Telelavoro frontalieri

Informazione importante

In data odierna alcuni media ticinesi hanno impropriamente riportato la notizia della proroga dell’Accordo Svizzera Italia sulla fiscalità del telelavoro dei frontalieri.

La presente informazione ha lo scopo di rettificare alcune imprecisioni pubblicamente diffuse.

Innanzitutto, come già comunicato negli scorsi mesi, dal 1° febbraio 2023 è scaduto l’Accordo amichevole tra Svizzera ed Italia firmato nel 2020 sull’imposizione fiscale del telelavoro dei frontalieri. A partire da tale data si è quindi tornati al regime di imposizione usuale e in caso di telelavoro il frontaliere è soggetto fiscale italiano, anche per un solo giorno di attività in Italia. Quindi, ad oggi, non vi è alcun accordo in vigore tra Svizzera ed Italia da prorogare.

È verosimile che nei prossimi giorni Italia e Svizzera firmino un nuovo accordo amichevole. Non si tratta di una semplice proroga in quanto, come detto, attualmente non vi è alcun accordo in vigore e, comunque, il regime sarà sostanzialmente differente e più limitativo rispetto a quello concordato durante il periodo della pandemia.

Inoltre, sull’effettiva durata di questo nuovo accordo al momento non ci sono informazioni certe.

Ritorneremo sul tema non appena riceveremo comunicazioni ufficiali e consolidate.

Riassumendo: ad oggi non vi è alcun accordo in vigore tra Svizzera e Italia sulla fiscalità del telelavoro dei frontalieri.

San Gottardo & pedaggio: NO grazie

di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

È notizia di queste settimane la proposta di un Consigliere nazionale urano di prevedere un pedaggio per accedere al tunnel del San Gottardo (e forse anche del San Bernardino), per cercare di mitigare i disagi provocati dalle colonne che si formano davanti alla galleria in alcuni periodi dell’anno.
Purtroppo, la presunta “soluzione” del pedaggio non è assolutamente accettabile. Tralasciamo i più che legittimi dubbi su come si potrebbe gestire anche fisicamente un sistema con questo meccanismo, malgrado tutte le evoluzioni della tecnologia. Ma è certo che per il Ticino vi sarebbero unicamente svantaggi
incomprensibili e non di poco conto.

Si pensa prevalentemente al settore turistico, ma la questione è ben più ampia. Molti altri settori sarebbero toccati in maniera considerevole, visto che ad esempio un grande numero di aziende industriali e artigianali ticinesi, sono in vari modi, strettamente collegati alla parte Svizzera tedesca. Dover sopportare un pedaggio a ogni passaggio dei propri prodotti finiti, dei componenti dei prodotti, ecc. , significherebbe un aumento di costi non indifferente e una conseguente perdita di competitività in un contesto già per nulla facile e molto concorrenziale.
Inevitabili i riflessi su taluni insediamenti aziendali e sui posti di lavoro.

Ma, a parte il discorso prettamente economico, vi sarebbe una chiara discriminazione per il nostro Cantone. Non è mia abitudine usare l’arma del lamento, ma è un fatto che nella fattispecie vi sarebbe una macroscopica disparità di trattamento con gli altri Cantoni svizzeri. Infatti, se si fa riferimento alla densità del traffico che attraversa il San Gottardo, numerose sono le situazioni in Svizzera che sono ben peggiori. E’ opportuno ricordare che nel 2021 delle 32’481 ore di colonna registrate in Svizzera, quelle al San Gottardo sono state circa 2’500, quindi l’8%. Significa che in molte altre regioni elvetiche, che rappresentano il 92% delle ore di colonna, non siano d’esempio o messe meglio, basti pensare ai tunnel del Baregg o del Gubrist, oppure alle code fra Berna e Zurigo, fra Losanna e Ginevra, ecc. Dove le colonne sono quotidiane e non solo in periodi “di punta”
come al San Gottardo. Logica ed equità vorrebbero che si dovrebbe affrontare lo stesso discorso del pedaggio anche in altre regioni, se il traffico fosse la discriminante. Legittimo ritenere che romandi e svizzero
tedeschi avrebbero qualcosa da eccepire e con un peso politico
maggiore del nostro. Non è del resto un caso che il “road pricing” riferito
agli agglomerati sia sparito dai radar. Curioso è anche rilevare come nella campagna di votazione sul secondo tubo autostradale del San Gottardo gli oppositori, in prima linea i Cantoni romandi, insistettero sul fatto che non valeva la pena investire soldi su una tratta con scarsa densità di traffico. Ora però andrebbe bene il pedaggio? Direi di NO.

Essere al di qua delle Alpi rappresenta già sotto diversi aspetti, uno svantaggio,
perché il nostro territorio è più difficilmente raggiungibile e per noi varcare la catena alpina rappresenta comunque un ostacolo spesso non trascurabile. Peggiorare questo svantaggio obbligando tutti a pagare per transitare nella galleria autostradale sarebbe assurdo. In pratica saremmo l’unica regione svizzera
(parliamo della Svizzera italiana se dovesse esserci il medesimo provvedimento per il San Bernardino) a essere raggiungibile solo a pagamento.
Alla faccia della coesione nazionale. L’autore della mozione, il Consigliere nazionale Simon Stadler, cerca di rassicurare sulla sua brillante idea dicendo che vi potrebbero essere esenzioni per i ticinesi. Il problema è che nel testo della mozione si parla di riduzioni per gli abitanti dei cantoni interessati e non di
esenzioni. In sostanza, i ticinesi dovrebbero pagare comunque, magari un po’ meno, ma sempre di balzello si tratta. Nella stessa mozione si citano anche esempi di valichi con pedaggi che funzionano molto bene (Brennero, Monte Bianco, Fréjus, Gran San Bernardo) dimenticando (?) che si tratta di trafori che portano da una nazione all’altra e non collegano regioni di uno stesso paese, come è il caso del San Gottardo e del San Bernardino. La differenza non è sottile e si può tranquillamente parlare di una “staatspolitische Frechheit”.

In altre parole, una decisa mancanza di rispetto per un Cantone e una regione che non sono certamente di Serie B.

