Intervista al Presidente Cc-Ti, Glauco Martinetti
a cura di Lisa Pantini
In veste di Presidente della Cc-Ti possiede una visione globale dell’economia ticinese. A livello di sostenibilità le PMI ticinesi dove sono situate?
“Il Ticino in generale non è mai stato il Cantone all’avanguardia sulle novità. Il Ticino è periferia, di Zurigo o di Milano, e come tutte le periferie adotta le spinte avanguardistiche in ritardo. Non ho dati oggettivi (è anche molto difficile reperirli dalle aziende) ma credo che non brilliamo tra i primi della classe in termini di sostenibilità e/o responsabilità sociale delle imprese. Vero è per contro che il motore è avviato e che quindi anche da noi sempre di più si parla di sostenibilità. È un tema chiave per la Cc-Ti. Sovente si pensa di più a quella ambientale, dimenticando forse un attimo quella economica e sociale. Inoltre la popolarità di questa tematica dipende molto da settore a settore: mi sembra che nel farmaceutico e nella moda vi siano best pratices all’avanguardia in questi ambiti. In generale le aziende che operano su mercati internazionali sono più sensibili alla sostenibilità, mentre per chi opera sul solo mercato svizzero la
pressione per adottare una strategia sostenibile è forse meno sentita. Non da ultimo la taglia dell’azienda è anche un fattore determinante. Possiamo però affermare con certezza che esistono numerosi casi riconosciuti di aziende grandi e medio-piccole virtuose anche in Ticino. Parliamo di gestione imprenditoriale e manageriale responsabile, con molteplici attività svolte, che poi non sono sempre misurate o rese note al grande pubblico (ad esempio audit, certificazioni esterne, rendiconti agli stakeholder, ecc.)”.
Quanto è importante, di questi tempi, che un’azienda sia sostenibile? In che modo ogni impresa può fronteggiare questa sfida?
“La sostenibilità garantisce all’azienda un futuro. Porsi una domanda sulla responsabilità sociale porta inevitabilmente a dover progettare il proprio futuro aziendale, ideare la propria strategia, osservare da vicino l’operato della propria azienda. È quindi un momento importante ed arricchente che va al di là della semplice parola «sostenibile». In questo senso è quindi fondamentale che l’impresa sia consapevole di questi meccanismi. Essere sostenibili di regola porta ad una maggiore soddisfazione dei propri clienti, dei propri investitori e dei propri dipendenti. Ricordo infatti che la sostenibilità non è solo di tipo ambientale, ma anche economica e sociale. E le misure che possono essere intraprese per una società sono davvero molteplici, in tutti i comparti della PMI. Un’azienda sostenibile gode quindi dei favori e delle attenzioni di un vasto pubblico, sia esterno che interno alla stessa, sostenendola nell’ottimizzazione e miglioramento
dell’efficacia e dell’efficienza. Oggi, proprio perché già da molti anni si parla di sostenibilità e responsabilità sociale, esistono ancora realtà che non si sono ancora avvicinate a questo tema. Esse possono avvalersi del supporto di molti specialisti nel settore, che le accompagnano in un percorso di approfondimento. Ricordo che la nostra Camera di commercio tratta il tema. Inoltre gli uffici della Cc-Ti sono sempre a disposizione per un consiglio o un’informazione in materia. L’azienda che intende quindi affrontare il tema ha molteplici porte di entrata, non deve più svolgere un ruolo pionieristico”.
Sostenibilità a 360 gradi, coinvolgendo tutti i comparti dell’azienda (produzione, supply chain, HR, ecc.). A livello strategico, quali crede siano le best practices da seguire ed in quali ambiti?
“Credo che dipenda molto dalla complessità e dalla struttura aziendale. È evidente che un’azienda monoprodotto con una struttura molto lineare avrà meno difficoltà a implementare una strategia sostenibile rispetto ad una realtà molto più complessa. In ogni caso le conoscenze necessarie per implementare una strategia sostenibile sono veramente plurime e difficilmente acquisibili solo da una persona all’interno della struttura. Vedo quindi due approcci possibili a livello strategico: l’assunzione al proprio interno di uno specialista in materia o l’acquisizione esterna delle competenze tramite consulenze mirate. Personalmente prediligo la seconda variante: permette di avere un aggiornamento molto costante sulle novità, consente un miglior controllo dei costi e di regola si sfruttano molte sinergie con altri casi analoghi trattati dal consulente, ma dipende in ogni modo molto dalla complessità dell’azienda. Il management è però essenziale nel dare la giusta spinta e la motivazione all’interno dell’azienda: infatti il punto negativo di un approccio ricorrendo all’outsourcing tramite consulenze esterne, può proprio essere quello della difficoltà interna rispetto alla motivazione ed alla condivisione degli obiettivi da raggiungere. In questo caso il tema della sostenibilità va continuamente trattato e discusso in tutte le occasioni possibili (assemblee, riunioni del personale, ecc.) proprio
per sensibilizzare continuamente i collaboratori e mostrare l’importanza che il management dà a questa tematica. I risultati raggiunti vanno poi condivisi all’interno dell’azienda e giustamente festeggiati”.
Il caso Rapelli: l’industria alimentare che dirige ha incrementato in maniera importante la propria efficienza energetica. Ce ne può parlare brevemente, spiegandoci quali saranno i passi futuri che intraprenderete?
