L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
“C’è da spostare una macchina” era il titolo di una canzone-tormentone italiana di qualche decennio fa e che con la confusione che regna in Ticino riguardo all’ormai famigerata tassa di collegamento è quantomai d’attualità. Se non altro perché diventa sempre più difficile capire dove si possa spostare e parcheggiare la macchina senza incorrere negli strali dell’autorità. Lo so, lo so, l’argomento tassa di collegamento è trito e ritrito e ha stufato. Inoltre le temperature canicolari di questi periodi imporrebbero di affrontare temi più ludici per evitare il fastidioso effetto-zanzara che disturba le faticose attività stagionali come la scelta del corretto fattore di protezione delle creme solari o le riflessioni su come evitare il disagio della sabbia che si infila nei sandali. Purtroppo non posso però esimermi da qualche considerazione sul funzionamento (?) del nostro sistema politico-istituzionale ticinese, perché esso è comunque rilevante non solo per riempire i media di polemiche surreali, ma anche e soprattutto per il funzionamento di un sistema generale che comprende anche l’economia, ma che sembra essere completamente negletto nel contesto della pericolosa gara a chi le spara più grosse per avere visibilità.
Non posso pertanto prescindere dal caos legato all’introduzione della tassa di collegamento. Il popolo si è pronunciato e quindi la cosa va applicata, non si discute, fatto salvo qualche ricorso di proprietari di fondi toccati dalle nuove disposizioni legali. La cosa curiosa è che molte delle riserve giuridiche e di tipo pratico espresse più volte in sede di consultazione e poi di campagna di votazione si stanno puntualmente realizzando, a dimostrazione che la battaglia condotta contro la tassa non era ideologica o, peggio, personale, ma fondata su dubbi più che legittimi. Ha purtroppo prevalso la guerra contro i cosiddetti „borsoni“, in nome di una voglia sanzionatoria che non mi piace per nulla perché la tentazione della forca non è mai troppo lontana da queste spinte moralizzatrici. Spinte mascherate sotto strumentali atteggiamenti da moderni Robin Hood impegnati a recuperare il maltolto dai ricchi (come vengono impropriamente definiti coloro che creano ricchezza). Poco importa che la misura fosse di natura fiscale e dagli effetti più che dubbi sul traffico, anche se presentata come improbabile rimedio-miracolo contro il cancro, le malattie infantili, quelle cardiovascolari, ecc. Marketing politico perfetto, non c’è che dire. Ma tant’è, non si può né si vuole più tornare indietro, per cui queste mie considerazioni lasciano il tempo che trovano. Come già detto ripetutamente, esprimo però un forte rammarico sul metodo scelto per imporre una misura finanziaria atta a sostenere le casse cantonali. Che ci vogliano correttivi nell’ambito della mobilità è fuori di dubbio e non ho mai avuto paura di affermare che anche le aziende devono avere un ruolo importante in questo senso. Mi permetto di sottolineare l’“anche“, perché non mi risulta che chi non vive quotidianamente il mondo aziendale privato si sposti in astronave e non intasi le strade. La mia posizione risp. quella della Cc-Ti è del resto facilmente verificabile, recuperando sul nostro sito internet gli atti della giornata dedicata alla mobilità lo scorso 15 aprile. Altri cantoni hanno scelto la concertazione, in Ticino si è optato per la fretta e l’imposizione. Convengo che troppo tavoli di discussione frenano a volte la ricerca di soluzioni e la presa di decisioni, ma anche procedere a colpi di mazza tanto per statuire qualche esempio non mi sembra una mossa molto lungimirante. Il tradizionale equilibrio elvetico, che ha fatto le nostre fortune, viene così cancellato come se nulla fosse. E, in generale, si fa sempre più largo l’approccio secondo cui ci possono pensare i tribunali a correggere eventuali cose illegali. Posso concordare su questo punto quando vi sono situazioni dubbie, non quando si sceglie di far approvare al popolo cose scientemente illegali (e negli ultimi anni gli esempi non sono mancati), così tanto per divertirsi e farla pagare a qualcuno. Sono metodi che conosciamo anche da paesi vicini ma che sono (erano?) estranei alla nostra cultura politica. Constatazione assai amara, resa ancora più amara dalle improvvise manifestazioni di malcontento o di allarme di attori (v. ad es. i comuni), misteriosamente scomparsi durante la campagna di votazione e ora in preda a preoccupazioni di budget. Ma dove erano finiti? Su cosa diavolo pensavano che si votasse? Mistero.
Il caso JobContact
Un altro esempio di evoluzione per me negativa di taluni usi e costumi è la crescente tentazione di ricorrere in modo spettacolare alla magistratura penale per denunciare presunte violazioni di regole del mercato del lavoro in particolare, bypassando le dinamiche del partenariato sociale o dei gremi già esistenti e preposti ad intervenire (autorità amministrative cantonali, commissioni paritetiche e commissione tripartita, tanto per citarne qualcuno). Evidentemente il richiamo al diritto penale ha una connotazione prurigonosa, anche qui di gogna (v. sopra), che fa gola in termini di visibilità. Non a caso mi riferisco alla vicenda che ha coinvolto l’agenzia di collocamento JobContact, denunciata in pompa magna e con grande eco mediatico (mancava forse solo la CNN in collegamento via satellite) per vari reati, fra cui appropriazione indebita, truffa, usura, coazione, falsità in documenti e infrazione alla legge federale sulla previdenza professionale. Roba da delinquenti incalliti. Peccato che lo scorso 15 giugno la Procura pubblica abbia abbandonato ogni accusa a carico dell’azienda perché le indagini non hanno indicato alcuna violazione. Per carità, capita di sbagliarsi e che le denunce sfocino in un nulla di fatto. Impressiona però che dopo il martellamento mediatico riservato all’atto accusatorio, non vi sia praticamente stato alcun riscontro pubblico al decreto di abbandono delle accuse. Un caso? Non credo, purtroppo. E’ spettacolare accusare le aziende, molto meno dire che non sono colpevoli di niente. Fa specie che da parte degli accusatori non vi sia stato un minimo atto di riconoscimento di avere toppato. Non è che occorra inginocchiarsi sui ceci, ma anche ammettere che si è sbagliato e che forse non è sempre bello sparare nel mucchio per creare ulteriori tensioni non sarebbe stato vergognoso. Si dice sempre che le aziende devono scusarsi quando fanno qualcosa di sbagliato. Giusto. Ma questo non vale anche per gli altri? Non sono un adepto delle teorie dei complotti, ma non posso esimermi dal rilevare che un’analisi un po’ più attenta del dossier (o presunto tale) dell’azienda citata avrebbe dovuto indurre a maggiore prudenza prima di tirare in ballo l’autorità penale. Ho quindi il legittimo sospetto che anche in questi casi non si vada tanto per il sottile, la bava alla bocca e le cannonate prevalgono talvolta sulla ragionevolezza o sulla ricerca di soluzioni concertate. Le quali sono certo meno spettacolari ma spesso più efficaci, a condizione che si vogliano veramente risolvere i problemi e non solo cercare facili consensi. Su questo tutti dovrebbero riflettere, nell’interesse del già citato sistema ticinese e svizzero che andrebbe salvaguardato come fattore di competitività essenziale. Anche se mi rendo conto che chi ha fatto del pessimismo un programma d’azione, che paga bene in termini di popolarità, se ne infischia bellamente dei delicati equilibri che tengono in piedi un sistema-paese. A differenza dei Lego le mattonelle non possono essere spostate a piacimento secondo gli umori giornalieri, senza creare pericolosi squilibri e incertezze.
