Votazione sulla riforma fiscale cantonale

La riforma fiscale in votazione il prossimo 9 giugno non rappresenta uno stravolgimento del nostro sistema tributario, ma solo un necessario, quanto urgente, adeguamento alle mutate condizioni socioeconomiche che, negli ultimi decenni, hanno cambiato il volto del Ticino.

Si tratta di modernizzare un impianto normativo che risale ad oltre mezzo secolo fa, correggendo alcune distorsioni che penalizzano fortemente i contribuenti, con un’esosa imposizione fiscale. È del tutto fuori luogo parlare di “regali ai ricchi”.

Della revisione della legge beneficia, infatti, tutta la popolazione, con una serie di misure mirate, la cui legittimità è stata riconosciuta dallo stesso PS che, dopo aver fucilato a priori la riforma, ha presentato un’iniziativa parlamentare per riproporle separatamente. Una scelta strumentale e macchinosa che rischia di compromettere la modifica legislativa. Senza questa riforma si prospetta un aumento del 3% delle imposte per tutti.

I contenuti della riforma

  • Aumento della deduzione per le spese professionali.
  • Adeguamento delle imposte sulle successioni e le donazioni ai cambiamenti sociodemografici (crescita dei divorzi, aumento della speranza di vita e nuove relazioni familiari), facilitando anche le successioni aziendali con persone che non fanno parte della cerchia familiare dei titolari dell’impresa.
  • Riduzione dell’imposizione sui capitali previdenziali oggi molto svantaggiosa per chi dispone di un capitale medio o medio-alto, per cui molti contribuenti trasferiscono altrove il proprio domicilio fiscale.
  • Riduzione a tappe dell’aliquota massima dell’imposta sul reddito. Un’aliquota tanto pesante da bloccare il Ticino negli ultimi posti della classifica intercantonale e spingere alla fuga i contribuenti più ricchi. È questo il punto più contestato dalla sinistra e dai sindacati. La riforma prevede la diminuzione dal 15 al 12%, da qui al 2030, dell’aliquota per i redditi più alti e la riduzione lineare dell’1,66% dell’aliquota d’imposta per tutti contribuenti, come compensazione dell’aumento del 3% del coefficiente cantonale. Una compensazione che evita un aggravio fiscale per i cittadini di 45 milioni di franchi.

La revisione tributaria vuole rendere più attrattivo e concorrenziale il Ticino per chi vorrebbe risiedere o investire nel Cantone, incrementando così le entrate fiscali e la creazione di nuovi posti di lavoro.


Vantaggi per i lavoratori, i pensionati e le imprese

Intervista con Andrea Gehri, Presidente della Cc-Ti

Per Andrea Gehri, Presidente della Cc-Ti, si vota su una riforma moderata e graduale che vuole rendere il Ticino più attrattivo, riportandolo nella media della concorrenza fiscale intercantonale, ma che tocca anche altri aspetti cruciali del sistema tributario, attenuando vecchie storture impositive che pregiudicano i legittimi interessi dei cittadini.

Presidente, al di là della riduzione dell’aliquota massima sui redditi più elevati, quali vantaggi offre la riforma a tutti gli altri contribuenti?

Ne beneficeranno, innanzitutto, i lavoratori grazie ad un aumento delle deduzioni per le spese professionali. Ci sarà, inoltre, una tassazione più equa per le successioni e le donazioni, così come per il prelievo del capitale del secondo pilastro, oggi soggetto ad un’imposizione estremamente punitiva. Non da ultimo, con il ritorno al 100% del coefficiente cantonale d’imposta, senza questa revisione le imposte aumenterebbero per tutti del 3%.

Come cambieranno le deduzioni per le spese professionali e con quali benefici concreti per i lavoratori?

Va premesso che attualmente il Ticino è tra gli ultimi Cantoni per quel che riguarda l’ammontare di queste detrazioni. Da noi non si superano i 2’500 franchi, mentre in gran parte della Svizzera si riconosce una soglia di 4’000 franchi circa. A Svitto, ad esempio, si arriva sino al 20% del reddito conseguito. Con la riforma le deduzioni saranno aumentate in due tappe: da 2’500 a 3’000 franchi per l’anno fiscale 2024-2025, per passare a 3’500 franchi nel 2026. Quando l’aumento sarà a regime i dipendenti beneficeranno di mille franchi in più di detrazioni. Soldi che resteranno nelle loro tasche, contribuendo a migliorare la loro situazione economica e i bilanci familiari. Dunque, un sostegno concreto a difesa del reddito dei lavoratori in tempi di rincari generalizzati.

Anche con la tassazione del capitale di previdenza siamo fuori dalla media intercantonale?

In generale si può affermare che nessun Cantone torchia i pensionati come il Ticino sul prelievo del capitale del secondo pilastro. Un capitale non piovuto dal cielo, ma accumulato con anni di lavoro e di risparmi, che al momento della riscossione è soggetto ad aliquote troppo pesanti. Un’imposizione particolarmente pregiudizievole per chi dispone di un capitale medio o medio-alto, con una tassazione che non si discosta dall’esosità dell’imposta sul reddito. Sino a mezzo milione di franchi di capitale siamo concorrenziali rispetto alla media nazionale, oltre questo limite si scivola in fondo alla graduatoria federale. Perciò, molti contribuenti trasferiscono il proprio domicilio fiscale altrove, nei Grigioni, a Uri o a Svitto, ad esempio, quando si avvicina il momento di riscuotere il capitale previdenziale. Plafonando al 3% la tassazione sul prelievo, la riforma assicura un trattamento più equo e limita la differenza impositiva con gli altri Cantoni.