“La nostra azienda è il tipico esempio di società che opera esclusivamente in Svizzera e che si è avvicinata nell’ultimo decennio soprattutto alla sostenibilità ambientale. Rapelli è un grosso consumatore di energia per via della tipologia di beni che produce. In generale il prodotto che trattiamo deve subire una trasformazione, sovente a caldo, per poi essere raffreddato è mantenuto a temperature basse. Tutte queste trasformazioni richiedendo quindi dei grandi investimenti energetici. Da una prima analisi fatta con l’Agenzia Svizzera per l’Energia era scaturita una radiografia abbastanza impietosa: Rapelli riscaldava con olio da riscaldamento, aveva un’isolazione insufficiente, non recuperava il calore prodotto e quindi tutto questo portava ad un consumo e ad emissioni di CO2 esagerate. Con degli investimenti mirati dilazionati su vari anni, siamo però riusciti a ribaltare questa situazione, al punto che alla fine del 2015
siamo stati insigniti del premio «Il sole sul tetto» erogato dal WWF Sezione Svizzera Italiana. Oggi emettiamo circa la metà del CO2 del 2010. I risparmi dati dai costi di energia e il risparmio dall’esenzione della tassa sul CO2 vengono reinvestiti in azienda, generando nuovamente altre diminuzioni di consumo. Quest’anno ad esempio inseriremo una pompa calore nel nostro circuito energetico, ciò che ci permetterà di diminuire ancora sensibilmente il fabbisogno energetico”.
Responsabilità sociale delle imprese: chiave strategica per il futuro
/in Comunicazione e mediaIntervista al Presidente Cc-Ti, Glauco Martinetti
a cura di Lisa Pantini
In veste di Presidente della Cc-Ti possiede una visione globale dell’economia ticinese. A livello di sostenibilità le PMI ticinesi dove sono situate?
“Il Ticino in generale non è mai stato il Cantone all’avanguardia sulle novità. Il Ticino è periferia, di Zurigo o di Milano, e come tutte le periferie adotta le spinte avanguardistiche in ritardo. Non ho dati oggettivi (è anche molto difficile reperirli dalle aziende) ma credo che non brilliamo tra i primi della classe in termini di sostenibilità e/o responsabilità sociale delle imprese. Vero è per contro che il motore è avviato e che quindi anche da noi sempre di più si parla di sostenibilità. È un tema chiave per la Cc-Ti. Sovente si pensa di più a quella ambientale, dimenticando forse un attimo quella economica e sociale. Inoltre la popolarità di questa tematica dipende molto da settore a settore: mi sembra che nel farmaceutico e nella moda vi siano best pratices all’avanguardia in questi ambiti. In generale le aziende che operano su mercati internazionali sono più sensibili alla sostenibilità, mentre per chi opera sul solo mercato svizzero la
pressione per adottare una strategia sostenibile è forse meno sentita. Non da ultimo la taglia dell’azienda è anche un fattore determinante. Possiamo però affermare con certezza che esistono numerosi casi riconosciuti di aziende grandi e medio-piccole virtuose anche in Ticino. Parliamo di gestione imprenditoriale e manageriale responsabile, con molteplici attività svolte, che poi non sono sempre misurate o rese note al grande pubblico (ad esempio audit, certificazioni esterne, rendiconti agli stakeholder, ecc.)”.
Quanto è importante, di questi tempi, che un’azienda sia sostenibile? In che modo ogni impresa può fronteggiare questa sfida?
“La sostenibilità garantisce all’azienda un futuro. Porsi una domanda sulla responsabilità sociale porta inevitabilmente a dover progettare il proprio futuro aziendale, ideare la propria strategia, osservare da vicino l’operato della propria azienda. È quindi un momento importante ed arricchente che va al di là della semplice parola «sostenibile». In questo senso è quindi fondamentale che l’impresa sia consapevole di questi meccanismi. Essere sostenibili di regola porta ad una maggiore soddisfazione dei propri clienti, dei propri investitori e dei propri dipendenti. Ricordo infatti che la sostenibilità non è solo di tipo ambientale, ma anche economica e sociale. E le misure che possono essere intraprese per una società sono davvero molteplici, in tutti i comparti della PMI. Un’azienda sostenibile gode quindi dei favori e delle attenzioni di un vasto pubblico, sia esterno che interno alla stessa, sostenendola nell’ottimizzazione e miglioramento
dell’efficacia e dell’efficienza. Oggi, proprio perché già da molti anni si parla di sostenibilità e responsabilità sociale, esistono ancora realtà che non si sono ancora avvicinate a questo tema. Esse possono avvalersi del supporto di molti specialisti nel settore, che le accompagnano in un percorso di approfondimento. Ricordo che la nostra Camera di commercio tratta il tema. Inoltre gli uffici della Cc-Ti sono sempre a disposizione per un consiglio o un’informazione in materia. L’azienda che intende quindi affrontare il tema ha molteplici porte di entrata, non deve più svolgere un ruolo pionieristico”.
Sostenibilità a 360 gradi, coinvolgendo tutti i comparti dell’azienda (produzione, supply chain, HR, ecc.). A livello strategico, quali crede siano le best practices da seguire ed in quali ambiti?
