L’importanza degli accordi bilaterali per le aziende ticinesi

La Svizzera non è un paese membro dell’UE. Per accedere al mercato unico europeo il nostro paese ha quindi concluso una serie di accordi bilaterali con l’UE.

Il primo pacchetto di accordi bilaterali è stato concluso nel 1999. Questo gruppo di accordi comprende i seguenti settori:

  • Cooperazione scientifica e tecnologica;
  • Appalti pubblici;
  • Abolizione degli ostacoli tecnici al commercio;
  • Commercio dei prodotti agricoli;
  • Trasporto aereo;
  • Trasporto terrestre;
  • Libera circolazione delle persone.

Altri accordi bilaterali sono stati conclusi nel 2004. Tra i più importanti e significativi per il nostro paese figurano l’accordo che permette alla Svizzera di partecipare al sistema di Schengen, quello che associa la Svizzera alla politica europea nel settore dell’asilo (Dublino) e quello che permette agli studenti svizzeri di circolare negli istituti di formazione europei.

Il 9 febbraio 2014 il popolo svizzero ha accolto in votazione l’iniziativa popolare denominata “Contro l’immigrazione di massa”. In base a tale articolo costituzionale la Svizzera deve reintrodurre contingenti e il principio della preferenza nazionale anche nei confronti dei cittadini europei. Il Consiglio federale è pertanto incaricato di rinegoziare l’accordo sulla libera circolazione delle persone concluso con l’UE nel 1999, in quanto incompatibile con i principi accettati in votazione. Tenuto conto delle difficoltà incontrate da parte del Consiglio federale nei recenti contatti avuti con le istituzioni europee, non è escluso che la rinegoziazione dell’accordo sulla libera circolazione delle persone si riveli impossibile. Ne consegue che l’accordo bilaterale potrebbe essere in pericolo. In virtù di una clausola contenuta negli accordi del 1999, nel caso in cui uno dei trattati dovesse cadere, entro 6 mesi cadrebbero automaticamente anche gli altri 6 accordi. Si tratta di una conseguenza automatica prevista da tale clausola. Inoltre l’UE ha già preannunciato che se dovessero cadere gli accordi bilaterali del 1999, non avrebbe alcun senso continuare ad applicare con la Svizzera gli accordi di Schengen, di Dublino e quello sulla circolazione degli studenti.

In altre parole, a seguito di quanto deciso in votazione popolare lo scorso 9 febbraio 2014, gli accordi bilaterali nel loro complesso potrebbero essere in bilico.

Tenuto conto di tali premesse a noi interessa conoscere quali sarebbero le ripercussioni per le aziende ticinesi nel caso in cui lo scenario di una caduta dei bilaterali dovesse verificarsi. A tale scopo abbiamo quindi allestito una serie di domande alle quali vi preghiamo di rispondere. Clicca qui per accedere al sondaggio.

Le vostre risposte ci saranno utili per meglio comprendere l’effettiva posta in gioco nella discussione che già sta iniziando su questo tema. Le vostre risposte non verranno rese accessibili a terze persone se non in forma consolidata e anonima.

Per chi volesse approfondire il tema, la Seco ha pubblicato due rapporti sulle conseguenze economiche per l’intera Svizzera nel caso in cui dovessero cadere gli accordi bilaterali, link.

Responsabilità sociale e mobilità

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

E’ già da qualche tempo che la Cc-Ti si sta occupando del tema della responsabilità sociale delle imprese, cavalcato spesso per mettere sul banco degli accusati le aziende, capro espiatorio che affliggono la società e che vanno moralizzate attraverso l’introduzione di massicci interventi statali che devono limitarne la libertà. Libertà economica e imprenditoriale, è bene ricordarlo sempre, che è un diritto costituzionale. E’ quindi importante adoperarsi affinché questa dinamica di sospetto venga modificata perché, escludendo i disonesti che vi sono in ogni categoria umana, le aziende fanno molto nel quadro della responsabilità sociale delle imprese, per la misurazione della quale vi sono vari sistemi e indicatori. Utilizzati però troppo spesso più per dimostrare qualche teorema ideologico che misurare il reale impatto delle imprese sul territorio. A questo proposito non va dimenticato che la responsabilità sociale dovrebbero dimostrarla ogni giorno tutte le cittadine e tutti i cittadini, i politici, i giornalisti e via dicendo. Non è per nulla socialmente responsabile il comportamento di un giornale che ipotizza una losca storia di truffe dietro al suicidio di una persona nota, quando tali illazioni si rivelano subito manifestamente false e non vi è nemmeno uno straccio di scuse ai parenti.

