La modifica del contratto di lavoro

Determiniamo come affrontare e concretizzare i cambiamenti nei contratti lavorativi, nell’interesse di entrambe le parti in gioco: datore di lavoro e dipendente. Un vademecum in proposito.

Art. 319 CO

  1. In contratto individuale di lavoro è quello con il quale il lavoratore si obbliga a lavorare al servizio del datore di lavoro per un tempo determinato o indeterminato e il datore di lavoro a pagare un salario stabilito a tempo o a cottimo.
  2. E’ considerato contratto individuale di lavoro anche il contratto con il quale un lavoratore si obbliga a lavorare regolarmente al servizio del datore di lavoro per ore, mezze giornate o giornate (lavoro a tempo parziale).

I contratti individuali di lavoro sono generalmente concisi e chiari. Le disposizioni generali applicabili a tutti e che non devono essere necessariamente scritte, sono spesso contenute in un regolamento separato. Nel contratto di lavoro dovrebbe essere inclusa la conferma che il lavoratore ha ricevuto il regolamento in questione, che ha compreso il suo contenuto e che lo approva.

Salvo casi particolari e solo quando a vantaggio del dipendente in primis, il contratto di lavoro può essere modificato senza osservare una forma particolare e può, in determinate circostanze, anche derivare dal comportamento di una parte (modifica tacita). In questo caso occorre però valutare con attenzione quanto possa essere effettivamente ritenuto accettabile secondo le regole della buona fede, del diritto e dell’equità, poiché comunque non sono accettabili modifiche unilaterali ed è sempre necessario un accordo fra le parti (scritto, orale o concludente che sia).

E’ molto importante rilevare che, in ogni caso, devono sempre essere osservate le disposizioni imperative del CO (vedi art. 361 segg.) e le regole concernenti la disdetta di un contratto.

Una modifica immediata è accettata solo se è favorevole al dipendente. Se le parti non trovano un accordo sulla modifica proposta, il datore di lavoro deve sciogliere il contratto rispettando i termini di disdetta.

Una modifica delle condizioni di lavoro sfavorevole al lavoratore, ad esempio una riduzione del salario, può infatti diventare effettiva solo alla scadenza del termine di disdetta contrattuale o legale, poiché di fatto viene trattato come un nuovo contratto.

La disdetta con riserva di modifica

Un contratto di lavoro non è immutabile e deve essere adattabile alle diverse esigenze e necessità dell’economia o dell’impresa.

Per apportare modifiche all’accordo iniziale è necessario essere attenti e prudenti nella determinazione di ogni cambiamento che intendiamo introdurre nel rapporto di lavoro con il nostro collaboratore e farlo nel modo più corretto per entrambi.

Chiariamo subito che un contratto di lavoro non può essere modificato negativamente, unilateralmente, dal datore di lavoro.

Il datore di lavoro deve quindi ricorrere a “la disdetta con riserva di modifica” quando intende modificare unilateralmente un elemento essenziale del contratto di lavoro.

Consideriamo due scenari:

  • Il primo di questi consiste in un semplice accordo congiunto di modifica del contratto (con il consenso del collaboratore).

Ogni modifica contrattuale che peggiora le condizioni di lavoro del collaboratore (ad es. il salario) necessita sempre del consenso del medesimo. In tempi di crisi, non è escluso che il personale sia disposto, pur di mantenere il posto di lavoro, ad accettare dei sacrifici.

  • La seconda alternativa, qualora non fosse possibile raggiungere un accordo, consiste nella notifica di una disdetta con riserva di modifica.

Tramite una disdetta con riserva di modifica, il datore di lavoro che intende modificare le condizioni di un contratto di lavoro di durata indeterminata, presenterà al dipendente le nuove condizioni menzionando che, in assenza di accettazione il contratto terminerà allo scadere del termine di disdetta contrattuale o legale.

Una simile disdetta volge comunque a mantenere il rapporto di lavoro, ma ad altre condizioni.

La legge è silente in merito ai requisiti del contratto di lavoro che, per essere modificato, necessita della disdetta con riserva di modifica.