La revisione tocca pure le successioni e le donazioni per adeguarle ai cambiamenti sociodemografici. Quali ripercussioni ci saranno per le successioni aziendali con persone che non fanno parte della cerchia familiare dei titolari dell’impresa?

È un adeguamento improrogabile con un contenimento delle tasse di successione tra non parenti, che sono a dir poco penalizzanti, per allinearle alla media nazionale. Per le eredità in Ticino si applicano aliquote che possono arrivare sino al 41%, rispetto ad una media federale del 15% e con ben sette Cantoni che non richiedono alcuna imposta. Noi, invece, siamo tra i Cantoni con le aliquote più alte per le successioni al di fuori dell’ambito familiare. La modifica è importante per garantire la continuità e le successioni aziendali con soggetti che non fanno parte della famiglia. In Ticino abbiamo 8’400 aziende familiari che occupano 83mila persone e ogni anno centinaia di queste imprese rischiano di scomparire per la mancanza di eredi. Difatti, con le disposizioni attuali il passaggio aziendale ad eventuali subentranti al di fuori della famiglia è scoraggiato da un’imposizione
molto pesante, col rischio di perdere attività produttive, know-how e posti di lavoro.


Ridare slancio all’attrattività del Ticino

Intervista con Cristina Maderni, Vicepresidente della Cc-Ti

“La riduzione dell’aliquota massima dell’imposta sul reddito è una modifica che si attende dal 1976, l’anno dell’ultima revisione – ricorda Cristina Maderni, Vicepresidente della Cc-Ti e Gran Consigliera del PLR. Se questo è un elemento centrale e improrogabile della riforma in votazione il 9 giugno, va anche sottolineato che essa offre dei vantaggi per le famiglie, i lavoratori, per i giovani, i pensionati e per la continuità aziendale. Inoltre, scongiurerà un aumento delle imposte per tutti”.

Perché è indispensabile la riduzione di questa aliquota, contro cui si concentra l’opposizione della sinistra che la ritiene solo un “regalo ai ricchi”?

Per la semplice ragione che il Ticino ha bisogno di contribuenti facoltosi. Senza il gettito fiscale da loro garantito ci sarebbero molte meno risorse per la socialità e per gli investimenti con il rischio di un aumento della pressione fiscale per tutti. Oggi un 3% di contribuenti paga il 40% circa del gettito fiscale delle persone fisiche, con aliquote che superano il 40%; i 767 globalisti registrati in Ticino nel 2022 hanno versato nelle casse di Comuni, Cantone e Confederazione 183,5 milioni di franchi. Non possiamo fare a meno di queste risorse, eppure rischiamo di perderle. Con un’aliquota d’imposta sul reddito così elevata è inevitabile che i grandi contribuenti pensino di trasferirsi laddove trovano una fiscalità più vantaggiosa. È altrettanto sicuro che i grandi manager e i dirigenti aziendali, quelli che decidono l’ubicazione delle imprese siano attenti alla fiscalità delle imprese come pure di sé stessi, e che oggi siano poco attratti dal Ticino.

Per i promotori del referendum con la riduzione dell’aliquota per gli alti redditi si continuano a favorire solo i residenti più benestanti.

Né i contribuenti più ricchi né le imprese in tutti questi anni hanno ricevuto favori di sorta. Lo dimostra lo studio della SUPSI, presentato qualche settimana fa, sul confronto intercantonale per le imposte dirette nel 2024. Ebbene, il Ticino si colloca al 22esimo posto per l’imposta sul reddito, con il 40,5% contro il 22,25% di Zugo che ha il prelievo più basso. Per l’imposta sull’utile siamo ancora oggi meno competitivi: 24esimo posto con il 23,9% rispetto al 13,5% di Zugo, mentre per l’imposta effettiva sull’utile siamo al 24esimo posto con il 19,3%, contro l’11,9% di Zugo. Molto più alta pure l’imposta sul capitale che colloca il nostro Cantone nella 22esima posizione con il 2,9%. Per chi li vuole capire sono dati allarmanti, pur considerando che dal 2025 l’aliquota cantonale per le persone giuridiche si ridurrà dall’8% al 5,5%. Molti Cantoni per attirare buoni contribuenti hanno alleggerito la pressione fiscale, noi, invece, siamo rimasti fermi col rischio di perderli o di non incoraggiarli a trasferirsi in Ticino. Con questa riforma non diventeremo un paradiso fiscale, si cerca semplicemente di riavvicinarci alla media nazionale della pressione tributaria.

Per la sinistra, però, non c’è una fuga di ricchi contribuenti. Cosa replica al riguardo?

A smentirla ci sono i dati forniti dal Consiglio di Stato: tra il 2016 e il 2022 ben 395 grandi contribuenti, con redditi o sostanze imponibili che vanno dai 500mila ai 5 milioni di franchi hanno trasferito il loro domicilio fiscale fuori Ticino. Negli stessi anni ne sono arrivati 190. Dunque, un saldo negativo di 205 grandi contribuenti e una perdita di circa 10 milioni di franchi all’anno di gettito fiscale.

Parlare di ridurre le aliquote per le persone fisiche, bloccate da 50 anni, da noi è un tabù inviolabile, come mai?

Penso si tratti soprattutto di una posizione ideologica, frutto di una visione classista della società poco realistica e per nulla pragmatica, rispetto un sistema fiscale che, peraltro, favorisce molto i redditi più bassi, penalizza quelli più elevati e con ben 40mila persone del tutto esentasse. La battaglia della sinistra contro la diminuzione dell’aliquota, rischia di ridurre tutto ad uno scontro sul fisco, quando in realtà c’è in gioco il grande problema di rilanciare i fattori di competitività e attrattività del nostro Cantone per garantire a tutti un futuro di benessere e sicurezza economica.