Questo dimostra la complessità del tema della responsabilità sociale, nella quale può rientrare pure il tema della mobilità. Esso è purtroppo spesso ridotto alla sola componente del traffico visibile e confinato nell’assurda contrapposizione fra strada e ferrovia, come se fosse vitale alimentare una concorrenza fra i due vettori. Quando in realtà sappiamo benissimo che un territorio che si vuole competitivo deve vivere della complementarietà fra i mezzi di trasporto e in questo senso vanno trovate le soluzioni. Vitale è anche la ricerca di soluzioni concertate fra pubblico e privato e servono a poco le misure solo sanzionatorie, che calmano forse certi ardori soprattutto elettorali, ma che nel medio e lungo termine non risolvono molti problemi. E’ noto, l’essere umano ha bisogno che si metta qualche paletto, perché la gestione della libertà non è sempre esercizio facile e l’auto-responsabilità sembra un valore che non fa più tendenza. Eppure continuo a credere che la ricerca di soluzioni condivise sia la strada giusta, magari meno spettacolare perché non riempie i media di polemiche, ma più efficace. I paletti vanno bene, le travi, i massi e la clava non mi piacciono perché non stiamo parlando di delinquenti ma di esseri umani che, nella loro fallibilità, comunque lavorano e producono anche nell’interesse del paese.

Per approfondire questa ampia tematica abbiamo pertanto organizzato, il 15 aprile 2016, una giornata di respiro nazionale dedicata alla mobilità, con la presenza dei nostri colleghi basilesi e neocastellani (sotto l’egida dell’Associazione delle Camere di commercio e dell’industria svizzere), imprese e rappresentanti del cantone per confrontarci su possibile idee d’oltre Gottardo che magari possono ispirare anche qualche soluzione al problema del traffico ticinese. Uno sguardo a quanto avviene al di fuori dei confini del nostro cantone, rimanendo nel contesto elvetico, può aiutare a capire come altre regioni stiano affrontando in maniera strutturata il problema del traffico. Nello specifico, due regioni come Basilea e Neuchâtel che hanno problemi comparabili a quelli del Ticino, compreso quello del traffico proveniente da oltre confine. Sarebbe peccato non parlarne.

Il “MobiliTI Day” si articolerà su due momenti:

SWISSFIRMS si rinnova e facilita il suo utilizzo sui dispositivi mobili

Losanna, 29 marzo 2016 – Principale piattaforma dei dati economici delle imprese in Svizzera, il portale www.swissfirms.ch è ora anche disponibile per consultazioni mediante tablet e smartphone. Informazioni su circa 15.000 schede di attività commerciali si rendono, in questo modo, accessibili in qualsiasi momento e indipendentemente dal dispositivo utilizzato.

Nato nel 1997 dalla collaborazione tra le Camere di Commercio e dell’Industria Svizzere (CCIS) e con il supporto tecnico della società di telecomunicazioni VTX, SWISSFIRMS dispone di informazioni dettagliate e verificate su 15.000 aziende associate:
le persone di riferimento, i dati di contatto, le aree di attività e di subappalto, così come informazioni complete sui prodotti e servizi, know-how, e altro ancora.
Si tratta di uno strumento di promozione e ricerca sicuro ed efficiente.
Tutte le caratteristiche sono state mantenute nel nuovo sito, che si adatta ora a qualsiasi schermo. E possibile fare rapidamente una ricerca mirata, selezionare l’utente desiderato, contattarlo e visualizzare la posizione dell’azienda sulla mappa.

Contatti
Luca Albertoni, Membro CdA: 091 911 51 28
Olivier Fantino, Segretario SWISSFIRMS: 079 524 14 46
Scarica il comunicato stampa in PDF

Responsabilità sociale delle aziende: una condotta vincente

Il 24 marzo 2016 si è tenuto presso la sede della Rapelli SA di Stabio l’evento “Sostenibilità aziendale: un vantaggio competitivo”. Attraverso quest’incontro (scarica il flyer) la Cc-Ti ha voluto rendere attento il pubblico sull’importante tematica della Responsabilità sociale delle aziende. Agli associati presenti è stata illustrata anzitutto la strategia e l’impegno della Camera al suo interno (in termini di auto-valutazione, elaborazione di pubblicazioni, sostegno alle aziende e offerta formativa). È poi stato presentato un partner affidabile e rinomato a livello internazionale sul quale appoggiarsi, l’azienda Quantis, spin-off dei  Politecnici Federali di Zurigo e Losanna.  Infine i presenti hanno potuto lasciarsi ispirare, da un lato dall’approccio innovativo promosso da un’eccellenza elvetica in materia, l’EMPA, e dall’altro lato grazie all’esperienza pratica di un’azienda locale che si è distinta per il suo impegno in materia, la Rapelli SA.

