Presa di posizione congiunta di Cc-Ti, AITI e SSIC Sezione Ticino all’attenzione della Sezione dello sviluppo territoriale del Dipartimento del territorio, in relazione alla consultazione della Revisione della Legge sullo sviluppo territoriale.

In generale
In primo luogo, pur consapevoli che tale aspetto dipende sostanzialmente dal diritto federale, siamo di principio contrari all’introduzione dell’obbligo di costruire, trattandosi di una grave restrizione della garanzia costituzionale della proprietà privata. La nostra opposizione include anche le modalità con cui tale obbligo è stato concretizzato, ossia l’istituzione di un diritto di compera a favore dei Comuni (sul quale ritorneremo in seguito con osservazioni di dettaglio). In tal senso, per garantire il raggiungimento dei fini posti dalla legge federale, segnatamente per garantire uno sviluppo centripeto dell’attività edificatoria, ci chiediamo se non esistano alternative meno restrittive di un diritto di compera come ad esempio un semplice diritto di prelazione. Infatti, a differenza del diritto di compera, un diritto di prelazione permetterebbe all’ente pubblico di intervenire e di procacciarsi un immobile che il proprietario è comunque già intenzionato a vendere. Una simile fattispecie permetterebbe di meglio equilibrare interesse pubblico e garanzia costituzionale delle proprietà.
Secondariamente, proprio per attenuare gli effetti di un tale stravolgimento del concetto di proprietà privata, chiediamo che le modifiche della legge in consultazione vengano applicate solamente alle situazioni future. In altre parole, solo in caso di nuovi azzonamenti deve essere possibile intervenire con i nuovi strumenti previsti dalla legge. Ciò permetterebbe di tutelare situazioni acquisite, soprattutto considerando che gli attuali proprietari non potevano prevedere un simile sviluppo della normativa in materia di pianificazione.
In particolare
In via subordinata, ossia nel caso in cui si persistesse nel voler introdurre un obbligo di costruire, formuliamo le seguenti osservazioni particolari.
- Il diritto di compera non è lo strumento adeguato alla fattispecie
Un aspetto critico riguarda quanto previsto in caso di mancato accordo tra Comune e proprietario.
Infatti l’art.87b cpv.2 indica che se il proprietario e il Comune non raggiungono un accordo, al Comune spetta un diritto di compera.
Ora, il diritto di compera è un istituto del diritto privato che presuppone un previo accordo tra le parti, segnatamente sul prezzo dell’immobile da trasferire. Ma la fattispecie indicata nel progetto di legge si riferisce invece ad una situazione in cui le parti l’accordo non l’hanno trovato. E quindi, come è possibile immaginare un diritto di compera? Chi stabilirebbe il prezzo?
Per questa ragione riteniamo che, a garanzia del proprietario, sia più opportuno, e logico dal profilo giuridico, immaginare una procedura espropriativa, che garantisce perlomeno un sistema per una corretta valutazione del prezzo dell’oggetto, oltre a che una procedura ben regolamentata.
In ogni modo i criteri per determinare il prezzo vanno inseriti nella legge, a garanzia di stabilità e prevedibilità, e non in futuri regolamenti che l’esecutivo può liberamente modificare.
Come già detto, un obbligo di edificare rappresenta una grave limitazione del diritto costituzionale alla proprietà. Deve quindi poggiare su interessi pubblici preponderanti e rispettare il principio di proporzionalità.
Il concetto di interesse pubblico assume un’importanza particolare ad esempio in relazione agli spazi sfitti. Infatti non appare in alcun modo giustificato prevedere un obbligo di edificare se il mercato offre già sufficienti riserve non utilizzate, come peraltro già rilevato dal medesimo Dipartimento in altri documenti ufficiali.
Per queste ragioni si chiede che il progetto di legge faccia esplicito riferimento al principio di interesse pubblico, sia in relazione al principio (art. 87a), sia alla successiva attuazione pratica (art. 87 b e c).
Il Comune deve infatti valutare concretamente la situazione esistente al momento dell’inserimento del fondo nei luoghi definiti strategici, sia al momento dell’attuazione della sanzione, che potrebbe differire di alcuni anni rispetto all’adozione iniziale del piano regolatore.
Anche in caso di inadempimento dell’accordo raggiunto dalle parti, il progetto di legge prevede che al Comune spetti un diritto di compera.
Si è già detto sopra dell’inadeguatezza del diritto di compera per una fattispecie di questa natura.
Inoltre, nel caso di inadempimento alla base vi è comunque un accordo già raggiunto dalle parti, solo che, dopo la conclusione, il proprietario non procede al relativo adempimento. La conseguenza logica dovrebbe quindi essere che il Comune chieda giudizialmente l’adempimento di quanto pattuito, come succede nel caso di tutte le inadempienze contrattuali. Non vi è pertanto alcuna ragione di offrire al Comune un diritto di compera, di per sé inadeguato (vedi sopra), se ciò non è stato previsto nell’accordo raggiunto.
In altre parole, in caso di inadempimento il Comune deve poter chiedere l’adempimento di quanto stabilito nel contratto. Nulla di più.
- L’ente pubblico deve avere già un progetto concreto
Infine, riteniamo che quando l’ente pubblico dovesse prevedere di inserire nel piano regolatore una limitazione del genere a danno dei proprietari, deve già sapere in modo molto concreto che tipo di progetto andrebbe edificato nelle zone individuate.
Infatti come è possibile obbligare un privato a costruire se non gli indico cosa dovrebbe costruire?