Altri oggetti in votazione il 9 giugno 2024: le raccomandazioni di voto della Cc-Ti

Votazioni del 9 giugno 2024: raccomandazioni di voto della Cc-Ti

Ecco la nostra presa di posizione

VOTAZIONI FEDERALI


  • Iniziativa popolare “Al massimo il 10 per cento del reddito per i premi delle casse malati (Iniziativa per premi meno onerosi)” (FF 2023 2285);
    La Cc-Ti raccomanda di votare NO
  • Iniziativa popolare “Per premi più bassi – Freno ai costi nel settore sanitario (Iniziativa per un freno ai costi)” (FF 2023 2286);
    La Cc-Ti raccomanda di votare NO
  • Iniziativa popolare “Per la libertà e l’integrità fisica” (FF 2023 2287);
    La Cc-Ti non si esprime sul tema
  • Legge federale del 29 settembre 2023 su un approvvigionamento elettrico sicuro con le energie rinnovabili (Modifica della legge federale sull’energia e della legge sull’approvvigionamento elettrico) (FF 2023 2301);
    La Cc-Ti sostiene questa modifica, invitando a votare SÌ

VOTAZIONI CANTONALI


  • Modifica del 12 dicembre 2023 della legge tributaria del 21 giugno 1994 (LT)
    La Cc-Ti sostiene questa modifica, invitando a votare SÌ
  • Decreto legislativo concernente lo stanziamento di un credito di 76 milioni di franchi per l’acquisto dell’edificio ex Banca del Gottardo di proprietà di EFG Bank SA e di un credito di 6,44 milioni di franchi per la progettazione della sua ristrutturazione e dell’adeguamento logistico nonché per uno studio di fattibilità e progettazione per gli spazi destinati alla sede provvisoria necessaria per la ristrutturazione del Palazzo di giustizia del 7 febbraio 2024
    La Cc-Ti sostiene questo decreto legislativo, invitando a votare SÌ
  • Modifica del 17 ottobre 2023 della legge sull’Istituto di previdenza del Cantone Ticino del 6 novembre 2012 (LIPCT).
    La Cc-Ti non si esprime sul tema

La Svizzera apprezzata ovunqUE

UE: partner fondamentale per il nostro Paese

Piaccia o no, è incontestabile che l’Unione Europea (UE) sia il primo partner commerciale della Svizzera. Illusorio pensare che un mercato così grande possa essere sostituito estendendo le quote di altri paesi. Possono esservi variazione di qualche punto percentuale, ma la sostanza resta la stessa: non si può prescindere dall’UE. Questo non significa ovviamente avallare o accettare tutto quanto reca la bandiera blu con le dodici stelle, perché sappiamo bene che l’UE presenta diversi punti critici anche a livello istituzionale. Tuttavia, è assolutamente logico preoccuparsi delle relazioni con un partner di tale rilevanza. Soprattutto quando le attuali basi contrattuali, ossia gli Accordi bilaterali, iniziano a mostrare qualche limite, dovuto anche al passare del tempo. Per questo motivo, lo scorso 8 marzo 2024, il Consiglio federale ha approvato il mandato negoziale con l’Unione Europea (UE) nella sua forma definitiva in vista di nuove trattative. Il mandato adottato tiene conto dei risultati delle consultazioni delle Commissioni della politica estera (CPE) e delle altre commissioni interessate del Parlamento oltre che dei Cantoni, e considera i pareri espressi dalle parti sociali e dai rappresentanti dell’economia.
Il 18 marzo 2024 la Presidente della Confederazione Viola Amherd e la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno ufficialmente aperto i negoziati tra la Svizzera e l’UE.
L’approccio “a pacchetto” presentato dal Consiglio federale per i nuovi negoziati è stato accolto sostanzialmente in modo positivo.

Questo permette di avere un approccio commisurato alle esigenze dei vari temi in discussione. Il testo integrale del mandato negoziale definitivo è scaricabile dal sito ella Confederazione al seguente  link: www.newsd.admin.ch/newsd/message/attachments/86560.pdf.

L’agenda è ricca e molto impegnativa, perché spazia su molti temi. Si passa dalla questione dell’energia, alla sicurezza alimentare e alla sanità, passando per i programmi di ricerca e innovazione, senza dimenticare le questioni istituzionali e le modalità di un dialogo politico a livello ministeriale. Ruolo importante lo avrà anche la libera circolazione delle persone in generale, con le questioni specifiche dell’immigrazione, della protezione dei salari e del programma EURES, così i permessi di domicilio di lunga durata. Oggetto di negoziato saranno anche l’applicazione di misure transfrontaliere contro il dumping salariale e sociale, così come altri accordi esistenti riguardanti il mercato interno (trasporti aerei e terrestri, commercio di prodotti agricoli). Non poteva mancare l’elemento degli aiuti di Stato e nemmeno quello del contributo svizzero per la coesione europea. Infine, da segnalare anche un punto concernente i sistemi di informazione e, last but not least, il dialogo sulla regolamentazione dei mercati finanziari.