Dopo un breve saluto dell’onorevole Sindaco di Stabio, Claudio Cavadini, e del Direttore di Divisione del DFE, Stefano Rizzi, ha preso la parola Roberto Klaus, Direttore SSIB Ticino, mettendo in risalto la centralità per la Cc-Ti di promuovere sul territorio una cultura aziendale socialmente responsabile. Ciò che in poche parole significa l’adozione di una strategia produttiva e commerciale responsabile, sia dal profilo sociale che da quello di una crescita economica sostenibile, al fine di assicurare anche alle attività delle stesse aziende maggiore stabilità e durata nel tempo.
Roberto Klaus ha poi illustrato in che modo la nostra associazione si sta adoperando per tradurre questo obiettivo in realtà. Tanto al suo interno, sottoponendosi a un’autovalutazione, che verso l’esterno fornendo ai suoi associati dei servizi specifici in materia quali; pubblicazioni, offerte formative e indicandogli un partner affidabile per quanto concerne specialmente il Life Cycle Assessment (LCA), l’azienda Quantis.

La parola è quindi passata al Direttore dell’EMPA, Gian-Luca Bona, che con carisma e semplicità ha tracciato il lungo cammino proprio alla ricerca che va dalla scoperta all’innovazione, risaltandone l’importanza strategica per uno sviluppo sostenibile. E’ stato quindi il turno di Simone Pedrazzini – Responsabile Ticino per Quantis – che ha brillantemente spiegato come un approccio rigoroso in materia di sostenibilità aziendale sia un valore aggiunto per tutti i tipi di impresa. Infine, Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti, nonché Direttore Rapelli SA, ha portato il suo esempio pratico, illustrando nella fattispecie come sia possibile rendere la propria azienda più sostenibile.

L’evento si è concluso con l’intervento di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti, che ha risaltato come sia importante per il substrato economico ticinese avere la possibilità di entrare in contatto con dei professionisti del calibro di Gian-Luca Bona e Simone Pedrazzini, che danno un respiro nazionale e internazionale alla discussione, apportando elementi di grande interesse. A titolo conclusivo, il Direttore Cc-Ti ha ricordato, come il tema della Responsabilità sociale delle aziende verrà trattato, nelle sue svariate sfaccettature, ancora durante tutto il corso dell’anno, a prova della sua centralità per la nostra struttura.

Qui di seguito potrete ascoltare le interviste ai relatori.

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Responsabilità sociale delle imprese: chiave strategica per il futuro

Intervista al Presidente Cc-Ti, Glauco Martinetti

a cura di Lisa Pantini


In veste di Presidente della Cc-Ti possiede una visione globale dell’economia ticinese. A livello di sostenibilità le PMI ticinesi dove sono situate?

“Il Ticino in generale non è mai stato il Cantone all’avanguardia sulle novità. Il Ticino è periferia, di Zurigo o di Milano, e come tutte le periferie adotta le spinte avanguardistiche in ritardo. Non ho dati oggettivi (è anche molto difficile  reperirli dalle aziende) ma credo che non brilliamo tra i primi della classe in termini di sostenibilità e/o responsabilità sociale delle imprese. Vero è per contro che il motore è avviato e che quindi anche da noi sempre di più si parla di  sostenibilità. È un tema chiave per la Cc-Ti. Sovente si pensa di più a quella ambientale, dimenticando forse un attimo quella economica e sociale. Inoltre la popolarità di questa tematica dipende molto da settore a settore: mi sembra che nel farmaceutico e nella moda vi siano best pratices all’avanguardia in questi ambiti. In generale le aziende che operano su mercati internazionali sono più sensibili alla sostenibilità, mentre per chi opera sul solo mercato svizzero la

pressione per adottare una strategia sostenibile è forse meno sentita. Non da ultimo la taglia dell’azienda è anche un fattore determinante. Possiamo però affermare con certezza che esistono numerosi casi riconosciuti di aziende grandi e medio-piccole virtuose anche in Ticino. Parliamo di gestione imprenditoriale e manageriale responsabile, con molteplici attività svolte, che poi non sono sempre misurate o rese note al grande pubblico (ad esempio audit, certificazioni esterne, rendiconti agli stakeholder, ecc.)”.

Quanto è importante, di questi tempi, che un’azienda sia sostenibile? In che modo ogni impresa può fronteggiare questa sfida?