La revisione della Legge federale sulla pianificazione del territorio
Concludo con un altro esempio emblematico della pericolosa miopia della politica odierna che rincorre il consenso facile e immediato piuttosto che le visioni a lungo termine. Nel 2013 il popolo svizzero ha accettato la revisione della Legge federale sulla pianificazione del territorio, osteggiata solo dal mondo economico contro i partiti, i comuni, i cantoni e la Confederazione. I nostri timori riguardavano norme troppo rigide, un sistema pesantemente burocratico, costi elevatissimi per l’ente pubblico, eccessiva limitazione della struttura federalista e, last but not least, limitazioni inaccettabili della proprietà privata (v. https://issuu.com/cc-ti/docs/tb01_2013). Legge approvata a furor di popolo in nome di principi su cui non si può non essere d’accordo, su tutti il migliore utilizzo e sviluppo del territorio. Benissimo, la politica ha prevalso sui biechi interessi economici. Cosa capita oggi? In modo stucchevole, comuni e cantoni che avevano sostenuto la revisione a spada tratta si rivolgono piagnucolando a Berna per implorare eccezioni che permettano la realizzazione di spazi industriali per non perdere aziende decisive in termini di gettito fiscale o per perorare la causa di privati di fatto espropriati da regole assurde e costose per lo Stato, in barba alla garanzia costituzionale del diritto alla proprietà privata. Che dire? Quale credibilità possono avere autorità che impongono una legge salvo pentirsi pochissimo tempo dopo perché si rendono conto che essa non è applicabile o che comunque le sue conseguenze sono ben diverse dagli scopi ricercati? La certezza del diritto che siamo soliti decantare come una delle nostre maggiori qualità è ancora un principio in cui crediamo oppure sta diventando un “optional” simpatico ma anche un po’ fastidioso? Come il segnale sonoro che in automobile ti ricorda di allacciare la cintura. Utile, ma al contempo un po’ snervante. E’ un’altra domanda a cui saremo chiamati a rispondere presto o tardi. Perché il successo non è né eterno né scontato e ci si può anche divertire a rimettere in questione tutto e il contrario di tutto, finché c’è la ricchezza. Ma quando si annunciano cambiamenti anche epocali l’ora del gioco, degli scherzi e delle ripicche finisce inesorabilmente e occorre tornare seri, perché è opportuno ricordare che l’incertezza è il peggiore nemico dell’economia liberale e quindi anche del benessere generale. A meno che non si voglia ipotizzare solo un’economia pianificata, confidando nei poteri taumaturgici dello Stato. Sarebbe una scelta disastrosa, ma se tale fosse l’intenzione, sarebbe molto più onesto dirlo chiaramente invece di nascondersi dietro finte preoccupazioni di cura dell’interesse generale. Se però si continua a considerare, per meri interessi di parte, l’economia come un conglomerato di incorreggibili delinquenti, i margini per dei progetti concertati ad ampio respiro sono decisamente pochi. Non finirò mai di ripeterlo: giusto punire le imprese che sbagliano, sbagliato criminalizzarle tutte in una sorta di accusa collettiva che fa tanto trendy. Perché anche i politici, i giornalisti, i funzionari, i lavoratori ecc. sbagliano. Ma stranamente si parla raramente di inasprimenti generalizzati delle regole che ne riguardano il comportamento. Mah, forse è solo un caso. Buona estate a tutte e tutti.
C’è da spostare una macchina…
/in Comunicazione e mediaL’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
“C’è da spostare una macchina” era il titolo di una canzone-tormentone italiana di qualche decennio fa e che con la confusione che regna in Ticino riguardo all’ormai famigerata tassa di collegamento è quantomai d’attualità. Se non altro perché diventa sempre più difficile capire dove si possa spostare e parcheggiare la macchina senza incorrere negli strali dell’autorità. Lo so, lo so, l’argomento tassa di collegamento è trito e ritrito e ha stufato. Inoltre le temperature canicolari di questi periodi imporrebbero di affrontare temi più ludici per evitare il fastidioso effetto-zanzara che disturba le faticose attività stagionali come la scelta del corretto fattore di protezione delle creme solari o le riflessioni su come evitare il disagio della sabbia che si infila nei sandali. Purtroppo non posso però esimermi da qualche considerazione sul funzionamento (?) del nostro sistema politico-istituzionale ticinese, perché esso è comunque rilevante non solo per riempire i media di polemiche surreali, ma anche e soprattutto per il funzionamento di un sistema generale che comprende anche l’economia, ma che sembra essere completamente negletto nel contesto della pericolosa gara a chi le spara più grosse per avere visibilità.