In altre parole, il Comune che dovesse procedere ad istituire un obbligo di edificare, dovrebbe indicare con precisione e concretezza (in modo analogo a quanto si chiede ai privati per una domanda di costruzione) i dettagli del suo progetto. È infatti per noi inimmaginabile che l’ente pubblico possa intervenire a restringere in tal modo il diritto alla proprietà sulla base di desideri generici e poco concreti.

Trasmissione aziendale: un corso di formazione dedicato
/in Formazione puntuale, Formazione Questioni giuridicheOgni anno in Svizzera – come pure in Ticino – si contano diverse aziende confrontate con la trasmissione aziendale. I numeri indicano all’incirca il 20% delle società attive sul territorio, ovvero una su cinque.
Si tratta di un fenomeno (con una successione interna o con una vendita esterna) che non sempre termina con risultati positivi. Come prepararsi al meglio? Occorrono, tra le altre cose, una programmazione e un planning preciso.
Dopo aver già dedicato un Networking Business Breakfast alla tematica al quale hanno partecipato numerosi associati, la Cc-Ti, conscia dell’importanza della tematica, ha strutturato un percorso formativo ad hoc, durante il quale si getteranno le basi per rispondere ai tanti quesiti sul tema.
Il corso, intitolato proprio La trasmissione aziendale, si strutturerà attorno a 4 mezze giornate, e avrà un taglio pratico, proprio nello stile Cc-Ti e permetterà di capire meglio come intraprendere in modo funzionale il passaggio di testimone aziendale. Interessati?
In questa video intervista con Ivano D’Andrea, CEO Gruppo Multi SA e Roberto Pezzoli, Direttore Gruppo Multi SA – con cui abbiamo collaborato per mettere a punto questo corso pensato apposta per gli imprenditori moderni, confrontati con una gestione del tempo limitata e un bisogno di informazioni puntuali e ben calibrate -, cerchiamo di capire meglio lo scenario nel quale ci si muove parlando di trasmissione aziendale e quali saranno gli spunti affrontati durante la formazione puntuale Cc-Ti.
Per garantire la crescita futura del Ticino l’impegno comune di politica ed economia
/in Appuntamenti, Assemblea Generale Ordinaria, Eventi e missioniNegli ultimi quindici anni l’economia ticinese si è radicalmente trasformata, registrando una crescita che ha ormai pressoché allineato il cantone alla media nazionale. La piazza finanziaria, dopo le importanti riorganizzazioni degli scorsi anni, ha trovato un nuovo assetto, si sono affermati settori quali la moda e il trading di materie prime, l’industria chimico farmaceutica si è ulteriormente consolidata, mentre si è accresciuta la vocazione internazionale delle nostre imprese, come testimoniano i 6,3 miliardi (stima per difetto) dell’export cantonale.
Un sistema produttivo che ha oggi nella diversificazione uno dei suoi punti maggiori di forza e potenzialità, supportato, peraltro, da centri di ricerca di eccellenza mondiale. È nella natura dei processi economici il fatto che questa crescita non sia stata omogenea, che taluni comparti non abbiano beneficiato dello stesso dinamismo o che si siano creati degli scompensi sul mercato del lavoro. Ma ciò non basta di certo a giustificare le martellanti campagne sulla disoccupazione, quando il numero dei senza lavoro è ormai ai minimi storici, né tanto meno può legittimare quel clima di ostilità verso le imprese, alimentato dalle forze regressiste, che ha innescato pericolose derive protezionistiche.
È in questo contesto che il 19 ottobre la Cc-Ti terrà al Palacinema di Locarno la sua 101° Assemblea con la partecipazione di due importanti ospiti. Il Consigliere federale Ignazio Cassis che, alla guida del DFAE, ha in mano il dossier Europa di importanza vitale per l’economia svizzera, e il Direttore del DFE Christian Vitta.
Per La Cc-Ti il dialogo costruttivo con la politica e gli altri partner sociali è cruciale. La sfida della rivoluzione digitale richiede un impegno comune per sfruttarne le grandi opportunità e limitare i rischi che essa comporta. Oggi nei rapporti tra economia e politica ci sono tanti problemi aperti: l’eccesso di leggi e di burocrazia che penalizzano le attività imprenditoriali, le pressioni protezionistiche e «primanostriste» che limitano la libertà d’impresa, l’urgenza per il Ticino di recuperare concorrenzialità fiscale, la necessità di un orientamento professionale meno burocratizzato e di una formazione, a tutti i livelli, che incentivi il digital talent e promuova anche una cultura più aperta verso l’industria e il rischio imprenditoriale. Una scarsa attenzione verso questi problemi ci potrebbe costare cara.
Articolo apparso sul Corriere del Ticino dell’8.10.2018
Sinergie settoriali per promuovere il territorio
/in Organizzazione, TematicheIn quest’intervista con Paola Maran-Matasci dell’azienda Matasci Fratelli SA, Tenero, cerchiamo di capire meglio l’evoluzione del settore vitivinicolo in Ticino, sia dal punto di vista storico che quale esperienza aziendale. La Matasci Fratelli SA è un’azienda con anni di storia alle spalle, che ben testimonia il valore del fare impresa in modo sostenibile, legato al territorio.
