La riforma del sistema dell’IVA nell’UE: Quick Fixes

Il presente articolo a firma di Bernardo Lamoni è il terzo aggiornamento inerente la riforma del sistema dell’IVA nell’UE. I contenuti di questo testo saranno integrati anche durante il corso di formazione “IVA: Cessioni intracomunitarie” in agenda il 19 novembre.

In data 4 dicembre 2018 il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato una serie di misure urgenti, integrate nella normativa IVA comunitaria, denominate “Quick Fixes” e che riguardano quattro specifiche tematiche. Le misure sono finalizzate a migliorare il funzionamento pratico di determinate aree storicamente problematiche e saranno applicabili a partire dal 1° gennaio 2020 a tutti i soggetti passivi registrati ai fini IVA in uno Stato Membro dell’Unione Europea, senza distinzioni in base all’ubicazione della sede dell’attività operativa all’interno o all’esterno del territorio comunitario (1).

Di seguito le caratteristiche principali ed alcune osservazioni relative alle quattro misure adottate:

1 – Obbligo dell’acquirente di disporre di un numero di identificazione per le cessioni intracomunitarie

L’acquirente di una cessione intracomunitaria dovrà registrarsi ai fini dell’IVA in uno Stato diverso da quello in cui ha inizio il trasporto dei beni. Nel caso di una cessione intracomunitaria tra due operatori, l’acquirente sarà identificato nello Stato UE di destinazione dei beni.

L’adempimento di quest’obbligo rappresenta un requisito sostanziale per consentire al fornitore di applicare, per la cessione intracomunitaria, l’esenzione ad IVA nello Stato UE di partenza della spedizione.

L’attuale regime IVA prevede per il fornitore, l’obbligo di trasmissione dei dati alle autorità fiscali dello Stato UE di arrivo dei beni, attraverso l’inoltro degli elenchi riepilogativi. Tuttavia ad oggi, il mancato inoltro degli stessi comporta solamente l’applicazione di sanzioni, senza causare il diniego dell’esenzione all’IVA nel caso di cessioni intracomunitarie debitamente comprovabili.

Le modifiche in oggetto prevedono che anche la corretta presentazione degli elenchi riepilogativi diventino un requisito sostanziale per il riconoscimento dell’esenzione all’IVA alle cessioni intracomunitarie (2).

2 – Creazione di disposizioni comuni inerenti alle prove documentali del trasferimento fisico delle merci nell’ambito delle cessioni intracomunitarie

Il fornitore di una cessione intracomunitaria per poter beneficiare dell’esenzione all’IVA nello Stato UE di partenza del bene ha da sempre l’onere della prova del trasferimento fisico della merce. A tutt’oggi le normative UE non prevedono disposizioni comuni circa i documenti utilizzabili, lasciando ai singoli Stati l’emanazione di normative locali.

A partire dal 1° gennaio 2020 saranno considerati elementi di prova:

a) i documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, quali ad esempio un documento o una lettera CMR riportante la firma, una polizza di carico, una fattura di trasporto aereo, oppure una fattura emessa dallo spedizioniere;

b) una polizza assicurativa relativa alla spedizione o al trasporto dei beni o i documenti bancari attestanti il pagamento per la spedizione o il trasporto dei beni; documenti ufficiali rilasciati da una pubblica autorità, ad esempio da un notaio, che confermino l’arrivo dei beni nello Stato membro di destinazione; una ricevuta rilasciata da un depositario nello Stato membro di destinazione che confermi il deposito dei beni in tale Stato UE

Nel caso in cui il trasporto sia organizzato dal venditore si presume avvenuto il trasferimento intracomunitario dei beni in presenza di almeno due elementi di prova non contradditori rilasciati da parti indipendenti dal venditore e dall’acquirente, di cui alla lettera a).

In via alternativa quando il venditore è in possesso di uno qualsiasi degli elementi probatori di cui alla lettera a), in combinazione con uno degli elementi probatori non contradditori di cui alla lettera b), che confermino il trasporto e che siano stati rilasciati da due diverse parti indipendenti l’una dall’altra e rispetto al venditore ed all’acquirente.

Inoltre, qualora il trasporto sia organizzato dall’acquirente occorrerà aggiungere come ulteriore elemento di prova, in aggiunta agli elementi prodotti secondo la combinazione summenzionata, una dichiarazione scritta rilasciata dall’acquirente che certifica che i beni sono stati trasportati da quest’ultimo in un determinato altro Stato UE.

Si tratta delle uniche disposizioni che non saranno integrate nella direttiva comunitaria sull’IVA 2006/112/CE ma che andranno a modificare il regolamento UE 282/2011. In quest’ambito è rimasta tuttavia invariata la disposizione contenuta nella direttiva che delega agli Stati UE la scelta della documentazione probatoria (3). Questo principio è stato citato anche dalla Corte di Giustizia Europea (4).

Occorreranno quindi ulteriori chiarimenti in merito alla possibilità di utilizzo degli attuali set documentali previsti in determinati Stati UE, come prove alternative, qualora la presunzione dell’avvenuto trasporto intracomunitario venisse rigettata da parte delle autorità fiscali, seguendo i nuovi criteri visti sopra (5).

Favorevoli in questo senso sono anche le note esplicative ai “Quick Fixes” (non vincolanti), che sono attualmente in fase di elaborazione da parte del Group of the Future of VAT, sottostante alla Direzione generale della fiscalità e dell’Unione doganale (TAXUD).

Infine il nuovo principio che esige che i documenti di trasporto intracomunitari debbano essere emessi da “parti indipendenti” andrebbe chiarito riguardo all’eventualità nella quale il trasporto dei beni sia effettuato con mezzi propri (esempio trasporto carburanti in autocisterne o in altri mezzi di trasporto) o con mezzi di trasporto di una società appartenente al medesimo gruppo.

