Di Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti
Il prossimo 5 giugno voteremo sull’ormai famosa o famigerata (a seconda dei punti di vista) tassa di collegamento, che nel contesto della legge sui trasporti pubblici prevede una nuova e ulteriore imposta sui parcheggi. Finalmente si vota, si potrebbe dire, visto che la questione è ormai assurta a elemento fondamentale della politica ticinese, tanto che senza la tassa sembrerebbe imminente il blocco di tutti i progetti di potenziamento del trasporto pubblico. La realtà è ben diversa, ma purtroppo il peccato è originale, perché la discussione su questa misura di natura prettamente fiscale è stata dall’inizio impostata secondo canoni di tipo elettorale e poco oggettivo, sottolineando argomenti non sempre pertinenti.
E’ infatti stato pomposamente annunciato che sarebbe stata una tassa contro i frontalieri, quando in realtà l’autorità cantonale stessa ha poi dovuto ammettere che essa sarà a carico dei ticinesi e dei residenti nella misura del 70%. E’ anche stato sottolineato che si tratterebbe di un balzello fondamentale per lo sviluppo del trasporto pubblico, salvo poi candidamente ammettere che si tratta di una misura essenziale per tenere in piedi le finanze cantonali, pena l’aumento generalizzato del moltiplicatore d’imposta. Pura misura finanziaria e fiscale, quindi, senza ombra di dubbio. Che con il finanziamento del trasporto pubblico c’entra solo marginalmente, visto tra l’altro che tale finanziamento dovrebbe avvenire, come negli altri cantoni, attraverso il budget generale dello Stato. Si è anche detto che la tassa avrebbe colpito solo i centri commerciali, per definizione sempre brutti, sporchi e cattivi e quindi da massacrare, perché ormai fare la spesa (in Ticino) è una colpa di cui vergognarsi (con l’effetto paradossale che i tradizionali paladini dell’autarchia cantonale sostengono nella fattispecie chi va a fare la spesa in Italia). A parte il fatto che la demonizzazione dei centri commerciali è difficilmente comprensibile, in realtà la tassa (o imposta che dir si voglia) tocca tutte le aziende, visto che la discriminante è il numero di parcheggi e le aziende grandi non esistono certo solo nel settore del commercio, ma anche e soprattutto in quello industriale. Anche su questo punto vi sono quindi parecchie inesattezze, per usare un eufemismo.
E’ un vero peccato che sull’altare degli interessi elettorali sia stata sacrificata una vera e approfondita discussione sulle finanze cantonali e sulla mobilità, intesa in senso lato e non solo come fenomeno che tocca tutti ma che avrebbe pochi responsabili, le aziende in primis, ovviamente. La realtà, e lo sanno bene anche i promotori della tassa di collegamento, è molto più complessa, come chiaramente emerso dal convegno sulla mobilità che la Cc-Ti ha organizzato lo scorso 15 aprile (cliccate qui per visualizzare il resoconto dell’evento). L’appuntamento di respiro nazionale, con la partecipazione di esponenti dell’economia di altri cantoni, ha chiaramente mostrato come l’unica via per trovare soluzioni efficaci per la mobilità (non solo quella aziendale) sia l’approccio coordinato e concertato fra tutti gli attori pubblici (cantone e comuni) e privati (aziende, ma anche cittadine e cittadini). Il resto sono solo misure puntuali, di regola sanzionatorie, che non risolvono nulla e che rappresentano solo palliativi oltretutto temporanei. Oggi un approccio sistemico del genere non c’è e non vi è alcuna indicazione che potrebbe esservi in un prossimo futuro. E’ strano, perché, almeno sulla carta, il cantone si è dotato di linee direttive sulla mobilità che contengono molte misure che meritano di essere approfondite e discusse in vista di un’applicazione ad ampio respiro e condivisa. Invece sembra esistere solo la tassa, purtroppo. Intendiamoci, anche una tassa potrebbe avere una sua legittimità qualora vi fossero già in atto vere misure alternative. Un po’ come è stato deciso a Basilea, con la differenza che in quella regione la tassa può essere prevista se l’offerta di trasporto pubblico esiste e la sua efficacia è dimostrata. Situazione ben diversa dal Ticino, dove si dice “prima dammi i soldi, poi vedremo se e quale offerta di trasporto pubblico ci sarà”. Una tassa sulla fiducia, insomma, senza contropartita immediata come dovrebbe essere scontato giuridicamente per una tassa. Invece nulla, colpi di mazza sulla cattiva economia che devasta il territorio, tutti contenti e andiamo avanti così. Dimenticando che molte aziende si sono già da tempo attivate autonomamente con programmi di mobilità aziendale e gli esempi non mancano, per cui l’argomento che il mondo economico se ne frega del territorio non regge. Si può sempre migliorare e siamo pronti a discutere di correttivi su chi ha comportamenti criticabili, ma i correttivi devono esserci per tutti, perché come vi sono aziende poco rispettose del sistema, così esistono numerosi esempi di cittadine e cittadini, enti e istituzioni che se ne fregano altamente del territorio. Dire in maniera generica che le imprese non sono socialmente responsabili è una menzogna che non si può accettare. Il comportamento socialmente responsabile delle aziende, che da tempo stiamo promuovendo con decisione, ha sfaccettature talmente ampie che non può essere negato solo in virtù di una nuda e cruda cifra concernente il numero di parcheggi di cui si dispone. L’economia, esprimendosi contro la tassa di collegamento, non vuole quindi sottrarsi alle sue responsabilità, né verso il territorio, né nella discussione concernente le finanze cantonali, ma esige che questo avvenga su basi diverse, oggettive e parlando chiaramente, chiamando le cose con il loro nome e non vantando effetti taumaturgici di misure molto parziali.