Sui vari temi, il Consiglio federale ha accolto specificamente le seguenti raccomandazioni espresse nella procedura di consultazione:

  1. Energia elettrica: per quanto riguarda l’apertura del mercato, il Consiglio federale intende garantire alle consumatrici e ai consumatori la possibilità di restare nel regime dell’approvvigionamento di base, previsto come scelta «standard» con prezzi regolamentati. Questa possibilità di scelta, incluso il diritto di rientrare nel regime dell’approvvigionamento di base (servizio pubblico), viene rafforzata. Il Consiglio federale mira inoltre a proteggere i principali aiuti di Stato attuali, segnatamente nel campo della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
  2. Accordo sui trasporti terrestri: parallelamente all’apertura controllata del trasporto internazionale di passeggeri per ferrovia, il Consiglio federale punta a preservare il modello di cooperazione e la prerogativa della Svizzera di assegnare le tracce sul proprio territorio. L’apertura controllata del mercato del trasporto ferroviario internazionale non deve influire sulla qualità dei trasporti pubblici in Svizzera.
  3. Accordo sui prodotti agricoli: si precisa che le tariffe doganali sono mantenute, compresi i contingenti tariffari e le modalità di gestione di questi ultimi. La sovranità della Svizzera nel campo della politica agricola non sarà intaccata.
  4. Immigrazione: l’obiettivo di un’immigrazione orientata al mercato del lavoro viene rafforzato, così come la formulazione concernente il diritto di soggiorno, allo scopo di proteggere meglio il sistema sociale svizzero.
  5. Protezione dei salari: si riafferma l’obiettivo di garantire le condizioni salariali e lavorative preservando l’attuale livello di protezione nel lungo termine. Viene precisata l’eccezione relativa alla cauzione: si mira a ottenere un effetto paragonabile a quello del sistema di cauzione attuale. Si cercherà, inoltre, una soluzione per quanto riguarda le spese. L’obiettivo è garantire la parità dei diritti, tenuto conto del livello dei prezzi in Svizzera.
  6. Elementi istituzionali: per quanto riguarda la partecipazione della Svizzera al mercato unico dell’UE, il Consiglio federale intende garantire che, nel caso in cui la Svizzera si rifiuti di adottare una specifica modifica del diritto europeo, le misure di compensazione siano possibili solo a seguito di una decisione del tribunale arbitrale relativa anche alla questione della proporzionalità.
  7. Accordo di libero scambio: l’Accordo del 1972 non fa parte del pacchetto e non rientra dunque nel quadro dei negoziati.

Prossime tappe

I vari elementi del pacchetto saranno affrontati contemporaneamente sotto la direzione generale del capo negoziatore Patric Franzen, Segretario di Stato supplente del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE). Ogni elemento del pacchetto sarà specificamente negoziato in tandem dal capo negoziatore e dal negoziatore specialista in materia, rappresentante del dipartimento competente. Un gruppo di lavoro interdipartimentale guidato dal segretario di Stato del DFAE Alexandre Fasel coordinerà i lavori svolti in Svizzera con quelli portati avanti in ambito negoziale. In caso di conclusione positiva dei negoziati si porrà la questione del referendum obbligatorio o facoltativo per il pacchetto negoziale.

Lavoro notturno e domenicale possibile in caso di carenza di energia

L’ordinanza modificata è entrata in vigore il 1° aprile 2024

Le aziende potranno ottenere autorizzazioni temporanee per lavorare di notte e la domenica quando le Autorità ordineranno misure per prevenire o controllare la carenza di gas o elettricità. Il Consiglio federale ha appena aggiunto un paragrafo esplicito nell’ordinanza 1 (OLL 1) relativa alla legge sul diritto del lavoro. L’aggiunta di questo nuovo all’art. 1bis all’art. 27 OLL 1, ​​conferma in realtà la prassi giuridica attuale che già implicitamente consente il rilascio di autorizzazioni in caso di carenze.

Le aziende autorizzate, infatti, potranno occupare i propri dipendenti nei periodi di basso consumo energetico, ovvero nelle ore notturne e domenicali. In un contesto di carenza, questa possibilità aiuterà ad evitare misure aggiuntive di quote, razionamento del gas o dell’elettricità, disoccupazione parziale e altre misure penalizzanti. Per le aziende, la possibilità di lavorare di notte e di domenica aiuterà a garantire una certa continuità produttiva.

Affinché il nuovo paragrafo possa essere applicato, è essenziale che le Autorità abbiano disposto misure restrittive per ridurre il consumo di energia elettrica. Si noti che questa modifica fa seguito all’adozione, da parte di entrambe le Camere, di una mozione parlamentare che chiede di “rendere temporaneamente più flessibile il diritto del lavoro in caso di carenza di gas o elettricità”.

L’ordinanza modificata è entrata in vigore il 1° aprile 2024.

Nessuna modifica dei tassi d’interesse COVID-19

Il Consiglio federale ha deciso di non modificare i tassi d’interesse COVID-19 a partire dal 31 marzo 2024

Il Consiglio federale ha deciso di non modificare i tassi d’interesse COVID-19 a partire dal 31 marzo 2024. Gli accrediti fino a 500 000 franchi continueranno ad essere soggetti al tasso dell’1,5%, quelli di importo superiore a del 2%.

Il governo ricorda che i beneficiari del prestito COVID-19 sono incoraggiati a non utilizzare i prestiti più a lungo del necessario, indicazione che corrisponde all’obiettivo iniziale del programma messo in atto durante la pandemia per contribuire a colmare un gap di liquidità.

Salari e statistiche

di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Era scontato. L’ultimo rilevamento dell’Ufficio federale di statistica sulla struttura dei salari in Svizzera nel 2022 ha ridato la stura alle polemiche sulle buste paghe ticinesi che sarebbero inferiori del 18- 20% rispetto alla media nazionale.
Ecco una di quelle contraffazioni della realtà che, ripetute per anni, sono diventate una verità incontestabile. Ma le cose stanno veramente così? Non proprio. Indubbiamente una differenza salariale esiste, ma non dell’entità che si vuol far credere, sfruttando delle “distorsioni” statistiche al solo scopo di dimostrare che nel nostro Cantone i “padroni” sono disonesti.