Apertura tecnologica

di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

2035: l’anno della definitiva svolta energetica in ambito del trasporto privato. Anche l’ultima istanza politica europea, che doveva decidere sulla messa al bando dei carburanti di origine fossile e di conseguenza puntare tutto sulla mobilità elettrica, si è espressa a favore di questa drastica misura. C’è però stata una svolta che ha cambiato le carte in tavola. Dietro pressione della Germania, gli europarlamentari hanno inserito tra i vettori energetici per le autovetture anche la possibilità di vendere, dopo il 2035, veicoli con motore a combustione interna se alimentati con carburanti sintetici o e-carburanti. Questa decisione è molto positiva per tutti. Da un lato sarebbe stato piuttosto pericoloso affidarsi ad un unico vettore energetico, l’elettricità, per mettere in movimento l’intero parco circolante europeo. Dall’altra, se si vuole veramente risolvere il problema delle
emissioni di CO2, bisogna lasciare il campo aperto a tutte le tecnologie.
Solo così il mondo scientifico e lo sviluppo tecnologico possono valutare ogni via percorribile e proporre le soluzioni migliori. Chiudendo invece a priori lo sviluppo degli e-carburanti, gli investimenti nella ricerca e sviluppo di questa innovativa tecnologia sarebbero sati cancellati o per lo meno spostati al difuori dell’Europa dove le altre nazioni non hanno posto vincoli ai vettori energetici per il settore dei trasporti. Altre fonti energetiche invece, non sono state perse in considerazione.
Per esempio, i bio-carburanti, come chiesto a gran voce dall’Italia che in quest’ultima tecnologia ha investito moltissimo negli scorsi anni. La decisione presa dai parlamentari europei, una volta tanto, ha una ragione d’essere. Vediamo perché.

Gli e-carburanti

Questi carburanti, definiti carburanti sintetici, e-carburanti o carburanti elettrici, sono dei prodotti che non si trovano in natura, ma si ottengono grazie alla sintesi di idrogeno o, in rari casi, anche di bio-carburanti e CO2. Per questo processo di sintesi, ma anche per la produzione di idrogeno verde, serve molta energia elettrica. Da qui il nome di e-carburanti. Alla base c’è dunque l’idrogeno, un elemento molto abbondante sulla Terra, ma solo in combinazione con altri elementi come, ad esempio, l’ossigeno formando in pratica l’acqua. Per ottenere l’idrogeno occorre quindi scomporre i due elementi, ossigeno e idrogeno, grazie all’elettrolisi. Questo processo può funzionare soltanto utilizzando grandi quantità di elettricità, motivo per il quale quest’ultima, se si vuole ottenere un processo realmente sostenibile da punto di vista ambientale, deve essere prodotta da fonti rinnovabili come fotovoltaico, eolico o idroelettrico. Oltre all’idrogeno serve la CO2. Quest’ultima, per far sì che il processo sia neutro dal punto di vista delle emissioni, deve essere prelevata dall’aria ambiente.
Combinando poi i due elementi, idrogeno e CO2, si ottiene un carburante che può essere utilizzato in un motore a combustione interna come quelli che oggi utilizziamo su gran parte delle vetture circolanti. Ecco, quindi, un altro vantaggio: la tecnologia e le vetture già oggi in circolazione non sarebbero da buttare, ma, anzi, diventerebbero anche queste a emissioni a zero di CO2. A dire il vero, questo tipo di automobili emetterebbe comunque della CO2, la differenza rispetto alle emissioni attuali è che in questo caso si tratterebbe della stessa quantità di anidride carbonica prelevata dall’aria ambiente utile per la reazione chimica necessaria.
Una domanda però sorge spontanea: per quale motivo si dovrebbe utilizzare la corrente elettrica per produrre un carburante sintetico da bruciare in un motore a combustione interna? Non converrebbe utilizzare direttamente la corrente elettrica per alimentare una vettura a batteria? Uno dei problemi dell’elettricità
è il suo immagazzinamento. Sappiamo che quest’ultimo non è semplice e, con la tecnologia attuale, l’unica possibilità è accumularla all’interno di una batteria. Per quantità relativamente ridotte questo è fattibile senza problemi, mentre per grandi quantità ad oggi non esiste una soluzione. Un altro problema dell’energia elettrica è il suo “trasporto” su lunghe distanze. Oggi per portare l’energia elettrica da un punto di produzione al punto di utilizzo si fa capo alla rete di distribuzione ad alta tensione. Questo è fattibile su distanze di qualche migliaio di chilometri, ma non oltre. È impossibile immaginare di produrre energia elettrica in America del Sud grazie all’eolico per poi utilizzarla in Europa quale vettore energetico per il trasporto privato. È invece possibile produrre e-carburanti in Argentina, dove oggi esiste un impianto pilota gestito da Porsche, e in seguito, come avviene già con la benzina e il diesel, trasportarlo in tutta sicurezza in Europa per essere poi venduto presso la rete di stazioni di rifornimento già esistenti.

E i bio-carburanti

I bio-carburanti sono prodotti a partire da bio-masse o da vegetali coltivati a questo scopo. Anche in questo caso si possono ritenere dei carburanti con bilancio di emissioni di CO2 neutro. Infatti, la CO2 che viene emessa quando il bio-carburante brucia all’interno del motore è la stessa che le piante coltivate per la sua produzione hanno assorbito dall’aria durante la loro fase di crescita. Allora perché non sono stati presi in considerazione al pari degli e-carburanti?
Uno dei principali problemi è proprio la necessità di coltivare molti terreni a questo scopo sottraendoli alla produzione di vegetali a scopo alimentare.
La decisione dell’Unione Europea va quindi nella giusta direzione offrendo la possibilità di una migliore gestione dell’energia che è possibile produrre da fonti rinnovabili consentendo un immagazzinamento più semplice e una distribuzione più capillare, indipendentemente dal luogo di produzione. Pensando poi anche al difuori del mondo delle automobili, come ad esempio il trasporto aereo o marittimo, la disponibilità di carburanti liquidi o gassosi di facile immagazzinaggio renderanno più ecologici anche gli spostamenti a lungo raggio.

Assegno Unico Universale NEW

Nuovo pannello e guida personale INPS

Assegno Unico figli: nuovo pannello e guida personale INPS

L’INPS attiva il nuovo pannello per l’Assegno Unico e le video guide personalizzate per chi ha riscontrato criticità in fase di erogazione del beneficio.

Novità per i contribuenti che diritto all’Assegno Unico figli a carico: l’INPS ha attivato il nuovo pannello semplificato e sta procedendo con l’invio di video guide personalizzate e interattive ai nuclei familiari che hanno richiesto la prestazione ma che hanno riscontrato problemi in fase di erogazione del beneficio.