La dottrina ritiene che i punti chiave da considerare, senza dubbio, siano quelli “essenziali” del contratto di lavoro, ovvero: il tipo di attività, il principio della remunerazione, la durata determinata o indeterminata del contratto e, in linea di principio, il luogo di lavoro (a meno che il cambiamento del luogo di lavoro non comporti particolari inconvenienti per il collaboratore). La modifica di questi elementi del contratto deve quindi essere oggetto di una manifestazione di volontà reciproca e concordante e non possono in linea di massima essere modificati in modo unilaterale, se le modifiche svantaggiano il dipendente.

Per essere valida, la disdetta con riserva di modifica del contratto di lavoro deve quindi rispettare determinate condizioni. La giurisprudenza ritiene che, in linea di principio, una disdetta con riserva di modifica a sfavore del dipendente è possibile e non abusiva, se risponde a reali e comprovate nuove necessità economiche dell’azienda.

In altri termini, la disdetta pronunciata in assenza di una vera necessità potrebbe rivelarsi abusiva e comportare una sanzione sotto forma di versamento di un’indennità al dipendente.

Tipologie di disdetta con riserva di modifica

Occorre distinguere fra la disdetta con riserva di modifica “in senso stretto” e quella “in senso lato”.

In senso stretto:

  • Viene notificata contemporaneamente alla proposta di nuove condizioni di lavoro. Si consiglia, per evitare controversie, di procedere con atti scritti, menzionando quali condizioni sono modificate, le conseguenze di una mancata accettazione, il termine e le modalità di comunicazione dell’accettazione o del rifiuto, nonché il momento in cui il contratto terminerà in caso di mancata accettazione. Sarà anche opportuno precisare che in caso di accettazione le nuove condizioni verranno applicate alla scadenza del termine di disdetta.

In senso lato:

  • Si attua invece notificando al dipendente la disdetta solo dopo che questi ha rifiutato una determinata modifica di elementi essenziali del contratto di lavoro. La disdetta con riserva di modifica in senso lato è insidiosa perché, in caso di contestazione, corre maggiori rischi di risultare abusiva. Infatti, a seconda delle circostanze, la disdetta potrà apparire come una rappresaglia del datore di lavoro per la mancata accettazione della modifica da parte del dipendente. Sarà segnatamente il caso quando la disdetta non appoggia su un motivo oggettivamente fondato e le modalità della disdetta abbiano violato il principio della buona fede.
  • Occorre essere attenti nel proprio agire:

Il datore di lavoro che, informando il dipendente che una determinata modifica dettata da concrete necessità economiche entrerà in vigore alla fine del termine di disdetta (legale o contrattuale), e invita quest’ultimo a negoziare le nuove condizioni del contratto senza diffidare o imporre al dipendente di accettare immediatamente la modifica, agisce correttamente dal profilo della buona fede. In tal caso, la disdetta notificata dopo il rifiuto del dipendente di accettare le nuove condizioni, non sarà considerata abusiva.

È opportuno rammentare che le modifiche a sfavore del dipendente potranno entrare in vigore solo allo scadere del periodo di disdetta legale contrattuale. In altri termini, durante il periodo di disdetta le vigenti condizioni contrattuali dovranno continuare ad essere applicate.

La disdetta con riserva di modifica “collettiva”

Anche se più insidiosa, la disdetta con riserva di modifica “in senso lato” può risultare vantaggiosa nel caso in cui si dovessero modificare molti contratti.

Di seguito, illustreremo il motivo.

Qualora il datore di lavoro fosse costretto dalle circostanze a modificare l’insieme dei contratti dei dipendenti o di una parte consistente dei medesimi, dovrà tenere in considerazione le disposizioni del Codice delle obbligazioni relative al licenziamento collettivo (articoli 335d-335g).

Se il datore di lavoro procede a delle disdette con riserva di modifica “in senso stretto” nei confronti di un numero di dipendenti uguale o superiore ai valori menzionati all’art. 335d (ad esempio, almeno dieci nelle imprese che occupano più di venti dipendenti e meno di cento), egli dovrà rispettare la procedura di licenziamento collettivo anche se la maggioranza dei lavoratori dovesse accettare le modifiche e non essere pertanto licenziata.

Al contrario, l’azienda che attua una disdetta con riserva di modifica “in senso lato” proponendo dapprima la modifica dei contratti e licenziando unicamente i collaboratori che l’avranno rifiutata, sottostarà alle disposizioni sul licenziamento collettivo solamente nella misura in cui il numero di lavoratori effettivamente licenziati supererà i valori di cui all’art. 335d.