Una tassa (o imposta) che non si sa bene a cosa sia destinata, che sanziona maggiormente il numero di parcheggi piuttosto che i movimenti (strano dal punto di vista ambientale…) e che opera inspiegabili distinzioni fra settori economici presenta troppe contraddizioni per essere accettabile, al di là del fatto che l’uso della leva fiscale senza pensare ai compiti dello Stato e quindi alle spese veramente necessarie è per noi insensato. Certo, in un cantone in cui le sei corsie fra Melide e Mendrisio sono promosse e addirittura avvallate da parlamentari cantonali che hanno combattuto con rara violenza la seconda galleria autostradale del San Gottardo perché più strade portano più traffico, può veramente capitare di tutto e non ci si deve più stupire di nulla. Ma questo non deve costituire un alibi per sdoganare qualsiasi proposta che permetta di raccogliere facili consensi. Dalle aziende si esige, giustamente, molto in termini di attenzione al territorio. Ma è altrettanto legittimo attendersi molto dalla politica, perché anche i rappresentanti del popolo devono tenere un comportamento socialmente responsabile.
L’economia non vuole guerre e, indipendentemente da come andrà il 5 giugno, sarà sempre pronta a fare la sua parte. Che non è quella della vittima sacrificale degli isterismi politici, ma quella di un attore a pieno titolo che merita rispetto.
Nuove opportunità grazie all’accordo di libero scambio tra l’AELS e le Filippine
/in Internazionale, TematicheLo scorso 28 aprile 2016 è stato siglato a Berna un nuovo ed importante accordo di libero scambio (ALS) tra gli Stati dell’AELS (Svizzera, Liechtenstein, Norvegia e Islanda) e le Filippine. È un trattato fondamentale con un Paese in piena espansione che conta oltre 100 milioni di abitanti, situandosi al 12° posto tra le nazioni più popolose al mondo. Le Filippine sono il 6° partner commerciale della Svizzera nel sud-est asiatico dove vengono esportati soprattutto prodotti farmaceutici (36,9%), macchine (19,9%), orologi (13,1%) e prodotti agricoli (9,1%). Nel 2015 il volume delle esportazioni si è attestato a 311 milioni di franchi. La Confederazione importa invece dallo Stato asiatico soprattutto metalli e pietre preziose (55,8%), macchine (23,6%) e strumenti medici (6,5%).
Come riportato dalla SECO in una nota informativa, grazie all’ALS si aprono nuove porte per le aziende elvetiche dato che le barriere commerciali verranno eliminate sul 91.6% dei prodotti industriali, dei pesci e di altri prodotti del mare. Più in particolare, l’accordo prevede l’eliminazione immediata dei dazi doganali già dalla sua entrata in vigore, anche se per alcuni prodotti sensibili è stata stabilita una diminuzione graduale dei tributi nell’arco di 3-10 anni. Alcune merci dell’industria automobilistica non avranno un’eliminazione totale dei dazi ma potranno contare su un sostanziale abbassamento. In generale si constata comunque che per gli interessi svizzeri i prodotti non inclusi nell’ALS sono generalmente marginali.
Inoltre, grazie all’accordo di libero scambio le Filippine ridurranno o elimineranno i dazi sulle principali esportazioni di prodotti agricoli da parte della Svizzera. L’ALS tocca anche il settore dei servizi, stabilendo delle ulteriori regolamentazioni per i servizi finanziari, di telecomunicazione, energetici e i servizi marittimi. Per quanto concerne la proprietà intellettuale, l’accordo rafforza alcuni aspetti inerenti i brevetti, la protezione dei marchi, le indicazioni di provenienza nonché i diritti di proprietà intellettuale e delle procedure giudiziarie. Inoltre, sono regolamentati anche la concorrenza, l’agevolazione degli scambi, nonché il commercio e lo sviluppo sostenibile. L’accordo stabilisce ancora disposizioni sugli investimenti e sugli appalti pubblici.
Le regole dell’origine dell’ALS corrispondono in linea generale al modello europeo. Sono comunque meno restrittive e prevedono anche una tolleranza del 15% del valore aggiunto per la lavorazione al di fuori delle parti contraenti (“outward processing”), quando in generale questa cifra si attesta al 20%. Le disposizioni concernenti il cumulo prevedono per i capitoli relativi ai prodotti industriali il cumulo diagonale (tra gli Stati dell’AELS e le Filippine) e la regola della non alterazione permette di dividere gli invii delle merci nei Paesi di transito senza che l’origine vada persa. Questa regola accresce la flessibilità logistica dell’industria di esportazione svizzera e facilita nel contempo anche le importazioni. Infine la dichiarazione d’origine è la sola prevista come prova d’origine, compresa anche la possibilità del sistema di esportatore autorizzato.
Infine, ci permettiamo sottolineare ulteriormente che l’accordo di libero scambio con le Filippine permetterà agli Stati dell’AELS – tra cui naturalmente la Svizzera – di rafforzare le relazioni economiche e commerciali con i partner asiatici e di disporre di un vantaggio competitivo essenziale verso i principali concorrenti esteri che non dispongono ancora di un ALS (ad esempio rispetto all’Unione Europea che ha avviato le trattative con la nazione asiatica lo scorso dicembre). È quindi sempre doveroso rimanere costantemente aggiornati sulle novità in merito agli ALS e alle opportunità e ai vantaggi che offrono alle aziende elvetiche volte all’internazionalizzazione.