Non posso pertanto prescindere dal caos legato all’introduzione della tassa di collegamento. Il popolo si è pronunciato e quindi la cosa va applicata, non si discute, fatto salvo qualche ricorso di proprietari di fondi toccati dalle nuove disposizioni legali. La cosa curiosa è che molte delle riserve giuridiche e di tipo pratico espresse più volte in sede di consultazione e poi di campagna di votazione si stanno puntualmente realizzando, a dimostrazione che la battaglia condotta contro la tassa non era ideologica o, peggio, personale, ma fondata su dubbi più che legittimi. Ha purtroppo prevalso la guerra contro i cosiddetti „borsoni“, in nome di una voglia sanzionatoria che non mi piace per nulla perché la tentazione della forca non è mai troppo lontana da queste spinte moralizzatrici. Spinte mascherate sotto strumentali atteggiamenti da moderni Robin Hood impegnati a recuperare il maltolto dai ricchi (come vengono impropriamente definiti coloro che creano ricchezza). Poco importa che la misura fosse di natura fiscale e dagli effetti più che dubbi sul traffico, anche se presentata come improbabile rimedio-miracolo contro il cancro, le malattie infantili, quelle cardiovascolari, ecc. Marketing politico perfetto, non c’è che dire. Ma tant’è, non si può né si vuole più tornare indietro, per cui queste mie considerazioni lasciano il tempo che trovano. Come già detto ripetutamente, esprimo però un forte rammarico sul metodo scelto per imporre una misura finanziaria atta a sostenere le casse cantonali. Che ci vogliano correttivi nell’ambito della mobilità è fuori di dubbio e non ho mai avuto paura di affermare che anche le aziende devono avere un ruolo importante in questo senso. Mi permetto di sottolineare l’“anche“, perché non mi risulta che chi non vive quotidianamente il mondo aziendale privato si sposti in astronave e non intasi le strade. La mia posizione risp. quella della Cc-Ti è del resto facilmente verificabile, recuperando sul nostro sito internet gli atti della giornata dedicata alla mobilità lo scorso 15 aprile. Altri cantoni hanno scelto la concertazione, in Ticino si è optato per la fretta e l’imposizione. Convengo che troppo tavoli di discussione frenano a volte la ricerca di soluzioni e la presa di decisioni, ma anche procedere a colpi di mazza tanto per statuire qualche esempio non mi sembra una mossa molto lungimirante. Il tradizionale equilibrio elvetico, che ha fatto le nostre fortune, viene così cancellato come se nulla fosse. E, in generale, si fa sempre più largo l’approccio secondo cui ci possono pensare i tribunali a correggere eventuali cose illegali. Posso concordare su questo punto quando vi sono situazioni dubbie, non quando si sceglie di far approvare al popolo cose scientemente illegali (e negli ultimi anni gli esempi non sono mancati), così tanto per divertirsi e farla pagare a qualcuno. Sono metodi che conosciamo anche da paesi vicini ma che sono (erano?) estranei alla nostra cultura politica. Constatazione assai amara, resa ancora più amara dalle improvvise manifestazioni di malcontento o di allarme di attori (v. ad es. i comuni), misteriosamente scomparsi durante la campagna di votazione e ora in preda a preoccupazioni di budget. Ma dove erano finiti? Su cosa diavolo pensavano che si votasse? Mistero.
Il caso JobContact
Un altro esempio di evoluzione per me negativa di taluni usi e costumi è la crescente tentazione di ricorrere in modo spettacolare alla magistratura penale per denunciare presunte violazioni di regole del mercato del lavoro in particolare, bypassando le dinamiche del partenariato sociale o dei gremi già esistenti e preposti ad intervenire (autorità amministrative cantonali, commissioni paritetiche e commissione tripartita, tanto per citarne qualcuno). Evidentemente il richiamo al diritto penale ha una connotazione prurigonosa, anche qui di gogna (v. sopra), che fa gola in termini di visibilità. Non a caso mi riferisco alla vicenda che ha coinvolto l’agenzia di collocamento JobContact, denunciata in pompa magna e con grande eco mediatico (mancava forse solo la CNN in collegamento via satellite) per vari reati, fra cui appropriazione indebita, truffa, usura, coazione, falsità in documenti e infrazione alla legge federale sulla previdenza professionale. Roba da delinquenti incalliti. Peccato che lo scorso 15 giugno la Procura pubblica abbia abbandonato ogni accusa a carico dell’azienda perché le indagini non hanno indicato alcuna violazione. Per carità, capita di sbagliarsi e che le denunce sfocino in un nulla di fatto. Impressiona però che dopo il martellamento mediatico riservato all’atto accusatorio, non vi sia praticamente stato alcun riscontro pubblico al decreto di abbandono delle accuse. Un caso? Non credo, purtroppo. E’ spettacolare accusare le aziende, molto meno dire che non sono colpevoli di niente. Fa specie che da parte degli accusatori non vi sia stato un minimo atto di riconoscimento di avere toppato. Non è che occorra inginocchiarsi sui ceci, ma anche ammettere che si è sbagliato e che forse non è sempre bello sparare nel mucchio per creare ulteriori tensioni non sarebbe stato vergognoso. Si dice sempre che le aziende devono scusarsi quando fanno qualcosa di sbagliato. Giusto. Ma questo non vale anche per gli altri? Non sono un adepto delle teorie dei complotti, ma non posso esimermi dal rilevare che un’analisi un po’ più attenta del dossier (o presunto tale) dell’azienda citata avrebbe dovuto indurre a maggiore prudenza prima di tirare in ballo l’autorità penale. Ho quindi il legittimo sospetto che anche in questi casi non si vada tanto per il sottile, la bava alla bocca e le cannonate prevalgono talvolta sulla ragionevolezza o sulla ricerca di soluzioni concertate. Le quali sono certo meno spettacolari ma spesso più efficaci, a condizione che si vogliano veramente risolvere i problemi e non solo cercare facili consensi. Su questo tutti dovrebbero riflettere, nell’interesse del già citato sistema ticinese e svizzero che andrebbe salvaguardato come fattore di competitività essenziale. Anche se mi rendo conto che chi ha fatto del pessimismo un programma d’azione, che paga bene in termini di popolarità, se ne infischia bellamente dei delicati equilibri che tengono in piedi un sistema-paese. A differenza dei Lego le mattonelle non possono essere spostate a piacimento secondo gli umori giornalieri, senza creare pericolosi squilibri e incertezze.