3 – Disposizioni comuni in regime di “Call-off stock”

Le nuove disposizioni in regime di “Call-off stock” (conosciuto anche come “Consignment stock”), mirano ad evitare che un fornitore di uno stato UE, che detiene merci proprie in un altro Stato UE e le mette a disposizione di un suo cliente stabilito nel medesimo stato, debba anche identificarsi ad IVA nello Stato UE del cliente.

In una prima fase il trasferimento dei beni a destinazione del cliente, senza che vi sia passaggio di proprietà degli stessi, non ha rilevanza ai fini impositivi. Solamente al momento del prelevamento dei beni per le proprie necessità imprenditoriali da parte del cliente, si genererà una cessione intracomunitaria tra fornitore e cliente con relativo passaggio di proprietà. Evidentemente il trasferimento fisico intracomunitario dei beni ha già avuto luogo in precedenza.

Le attuali normative comunitarie sono per contro più articolate ed obbligano il fornitore a registrarsi nello Stato UE del cliente, poiché:

  • La spedizione della merce all’acquirente genera nello Stato UE del fornitore un trasferimento intracomunitario di beni “a sé stesso” in uscita, rilevante perciò ai fini IVA, da dichiarare con gli stessi criteri delle usuali cessioni intracomunitarie.
  • Il successivo l’arrivo della merce negli stabilimenti del cliente genera sempre per il fornitore un trasferimento di beni “a sé stesso” in entrata, pure rilevante ai fini IVA, da dichiarare con gli stessi criteri degli usuali acquisti intracomunitari nello Stato UE del cliente.
  • All’atto del successivo prelevamento dei beni da parte dell’acquirente si genererà la cessione rilevante ai fini dell’IVA che si qualificherà come cessione nazionale imponibile.

Va tuttavia precisato che alcuni Stati UE hanno già sviluppato misure di semplificazione personalizzate, attuabili solamente nel caso in cui lo Stato UE di controparte disponga di norme analoghe, allo scopo di evitare lacune di imposizione o doppie tassazioni.

A fronte di queste casistiche, si è quindi reso necessario formulare una solida base giuridica comune per permettere la sincronizzazione degli scambi commerciali di questo tipo e per evitare il rischio di eventuali ricorsi alla Corte di Giustizia Europea, la quale non avrebbe avuto alcuna normativa comunitaria di appoggio se chiamata ad esprimersi sulle misure semplificative unilateralmente adottate da taluni Stati UE.

Le nuove disposizioni potrebbero quindi essere interessanti anche per soggetti passivi non UE che già dispongono di un magazzino merci in uno Stato UE e che vorrebbero evitare di doversi registrare anche in un altro Stato UE dove dispongono di merci proprie presso un loro cliente secondo il regime in oggetto.

A livello pratico le nuove norme in regime di “Call-off stock” implicano alcune misure di gestione di tipo organizzativo ed informatico che vanno affrontate per tempo. Se la società effettua già cessioni intracomunitarie propriamente dette, dove cioè la fatturazione della cessione intracomunitaria è direttamente collegata alla documentazione di trasporto, essa dovrà prevedere nuove misure per i presenti casi di cessioni intracomunitarie “differite”. In questo caso infatti la documentazione di trasporto sarà collegata ai beni inizialmente trasferiti e dovrà in un secondo momento essere abbinata ai beni successivamente fatturati, in modo frazionato, al momento del prelevamento da parte del cliente. Il tutto dovrà essere predisposto anche in senso inverso in caso di reso.

4 – Disposizioni concernenti le operazioni a catena tra tre operatori, quando il trasporto è organizzato dall’operatore intermedio

Le operazioni a catena, rientranti nel campo di applicazione della proposta in oggetto, sono caratterizzate da cessioni successive della stessa merce che viene trasferita da uno Stato UE ad un altro Stato UE mediante un unico trasporto. Le operazioni a catena si differenziano dalle triangolazioni intracomunitarie (6) in quanto in quest’ultime l’operatore intermedio è identificato ad IVA in uno Stato UE terzo, che non deve quindi essere né lo Stato UE di partenza del trasporto delle merci, né lo Stato UE di destinazione delle stesse.

Nelle operazioni a catena tra tre operatori (A, B e C) l’assenza di disposizioni comunitarie aveva costretto varie volte i soggetti interessati a ricorrere alla Corte di Giustizia Europea (CGE) per conoscere il trattamento ad IVA delle due cessioni. Nelle sue sentenze la CGE aveva stabilito che in un’operazione a catena potevano realizzarsi due scenari:

  1. qualora la prima cessione fosse stata quella collegata al trasporto delle merci (cessione intracomunitaria da A a B, esente da IVA), la seconda andava qualificata come cessione nazionale nello Stato UE di destinazione delle merci (cessione imponibile da B a C).
  2. viceversa, qualora la seconda cessione fosse stata quella collegata al trasporto delle merci (cessione intracomunitaria da B a C, esente da IVA), la prima andava qualificata come cessione nazionale nello Stato UE di partenza delle merci (cessione imponibile da A a B).

Per quanto riguarda i criteri da considerare al fine di stabilire quando si sarebbe verificato il primo o il secondo scenario, la GCE stabiliva che la risposta dipendeva da una valutazione globale di tutte le circostanze del singolo caso che doveva essere effettuata dal giudice nazionale.

In particolare occorreva determinare “il momento in cui il potere di disporre del bene come proprietario era stato trasferito al destinatario finale. Infatti, nell’ipotesi in cui il secondo trasferimento del potere di disporre del bene come proprietario (cessione da B a C) avesse avuto luogo prima che fosse stato effettuato il trasporto intracomunitario, quest’ultimo non avrebbe più potuto essere imputato alla prima cessione in favore del primo acquirente.” In tal caso si sarebbe quindi realizzato il secondo scenario. Mentre nei rimanenti casi si sarebbe realizzato il primo scenario (7).