Queste, in sintesi, le principali possibilità di intervento dell’azienda, per affrontare i periodi di incertezza senza perdere validi collaboratori, premesso che siano utilizzate conformemente ai principi enunciati.

Da ricordare

Il contenuto di una modifica deve essere chiaro e non ambiguo. In particolare, deve menzionare espressamente le modifiche contrattuali desiderate. Pertanto, le nuove condizioni di lavoro devono essere indicate con precisione.
La modifica del contratto deve fissare la data effettiva di entrata in vigore delle modifiche. L’attuazione non può aver luogo prima della scadenza del periodo di preavviso applicabile. In caso contrario, il cambiamento sarà considerato come abusivo ai sensi dell’articolo 336 comma 1 lettera del Codice delle obbligazioni (CO).
Anche le conseguenze del rifiuto del cambiamento devono essere espressamente incluse nella disdetta con riserva di modifica. In caso di rifiuto delle modifiche contrattuali, i rapporti di lavoro terminano alla scadenza del periodo di preavviso senza ulteriore notifica.

Deve essere espressamente dichiarato che, senza l’accettazione scritta del dipendente, il rapporto di lavoro terminerà alla fine del periodo di preavviso.
Attenzione! Il silenzio del collaboratore non vale quale accordo tacito.

La disdetta con riserva di modifica non può essere utilizzata per ottenere un vantaggio immediato, per deviare la legge o un contratto collettivo, senza ritenersi abusiva. Ad esempio non è corretto per un datore di lavoro aumentare la durata del lavoro di un collaboratore senza aumentare il suo stipendio e licenziarlo due giorni dopo perché ha rifiutato. Il datore di lavoro pretendeva un beneficio unilaterale immediato, senza rispettare il periodo di preavviso.
I periodi di protezione contro i licenziamenti intempestivi sono previsti dal Codice delle obbligazioni per proteggere i lavoratori in caso di assenza per servizio militare, infortuni, malattia o incidente. Qualsiasi annullamento che si verifica durante questo periodo è da ritenersi abusivo, anche nel caso di disdetta con riserva di modifica.

Opposizione del dipendente

In caso di opposizione, la prova che la disdetta sotto riserva di modifica non avviene per motivi economici o legati al mercato incombe al dipendente. Fornire questa prova è, naturalmente, piuttosto difficile. D’altra parte, in giudizio, sarà altrettanto difficile per il datore di lavoro far credere al giudice che ha effettivamente dovuto fare ricorso a una disdetta sotto riserva di modifica spinto da una logica di economia aziendale o da ragioni di mercato, se quasi contemporaneamente, ha creato nuovi posti a tempo pieno, occupandoli con nuova forza lavoro.

Tuttavia, anche se il collaboratore fosse in grado di fornire la prova che la disdetta è abusiva, il giudice non la annullerebbe.

Il dipendente può opporsi alla modifica contrattuale e il rapporto di lavoro avrà tuttavia fine alla scadenza del termine di disdetta, sebbene la corte ne riconosca l’abusività.

Sul datore di lavoro incombe poi la minaccia di dover pagare, come sanzione, fino a sei mesi di salario. La disdetta non sarà annullata.

Il dipendente può decidere di accettare la disdetta sotto riserva di modifica e, alla scadenza del termine di disdetta, di continuare a lavorare per l’attuale datore di lavoro con le nuove modalità.

Viceversa, se vuole, può opporsi alla modifica e ricorrere alla giustizia.

NB: Secondo il diritto delle assicurazioni sociali, va ritenuto che in caso di rifiuto della modifica contrattuale il dipendente dovrà attendersi giorni di sospensione dal diritto, causa disoccupazione per colpa propria.

 

 

Etica e innovazione dal Ticino al mondo

Con Giordano Facchinetti, CEO della New Celio Engineering SA di Ambrì, parliamo di etica ed innovazione, e di come un’azienda radicata nell’alta Valle lavori oggi in tutto il mondo.

Una visione aziendale forgiata sulla precisione e la cura al dettaglio, lavorando però, a livello internazionale, su mercati diversi. Come si fa fronte a questa duplice ‘anima’?