“La sostenibilità garantisce all’azienda un futuro. Porsi una domanda sulla responsabilità sociale porta inevitabilmente a dover progettare il proprio futuro aziendale, ideare la propria strategia, osservare da vicino l’operato della propria azienda. È quindi un momento importante ed arricchente che va al di là della semplice parola «sostenibile». In questo senso è quindi fondamentale che l’impresa sia consapevole di questi meccanismi. Essere sostenibili di regola porta ad una maggiore soddisfazione dei propri clienti, dei propri investitori e dei propri dipendenti. Ricordo infatti che la sostenibilità non è solo di tipo ambientale, ma anche economica e sociale. E le misure che possono essere intraprese per una società sono davvero molteplici, in tutti i comparti della PMI. Un’azienda sostenibile gode quindi dei favori e delle attenzioni di un vasto pubblico, sia esterno che interno alla stessa, sostenendola nell’ottimizzazione e miglioramento

dell’efficacia e dell’efficienza. Oggi, proprio perché già da molti anni si parla di sostenibilità e responsabilità sociale, esistono ancora realtà che non si sono ancora avvicinate a questo tema. Esse possono avvalersi del supporto di molti specialisti nel settore, che le accompagnano in un percorso di approfondimento. Ricordo che la nostra Camera di commercio tratta il tema. Inoltre gli uffici della Cc-Ti sono sempre a disposizione per un consiglio o un’informazione in materia. L’azienda che intende quindi affrontare il tema ha molteplici porte di entrata, non deve più svolgere un ruolo pionieristico”.

Sostenibilità a 360 gradi, coinvolgendo tutti i comparti dell’azienda (produzione, supply chain, HR, ecc.). A livello strategico, quali crede siano le best practices da seguire ed in quali ambiti?

“Credo che dipenda molto dalla complessità e dalla struttura aziendale. È evidente che un’azienda monoprodotto con una struttura molto lineare avrà meno difficoltà a implementare una strategia sostenibile rispetto ad una realtà molto più complessa. In ogni caso le conoscenze necessarie per implementare una strategia sostenibile sono veramente plurime e difficilmente acquisibili solo da una persona all’interno della struttura. Vedo quindi due approcci possibili a livello strategico: l’assunzione al proprio interno di uno specialista in materia o l’acquisizione esterna delle competenze tramite consulenze mirate. Personalmente prediligo la seconda variante: permette di avere un aggiornamento molto costante sulle novità, consente un miglior controllo dei costi e di regola si sfruttano molte sinergie con altri casi analoghi trattati dal consulente, ma dipende in ogni modo molto dalla complessità dell’azienda. Il management è però essenziale nel dare la giusta spinta e la motivazione all’interno dell’azienda: infatti il punto negativo di un approccio ricorrendo all’outsourcing tramite consulenze esterne, può proprio essere quello della difficoltà interna rispetto alla motivazione ed alla condivisione degli obiettivi da raggiungere. In questo caso il tema della sostenibilità va continuamente trattato e discusso in tutte le occasioni possibili (assemblee, riunioni del personale, ecc.) proprio

per sensibilizzare continuamente i collaboratori e mostrare l’importanza che il management dà a questa tematica. I risultati raggiunti vanno poi condivisi all’interno dell’azienda e giustamente festeggiati”.

Il caso Rapelli: l’industria alimentare che dirige ha incrementato in maniera importante la propria efficienza energetica. Ce ne può parlare brevemente, spiegandoci quali saranno i passi futuri che intraprenderete?

“La nostra azienda è il tipico esempio di società che opera esclusivamente in Svizzera e che si è avvicinata nell’ultimo decennio soprattutto alla sostenibilità ambientale. Rapelli è un grosso consumatore di energia per via della tipologia di beni che produce. In generale il prodotto che trattiamo deve subire una trasformazione, sovente a caldo, per poi essere raffreddato è mantenuto a temperature basse. Tutte queste trasformazioni richiedendo quindi dei grandi investimenti energetici. Da una prima analisi fatta con l’Agenzia Svizzera per l’Energia era scaturita una radiografia abbastanza impietosa: Rapelli riscaldava con olio da riscaldamento, aveva un’isolazione insufficiente, non recuperava il calore prodotto e quindi tutto questo portava ad un consumo e ad emissioni di CO2 esagerate. Con degli investimenti mirati dilazionati su vari anni, siamo però riusciti a ribaltare questa situazione, al punto che alla fine del 2015

siamo stati insigniti del premio «Il sole sul tetto» erogato dal WWF Sezione Svizzera Italiana. Oggi emettiamo circa la metà del CO2 del 2010. I risparmi dati dai costi di energia e il risparmio dall’esenzione della tassa sul CO2 vengono reinvestiti in azienda, generando nuovamente altre diminuzioni di consumo. Quest’anno ad esempio inseriremo una pompa calore nel nostro circuito energetico, ciò che ci permetterà di diminuire ancora sensibilmente il fabbisogno energetico”.