Premetto che l’azienda a conduzione familiare che oggi dirigo con mio marito e i miei cugini ha vissuto la storia del Merlot quasi dalle sue origini. Nel 1906 vi furono i primi impianti di barbatelle ma la coltivazione di questo vitigno si è sviluppata solo negli anni ‘50, mentre in precedenza si coltivavano altri uvaggi e il gusto del consumatore era orientato sul Barbera del Piemonte. Negli anni sessanta, con il periodo del boom turistico in Ticino, il Merlot ha iniziato ad essere apprezzato vieppiù dalla clientela d’Oltralpe, che ha di fatto aperto le porte alla sua commercializzazione in tutta la Svizzera tedesca. A partire dagli anni ottanta un gruppo di enologi ha cercato di dare una nuova impostazione alla vinificazione del Merlot con l’introduzione delle barriques secondo il metodo bordolese. Ciò ha dato un grande impulso alla ricerca sia in vigna che in cantina, e la qualità del prodotto ha raggiunto altissimi livelli, favorita in parte anche dal cambiamento climatico. Oggi il Merlot del Ticino gode di un’ottima reputazione grazie anche ai numerosi riconoscimenti ottenuti ai più importanti concorsi vinicoli, mentre la sua commercializzazione sta subendo una leggera ma preoccupante inversione di tendenza. Da una parte la concorrenza dei vini esteri che, a parità di qualità hanno prezzi più accessibili. Dall’altra il calo del consumo di vino in generale (si beve meglio ma meno), vuoi per l’ondata salutista, vuoi per l’introduzione di regole più severe in ambito di circolazione stradale, vuoi per una questione di mode. La soluzione per una ripresa potrebbe passare dalla consapevolezza di tutti gli attori del mondo enogastronomico, della necessità di armonizzare l’offerta privilegiando e coinvolgendo i produttori legati al territorio. Questa potrebbe anche essere la carta vincente per incrementare un turismo di qualità che va alla ricerca della tipicità del luogo e delle sue eccellenze. Non dimentichiamo che il turista non solo consuma il prodotto sul posto ma lo acquista e ne diventa portavoce a casa sua.
In che modo dare un valore aggiunto ad un prodotto tipico ticinese nel contesto internazionale? Quale la vostra esperienza?
Per quanto concerne la nostra azienda, la quantità di vino che esportiamo è molto esigua, in linea credo con gli altri produttori, e ciò per due ragioni: da una parte siamo penalizzati dal rapporto franco-euro, dall’altra la realtà vinicola ticinese (ma anche Svizzera) è pressoché sconosciuta fuori dai nostri confini e il confronto con altri paesi tradizionalmente vocati richiederebbe un investimento a livello di immagine probabilmente sproporzionato in rapporto all’offerta. La superficie vitata in Ticino si trova spesso in zone edificabili, ciò che non ne favorisce l’estensione, ma piuttosto il contrario, quindi la produzione media di vino non aumenterà a breve termine. Detto questo, se ci fosse la necessità di esportare, in previsione di annate più abbondanti e di un ulteriore calo del consumo interno di vino, bisognerebbe farlo all’unisono con le altre regioni vinicole svizzere, rivolgendosi ad un consumatore di nicchia, curioso e appassionato, disposto a spendere per un prodotto che racchiude in sé l’immagine di un Paese considerato un concentrato di bellezza (grazie anche ai suoi vigneti).
Consultazione sulla revisione della Legge sullo sviluppo territoriale
/in Comunicazione e mediaPresa di posizione congiunta di Cc-Ti, AITI e SSIC Sezione Ticino all’attenzione della Sezione dello sviluppo territoriale del Dipartimento del territorio, in relazione alla consultazione della Revisione della Legge sullo sviluppo territoriale.
In generale
In primo luogo, pur consapevoli che tale aspetto dipende sostanzialmente dal diritto federale, siamo di principio contrari all’introduzione dell’obbligo di costruire, trattandosi di una grave restrizione della garanzia costituzionale della proprietà privata. La nostra opposizione include anche le modalità con cui tale obbligo è stato concretizzato, ossia l’istituzione di un diritto di compera a favore dei Comuni (sul quale ritorneremo in seguito con osservazioni di dettaglio). In tal senso, per garantire il raggiungimento dei fini posti dalla legge federale, segnatamente per garantire uno sviluppo centripeto dell’attività edificatoria, ci chiediamo se non esistano alternative meno restrittive di un diritto di compera come ad esempio un semplice diritto di prelazione. Infatti, a differenza del diritto di compera, un diritto di prelazione permetterebbe all’ente pubblico di intervenire e di procacciarsi un immobile che il proprietario è comunque già intenzionato a vendere. Una simile fattispecie permetterebbe di meglio equilibrare interesse pubblico e garanzia costituzionale delle proprietà.
Secondariamente, proprio per attenuare gli effetti di un tale stravolgimento del concetto di proprietà privata, chiediamo che le modifiche della legge in consultazione vengano applicate solamente alle situazioni future. In altre parole, solo in caso di nuovi azzonamenti deve essere possibile intervenire con i nuovi strumenti previsti dalla legge. Ciò permetterebbe di tutelare situazioni acquisite, soprattutto considerando che gli attuali proprietari non potevano prevedere un simile sviluppo della normativa in materia di pianificazione.
In particolare
In via subordinata, ossia nel caso in cui si persistesse nel voler introdurre un obbligo di costruire, formuliamo le seguenti osservazioni particolari.
Un aspetto critico riguarda quanto previsto in caso di mancato accordo tra Comune e proprietario.
Infatti l’art.87b cpv.2 indica che se il proprietario e il Comune non raggiungono un accordo, al Comune spetta un diritto di compera.
Ora, il diritto di compera è un istituto del diritto privato che presuppone un previo accordo tra le parti, segnatamente sul prezzo dell’immobile da trasferire. Ma la fattispecie indicata nel progetto di legge si riferisce invece ad una situazione in cui le parti l’accordo non l’hanno trovato. E quindi, come è possibile immaginare un diritto di compera? Chi stabilirebbe il prezzo?