La precisione e la cura del dettaglio sono parte integrante della nostra cultura ed è ciò che cerchiamo di trasmettere ai clienti. Notiamo però che nell’industria in cui operiamo il livello tecnico diminuisce a scapito della qualità, mentre si è più colpiti da aspetti commerciali che a prima vista sembrano attrattivi ma che poi non reggono il confronto. Il fatto di essere un’azienda solida, rinomata e basata su sani principi etici, ci orienta piuttosto verso clienti con la nostra stessa attitudine: forniamo nel mondo intero prodotti di alto livello a clienti prestigiosi che si dichiarano molto soddisfatti delle soluzioni ottenute.

L’innovazione oggi è determinante (fatto confermato anche dallo studio Bak Economics). Anche New Celio Engineering sviluppa approcci customizzati per i clienti. Ce ne può parlare?

Per mantenerci competitivi sul mercato, abbiamo prima lavorato su di noi, poi innovato ed ingegnerizzato completamente la produzione, evitandone così lo spostamento in paesi esotici, producendo a prezzi competitivi la totalità dei nostri prodotti in Svizzera. Con dinamicità e competenza abbiamo investito nella progettazione le risorse risparmiate nella produzione, riuscendo ad offrire a clienti internazionali prodotti customizzati performanti e di alta qualità.

Una piazza sempre più digitale

Con Franco Citterio, Direttore Associazione Bancaria Ticinese, capiamo meglio le dinamiche delle riconversioni finanziarie e gli influssi delle trasformazioni tecnologiche in atto.

Il settore finanziario ha subito profonde trasformazioni nel corso degli ultimi anni. Oggi dove siamo?

La trasformazione del settore finanziario è un processo iniziato ormai da diversi anni. Il contesto internazionale è stato turbolento e non sono mancate le difficoltà: le banche si sono adeguate a nuovi paradigmi, abbandonando gradualmente il segreto bancario. La piazza finanziaria sta puntando su altre caratteristiche vincenti dello “Swiss banking”: stabilità politica, efficienza burocratica, certezza del diritto e una professionalità mai messa in discussione. Questo vale anche a livello ticinese dove Lugano, nonostante la fase di consolidamento, rimane la terza piazza finanziaria svizzera dopo Zurigo e Ginevra. Il settore finanziario ticinese sta investendo molto anche sull’innovazione, attraendo talenti e competenze.

Fintech, blockchain, digitalizzazione. In che modo le trasformazioni tecnologiche accelerano i processi?

Il mondo finanziario è già molto attivo per quanto riguarda la digitalizzazione e, con la dovuta prudenza, si è dimostrato interessato alle opportunità offerte dal Fintech. Lo scorso settembre per esempio l’Associazione svizzera dei banchieri (ASB) ha elaborato una guida specifica destinata alle banche interessate ad aprire conti per società legate alla tecnologia blockchain. Una tecnologia in grado di velocizzare numerosi processi mantenendo elevata la sicurezza. Sfruttare la potenzialità delle nuove tecnologie rappresenta una delle sfide maggiori per il settore finanziario.

La fine della cybersecurity

La fine della cybersecurity non è la previsione di un esperto di sicurezza bollito, bensì il titolo in prima pagina di una delle più prestigiose riviste del mondo, la Harward Business Review.

Un titolo inaspettato che nei primi istanti ha fatto tremare le mura delle stanze dei bottoni, laddove si annida il potere di chi controlla e guida le strategie globali di cybersecurity.

Pochi secondi di panico che hanno presto lasciato il posto a qualcosa di più interessante e utile per imbastire un nuovo e stimolante ragionamento, rivolto proprio alla gestione della sicurezza cibernetica. Un’occasione da cogliere per fare il punto della situazione di un fenomeno destinato a dilagare senza precedenti. Altro che fine della cybersecurity, tutt’altro. Si conclude il periodo che ha considerato la cybersecurity come un costo, e si apre una nuova fase ricca di opportunità che la percepisce come un investimento.

Aumenta la complessità dell’impianto tecnologico, aumentano gli oggetti interconnessi tra loro, migliorano i software per la protezione dei dati, ma, purtroppo, aumenta l’impreparazione del personale incaricato di gestire l’intera infrastruttura. Ancora una volta il fattore umano torna prepotente al centro della scena, anche se riposizionato, dimostrando quanto l’intera filiera della sicurezza possa essere contaminata e compromessa in qualsiasi momento a causa di una gestione superficiale del personale aziendale.