Marco Passalia, vice direttore Cc-Ti
Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana
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Tigri, mucche e cavalli
/in Comunicazione e mediaL’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
Questa citazione di Winston Churchill è quanto mai d’attualità, un po’ a tutti i livelli, Ticino incluso. Peccato, perché questo, oltre che a essere scorretto, impedisce anche un sano e schietto confronto sul ruolo delle aziende e sulle cose che non vanno. Sì, perché difetti, scorrettezze, comportamenti poco etici, ecc. sono una realtà che si ritrova anche nel mondo imprenditoriale. Alla stessa stregua di quanto si riscontra fra i politici, fra i funzionari, fra le lavoratrici e i lavoratori e via dicendo. Nessuno escluso. Semplicemente perché vi è sempre la componente umana che, come noto, per natura è fallibile, anche se qualche politico illuminato pensa di non esserlo e di essere depositario della verità assoluta o addirittura del dogma dell’infallibilità un tempo riservato ai papi. Non deve quindi stupire che poi la “discussione” si riduca a scontro fra fazioni e alla fine è sempre colpa delle aziende. Un po’ come quando il calciatore inglese Gary Lineker diceva che “il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince”. Ecco, l’impressione oggi è che il grande gioco della politica sia molto semplice, un colpo di clava a destra, una sferzata di scimitarra a sinistra, soluzioni facili e preconfezionate (che siano inapplicabili non interessa a nessuno) e alla fine pagano le aziende (spesso non solo finanziariamente).
Esagero? Forse. Certamente sono di parte, ma almeno è chiaro cosa e chi rappresento e non mi nascondo dietro presunti interessi supremi per raccogliere facilmente qualche voto, fingendo di essere quello che non sono. Detto questo, non posso evidentemente esimermi dal portare qualche esempio concreto di approccio poco simpatico nei confronti delle imprese. Ho già ripetutamente parlato dell’esempio dello “Swissness”, per cui questa volta scelgo un’altra perla, che comunque è pure legata alla svizzerità e in particolare al settore alimentare. Lo scorso anno è stato varato dal Consiglio federale un ambizioso progetto denominato “Largo” (poi capirete perché), con l’ambizione di rivedere tutto il diritto federale sulle derrate alimentari. Già complesso fino alla revisione, ancora meno digeribile (visto che parliamo di alimentari) dopo la prevista revisione. Qualche cifra: 16 centimetri di altezza del dossier (misura media in altri ambiti ma ragguardevole per i faldoni…), 4 ordinanze del Consiglio federale, 22 ordinanze del Dipartimento degli interni e 1 ordinanza dell’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria. Per un totale di 27 ordinanze, 2’080 pagine complessive e più di 200 pagine di spiegazioni necessarie in sede di consultazione. A voler essere positivi, si può rilevare che finora le ordinanze erano 28, per cui qualcuno potrebbe parlare di liberalizzazione selvaggia visto che una manca tragicamente all’appello. Visti i numeri, tuttavia, il nome “Largo” sembra quindi particolarmente azzeccato. Da aggiungere, fatto quasi irrilevante, che per gestire questa nuova situazione servirebbero 9 nuovi funzionari federali. Ah è vero, è lo Stato che crea lavoro, non le aziende. Comunque, al di là delle cifre, del fatto che oggi probabilmente tutto è diventato più complicato e che le esigenze di sicurezza alimentare sono diventate tali che se bevo 15 caffè ho il diritto di esigere che non mi bruci lo stomaco, qualche domanda è giusto porsela.
Una revisione del diritto applicabile è probabilmente necessaria, dati i molti mutamenti del contesto generale. Fa però riflettere che ancora una volta la Svizzera abbia voluto dare prova di zelo eccessivo. Ispirata dalla decisione dell’Unione Europea secondo cui nelle carte del menu dei ristoranti devono essere indicati gli ingredienti delle pietanze, il nostro Paese ha previsto, of course, di essere ancora più restrittivo. A parte il fatto che rischiamo di ritrovarci con menu di 500 pagine per cui bambini, malati e anziani non potranno più sfogliarli perché non abbastanza forzuti, il messaggio è chiaro: dei ristoratori e in generale di chi lavora con gli alimentari non ci si può fidare perché hanno il vizietto di avvelenare la gente ed è molto meno pericoloso maneggiare l’uranio o il plutonio che una bistecca o una ciabatta (intesa nel senso del pane). La consultazione di un menu al ristorante, oltre che fisicamente impegnativa, rischia di diventare appassionante come la lettura dei fogli illustrativi dei medicamenti, con centinaia di controindicazioni.