Per questa ragione riteniamo che, a garanzia del proprietario, sia più opportuno, e logico dal profilo giuridico, immaginare una procedura espropriativa, che garantisce perlomeno un sistema per una corretta valutazione del prezzo dell’oggetto, oltre a che una procedura ben regolamentata.
In ogni modo i criteri per determinare il prezzo vanno inseriti nella legge, a garanzia di stabilità e prevedibilità, e non in futuri regolamenti che l’esecutivo può liberamente modificare.
Come già detto, un obbligo di edificare rappresenta una grave limitazione del diritto costituzionale alla proprietà. Deve quindi poggiare su interessi pubblici preponderanti e rispettare il principio di proporzionalità.
Il concetto di interesse pubblico assume un’importanza particolare ad esempio in relazione agli spazi sfitti. Infatti non appare in alcun modo giustificato prevedere un obbligo di edificare se il mercato offre già sufficienti riserve non utilizzate, come peraltro già rilevato dal medesimo Dipartimento in altri documenti ufficiali.
Per queste ragioni si chiede che il progetto di legge faccia esplicito riferimento al principio di interesse pubblico, sia in relazione al principio (art. 87a), sia alla successiva attuazione pratica (art. 87 b e c).
Il Comune deve infatti valutare concretamente la situazione esistente al momento dell’inserimento del fondo nei luoghi definiti strategici, sia al momento dell’attuazione della sanzione, che potrebbe differire di alcuni anni rispetto all’adozione iniziale del piano regolatore.
Anche in caso di inadempimento dell’accordo raggiunto dalle parti, il progetto di legge prevede che al Comune spetti un diritto di compera.
Si è già detto sopra dell’inadeguatezza del diritto di compera per una fattispecie di questa natura.
Inoltre, nel caso di inadempimento alla base vi è comunque un accordo già raggiunto dalle parti, solo che, dopo la conclusione, il proprietario non procede al relativo adempimento. La conseguenza logica dovrebbe quindi essere che il Comune chieda giudizialmente l’adempimento di quanto pattuito, come succede nel caso di tutte le inadempienze contrattuali. Non vi è pertanto alcuna ragione di offrire al Comune un diritto di compera, di per sé inadeguato (vedi sopra), se ciò non è stato previsto nell’accordo raggiunto.
In altre parole, in caso di inadempimento il Comune deve poter chiedere l’adempimento di quanto stabilito nel contratto. Nulla di più.
Infine, riteniamo che quando l’ente pubblico dovesse prevedere di inserire nel piano regolatore una limitazione del genere a danno dei proprietari, deve già sapere in modo molto concreto che tipo di progetto andrebbe edificato nelle zone individuate.
Infatti come è possibile obbligare un privato a costruire se non gli indico cosa dovrebbe costruire?
In altre parole, il Comune che dovesse procedere ad istituire un obbligo di edificare, dovrebbe indicare con precisione e concretezza (in modo analogo a quanto si chiede ai privati per una domanda di costruzione) i dettagli del suo progetto. È infatti per noi inimmaginabile che l’ente pubblico possa intervenire a restringere in tal modo il diritto alla proprietà sulla base di desideri generici e poco concreti.
Una nuova Ucraina
/in Appuntamenti, Eventi e missioni, Missioni economicheUna delegazione svizzera – alla quale ha partecipato anche la Cc-Ti – si è recata a Kiev per sondare le opportunità del mercato ucraino. Molte le sfide da affrontare, ma tanti anche gli interessi per gli imprenditori elvetici.
A Kiev si respira aria di dinamismo e ottimismo. L’Ucraina si sta riprendendo dal collasso che ha seguito le rivolte del 2014. Dopo la “Rivoluzione della dignità”, come la chiamano gli Ucraini, il Paese si sta ricostruendo e dal 2016 è in costante crescita economica. Il nuovo Governo sta introducendo importanti riforme dall’ambito giudiziario (il 7 giugno 2018 è stata approvata la nuova Legge Anti-Corruzione) al sistema delle tassazioni (con l’implementazione di una nuova legislazione a livello statale e locale, sia per le persone giuridiche che per le persone fisiche). Tutte queste riforme stanno contribuendo alla creazione di condizioni adatte allo sviluppo economico e commerciale del Paese.
Impressioni positive
Le impressioni su questa nazione da parte dei partecipanti alla missione organizzata dall’Ambasciata svizzera che si è svolta dal 30 settembre al 2 ottobre a Kiev sono molto positive. Il gruppo era formato da rappresentanti di associazioni economiche, come Switzerland Global Enterprise (S-GE), economiesuisse, JCC (Joint Chamber of Commerce for Russia and CIS countries), Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino (per la Cc-Ti ha partecipato Chiara Crivelli, Head of the International Desk) e da aziende svizzere, attive nel settore dell’energia, dell’elettronica, del commercio di materie prime e alcune banche. La missione ha avuto luogo in concomitanza con la visita della Segretaria di Stato per l’Economia, Marie-Gabrielle Ineichen-Fleisch.