“Credo che dipenda molto dalla complessità e dalla struttura aziendale. È evidente che un’azienda monoprodotto con una struttura molto lineare avrà meno difficoltà a implementare una strategia sostenibile rispetto ad una realtà molto più complessa. In ogni caso le conoscenze necessarie per implementare una strategia sostenibile sono veramente plurime e difficilmente acquisibili solo da una persona all’interno della struttura. Vedo quindi due approcci possibili a livello strategico: l’assunzione al proprio interno di uno specialista in materia o l’acquisizione esterna delle competenze tramite consulenze mirate. Personalmente prediligo la seconda variante: permette di avere un aggiornamento molto costante sulle novità, consente un miglior controllo dei costi e di regola si sfruttano molte sinergie con altri casi analoghi trattati dal consulente, ma dipende in ogni modo molto dalla complessità dell’azienda. Il management è però essenziale nel dare la giusta spinta e la motivazione all’interno dell’azienda: infatti il punto negativo di un approccio ricorrendo all’outsourcing tramite consulenze esterne, può proprio essere quello della difficoltà interna rispetto alla motivazione ed alla condivisione degli obiettivi da raggiungere. In questo caso il tema della sostenibilità va continuamente trattato e discusso in tutte le occasioni possibili (assemblee, riunioni del personale, ecc.) proprio
per sensibilizzare continuamente i collaboratori e mostrare l’importanza che il management dà a questa tematica. I risultati raggiunti vanno poi condivisi all’interno dell’azienda e giustamente festeggiati”.
Il caso Rapelli: l’industria alimentare che dirige ha incrementato in maniera importante la propria efficienza energetica. Ce ne può parlare brevemente, spiegandoci quali saranno i passi futuri che intraprenderete?
“La nostra azienda è il tipico esempio di società che opera esclusivamente in Svizzera e che si è avvicinata nell’ultimo decennio soprattutto alla sostenibilità ambientale. Rapelli è un grosso consumatore di energia per via della tipologia di beni che produce. In generale il prodotto che trattiamo deve subire una trasformazione, sovente a caldo, per poi essere raffreddato è mantenuto a temperature basse. Tutte queste trasformazioni richiedendo quindi dei grandi investimenti energetici. Da una prima analisi fatta con l’Agenzia Svizzera per l’Energia era scaturita una radiografia abbastanza impietosa: Rapelli riscaldava con olio da riscaldamento, aveva un’isolazione insufficiente, non recuperava il calore prodotto e quindi tutto questo portava ad un consumo e ad emissioni di CO2 esagerate. Con degli investimenti mirati dilazionati su vari anni, siamo però riusciti a ribaltare questa situazione, al punto che alla fine del 2015
siamo stati insigniti del premio «Il sole sul tetto» erogato dal WWF Sezione Svizzera Italiana. Oggi emettiamo circa la metà del CO2 del 2010. I risparmi dati dai costi di energia e il risparmio dall’esenzione della tassa sul CO2 vengono reinvestiti in azienda, generando nuovamente altre diminuzioni di consumo. Quest’anno ad esempio inseriremo una pompa calore nel nostro circuito energetico, ciò che ci permetterà di diminuire ancora sensibilmente il fabbisogno energetico”.
Innovazione? Sì, ma …
/in Comunicazione e mediaL’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
L’articolo dedicato il 13.03.2016 dal Giornale del Popolo alla legge per l’innovazione ha messo in evidenza alcuni aspetti positivi e altri critici della revisione di una legge che si vuole giustamente non più premiante ma incentivante. Scopo lodevole e condivisibile, così come è positivo il fatto che il tema dell’innovazione sia inserito in un discorso più ampio di sistema e che gli aiuti possano essere conferiti anche al settore terziario.
Con grande equilibrio il collega Stefano Modenini, direttore dell’Associazione industrie ticinesi, ha giustamente rilevato questi e altri elementi positivi, anche di carattere tecnico. Egli ha però giustamente sottolineato diversi punti critici che evidenziano ancora una volta come ormai sempre più spesso vi sia la tendenza a legiferare senza conoscere la realtà economica che si vuole regolamentare (o, secondo le tendenze odierne, moralizzare). Intendiamoci: laddove lo Stato elargisce contributi è assolutamente sacrosanto che vi sia un controllo anche rigoroso di come vengono spesi i soldi dei contribuenti. Su questo non ci piove e nemmeno l’ambito dell’innovazione può fare eccezione. Come sempre però è questione di misura e purtroppo è molto facile passare dalle legittime preoccupazioni per il denaro pubblico a regole eccessivamente restrittive e avulse dal contesto. In particolare, prevedere regole assai rigide sulla proporzione di manodopera indigena impiegata per poter avere accesso a sostegni per l’innovazione dimostra una scarsa conoscenza del nostro tessuto economico. Certo, appena si utilizza il termine “frontaliere” si scatenano subito i vari allarmi degni di un riflesso pavloviano che portano a considerare automaticamente fuori legge qualsiasi azienda che non lavori con personale al 100% svizzero o residente. Auspicio assolutamente impossibile per la nostra economia e il settore industriale in particolare. E qui non si parla di ladri o delinquenti vari che, secondo il volgo ormai diffuso ad ampio raggio, sfruttano e devastano il territorio. Il discorso vale per fior di aziende che rispettano tutte le regole esistenti, che pagano le imposte, versano salari corretti e, per usare un altro termine assai alla moda, sono “ad alto valore aggiunto”. Non è quindi un caso che, già durante la procedura di consultazione, mi ero permesso di attirare l’attenzione sul fatto che, volendo mantenere una legge per l’innovazione, il criterio dell’innovazione avrebbe dovuto rimanere al centro della valutazione perché preponderante nell’ottica del sostegno a chi soddisfa requisiti tecnici per far crescere il territorio. Togliere importanza a tale elemento per subordinarlo ad altri di natura prettamente politica non ha senso e, come ha rilevato il collega Stefano Modenini, si rischia di avere una legge che potrebbe servire a pochi o addirittura a nessuno. Questo solo perché non si vuole fare lo sforzo di capire quale sia la vera realtà economica ticinese e ci si trincera dietro frasi fatte e slogan elettorali di massima resa elettorale ma di minima efficacia economica. Peccato, si tratta di un’occasione persa per valorizzare uno strumento di per sé molto utile e pensato bene. La speranza è che magari a livello di prassi si possano un po’ ammorbidire talune valutazioni, non certo per premiare chi non lo merita ma per dare sostegno a chi può far evolvere il nostro cantone. Ho sempre sostenuto in prima persona e in prima fila la lotta agli abusi e sono assolutamente disponibile a combattere ogni forma di spreco di denaro pubblico che potrebbe andare ad aziende non rispettose delle regole esistenti. Non mi piacciono però le generalizzazioni che danneggiano indistintamente tutte le imprese, colpevolizzate per il solo fatto di non avere un effettivo sufficientemente svizzero o residente. E’ un criterio che può e deve essere valutato, ma che non può essere la sola e unica discriminante, altrimenti non è più una legge per l’innovazione.