Le video guide hanno lo scopo di informare sullo stato della domanda presentata e fornire all’utente interessato indicazioni su come procedere, illustrando in modo semplice e intuitivo le attività da effettuare per fruire dell’Assegno Unico.

Pannello INPS per l’Assegno Unico

Il nuovo pannello informativo semplificato per l’Assegno Unico Universale è operativo dal 10 giugno 2023, accessibile attraverso il sito web dell’Istituto e utilizzando le proprie credenziali di autenticazione (SPID, CIE e CNS) o tramite l’intermediario di fiducia.

Video guida per chi ha problemi

Con il messaggio n. 2096 dello scorso 6 giugno, inoltre, l’INPS annuncia l’invio di video guide personalizzate e interattive a coloro che, pur avendo richiesto l’Assegno Unico per i figli a carico nel corso delle annualità 2022 e 2023, non hanno avuto accesso alla prestazione a causa di alcune criticità in fase di istruttoria.

Dall’esame delle posizioni che risultano dagli archivi INPS è stata rilevata la presenza di domande senza documentazione allegata, oppure domande che sono nello stato di “accolta” ma con pagamento non a buon fine a causa di anomalie, dovute al mancato abbinamento tra il Codice Fiscale dell’utente e l’IBAN inserito.

Per visualizzare la video-guida personalizzata è necessario procedere come segue:

  • accedere all’area riservata “MyINPS”, attraverso la propria identità digitale (CIE, SPID almeno di livello 2 o CNS);
  • consultare le notifiche nelle app “IO” e “INPS Mobile”.

Fonte: Portale INPS, PMI.IT (Teresa Barone, 9 Giugno 2023 9:15)

Così Linkedin ha cambiato (e continua a cambiare) l’HR

di Manuela Cuadrado, Account Manager in Breva Digital Communication Sagl

Linkedin si conferma uno dei social media più amati. In un panorama mutevole come quello digitale, ha saputo evolversi senza mai venire meno alla sua “mission” originale: fornire a chi lavora uno strumento di networking in grado di supportare gli utenti nella ricerca di un nuovo lavoro e le aziende nella ricerca di personale. Un mondo virtuale in cui domanda e offerta di lavoro possano incontrarsi direttamente, rompendo le tradizionali barriere gerarchiche. Una felice intuizione per l’epoca: Linkedin è infatti nato ufficialmente il 5 maggio del 2023.
Sì, avete fatto bene i conti: quest’anno, le candeline sulla torta saranno 20. Due decadi di crescita solida e costante, che hanno portato le funzionalità della piattaforma ad espandersi: oggi imprese e privati utilizzano Linkedin per la ricerca attiva di clienti, il rafforzamento della propria reputazione online, la formazione, o semplicemente per restare aggiornati su quanto accade nella propria sfera di interesse professionale.
Tuttavia, la vocazione HR di Linkedin non è certo venuta meno. Al contrario: si è arricchita di nuove, interessanti funzionalità.

Anche la ricerca di personale ha la sua brand awareness.

Oggi più che mai, la ricerca di lavoro da parte dei candidati tiene conto di fattori che vanno oltre l’inquadramento o la retribuzione: non cercano più solamente un impiego, ma un’esperienza di lavoro che consenta loro un accrescimento personale, oltre che professionale. Vogliono poter sposare i valori dell’azienda in cui lavorano e trovare un ambiente positivo e accogliente, in cui il loro talento venga valorizzato. Per questo, sono più portati che in passato a fare ricerche sull’azienda e chi ci lavora. Ricerche che avvengono al 99% online… le aziende che vogliono attrarre i candidati migliori trovano in Linkedin un’eccezionale opportunità di comunicare le proprie attività, missione e valori, avendo la certezza di trovarsi già su sulla piattaforma social più adatta per ottenere la visibilità che gli serve. I dipendenti e i collaboratori dell’azienda possono essere chiamati direttamente a contribuire a questa visibilità attraverso le funzionalità di Employee Advocacy; l’engagement da parte di chi già lavora in azienda, è senza dubbio il miglior biglietto da visita agli occhi di un candidato. Pubblicare e condividere contenuti interessanti sulle attività aziendali può stimolare molti professionisti a contattarvi per primi, con una candidatura spontanea.
Ma… cosa accade se abbiamo bisogno di una ricerca di personale mirata, magari con una certa urgenza?

Job posting e Job ADS: pubblicare e sponsorizzare gli annunci di lavoro

È risaputo che le aziende possono pubblicare e diffondere annunci di lavoro su Linkedin. È meno noto che per farlo non occorre necessariamente pagare: basta avvalersi della funzionalità “Pubblica un’offerta di lavoro” dal menù aziendale e una procedura guidata ci permetterà di redigere e pubblicare l’annuncio perfetto per noi, che verrà pubblicato sulla pagina aziendale e da lì potrà essere ricondiviso. Questo, in alcuni casi, potrebbe già essere sufficiente ad attirare l’attenzione di candidati interessanti, ma solo a patto diaver nutrito nel tempo la nostra rete con contatti qualificati e in target (questo ovviamente, vale per tutti quelli che condivideranno l’annuncio). È anche possibile arricchire la propria foto profilo con la dicitura “I’m hiring” – “Sto assumendo”, per ottenere ulteriore visibilità presso la nostra rete.
Se però vogliamo accelerare i tempi o abbiamo necessità di raggiungere velocemente un pubblico più ampio, potremo avvalerci della possibilità di sponsorizzare l’annuncio: grazie alla capacità di selezione capillare del target della piattaforma pubblicitaria di Linkedin, potremo mostrare il nostro annuncio solo a candidati che corrispondono il più possibile al nostro candidato ideale: tra i filtri troviamo, ad esempio, gli anni di esperienza, il titolo di studio, ma anche le lingue conosciute o determinate conoscenze tecniche e/o particolari skill (ad esempio, la competenza nell’utilizzo di determinati software o macchinari). I termini e condizioni del servizio di Linkedin non permettono di inserire criteri discriminanti quali sesso, età, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità etc. (anche in accordo alle leggi e normative vigenti nel Paese di riferimento).
Altro spunto da tenere presente: grazie a un codice di tracciamento da inserire sul sito web (pixel) è possibile fare pubblicità retargeting a tutti i potenziali candidati che sono atterrati sul nostro sito web per approfondire l’annuncio o conoscere meglio l’azienda, andando così a colpire un pubblico non solo idoneo, ma anche
fortemente interessato.