A sostenere questa tesi è lo slogan lapidario di Kevin Mitnick, l’hacker più famoso del mondo: “You could spend a fortune purchasing technology and services, and your network infrastructure could still remain vulnerable to old-fashioned manipulation”.

Lui di fattore umano se ne intende eccome. I prodotti e i servizi per la messa in sicurezza dei dati saranno sempre necessari, ma occorre investire e migliorare la formazione continua del personale.

Una formazione che deve cambiare il suo paradigma, offrendo agli utenti un nuovo approccio alla “cyber education”, fondata sulle collaborazioni con i centri di ricerca, sempre più di carattere interdisciplinare. Insomma, dalla segretaria all’amministratore delegato, concetti come “Incident Response Plan” o “Detection & Response” devono essere integrati a pieno titolo nella cultura aziendale.

Ogni forma di lacuna, in termini di scarsa preparazione e mancata consapevolezza, può trasformarsi in una potenziale vulnerabilità. Cosa fare quindi per evitare che ciò accada, soprattutto in presenza di nuove minacce cyber capaci di sfruttare una profilazione utente senza precedenti? Semplice, collaborare e condividere senza se e senza ma.

Per esempio, chiedendo agli addetti ai lavori di condividere in una piattaforma comune i registri digitali (log files) in cui sono registrati i tentativi di attacco che l’azienda ha subito.

In altro modo, gli attaccanti saranno sempre un passo avanti rispetto ai difensori. E i primi, contrariamente ai secondi, non devono mettersi d’accordo, non devono collaborare e soprattutto non devono sottostare ad alcun regolamento, ma possono sfruttare le risorse gratuite della rete per la raccolta a strascico dei big dati da dare in pasto agli algoritmi per l’apprendimento automatico di intelligenza artificiale. A loro basta un semplice messaggio di phishing per raccogliere senza sforzo numerosi e continui feedback, usati per migliorare giorno dopo giorno la qualità dell’inganno emotivo inserito nel messaggio di posta elettronica.

Di fronte a un incremento della criminalità informatica organizzata e resiliente, che può contare su risorse gratuite in cui trovare script, applicazioni e reti neurali, soltanto un cambio di mentalità potrà ridurre la distanza tra chi ha il piacere di attaccare e chi, invece, ha l’obbligo e il dovere di difendere.

In altro modo, non dovremo stupirci se un giorno, non troppo lontano, grazie alla fragilità emotiva di un collaboratore distratto, le città potrebbero cessare di erogare energia elettrica, sempre più necessaria per tenere in vita la neo costituente società digitale.

Testo a cura di Lorenza Bernasconi, CFO Gruppo Sicurezza SA, Savosa

Efficienza nei processi aziendali. Ancora carta?

In Svizzera vengono (ancora) prodotte 800 milioni di fatture cartacee all’anno. Nell’era della trasformazione digitale, la contraddizione è più che mai evidente. Colpa di processi aziendali acquisiti e spesso difficili da ridisegnare. Ma ci conviene ancora rimandare il cambiamento?

Nel pieno della trasformazione digitale, molte organizzazioni vivono ancora anacronistiche contraddizioni in grado di annullare qualsiasi sforzo futuristico. Partiamo dai processi aziendali: mentre le start-up partono dall’indubbio vantaggio di poterli (e spesso doverli) disegnare da zero, le organizzazioni consolidate talvolta sembrano legate a schemi, attitudini e abitudini che rischiano di rallentare, se non bloccare, il difficile guado verso l’efficienza. A titolo di esempio, basti pensare che in Svizzera vengono ancora prodotte 800 milioni di fatture cartacee all’anno. Nate da un gestionale, riprodotte su carta e reintrodotte in un altro gestionale a costi esorbitanti. La semplice migrazione verso soluzioni di e-invoicing permetterebbe un risparmio fino a poco più di 20 CHF per fattura, per un potenziale di risparmio totale che supera i 16 Miliardi di Franchi. Ma gli effetti di un processo digitalizzato, potrebbero portare il risparmio a cifre decisamente superiori; la fattura elettronica sarebbe infatti il primo passo verso la semplificazione dei processi approvativi, velocizzando i tempi di pagamento e limitando drasticamente attività poco produttive, come la riconciliazione dei pagamenti con fatture e relativi ordini d’acquisto, fino all’archiviazione.