Apertura del mercato iraniano: nuove opportunità?
/in Internazionale, TematicheLunedì 14 marzo 2016 si è tenuto presso la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del canton Ticino (Cc-Ti) l’evento “Iran, dopo le sanzioni: un Paese da riscoprire”. Una sessantina le persone presenti, questo a dimostrare il vivo interesse per un mercato, il cui ruolo economico a livello mondiale si prevede cambierà molto velocemente. L’incontro informativo intendeva offrire ai partecipanti una panoramica sulle potenzialità di sviluppo del commercio in vari settori, dare orientamenti sulla valutazione dei rischi e fornire consigli pratici sulle modalità d’entrata nel mercato iraniano.
Dopo un breve saluto da parte del Vice-Direttore della Cc-Ti, Marco Passalia, si è entrati nel vivo grazie agli interventi di Sonja Hürlimann (Head of Section Middle East and Africa, Bilateral Economic Relations, State Secretariat for Economic Affairs SECO), Suhail El Obeid (Senior Consultant Iran, Switzerland Global Enterprise), Alireza Azimzadeh (Partner, Persia Group – Legal and Business Consulting) e Seyed Ali Hosseini (giornalista e mediatore interculturale).
Svizzera e Iran
L’Iran rientra tra i primi dieci Paesi del Medio Oriente con cui la Svizzera ha relazioni commerciali. Le esportazioni elvetiche raggiungono un volume di 367 milioni di franchi, di cui il 36,6% riguardanti l’ambito farmaceutico e per 17,1% quello delle macchine di precisione, seguiti dall’orologeria e dai prodotti di base chimici. Per quanto riguarda i beni importati in territorio svizzero più della metà del totale, pari a 30 milioni di franchi, concernono il materiale tessile. In questo contesto, si tenga presente che a partire dal febbraio 2007 il Governo svizzero ha ratificato le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che prevedono sanzioni contro la Repubblica Islamica dell’Iran. Tali sanzioni sono poi state adeguate nel gennaio 2011 al livello applicato dai principali partner commerciali del nostro Paese. Il 16 gennaio 2016, d’intesa con ONU e UE, la Svizzera ha revocato le sanzioni mantenendo solo quelle inerenti il commercio e le prestazioni di servizi connessi agli armamenti, ai sistemi missilistici e ai beni che potrebbero essere utilizzati per repressioni interne. Il commercio di beni nucleari e di beni a duplice impiego nonché i servizi connessi continuano a sottostare all’obbligo di autorizzazione.
Le presentazioni
Iran Economic Overview
Suhail El Obeid, Senior Consultant Iran, Switzerland Global Enterprise
Chances and challenges for Swiss SMEs in Iran
Alireza Azimzadeh, Partner, Persia Group – Legal and Business Consulting
Cultural aspects of doing business with Iranian partners
Seyed Ali Hosseini, Journalist and Intercultural Mediator
Per ulteriori informazioni rivolgersi a:
Chiara Crivelli, Head of the International Desk, crivelli@cc-ti.ch, 091 911 51 15.
TTIP: Svizzera spettatore o giocatore della partita?
/in Internazionale, TematicheNella precedente edizione di Ticino Business abbiamo spiegato che la Svizzera dovrà determinare quale strategia intraprendere nell’ambito dei negoziati sull’accordo di partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) tra Stati Uniti e Unione Europea. Fare da spettatore o giocare la partita? Evidentemente a dipendenza della strategia che si vorrà intraprendere si prospettano rischi o opportunità per l’economia elvetica.
Ricordiamo che già oggi gran parte delle esportazioni svizzere sono destinate all’UE (53,7%) e agli USA (13,5%). È quindi evidente che il TTIP negoziato tra USA e UE potrebbe penalizzare fortemente le aziende elvetiche soprattutto tenendo presente che non esiste alcun accordo di libero scambio tra USA e CH.
Secondo un sondaggio condotto da economiesuisse tra i propri membri, “per le imprese svizzere del settore chimico, farmaceutico e delle biotecnologie, un’eventuale diminuzione dei dazi doganali significherebbe una discriminazione minore, visto il debole livello di quelli che colpiscono le importazioni negli Stati Uniti (tasso NPF applicato al 3,2%) e i costi previsti per l’applicazione del TTIP (dal 4 al 10% del valore delle merci). Tuttavia, se i negoziati in materia di procedure doganali e facilitazione del commercio dovessero sfociare in una soluzione più liberale rispetto all’accordo sulla facilitazione e la sicurezza doganali, i concorrenti europei sarebbero avvantaggiati rispetto alle imprese svizzere; queste ultime sarebbero, in quel caso, discriminate nel traffico merci transfrontaliero con gli Stati Uniti”. Alla luce di questi pareri provenienti da aziende del settore chimico, farmaceutico e delle biotecnologie, una partecipazione svizzera al TTIP porterebbe dunque grandi vantaggi.