Questi criteri, di difficile realizzazione pratica, avevano generato parecchie insicurezze nelle amministrazioni fiscali dei vari Stati UE. Si è quindi reso necessario creare a livello di direttiva UE una nuova normativa più semplice e sicura.

I nuovi criteri, applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2020 e che determinano la cessione intracomunitaria quando il trasporto è organizzato dal fornitore intermedio B in un’operazione a catena tra tre operatori (A-B-C), dipendono esclusivamente dall’utilizzo della partita IVA da parte di B e si possono così riassumere:

  • se B è identificato ad IVA nello Stato UE di arrivo dei beni, la cessione tra A e B qualificherà come intracomunitaria e la successiva cessione tra B e C sarà imponibile nello Stato UE di destinazione dei beni,
  • mentre se B comunica ad A la propria partita IVA dello Stato UE di partenza, la cessione tra B e C qualificherà come intracomunitaria e l’anteposta cessione tra A e B sarà imponibile nello Stato UE nel quale ha avuto origine la spedizione.

Pur trattandosi di un passo importante e utile per i numerosi operatori attivi in campo intracomunitario, occorre tuttavia considerare che in alcune specifiche situazioni, ad esempio nel mercato delle materie prime, le cessioni a catena avvengono spesso tra numerosi operatori in un lasso di tempo assai ridotto. Questa nuova normativa dovrebbe quindi senz’altro essere ulteriormente approfondita ed affinata al fine di considerare le reali molteplici casistiche che posso presentarsi.

Per contro non si è ritenuto necessario estendere a livello di normativa comunitaria le ipotesi nelle quali il trasporto sia organizzato dal primo fornitore A o dall’ultimo acquirente C. In questi casi, la regola generalmente adottata dagli Stati UE è la seguente:

  • se il trasporto è organizzato da A: la cessione da A a B si qualificherà come intracomunitaria, mentre la successiva cessione da B a C sarà imponibile ad IVA nello Stato UE di destinazione;
  • mentre se il trasporto è organizzato da C: la cessione da A a B sarà imponibile nello Stato UE di partenza dei beni, la successiva cessione da B a C si qualificherà come intracomunitaria.

Queste semplici regole sono state considerate talmente ovvie da parte della Commissione Europea da ritenere superflua la loro integrazione nella nuova normativa in oggetto (8). Tuttavia proprio di recente la Corte di Giustizia ha avuto modo di esprimersi su un caso di cessione a catena nella quale il trasporto dei beni era organizzato dall’ultimo acquirente, ribadendo ancora una volta il proprio orientamento, come descritto precedentemente, alla luce di una “valutazione globale di tutte le circostanze del singolo caso” (9).  Un vero peccato che anche quest’ultime regole non siano state conglobate nelle presenti “Quick Fixes”.

Testo a cura di
Bernardo Lamoni,
MA Business and Economics Università di Zurigo
Fiduciario commercialista, Rappresentante IVA
Via Bosia 13, 6900 Paradiso
Email



Riferimenti: 

  1. Direttiva UE 2018/1910, Regolamenti di esecuzione UE 2018/1909 e 2018/1912 pubblicati nella Gazzetta ufficiale UE in data 7 dicembre 2018
  2. Art 138 Direttiva 2006/112/CE, modificato con decorrenza 1.1.2020
  3. Art 131 e Art 138, 1 della Direttiva 2006/112/CE
  4. Cfr. Sentenza CGE, causa C-26/16 del 14.06.2017 (Santogal)
  5. Cfr. nuovo Art 45 bis, cpv 2 Reg. n. 282/2011.
  6. Art 141 Direttiva 2006/112/CE
  7. Cfr ad esempio Sentenze CGE cause C-245/04 (EMAG) del 06.04.2006, oppure C-587/10 del 27.09.2012 (VSTR)
  8. Cfr. COM (2017) 569 final del 04.10.2017, versione italiana pag.12
  9. Sentenza CGE causa C-273/18 (Kursu Zeme) del 10.07.2019

La gestione dei conflitti sul posto di lavoro

Dalla protezione del dipendente alle misure disciplinari: un vademecum a riguardo.

Screzi tra dipendenti, un collega che ribatte a una frecciatina, un ambiente lavorativo non armonioso come si auspicherebbe. Il timore di essere ripresi dal proprio superiore, di andare a fondo e chiarire la situazione, possibili ritorsioni, o peggio, la perdita del lavoro. Per ogni società, il capitale umano è imprescindibile. Dunque è di primaria importanza il benessere dei propri collaboratori.
Nelle relazioni interpersonali la comunicazione è uno dei fattori primari che può però, se non correttamente adoperata, portare a fraintendimenti o incomprensioni; da lì all’insorgenza di un conflitto, il passo è breve.
Nei rapporti di lavoro i conflitti possono essere all’ordine del giorno. Come gestirli? Ogni rapporto dipendente-datore di lavoro è disciplinato con obblighi reciproci (prestazione del lavoro del collaboratore, pagamento del salario da parte del datore di lavoro), al quale si aggiungono la lealtà (art. 321 a CO) e il rispetto delle direttive ricevute dal datore di lavoro (articolo 321 d CO). Anche il datore di lavoro è tenuto a preservare la salute e l’integrità personale dei dipendenti, garantendo il rispetto della moralità in azienda (articolo 328 CO).