Nella statistica federale il Ticino da solo e paragonato con intere regioni composte da più Cantoni

Innanzitutto, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (UST), la forbice retributiva, sia in Svizzera che in Ticino, è rimasta in generale pressoché stabile. Storicamente un certo divario salariale con le altre ragioni è dovuto al fatto che da noi, per le caratteristiche stesse che ha avuto lo sviluppo economico, ci sono
parecchi settori annoverati nella fascia media e medio bassa dei salari, ad esempio, ristorazione, servizi d’alloggio e commercio al dettaglio, mentre altrove, come sottolinea l’UST, c’è una maggiore presenza di attività a forte valore aggiunto e, quindi, buste paga più alte.
Ciò non significa che la nostra economia sia debole, anzi. Semplicemente hanno un peso specifico taluni settori che in altri cantoni hanno un ruolo “annacquato” dalla presenza di grandi strutture, spesso multinazionali. È pertanto chiaro che la situazione ticinese, con un terzo di manodopera frontaliera e pur contando tante realtà produttive avanzate, ma comunque non comparabile alla concentrazione di sedi e centri dirigenziali di grandi imprese che vantano altri Cantoni, sia strutturalmente diversa.

Una comparazione fuorviante

Ma c’è un aspetto cruciale da rimarcare per non interpretare l’inchiesta dell’UST in maniera fuorviante al fine di avvalorare la tesi del notevole scarto salariale: nella statistica federale il Ticino da solo è paragonato con intere regioni composte da più Cantoni, il che è come confrontare le mele con le pere”.

Difatti, l’UST utilizza la seguente ripartizione regionale:

  • Arco lemanico con VD, VS, GE;
  • Espace Mittelland con BE, FR, SO, NE, JU;
  • Svizzera nord-occidentale con BS, BL;
  • Svizzera orientale con GL, SH, AR, AI, SG, GR, TG;
  • Svizzera centrale con LU, UR, SZ, OW, NW, ZG;
  • Zurigo;
  • e, infine, il Ticino, da solo!

Dunque, a parte Zurigo che per forza economica e struttura generale fa storia a sé, non c’è una vera comparazione tra Cantoni. Così il Vallese, con un’economia certamente meno diversificata e per molti aspetti meno forte della nostra, è affiancato al Canton Vaud e al Canton Ginevra Stesso discorso per il Giura affiancato a Friburgo, cantone che negli ultimi anni grazie all’insediamento di importanti realtà industriali come Rolex e Nespresso, ha registrato una forte crescita grazie che hanno alzato sensibilmente anche i livelli retributivi di tutta la regione. Un assemblaggio regionale che porta a relativizzare di molto i risultati pubblicati la scorsa settimana, che necessitano di molti distinguo e interpretazioni. Basti ricordare che, quando si stilano le graduatorie per i singoli cantoni, il Ticino si colloca all’ottavo posto in termini assoluti di PIL pro capite. Difficile credere che i famelici imprenditori si pappino tutti i proventi di quanto prodotto…

Si potrebbe obiettare che nella produzione del PIL sono conteggiati anche i frontalieri. Bene, togliamoli. Ma allora per coerenza vanno tolti anche nella statistica sui salari per evitare distorsioni. Sì, perché il divario salariale arriva al 18-20% solo se nel calcolo si conteggiano gli stipendi degli oltre 78mila frontalieri che sono retribuiti in Ticino, ma non vivono qui. Retribuzioni che generalmente sono più basse e che, aggregate a quelle più alte dei residenti, comprimono la media dei salari. Detratte le paghe dei frontalieri e confrontando i salari dei soli residenti con quelli degli altri Cantoni la differenza si riduce all’ 8-10%. Anche su questo occorrerebbe confrontarsi se si vogliono fare discorsi costruttivi e correggere le vere situazioni problematiche in termini di salari e non solo quelle presunte che fanno comodo per scatenare polemiche e inventare rimedi spacciati per miracolosi.

Una distorsione statistica

Insomma, è in gioco quella stessa forzatura statistica che il Consiglio di Stato ha denunciato a Berna per ottenere maggiori contributi nell’ambito della perequazione finanziaria intercantonale.
Se il Ticino quest’anno riceverà 86,77 milioni di franchi, molto meno di quanto avranno altri Cantoni di certo non più svantaggiati (il Vallese, ad esempio, riceverà 884 milioni) ciò è dovuto anche al fatto che i redditi di quasi 79mila frontalieri vengono inclusi nel potenziale delle risorse utilizzato nel calcolo fiscale pro capite. Un’ ingente massa salariale che ci fa apparire più ricchi, quando in realtà essa fluisce oltre confine. Riconoscendo questa semplice verità il contributo per il nostro Cantone sarebbe molto più consistente. Perciò, Il Consiglio di Stato ha chiesto di limitare al 50% la quota di redditi dei frontalieri usata per stimare il potenziale fiscale.
Applicando lo stesso ragionamento non si vede perché le retribuzioni dei frontalieri, che abbassano la media salariale, non devono essere estrapolate dal totale delle paghe versate in Ticino ai fini di una più corretta valutazione statistica dei livelli salariali e del confronto con gli altri Cantoni. Tolti i salari dei frontalieri, le cifre sarebbero diverse. Infatti, dalle tabelle dell’UST si evince che per le funzioni non dirigenziali gli svizzeri guadagnano molto di più dei residenti stranieri e dei frontalieri. Elemento questo fondamentale, visto che la grande massa dei lavoratori d’oltreconfine è occupata in funzioni non dirigenziali. Un dato in particolare merita però un’attenzione speciale, perché da quanto pubblicato dall’UST emerge (almeno nel settore privato) un aumento dei salari delle funzioni più basse, tradizionalmente occupate soprattutto da frontalieri, a scapito della categoria della categoria dei quadri inferiori, dove troviamo invece soprattutto residenti. Primi effetti perversi dell’introduzione del salario minimo? Molto probabile, anche perché è sempre stato chiaro che il salario minimo sarebbe andato a beneficio soprattutto dei frontalieri. Non essendo le masse salariali variabili indipendenti modificabili a piacimento, è logico che alzando il livello degli stipendi più bassi taluni livelli più alti possano essere compressi.