L’obbligo di indicazione, senza riserve, del Paese di produzione dei generi alimentari e di tutte le materie prime utilizzate nei menu e nelle vetrine espositive suona francamente un po’ come un’esagerazione. Certo, si tirerà in ballo la sacrosanta sicurezza alimentare e il fatto che negli Stati Uniti quando si mangia un rib-eye ci si sottopone automaticamente anche ad una massiccia cura di antibiotici. Fatti di cui tenere conto, ma armonizzare il nostro diritto con quello della protezione dei consumatori dell’UE rendendolo ancora più severo di quest’ultimo (e comunque l’UE in fatto di severità non scherza) non sembra una scelta molto azzeccata. Tanto che durante la procedura di consultazione del progetto “Largo” non vi è stata una levata di scudi solo degli ambienti economici, ma anche i Cantoni hanno segnalato qualche problemino. Fra cui anche il Ticino, che ha sottolineato l’importante conseguenza dal punto di vista dei costi smisurati del nuovo sistema previsto, tanto per i Cantoni che per l’economia (il documento è consultabile sul sito www.blv.admin.ch).
Insomma, regole più severe, complesse e costose. Vero che la salute non ha prezzo, ma anche l’accanimento terapeutico non è che sia il massimo. Quello che stupisce è che la proposta di revisione, originata dall’approvazione il 20 giugno 2014 della nuova legge sulle derrate alimentari da parte del Parlamento federale, non in sia in qualche modo stata concertata con le cerchie interessate, sollevando un gran polverone con una procedura di consultazione molto tecnica e complicata. Piccola consolazione è che per il momento il progetto sembra bloccato in vista di una rivisitazione più sostenibile. Almeno la consultazione è servita a questo, fatto non scontato, perché capita spesso che le opinioni espresse dall’economia, soprattutto a livello cantonale, non vengano nemmeno prese in considerazione. Non sono certo premesse ideali per cercare di costruire un patto di Paese come, giustamente, invocato da più parti.
Truffa con finte offerte di lavoro a nome Cc-Ti
/in Comunicazione e mediaAttenzione! Vi è una manovra fraudolenta in atto, che utilizza il nome della nostra Camera.
Si propongono posti di lavoro inesistenti, facendo riferimento a un nostro fantomatico Ufficio di collocamento. Si è invitati a cliccare sul seguente link: www.ccisweb.com, che dirige verso informazioni ufficiali, salvo poi essere obbligati a chiamare un numero in Cechia e a versare soldi in anticipo. Ovviamente soldi che spariranno. Anche la mail (info@ccis-ticino.com) indicata per i contatti non ha alcun legame con la Cc-Ti.
Eventuali abusi possono esserci segnalati a: info@cc-ti.ch
Votazioni del 5 giugno: raccomandazioni di voto
/in Comunicazione e mediaIl popolo svizzero e ticinese sarà chiamato alle urne per decidere se accettare o meno delle proposte e cambiamenti a riguardo di diversi temi. Per questo crediamo sia utile fare un punto della situazione a riguardo, riassumendo quanto andremo a votare, e ribadire la nostra posizione sui vari oggetti in votazione.
Temi federali
Temi cantonali
Speciale votazioni: NO alla modifica della legge sui trasporti pubblici
/in Comunicazione e mediaIl prossimo 5 giugno 2016 il popolo ticinese sarà chiamato alle urne per un corposo giro di decisioni, voteremo infatti su ben 4 temi cantonali e 5 federali.
Tra i temi cantonali spicca la Modifica della legge sui trasporti pubblici dove la Cc-Ti raccomanda di esprimersi con un NO per i motivi che potete approfondire leggendo i documenti scaricabili qui sotto e visitanto il sito internet www.no-alla-tassa-sui-parcheggi.ch
NO ad una nuova tassa a carico dei ticinesi contro:
No ad una nuova tassa che:
L’economia è a favore della riduzione del traffico ma non in questo modo. Leggendo l’approfondimento di Ticino Business potete scoprire perchè non si è a favore e con quali serie motivazioni.
Scaricare il dossier di TB
Il Ticino delle aziende si presenta al liceo di Locarno
/in Sostenibilità, TematicheGiornata economica con gli allievi del Liceo di Locarno
La Cc-Ti è tornata nelle scuole, quest’anno accompagnando alcuni studenti del Liceo di Locarno alla scoperta dell’attività della Camera, della realtà economica ticinese e facendogli scoprire una bella realtà industriale della nostra regione. A seguito dell’ottima esperienza fatta l’anno scorso con alcune classi del Liceo di Mendrisio, quando la Cc-Ti si è recata con loro alla scoperta del tessuto aziendale della regione, abbiamo voluto riproporre il formato a beneficio dei ragazzi di una regione diversa, ma non meno ricca di spunti e di realtà aziendali interessanti.
Ed anche questa volta il risultato non ci ha deluso!
In questo modo la Cc-Ti vuole continuare a sottolineare l’importanza di mantenere e sviluppare un contatto diretto tra il tessuto economico ticinese e i giovani di diverse categorie di scuole, senza dimenticare l’impegno della nostra struttura a favore di altre iniziative che coinvolgono il settore formativo ticinese, come Espoprofessioni e Usicareer Forum.
A prendere inizialmente la parola è stato Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti, spiegando come la Cc-Ti funga da ponte tra l’economia e la politica. Ruolo che riesce a svolgere indipendentemente grazie al suo statuto di entità privata. Anche recentemente, nel raffronto con le altre camere europee, questa conformazione del modello camerale svizzero ha dimostrato essere vincente per tutelare al meglio gli interessi degli imprenditori. Il Direttore ha poi risaltato, grazie anche al coinvolgimento da parte del professore liceale Emanuele Vitali, come non sempre sia facile essere un’associazione mantello – che riunisce settori disparati e realtà molto diverse dell’economia ticinese. Il “good- balance” tra la tutela degli interessi settoriali di taluni e quelli di altri non è sempre facilmente raggiungibile, come vuole dimostrare il caso degli scontri che si creano quando si parla degli accordi bilaterali e soprattutto quello legato alla libera circolazione delle persone, tra aziende esportatrici e aziende che operano puramente sul mercato locale.