Innovazione? Sì, ma …

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

L’articolo dedicato il 13.03.2016 dal Giornale del Popolo alla legge per l’innovazione ha messo in evidenza alcuni aspetti positivi e altri critici della revisione di una legge che si vuole giustamente non più premiante ma incentivante. Scopo lodevole e condivisibile, così come è positivo il fatto che il tema dell’innovazione sia inserito in un discorso più ampio di sistema e che gli aiuti possano essere conferiti anche al settore terziario.

Con grande equilibrio il collega Stefano Modenini, direttore dell’Associazione industrie ticinesi, ha giustamente rilevato questi e altri elementi positivi, anche di carattere tecnico. Egli ha però giustamente sottolineato diversi punti critici che evidenziano ancora una volta come ormai sempre più spesso vi sia la tendenza a legiferare senza conoscere la realtà economica che si vuole regolamentare (o, secondo le tendenze odierne, moralizzare). Intendiamoci: laddove lo Stato elargisce contributi è assolutamente sacrosanto che vi sia un controllo anche rigoroso di come vengono spesi i soldi dei contribuenti. Su questo non ci piove e nemmeno l’ambito dell’innovazione può fare eccezione. Come sempre però è questione di misura e purtroppo è molto facile passare dalle legittime preoccupazioni per il denaro pubblico a regole eccessivamente restrittive e avulse dal contesto. In particolare, prevedere regole assai rigide sulla proporzione di manodopera indigena impiegata per poter avere accesso a sostegni per l’innovazione dimostra una scarsa conoscenza del nostro tessuto economico. Certo, appena si utilizza il termine “frontaliere” si scatenano subito i vari allarmi degni di un riflesso pavloviano che portano a considerare automaticamente fuori legge qualsiasi azienda che non lavori con personale al 100% svizzero o residente. Auspicio assolutamente impossibile per la nostra economia e il settore industriale in particolare. E qui non si parla di ladri o delinquenti vari che, secondo il volgo ormai diffuso ad ampio raggio, sfruttano e devastano il territorio. Il discorso vale per fior di aziende che rispettano tutte le regole esistenti, che pagano le imposte, versano salari corretti e, per usare un altro termine assai alla moda, sono “ad alto valore aggiunto”. Non è quindi un caso che, già durante la procedura di consultazione, mi ero permesso di attirare l’attenzione sul fatto che, volendo mantenere una legge per l’innovazione, il criterio dell’innovazione avrebbe dovuto rimanere al centro della valutazione perché preponderante nell’ottica del sostegno a chi soddisfa requisiti tecnici per far crescere il territorio. Togliere importanza a tale elemento per subordinarlo ad altri di natura prettamente politica non ha senso e, come ha rilevato il collega Stefano Modenini, si rischia di avere una legge che potrebbe servire a pochi o addirittura a nessuno. Questo solo perché non si vuole fare lo sforzo di capire quale sia la vera realtà economica ticinese e ci si trincera dietro frasi fatte e slogan elettorali di massima resa elettorale ma di minima efficacia economica. Peccato, si tratta di un’occasione persa per valorizzare uno strumento di per sé molto utile e pensato bene. La speranza è che magari a livello di prassi si possano un po’ ammorbidire talune valutazioni, non certo per premiare chi non lo merita ma per dare sostegno a chi può far evolvere il nostro cantone. Ho sempre sostenuto in prima persona e in prima fila la lotta agli abusi e sono assolutamente disponibile a combattere ogni forma di spreco di denaro pubblico che potrebbe andare ad aziende non rispettose delle regole esistenti. Non mi piacciono però le generalizzazioni che danneggiano indistintamente tutte le imprese, colpevolizzate per il solo fatto di non avere un effettivo sufficientemente svizzero o residente. E’ un criterio che può e deve essere valutato, ma che non può essere la sola e unica discriminante, altrimenti non è più una legge per l’innovazione.

Apertura del mercato iraniano: nuove opportunità?

Lunedì 14 marzo 2016 si è tenuto presso la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del canton Ticino (Cc-Ti) l’evento “Iran, dopo le sanzioni: un Paese da riscoprire”. Una sessantina le persone presenti, questo a dimostrare il vivo interesse per un mercato, il cui ruolo economico a livello mondiale si prevede cambierà molto velocemente. L’incontro informativo intendeva offrire ai partecipanti una panoramica sulle potenzialità di sviluppo del commercio in vari settori, dare orientamenti sulla valutazione dei rischi e fornire consigli pratici sulle modalità d’entrata nel mercato iraniano.