Si sottrae reddito ai cittadini

Tematizzando i livelli dei salari ormai è usuale fare riferimento solo al fatto che essi non crescono abbastanza, come se questo potesse essere un meccanismo automatico e dovuto, indipendentemente dall’andamento delle aziende. Di per sé negli ultimi anni i salari, anche in assenza d’inflazione, sono costantemente aumentati in Ticino sebbene forse non in modo omogeneo e generalizzato.
Si dimentica però troppo spesso l’erosione del potere d’acquisto che, di fronte a certe evoluzioni repentine e massicce, non può essere compensata “solo” da aumenti salariali. Il riferimento è all’aumento esponenziale delle spese obbligate, assicurazione malattia in testa, e al peso dello Stato che preleva quote crescenti di reddito sottraendole ai consumi privati e ai risparmi. Secondo una recente stima dell’UST, un’economia domestica tipo, composta da 2,09 persone, con reddito lordo mensile di poco meno di 10mila franchi, vede volar via oltre 3’000 franchi al mese in spese vincolate, a cui vanno aggiunti i costi dell’affitto, del riscaldamento e dei vari premi assicurativi.

Una differenza salariale esiste, ma non dell’entità che si vuol far credere

A limitare i budget domestici ci sono imposte e tasse (comunali, cantonali, federali), oneri delle assicurazioni sociali, balzelli amministrativi, costi burocratici e i prezzi amministrati dallo Stato che rappresentano il 30% del totale dei prezzi al consumo svizzeri, una tra le più alte percentuali in Europa. Prezzi che non sono
determinati dal libero mercato, ma spesso indotti da interessi corporativi o politici e il cui livello non ha sempre una motivazione economica plausibile.
Alla radice del problema dei redditi insufficienti, assottigliati dall’esplosione dei costi e delle uscite vincolate, non c’è un’economia privata che non funziona e dal braccino corto con gli stipendi, o comunque non è la sola responsabile. Si dimenticano troppo spesso gli eccessi di un sistema pubblico il cui peso si scarica
per mille vie sui cittadini.

L’escalation delle tasse

Solitamente si parla molto delle imposte e poco invece delle tasse e dei vari balzelli che cittadini e imprese pagano per coprire i costi di gran parte dei servizi pubblici forniti dallo Stato. Ad evidenziare l’escalation di questi tributi causali in Ticino è il rapporto del novembre scorso sul “Finanziamento mediante tasse o emolumenti nel 2021”, elaborato dal Dipartimento federale delle finanze (DFF), nel quale si analizza in che misura determinati compiti svolti da Cantoni e Comuni sono coperti da queste entrate.
Nell’analisi si mettono a fuoco solo gli indicatori di quei servizi che generano i maggiori incassi, ovvero: Uffici della circolazione stradale e della navigazione, diritto generale (emolumenti riscossi dagli uffici d’esecuzione, dei fallimenti, del controllo abitanti, del registro fondiario, dello stato civile e da molti altri sportelli), approvvigionamento idrico ed eliminazione delle acque di scarico e la gestione dei rifiuti. Ebbene, in tutti questi settori tasse ed emolumenti, pagati per ricevere una determinata prestazione pubblica, hanno registrato un considerevole aumento. Una crescita vertiginosa in cui spicca il Ticino.
Alla voce Uffici della circolazione stradale (pagamenti per patenti, licenze di circolazione e collaudi di veicoli), se l’indice medio nazionale è pari al 119%, il Ticino si colloca in testa alla classifica, toccando addirittura il 162%, seguito da Ginevra col 154%. Nel nostro Cantone si è passati da un indice del 116% nel 2008 al 162% del 2021. È aumentato anche l’indicatore relativo al diritto generale: dal 79% all’80% sull’arco degli stessi anni, mentre per l’approvvigionamento idrico e lo smaltimento delle acque di scarico il balzo è stato dal 55% al 68%. Infine, per la gestione dei rifiuti si è passati dal 44% del 2008 al 75% di tre anni fa. Nel giro di 13 anni, per il totale di questi quattro servizi il Ticino ha registrato uno dei maggiori incrementi con un indice di finanziamento schizzato dal 61% al 78%. E, si badi bene, che oltre a questi servizi, c’è una miriade di altre tasse, pure rincarate, per altre funzioni che non sono contemplate nel rapporto del DFF. Tasse per servizi certamente utili, per carità e di cui non si mette certo in dubbio la legittimità. Ma elementi di cui occorre tenere conto prima di additare con superficialità e generalizzazioni la politica salariale delle imprese.
Più che solo su una presunta differenza salariale eccessiva, bisognerebbe, quindi, concentrare l’attenzione anche sulla progressiva erosione dei redditi provocata dal continuo aumento dei carichi di spesa originati dall’ente pubblico. L’onere fiscale complessivo in Ticino è molto al di sopra della media nazionale per cui parlare di fantomatici sgravi fiscali selvaggi è del tutto fuori luogo e chi insiste su questo mantra dovrebbe magari usare una maggiore prudenza… Se in questi ultimi anni le imposte non sono state toccate, è aumentato per contro in maniera sconsiderata il peso delle tasse e delle spese obbligate che impoveriscono la popolazione, contro cui non c’è aumento salariale che basti.