Violazione degli obblighi dei dipendenti

Di norma quelli che vengono definiti ‘conflitti classici’ si riferiscono a un insieme di violazioni degli obblighi dei dipendenti verso il datore di lavoro (mancata soddisfazione o scarso rendimento delle prestazioni lavorative).
Qualche esempio? I cosiddetti ‘casi tipici’ riguardano la violazione dell’obbligo di lealtà, come ad esempio: comportamenti illeciti o non rispettosi nei confronti del datore di lavoro o dei clienti, la svalutazione della reputazione aziendale, il turbamento dell’ambiente lavorativo, il lavoro per terzi durante l’orario di lavoro, la violazione del divieto di concorrenza, la violazione degli obblighi di riservatezza, e così via. Il datore di lavoro può imporre il rispetto di tali obblighi mediante una denuncia e una misura di vincolo. Nel caso di un rifiuto ingiustificato di prestazioni connesse al proprio lavoro, il datore di lavoro può rivalersi anche sullo stipendio, trattenendone una parte (articolo 324 CO: principio di “niente lavoro, niente stipendio”). Anche le richieste di risarcimento danni possono essere trattata nello stesso modo (articolo 323 b, al. 2 CO).

Intervenire con misure disciplinari: un rimprovero, un avvertimento, il licenziamento

In generale un datore di lavoro agisce conseguentemente alle violazioni contrattuali del dipendente con delle azioni disciplinari che, normalmente andrebbero gestite “a scala”: un rimprovero, un avvertimento (con o senza imposizione di un periodo di prova) fino a giungere alla cessazione del rapporto di lavoro.
Nel caso del rimprovero (quale misura disciplinare limitata), si sanzionano i comportamenti contrari al contratto lavorativo o alle direttive ricevute. Consigliamo sempre la forma scritta o ev. orale, con un colloquio e verbale dell’incontro controfirmato dal dipendente.
La minaccia di una sanzione è strettamente collegata e conseguente a un avvertimento precedente, nel caso in cui il comportamento o le prestazioni del collaboratore non siano migliorate. L’avvertimento e la minaccia di sanzione devono essere espressi in modo chiaro, affinché i dipendenti ne comprendano le conseguenze e, specialmente, le motivazioni. Si consiglia di consegnare l’avvertimento per iscritto, a fini probatori.
La sanzione vera e propria solitamente corrisponde al licenziamento immediato. La minaccia di un licenziamento regolare è anche possibile, ma in questo caso il datore di lavoro deve valutare il fattore “tempo” e ne sarà vincolato. Altre misure sanzionatorie possono essere prese in considerazione. Tra esse vi sono le “multe” (pena pecuniaria, riduzione della retribuzione, lavoro extra, trasferimento, proroga del periodo di prova e sospensione), ma richiedono una forma specifica scritta antecedentemente nel contratto di lavoro (a titolo preventivo) e accettata da parte del collaboratore.

Quando i conflitti riguardano i rapporti con il capo: problemi tra dipendenti e supervisori

Quando nascono conflitti sul posto di lavoro, essi non hanno una vera e propria distinzione gerarchica: possono riguardare situazioni fra colleghi o con i propri superiori. Si parla di ‘mobbing’ (termine avvallato anche dal Tribunale Federale – TF) quando si assiste a un comportamento duraturo, sistematico, ostile e per un lungo intervallo di tempo verso qualcuno che lo porterà a essere isolato nel suo stesso posto di lavoro.   In queste situazioni, il datore di lavoro è tenuto, per suo dovere di assistenza (articolo 328 CO), a proteggere i dipendenti da qualsiasi atto che leda la loro personalità/persona. Devono venire presi in considerazione colloqui e sforzi di riconciliazione verso l’interno o verso l’esterno dell’azienda, l’elaborazione di regole comportamentali, direttive per coloro che hanno commesso mobbing, lo spostamento all’interno dell’azienda e, in ultima istanza, l’annuncio di un licenziamento.

Licenziamento vs. situazione di conflitto

Nel caso in cui si debba ricorrere ad un licenziamento scaturito da una situazione conflittuale occorre prestare estrema attenzione. Il diritto del lavoro svizzero riconosce il principio della libertà di licenziamento secondo cui il datore di lavoro non necessita di invocare alcun motivo specifico per il licenziamento o di dimostrarlo. È solo su richiesta dei dipendenti che il datore di lavoro dovrà motivare per iscritto il licenziamento (art. 355 cpv. 2, art. 337 cpv. 1 CO). Un licenziamento con effetto immediato del dipendente viene preso in considerazione solo quale ultima ratio. A parte per casi estremi, come un reato sul luogo di lavoro, tale azione sarà raramente considerata giustificata. In caso di licenziamento abusivo con effetto immediato, il datore di lavoro rischia di dover risarcire l’importo del salario del dipendente durante il suo normale periodo di licenziamento con una penalità aggiuntiva fino a sei mesi di stipendio (art 337 c CO).

Gestione e perfomance dei conflitti

I contenuti di questa scheda vogliono portare a riflettere e sottolineano l’importanza di una gestione HR umana e puntuale, che deve essere efficacie. I datori di lavoro dovrebbero periodicamente esaminare le prestazioni e il comportamento dei propri dipendenti con colloqui periodici. In caso di impegno insufficiente, il datore di lavoro deve comprenderne eventuali motivazioni e, solo conseguentemente l’ascolto, deve informare il proprio dipendente delle misure disciplinari a disposizione in caso di mancato miglioramento.

In caso di rimproveri e avvertimenti si consiglia di organizzare un colloquio personale tra il superiore e il collaboratore, alla presenza di una seconda persona delle HR per motivi probatori.
Nella pratica, la seguente procedura si è dimostrata efficace:

  • dare l’opportunità al dipendente di spiegarsi in relazione ai fatti e trarne le oggettive considerazioni;
  • successivamente trovare insieme le soluzioni appropriate. Eventuali accordi vanno sottoscritti e monitorati;
  • durante un sucessivo colloquio di feedback, è necessario verificare se il dipendente ha fatto propri gli obiettivi prestazionali stabiliti insieme. Se necessario andranno essere prese ulteriori misure correttive/disciplinari.