Al contrario, se prendiamo l’esempio simbolico del settore orologiero, a detta degli addetti ai lavori un’adesione a questo spazio di libero scambio potrebbe portare ad una situazione peggiorativa. Infatti, sempre secondo il sondaggio di economiesuisse “l’orologeria teme un rischio di discriminazione se gli Stati Uniti e l’Europa si intendono, nell’ambito del TTIP, su regole d’origine relativamente ridotte con i criteri di valore del 60% o 70% (valore delle materie prime provenienti da Paesi terzi limitata al 60% o al 70% della merce finita). Se il nostro Paese adottasse gli stessi parametri, nell’ottica di conformarsi all’accordo, il settore teme una diminuzione della creazione di valore in Svizzera”.
Nel contesto degli scambi commerciali vanno considerati anche le regole dell’origine per attribuire la preferenza di dazio ai sensi dell’accordo di libero scambio stesso. In questo senso, un secondo studio commissionato dalla SECO ha messo in evidenza le possibili conseguenze, in alcuni importanti settori di importazione, di eventuali regole restrittive nel TTIP per i produttori svizzeri. Diversi settori importanti della nostra industria (componentistica per auto, strumenti di precisione, ecc.) subirebbero infatti maggiormente gli effetti negativi di questo accordo dovuti ad una concorrenza maggiore. In pratica, i produttori dell’UE potrebbero agevolmente sostituire i semilavorati svizzeri con semilavorati provenienti dall’UE o dagli USA. Lo stesso dicasi per gli USA.
Concludiamo con la convinzione che la Svizzera non può rimanere a guardare dalla finestra quello che sta succedendo nell’ambito del TTIP, ma da sola o ancor meglio in seno all’AELS dovrà avere un ruolo ancor più attivo e determinato a livello diplomatico affinché gli scenari peggiori ipotizzati in vari studi non diventino realtà. La storia della politica economica esterna svizzera ci insegna che la strategia di diversificazione dei mercati di sbocco e di estensione della aree di libero scambio porta benefici alle nostre aziende. Continuiamo dunque in questa direzione dando ossigeno alle nostre aziende.
Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana
Marco Passalia, responsabile Export e vice direttore Cc-Ti
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Giappone: quali opportunità nel Paese del Sol Levante?
/in Internazionale, TematicheEvento Paese: Giappone
Nell’ambito degli eventi di approfondimento sui Paesi organizzati dalla Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) in collaborazione con Switzerland Global Enterprise, Cippà Trasporti SA, Credit Suisse, CRIF e Euler Hermes si è svolto lunedì 7 marzo un incontro dedicato al Giappone.
Dopo i saluti introduttivi di Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana, il vice direttore e responsabile del Servizio Export della Cc-Ti Marco Passalia ha presentato i benefici dell’accordo di libero scambio (ALS) Svizzera-Giappone entrato in vigore nel 2009. L’ALS bilaterale ha permesso ai due Paesi di beneficiare di riduzioni di dazio importanti per determinate merci, come ad esempio per l’importazione in Giappone di vini o orologi svizzeri. Saper “sfruttare” un accordo di libero scambio permette alle aziende svizzere di avere un vantaggio importante rispetto ai concorrenti esteri.
Björn Eberhardt, Head of Global Macro Research di Credit Suisse si è poi soffermato sui principali fattori economici del Paese del Sol Levante. Negli ultimi 15 anni il PIL giapponese è stato positivo e anche le prospettive 2020 indicano una buona crescita. La crisi del 2009 e il terremoto del 2011 hanno inciso sul livello di consumi e le difficoltà sono state aggravate dai problemi demografici, ma nel complesso il Paese ha saputo risollevarsi.
Come ha sottolineato Naoko Wada, Trade Advisor dello Swiss Business Hub Japan, per le aziende svizzere le opportunità commerciali in Giappone sono molto interessanti. In particolare nei settori nell’industria robotica e infermieristica, poiché l’evoluzione demografica indica che le persone con più di 65 anni saranno oltre il 31,7% nel 2030 e il 29,8% nel 2050. Una crescita importante rispetto agli anziani attuali che rappresentano il 26,7% della popolazione. Il settore dei servizi del Paese del Sol Levante è infatti fondamentale poiché genera il 70% del PIL.
Ma quali sono le informazioni giuste per valutare le aziende giapponesi? Dalle analisi di Atilla Kavukcu, Marketing Specialist di CRIF emerge come il Giappone non sia un Paese particolarmente a rischio per fare business. Tutte le società sono sottoposte al “Companies ACT” e quindi hanno l’obbligo di presentare la loro situazione finanziaria. Malgrado però una legge anticorruzione molto forte, il fenomeno del cosiddetto “amakudari”, ovvero il reimpiego di burocrati di alto livello in aziende private, è profondamente radicato.
Infine, Angelo Betto, Direttore Operativo e Roberto Nanni capo area spedizioni aereo & mare di Cippà Trasporti SA hanno presentato il lato logistico delle spedizioni da e verso il Giappone. Oltre agli aspetti tecnici, Betto e Nanni hanno sottolineato come i giapponesi abbiano un’altissima competenza a livello doganale, siano amanti della perfezione e sono sempre disponibili nell’aiutare a risolvere eventuali problematiche.