Serata informativa per il corso Specialista della gestione PMI con attestato federale

Mercoledì 27 marzo 2024 alle ore 17.30 presso gli Spazi Cc-Ti al 6° piano

La Cc-Ti organizza una serata informativa per tutti gli interessati ad iscriversi al corso Specialista della gestione PMI. Durante l’incontro saranno fornite maggiori informazioni inerenti al corso (costi, calendario, docenti e contenuti).

Coloro che volessero partecipare alla serata sono pregati di confermare la propria presenza al Signor Roberto Klaus all’indirizzo email: klaus@cc-ti.ch.

Consultation : Révision de l’ordonnance 2 relative à la loi sur le travail (OLT 2)

Travail du dimanche dans les quartiers touristiques urbains

Les Chambres de commerce et d’industrie des cantons de Genève, Fribourg, Jura, Neuchâtel, Tessin, Valais et Vaud, regroupant près de 10’000 entreprises et 500’000 emplois en Suisse latine, souhaitent faire part de leur position sur la consultation mentionnée en titre.


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Lavoro notturno e domenicale in caso di carenza di energia

Autorizzazioni temporanee per il lavoro notturno e domenicale possono essere concesse alle imprese quando le autorità dispongono misure per prevenire o controllare la carenza di gas o di energia elettrica. La modifica dell’ordinanza sul lavoro entrerà in vigore il 1° aprile 2024

Comunicato stampa del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca:
https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/documentazione/comunicati-stampa.msg-id-100140.html

AVS, diamo i numeri…

Per l’AVS servono scelte responsabili e non slogan

La previdenza per la vecchiaia e la più importante voce di spesa della Confederazione e l’AVS, simbolo stesso della solidarietà tra giovani e anziani, ricchi e poveri, rappresenta, senza dubbio, una delle colonne portanti del sistema svizzero delle assicurazioni sociali. E una scelta di grande responsabilità, dunque, garantire la sua sostenibilità finanziaria, la solidità e la sicurezza delle rendite anche per le nuove generazioni. Senza costringerle a dover pagare nel corso della loro vita lavorativa maggiori contributi salariali e più imposte, per il solo fatto che noi non abbiamo saputo gestire con oculatezza e lungimiranza le casse del primo pilastro. Ecco perché e cruciale il prossimo 3 marzo un voto ragionato e basato sui fatti sull’iniziativa popolare “Vivere meglio la pensione”, per concedere una 13esima mensilità AVS – promossa dall’Unione sindacale svizzera, sostenuta dalla sinistra e da altre forze sindacali -, e sull’ iniziativa “Per una previdenza vecchiaia sicura e sostenibile”, lanciata dai Giovani Liberali Radicali, che mira ad un consolidamento strutturale del primo pilastro, innalzando a tappe l’età della pensione a 66 anni entro il 2033 e adattandola in seguito all’aspettativa di vita. Per votare con cognizione di causa, senza lasciarsi fuorviare da slogan allettanti, occorre conoscere la reale situazione finanziaria dell’AVS, far parlare dati e cifre sul suo stato attuale e le tendenze future.

I numeri dell’AVS – beneficiari e contributi

Oggi ricevono la rendita AVS 2,5 milioni di pensionati (di cui 800mila all’estero, per lo più immigrati rientrati in Patria), con un importo medio di circa 1’800 franchi al mese, per una spesa complessiva di oltre 50 miliardi di franchi ogni anno. Le prestazioni sono finanziate sulla base del principio di ripartizione: oltre il 70% circa delle rendite e coperto grazie ai contributi versati dai datori di lavoro e dai loro dipendenti, ci sono poi una parte delle entrate dell’IVA e quelle derivanti dalla tassa sull’alcol, sul tabacco e dall’imposta sul gioco di azzardo. Complessivamente la Confederazione, attraverso il gettito fiscale, finanzia il 20,2% della spesa pensionistica, che per l’anno in corso equivale a 10,3 miliardi franchi, ossia più del 12% delle sue entrate totali. Dopo cinque anni di cifre rosse, con le riforme del 2020 e del 2022, accettate in votazione popolare, si e assicurato il finanziamento dell’AVS sino al 2030 grazie all’aumento dei contributi salariali, il rincaro dell’IVA e l’armonizzazione dell’età pensionabile. Un apporto finanziario non da poco e stato assicurato nel corso degli anni anche da quel milione e mezzo d’immigrati, soprattutto dall’UE, che lavorando e risiedendo in Svizzera ha rafforzato il volume dei contributi versati per il primo pilastro. Si e cosi raggiunta una certa stabilita nelle entrate, ma soltanto sino al 2030, dopo di che, per non precipitare di nuovo nei ricorrenti deficit, bisognerà trovare altre soluzioni. Le proiezioni indicano, infatti, che dall’inizio del prossimo decennio, senza interventi correttivi, le uscite saliranno dai 50 miliardi dello scorso anno a 63,5 miliardi.

Quello attuale e, quindi, un equilibrio contabile temporaneo e molto delicato perché soggetto a diversi fattori: l’invecchiamento della popolazione, l’andamento demografico, la crescita del lavoro part-time o discontinuo che assottiglia il volume delle quote salariali, la speranza di vita che si allunga e il pensionamento di centinaia di migliaia di baby boomers, variabili che s’impatteranno negativamente sui bilanci del primo pilastro. Per questo il Consiglio federale dovrà presentare per la fine del 2026 un progetto di riforma in grado di assicurare una sostenibilità finanziaria più duratura per il primo pilastro.