Più forza alla ricerca di personale con Linkedin Recruiter

Per chi lavora nel campo delle Risorse Umane o le imprese che hanno bisogno di molto personale, è nato Linkedin Recruiter, una soluzione tailor-made per venire incontro alle specifiche necessità di ogni azienda. Grazie a Recruiter, non è necessario aspettare che il candidato giusto venga da noi: possiamo essere noi a
trovarlo e contattarlo per primi! I responsabili della selezione hanno a disposizione una ricerca attiva che permette di impostare diversi filtri e trovare gli utenti con il profilo più adeguato: tra gli oltre 690 milioni di iscritti nel mondo, c’è sicuramente il candidato giusto! L’HR manager potrà quindi contattarlo direttamente attraverso i messaggi InMail.

Sì ad una fiscalità conforme al modello OCSE: per la Svizzera, per il Ticino

Il prossimo 18 giugno, i cittadini saranno chiamati alle urne su tre temi di carattere federale, tra cui la riforma OCSE per l’imposizione minima delle imprese attive a livello mondiale con un fatturato di almeno 750 milioni all’anno. Il Canton Ticino non figura tra i cantoni direttamente più toccati dalle modifiche tributarie. Ma indirettamente la riforma riveste una grande importanza per la nostra regione, per le imprese stesse e per l’erario. Per questa ragione l’Associazione imprese di famiglie (AIF), l’Associazione industrie ticinesi (AITI) e la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino (Cc-Ti) invitano a votare Sì alla riforma OCSE.

COMUNICATO STAMPA

Tutelare la continuità aziendale

di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Ben 5.500 imprese ticinesi si trovano già confrontate con il delicato problema della successione aziendale. Una fase cruciale per la sopravvivenza di migliaia di attività produttive che nei prossimi cinque, dieci anni, con il pensionamento della generazione dei baby boomers, assumerà ancora più rilevanza per la tenuta complessiva del nostro sistema economico. Una rilevanza strategica se si considerano le conseguenze negative che potrebbe avere sull’economia cantonale l’insuccesso del ricambio generazionale anche se “soltanto” per una parte di queste imprese.
Più che di “successione ”, termine che rimanda al classico trapasso ereditario di un capitale nella ristretta cerchia familiare dei discendenti diretti, come genitori/figli, sarebbe più opportuno parlare di continuità aziendale. Ossia di un passaggio che può interessare e coinvolgere parenti non stretti, quali nipoti e affini, oppure terze persone, ad esempio, dei dipendenti che potrebbero rilevare l’attività. Scelta questa che, per vari motivi, è ormai sempre più frequente, ma che purtroppo l’attuale legge tributaria penalizza fiscalmente, scoraggiando i potenziali subentranti e pregiudicando, di fatto, la prosecuzione dell’impresa stessa.
Una distorsione che la riforma generale della fiscalità, prevista per il 2024, dovrebbe correggere al fine di salvaguardare la stabilità e lo sviluppo del tessuto produttivo.

Il fattore umano

Per un imprenditore la decisione di ritirarsi, di passare la mano non comporta solo problemi fiscali, legali o finanziari, c’è, infatti, una componente emotiva altrettanto importante. L’impresa è il frutto del lavoro di una vita, a volte di più generazioni. È il risultato non solo della creatività imprenditoriale, del coraggio di rischiare e mettersi personalmente in gioco, è anche la testimonianza concreta di una dedizione tenace, di sacrifici e, spesso, di consapevoli rinunce nei momenti difficili. Un impegno costante che porta a identificarsi giorno per giorno e sempre di più con la propria azienda, i collaboratori, i fornitori, i clienti, con il territorio e la comunità locale, attraverso molteplici legami sviluppati e consolidati nel corso del tempo.
Negli imprenditori si radica un gagliardo senso di responsabilità ed è, perciò, inevitabile il timore di non poter garantire una scelta adeguata nell’avvicendamento, di compromettere la visione e il futuro dell’azienda.
La continuità, la crescita e i posti di lavoro, restano gli obiettivi principali anche nella transizione, come ha evidenziato lo studio dell’ottobre scorso sulla “Trasmissione aziendale in Ticino” elaborato dal Gruppo Multi SA. Obiettivi centrali ovviamente anche per chi riprende l’impresa.
In questo passaggio assai complesso sono molteplici le sfaccettature legate al fattore umano, alla proprietà, al management, all’organizzazione interna e alla corretta gestione dei rapporti con i collaboratori, sommate alle diverse problematiche inerenti alle questioni fiscali, legali e finanziarie.
Ma è proprio il fattore umano a risultare spesso decisivo, visto che spesso sono le emozioni a dettare il ritmo delle discussioni, soprattutto se fra familiari. Ad esempio, una delle questioni di attrito è spesso il ruolo in azienda di chi cede l’attività. Può, vuole, deve continuare ad avere un ruolo come consulente o è meglio che lasci campo libero a chi gli succede? Questione che, come molte altre, non ha una risposta univoca né standard ma richiede non di rado periodi lunghi di valutazioni, trattative, ecc. È praticamente imprescindibile, in casi del genere, ricorrere all’aiuto di terzi esterni, che abbiano una visione oggettiva della situazione. Anche perché, ed è abbastanza naturale, chi è direttamente coinvolto tende ad esempio a sovrastimare il valore della propria azienda.

Una scelta difficile

Va detto che l’89% delle 39mila imprese attive in Ticino è costituito da piccole realtà che hanno meno di dieci dipendenti e nelle quali la figura del titolare spesso ha un ruolo dalle molte sfaccettature (competenze tecniche, gestione dell’azienda, acquisizione di clienti, ecc.), il che rende complessa l’operazione di trovare alternative valide che possano garantire una successione indolore. Si potrebbe dire che non è mai troppo presto per pensare a tali questioni, perché indugiare troppo aumenta il rischio di compromettere la continuità aziendale. Va detto però che, rispetto al passato, vi è meno l’aspetto di sottovalutazione del problema, quanto piuttosto la reale mancanza di alternative all’interno della famiglia o all’interno dell’azienda.
In effetti, sino a una ventina di anni fa la trasmissione dell’azienda in famiglia era un processo quasi automatico, poi lentamente è mutato. A partire dal 2010 si è rilevata una discontinuità crescente a continuare l’attività della famiglia da parte dei parenti prossimi, i quali scelgono di intraprendere professioni / carriere che di discostano nettamente da quelle dei genitori.
Il fenomeno rispecchia una chiara tendenza nazionale che fotografa un aumento progressivo delle trasmissioni aziendali come forme miste di proprietà, come operazioni di management buyout o di acquisizione/fusione.
Un orientamento sempre più marcato di cui dovrebbe tener conto l’annunciata revisione cantonale della fiscalità per rimuovere quegli ostacoli, in particolare di natura fiscale, che oggi frenano la cessione agli eredi non diretti o a terze persone, mettendo in pericolo la sopravvivenza dell’impresa stessa.
Una riflessione seria e ancora più pressante se si considera che delle migliaia di aziende ticinesi che nel decennio prossimo dovranno affrontare il ricambio generazionale, una parte consistente non ha in famiglia un possibile successore.