Dopo un breve saluto da parte del Vice-Direttore della Cc-Ti, Marco Passalia, si è entrati nel vivo grazie agli interventi di Sonja Hürlimann (Head of Section Middle East and Africa, Bilateral Economic Relations, State Secretariat for Economic Affairs SECO), Suhail El Obeid (Senior Consultant Iran, Switzerland Global Enterprise), Alireza Azimzadeh (Partner, Persia Group – Legal and Business Consulting) e Seyed Ali Hosseini (giornalista e mediatore interculturale).

Svizzera e Iran

L’Iran rientra tra i primi dieci Paesi del Medio Oriente con cui la Svizzera ha relazioni commerciali. Le esportazioni elvetiche raggiungono un volume di 367 milioni di franchi, di cui il 36,6% riguardanti l’ambito farmaceutico e per 17,1% quello delle macchine di precisione, seguiti dall’orologeria e dai prodotti di base chimici. Per quanto riguarda i beni importati in territorio svizzero più della metà del totale, pari a 30 milioni di franchi, concernono il materiale tessile. In questo contesto, si tenga presente che a partire dal febbraio 2007 il Governo svizzero ha ratificato le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che prevedono sanzioni contro la Repubblica Islamica dell’Iran. Tali sanzioni sono poi state adeguate nel gennaio 2011 al livello applicato dai principali partner commerciali del nostro Paese. Il 16 gennaio 2016, d’intesa con ONU e UE, la Svizzera ha revocato le sanzioni mantenendo solo quelle inerenti il commercio e le prestazioni di servizi connessi agli armamenti, ai sistemi missilistici e ai beni che potrebbero essere utilizzati per repressioni interne. Il commercio di beni nucleari e di beni a duplice impiego nonché i servizi connessi continuano a sottostare all’obbligo di autorizzazione.

Le presentazioni

Iran Economic Overview
Suhail El Obeid, Senior Consultant Iran, Switzerland Global Enterprise
Chances and challenges for Swiss SMEs in Iran
Alireza Azimzadeh, Partner, Persia Group – Legal and Business Consulting
Cultural aspects of doing business with Iranian partners
Seyed Ali Hosseini, Journalist and Intercultural Mediator
Per ulteriori informazioni rivolgersi a:
Chiara Crivelli, Head of the International Desk, crivelli@cc-ti.ch, 091 911 51 15.

TTIP: Svizzera spettatore o giocatore della partita?

Nella precedente edizione di Ticino Business abbiamo spiegato che la Svizzera dovrà determinare quale strategia intraprendere nell’ambito dei negoziati sull’accordo di partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) tra Stati Uniti e Unione Europea. Fare da spettatore o giocare la partita? Evidentemente a dipendenza della strategia che si vorrà intraprendere si prospettano rischi o opportunità per l’economia elvetica.

Ricordiamo che già oggi gran parte delle esportazioni svizzere sono destinate all’UE (53,7%) e agli USA (13,5%). È quindi evidente che il TTIP negoziato tra USA e UE potrebbe penalizzare fortemente le aziende elvetiche soprattutto tenendo presente che non esiste alcun accordo di libero scambio tra USA e CH.

Secondo un sondaggio condotto da economiesuisse tra i propri membri, “per le imprese svizzere del settore chimico, farmaceutico e delle biotecnologie, un’eventuale diminuzione dei dazi doganali significherebbe una discriminazione minore, visto il debole livello di quelli che colpiscono le importazioni negli Stati Uniti (tasso NPF applicato al 3,2%) e i costi previsti per l’applicazione del TTIP (dal 4 al 10% del valore delle merci). Tuttavia, se i negoziati in materia di procedure doganali e facilitazione del commercio dovessero sfociare in una soluzione più liberale rispetto all’accordo sulla facilitazione e la sicurezza doganali, i concorrenti europei sarebbero avvantaggiati rispetto alle imprese svizzere; queste ultime sarebbero, in quel caso, discriminate nel traffico merci transfrontaliero con gli Stati Uniti”. Alla luce di questi pareri provenienti da aziende del settore chimico, farmaceutico e delle biotecnologie, una partecipazione svizzera al TTIP porterebbe dunque grandi vantaggi.

Al contrario, se prendiamo l’esempio simbolico del settore orologiero, a detta degli addetti ai lavori un’adesione a questo spazio di libero scambio potrebbe portare ad una situazione peggiorativa. Infatti, sempre secondo il sondaggio di economiesuisse “l’orologeria teme un rischio di discriminazione se gli Stati Uniti e l’Europa si intendono, nell’ambito del TTIP, su regole d’origine relativamente ridotte con i criteri di valore del 60% o 70% (valore delle materie prime provenienti da Paesi terzi limitata al 60% o al 70% della merce finita). Se il nostro Paese adottasse gli stessi parametri, nell’ottica di conformarsi all’accordo, il settore teme una diminuzione della creazione di valore in Svizzera”.