Deficit miliardari

Oggi le riserve dell’AVS ammontano a 47 miliardi di franchi circa, nel 2030 sfioreranno i 70 miliardi. Settanta miliardi sembrano una gran bella cifra, ma in realtà non sono tanti. Bastano, infatti, a coprire appena un anno e poco più del totale delle rendite versate dall’AVS. Tant’e che già nel 2032, a causa dell’incidenza di quei fattori di cui si e detto sopra, le spese dell’AVS supereranno le entrate di 4,7 miliardi di franchi. A cui si aggiungerebbero altri 5 miliardi in più ogni anno, qualora l’iniziativa per la 13esima AVS venisse approvata in votazione popolare. Entrando nel dettaglio, questa tredicesima, ossia un aumento dell’8,3% delle rendite, provocherebbe un costo aggiuntivo di 4,1 miliardi di franchi all’anno a partire dal 2026, che saliranno a 5,3 miliardi dal 2033, per superare i 10 miliardi nel 2050. Secondo le stesse previsioni dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali, con la rendita supplementare il primo pilastro dopo il 2030 accumulerebbe di anno in anno deficit miliardari. E chiaro che per la tredicesima AVS i soldi non ci sono o, meglio, ci sarebbero forse oggi ma di certo non domani. A meno che per finanziarla non si ritocchi di nuovo verso l’alto l’IVA oppure, come si suggerisce a sinistra, aumentando dell’0,8% i contributi salariali e chiamando alla cassa anche la Confederazione che dovrebbe contribuire con un miliardo di franchi in più all’anno. E che sarebbe, perciò, costretta ad aumentare le imposte per non sottrarre fondi ad altre spese necessarie. Non affrontando comunque alla radice il vero problema: la forbice tra chi versa i contributi per il primo pilastro e chi ne beneficia si va allargando sempre più.

Allo stesso tempo si e allungata l’aspettativa di vita per cui si riceve una rendita per molti più anni rispetto al passato. Quando nel 1948 venne istituita l’AVS c’erano 6 persone attive per ogni pensionato, nel 2020 questo rapporto e sceso a 3,3 e nel 2050 sarà di 2,2 attivi per un pensionato; a quell’epoca la rendita minima era di 40 franchi al mese, corrispondenti al 6% del salario medio di allora; nel 2022 si e arrivati a 1’195 franchi al mese, cioè il 15% del salario medio, dunque, 2,3 volte in più rispetto al 1948. Tre quarti di secolo fa la speranza di vita quando si raggiungevano i 65 anni, l’età della pensione, era di 12 anni per gli uomini e di 13 per le donne, nel 2020 si e arrivati ad una aspettativa di vita di oltre 20 anni per gli uomini e sino 22-23 anni per le donne. In sostanza, si percepisce la pensione molto più a lungo e il numero dei pensionati cresce più  velocemente di quello degli occupati che con i loro contributi finanziano le rendite.

Serve un intervento strutturale

La maggiore aspettativa di vita, unitamente all’instabilità e alle fluttuazioni dei mercati finanziari, ha messo sotto pressione anche il secondo pilastro, tanto che anche in questo ambito occorreranno scelte strutturali sulle quali saremo chiamati a votare prossimamente.

Le tendenze delineate dall’Ufficio federale di statistica sono del resto chiare e indicano la necessita di adattamenti urgenti. Nel prossimo decennio, infatti, il numero dei pensionati aumenterà del 26%, del 41% tra 20 anni e del 54% tra 30 anni; quello delle persone attive invece aumenterà solo del 2% nei prossimi dieci anni, del 5% tra 20 anni e del 7% tra 30 anni. Considerato l’impatto dell’andamento demografico e della speranza di vita più elevata sulle casse del sistema pensionistico, non si può ignorare la necessita di un intervento strutturale che corregga il pericoloso squilibrio tra entrate e uscite, per scongiurare deficit insostenibili e salvaguardare le rendite AVS per le generazioni future. Senza dover ricorrere ancora a nuovi oneri a carico dei cittadini. L’unica strada che può assicurare al primo pilastro stabilita e solidità finanziaria sul lungo periodo e, quindi, intervenire con un innalzamento graduale dell’età della pensione, legandola anche all’aspettativa media di vita.

Una soluzione più soft di quella già adottata da diversi Stati europei, che permetterebbe, inoltre, all’economia di preservare e impiegare più a lungo competenze professionali indispensabili per la crescita del Paese, oggi ipotecata dalla carenza di manodopera qualificata.

VOTAZIONE FEDERALE DEL PROSSIMO 3 MARZO

NO all’iniziativa che vuole introdurre una tredicesima per tutti i beneficiari dell’AVS. La proposta di una tredicesima per tutti, indipendentemente dalla loro condizione finanziaria non è finanziabile. Si prevedono costi di oltre cinque miliardi di franchi che inevitabilmente porterebbero ad aumentare l’IVA, i prelievi sui salari a carico di datori di lavoro e lavoratrici e lavoratori, senza dimenticare gli aumenti di imposte. Una misura che inciderebbe quindi pesantemente sul potere d’acquisto di tutti, inutilmente costosa perché non mirata a sostenere chi è realmente in difficoltà.

SÌ all’iniziativa dei giovani liberali-radicali, volta a innalzare l’età pensionabile a 66 anni, collegandola poi all’aspettativa di vita. Essa ha il merito di mettere il dito sul problema strutturale della sfida demografica. Il momento scelto per proporre un aumento dell’età pensionabile non è forse il migliore, dato che da poco è stata parificata l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini. Ma il problema rimane e senza interventi strutturali di questo tipo è difficile garantire la solidità dell’AVS. Stabilire un legame con l’aspettativa di vita è una soluzione sostenibile ed efficace per garantire l’AVS a lungo termine, evitando di ridurre le rendite, di accumulare debiti o di aumentare le imposte.