Un correttivo necessario

La società cambia con esigenze e peculiarità in continuo aggiornamento. Le norme tributarie non devono ignorare questo cambiamento che è fisiologico dei tempi.
Non si può più guardare alla successione d’impresa come ad un automatico e usuale passaggio di capitale tra parenti stretti. La possibile assenza di questa opportunità non deve rappresentare una minaccia per la continuità aziendale. Con le norme in vigore oggi, il passaggio del testimone tra eredi diretti non presenta problemi particolari. Diverso a favore di nipoti, affini o terze persone. In questi casi il carico fiscale è talmente gravoso da rendere troppo pesante e/o poco attrattivo accettare la successione o la donazione, con il conseguente rischio di chiusura dell’impresa.
Questo passaggio deve diventare ed essere considerata un’opportunità di rinnovamento imprenditoriale e di salvaguardia dei posti di lavoro, come hanno sottolineato con un’iniziativa parlamentare Cristina Maderni, Gran consigliera e Vicepresidente della Cc-Ti, e il presidente del PLR Alessandro Speziali. I due deputati hanno proposto una riduzione dell’onere fiscale pari al 75%, rispetto al sistema attuale, nei casi in cui la successione avvenga al di fuori della cerchia familiare più stretta.
Un alleggerimento fiscale che renderebbe più attuabile il passaggio a figure in grado di assicurare la prosecuzione dell’impresa, e molto spesso, va sottolineato, si tratta proprio di collaboratori interni o persone già attive nella propria filiera. Che dispongono quindi anche di competenze atte a garantire una nuova fase aziendale. Chi si assume il rischio di proseguire un’attività imprenditoriale, di lavorare per consolidarla e implementarla con nuove idee e progetti, va pertanto incoraggiato e non dissuaso con una fiscalità troppo elevata.
Sarebbe peccato non fare un salto di qualità anche a livello legislativo, perché c’è il concreto rischio di sfilacciare il tessuto economico del Cantone. Aziende sane che spariscono per mancanza di condizioni idonee a una loro ripresa non sono un danno solo per i diretti interessati, ma anche per tutto il territorio, con perdita di know-how, impieghi, gettito fiscale, ricadute sociali, ecc. Pena la perdita di competitività del cantone. Se può essere di “consolazione ”, il problema della continuità aziendale è comune a tutta la Svizzera (e anche a molti paesi europei) e alcuni cantoni si sono già mossi per cercare di rimediare al problema almeno sul piano fiscale. Del resto, la revisione del diritto successorio a livello federale ha già introdotto alcuni elementi di flessibilità che potrebbero essere utili anche in ambito aziendale e altre proposte legislative ancora più mirate sulle imprese sono in fase di elaborazione.

Una strategia di sostegno

Come detto, la trasmissione aziendale è un processo molto articolato, a volte difficoltoso perché presenta problemi diversi non sempre di immediata soluzione. Lo studio del Gruppo Multi, a distanza di dieci anni da un’analoga ricerca, ha confermato, infatti, che ancora oggi una fetta non irrilevante di aziende arriva in ritardo a questo appuntamento: “Il 63% delle imprese con un orizzonte di successione entro i due anni e il 70% di quelle con un orizzonte tra i tre e cinque anni non ha ancora definito una forma di successione, vendita o di liquidazione”.
Tuttavia, va ribadito che, a differenza del passato, vi è meno “impreparazione ” ma una crescente difficoltà a trovare soluzione idonee. Del resto, se la forma della successione in famiglia è tuttora prevalente, essa però è in calo, mentre crescono le modalità di partecipazione da parte di collaboratori interni o la necessità di cercare in acquirenti esterni. Ciò comporta un aumento della necessità di consulenze tecniche puntuali, soprattutto per quel che riguarda gli aspetti legali, fiscali e la quantificazione del valore dell’impresa, operazioni sempre molto complesse e di lunga durata.
Per questo motivo è anche molto importante intervenire già a livello di formazione delle nuove leve, potenzialmente interessate a rilevare un’azienda. Accompagnare queste persone e fornire loro gli strumenti corretti affinché possano essere pronti al momento giusto è fondamentale tanto quanto il sostegno a chi, per scelta o per altri motivi, cede l’azienda. Mira in questa direzione la proposta multidisciplinare dei percorsi formativi della Cc-Ti. Oltre a moduli specifici, il percorso formativo “Specialista della gestione PMI con attestato federale”, ad esempio, prepara chi è già attivo in azienda a riprendere la conduzione di un’impresa di piccola e media grandezza. Interessante è il fatto che attualmente circa il 30% dei partecipanti che frequenta questo corso ha il preciso obiettivo di subentrare alla guida dell’azienda di famiglia oppure di rilevare l’impresa in cui lavora.

Un tema rilevante, al centro di una serie di quattro eventi a cadenza settimanale con inizio il 16 maggio, promossi dalla Cc-Ti in collaborazione con UBS. Testimonianze personali, considerazioni tecniche e riflessioni, aiuteranno a far emergere le principali difficoltà che si presentano al momento di pensare alla continuità dell’azienda. Con l’aiuto degli esperti in materia verranno messe in luce alcune delle tante possibili soluzioni per affrontare questa delicata fase.

Dieci domande e risposte sulle auto elettriche

Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

Ci sono molti pregiudizi nelle discussioni sulle auto elettriche. Dieci domande che gli interessati all’acquisto di una BEV (Battery Electric Vehicle) sottopongono spesso ai venditori d’auto con le relative risposte che ricevono.

Perché sempre più fabbricanti d’auto concentrano la produzione solo su automobili a trazione elettrica?