Il primo appuntamento del 2016 degli Eventi-Paese si è concluso con un ottimo aperitivo. La Cc-Ti dà appuntamento a lunedì 9 maggio per il prossimo evento dedicato alla Russia.
Le presentazioni
Come beneficiare dell’accordo di libero scambio Svizzera-Giappone
Marco Passalia
Economic Outlook
Björn Eberhardt
Business Opportunities
Naoko Wada
Le informazioni giuste per valutare le aziende giapponesi
Atilla Kavukcu
Il lato logistico delle spedizioni da e verso il Giappone: un esempio pratico
Angelo Betto e Roberto Nanni
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Lacrime di coccodrillo
/in Comunicazione e mediaL’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
Il tema della responsabilità sociale delle aziende (molto caro alla Cc-Ti e che sarà oggetto di uno dei nostri prossimi eventi “Sostenibilità aziendale: un vantaggio competitivo”) è purtroppo spesso utilizzato a senso unico, cioè quale argomento principale di accusa alle aziende, colpevoli di devastare il territorio, costruire inutili capannoni, praticare dumping salariale diffuso e assumere solo frontalieri. Quindi in sostanza per denunciare una serie di comportamenti irresponsabili veri ma soprattutto presunti.
Abbastanza emblematico in questo senso è il caso della partenza dal Ticino della branch svizzera del gruppo della casa di moda Giorgio Armani. Azienda superficialmente inserita nel gruppo di quelle che non portano nulla al territorio, sicuramente perché di origine e proprietà italiana, quindi colpevole a prescindere. Non deve quindi sorprendere più di tanto l’improvviso attivismo di taluni politici che si sono subito mobilitati per denunciare l’ennesimo sfruttamento del sistema svizzero da parte di gente senza scrupoli che umilia il nostro paese e poi lo abbandona sbeffeggiandolo dopo aver abusato di favori inconfessabili. Peccato che con un po’ più di attenzione si sarebbe potuto facilmente scoprire che – al di là delle modalità di comunicazione, che, come capita spesso con gruppi internazionali, è molto distante dalla cacofonia mediatica a cui ormai siamo abituati – la realtà è ben diversa. In effetti, l’azienda in questione è presente sul nostro territorio da venti anni, impiega oltre un centinaio di persone a salari corretti e regolati da un contratto collettivo di lavoro, è un contribuente ordinario e importante per comune, cantone e Confederazione. E’ vero che la parte di lavoratori svizzeri o residenti è minoritaria, ma basta questo per mettere in croce un’azienda che comunque al territorio porta molto senza godere di particolari vantaggi? Non credo proprio. Facile quindi sparare nel mucchio indistintamente per raccogliere consensi, salvo poi fasciarsi la testa perché parte un importante contribuente di un settore comunque prestigioso per la nostra economia. Come al solito, manca un equilibrio di giudizio e, peggio ancora, una volontà di conoscere veramente le realtà economiche presenti sul territorio. Acciecati da termini generici come “alto valore aggiunto”, taluni non si sono ancora accorti che il tessuto economico ticinese è variegato e che le dinamiche economiche sono molto complesse, con realtà internazionali certo criticabili ma non truffaldine di principio. Un’azienda internazionale può decidere di spostare la propria sede per molti motivi, non per forza legati alla fine dello sfruttamento di presunti e inconfessabili vantaggi concessi dalla sprovveduta Svizzera. Nello specifico c’entra poco l’imminente riforma III dell’imposizione delle imprese, perché verosimilmente si tratta piuttosto di una questione di strategia generale del gruppo, magari influenzata da certe pressioni esercitate dal fisco italiano. Ma questo fa parte del gioco odierno e occorrerebbe tenerne conto quando si sparano giudizi affrettati. Può magari non piacere, ma la nostra competitività dipende anche da queste realtà e sarebbe sbagliato stigmatizzarle senza distinzioni. E’ opportuno a questo proposito ricordare che occorre essere attivi su più fronti, garantendo le migliori condizioni possibili alle aziende già sul territorio e a quelle che potrebbero insediarvisi, senza illudersi che alle nostre frontiere vi sia la coda di straordinarie aziende produttive ad altissimo valore aggiunto e che danno lavoro solo a svizzeri. Giusto prestare attenzione a chi si interessa al nostro territorio, ma attenzione ai criteri che si utilizzano per giudicare. Non sempre le perle sono quelle che nell’immaginario collettivo si pensa possano essere aziende fenomenali. Spesso le perle sono nascoste e si annidano anche in quei settori in cui ci si sporca le mani. Ma questo meriterebbe ulteriori e più dettagliati approfondimenti. Forse può essere utile ricordare la celebre frase utilizzata da Bill Clinton nella campagna presidenziale del 1992: “It’s the economy, stupid”. Appunto.
San Gottardo e oltre
/in Comunicazione e mediaL’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
Impossibile non esprimere soddisfazione per il chiaro risultato della votazione popolare dello scorso 29 febbraio che ha avallato il risanamento della galleria autostradale del San Gottardo. Un lavoro lungo, costante e soprattutto serio ci ha permesso, partendo da molto lontano, di convincere dapprima le autorità federali e poi la popolazione svizzera che si tratta di un’opera necessaria non solo per l’economia ticinese ma anche per quella svizzera in generale.