A volte poi alcuni settori finiscono per prendere delle derive protezionistiche che, a conti fatti, potrebbero quasi sicuramente non portare giovamento nemmeno a loro.
Si è poi passati alla parte esposta dal Direttore di SSIB Ticino, Roberto Klaus, dedicata al tema della responsabilità sociale delle aziende, molto caro alla Cc-Ti e portato avanti da diverso tempo, come potete (ri-) scoprire accendendo al nostro dossier sostenibilità ed alle interviste sul tema visibili nel nostro canale youtube.
Roberto Klaus ha voluto da subito sottolineare come l’importanza del tema non vada di pari passo con nuove regole o imposizioni. La Cc-Ti è infatti contraria a un approccio d’imposizione e predilige quello spontaneo di auto-responsabilizzazione.
Sul tema gli studenti hanno potuto poi riflettere più in concreto tramite un lavoro a piccoli gruppi che ha permesso poi alla fine, tramite le presentazioni, di esporre sia al docente, che agli ospiti relatori che ai compagni le loro riflessioni sul tema esposto in modo accattivante da Roberto Klaus.
Al pomeriggio ci si è recati in visita ad una vicina azienda industriale delle regione, tra l’altro anche molto attiva su diversi temi di RSI, la quale ha permesso ai ragazzi di toccare con mano uno spaccato di vita aziendale nel pieno del suo svolgimento.
Per saperne di più sulla giornata e sulle reazioni degli ragazzi alla visita del pomeriggio vi invitiamo a leggere l’approfondimento dell’evento sul prossimo numero di Ticino Business di giugno!
Industria 4.0 e la digitalizzazione nelle aziende esportatrici
/in Internazionale, TematicheLa quarta rivoluzione industriale è arrivata: Industria 4.0, ovvero l’applicazione dell’Internet delle cose (IoT) alla produzione industriale e il collegamento in rete di persone, prodotti e macchine, sta stravolgendo i modelli organizzativi e cambiando il business in generale e quello internazionale in particolare. L’interconnessione e la digitalizzazione dei processi produttivi creano la “Smart Factory” (la fabbrica intelligente che si adatta da sola), abbattono i costi di produzione, consentono una maggiore customizzazione e favoriscono l’entrata su nuovi mercati.
Nella “Smart Factory” l’integrazione verticale e orizzontale diventano fattori importanti. L’integrazione verticale offre grande potenziale di ottimizzazione in quanto i processi informatici e di comando sono messi in rete, abilitando lo scambio di dati tra reparti aziendali (sviluppo, pianificazione, produzione, vendite, distribuzione), che possono in seguito organizzarsi da sé. Per quanto riguarda il commercio con l’estero, le grandi quantità di dati scambiati consentono di prevedere gli sviluppi futuri e valutare la domanda potenziale nei vari mercati. Nell’ambito dell’internazionalizzazione è però la dimensione orizzontale dell’integrazione ad apportare i cambiamenti più incisivi in quanto le catene del valore classiche tra aziende si trasformano in reti di creazione del valore, dove le imprese lavorano insieme su uno stesso prodotto al di là dei confini organizzativi e nazionali. Le aziende più grandi assegnano sempre più processi a quelle più piccole e specializzate, indipendentemente dalla loro ubicazione. Le PMI, sempre più attive in reti di sviluppo, produzione e cooperazione globali, si possono concentrare sulle loro competenze specifiche. Esse sono però anche chiamate a rivedere l’approccio ai mercati esteri e uno dei primi passi da fare è sicuramente quello di digitalizzarlo.
Le opportunità offerte dal connubio digitalizzazione e internazionalizzazione possono essere sfruttate meglio di quanto non sia stato fatto sinora: un progetto di esportazione può infatti essere portato avanti in molti modi sul web, cominciando dall’analisi della domanda nei mercati target, dalla valutazione di clienti potenziali e così via sino al marketing online e alle vendite tramite l’e-commerce. Un primo strumento utile è sicuramente la piattaforma www.exportdigital.ch, frutto della partnership tra Switzerland Global Enterprise (S-GE) e Google Switzerland. Essa mette a disposizione circa 100 video tutorial su questioni inerenti l’export, il marketing digitale e l’acquisizione di clienti online nonché uno strumento di ricerca dei mercati potenzialmente interessanti (tramite parole chiave che descrivono il prodotto o servizio in poco tempo si ottiene una classifica dei mercati che offrono le maggiori opportunità e informazioni di base ad es. sulla concorrenza, il comportamento di acquisto dei consumatori online e i sistemi di pagamento).
Attenzione però: la digitalizzazione dell’approccio all’export va integrata in una strategia globale. A prescindere dai canali digitali, nel mercato di riferimento può essere comunque necessario disporre di una rete di partner locali e di ulteriori canali di marketing e di vendita. Non vanno inoltre sottovalutate le differenze culturali e normative, come pure le questioni fiscali. L’entrata su nuovi mercati resta quindi un processo complicato e in questo senso Camera di commercio e S-GE sono a disposizione come sempre con corsi, consulenze ed eventi per informare e consigliare al meglio le imprese ticinesi.
Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana
Marco Passalia, Responsabile Servizio Export Cc-Ti
Le aziende ticinesi si aprono al mercato russo
/in Appuntamenti, Eventi e missioni, Eventi PaeseEvento Paese: Russia
Nell’ambito degli eventi di approfondimento sui Paesi organizzati dalla Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) in collaborazione con Switzerland Global Enterprise, Cippà Trasporti SA, Credit Suisse, CRIF e Euler Hermes si è svolto lunedì 9 maggio un incontro dedicato alla Russia. Una data simbolica dato che quest’oggi si celebra la Giornata della Vittoria in memoria della capitolazione della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale.
Dopo i saluti introduttivi di Marco Passalia, vice direttore e responsabile del Servizio Export della Cc-Ti, è intervenuto Esteban Lanter del Global Macro Research di Credit Suisse che ha presentato i principali indicatori e fatti dell’economia russa. In particolare la caduta del prezzo del petrolio nel 2014/15 è stata la causa principale della forte inflazione. Dai dati in possesso del Credit Suisse, anche nell’immediato futuro, non vi sono segnali di grandi miglioramenti. Il settore industriale è invece stabile e le previsioni per il PIL prevedono un certo recupero, malgrado i rischi fiscali rimangano elevati.
Come ha poi sottolineato Julie Bächtold, Senior Trade Advisor dello Swiss Business Hub Russia, lo Stato russo ha varato un piano di oltre 10 miliardi di dollari alfine di immettere capitali in diversi settori chiave, come quello automobilistico o nelle ferrovie. Anche le sanzioni internazionali, introdotte a seguito della crisi in Ucraina contro i Paesi dell’UE e altre nazioni come gli Stati Uniti, hanno avuto un ruolo determinante per l’economia russa che ha portato a un cambiamento dei prodotti importati. Questa situazione ha creato un mercato ancora più interessante per le aziende svizzere, soprattutto quelle legate al settore agroalimentare. La Svizzera infatti, non essendo stata coinvolta nelle sanzioni, ha un vantaggio competitivo importante rispetto alle medesime imprese europee.
Anastasia Bratanchuk, Business consultant di CRIF, ha in seguito esposto ai numerosi partecipanti all’incontro alcune informazioni commerciali e significative per la valutazione delle aziende in Russia, ricordando quanto sia importante per un’azienda che vuole fare business all’estero, conoscere a fondo il proprio partner commerciale.
Come di consueto, l’evento-Paese ha ospitato anche una testimonianza aziendale per capire le reali implicazioni nel fare business in Russia. Ari Lombardi, CEO di Agroval SA, è infatti entrato con molta soddisfazione nel mercato russo grazie ai suoi yoghurt di montagna e ai formaggi prodotti dalla sua azienda. Un successo – come sottolineato dallo stesso Lombardi – merito anche del sostegno della Cc-Ti che attraverso le sue missioni a Mosca ha saputo creare i giusti contatti e ha fornito il supporto necessario per le certificazioni richieste.
Infine, Chiara Crivelli, Head of the international desk della Cc-Ti, ha presentato i dettagli del prossimo viaggio in Russia, previsto dal 3 al 7 ottobre 2016 e organizzato in collaborazione con l’Ambasciata svizzera a Mosca e lo Swiss Business Hub di Mosca. Si tratta di una missione multisettoriale, da una parte focalizzata sul food dove le aziende che hanno già un importatore russo potranno partecipare alla settimana di promozione di prodotti ticinesi al GUM (il centro commerciale sulla Piazza Rossa). Per le imprese che si affacceranno per la prima volta in Russia, vi sarà invece la possibilità di effettuare incontri B2B con potenziali partner e l’opportunità di presentare i propri prodotti durante una serata di degustazione presso la Residenza dell’Ambasciatore svizzero a Mosca. Per le aziende di tutti gli altri settori vi saranno appuntamenti con possibili clienti nonché la possibilità di partecipare all’evento di degustazione, potendo cogliere un’ottima occasione di networking. Come sottolineato infine da Chiara Crivelli, maggiori dettagli sulla missione saranno comunicati nelle prossime settimane e le aziende già potenzialmente interessate possono cominciare a contattare la Cc-Ti per rimanere informati su tutte le novità.
Le presentazioni
Economic Outlook
Esteban Lanter, Global Macro Research, Credit Suisse
Business opportunities for Swiss (Ticino) companies despite of economic difficulties
Julie Bächtold, Senior Trade Advisor, Swiss Business Hub Russia
Informazioni commerciali disponibili e significative per la valutazione delle aziende in Russia
Bratanchuk Anastasia, Business consultant, CRIF
La prossima missione economica a Mosca
Chiara Crivelli, Head of the International Desk, Cc-Ti
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Curiosità
La terza puntata di “Oltre i confini” è stata dedicata alle missioni commerciali della Cc-Ti in Russia. Per rivedere la trasmissione con l’intervista al vice direttore Marco Passalia, cliccare qui.
Sharing economy e digitalizzazione: non solo rischi
/in Comunicazione e mediaL’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti
Da qualche mese stiamo affrontando con particolare attenzione e vari approfondimenti i temi dell’economia condivisa e della digitalizzazione, per certi versi legati se pensiamo a come la digitalizzazione (vedi ad esempio le applicazioni per i telefoni) faciliti lo sviluppo di determinati fenomeni di sharing economy (Uber su tutti).