In caso di controversie tra dipendenti e il loro diretti superiori, il datore di lavoro deve prendere tutte le misure appropriate al fine di disinnescare il conflitto. Se, dopo aver fatto tutto il possibile, non si sono trovate misure per dar soluzione al conflitto, è possibile prendere in considerazione la disdetta di uno o dell’altro collaboratore.

Fonte: WEKA, 09.2019 – articolo rielaborato dalla Cc-Ti

La Cc-Ti è volentieri a disposizione dei propri soci, attraverso il Servizio giuridico, per consigli in merito.

Protezione dati: RGPD in Svizzera

Quali le regole UE applicabili o da applicare al nostro territorio? Ecco un’informativa a tal proposito.

GDPR, come dice la sigla (General Data Protection Regulation), è un testo che volge a uniformare le leggi europee sul trattamento dati e il dovere di controllo delle informazioni che riguardano ogni persona.
Nell’aprile 2016 è arrivata l’adozione del testo da parte del Consiglio europeo e del Parlamento europeo, e il 4 maggio 2016, i testi del Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali e della Direttiva che regola il trattamento dei dati personali sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Il Regolamento entra, per prassi, in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta ed è entrato effettivamente in applicazione in tutti gli Stati membri, dal 25 maggio 2018 (deadline uguale per tutti i Paesi). Per questa data, infatti, ha dovuto essere garantito il perfetto allineamento delle varie normative nazionali con le disposizioni previste dal Regolamento.
In Svizzera, le attività di vigilanza e controllo in materia di protezione dei dati sono assicurate dell’Incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza (IFPDT) e dalle autorità cantonali di protezione dei dati (ACPD; per il Ticino l’Incaricato cantonale della protezione dei dati) nel quadro delle rispettive competenze. Nell’ambito degli Accordi di Schengen queste autorità concretano e coordinano diverse attività di controllo, d’informazione e di sensibilizzazione. Esse non sono unicamente competenti in materia di vigilanza sul SIS e dei servizi interessati, ma devono pure vigilare affinché alle persone interessate da un trattamento di dati personali in questo ambito sia garantito l’esercizio effettivo dei diritti individuali.
L’”Ambito di applicazione territoriale” sancito all’articolo 3, RGPD, è estremamente importante per la Svizzera e regola, secondo la legge europea sulla protezione dei dati, come e in che misura anche la Svizzera debba rispondere e attendere a regole ben precise nel quadro europeo.

Le aziende

GDPR concerne tutte le aziende che gestiscono qualsiasi tipo di dato personale, dalle informazioni sui propri dipendenti alla profilatura dei clienti per conto terzi.
È importante capire che anche i soggetti che non appartengono agli Stati membri dell’Unione Europea ma che hanno interessi sul territorio UE o che trattano dati di cittadini UE, devono garantire le medesime garanzie di tutela previste dal Regolamento.
Proprio per le aziende, l’articolo 5 del GDPR 2018 prevede una serie di principi validi per il trattamento dei dati, incluso quello della “responsabilizzazione” che attribuisce direttamente ai titolari del trattamento il compito di assicurare, ed essere in grado di comprovare, tutti i principi.

Le attività commerciali in Svizzera

Particolarmente interessati sono tutti i servizi e i negozi online svizzeri al servizio dell’UE. In effetti, non sono solo i prodotti a pagamento che rientrano nella definizione di offerta di beni o servizi, ma anche le offerte che non sono soggette a pagamento, come ad esempio le newsletter gratuite per le persone residenti nell’UE.
Poiché secondo GDPR gli indirizzi IP sono considerati dati personali, l’operato degli operatori di siti web svizzeri rientrano nel GDPR dell’UE fintanto che utilizzano il “webtracking” per l’analisi delle abitudini e del comportamento di navigazione degli utenti sul loro sito (compresi quindi i clienti residenti UE).
Raccomandiamo agli operatori di siti web e negozi online stabiliti in Svizzera di verificare se le loro attività rientrano nell’ambito di applicazione del GDPR al fine di poter, se necessario, conformarsi al complesso elenco di disposizioni che quest’ultimo regolamento prevede e, se necessario, avvalendosi della consulenza di legali specializzati in materia.
Il mancato rispetto delle normative prevede sanzioni severe: chi viola il GDPR può essere multato fino a 20 milioni di euro o con una multa equivalente al 4% del fatturato mondiale dell’azienda.
Difficile riassumere questo tema, qui di seguito elenchiamo alcune delle voci più utilizzate, spiegandone brevemente le regole di base per un utilizzo consapevole e corretto (parametri selezionati del RPDG dell’UE, in relazione al funzionamento di siti web, negozi online, attività di marketing online, ecc.).

I ‘cookies’

Essi sono utilizzati per memorizzare bit di informazioni specifiche riguardanti le interazioni tra il pc ed il sito web. Tali informazioni possono essere usate dal server web in seguito, per quando l’utente tornerà a fargli visita. Il browser è il programma che ha il controllo dei cookies e li gestisce sul computer.
È necessario valutare attentamente se gli interessi legittimi dell’operatore del sito web o del negozio online che utilizza i cookies siano prevalenti sugli interessi di protezione dei propri dati dell’utente stesso. La prelazione dell’operatore si verifica solo quando l’uso dei cookies viene utilizzato per raccogliere i soli dati necessari per raggiungere gli scopi previsti dal servizio dell’operatore (vedi ev. anche: la pseudonimizzazione è una tecnica che consiste nel conservare i dati in una forma che impedisce l’identificazione del soggetto senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive).
I cookies che facilitano l’uso di un sito web, l’accesso e la qualità del servizio di un negozio online o i cookies utilizzati per l’analisi del sito web sono, in linea di principio, legalmente ammissibili. Se la valutazione della prevalenza degli interessi in gioco fosse a favore dell’utente, i cookies in questione dovrebbero essere utilizzati solo previo consenso dell’interessato.