Le auto elettriche sono più efficienti: qualsiasi sia la fonte di produzione dell’elettricità, queste la sfruttano in modo più efficiente. Durante l’uso su strada non generano emissioni nocive migliorando così il bilancio del carbonio e contribuiscono a rispettare i limiti di legge in materia di produzione di CO2. Nei diversi studi condotti, viene messo in dubbio che considerando la produzione delle batterie e la produzione di energia elettrica tramite centrali a carbone, sull’arco di tutta la vita dell’automobile questa sia effettivamente più ecologica di un’automobile con motore a combustione. Tuttavia, considerando il mix di produzione dell’elettricità più verde come quello del nostro paese, risultano senza dubbio più ecosostenibili.

Si sente sempre più parlare di possibili, o meglio probabili, blackout elettrici. Le auto a trazione elettrica contribuiscono a peggiorare la situazione?

È molto improbabile. Secondo l’Ufficio federale dell’energia (UFE), nel 2021 in Svizzera, il fabbisogno di energia elettrica per le auto elettriche corrispondeva unicamente allo 0,4% del fabbisogno complessivo nazionale. Considerando scenari futuri, con incrementi del consumo di elettricità per la mobilità elettrica di oltre un terzo, ipotizzando cioè che tutte le auto saranno elettriche, secondo i fornitori di energia svizzeri il fabbisogno globale di elettricità aumenterebbe unicamente del 10-20%.

Le auto elettriche sono maggiormente soggette al rischio d’incendio?

Assolutamente no. Purtroppo, alcuni media denunciano che le auto elettriche bruciano con maggiore frequenza rispetto alle auto tradizionali. Questa affermazione non è corretta, anzi possiamo tranquillamente affermare, in base a diversi studi, che questo succede assai raramente. Una cosa è invece corretta: l’incendio di un’auto elettrica, in particolare della batteria, è più difficile da domare. Un altro mito da sfatare è quello delle esplosioni di batterie in stile Hollywoodiano, pura fantascienza.

Se dovessi trovarmi con la mia auto elettrica in un ingorgo per diverso tempo utilizzando il riscaldamento dell’abitacolo, rischio di rimanere con la batteria completamente scarica?

No. In inverno, un’auto elettrica ferma in colonna consuma da 0,5 a 3,0 kWh per il riscaldamento, un’auto con motore a combustione da 0,5 a 1,5 litri all’ora di carburante. Un’auto con motore a combustione potrebbe quindi riscaldare per 20-60 ore considerando un serbatoio da 60 litri pieno a metà. Un’auto elettrica per 10-60 ore (vale a dire più o meno lo stesso periodo di tempo) con una batteria da 60 kWh carica a metà.

L’autonomia e la disponibilità di colonnine di ricarica non sono sufficienti?

Istintivamente verrebbe da dire di no, obiettivamente invece assolutamente sì. L’autonomia cresce costantemente in maniera positiva: oggi vanta tra i 300 e i 500 chilometri, a volte anche di più. Consideriamo comunque che in Svizzera la percorrenza media giornaliera è di 32 chilometri, quindi nettamente inferiore all’autonomia consentita. Per quello che riguarda le stazioni di ricarica oggi se ne contano ben 7’000 in Svizzera delle quali 600 sono a carica rapida. Comunque, la rete di ricarica va ampliata ulteriormente ed è quanto si sta facendo.

Quali sono i costi di gestione di un’auto elettrica?

Questi dipendono essenzialmente dalla fonte di approvvigionamento dell’energia elettrica per la ricarica e dalla tariffa di acquisto della stessa oggi e in futuro con i probabili aumenti di costo che si prospettano. Anche la scelta di caricare le batterie durante il giorno con la tariffa più alta o durante la notte con la tariffa più bassa e la fonte di provenienza della stessa mista o verde, hanno un’influenza sui costi. Attualmente la ricarica notturna a casa costa da tre a sei franchi per una percorrenza di 100 chilometri, questo considerando anche le perdite in fase di ricarica. Usufruendo di stazioni di ricarica rapida a corrente continua, una ricarica per la stessa percorrenza può costare quanto un pieno di benzina. Per compensare poi il costo superiore di un’auto elettrica rispetto a un’auto a benzina, è necessario ammortizzarlo con l’utilizzo su più anni. Oggi giorno però alcuni modelli di auto elettrica sono già più a buon mercato di modelli analoghi con potenti motore a combustione. In questo caso i costi “supplementari” della mobilità elettrica risultano notevolmente inferiori.

Le materie prime necessarie per la fabbricazione delle batterie sono scarse (terre rare) e a volte la loro estrazione avviene in condizioni disumane, è vero?

Contrariamente a quanto si crede, le terre rare non sono né così rare né indispensabili per la fabbricazione di una batteria. Nei motori elettrici queste sono effettivamente presenti, ma si cerca sempre più di sostituirle con altri materiali. Il litio, è vero, rischia di scarseggiare perché è difficile da estrarre. In questo caso l’UE, entro il 2030, punta compensare il 30% di quello estratto con il riciclo dalle batterie esauste. In molti Paesi, compreso il nostro, sono in fase di sperimentazione impianti pilota per il riciclo delle batterie per l’autotrazione.

Purtroppo, invece, il cobalto, ad esempio, che proviene dal Congo presenta una situazione socialmente delicata. Questo nonostante l’importante lavoro profuso per delle catene di approvvigionamento “sostenibili”. È anche probabile che la situazione rimanga complicata anche in futuro.

Quanto costa una wall-box (stazione di ricarica) per la ricarica domestica di auto elettriche?

Se per le auto ibride plug-in (auto ibride con possibilità di ricarica della batteria tramite presa di corrente) è possibile, in caso di necessità, utilizzare una presa domestica, per le auto totalmente elettriche è indispensabile avere a disposizione una wall-box montata a parete e collegata tramite un impianto elettrico specifico. Questo a causa dei consumi elevati di corrente, prolungati nel tempo e della potenza richiesta maggiore (protezione antincendio). Queste installazioni non sono sempre possibili per gli inquilini di un condominio che non ricevono il permesso da parte dei proprietari degli immobili di modificare l’impianto elettrico dello stabile. Le case automobilistiche, i fornitori di energia elettrica e altri operatori del settore, offrono diversi generi di wall-box con costi che variano da alcune centinaia fino a poche migliaia di franchi. A questi vanno poi aggiunti i costi di installazione, che possono variare a seconda delle modifiche necessarie all’impianto elettrico di casa, da 1’500 a 3.500 franchi.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle auto elettriche che normalmente non vengono considerati?