L’intenso programma prevedeva incontri con autorità e organizzazioni locali che hanno permesso di avere una panoramica sulla situazione politica ed economica attuale, sulle opportunità di business e di fornire contatti utili di canali importanti per un accesso al mercato. La delegazione ha inoltre avuto modo di avere uno scambio utile con la business community svizzera in Ucraina, da cui è emerso un ulteriore segnale positivo: le aziende già presenti (colossi come Nestlé, Sika, Sandoz, Geberit), malgrado la situazione difficile vissuta dopo la Rivoluzione negli anni 2015-2016, continuano a ritenere il mercato ucraino molto importante e prevedono importanti investimenti a breve termine. Da parte delle aziende svizzere già attive sul mercato sono stati inoltre sottolineati i vantaggi di operare in Ucraina: la posizione geografica strategica, al confine con l’Europa centrale da una parte e i mercati dell’Est dall’altra, come pure la presenza di manodopera altamente qualificata.
Opportunità per le aziende svizzere
Il Paese si sta impegnando per una stabilizzazione (politica, sociale ed economica) e si apre così un grande potenziale anche per nuove aziende. Come sottolineato dalla Ministra ucraina delle Finanze, Oksana Markarova, che la delegazione ha avuto modo di incontrare, le maggiori opportunità per gli imprenditori svizzeri si trovano nel settore delle infrastrutture (strade, ponti, porti, aeroporti) e delle energie rinnovabili.
Un settore molto all’avanguardia in Ucraina è quello dell’innovazione e dell’IT. La delegazione ha visitato UNIT.City, il primo parco per l’innovazione in Ucraina, luogo in cui un’infrastruttura incomparabile e un interessante ecosistema consentono alle imprese tecnologicamente avanzate, innovative e creative di svilupparsi. Vi sono inoltre state alcune presentazioni di start-up ucraine innovative come Dalfast (sviluppo e produzione di e-bike) e Solar Gaps (sviluppo di pannelli solari posti sulle tapparelle).
Non mancano certamente le sfide e gli ucraini sono coscienti di ciò che devono affrontare (elezioni presidenziali e parlamentari nel 2019, lotta alla corruzione, relazioni economiche e politiche con la Russia), ma il Paese è positivamente trascinato da giovani, di alta educazione, perfettamente anglofoni che hanno dato nascita ad una nuova Ucraina che guarda con ottimismo al futuro.
L’attenzione verso questa nazione da parte della Cc-Ti continuerà quindi ad essere alta, anche perché le possibilità di business per le aziende continueranno sicuramente a crescere.
Una Paese in pieno mutamento
In questa video intervista Chiara Crivelli, Head of International Desk della Cc-Ti, presenta brevemente le sue impressioni al ritorno dal viaggio a Kiev. L’Ucraina è una nazione in pieno mutamento e non mancano le opportunità per gli imprenditori elvetici.
Consultazione PD modifica scheda R7 – Poli di sviluppo economico
/in Comunicazione e mediaPresa di posizione ed osservazioni della Cc-Ti verso il Dipartimento del Territorio, all’attenzione della Sezione dello sviluppo territoriale, in relazione alla consultazione PD modifica scheda R7 – Poli di sviluppo economico.
In primo luogo teniamo ad evidenziare alcune perplessità in relazione alle riserve edificatorie da voi considerate per proporre un’ottimizzazione dello sfruttamento delle zone già esistenti. In effetti, seppur condivisibile a livello teorico, questo obiettivo non appare di facile e diretta attuazione. A nostro avviso non è infatti per nulla certo che questi spazi, teoricamente disponibili, possano davvero essere messi a disposizione dell’economia. Abbiamo seri dubbi circa la possibilità di mobilizzare le riserve teoriche, sia per quanto concerne i fondi liberi, quelli sotto sfruttati e gli edifici dismessi. L’economia si muove ad una sua velocità e non sempre le procedure amministrative sono in grado di seguire tempestivamente tali dinamiche. Anche perché le citate riserve serviranno ad ampliare attività già oggi esistenti.
In questa ottica chiediamo che, pur tenendo presente le riserve edificatorie, non vengano a priori esclusi futuri azzonamenti di altre ed ulteriori zone per il lavoro, oltre ai PSE già individuati. Solo in tal modo sarà possibile cogliere le occasioni e le opportunità che il futuro potrà offrirci (es. imminente apertura galleria Monte Ceneri, cooperazione con la “great zürich area”; …).
In secondo luogo, non possiamo non rilevare importanti criticità in relazione al rapporto tra pianificazione ed economia che emerge dai documenti in consultazione. Ci sembra infatti che la dinamica presentata sia capovolta rispetto ad una corretta trattazione del tema. In altre parole, dalla lettura della scheda, appare un’economia al servizio della pianificazione, dalla quale sembra dipendere per ottenere determinati aiuti statali. Ora, pur riconoscendo l’importanza di una corretta e rigorosa pianificazione del territorio, riteniamo che la medesima è, e rimane, uno strumento, non un fine a se stesso. Trattandosi di lavoro e di sviluppo economico, sono quindi questi gli scopi che vanno considerati nella pianificazione territoriale, non il contrario. In tale prospettiva contestiamo quindi che le singole imprese, per far capo agli strumenti di promozione economica, debbano obbligatoriamente muoversi all’interno delle regole pianificatorie decise dal PD. Anche perché un simile approccio, invece di promuovere la piazza economica ticinese, rappresenterebbe piuttosto un vincolo ed un ostacolo al nostro sviluppo. Non possiamo infatti escludere a priori che, nell’interesse del nostro Cantone, possano presentarsi situazioni non in linea con quanto indicato nella scheda, ma comunque degne di supporto da parte dell’ente pubblico.