La revisione della Legge federale sulla pianificazione del territorio
Concludo con un altro esempio emblematico della pericolosa miopia della politica odierna che rincorre il consenso facile e immediato piuttosto che le visioni a lungo termine. Nel 2013 il popolo svizzero ha accettato la revisione della Legge federale sulla pianificazione del territorio, osteggiata solo dal mondo economico contro i partiti, i comuni, i cantoni e la Confederazione. I nostri timori riguardavano norme troppo rigide, un sistema pesantemente burocratico, costi elevatissimi per l’ente pubblico, eccessiva limitazione della struttura federalista e, last but not least, limitazioni inaccettabili della proprietà privata (v. https://issuu.com/cc-ti/docs/tb01_2013). Legge approvata a furor di popolo in nome di principi su cui non si può non essere d’accordo, su tutti il migliore utilizzo e sviluppo del territorio. Benissimo, la politica ha prevalso sui biechi interessi economici. Cosa capita oggi? In modo stucchevole, comuni e cantoni che avevano sostenuto la revisione a spada tratta si rivolgono piagnucolando a Berna per implorare eccezioni che permettano la realizzazione di spazi industriali per non perdere aziende decisive in termini di gettito fiscale o per perorare la causa di privati di fatto espropriati da regole assurde e costose per lo Stato, in barba alla garanzia costituzionale del diritto alla proprietà privata. Che dire? Quale credibilità possono avere autorità che impongono una legge salvo pentirsi pochissimo tempo dopo perché si rendono conto che essa non è applicabile o che comunque le sue conseguenze sono ben diverse dagli scopi ricercati? La certezza del diritto che siamo soliti decantare come una delle nostre maggiori qualità è ancora un principio in cui crediamo oppure sta diventando un “optional” simpatico ma anche un po’ fastidioso? Come il segnale sonoro che in automobile ti ricorda di allacciare la cintura. Utile, ma al contempo un po’ snervante. E’ un’altra domanda a cui saremo chiamati a rispondere presto o tardi. Perché il successo non è né eterno né scontato e ci si può anche divertire a rimettere in questione tutto e il contrario di tutto, finché c’è la ricchezza. Ma quando si annunciano cambiamenti anche epocali l’ora del gioco, degli scherzi e delle ripicche finisce inesorabilmente e occorre tornare seri, perché è opportuno ricordare che l’incertezza è il peggiore nemico dell’economia liberale e quindi anche del benessere generale. A meno che non si voglia ipotizzare solo un’economia pianificata, confidando nei poteri taumaturgici dello Stato. Sarebbe una scelta disastrosa, ma se tale fosse l’intenzione, sarebbe molto più onesto dirlo chiaramente invece di nascondersi dietro finte preoccupazioni di cura dell’interesse generale. Se però si continua a considerare, per meri interessi di parte, l’economia come un conglomerato di incorreggibili delinquenti, i margini per dei progetti concertati ad ampio respiro sono decisamente pochi. Non finirò mai di ripeterlo: giusto punire le imprese che sbagliano, sbagliato criminalizzarle tutte in una sorta di accusa collettiva che fa tanto trendy. Perché anche i politici, i giornalisti, i funzionari, i lavoratori ecc. sbagliano. Ma stranamente si parla raramente di inasprimenti generalizzati delle regole che ne riguardano il comportamento. Mah, forse è solo un caso. Buona estate a tutte e tutti.
La certezza dell’incertezza
/in Comunicazione e mediaL’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
In questi giorni tutti i commentatori cantonali, nazionali e internazionali si sono espressi in modo più o meno compiuto sul Brexit, senza però poter dare risposte concrete, semplicemente perché nessuno, nemmeno i britannici, sa cosa succederà veramente, secondo quali modalità e con quali conseguenze.
Tra chi esulta perché pensa di trovare nella Gran Bretagna un alquanto improbabile alleato della Svizzera nello smantellamento dell’Unione europea e chi invece parla esageratamente di tragedia, l’unica cosa certa è l’incertezza che regna attualmente e che rischia di contraddistinguere la vita economica, politica e sociale dei prossimi mesi e anni. L’elemento concreto di questi giorni per la Svizzera e il Ticino è il prevedibile rafforzamento del franco contro il quale la Banca nazionale svizzera è già entrata in campo, anche se non è ancora determinabile se tale rafforzamento sia frutto di una reazione a caldo che si esaurirà entro qualche giorno oppure se sarà una costante di lunga durata. Con tutte le relative conseguenze non rallegranti per la nostra industria dell’esportazione. Anche qui, come dicevo, l’incertezza la fa da padrona. E sappiamo tutti che per l’economia uno dei veleni peggiori è proprio l’instabilità dovuta alle situazioni in cui non ci sono punti di riferimento affidabili, stabili e in una certa misura prevedibili.
È quindi soprattutto da questa constatazione che la Svizzera deve ripartire, perché negli ultimi anni non abbiamo certo brillato quanto a valorizzazione dei nostri vantaggi competitivi. Anzi. Si susseguono a ritmo incessante praticamente ogni tre mesi votazioni su proposte di ogni genere, a volte fantasiose e nemmeno troppo elaborate (se pensiamo a quella del reddito di base incondizionato). Proposte che, anche se non accolte in votazione popolare, hanno l’effetto potente di creare diffidenza verso il sistema e fragilizzarlo agli occhi di chi vuole investire in attività aziendali e quindi creare ricchezza. Rimettere in discussione incessantemente e senza una reale necessità i funzionanti capisaldi elvetici è un gioco assai pericoloso di cui purtroppo molti sembrano non accorgersi. Dando quindi la sensazione che anche noi, come molti altri paesi, giochiamo con le regole, cambiandole a piacimento e togliendo punti di riferimento. Occorrerebbe pertanto una maggiore moderazione.
Non si tratta di mettere la museruola ai sacrosanti diritti della democrazia diretta, ma di chiedere maggiore responsabilità alla politica per concentrarsi sull’essenziale, senza voli pindarici verso orizzonti ideali ma poco reali. Non mi sembra una richiesta eccessiva. Se la Svizzera vuole avere qualche carta da giocare per approfittare del Brexit, non potrà certo seguire i superficiali tuttologi che decantano questa occasione irripetibile, salvo poi tenere nel quotidiano un comportamento contrario fatto delle più disparate iniziative volte a imbrigliare e punire le aziende in nome di un’astratta necessità di moralizzazione. Irrigidendo al contempo inutilmente il meccanismo svizzero, per scimmiottare sciaguratamente paesi a noi vicini che con l’iper-regolamentazione si sono rovinati in modo quasi irreversibile.
Ecco, se almeno per qualche tempo ci limitassimo a correggere le sbavature senza particolari stravolgimenti, anche nell’ottica del Brexit e dei rapporti con l’UE faremmo un lavoro più efficace rispetto alla ricerca di illusorie alleanze e azzardate strategie sulla cui efficacia si possono formulare solo vaghe ipotesi. Diamo stabilità e certezze a chi crea la ricchezza e ne guadagnerà tutto il paese. In fondo, non è un compito così difficile.