L’efficienza dei processi spesso trova un ostacolo nella validità legale di alcune tipologie di documenti. L’idea che una firma autografa sia un passaggio obbligato nel conferire piena legalità ad un documento, sembra scoraggiare qualsiasi tentativo di ottimizzazione. È vero solo in parte; se il Canton Ticino spende ancora più di 8 Milioni di Franchi in francobolli, lo si deve all’attuale assetto legislativo, che impone l’uso della posta raccomandata per talune comunicazioni. Nondimeno, già oggi è possibile firmare digitalmente documenti con carattere legale probatorio. Grazie alla Legge Federale sui servizi di certificazione nel campo della firma elettronica e di altre applicazioni di certificati digitali e l’Ordinanza sulla tenuta e la conservazione dei libri di commercio consentono la gestione legalmente valida (firme incluse) dei documenti elettronici. Anche in mobilità.

Se è così semplice digitalizzare documenti, anche preservando il loro valore legale, come si spiega allora l’apparente pervicacia con cui molte organizzazioni rimangono attaccate al supporto cartaceo? Nella maggior parte dei casi, la sfida maggiore e di conseguenza l’ostacolo apparentemente invalicabile, è rappresentato dalla necessità di ridisegnare completamente i processi. Un passo che comporta necessariamente investimenti. Più grande e complessa è l’organizzazione, maggiore sarà l’ampiezza dell’impatto determinato dalla reingegnerizzazione dei processi, spesso resi complicati da aggiunte e personalizzazioni accumulate in anni di crescita del business. In alcuni casi, una possibile soluzione è offerta dagli standard di processo ed eventualmente dai servizi BPO (business process outsourcing) ma attenti alle integrazioni. I sistemi aziendali e del provider devono poter parlare la stessa lingua. Sembra una banalità, ma spesso è proprio qui che si nascondono nuove inefficienze.

Testo redatto da
Carlo Secchi, Sales Director Swisscom (Svizzera) SA Enterprise Customers, Bellinzona

Pagamenti senza contanti: tendenze e nuove tecnologie

Quando le tecnologie del futuro sbarcano nella quotidianità di tutti

Sia nel privato che in ambito professionale le innovazioni tecnologiche contribuiscono a rendere più efficiente la nostra vita: elettrodomestici intelligenti, come ad esempio i robot aspirapolvere, erano fino a qualche anno fa gadget stravaganti – mentre oggi semplificano la quotidianità in moltissime case. Lo stesso vale per i nuovi metodi di pagamento e le soluzioni senza contanti: fino a tempi recenti, poter pagare con lo smartphone o un wearable sarebbe sembrata pura fantascienza, nel frattempo acquistare «direttamente con un gesto del polso» o con il cellulare è una realtà diffusa.

Carte di pagamento e app per smartphone

Al giorno d’oggi le tecnologie si evolvono – parallelamente alle nostre abitudini – molto più rapidamente che in passato. Per quanto riguarda i pagamenti, ormai si tende a optare sempre di più per le soluzioni «senza contanti». Sia in ambito privato che per i pagamenti business: chi effettua spesso viaggi d’affari, ha già la mente occupata da tanti pensieri, e grazie ai mezzi di pagamento pratici e sicuri, può concentrarsi sull’essenziale evitando così la gestione estenuante di contanti in tutte le valute possibili.

Prosegue inoltre la tendenza, osservabile da qualche tempo, verso la «cashless society»: così ad esempio la Svezia ha deciso di abolire completamente il contante. Importi anche minimi vengono pagati con la carta – e sempre più frequentemente via smartphone. Anche gli svizzeri scelgono sempre più spesso lo smartphone quando sono alla cassa: se si considera che ormai la maggior parte delle persone ha il cellulare perennemente in mano, i pagamenti nei negozi, ma anche nelle app o nei siti web possono davvero essere fatti in pochi istanti.

Inoltre le transazioni via Apple Pay, Samsung Pay, Fitbit Pay, Garmin Pay, Swatch PAY! e altre app per pagamenti sono estremamente sicure: infatti nel processo di pagamento non vengono trasmessi né i dati della carta né quelli personali. Al loro posto viene generato un device account number – un cosiddetto token – che è attribuito alla carta di pagamento.