In relazione all’indirizzo n. 3 (gestione attiva/”governance”) ci opponiamo pertanto, in linea con quanto sopra, a misure che non favoriscono l’attività economica ma che introducono condizioni inutilmente restrittive. Non possiamo assolutamente accettare, ad esempio, eventuali misure/condizioni che facciano riferimento al personale impiegato dalle aziende, o alle condizioni dei relativi impieghi. Tali limitazioni sarebbero infatti totalmente estranee a quanto una corretta pianificazione del territorio è chiamata a fare. Già nel contesto della Legge per l’innovazione economica, attraverso il relativo regolamento, esse si dimostrano problematiche perché poco atte a riconoscere il vero grado innovativo di un’azienda, essendo legate ad altri criteri come il numero di personale residente, ecc. Elementi certo degni di attenzione, ma chiaramente non adatti a giudicare la qualità intrinseca delle imprese e che sarebbe inutilmente penalizzante riprendere senza riserve anche nell’ambito pianificatorio. Pur riconoscendo che gli strumenti citati (politica regionale, innovazione economica, pianificazione del territorio, ecc.) debbano essere coordinati, ciò non significa che ci si debba genericamente basare su criteri popolari da un punto di vista politico ma non forzatamente legati alla qualità delle imprese. Il rischio di escludere aziende potenzialmente interessanti in termini di valore per il territorio (ricadute economiche in primis) sarebbe a nostro avviso troppo grande.
Analogamente a quanto precede sulla gestione attiva/governance delle zone industriali e artigianali, anche per quanto riguarda i PSE occorre essere molto attenti al rispetto della libertà economica e imprenditoriale quando si prevedono (obiettivo 2) dei criteri d’accesso, di permanenza e d’uscita dal comparto, con l’obiettivo di facilitare e accelerare l’insediamento di attività economiche interessanti (con grande potenzialità di crescita e che generano rilevanti ricadute economiche), come pure una governance riconosciuta dai principali portatori d’interessi, in primis comuni e proprietari fondiari (obiettivo 3).
La definizione di “attività economiche interessanti”, al di là del rischio di sconfinamento in una rigidità da economia pianificata, è esercizio delicato che, anche per i PSE, non può essere valutato solo sulla base di elementi che non forzatamente indicano la situazione dell’azienda e le sue possibilità di sviluppo. Ad esempio, un’attività è interessante solo perché utilizza pochi parcheggi ha o ha un numero di dipendenti stranieri inferiore ai residenti? Non per forza. Decidere a tavolino cosa sia interessante va maneggiato con molta cura e siamo contrari ad esempio al fatto che questo possa essere magari delegato a un “area manager”.
Qui si tocca anche il terzo obiettivo menzionato, ossia quello della governance. Questa figura, esistente in alcuni comparti come giustamente citato nelle spiegazioni della presente revisione, è senz’altro adatta per promuovere l’area, per essere di sostegno alle aziende presenti e quindi aiutare a coordinare le attività svolte, sostenendo ad esempio iniziative comuni (si può ipotizzare un ruolo attivo nella promozione di programmi di mobilità). Non possono però essere delegate a una figura del genere decisioni su chi possa essere ammesso all’area, risp. debba esserne escluso. La valutazione sulle situazioni aziendali è estremamente complessa se fatta seriamente e occorre comunque accettare che vi sia un certo margine di rischio, non essendo le dinamiche aziendali una scienza esatta prevedibile fino nei minimi dettagli sull’arco di più anni. Negare questo aspetto significa negare la libertà imprenditoriale che, per definizione, contempla la nozione di rischio, elemento imprescindibile dallo sviluppo. In altre parole, è giusto prevedere delle regole, ma esse devono poter essere applicate con sufficiente flessibilità per poter tenere conto delle varie situazioni aziendali e soprattutto condividendole con gli attori dell’economia che conoscono le dinamiche dei vari settori.
Infine c’è da chiedersi se nella scheda presentata non manchi una strategia attiva di vero e proprio sviluppo industriale, che tenga conto della reale disponibilità di aree concretamente utilizzabili, come ad esempio il comparto di Valera a Mendrisio. Si tratta di aree di grandi dimensioni, come quelle che in passato venivano definite “di interesse cantonale”. Sarebbe questo un modo di promuovere attivamente la piazza ticinese, tenendo conto di progetti che difficilmente potrebbero far capo alle riserve edificatorie, delle quali si è già detto.
Export: attenzione ai passi falsi
/in Internazionale, TematicheNel corso del nostro lavoro abbiamo constatato che le PMI che si avvicinano a nuovi mercati tendono a effettuare alcuni passi falsi. Il primo è sottovalutare la pianificazione dell’entrata sul mercato, la concorrenza e i costi legati all’operazione.
Per affacciarsi a un nuovo Paese è necessaria una pianificazione accurata e la conoscenza degli ultimi sviluppi e delle tendenze del settore. È opportuno essere al corrente dei prezzi usuali ai quali i propri prodotti sono offerti sul mercato target e dei costi legati alla logistica e alla vendita. È altresì basilare capire come si posiziona la concorrenza: spesso le aziende svizzere hanno sì prodotti di livello superiore, ma la vera e propria sfida consiste spesso nell’essere in grado di offrire anche il necessario servizio dopo vendita.
Un secondo passo falso è quello di legarsi al partner sbagliato. Chi entra su un nuovo mercato lo fa generalmente operando con un’azienda locale, che lo aiuti a fare le prime esperienze e a stabilire i contatti con i clienti del luogo. La scelta del partner è quindi un aspetto fondamentale: serietà, affidabilità e interessi comuni sono caratteristiche imprescindibili e presuppongono una selezione accurata e l’esecuzione di una due diligence.