Ovviamente entrambi i temi hanno risvolti molto diversificati e ben più ampi, ma sono accomunati da una sola grande paura, quella della sostituzione dell’essere umano soprattutto nel settore industriale a causa della robotizzazione e quella della sostituzione di professioni o settori “tradizionali” e ben consolidati sul territorio, come possono essere i servizi di taxi o l’albergheria. Timori legittimi e comprensibili, che vanno affrontati con serietà, perché quando ci sono in ballo i destini economici e quindi esistenziali degli esseri umani non si può mai scherzare. E’ però opportuno ricordare che ogni evoluzione o rivoluzione tecnologica ha sempre portato con sé molte paure e innegabili difficoltà nel breve termine, ma grandi sviluppi nel medio e lungo termine. In altre parole, l’adattamento nel breve è talvolta doloroso, ma la prospettiva è di regola di maggiore benessere.
E’ sempre difficile fare previsioni e a volte siamo più nel campo degli auspici esorcizzanti che delle certezze. Eppure come dimenticare che negli anni ottanta fu presentato un atto parlamentare alle Camere federali che chiedeva l’introduzione di balzelli pesantissimi sui computer per evitarne la diffusione e quindi salvare i posti di lavoro degli umani, minacciati dalle macchine cattive? Oggi questo fa sorridere e non necessita di ulteriori commenti, ma illustra bene come sia necessario mantenere la mente aperta e il sangue freddo verso queste evoluzioni che, piaccia o non piaccia, sono comunque ineluttabili. Qualche tempo fa, in occasione di alcuni dibattiti, avevo sottolineato un elemento particolarmente importante, cioè che queste sfide poste in particolare da alcuni fenomeni di economia condivisa, dovevano essere l’occasione non per creare nuove regole ma per alleggerire quelle esistenti.
L’esempio pratico di Uber o di Airbnb è illuminante. E’ un errore dire che le regole non esistono, perché chi trasporta o ospita persone a pagamento comunque conclude un contratto che ha conseguenze giuridiche. Il problema è spesso legato piuttosto alle perdite per lo Stato per mancati versamenti di oneri sociali, imposte, tasse di soggiorno, ecc., con inevitabili risvolti di concorrenza sleale per gli attori che invece devono sottostare a regole ferree. Ma questi mancati versamenti non sono il frutto di mancanza di regole, perché di regola necessitano solo adattamenti sugli aspetti delle verifiche. Recentemente un tribunale americano ha considerato che gli operatori di Uber non esercitano un mandato ma hanno un contratto di lavoro, per cui le conseguenze giuridiche sono decisamente diverse. In Svizzera un tribunale probabilmente non deciderebbe altrimenti. Sappiamo infatti che, secondo la costante prassi delle autorità competenti in materia di assicurazioni sociali, lo statuto di indipendente e quindi il rapporto contrattuale di mandato che permette al datore di lavoro versare onorari senza oneri sociali, può essere riconosciuto, fra le altre cose, solo a chi ha diversi mandanti e non uno solo come è spesso il caso per chi lavora per Uber. Il fatto poi che Uber, negli Stati Uniti, abbia concluso una transazione con le autorità americane non cambia i termini del problema. Insomma, senza entrare in troppi tecnicismi, le regole ci sono, vanno un po’ adattate magari soprattutto sul piano del controllo, ma prima di crearne altre va verificato l’esistente. Incoraggiante in questo senso è la recente comunicazione del Consiglio federale che, rispondendo a mozioni presentate da due Consiglieri nazionali PLR, ha chiaramente indicato come sia disponibile a rivedere rapidamente le ormai obsolete regole imposte ai conducenti di taxi ufficiali e che si rivelano penalizzanti. La strada è quella giusta per ristabilire una concorrenza ad armi pari.
Per la mobilità servono soluzioni concertate
/in Comunicazione e mediaDi Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti
Il prossimo 5 giugno voteremo sull’ormai famosa o famigerata (a seconda dei punti di vista) tassa di collegamento, che nel contesto della legge sui trasporti pubblici prevede una nuova e ulteriore imposta sui parcheggi. Finalmente si vota, si potrebbe dire, visto che la questione è ormai assurta a elemento fondamentale della politica ticinese, tanto che senza la tassa sembrerebbe imminente il blocco di tutti i progetti di potenziamento del trasporto pubblico. La realtà è ben diversa, ma purtroppo il peccato è originale, perché la discussione su questa misura di natura prettamente fiscale è stata dall’inizio impostata secondo canoni di tipo elettorale e poco oggettivo, sottolineando argomenti non sempre pertinenti.
E’ infatti stato pomposamente annunciato che sarebbe stata una tassa contro i frontalieri, quando in realtà l’autorità cantonale stessa ha poi dovuto ammettere che essa sarà a carico dei ticinesi e dei residenti nella misura del 70%. E’ anche stato sottolineato che si tratterebbe di un balzello fondamentale per lo sviluppo del trasporto pubblico, salvo poi candidamente ammettere che si tratta di una misura essenziale per tenere in piedi le finanze cantonali, pena l’aumento generalizzato del moltiplicatore d’imposta. Pura misura finanziaria e fiscale, quindi, senza ombra di dubbio. Che con il finanziamento del trasporto pubblico c’entra solo marginalmente, visto tra l’altro che tale finanziamento dovrebbe avvenire, come negli altri cantoni, attraverso il budget generale dello Stato. Si è anche detto che la tassa avrebbe colpito solo i centri commerciali, per definizione sempre brutti, sporchi e cattivi e quindi da massacrare, perché ormai fare la spesa (in Ticino) è una colpa di cui vergognarsi (con l’effetto paradossale che i tradizionali paladini dell’autarchia cantonale sostengono nella fattispecie chi va a fare la spesa in Italia). A parte il fatto che la demonizzazione dei centri commerciali è difficilmente comprensibile, in realtà la tassa (o imposta che dir si voglia) tocca tutte le aziende, visto che la discriminante è il numero di parcheggi e le aziende grandi non esistono certo solo nel settore del commercio, ma anche e soprattutto in quello industriale. Anche su questo punto vi sono quindi parecchie inesattezze, per usare un eufemismo.