Moduli di contatto

Tutti i moduli di contatto su un sito web o per un negozio online devono essere protetti (ad esempio tramite il blocco SSL: il termine SSL -sigla per “Secure Socket Layers”- indica una tecnica che si usa per criptare e autentificare il traffico dati in rete, garantendola trasmissione sicura dei dati tra browser e server web su un sito. Soprattutto nell’e-commerce, dove vengono trasmessi dati protetti e sensibili, l’uso di un certificato SSL, o meglio della sua versione più recente TLS -“Transport Layer Security”- è imprescindibile.) . Lo stesso vale per i moduli utilizzati a fini di ordinazioni o registrazioni (ad esempio, per inserire l’indirizzo di fatturazione e consegna), per un possibile modulo di richiesta online, per abbonamenti a newsletter e per le altre forme che sono oggetto di una raccolta di dati personali.      
I dati personali che non sono essenziali non dovrebbero essere raccolti “inutilmente”. Ciò può quindi essere evitato definendo opportunamente i campi obbligatori richiesti nei moduli.

Ottenere il consenso

Quando si richiede il consenso dell’utente al trattamento dei dati personali (ad es. per l’invio di una newsletter), l’utente deve essere informato in modo trasparente e chiaro sulla modalità e la finalità della raccolta e dell’utilizzo dei dati richiesti.
L’utente dovrà poi accettare il trattamento previsto per i suoi dati personali e indicare chiaramente il proprio consenso al riguardo (ad esempio, facendo clic su una casella prevista a tale scopo. Un semplice “opt-out” non è sufficiente. Opt-out: nell’ambito dell’email marketing, è l’opzione di rinuncia con cui l’utente iscritto ad una mailing list chiede l’interruzione dell’invio di e-mail informative o promozionali.
Un tipico esempio di opt-out è l’impresa che invia un messaggio al consumatore per un primo contatto, offrendogli la possibilità di rifiutare l’invio di ulteriori messaggi; in mancanza di tale rifiuto, e in virtù di una sorta di consenso tacito, l’impresa può continuare ad inviare comunicazioni commerciali all’utente, fino a quando egli non dichiarerà esplicitamente di non essere interessato). L’operatore del sito web o del negozio online deve essere sempre in grado di attestare il consenso dell’utente. L’utente ha anche il diritto di opporsi e deve essere informato di questo suo diritto.

RGPD in Svizzera: dichiarazione sulla privacy

L’informativa sulla privacy deve essere scritta in un linguaggio comprensibile, chiaro, semplice e nella/e lingua/e in uso. L’informativa sulla privacy deve contenere anche le informazioni dettagliate di cui all’art. 13 RGPD (Articolo 13, EU RGPD, “Informazioni da fornire qualora i dati personali siano raccolti presso l’interessato”). L’operatore deve, nel contesto dell’informativa sulla privacy, trattare esplicitamente tutti i vari ambiti coinvolti, raccolta e trattamento dei dati personali in relazione ai moduli di contatto, alla registrazione / account cliente, cookie e plug-in dei social media, nonché argomenti relativi a newsletter, processi di verifica del credito, hosting di siti web, ecc..

Verifica della solvibilità

Come regola generale, è generalmente ammesso un controllo della solvibilità laddove quest’ultima sia necessaria per la conclusione di un contratto. Sempre preponderante la valutazione degli interessi coinvolti: gli interessi legittimi dell’operatore per verificare la solvibilità dell’utente devono essere prioritari sugli interessi della protezione dei dati dell’utente.       
Se si propone il metodo di pagamento “acquisto con fattura”, è ammissibile un controllo del credito e non è necessario aver ottenuto il consenso preliminare dell’utente per farlo. La verifica del credito deve tuttavia aver luogo solo dopo aver la selezione del metodo di pagamento e non prima.     
Se si scelgono i metodi di pagamento “pagamento anticipato”, “con carta di credito” (PayPal incluso) o qualsiasi altro metodo simile, il controllo del credito non è considerato necessario per la conclusione del contratto. Se, tuttavia, si desidera verificare la solvibilità dell’utente, è necessario ottenerne un esplicito  consenso. Un controllo del credito per la gestione attiva del metodo di pagamento scelto dall’utente senza il consenso dell’utente stesso è altrimenti illegale.

Plugin dei social media

Poiché l’utente non può validamente acconsentire all’uso dei plugin dei social media, è consigliabile rinunciare al loro uso o ricorrere a soluzioni alternative come l’uso di “Shariff” (Social-Media-Buttons rispettoso della legislazione sulla protezione dei dati).

Utilizzo di fornitori di servizi esterni

Se l’operatore di un sito web o di un negozio online collabora con fornitori di servizi esterni per il trattamento di dati personali, l’operatore e il fornitore di servizi esterni devono concludere un accordo per la protezione dei dati trattati.
È necessario rispettare i requisiti stabiliti nel GDPR in materia di “Accordo sul trattamento dei dati”. Tutti gli accordi esistenti con fornitori di servizi esterni devono essere sottoposti a screening per determinare se soddisfano i requisiti del GDPR in Svizzera. In caso contrario, gli accordi esistenti devono essere riformulati di conseguenza. Quando si trasferiscono dati personali a un fornitore di servizi di paesi terzi (Stati membri al di fuori dell’UE e del SEE), è necessario rispettare condizioni di ammissibilità stabilite dal GDPR in Svizzera.

Obbligo di nominare un responsabile della protezione dei dati

I gestori di siti web o negozi online devono assicurarsi di rispettare sia il GDPR, sia la legislazione nazionale del Paese dell’UE sull’obbligo di nominare un delegato alla protezione dati. Solo le persone con qualifiche professionali e conoscenze tecniche adatte a tale posizione possono essere designate come responsabili della protezione dei dati. La nomina di un responsabile esterno della protezione dei dati è tuttavia possibile.
Il responsabile della protezione dei dati è il primo punto di contatto per l’autorità di controllo. Il RGPD contiene anche un elenco di compiti assegnati al responsabile della protezione dei dati.