E cosa ha in serbo per noi il futuro? Ciò che può sembrare avveniristico è già realtà – come ad esempio le conferme di pagamento mediante dati biometrici, con impronte digitali, scansioni dell’iride o del viso. Altre invenzioni, come le automobili che pagano il parcheggio da sole o i frigoriferi che segnalano quando il latte è vicino alla scadenza e addirittura lo riordinano autonomamente, entreranno a far parte della quotidianità molto prima di quanto pensiamo. Lasciamoci sorprendere!

Testo redatto da
Beat Weidmann, Head of Distribution Channels & Sponsoring, Cornèrcard

Forte crescita nell’industria automotive messicana

Con la ratifica dell’accordo commerciale USMCA l’industria automotive messicana torna a livelli di stabilità. Forti investimenti esteri, una produzione dei veicoli in crescita (3.9 milioni nel 2018) e 800’000 collaboratori salariati qualificati e competitivi sono fattori che spiegano la presenza di 21 original equipment manufacturer (OEM) che producono in Messico.

Panoramica sull’industria automotive in Messico

21 OEM automotive tra cui Volkswagen/Audi, Mercedes-Benz, BMW, Ford, Toyota e Kia producono in 14 Stati messicani. Tra il 2000 e il 2017, è stato investito nell’industria automotive il 12% degli investimenti esteri diretti totali o 60 miliardi di dollari USA.

Grazie alla stretta integrazione nel mercato nordamericano, il Messico è uno dei principali produttori ed esportatori di veicoli (11% delle esportazioni messicane nel 2017) e di ricambi auto (6.7%). L’industria messicana ha prodotto 3,9 milioni di auto nel 2018 e ha registrato un incremento del 6% nelle esportazioni di automobili, affermandosi come il 4° principale esportatore. Nonostante i cambiamenti politici ed economici, il Messico si conferma il settimo produttore principale di veicoli leggeri a livello globale e il più grande in America Latina. L’industria e il governo prevedono una crescita continua che raggiungerà, entro il 2020, i quasi 5 milioni di veicoli prodotti ogni anno.

Nel Paese messicano, l’industria automotive offre oltre 800’000 posti di lavoro diretti. Si tratta del secondo ramo maggiore dopo la produzione alimentare che corrisponde al 2.9% del PIL mostrando una crescita significativamente più elevata (94% crescita del PIL vs. 2% in media).  ….continua a leggere

Articolo tratto da Switzerland Global Enterprise (S-GE) ©

Dal “gazosat” all’imprenditore

Nell’intervista a Daniele Cattaneo, Direttore Succ. E. Brughera SA, scopriamo come è evoluta la figura dell’imprenditore nel mondo del commercio.

Oltre 80 anni di storia aziendale, di generazione in generazione. Come è cambiato il modo di fare impresa?

È cambiato in modo sostanziale seguendo l’evoluzione dei tempi. In una battuta siamo passati dal “gazosat” all’imprenditore. Dalla piccola ditta di allora, che impiegava 5 dipendenti e vendeva aranciate e gazzose, siamo giunti all’azienda di oggi che dà lavoro a 60 impiegati e che commercia acque minerali, birre e alcolici. Negli anni abbiamo sviluppato un servizio sempre più moderno, avvalendoci della tecnologia necessaria, di una logistica sempre più performante, di un’organizzazione efficiente e di mezzi di trasporto all’avanguardia. Nell’ultimo ventennio è stata potenziata la distribuzione al dettaglio, soprattutto sul mercato ticinese con l’acquisizione di piccole e medie aziende del settore.

Si parla molto di sostenibilità. Al vostro interno come viene impostato questo aspetto?

Essere sostenibili in un’azienda incentrata sulla distribuzione è possibile unicamente se ci si impegna ad avere un parco veicoli moderno e rispettoso dell’ambiente come il nostro. Inoltre è importante avere uno sguardo attento all’organizzazione che deve essere il più razionale possibile per evitare viaggi inutili e a vuoto. Da circa un anno abbiamo anche piazzato sul tetto della nostra sede di Mezzovico un impianto fotovoltaico per la produzione di energia. Ma nonostante tutto, i nostri sforzi per essere sostenibili sono spesso “vanificati” da un traffico in costante aumento.