E’ un vero peccato che sull’altare degli interessi elettorali sia stata sacrificata una vera e approfondita discussione sulle finanze cantonali e sulla mobilità, intesa in senso lato e non solo come fenomeno che tocca tutti ma che avrebbe pochi responsabili, le aziende in primis, ovviamente. La realtà, e lo sanno bene anche i promotori della tassa di collegamento, è molto più complessa, come chiaramente emerso dal convegno sulla mobilità che la Cc-Ti ha organizzato lo scorso 15 aprile (cliccate qui per visualizzare il resoconto dell’evento). L’appuntamento di respiro nazionale, con la partecipazione di esponenti dell’economia di altri cantoni, ha chiaramente mostrato come l’unica via per trovare soluzioni efficaci per la mobilità (non solo quella aziendale) sia l’approccio coordinato e concertato fra tutti gli attori pubblici (cantone e comuni) e privati (aziende, ma anche cittadine e cittadini). Il resto sono solo misure puntuali, di regola sanzionatorie, che non risolvono nulla e che rappresentano solo palliativi oltretutto temporanei. Oggi un approccio sistemico del genere non c’è e non vi è alcuna indicazione che potrebbe esservi in un prossimo futuro. E’ strano, perché, almeno sulla carta, il cantone si è dotato di linee direttive sulla mobilità che contengono molte misure che meritano di essere approfondite e discusse in vista di un’applicazione ad ampio respiro e condivisa. Invece sembra esistere solo la tassa, purtroppo. Intendiamoci, anche una tassa potrebbe avere una sua legittimità qualora vi fossero già in atto vere misure alternative. Un po’ come è stato deciso a Basilea, con la differenza che in quella regione la tassa può essere prevista se l’offerta di trasporto pubblico esiste e la sua efficacia è dimostrata. Situazione ben diversa dal Ticino, dove si dice “prima dammi i soldi, poi vedremo se e quale offerta di trasporto pubblico ci sarà”. Una tassa sulla fiducia, insomma, senza contropartita immediata come dovrebbe essere scontato giuridicamente per una tassa. Invece nulla, colpi di mazza sulla cattiva economia che devasta il territorio, tutti contenti e andiamo avanti così. Dimenticando che molte aziende si sono già da tempo attivate autonomamente con programmi di mobilità aziendale e gli esempi non mancano, per cui l’argomento che il mondo economico se ne frega del territorio non regge. Si può sempre migliorare e siamo pronti a discutere di correttivi su chi ha comportamenti criticabili, ma i correttivi devono esserci per tutti, perché come vi sono aziende poco rispettose del sistema, così esistono numerosi esempi di cittadine e cittadini, enti e istituzioni che se ne fregano altamente del territorio. Dire in maniera generica che le imprese non sono socialmente responsabili è una menzogna che non si può accettare. Il comportamento socialmente responsabile delle aziende, che da tempo stiamo promuovendo con decisione, ha sfaccettature talmente ampie che non può essere negato solo in virtù di una nuda e cruda cifra concernente il numero di parcheggi di cui si dispone. L’economia, esprimendosi contro la tassa di collegamento, non vuole quindi sottrarsi alle sue responsabilità, né verso il territorio, né nella discussione concernente le finanze cantonali, ma esige che questo avvenga su basi diverse, oggettive e parlando chiaramente, chiamando le cose con il loro nome e non vantando effetti taumaturgici di misure molto parziali.
Una tassa (o imposta) che non si sa bene a cosa sia destinata, che sanziona maggiormente il numero di parcheggi piuttosto che i movimenti (strano dal punto di vista ambientale…) e che opera inspiegabili distinzioni fra settori economici presenta troppe contraddizioni per essere accettabile, al di là del fatto che l’uso della leva fiscale senza pensare ai compiti dello Stato e quindi alle spese veramente necessarie è per noi insensato. Certo, in un cantone in cui le sei corsie fra Melide e Mendrisio sono promosse e addirittura avvallate da parlamentari cantonali che hanno combattuto con rara violenza la seconda galleria autostradale del San Gottardo perché più strade portano più traffico, può veramente capitare di tutto e non ci si deve più stupire di nulla. Ma questo non deve costituire un alibi per sdoganare qualsiasi proposta che permetta di raccogliere facili consensi. Dalle aziende si esige, giustamente, molto in termini di attenzione al territorio. Ma è altrettanto legittimo attendersi molto dalla politica, perché anche i rappresentanti del popolo devono tenere un comportamento socialmente responsabile.
L’economia non vuole guerre e, indipendentemente da come andrà il 5 giugno, sarà sempre pronta a fare la sua parte. Che non è quella della vittima sacrificale degli isterismi politici, ma quella di un attore a pieno titolo che merita rispetto.