Sottovalutare l’importanza della cura dei rapporti personali è un altro passo falso ricorrente. Identificare il partner “giusto” non è sufficiente: le relazioni vanno curate e coltivate, i propri partner, clienti e/o rappresentanti di autorità vanno incontrati con regolarità e di persona.
Un ultimo elemento da non sottovalutare è quello di non seguire il proprio intuito: chi non riesce a relazionarsi con partner locali, a capirne la mentalità o non si trova bene nel Paese target dovrebbe rivalutare l’importanza dello stesso nel processo di internazionalizzazione della sua azienda.
Le missioni economiche della Cc-Ti oppure le ricerche di partner o di mercato di S-GE costituiscono un supporto valido per minimizzare questi errori.
Articolo a cura di
Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e
Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti
Testo apparso sul CdT del 2 ottobre 2018
Il servizio Export della Cc-Ti e S-GE sono a vostra disposizione per consulenze in ambito di esportazioni.
Contatti email: Servizio Export Cc-Ti e S-GE
Immutabilmente legati ai valori svizzeri
/in Comunicazione e mediaL’opinione del Direttore Cc-Ti Luca Albertoni
Il 2018 è continuato su questa linea, con la messa in evidenza delle molte caratteristiche positive del tessuto economico cantonale. Il che non significa negare che vi siano problemi da affrontare e da risolvere, ma ciò va fatto ragionando su cifre e fatti concreti, non solo su percezioni talvolta fuorvianti. Anche questo è “Swissness”.
Con gli associati e per gli associati
Il continuo progresso della nostra base di soci individuali (oltre 900) e associazioni di categoria (43) è la migliore testimonianza di fiducia verso il nostro operato, reso negli ultimi anni ancora più attento alle esigenze delle aziende, con un dialogo diretto e mirato e offerte formative e informative praticamente su misura. Quale associazione-mantello dell’economia ticinese percepiamo l’onore e l’onere del ruolo, votato completamente all’accompagnamento e al sostegno delle imprese. I profondi mutamenti in atto a livello mondiale impongono un’attenzione particolare verso temi come la trasformazione digitale e i nuovi modelli di business oppure il modo di fare impresa nel contesto sociale. E noi ci siamo.
Garantire la libertà economica
Senza questo pilastro fondamentale non vi è sviluppo né benessere. Che poi talvolta siano necessari limiti e correttivi può e deve essere oggetto di discussione. Ma non al punto da compromettere la possibilità di fare impresa, perché, contrariamente a quanto viene troppo spesso propagandato, libertà non significa anarchia. Chi abusa della libertà, imprese comprese, va sanzionato, ma senza penalizzare un intero sistema economico con “soluzioni” che funzionano benissimo solo negli slogan e non nell’applicazione pratica. Vegliare al rispetto di questo elementare principio è nell’interesse non solo delle imprese ma di tutti.
Legge sul cioccolato: dal 1° gennaio 2019 aboliti i contributi all’esportazione
/in Internazionale, TematicheLe condizioni quadro per le industrie alimentari peggiorano. Nell’intervista con Alessandra Alberti, Direttrice Chocolat Stella SA e membro dell’Ufficio Presidenziale Cc-Ti, facciamo il punto su questa novità legislativa che dal 1° gennaio 2019 prevede l’abolizione dei contributi all’esportazione.
In base alla decisione della Conferenza ministeriale dell’OMC di Nairobi del dicembre 2015, le sovvenzioni all’esportazione per i prodotti agricoli trasformati devono essere abolite entro la fine del 2020. Il provvedimento riguarda anche i contributi svizzeri all’esportazione secondo la legge sull’importazione e l’esportazione dei prodotti agricoli trasformati (per l’appunto la cosiddetta “Legge sul cioccolato”). La base giuridica di questi contributi sarà abrogata il 1° gennaio 2019 in seguito alla revisione totale della legge sul cioccolato approvata dal Parlamento nel 2017, che ne cambia il nome in «legge federale sull’importazione di prodotti agricoli trasformati». Nella sua riunione del 21.9.2018, il Consiglio federale ha approvato l’entrata in vigore delle modifiche legislative e le misure di accompagnamento, che sono:
La nuova situazione non sarà più gestita dalle dogane, ma farà capo ad una soluzione privata, la quale non prevedrà più l’intero contributo ai prodotti esportati che contengono latticini o cereali.
Le condizioni quadro per le ditte che producono alimenti e che esportano una parte di essi continuano dunque a peggiorare. La qualità svizzera è fondamentale per essere apprezzati in tutto il mondo, ma purtroppo ciò non a qualsiasi prezzo. I prodotti devono comunque rimanere concorrenziali, altrimenti la possibilità di esportare diminuisce rapidamente.
La legge prevede delle misure di accompagnamento per colmare l’eliminazione dei contribuiti all’esportazione dati fino a tutt’oggi. Ritiene che le nuove condizioni quadro favoriranno la piazza economica svizzera per l’industria alimentare?
