambito dell’utilizzo dell’IA e, anzi, ne ampliano il campo d’applicazione.
Nel concreto, come per tutti i processi, il datore di lavoro è autorizzato ad utilizzare le tecnologie basate sull’IA solo ed esclusivamente se lo scopo ricercato è quello indicato nella norma citata.
È primordiale che nell’utilizzo delle tecnologie “permesse” il datore di lavoro salvaguardi la personalità del dipendente, applicando altresì in modo rigoroso i principi previsti dalla LPD. In particolare: liceità, informazione, consenso esplicito (dove necessario), buona fede, esattezza, finalità, trasparenza, proporzionalità e sicurezza.
Per quanto concerne il caso concreto delle “decisioni individuali automatizzate” (quali i casi di selezione di dipendenti per l’assunzione, la promozione o il licenziamento nel rapporto di lavoro), l’art. 21 LPD accorda a colui i cui dati sono oggetto di trattamento (in questo caso al dipendente) il diritto di ottenere un riesame della decisione da parte di una persona fisica (questa prerogativa può essere esclusa in caso di consenso preventivo e completo alla presa di decisione automatizzata).
È opportuno osservare che vi sono altre norme (sovente trascurate) che devono essere considerate nell’applicazione dell’IA al rapporto di lavoro, in particolare la Legge sul lavoro e la Legge sulla Partecipazione. Per ogni singolo caso, vi è una declinazione specifica dei principi citati che va discussa e delineata, ma vi è sempre un denominatore comune: un obbligo di informazione chiaro e completo.
Per approfondire il tema, circoscrivere e definire le norme applicabili a situazioni concrete durante il rapporto di lavoro, rinviamo al corso: “L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro: quali obblighi per il datore di lavoro?” che si terrà il prossimo 6 maggio 2024 online.
Dettagli e iscrizioni:
https://www.cc-ti.ch/calendario/lutilizzo-dellintelligenza-artificiale-nel-mondo-del-lavoro-quali-obblighi-per-il-datore-di-lavoro-online/
Articolo a cura di Avv. Roberta Bazzana-Marcoli, titolare RB Legal
La mobilità elettrica funziona!
/in Sostenibilità, Tematichedi Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti
Su queste pagine ho scritto spesso a favore delle automobili a propulsione totalmente elettrica. Che questa sia la mobilità del futuro sono certo che non ci siano dubbi. Ma oggi come vanno le cose per i possessori di auto a batteria? Dallo scorso aprile utilizzo una vettura completamente elettrica per i miei spostamenti giornalieri per recarmi al lavoro, ma anche per quelli saltuari su medie e lunghe distanze. Ho quindi deciso di condividere l’esperienza di dieci mesi di viaggi in modalità elettrica.
Il primo impatto a bordo della nuova auto elettrica è senz’altro positivo. Basta premere il pulsante start, inserire la modalità drive e, in completo silenzio, la vettura si mette in marcia. L’assenza del rumore del motore (che ad alcuni amanti delle auto sportive potrebbe mancare) e del cambio (le auto elettriche non hanno bisogno di un cambio di velocità) offrono a conducente e passeggeri un confort di marcia superiore. Anche la guida risulta tendenzialmente più dolce e tranquilla malgrado l’elevata potenza e coppia di cui generalmente dispongono questo genere di vetture. Per il resto l’auto si guida come un’aut a propulsione tradizionale se non per una percepibile differenza in fase di decelerazione. In particolare, selezionando la modalità recupero energia togliendo il piede dall’acceleratore, la decelerazione del veicolo è abbastanza brusca tanto che sembra di aver azionato i freni. Questo effetto, inizialmente anche un po’ fastidioso in quanto non si è abituati, è dovuto al motore elettrico che si trasforma in generatore, trasformando l’energia di movimento in energia elettrica che viene immagazzinata nelle batterie. Oltre che recuperare energia gratuitamente, questo sistema permette di risparmiare in maniera decisa l’utilizzo dei freni con un evidente risparmio anche a livello di costi di manutenzione. Fino ad oggi ho percorso oltre sedicimila chilometri, una percorrenza quindi superiore alla media che si attesta a circa quindicimila chilometri all’anno, con un consumo medio di 17,5 Kwh che corrisponde a poco più di 2’800 Kwh di energia elettrica.