Questo articolo di controllo ha lo scopo di aiutare e indirizzare la gestione di un utilizzo del sito web in modo legalmente sicuro. Tuttavia, in alcuni casi potrebbe rendersi necessaria una consulenza tecnica e legale mirata. Dal momento che la legislazione e la giurisprudenza si evolvono a pari passo con questo ampio e complesso tema, consigliamo la massima prudenza.

Fonte: WEKA, RGPD en Suisse: Check-list, 5.9.2019

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Articolo di approfondimento

I nuovi Incoterms 2020

La clausola DPU e altre novità per le regole internazionali di resa

Lo scorso 12 settembre la Camera di commercio internazionale (ICC) ha pubblicato le nuove clausole di resa Incoterms che entreranno in vigore il 1° gennaio 2020. È dal 1936 che l’ICC propone regole standard che definiscono gli obblighi e i rischi degli acquirenti in una compravendita internazionale. La nuova versione conferma l’attuale suddivisione delle 11 clausole: quelle per tutti i modi di trasporto (EXW, FCA, CPT, CIP, DAP, DPU, DDP) e le regole applicabili solo per i trasporti marittimi o fluviali (FAS, FOB, CFR, CIF).

Il più grande cambiamento è sicuramente l’eliminazione del DAT (Delivered at Terminal), sostituito con il DPU (Delivered at Place Unloaded). DPU prevede la consegna della merce non più in un determinato punto, solitamente un terminal, ma in un qualsiasi luogo definito con la merce scaricata dal vettore. Con questa clausola il venditore si assume quindi il rischio non solo del trasporto, ma anche del suo scaricamento.

Anche la resa FCA ha avuto un’evoluzione. La versione 2020 prevede la possibilità per l’acquirente, in accordo con il venditore, di richiedere una polizza di carico che indichi che la merce è a bordo del vettore. Qualora vi sia una lettera di credito, il venditore potrà così avere il documento per poter emettere il credito documentario. Va rilevato che questo meccanismo è facoltativo e potrebbe far sorgere più problemi di quanti ne possa risolvere.

Vi sono cambiamenti anche per i termini assicurativi, CIF e CIP. Per la clausola marittima CIF è stato deciso lo statu quo mantenendo quindi un grado di copertura minima, la “C” secondo l’Istitute Cargo Clauses (fermo restando che le parti possono convenire un’assicurazione più completa). Nel caso della resa CIP invece, il venditore è tenuto a presentare una copertura assicurativa conforme alla clausola A, detto altrimenti una “all risk”, anche se venditore e acquirente possono accordarsi per un livello inferiore.

Infine, la versione 2020 inserisce per le clausole FCA, DAP, DPU E DDP la possibilità di utilizzare i propri mezzi di trasporto per lo spostamento delle merci, senza quindi dover far capo a un vettore terzo.

Articolo a cura di

Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e
Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti

Desideri saperne di più? Partecipa al corso “Incoterms 2020” oppure all’aggiornamento mirato “Incoterms 2020: cosa cambia

Atto parlamentare che mira a ridurre la burocrazia per le aziende

Presentata un’interpellanza interpartitica denominata “Eliminazione dei doppioni nella raccolta dati presso le imprese: occorre agire anche in Ticino”.

È stata inoltrata il 2 ottobre l’interpellanza denominata “Eliminazione dei doppioni nella raccolta dati presso le imprese: occorre agire anche in Ticino”, presentata da Cristina Maderni – Deputata PLRT in Gran Consiglio e Vicepresidente della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti) e cofirmatari – Michele Foletti (Lega), Sabrina Gendotti (PPD) e Piero Marchesi (UDC). Questo atto parlamentare chiede un intervento volto all’eliminazione dei doppioni nella raccolta dati presso le imprese.
Ecco il testo integrale.

Instagram per il business? Un’opportunità

Tra i differenti social network che popolano la rete, anche Instagram sta diventando uno strumento sempre più in voga per le aziende.

Alcuni cenni

Instagram nasce nel 2010, quale social network “fotografico”, che permette agli utenti (aziendali e privati) di scattare foto, applicarvi filtri e condividerle in rete. In quasi un decennio di esistenza sono state numerose le possibilità di estensione e le tante evoluzioni per nuovi strumenti (storie, video, dirette, likes, ecc.) contenuti in esso.

Profilatosi come social network à côté di Facebook, in breve tempo Instagram si è ritagliato uno spazio di tutto rispetto e oggi è utilizzato da oltre 900 milioni di utenti in tutto il mondo.

Instagram per il business

Per ogni azienda, piccola o grande che sia, l’adozione di una strategia di comunicazione che sia orientata verso il digitale – o che per lo meno contempli in parte alcuni strumenti del web marketing – è diventata quasi un must.

Instagram permette di far crescere un brand di successo in qualsiasi campo. Con un account aziendale e una presenza mirata si entra a far parte di una “community” di utenti che dialogano, valutano, comunicano e fanno acquisti spesso e tanto sui social. Le opportunità sono molteplici.

E in pratica?

Oltre all’apertura di un account e iniziare ad acquisire familiarità con gli strumenti, occorre partire da una buona strategia. Una pianificazione dei passi a portare avanti è senza dubbio indispensabile, stabilendo gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Instagram si basa sull’impatto visivo di foto e video, per cui occorrerà scegliere con cura i temi e gli argomenti dei post, per creare un’identità coerente e riconoscibile. Il piano dovrebbe contenere informazioni specifiche sui contenuti, stabilendo: la frequenza, l’ora e i contenuti da condividere.