In un clima arroventato e spesso ostile abbiamo sostenuto molti dibattiti e confronti pubblici, soprattutto per far capire che il Ticino non può prescindere da collegamenti verso nord affidabili, con la complementarietà fra strada e ferrovia. Elemento quest’ultimo assolutamente scontato in tutte le altre regioni svizzere e che sarebbe stato assurdo negare per il Ticino (e per il traffico svizzero di export verso sud), soprattutto con la prospettiva certa di una chiusura per tre anni del collegamento stradale. Gli sconfitti, dopo i più o meno comprensibili sfoghi nervosi post-votazione, hanno già minacciato che il San Gottardo sarà un sorvegliato speciale, sottintendendo che anche noi pericolosi e irresponsabili “raddoppisti” non la passeremo liscia. Minacce purtroppo divenute un classico nella campagna di votazione, ma che non mi turbano. La legge adottata dal popolo svizzero fornisce le più ampie garanzie che al San Gottardo due corsie sono e due rimarranno e non ho nessun timore a garantire che questo sarà rispettato. Del resto, come più volte sottolineato e accennato anche in apertura di questo contributo, per l’economia è indispensabile la complementarietà fra strada e ferrovia, compreso il trasferimento delle merci in transito su quest’ultima, come previsto dall’articolo costituzionale che protegge le Alpi. Quindi non vi è nessuna volontà di sabotare Alptransit, anzi. Grazie a un collegamento stradale sicuro anche il traffico ferroviario potrà trarne beneficio ed evitare pericolosi intasamenti che, paradossalmente, violerebbero appunto il dettame costituzionale che impone il trasferimento delle merci in transito e non, nota bene, del traffico interno. Sarebbe impossibile avere maggiori garanzie legali, per cui lo statuto di “sorvegliato speciale” mi fa un po’ sorridere, perché andrebbe applicato a qualsiasi oggetto in votazione che richiede il rispetto di una legge. Quindi praticamente a qualsiasi cosa. Ma va bene, che sorveglianza speciale sia, non abbiamo nulla da temere. Pur essendo stato tacciato di “stupratore della Costituzione” ho un grande rispetto per le nostre istituzioni e le nostre regole, probabilmente maggiore di tanti che si riempiono la bocca di grandi principi giuridici senza avere mai aperto una sola volta nella vita la nostra Carta fondamentale. Quindi non vi saranno forzature per aprire quattro corsie, per permettere l’invasione di camion europei (detto da chi si è sempre professato europeista fa riflettere…) e quant’altro. Punto e basta.
Ora l’unica priorità è l’esecuzione di quanto voluto dal popolo svizzero con una chiara maggioranza, ossia la realizzazione di un secondo tubo, affinché vi siano poi due tubi monodirezionali a una corsia. Per concludere, un accenno alla votazione cantonale sugli orari di apertura dei negozi. La mini-revisione accolta dal popolo ticinese non è certo rivoluzionaria e non risolverà determinati problemi del settore del commercio legati a fattori come la forza del franco. Tuttavia si tratta di un tassello importante per mettere ordine nell’ambito delle deroghe e per dare un po’ più di flessibilità. Sperando che una maggiore chiarezza legislativa possa aiutare il raggiungimento di un accordo fra le parti sociali affinché il settore abbia le armi necessarie per affrontare i profondi mutamenti delle abitudini di consumo.
La Cc-Ti in visita alla fiera del settore alimentare “PRODEXPO”
/in Appuntamenti, Eventi e missioni, Missioni economicheDal 7 al 9 febbraio la Cc-Ti si è recata a Mosca con alcune aziende ticinesi per visitare la fiera internazionale del settore alimentare PRODEXPO, giunta alla sua 23° edizione.
Secondo la Russian National Exhibition Rating, stabilita dalla Camera di commercio e dell’industria della Federazione Russa e l’Unione russa delle esposizioni e fiere, Prodexpo è stata riconosciuta come la fiera più grande in Russia per la categoria dei prodotti alimentari. Durante la fiera sono presentati i migliori prodotti alimentari, bevande e le ultime tecnologie per l’industria alimentare. Quest’anno lo spazio espositivo contava 100’000 m2 e 1’986 espositori, provenienti da 65 paesi. I padiglioni nazionali sono 27 (tra cui quelli di Brasile, Italia, Francia, Cina, Iran, Turchia,…). Ogni anno viene visitata da più 50’000 persone in provenienza da 100 paesi e da tutte le regioni russe. Il potenziale economico della fiera è molto alto, come il profilo dei visitatori: il 94% dei visitatori è infatti professionista del settore alimentare. La fiera riceve il patrocinio del Ministero dell’agricoltura della Federazione russa e della Città di Mosca.
La visita a Prodexpo è stato solo il primo dei progetti russi della Cc-Ti per il 2016. In programma vi saranno ancora due missioni commerciali, una in aprile (dal 11 al 15) e l’altra in settembre. Il lavoro della Cc-Ti sul mercato russo continua quindi a pieno ritmo!
Per chi fosse interessato alle prossime missioni della Cc-Ti, contattare:
Chiara Crivelli, Head of the International Desk, crivelli@cc-ti.ch
Padiglione svizzero a Expo 2017 Astana
/in Internazionale, TematicheAbbiamo il piacere di informarvi che il 21 gennaio 2016 la Svizzera, in presenza del Primo Ministro kazako Kärim Mässimov, ha firmato l’accordo di partecipazione a “Expo 2017 Astana”. La prossima esposizione universale, dal tema “Future Energy”, si terrà ad Astana dal 10 giugno al 10 settembre 2017. Gli Stati partecipanti sono invitati a riflettere sul tema delle nuove fonti di energia, tramite i loro progetti, su sfide cruciali, come la riduzione delle emissioni di CO2, l’efficienza e l’approvvigionamento energetico. Un totale di 70 Paesi e 8 organizzazioni internazionali hanno già confermato la loro partecipazione a Expo 2017.