Ipotizzando un costo medio dell’elettricità di 27 centesimi al Kwh per la carica al domicilio e di 55 centesimi per le ricariche pubbliche (colonnine di ricarica con potenza massima 22 Kw) ho speso grosso modo 1’150.00 CHF per ricaricare la batteria del veicolo. Questo corrisponde a circa 7.20 CHF per cento chilometri con un risparmio rispetto ad un veicolo a benzina di oltre il quarantacinque percento. Non male. E questo non considerando che buona parte dell’energia che ho utilizzato a domicilio per caricare la vettura è stata prodotta con un impianto fotovoltaico e quindi a costo quasi zero.
Ma veniamo all’esperienza di utilizzo quotidiana. Per recarmi al lavoro percorro ogni giorno circa ottanta chilometri. Con un’autonomia della batteria dichiarata di circa trecento chilometri (in realtà l’autonomia sarebbe di quattrocento chilometri, ma, come consigliato dal fabbricante dell’auto, carico la batteria generalmente solo all’ottanta percento della sua capacità così da preservarne l’efficienza anche sull’arco di molti anni) posso viaggiare almeno tre giorni senza bisogno di collegare la vettura alla wallbox di casa.
Abitando in collina e percorrendo quindi i primi cinque chilometri di strada casa-lavoro in discesa recuperando energia, ho avuto la gradevole sorpresa di riuscire ad arrivare sul posto di lavoro quasi completamente a gratis spendendo solo pochi centesimi di elettricità. Un bel risultato anche se in inverno la situazione è un po’ meno esaltante a causa dell’importante limitazione dell’autonomia. Preriscaldando però la batteria e l’abitacolo del veicolo è possibile limitare questa sgradita situazione. Nell’uso di tutti i giorni quindi, potendo caricare la vettura al domicilio, l’esperienza della mobilità elettrica è più che positiva e i maggiori costi dovuti al prezzo del veicolo ancora più elevato rispetto ad un veicolo con propulsione tradizionale e al costo della wallbox installata a casa, presto sarà ammortizzato.
E per i viaggi più lunghi? In questi mesi mi è capitato spesso di fare diversi viaggi giornalieri di quasi 200 chilometri e alcuni di oltre 300/400.
Per i primi il comportamento da tenere non cambia molto rispetto ai tragitti casa-lavoro se non quello, comunque da tenere in considerazione, di organizzarsi la sera verificando di avere un’autonomia della batteria sufficiente e, se necessario, di provvedere alla carica durante la notte. Per i viaggi più lunghi le cose cambiano
e questa è forse la situazione che crea ancora scetticismo verso la mobilità elettrica. In questo caso bisogna veramente reimparare a pianificare gli spostamenti.
Reimparare perché ormai, in particolare con l’avvento dei sistemi di navigazione, siamo abituati a non più preparare i viaggi ma semplicemente a salire in macchina, impostare la destinazione sul navigatore e partire senza nemmeno conoscere la strada da percorrere. Tanto ci guida la signora del navigatore. Con una vettura elettrica questo non funziona più o almeno è perlomeno rischioso.
Sì, perché sicuramente partendo per un viaggio più lungo di quanto permetta l’autonomia della batteria della nostra auto, dobbiamo prevedere una o più soste per fare rifornimento di energia elettrica. Pena il rischio di rimanere in mezzo alla strada con la batteria completamente scarica. Per questa pianificazione, almeno nelle auto di categoria medio/superiore, ci viene in aiuto il navigatore dell’auto o l’applicazione per smartphone che viene messa a disposizione dal fabbricante dell’auto.
Per ora la mia esperienza in questo genere di viaggi è assolutamente positiva e non ho mai avuto problemi nel trovare una stazione di ricarica quando serviva. Sulle autostrade svizzere le stazioni di ricarica sono numerose, funzionano senza troppe difficoltà, permettono di fare rifornimento in pochi minuti (il tempo di bere un caffè) e garantiscono così di poter viaggiare in tutta tranquillità. Una sola volta mi è capitato di arrivare ad una stazione di rifornimento e trovare tutte le colonnine occupate. Questa è una situazione che deve far riflettere i gestori di questi impianti che dovranno ancora investire in nuove strutture per garantirne un numero adeguato al crescente numero di veicoli elettrici in circolazione.