Il mercato turco: opportunità per le nostre aziende
/in Appuntamenti, Eventi e missioni, Eventi PaeseEvento Export: Turchia
Nell’ambito degli eventi di approfondimento sui Paesi organizzati dalla Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) in collaborazione con Switzerland Global Enterprise, si è svolto lunedì 20 giugno un incontro dedicato alla Turchia.
Nell’evento del 20 giugno scorso, organizzato dalla Cc-Ti, in collaborazione con Switzerland Global Enterprise, si è fatto il punto sul ventaglio d’interessanti possibilità offerte dalla Nazione turca alle aziende ticinesi, con un focus sulla missione commerciale della Cc-Ti in Turchia prevista in dicembre.
Ricordiamo innanzitutto che la Turchia ha una popolazione di quasi 78 milioni di persone e si situa in un punto strategico a livello geografico: un vero e proprio ponte tra Europa ed Asia. A livello di scambi commerciali, la Turchia intrattiene relazioni sia con la Confederazione che con l’UE.
Andiamo con ordine. A prendere la parola per prima è stata Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana, che ha salutato i partecipanti presentando i relatori, rimarcando anche come sia S-GE che la Cc-Ti abbiano monitorato le opportunità offerte dalla Turchia per molto tempo.
Arpat Şenocak, Presidente della Swiss Chamber of Commerce in Turkey, ha aperto il suo intervento con una breve panoramica dell’istituzione che presiede, spiegando come essa si impegni a favore della creazione di sinergie tra i due Paesi. Il Signor Şenocak è poi entrato nel vivo del tema, illustrando la situazione geopolitica turca e le sue influenze sul mondo degli affari e del commercio. Il contesto geopolitico è attivo ed offre molte opportunità, nonostante alcune problematiche, soprattutto politiche, condizionino negativamente lo Stato (ad es. situazioni instabili ai confini con Siria ed Iraq, la situazione armena, ecc.). Tuttavia la Turchia è un mercato interessante proprio per la sua posizione a cavallo tra vecchio Continente e Medio Oriente. Rappresenta la 7° economia in Europa e la 17° al mondo, con un PIL indicativo di 800 miliardi di dollari, dove la popolazione attiva rappresenta quasi il 68% del totale.
Yasemin Öztürk, Local Trade Officer, Swiss Business Hub Turkey, ha invece esposto le opportunità d’affari in Turchia, sottolineando come le previsioni prospettano che la Nazione si attesti al 10° posto tra le maggiori economie globali entro il 2023 (anno del Centenario della nascita della Repubblica turca). In quali settori, dunque, investire? Rilevanti i settori ITC & infrastrutture, scienze della vita, energie ed energie rinnovabili, costruzioni. Tra i progetti meritevoli di attenzione vi sono il maggiore tecnoparco turco e il più grande aeroporto al mondo.
Due interventi sono stati incentrati sulle testimonianze dirette. Alberto Lotti, Vice Presidente del CdA di Axion Bank, ha avuto modo di relazionarsi frequentemente con Turchia nel corso della sua carriera, tanto che la banca ha aperto una filiale di rappresentanza ad Istanbul, e ha affermato che con partner fidati, e grazie alle similitudini tra il sistema legale svizzero e turco, gli investimenti in Turchia sono favorevoli; dal canto suo, Orhan Arikci, Managing Director, Pro Business Partners International di Lugano, ha evidenziato una serie di “do & don’ts” sul fare affari con partner turchi.
La missione della Cc-Ti a Istanbul è prevista in dicembre, ha confermato Chiara Crivelli, Head of International Desk della Cc-Ti. Si tratterà di una missione multisettoriale, in concomitanza con lo Swiss-Turkish Economic Forum, organizzato dalla Swiss-Turkish Chamber of commerce. Vi sarà la possibilità di incontri B2B mirati con potenziali partner, oltre a un ricevimento ufficiale dove ci si potrà intrattenere con rappresentanti delle istituzioni turche e con imprenditori svizzeri già presenti in Turchia. Per tutte le informazioni inerenti questa nuova missione Cc-Ti, potete consultare la pagina web: www.cc-ti.ch/international-desk.
A chiudere l’evento, dopo il saluto conclusivo di Marco Passalia, Vice Direttore Cc-Ti e Responsabile del Servizio Export, un momento informale di networking tra partecipanti e relatori.
Le presentazioni
Geopolitical Situation and Impact on the Turkish Business Environment
Arpat Şenocak, president, Swiss Chamber of Commerce in Turkey
TurkeyBusiness Opportunities in Turkey
Yasemin Öztürk, Local Trade Officer, Swiss Business Hub
Lancio missione commerciale in Turchia
Chiara Crivelli, Head of the International Desk, Cc-Ti
Doing Business in Turkey
Orhan Arikci, Managing Director, Pro Business Partners International, Lugano
“Swiss Rules of Arbitration: Efficient Dispute Resolution”
/in Diritto, TematicheL’ ”Istituzione Arbitrale delle Camere Svizzere” si è presentata a Lugano lo scorso 3 giugno, in occasione di un’interessante conferenza durante la quale un numeroso e diversificato pubblico internazionale ha potuto confrontarsi con personalità della sfera legale ed arbitrale del nostro paese.
Sono stati messi in evidenza i vantaggi, soprattutto per le aziende attive a livello internazionale, di una procedura arbitrale rispetto ad una procedura ordinaria davanti ai tribunali statali.
Al giorno d’oggi le procedure giudiziarie possono infatti durare anche molti anni, e questo solo in prima istanza, senza quindi contare i vari livelli di ricorso possibili che la procedura civile ordinaria offre alle parti di un litigio.
L’arbitrato rappresenta un’interessante alternativa per evitare lunghe e costose procedure giudiziarie.
La procedura si presenta particolarmente snella e veloce per i casi il cui valore litigioso non supera i CHF 1’000’000; il Regolamento “Swiss Rules” (scaricabile dal sito www.swissarbitration.org, disponibile in inglese e in una dozzina di altre lingue) prevede che il lodo debba essere pronunciato entro 6 mesi dalla costituzione del tribunale arbitrale. Questa procedura riduce i costi in maniera considerevole.