Presenza Svizzera, l’organo del Dipartimento degli affari esteri responsabile della promozione dell’immagine della Svizzera all’estero, è stata incaricata di realizzare il padiglione nazionale.
Philippe Roesle, Project Manager di swissnex mobile, sta attualmente lavorando all’identificazione di contenuti adatti e attrattivi per il Padiglione svizzero, con l’obiettivo di presentare l’eccellenza svizzera nel campo delle energie future, con un possibile focus su efficienza energetica e cleantech. Il contenuto e il concetto del Padiglione svizzero saranno definiti entro la fine di giugno 2016, dopodiché Presenza Svizzera sarà in grado di comunicare al settore privato le diverse possibilità di partecipazione.
Al fine di essere il più efficace possibile, Presenza Svizzera chiede ai potenziali interessati di esprimersi sulla natura del coinvolgimento desiderato per un’eventuale partecipazione al Padiglione svizzero:
Celia Arribas, Head of Sponsoring presso Presenza Svizzera, aspetta i vostri feedback entro l’11 marzo 2016.
Contatto
celia.arribas@eda.admin.ch
+41 58 46 54253
Presenza Svizzera è a vostra disposizione per qualsiasi ulteriore informazione.
Manuel Salchli
Commissioner General
Eidgenössisches Departement für auswärtige Angelegenheiten EDA
Generalsekretariat GS-EDA
Präsenz Schweiz
Bundesgasse 32, CH – 3003 Bern
Tel. +41 (0) 58 463 04 49
Mob. +41 (0) 79 220 42 16
manuel.salchli@eda.admin.ch
www.eda.admin.ch
Your Gateway to Switzerland: www.aboutswitzerland.org
Transatlantic Trade and Investment Partnership
/in Internazionale, TematicheL’acronimo TTIP è ancora poco noto alle nostre latitudini anche se nel prossimo futuro è destinato a diventare un termine di uso comune per lo meno nei contesti istituzionali, politici o economici. L’espressione completa Transatlantic Trade and Investment Partnership (partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti) ci aiuta a delimitare l’ambito ma ancora non è chiaro di cosa si tratta né perché dovrebbe essere un argomento di crescente importanza a livello globale. Per mettere a fuoco il tema è necessario spiegare che stiamo parlando dell’accordo commerciale di libero scambio in fase di negoziato dal 2013 tra gli Stati Uniti d’America (USA) e l’Unione Europea (UE). Un’intesa che in caso di conferma sarà destinata ad influenzare lo sviluppo economico dei decenni a seguire. Per la Svizzera si prospettano opportunità o rischi a dipendenza di come il nostro Paese vorrà muovere le sue pedine sullo scacchiere internazionale.
L’accordo in corso di negoziazione tra UE e USA potrebbe portare alla creazione della più importante area di libero scambio al mondo. Essa includerebbe quasi la metà della produzione economica a livello globale e circa un terzo del commercio mondiale. Gli obiettivi di questa integrazione del mercato statunitense con quello comunitario sono facilmente riassumibili: facilitare l’accesso al mercato (ad esempio attraverso l’eliminazione dei dazi doganali), rimuovere le cosiddette barriere non tariffali (es. procedure di omologazione, regole sanitarie e fitosanitarie, ecc.) e definire al contempo nuove regole commerciali (si pensi al tema attualissimo della proprietà intellettuale). Inutile dire che il nome di «Partenariato economico» indica già da solo che il contenuto dell’accordo dovrebbe estendersi ben oltre il campo della materia doganale.
Le prospettive di ottenere dei benefici concreti sono evidenti a tutti, ma non è invece ancora chiaro se la Svizzera potrà trovare delle opportunità da questo accordo.
In una risposta ad un’interpellanza parlamentare del giugno del 2014, il Consiglio Federale ha dichiarato che “La Svizzera non è coinvolta nelle trattative in corso tra l’UE e gli Stati Uniti per un partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (…). Tuttavia, dato che sia l’UE sia gli Stati Uniti sono importanti partner commerciali del nostro Paese, il Consiglio federale segue da vicino gli sviluppi relativi al suddetto TTIP”. Si tenga presente che i due terzi delle esportazioni svizzere sono convogliati nell’UE (2014: 114 miliardi di franchi) e negli USA (2014: 26 miliardi di franchi). Per quanto concerne le importazioni di merci, la quota è ancora più significativa (79,3%, di cui il 73,2% proveniente dall’UE e il 6,1% dagli Stati Uniti).
I numeri parlano da sé e l’importanza di questo accordo per la Svizzera è innegabile. Dal punto di vista elvetico l’approccio a questo partenariato deve essere proattivo e incisivo. Sebbene la Svizzera non sia direttamente coinvolta nel TTIP sappiamo che grazie ad un dialogo di politica commerciale aperto dall’AELS con gli USA, anche i membri dell’AELS (tra cui la Svizzera) sono regolarmente al corrente dei negoziati in corso. Naturalmente ad un certo punto anche la Svizzera dovrà capire quale sarà la miglior strategia da attuare per evitare di essere esclusa da un’area di libero scambio destinata a crescere d’importanza. Ciò non è sufficiente se allo stesso momento non si comincia a quantificare i rischi e le opportunità legate ad un siffatto accordo di libero scambio. L’autorità federale ha già avviato delle indagini su quelle che potrebbero essere le ripercussioni di un ALS UE-USA sulla Svizzera.
Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana
Marco Passalia, responsabile Export e vice direttore Cc-Ti
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