Ma poter caricare in autostrada non è sufficiente, per chi fa viaggi lunghi con una sosta di diverse ore durante il giorno, per esempio per partecipare ad una riunione, o si ferma per una o più notti in un albergo, è indispensabile poter contare su una stazione di ricarica disponibile alla destinazione. E questo purtroppo non è sempre il caso.
La mobilità elettrica oggi è realtà e funziona (almeno in Svizzera), ma c’è ancora molto da fare.
Autosili, parcheggi pubblici nelle vicinanze di luoghi d’aggregazione, alberghi e strutture pubbliche devono essere equipaggiate con un numero adeguato di stazioni di ricarica così da garantire il rifornimento di tutte le auto elettriche che in questi anni verranno messe in circolazione.
Un autosilo di oltre 300 parcheggi, in una struttura per manifestazioni che possono accogliere anche migliaia di persone, che dispone di solo 6 posti auto con possibilità di ricarica elettrica, è assolutamente inadeguato. E questo purtroppo è una situazione ancora troppo presente anche in Svizzera.
Prodotti a “deforestazione zero” nell’UE
/in Internazionale, Tematiche, VariaL’Unione europea mette un freno alla deforestazione e al degrado delle foreste e da fine anno introduce una due diligence obbligatoria su determinate materie prime e i prodotti derivati.
Le aziende che immettono sul mercato comunitario o che esportano dall’UE materie prime e prodotti regolamentati dal Regolamento (UE) 2023/1115, noto anche come EUDR (EU Deforestation Regulation), sono tenute a rispettarne i requisiti a partire dal 30 dicembre 2024.
I prodotti interessati
Il regolamento si applica a sette materie prime – bovini, cacao, caffè, palma da olio, gomma, soia e legno – e ai prodotti che le contengono o che sono stati fabbricati a partire da esse. L’allegato I al regolamento contiene l’elenco completo dei prodotti interessati, identificati con la rispettiva voce doganale.
Chi deve ottemperare agli obblighi?
Il regolamento opera la seguente distinzione:
Gli operatori devono assicurarsi che i prodotti in questione siano a deforestazione zero, siano stati realizzati nel rispetto della legislazione pertinente del Paese di produzione e siano oggetto di una dichiarazione di dovuta diligenza. A seconda delle loro dimensioni, anche i commercianti possono essere obbligati a eseguire gli stessi controlli degli operatori.
Contrariamente alla direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, il regolamento 2023/1115 non si applica direttamente agli operatori extra-UE: in effetti, sarà il primo operatore stabilito nell’UE a dover prendersi carico del rispetto degli obblighi stabiliti dalla norma. L’esportatore extra-UE dovrà tuttavia essere pronto a fornire le informazioni e i documenti necessari al proprio partner/importatore europeo.
Due diligence, controllo e sanzioni
Per garantire la piena conformità al regolamento, gli operatori interessati sono tenuti ad implementare un sistema di due diligence che preveda la raccolta di informazioni dettagliate, dati e documenti, nonché una valutazione dei rischi e misure di mitigazione degli stessi. In particolare, essi devono riunire, conservare (per un periodo di cinque anni dalla data in cui il prodotto è stato messo sul mercato o esportato) e, se necessario, mettere a disposizione delle autorità le seguenti informazioni e documenti:
La Commissione europea classificherà i Paesi in tre categorie di rischio (alto, standard, basso) entro il 30 dicembre 2024 e il regolamento prevede sia controlli più severi per le importazioni provenienti da aree ad alto rischio di deforestazione e degrado forestale sia un sistema sanzionatorio complesso, che include multe pecuniarie e pene detentive.
Link utili
La Commissione europea ha approntato una sezione di FAQ sul suo sito web Deforestation Platform and other EUDR implementation tools.