Crescere ed aggiornarsi costantemente

Grazie al ciclo formativo della Scuola Manageriale in partenza in settembre, i nuovi leader di domani potranno formarsi con la Cc-Ti ed ottenere un attestato federale.

Aggiornamento delle competenze, sviluppo personale, realizzazione di nuovi obiettivi. Sono alcuni degli scopi che ci si pone quando si inizia a frequentare un percorso di formazione professionale superiore. Se fino ad alcuni anni fa le conoscenze acquisite durante la formazione scolastica potevano essere sufficienti per la maggior parte della vita lavorativa, oggi non bastano più. Occorre incrementare la propria istruzione ed ampliare il bagaglio di competenze con una formazione continua e “on the job”, così da stare al passo con un’economia dinamica e sempre più al passo con le trasformazioni tecnologiche.

In questo senso, la Cc-Ti, facendosi interprete delle necessità delle aziende associate, propone con rinnovato entusiasmo un’edizione della Scuola Manageriale che prepara professionisti provenienti da settori diversi alla gestione di una PMI. Il corso “Specialista della gestione PMI” riparte in settembre con una nuova edizione, nella quale si approfondiranno i temi della gestione generale dell’impresa; di leadership, comunicazione, gestione del personale; organizzazione; contabilità; marketing, pubbliche relazioni, rapporti con i fornitori e la clientela e diritto in materia di gestione PMI. In questa video intervista con Roberto Klaus, Direttore SSIB Ticino, scopriamo le novità in corso. Buona visione!

Contattateci per tutte le informazioni del caso! Saremo lieti di potervi rispondere.

 

 

La vendita internazionale a livello giuridico

La compravendita commerciale internazionale è soggetta a regole uniformi: focus sulla Convenzione di Vienna.

Si è registrata nel corso del ‘900 la tendenza da parte della comunità interessati al fenomeno del commercio internazionale a cercare di realizzare forme di disciplina uniforme a livello internazionale, e specificamente nelle materie dei contratti di compravendita e di trasporto, o quantomeno rivolte a favorire lo sviluppo di prassi spontanee da parte degli operatori (per esempio in tema di tecniche di pagamenti o di ripartizione degli oneri economici connessi alla vendita) alle quali si è venuti via via riconoscendo, in misura variabile, la valenza di fonti giuridiche di regolamentazione. Oggi il quadro normativo è dunque  composto da fonti primarie come la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di cose mobili, e fonti consuetudinarie integrative come le norme uniformi in materia di crediti documentari e gli Incoterms, raccolti dalla Camera di commercio internazionale di Parigi.

La compravendita commerciale internazionale, dal canto suo, si pone come operazione evidentemente distante – da un punto di vista economico e sociologico – dalla vendita di beni di consumo o di beni durevoli con destinazione personale; data la sua dimensione internazionale e la sua funzione commerciale cui è rivolta, la vendita di merci ha ricevuto da tempo attenzione proprio in sede di elaborazione di discipline uniformi a livello internazionale. In particolare, è stata approvata la convenzione di Vienna dell’11 Aprile 1980, ancora oggi lo strumento internazionale di diritto privato con maggiori adesioni a livello internazionale, proprio per disciplinare i contratti di vendita tra soggetti con sedi di affari in Stati diversi.

La Convenzione  si occupa della forma del contratto, dei modi per il raggiungimento dell’accordo vincolante e delle obbligazioni delle parti del contratto, nonché dei rimedi in caso di inadempimento. Ma  aldilà  delle singole specifiche soluzioni normative rispetto a determinate criticità contrattuali, comunque, la Convenzione di Vienna resta un capitolo esemplare nel percorso della comunità internazionale alla ricerca di soluzioni condivise ed ispirate a principi generali tendenzialmente comuni agli Stati membri, oltre che per il tentativo di integrare le norme “ufficiali” approvate dagli Stati  con quelle provenienti “dal basso“, cioè dagli usi dei “merchants”.

 

Testo redatto da
Prof. avv. Fabio Toriello
Lugano

 

 

 

La tematica trattata in questo articolo verrà affrontata anche in un corso che si terrà il prossimo 7 maggio. Per maggiori informazioni ed iscrizioni al pomeriggio formativo  “La vendita internazionale dal punto di vista giuridico” clicca al seguente link.