L’assenza del cambio marcia e di rumore del motore, la notevole coppia motrice che spinge fin da subito in maniera importante e decisa, fanno sì che le auto elettriche siano più fluide, silenziose e veloci. Per queste auto poi, in estate o in inverno, l’abitacolo può essere raffreddato o riscaldato a distanza e preventivamente con l’ausilio di un’app installata sul proprio cellulare. Per contro, un punto a sfavore delle auto elettriche è che in inverno, a causa dell’utilizzo del riscaldamento e delle basse temperature esterne l’autonomia effettiva diminuisce di circa il 15-35%. Questa situazione tende però a migliorare con i miglioramenti tecnologici.

Devo preoccuparmi che la tendenza verso una mobilità totalmente elettrica possa invertirsi?

La probabilità è assai remota. La benzina, il gasolio e il gas rimarranno probabilmente preponderanti più a lungo del previsto a causa dell’evoluzione della situazione energetica, ma i carburanti sintetici (e-fuel) potrebbero essere la via da seguire per rendere il parco veicoli circolante più rispettoso dell’ambiente. Ci sarà poi anche l’idrogeno. In ogni caso, nei prossimi anni la maggior parte delle nuove auto immatricolate sarà alimentata ad energia elettrica con batteria. Questo anche perché i legislatori e le case automobilistiche europee guardano al 2035.




Evoluzioni elettrizzanti

di Michele Merazzi, Vicedirettore Cc-Ti

Un altro esempio interessante di nuove figure professionali è costituito dall’informatico degli edifici sul quale si sofferma Michele Merazzi, Vicedirettore della Cc-Ti e Segretario di EIT.ticino. Rispetto all’esempio precedente è piuttosto un’evoluzione di formazioni già consolidate.

Da dove trae origine questa formazione?

Questa nuova formazione parte dall’idea di sviluppare la professione precedente di telematico, di ampliarne gli ambiti e di avere 3 rami distinti negli ambiti multimedia, pianificazione e automazione. È emersa dunque la necessità di avere una nuova figura professionale che fosse in grado di coordinare e installare sistemi domotici, di comunicazione e multimediali (sistemi DCM). L’informatico di edificio con AFC (Attestato federale di capacità) ha pertanto un ruolo imprescindibile nel processo di digitalizzazione degli edifici e conseguentemente anche nella transizione energetica. Questo poiché contribuiscono a trasformare case e immobili in strutture smart home, permettendo una migliore efficienza energetica e una connessione ottimale fra le sempre più numerose tecnologie presenti negli edifici. Finestre o tendoni che si chiudono autonomamente quando piove o sistemi di riscaldamento e raffrescamento intelligenti che si attivano solo al momento opportuno sono solo due fra gli esempi più semplici di queste attività.

A chi si rivolge (requisiti), come è strutturata ?

L’informatico d’edificio AFC si rivolge a dei giovani interessati alle nuove tecnologie e che vogliono essere parte attiva della transizione energetica e dello sviluppo tecnologico legato alla vita di tutti i giorni. Le competenze che verranno poi apprese si basano su ampie conoscenze della tecnica di rete e nel settore della sicurezza informatica. I tre indirizzi professionali ruotano attorno a questo know-how e permettono di specializzarsi in progettazione, domotica o comunicazione e multimedia. La formazione si svolge tramite una durata di 4 anni con la classica modalità dei percorsi di apprendistato, dunque con una parte scolastica e un’altra presso il datore di lavoro con cui è stato sottoscritto il contratto di tirocinio.

Prospettive di mercato?

Gli edifici, sia quelli di natura abitativa che quelli legati ai luoghi di lavoro o ai servizi, diventeranno sempre più automatizzati e interconnessi.
Per queste ragioni il mercato del la-voro richiederà sempre più competenze specifiche in questo ambito visto il rapido sviluppo tecnologico e le richieste da parte della popolazione : pensiamo ad esempio ai sistemi di monitoraggio per le persone sole o anziane che grazie a questi riescono a lanciare un allarme in caso di bisogno. L’introduzione di queste tecnologie consente dunque una migliore qualità di vita delle persone.
Gli sviluppi formativi e di carriera degli informatici di edifici sono molteplici e possono spaziare in diverse direzioni, tra cui ad esempio la maturità professionale che consente poi l’accesso alle scuole universitarie professionali.

Possibile dare qualche numero sulle aziende interessate ?

Questa formazione è davvero recente e pertanto non sono ancora molte le aziende che hanno attivato questo segmento in tempi rapidi in modo da poter seguire con la giusta attenzione i ragazzi e le ragazze che intraprendono questo percorso formativo. Fortunatamente in Ticino vi sono già alcune aziende che operano nel settore offrendo questo apprendistato e il trend a livello nazionale è in costante crescita. Siamo dunque fiduciosi che questo apprendistato e i relativi sbocchi professionali saranno viepiù attrattivi anche nel nostro Cantone. L’associazione di categoria di riferimento è EIT.ticino e per qualsiasi richiesta di informazione supplementare siamo sempre volentieri a disposizione.

La tecnologia è competenza

di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Da tempo stiamo seguendo la tematica della carenza di manodopera ormai lamentata in quasi tutti i settori economici. Più volte ci siamo soffermati sulle trasformazioni del mondo del lavoro e di come si possa tenerne conto in ambito formativo, ritenuto che la formazione non può essere la sola risposta alle difficoltà di reclutamento di manodopera qualificata, ma può senz’altro contribuire a mitigare in parte il problema. I tempi della scuola sono ovviamente più lunghi di quelli dell’economia, in costante e sempre più rapida evoluzione. Ma se la politica, le Autorità, la scuola e le aziende riescono a trovare un minimo comune denominatore per compattarsi su talune scelte e orientamenti, i risultati possono essere interessanti.