ESG come fattore di innovazione e vantaggio competitivo nella strategia aziendale PMI?
/in Sostenibilità, TematicheLe piccole e medie imprese (PMI) possono sfruttare le pratiche ambientali, sociali e di governance (ESG) come potente stimolo all’innovazione e come elemento chiave della loro strategia aziendale.
L’integrazione delle considerazioni ESG nelle operazioni aziendali non solo si allinea alle pratiche commerciali responsabili, ma migliora anche la competitività e la sostenibilità a lungo termine. Alcuni di questi temi sono stati anche affrontati in un evento organizzato dalla Cc-Ti in collaborazione con ESG Center of Excellence e Ticino Blockchain Technologies Association (TBTA) lo scorso 20.11.2023, intitolato “ESG come opportunità di business per le PMI ticinesi – Come la tecnologia Blockchain può aiutare”.
Ecco una tabella di marcia per le PMI per sviluppare l’ESG come fattore di innovazione e ottenere un vantaggio competitivo.
Comprendere i principi ESG:
Identificate i fattori ESG più rilevanti per la vostra attività conducendo una valutazione di materialità. Considerate l’impatto di ciascun fattore sugli stakeholder e sulle operazioni aziendali.
Integrare le considerazioni ESG nella cultura e nei valori aziendali. Assicuratevi che i dipendenti comprendano e facciano propria l’importanza della sostenibilità e delle pratiche commerciali responsabili.
Stabilire politiche ESG chiare e metriche misurabili. Definire obiettivi e indicatori chiave di performance (KPI) per monitorare i progressi e dimostrare l’impegno verso gli obiettivi ESG.
Coinvolgete gli stakeholder, compresi clienti, dipendenti, fornitori e comunità locali, nelle vostre iniziative ESG. Il loro contributo può fornire spunti preziosi e rafforzare le relazioni.
Sfruttate l’ESG come motore di innovazione sviluppando prodotti o servizi sostenibili. Considerate l’impatto ambientale, l’approvvigionamento etico e la responsabilità sociale nello sviluppo dei vostri prodotti/servizi.
Implementate pratiche di efficienza delle risorse per ridurre i rifiuti, il consumo energetico e l’impronta di carbonio. Questo non solo è in linea con gli obiettivi ambientali, ma può anche portare a risparmi sui costi.
Assicuratevi che la vostra catena di fornitura aderisca a pratiche etiche e sostenibili. Questo migliora la responsabilità sociale dell’azienda e riduce il rischio di impatti negativi associati ai fornitori.
Favorire un ambiente di lavoro diversificato e inclusivo, promuovendo l’uguaglianza e l’equità di trattamento. I team eterogenei spesso portano a una maggiore creatività e innovazione, contribuendo al successo aziendale.
Rafforzare le strutture di governance migliorando la trasparenza e la responsabilità. Comunicare chiaramente l’impegno dell’azienda verso una condotta aziendale etica e un processo decisionale responsabile.
Integrare i fattori ESG nei processi di gestione del rischio. La comprensione e la mitigazione dei rischi ESG possono aumentare la resilienza e proteggere la reputazione dell’azienda.
Comunicate regolarmente i vostri sforzi ESG attraverso i rapporti di sostenibilità e altri canali di comunicazione. Un reporting trasparente crea fiducia e credibilità con gli stakeholder.
Cercate di ottenere certificazioni o standard pertinenti (ad esempio, ISO 14001 per la gestione ambientale) per convalidare il vostro impegno nelle pratiche ESG.
L’ESG è un processo continuo. Rivedete e aggiornate regolarmente le vostre strategie in base ai cambiamenti delle circostanze, alle aspettative degli stakeholder e alle best practice emergenti.
Conclusione
Incorporando strategicamente i principi ESG nelle loro attività, le PMI possono non solo contribuire allo sviluppo sostenibile, ma anche posizionarsi come entità innovative, responsabili e competitive sul mercato. Questo approccio olistico si allinea alle preferenze dei consumatori e alle tendenze normative in evoluzione, favorendo il successo a lungo termine.
Articolo a cura di Marco Casanova, Direttore Centro di eccellenza ESG, Lugano, www.esgcenter.ch