La possibile combinazione dell’abolizione delle sovvenzioni all’esportazione e dell’aumento del prezzo dello zucchero in Svizzera, indebolirebbe in modo importante il quadro della nostra industria alimentare. A partire dal 1 ° gennaio 2019, nessun rimborso dei dazi doganali sarà concesso per i prodotti a base di latticini e cereali. Ciò si tradurrà in un significativo deterioramento delle condizioni quadro per i produttori che esportano i prodotti alimentari. Le misure di accompagnamento adottate dal Consiglio federale sono necessarie, ma insufficienti. Non sono in grado di compensare lo svantaggio sul prezzo delle materie prime causato dalla protezione dell’agricoltura. In futuro il prezzo dello zucchero sarà aumentato con nuovi tassi doganali. Di conseguenza, le condizioni quadro delle ditte svizzere, le quali sono attive a livello internazionale e dunque hanno concorrenti a livello globale, sono sotto pressione crescente. L’abolizione del rimborso dei dazi doganali ed estensione della protezione doganale dell’agricoltura crea nuove e sempre più grandi sfide per gli esportatori svizzeri nel settore alimentare come quello del cioccolato, dei biscotti e della confetteria. Anche la Chocolat Stella di Giubiasco, azienda che dirigo, come le altre 18 ditte produttrici di cioccolato in Svizzera, esporta il 70% delle proprie specialità (cioccolato con ingredienti regionali, Bio Fair Trade, senza aggiunta di zuccheri, vegani e tante altre specialità) in 50 Paesi nel mondo e quindi è molto preoccupata di questa evoluzione pericolosa per tutti.
Quale membro della Federazione delle Industrie Alimentari svizzere, ritiene che con questa riforma oltre alle ordinanze sempre più restrittive sull’indicazione di provenienza (Swissness), si mettano in pericolo dei posti di lavoro nell’industria alimentare?
Ingredienti come latte in polvere o farina sono protetti dai dazi doganali in Svizzera. Fino alla fine di quest’anno i rimborsi doganali stabiliti dalla “Legge sul cioccolato” garantiscono che le imprese svizzere possano ancora combattere a parità di condizioni per esportare. Tuttavia, questo risarcimento sarà rimosso dal 2019 su richiesta dell’OMC. Il denaro precedentemente versato agli esportatori per compensare lo svantaggio dei dazi doganali andrà in futuro direttamente all’agricoltura. L’industria lattiero-casearia ha già deciso di utilizzare fino al 30% circa di questi fondi per scopi diversi dalla compensazione agli esportatori per il loro ‘handicap’ sul prezzo delle materie prime. A causa di ciò e di altri restrizioni, solo una quota relativamente piccola di questi soldi messi a disposizione al settore agricolo per compensare lo svantaggio sui prezzi delle materie prime andranno ai produttori di alimenti che esportano.Parallelamente all’abolizione della restituzione dei dazi doganali nei settori lattiero-caseario e cerealicolo, il 18 settembre 2018 l’Ufficio federale dell’agricoltura ha messo in consultazione un sistema di protezione doganale per preservare la crescita della barbabietola da zucchero e la produzione di zucchero in Svizzera. Ne risulterebbero costi aggiuntivi di diversi milioni per l’industria alimentare svizzera.L’attuazione di questa proposta è un rischio che porterebbe una spirale incessante di costi in aumento.In questo contesto, i produttori svizzeri di cioccolato, biscotti e dolciumi sollecitano i politici a garantire le condizioni quadro necessarie affinché i loro prodotti svizzeri di fama mondiale possano continuare ad essere fabbricati in Svizzera. Tutti i produttori desiderano utilizzare le materie prime svizzere per la produzione delle tante specialità esportate nel mondo, quando queste sono reperibili della giusta qualità per la fabbricazione dei prodotti (vedi anche nuova legge Swissness). È però importante che, oltre alla qualità, anche il prezzo sia concorrenziale, così che sia l’industria alimentare che l’agricoltura possano beneficiare dei vantaggi di una sempre maggiore esportazione. In sostanza, più si riesce ad esportare e più materie prime svizzere vengono consumate!
Evento: The Ruling Companies – Business Model Innovation
/in Appuntamenti, Eventi co-organizzatiNella gestione aziendale odierna lo sviluppo di modelli di business innovativi è un’attività essenziale per mantenere la competitività nel lungo termine. In un ambiente di mercato sempre più complesso, dinamico e in continua trasformazione non è più sufficiente costruire meccanismi di innovazione limitati a prodotti e processi.
L’innovazione del modello di business è l’elemento chiave per convertire prodotti innovativi in una proposta di valore unica per il consumatore. La vera sfida consiste sì nello stravolgimento della logica dominante nella propria azienda, ma soprattutto nel bilanciare il tempo e le risorse allocate all’esplorazione di nuove strade con quelli dedicati allo sfruttamento del modello di business attuale. Accanto alle competenze classiche di management, risultano quanto mai importanti le competenze di leadership e imprenditorialità per guidare il processo di innovazione tramite un approccio strutturato e per promuovere maggiormente, a tutti i livelli societari, delle riflessioni strategiche che possano favorire la creatività e la nascita di idee innovative.
Se ne parla il 23 ottobre 2018, presso l’Aula Magna USI (Via Giuseppe Buffi 13, 6900 Lugano) durante l’evento “The Ruling Companies – Business Model Innovation – Saper innovare il modello di business della propria azienda nell’era della trasformazione continua”.
Il programma prevede:
Tra i relatori: Stefano Venturi, Amministratore Delegato HP Italia; Timo Gessmann, Direttore Bosch IoT Lab; Stefan Muehlemann, Fondatore & CEO Loanboox; Roberto Pezzoli, Partner Gruppo Multi; Danilo Cattaneo, CEO Infocert. Moderatore: Enrico Sassoon, Direttore di Harvard Business Review Italia.
Iscrizioni e maggiori informazioni attraverso il seguente link e scaricando il pdf con il programma completo.
Evento organizzato da The Ruling Companies, HBR Italia, Gruppo Multi, Gruppo Corriere del Ticino, in collaborazione con Cc-Ti, BMI-Lab e Sgoc.