Gli arbitri sono professionisti che vantano competenze specifiche nelle materie oggetto di controversia; essi debbono essere indipendenti ed imparziali rispetto alle parti. Il procedimento arbitrale e il lodo, a differenza dei procedimenti e delle sentenze emesse dai tribunali statali, sono confidenziali. L’arbitrato assicura libera scelta degli arbitri, del diritto applicabile, della lingua e dell’avvocato.
Uno dei vantaggi importanti consiste nell’assenza di qualsiasi intervento da parte dei tribunali ordinari nel corso del procedimento arbitrale. I lodi internazionali sono soggetti a limitati e tassativi motivi di impugnazione. I ricorsi per l’annullamento dei lodi vengono decisi dal Tribunale federale (massima autorità giudiziaria svizzera) quale istanza unica.
La legge svizzera sull’arbitrato è facilmente reperibile online sul sito www.swisssarbitration.org in diverse lingue. Ai fini dell’applicazione delle “Swiss Rules” è necessario che un richiamo espresso a queste ultime sia previsto dalle parti. Di consuetudine ciò normalmente avviene nella clausola compromissoria contenuta nel contratto, ma nulla esclude che tale richiamo venga compiuto successivamente all’insorgere della controversia in un accordo apposito, comunemente detto “compromesso arbitrale” (sul sito si trovano esempi utili).
Gli onorari degli arbitri e le spese amministrative della Swiss Chamber’sArbitration Institution sono contenuti. Essi vengono di regola calcolati in percentuale del valore di causa secondo la tabella riportata nel Regolamento. E’ inoltre possibile comprendere quali siano i costi legati ad un giudizio arbitrale attraverso l’utilizzo del calcolatore dei costi disponibile sul sito internet.
Oltre all’arbitrato, si è parlato del Regolamento di mediazione commerciale, le cui regole sono particolarmente appropriate per le parti che desiderino raggiungere una soluzione della loro controversia attraverso un accordo facilitato dall’intervento di un terzo neutrale. Le regole di mediazione suggeriscono inoltre modalità per combinare mediazione e arbitrato. Il medesimo Regolamento permette al Tribunale arbitrale, con l’accordo delle parti, di intraprendere i passi necessari per facilitare la soluzione della disputa in maniera consensuale senza attendere la pronuncia del lodo.
La CC-TI gestisce uno dei 7 segretariati operativi a livello nazionale, in collaborazione con le altre sedi delle camere svizzere.
Tra i relatori, l’avv. Michele Rossi, Delegato delle relazioni esterne della CC-TI, nonché membro del Consiglio direttivo dell’Istituzione arbitrale e responsabile della sede di Lugano (nella foto).
Altre informazioni disponibili su www.swissarbitration.org o presso le sedi dei segretariati.
Scaricate il flyer dell’evento
Nuove opportunità grazie all’accordo di libero scambio tra l’AELS e le Filippine
/in Internazionale, TematicheLo scorso 28 aprile 2016 è stato siglato a Berna un nuovo ed importante accordo di libero scambio (ALS) tra gli Stati dell’AELS (Svizzera, Liechtenstein, Norvegia e Islanda) e le Filippine. È un trattato fondamentale con un Paese in piena espansione che conta oltre 100 milioni di abitanti, situandosi al 12° posto tra le nazioni più popolose al mondo. Le Filippine sono il 6° partner commerciale della Svizzera nel sud-est asiatico dove vengono esportati soprattutto prodotti farmaceutici (36,9%), macchine (19,9%), orologi (13,1%) e prodotti agricoli (9,1%). Nel 2015 il volume delle esportazioni si è attestato a 311 milioni di franchi. La Confederazione importa invece dallo Stato asiatico soprattutto metalli e pietre preziose (55,8%), macchine (23,6%) e strumenti medici (6,5%).
Come riportato dalla SECO in una nota informativa, grazie all’ALS si aprono nuove porte per le aziende elvetiche dato che le barriere commerciali verranno eliminate sul 91.6% dei prodotti industriali, dei pesci e di altri prodotti del mare. Più in particolare, l’accordo prevede l’eliminazione immediata dei dazi doganali già dalla sua entrata in vigore, anche se per alcuni prodotti sensibili è stata stabilita una diminuzione graduale dei tributi nell’arco di 3-10 anni. Alcune merci dell’industria automobilistica non avranno un’eliminazione totale dei dazi ma potranno contare su un sostanziale abbassamento. In generale si constata comunque che per gli interessi svizzeri i prodotti non inclusi nell’ALS sono generalmente marginali.
Inoltre, grazie all’accordo di libero scambio le Filippine ridurranno o elimineranno i dazi sulle principali esportazioni di prodotti agricoli da parte della Svizzera. L’ALS tocca anche il settore dei servizi, stabilendo delle ulteriori regolamentazioni per i servizi finanziari, di telecomunicazione, energetici e i servizi marittimi. Per quanto concerne la proprietà intellettuale, l’accordo rafforza alcuni aspetti inerenti i brevetti, la protezione dei marchi, le indicazioni di provenienza nonché i diritti di proprietà intellettuale e delle procedure giudiziarie. Inoltre, sono regolamentati anche la concorrenza, l’agevolazione degli scambi, nonché il commercio e lo sviluppo sostenibile. L’accordo stabilisce ancora disposizioni sugli investimenti e sugli appalti pubblici.
Le regole dell’origine dell’ALS corrispondono in linea generale al modello europeo. Sono comunque meno restrittive e prevedono anche una tolleranza del 15% del valore aggiunto per la lavorazione al di fuori delle parti contraenti (“outward processing”), quando in generale questa cifra si attesta al 20%. Le disposizioni concernenti il cumulo prevedono per i capitoli relativi ai prodotti industriali il cumulo diagonale (tra gli Stati dell’AELS e le Filippine) e la regola della non alterazione permette di dividere gli invii delle merci nei Paesi di transito senza che l’origine vada persa. Questa regola accresce la flessibilità logistica dell’industria di esportazione svizzera e facilita nel contempo anche le importazioni. Infine la dichiarazione d’origine è la sola prevista come prova d’origine, compresa anche la possibilità del sistema di esportatore autorizzato.