Nel contesto degli scambi commerciali vanno considerati anche le regole dell’origine per attribuire la preferenza di dazio ai sensi dell’accordo di libero scambio stesso. In questo senso, un secondo studio commissionato dalla SECO ha messo in evidenza le possibili conseguenze, in alcuni importanti settori di importazione, di eventuali regole restrittive nel TTIP per i produttori svizzeri. Diversi settori importanti della nostra industria (componentistica per auto, strumenti di precisione, ecc.) subirebbero infatti maggiormente gli effetti negativi di questo accordo dovuti ad una concorrenza maggiore. In pratica, i produttori dell’UE potrebbero agevolmente sostituire i semilavorati svizzeri con semilavorati provenienti dall’UE o dagli USA. Lo stesso dicasi per gli USA.

Concludiamo con la convinzione che la Svizzera non può rimanere a guardare dalla finestra quello che sta succedendo nell’ambito del TTIP, ma da sola o ancor meglio in seno all’AELS dovrà avere un ruolo ancor più attivo e determinato a livello diplomatico affinché gli scenari peggiori ipotizzati in vari studi non diventino realtà. La storia della politica economica esterna svizzera ci insegna che la strategia di diversificazione dei mercati di sbocco e di estensione della aree di libero scambio porta benefici alle nostre aziende. Continuiamo dunque in questa direzione dando ossigeno alle nostre aziende.

Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana
Marco Passalia, responsabile Export e vice direttore Cc-Ti

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Giappone: quali opportunità nel Paese del Sol Levante?

Evento Paese: Giappone

Nell’ambito degli eventi di approfondimento sui Paesi organizzati dalla Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) in collaborazione con Switzerland Global Enterprise, Cippà Trasporti SA, Credit Suisse, CRIF e Euler Hermes si è svolto lunedì 7 marzo un incontro dedicato al Giappone.

Dopo i saluti introduttivi di Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana, il vice direttore e responsabile del Servizio Export della Cc-Ti Marco Passalia ha presentato i benefici dell’accordo di libero scambio (ALS) Svizzera-Giappone entrato in vigore nel 2009. L’ALS bilaterale ha permesso ai due Paesi di beneficiare di riduzioni di dazio importanti per determinate merci, come ad esempio per l’importazione in Giappone di vini o orologi svizzeri. Saper “sfruttare” un accordo di libero scambio permette alle aziende svizzere di avere un vantaggio importante rispetto ai concorrenti esteri.

 Björn Eberhardt, Head of Global Macro Research di Credit Suisse si è poi soffermato sui principali fattori economici del Paese del Sol Levante. Negli ultimi 15 anni il PIL giapponese è stato positivo e anche le prospettive 2020 indicano una buona crescita. La crisi del 2009 e il terremoto del 2011 hanno inciso sul livello di consumi e le difficoltà sono state aggravate dai problemi demografici, ma nel complesso il Paese ha saputo risollevarsi.

Come ha sottolineato Naoko Wada, Trade Advisor dello Swiss Business Hub Japan, per le aziende svizzere le opportunità commerciali in Giappone sono molto interessanti. In particolare nei settori nell’industria robotica e infermieristica, poiché l’evoluzione demografica indica che le persone con più di 65 anni saranno oltre il 31,7% nel 2030 e il 29,8% nel 2050. Una crescita importante rispetto agli anziani attuali che rappresentano il 26,7% della popolazione. Il settore dei servizi del Paese del Sol Levante è infatti fondamentale poiché genera il 70% del PIL.

Ma quali sono le informazioni giuste per valutare le aziende giapponesi? Dalle analisi di Atilla Kavukcu, Marketing Specialist di CRIF emerge come il Giappone non sia un Paese particolarmente a rischio per fare business. Tutte le società sono sottoposte al “Companies ACT” e quindi hanno l’obbligo di presentare la loro situazione finanziaria. Malgrado però una legge anticorruzione molto forte, il fenomeno del cosiddetto “amakudari”, ovvero il reimpiego di burocrati di alto livello in aziende private, è profondamente radicato.

Infine, Angelo Betto, Direttore Operativo e Roberto Nanni capo area spedizioni aereo & mare di Cippà Trasporti SA hanno presentato il lato logistico delle spedizioni da e verso il Giappone. Oltre agli aspetti tecnici, Betto e Nanni hanno sottolineato come i giapponesi abbiano un’altissima competenza a livello doganale, siano amanti della perfezione e sono sempre disponibili nell’aiutare a risolvere eventuali problematiche.