La trasformazione digitale come simbolo

È molto difficile affrontare il tema dei nuovi corsi formativi e delle nuove professioni limitandosi a qualche singolo esempio, senza citarne tanti, visto che tutti i settori, con sfumature diverse, si impegnano nella formazione e ne fanno un elemento strategico.
È utile fare riferimento alla trasformazione digitale, che ogni giorno abbiamo imparato a conoscere meglio, ci accompagna e, certamente, ci accompagnerà assumendo il ruolo di simbolo degli sviluppi nella realtà del mondo del lavoro ed è abbastanza trasversale a un grande numero di settori economici.
Non a caso in una delle precedenti edizioni di questa pubblicazione avevamo ad esempio fatto riferimento a nuove figure professionali che emergeranno parallelamente allo sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Riferirsi pertanto al mondo dell’ICT, cioè delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, può essere considerato un esempio di ampio respiro e sufficientemente rappresentativo di alcune nuove competenze che sono richieste dall’economia. Nella tabella pubblicata si possono vedere le professioni legate all’ICT, alcune note e forse considerate scontate, come quella dell’informatico, mentre altre ancora «inedite».
Nel presente testo ne vedremo due, una che segue il solco dell’evoluzione digitale nell’ambito delle professioni legate al settore dell’elettricità, come spiega il vicedirettore della Cc-Ti Michele Merazzi. L’altra è invece una figura totalmente nuova, sempre legata all’evoluzione digitale, ma con un mix di competenze quasi inedito per i percorsi formativi classici.

Competenze trasversali e approccio «bottom-up»

In un numero crescente di settori cresce la domanda di figure che abbiano competenze interdisciplinari o trasversali. Gli specialisti restano ovviamente un pilastro fondamentale di ogni attività, ma, prendendo il caso del settore dell’ICT, l’informatico «classico» copre solo una parte delle esigenze aziendali. Come emerso da un lavoro di analisi svolto durante parecchi mesi dall’associazione svizzera ICT formazione professionale (l’antenna ticinese ICT formazione professionale della Svizzera italiana è legata alla Cc-Ti), aziende e rappresentanti del mondo scolastico hanno fatto emergere con chiarezza che occorrono collaboratrici e collaboratori con appunto competenze trasversali. In sostanza, le conoscenze tecniche vanno accompagnate da una buona preparazione di gestione aziendale.
Nello specifico, non si tratta di sostituire l’informatico, anzi. Bensì di affiancarlo e completarlo con una figura professionale per certi versi affine, ma diversa. Di qui l’idea di dare vita a un programma per formare sviluppatrici/sviluppatori business digitale con un Attestato federale di capacità, valorizzando in particolare la formazione duale, particolarmente importante anche nel settore dell’ICT. È impor-tante sottolineare che questa nuova proposta formativa, inserita dalla Confederazione fra le 44 professioni nuove o da aggiornare, è frutto di un approccio «bottom-up». Sono sostanzialmente stati ripresi i suggerimenti degli operatori economici privati e pubblici, evitando quindi scientemente l’inutile impostazione velleitaria di studiare astratte varianti teoriche a tavolino, che si sono già più volte rivelate non utilizzabili nella pratica.

Tecnologia e gestione aziendale

Come detto, la novità sta appunto nel fatto di aver individuato una formazione che combina la tecnologia e la gestione aziendale, il lavoro su progetti trasversali e a stretto contatto con gli specialisti. Per intendersi, una figura che non sostituisce l’informatico, ma ne capisce il linguaggio, lo interpreta e lo applica ad esempio ai processi aziendali e all’analisi dei dati, interfacciandosi con i clienti. Meno conoscenze tecniche specialistiche, ma forti doti di logica e astrazione per analizzare i problemi e i dati, cercare idee, sviluppare soluzioni e pianificarne l’attuazione.
Con una buona dose di creatività e capacità di lavorare in team e coordinare gli specialisti. Passando per il marketing e la comunicazione e il contatto con la clientela. Un obiettivo ambizioso ma assolutamente legittimo cercare di dare spazio a collaboratrici e collaboratori di questo tipo, sempre più essenziali nella vita quotidiana di moltissime aziende.

Opportunità anche in Ticino

A livello ticinese, grazie alla collaborazione fra Cc-Ti, ICT formazione professionale della Svizzera italiana, Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (in particolare la Divisione della formazione professionale), Centro professionale commerciale di Locarno e Scuola universitaria federale per la formazione professionale, vi è stato un primo incontro con aziende pubbliche e private per verificare il potenziale interesse delle imprese verso questo genere di formazione. Allo scopo di verificare anche la possibilità concreta di creare posti di apprendistato, visto che la formazione in questione prevede un primo anno di scuola a tempo pieno e poi i canonici tre anni di apprendistato con scuola e formazione in azienda.
L’interesse che ne è emerso è forte, proprio perché allo stato attuale delle cose determinate competenze trasversali si acquisiscono «solo» sul campo, dopo anni di lavoro. Poter contare su una formazione di base che già trasmette questo approccio più ampio e trasversale di competenze tecniche e gestione aziendale è considerato un vantaggio notevole. I campi di applicazione di una simile formazione hanno del resto uno spettro abbastanza ampio, perché possono essere utili per tutte le aziende, visto il contributo che possono dare alla costante ricerca di innovazione, ottimizzazione dei processi e implementazione di soluzioni digitali. Si pensa in primis ovviamente ad aziende a forte impronta tecnologica, ma in realtà si possono ipotizzare aziende di consulenza e di e-commerce e retail, passando per il settore bancario e finanziario, per arrivare a quello sanitario. Ma, parlando di processi aziendali, gestione dei dati ecc., le applicazioni possono essere molto interessanti non solo nel settore dei servizi ma anche in quello secondario. Un esempio potrebbe essere la necessità di sviluppare un software per la gestione di un magazzino. Lo sviluppatore business digitale analizza i requisiti, discute con gli specialisti e decide come procedere, acquisendo ad esempio un prodotto e adattandolo alle esigenze, mettendolo in produzione, analizzando i dati e formando gli utenti. Interfacciandosi con i dipartimenti specialistici della produzione, della gestione della qualità, dell’informatica, delle finanze, del controlling ecc.

Percorso e informazioni

Riteniamo si tratti di un esempio illuminante di come si potrebbero creare nuove competenze anche in Ticino, rafforzando il tessuto economico e dando nuovi sbocchi professionali a molti giovani. L’obiettivo è di iniziare la formazione nel prossimo mese di settembre 2023. Come detto si tratta di 4 anni di formazione, il 1. anno è scuola a tempo pieno, vi sono 35 giornate di corsi interaziendali, dal 2. anno la formazione in azienda è alternata alla scuola a tali corsi interaziendali.
Maggiori informazioni possono essere ottenute presso la Sezione della formazione industriale, agraria, artigianale e artistica del cantone, allo 091 815 31 30 o all’indirizzo di posta elettronica decs-sefia@ti.ch, oppure contattando la Cc-Ti.