Infine, ci permettiamo sottolineare ulteriormente che l’accordo di libero scambio con le Filippine permetterà agli Stati dell’AELS – tra cui naturalmente la Svizzera – di rafforzare le relazioni economiche e commerciali con i partner asiatici e di disporre di un vantaggio competitivo essenziale verso i principali concorrenti esteri che non dispongono ancora di un ALS (ad esempio rispetto all’Unione Europea che ha avviato le trattative con la nazione asiatica lo scorso dicembre). È quindi sempre doveroso rimanere costantemente aggiornati sulle novità in merito agli ALS e alle opportunità e ai vantaggi che offrono alle aziende elvetiche volte all’internazionalizzazione.
Marco Passalia, vice direttore Cc-Ti
Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana
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Tigri, mucche e cavalli
/in Comunicazione e mediaL’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
Questa citazione di Winston Churchill è quanto mai d’attualità, un po’ a tutti i livelli, Ticino incluso. Peccato, perché questo, oltre che a essere scorretto, impedisce anche un sano e schietto confronto sul ruolo delle aziende e sulle cose che non vanno. Sì, perché difetti, scorrettezze, comportamenti poco etici, ecc. sono una realtà che si ritrova anche nel mondo imprenditoriale. Alla stessa stregua di quanto si riscontra fra i politici, fra i funzionari, fra le lavoratrici e i lavoratori e via dicendo. Nessuno escluso. Semplicemente perché vi è sempre la componente umana che, come noto, per natura è fallibile, anche se qualche politico illuminato pensa di non esserlo e di essere depositario della verità assoluta o addirittura del dogma dell’infallibilità un tempo riservato ai papi. Non deve quindi stupire che poi la “discussione” si riduca a scontro fra fazioni e alla fine è sempre colpa delle aziende. Un po’ come quando il calciatore inglese Gary Lineker diceva che “il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince”. Ecco, l’impressione oggi è che il grande gioco della politica sia molto semplice, un colpo di clava a destra, una sferzata di scimitarra a sinistra, soluzioni facili e preconfezionate (che siano inapplicabili non interessa a nessuno) e alla fine pagano le aziende (spesso non solo finanziariamente).
Esagero? Forse. Certamente sono di parte, ma almeno è chiaro cosa e chi rappresento e non mi nascondo dietro presunti interessi supremi per raccogliere facilmente qualche voto, fingendo di essere quello che non sono. Detto questo, non posso evidentemente esimermi dal portare qualche esempio concreto di approccio poco simpatico nei confronti delle imprese. Ho già ripetutamente parlato dell’esempio dello “Swissness”, per cui questa volta scelgo un’altra perla, che comunque è pure legata alla svizzerità e in particolare al settore alimentare. Lo scorso anno è stato varato dal Consiglio federale un ambizioso progetto denominato “Largo” (poi capirete perché), con l’ambizione di rivedere tutto il diritto federale sulle derrate alimentari. Già complesso fino alla revisione, ancora meno digeribile (visto che parliamo di alimentari) dopo la prevista revisione. Qualche cifra: 16 centimetri di altezza del dossier (misura media in altri ambiti ma ragguardevole per i faldoni…), 4 ordinanze del Consiglio federale, 22 ordinanze del Dipartimento degli interni e 1 ordinanza dell’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria. Per un totale di 27 ordinanze, 2’080 pagine complessive e più di 200 pagine di spiegazioni necessarie in sede di consultazione. A voler essere positivi, si può rilevare che finora le ordinanze erano 28, per cui qualcuno potrebbe parlare di liberalizzazione selvaggia visto che una manca tragicamente all’appello. Visti i numeri, tuttavia, il nome “Largo” sembra quindi particolarmente azzeccato. Da aggiungere, fatto quasi irrilevante, che per gestire questa nuova situazione servirebbero 9 nuovi funzionari federali. Ah è vero, è lo Stato che crea lavoro, non le aziende. Comunque, al di là delle cifre, del fatto che oggi probabilmente tutto è diventato più complicato e che le esigenze di sicurezza alimentare sono diventate tali che se bevo 15 caffè ho il diritto di esigere che non mi bruci lo stomaco, qualche domanda è giusto porsela.
Una revisione del diritto applicabile è probabilmente necessaria, dati i molti mutamenti del contesto generale. Fa però riflettere che ancora una volta la Svizzera abbia voluto dare prova di zelo eccessivo. Ispirata dalla decisione dell’Unione Europea secondo cui nelle carte del menu dei ristoranti devono essere indicati gli ingredienti delle pietanze, il nostro Paese ha previsto, of course, di essere ancora più restrittivo. A parte il fatto che rischiamo di ritrovarci con menu di 500 pagine per cui bambini, malati e anziani non potranno più sfogliarli perché non abbastanza forzuti, il messaggio è chiaro: dei ristoratori e in generale di chi lavora con gli alimentari non ci si può fidare perché hanno il vizietto di avvelenare la gente ed è molto meno pericoloso maneggiare l’uranio o il plutonio che una bistecca o una ciabatta (intesa nel senso del pane). La consultazione di un menu al ristorante, oltre che fisicamente impegnativa, rischia di diventare appassionante come la lettura dei fogli illustrativi dei medicamenti, con centinaia di controindicazioni.
L’obbligo di indicazione, senza riserve, del Paese di produzione dei generi alimentari e di tutte le materie prime utilizzate nei menu e nelle vetrine espositive suona francamente un po’ come un’esagerazione. Certo, si tirerà in ballo la sacrosanta sicurezza alimentare e il fatto che negli Stati Uniti quando si mangia un rib-eye ci si sottopone automaticamente anche ad una massiccia cura di antibiotici. Fatti di cui tenere conto, ma armonizzare il nostro diritto con quello della protezione dei consumatori dell’UE rendendolo ancora più severo di quest’ultimo (e comunque l’UE in fatto di severità non scherza) non sembra una scelta molto azzeccata. Tanto che durante la procedura di consultazione del progetto “Largo” non vi è stata una levata di scudi solo degli ambienti economici, ma anche i Cantoni hanno segnalato qualche problemino. Fra cui anche il Ticino, che ha sottolineato l’importante conseguenza dal punto di vista dei costi smisurati del nuovo sistema previsto, tanto per i Cantoni che per l’economia (il documento è consultabile sul sito www.blv.admin.ch).