Il primo appuntamento del 2016 degli Eventi-Paese si è concluso con un ottimo aperitivo. La Cc-Ti dà appuntamento a lunedì 9 maggio per il prossimo evento dedicato alla Russia.

Le presentazioni

Come beneficiare dell’accordo di libero scambio Svizzera-Giappone
Marco Passalia
Economic Outlook
Björn Eberhardt
Business Opportunities
Naoko Wada
Le informazioni giuste per valutare le aziende giapponesi
Atilla Kavukcu
Il lato logistico delle spedizioni da e verso il Giappone: un esempio pratico
Angelo Betto e Roberto Nanni
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Lacrime di coccodrillo

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Il tema della responsabilità sociale delle aziende (molto caro alla Cc-Ti e che sarà oggetto di uno dei nostri prossimi eventi “Sostenibilità aziendale: un vantaggio competitivo”) è purtroppo spesso utilizzato a senso unico, cioè quale argomento principale di accusa alle aziende, colpevoli di devastare il territorio, costruire inutili capannoni, praticare dumping salariale diffuso e assumere solo frontalieri. Quindi in sostanza per denunciare una serie di comportamenti irresponsabili veri ma soprattutto presunti.

Abbastanza emblematico in questo senso è il caso della partenza dal Ticino della branch svizzera del gruppo della casa di moda Giorgio Armani. Azienda superficialmente inserita nel gruppo di quelle che non portano nulla al territorio, sicuramente perché di origine e proprietà italiana, quindi colpevole a prescindere. Non deve quindi sorprendere più di tanto l’improvviso attivismo di taluni politici che si sono subito mobilitati per denunciare l’ennesimo sfruttamento del sistema svizzero da parte di gente senza scrupoli che umilia il nostro paese e poi lo abbandona sbeffeggiandolo dopo aver abusato di favori inconfessabili. Peccato che con un po’ più di attenzione si sarebbe potuto facilmente scoprire che – al di là delle modalità di comunicazione, che, come capita spesso con gruppi internazionali, è molto distante dalla cacofonia mediatica a cui ormai siamo abituati – la realtà è ben diversa. In effetti, l’azienda in questione è presente sul nostro territorio da venti anni, impiega oltre un centinaio di persone a salari corretti e regolati da un contratto collettivo di lavoro, è un contribuente ordinario e importante per comune, cantone e Confederazione. E’ vero che la parte di lavoratori svizzeri o residenti è minoritaria, ma basta questo per mettere in croce un’azienda che comunque al territorio porta molto senza godere di particolari vantaggi? Non credo proprio. Facile quindi sparare nel mucchio indistintamente per raccogliere consensi, salvo poi fasciarsi la testa perché parte un importante contribuente di un settore comunque prestigioso per la nostra economia. Come al solito, manca un equilibrio di giudizio e, peggio ancora, una volontà di conoscere veramente le realtà economiche presenti sul territorio. Acciecati da termini generici come “alto valore aggiunto”, taluni non si sono ancora accorti che il tessuto economico ticinese è variegato e che le dinamiche economiche sono molto complesse, con realtà internazionali certo criticabili ma non truffaldine di principio. Un’azienda internazionale può decidere di spostare la propria sede per molti motivi, non per forza legati alla fine dello sfruttamento di presunti e inconfessabili vantaggi concessi dalla sprovveduta Svizzera. Nello specifico c’entra poco l’imminente riforma III dell’imposizione delle imprese, perché verosimilmente si tratta piuttosto di una questione di strategia generale del gruppo, magari influenzata da certe pressioni esercitate dal fisco italiano. Ma questo fa parte del gioco odierno e occorrerebbe tenerne conto quando si sparano giudizi affrettati. Può magari non piacere, ma la nostra competitività dipende anche da queste realtà e sarebbe sbagliato stigmatizzarle senza distinzioni. E’ opportuno a questo proposito ricordare che occorre essere attivi su più fronti, garantendo le migliori condizioni possibili alle aziende già sul territorio e a quelle che potrebbero insediarvisi, senza illudersi che alle nostre frontiere vi sia la coda di straordinarie aziende produttive ad altissimo valore aggiunto e che danno lavoro solo a svizzeri. Giusto prestare attenzione a chi si interessa al nostro territorio, ma attenzione ai criteri che si utilizzano per giudicare. Non sempre le perle sono quelle che nell’immaginario collettivo si pensa possano essere aziende fenomenali. Spesso le perle sono nascoste e si annidano anche in quei settori in cui ci si sporca le mani. Ma questo meriterebbe ulteriori e più dettagliati approfondimenti. Forse può essere utile ricordare la celebre frase utilizzata da Bill Clinton nella campagna presidenziale del 1992: “It’s the economy, stupid”. Appunto.