Insomma, regole più severe, complesse e costose. Vero che la salute non ha prezzo, ma anche l’accanimento terapeutico non è che sia il massimo. Quello che stupisce è che la proposta di revisione, originata dall’approvazione il 20 giugno 2014 della nuova legge sulle derrate alimentari da parte del Parlamento federale, non in sia in qualche modo stata concertata con le cerchie interessate, sollevando un gran polverone con una procedura di consultazione molto tecnica e complicata. Piccola consolazione è che per il momento il progetto sembra bloccato in vista di una rivisitazione più sostenibile. Almeno la consultazione è servita a questo, fatto non scontato, perché capita spesso che le opinioni espresse dall’economia, soprattutto a livello cantonale, non vengano nemmeno prese in considerazione. Non sono certo premesse ideali per cercare di costruire un patto di Paese come, giustamente, invocato da più parti.
Truffa con finte offerte di lavoro a nome Cc-Ti
/in Comunicazione e mediaAttenzione! Vi è una manovra fraudolenta in atto, che utilizza il nome della nostra Camera.
Si propongono posti di lavoro inesistenti, facendo riferimento a un nostro fantomatico Ufficio di collocamento. Si è invitati a cliccare sul seguente link: www.ccisweb.com, che dirige verso informazioni ufficiali, salvo poi essere obbligati a chiamare un numero in Cechia e a versare soldi in anticipo. Ovviamente soldi che spariranno. Anche la mail (info@ccis-ticino.com) indicata per i contatti non ha alcun legame con la Cc-Ti.
Eventuali abusi possono esserci segnalati a: info@cc-ti.ch
Votazioni del 5 giugno: raccomandazioni di voto
/in Comunicazione e mediaIl popolo svizzero e ticinese sarà chiamato alle urne per decidere se accettare o meno delle proposte e cambiamenti a riguardo di diversi temi. Per questo crediamo sia utile fare un punto della situazione a riguardo, riassumendo quanto andremo a votare, e ribadire la nostra posizione sui vari oggetti in votazione.
Temi federali
Temi cantonali
Speciale votazioni: NO alla modifica della legge sui trasporti pubblici
/in Comunicazione e mediaIl prossimo 5 giugno 2016 il popolo ticinese sarà chiamato alle urne per un corposo giro di decisioni, voteremo infatti su ben 4 temi cantonali e 5 federali.
Tra i temi cantonali spicca la Modifica della legge sui trasporti pubblici dove la Cc-Ti raccomanda di esprimersi con un NO per i motivi che potete approfondire leggendo i documenti scaricabili qui sotto e visitanto il sito internet www.no-alla-tassa-sui-parcheggi.ch
NO ad una nuova tassa a carico dei ticinesi contro:
No ad una nuova tassa che:
L’economia è a favore della riduzione del traffico ma non in questo modo. Leggendo l’approfondimento di Ticino Business potete scoprire perchè non si è a favore e con quali serie motivazioni.
Scaricare il dossier di TB
Il Ticino delle aziende si presenta al liceo di Locarno
/in Sostenibilità, TematicheGiornata economica con gli allievi del Liceo di Locarno
La Cc-Ti è tornata nelle scuole, quest’anno accompagnando alcuni studenti del Liceo di Locarno alla scoperta dell’attività della Camera, della realtà economica ticinese e facendogli scoprire una bella realtà industriale della nostra regione. A seguito dell’ottima esperienza fatta l’anno scorso con alcune classi del Liceo di Mendrisio, quando la Cc-Ti si è recata con loro alla scoperta del tessuto aziendale della regione, abbiamo voluto riproporre il formato a beneficio dei ragazzi di una regione diversa, ma non meno ricca di spunti e di realtà aziendali interessanti.
Ed anche questa volta il risultato non ci ha deluso!
In questo modo la Cc-Ti vuole continuare a sottolineare l’importanza di mantenere e sviluppare un contatto diretto tra il tessuto economico ticinese e i giovani di diverse categorie di scuole, senza dimenticare l’impegno della nostra struttura a favore di altre iniziative che coinvolgono il settore formativo ticinese, come Espoprofessioni e Usicareer Forum.
A prendere inizialmente la parola è stato Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti, spiegando come la Cc-Ti funga da ponte tra l’economia e la politica. Ruolo che riesce a svolgere indipendentemente grazie al suo statuto di entità privata. Anche recentemente, nel raffronto con le altre camere europee, questa conformazione del modello camerale svizzero ha dimostrato essere vincente per tutelare al meglio gli interessi degli imprenditori. Il Direttore ha poi risaltato, grazie anche al coinvolgimento da parte del professore liceale Emanuele Vitali, come non sempre sia facile essere un’associazione mantello – che riunisce settori disparati e realtà molto diverse dell’economia ticinese. Il “good- balance” tra la tutela degli interessi settoriali di taluni e quelli di altri non è sempre facilmente raggiungibile, come vuole dimostrare il caso degli scontri che si creano quando si parla degli accordi bilaterali e soprattutto quello legato alla libera circolazione delle persone, tra aziende esportatrici e aziende che operano puramente sul mercato locale.
A volte poi alcuni settori finiscono per prendere delle derive protezionistiche che, a conti fatti, potrebbero quasi sicuramente non portare giovamento nemmeno a loro.
Si è poi passati alla parte esposta dal Direttore di SSIB Ticino, Roberto Klaus, dedicata al tema della responsabilità sociale delle aziende, molto caro alla Cc-Ti e portato avanti da diverso tempo, come potete (ri-) scoprire accendendo al nostro dossier sostenibilità ed alle interviste sul tema visibili nel nostro canale youtube.
Roberto Klaus ha voluto da subito sottolineare come l’importanza del tema non vada di pari passo con nuove regole o imposizioni. La Cc-Ti è infatti contraria a un approccio d’imposizione e predilige quello spontaneo di auto-responsabilizzazione.
Sul tema gli studenti hanno potuto poi riflettere più in concreto tramite un lavoro a piccoli gruppi che ha permesso poi alla fine, tramite le presentazioni, di esporre sia al docente, che agli ospiti relatori che ai compagni le loro riflessioni sul tema esposto in modo accattivante da Roberto Klaus.
Al pomeriggio ci si è recati in visita ad una vicina azienda industriale delle regione, tra l’altro anche molto attiva su diversi temi di RSI, la quale ha permesso ai ragazzi di toccare con mano uno spaccato di vita aziendale nel pieno del suo svolgimento.
Per saperne di più sulla giornata e sulle reazioni degli ragazzi alla visita del pomeriggio vi invitiamo a leggere l’approfondimento dell’evento sul prossimo numero di Ticino Business di giugno!