Suggerimenti vari

  • Un buon punto di partenza è quello di vedere e valutare come si stanno muovendo i grandi brand/competitor che lavorano in un settore simile a quello dove si lavora: se ne ricaveranno ispirazioni e dati utili.
  • È importante mantenere una certa frequenza di pubblicazione/condivisione di foto e video, ma attenzione a non sommergere i follower di post.
  • L’ideale sarebbe trovare il momento della giornata adatto a pubblicare il post. Questo dipende da alcuni fattori specifici, tra cui il pubblico a cui è diretto il messaggio e la provenienza dello stesso.
  • Come accennato prima, un’attenzione peculiare va data all’editing delle fotografie, per i quali è fondamentale curare luci, colori, ombre e sfumature.
  • Su Instagram si comunica anche con gli hashtag (ossia un tipo di etichetta come aggregatore tematico), altro aspetto a cui pensare, affinché riconducano al profilo o al prodotto che si sta pubblicizzando.
  • Quale foto del profilo della propria impresa, meglio usare un logo aziendale/del prodotto promosso; possibilmente impostando la stessa immagine anche per gli altri social dove si è presenti: in questo modo si definisce un’identità online su tutti i veicoli di comunicazione.
I canali social della Cc-Ti
Facebook, LinkedInInstagramYoutubeTwitter
Non dimentichiamo anche la Bacheca dei Soci su Facebook, spazio d’incontro online per aziende e associazioni di categoria affiliate alla Cc-Ti, ed il gruppo chiuso “Soci in rete” su LinkedIn.
Vi aspettiamo online!

Nasce il primo nodo di un Internet Exchange in Ticino

Anche la Cc-Ti ha partecipato il 25 settembre al lancio della piattaforma, con la presenza e l’intervento del proprio Direttore Luca Albertoni.

È stata inaugurata lo scorso 25 settembre 2019, alla presenza del Direttore della Divisione dell’economia Stefano Rizzi e del Direttore della Cc-Ti Luca Albertoni, il primo nodo Internet Exhange del Ticino. Situato presso il Data Center dell’azienda Moresi.com a Melano, il nodo ticinese è il nono in territorio svizzero di SwissIX, l’associazione elvetica, neutrale e senza scopo di lucro, che opera l’Internet Exchange.

Un Internet Exchange Point o IXP è infatti una piattaforma condivisa grazie alla quale diversi operatori, siano essi fornitori di Servizi Internet (ISP), vettori di telecomunicazioni (carrier), erogatori di contenuti online, e altre tipologie di enti e aziende del territorio, possono interconnettersi e accordarsi per scambiare traffico Internet in modo libero. In questo modo si ottimizzano gli scambi, aumentando l’efficienza e la velocità delle connessioni a banda larga, abbattendone anche i costi di accesso, per offrire agli utenti un servizio migliore.

«Ancora una volta il nostro Cantone si arricchisce di un valore aggiunto – afferma Luca Albertoni, Direttore della Cc-Ti. La Camera di commercio del Cantone Ticino tiene particolarmente a sottolineare questa iniziativa privata che valorizza ulteriormente lo sviluppo tecnologico sul nostro territorio. La stabilità e l’interconnessione delle reti è un elemento essenziale per garantire la competitività delle nostre aziende nel contesto nazionale e internazionale» .

Nel suo intervento Stefano Rizzi, Direttore della Divisione dell’economia del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), ha sottolineato come il primo nodo di un Internet Exchange in Ticino sia un importante passo in avanti per un Cantone che punta sull’innovazione e sulla tecnologia quali concetti cardine della propria strategia di sviluppo economico.

«Siamo orgogliosi di poter ospitare presso la nostra infrastruttura il primo IXP in Ticino – ha affermato Nicola Moresi, CEO di Moresi.com – Dal nostro punto di vista si tratta di portare avanti un impegno che, come azienda, abbiamo con il nostro territorio. Questo Internet Exchange Point agevolerà la ridondanza e la neutralità della rete internet, con grandi benefici per tutti, anche in termini di sicurezza: il traffico locale, infatti, potrà restare entro i confini nazionali e del cantone».

Attivato l’Internet Exchange Point, i passi successivi saranno quelli di collegarlo con altri data center e coinvolgere enti e realtà del territorio affinché possa diventare una piattaforma di collaborazione fruttuosa: un punto di partenza per lo sviluppo tecnologico di tutto il Canton Ticino.

A tutto LIFT!

Nell’ambito del progetto LIFT, la Cc-Ti ha dedicato un pomeriggio alla formazione continua dei docenti delle scuole medie coinvolte.

Lo scorso 2 settembre sono iniziate le scuole nel Cantone Ticino. Per alcuni allievi delle scuole medie ticinesi vi è un’opzione in più: il progetto LIFT.

La definizione

LIFT è un progetto attivo in Ticino e in tutta la Svizzera, dedicato ai ragazzi delle scuole medie (3° e 4° media). Lo scopo è quello di far incontrare scuole e aziende, al fine di aumentare le chances d’accesso a un posto di formazione professionale a quei giovani che – per ragioni scolastiche, familiari e/o sociali – potrebbero presumibilmente trovarsi in difficoltà nella transizione scuola-lavoro.
Il contatto avviene, per i ragazzi, con uno stage in azienda, dando la possibilità di familiarizzare in anticipo con il mondo del lavoro, per  prepararli a ciò che li attende alla fine della scuola dell’obbligo. Sin dalla sua introduzione (nel 2013 quale progetto sperimentale, ora consolidato) la Cc-Ti ha sostenuto questo progetto con entusiasmo e impegno, quale trait d’union fra mondo del lavoro e scuola.

Formazione nella formazione

Proprio per implementare nuove strategie e incrementare le competenze di tutti gli attori in gioco in questo progetto (oltre ai giovani e ai datori di lavoro, la scuola stessa rappresenta l’altro importante tassello), la Cc-Ti ha organizzato – in  collaborazione con la Coordinatrice per il Ticino del Progetto LIFT, Karole Manfredi – un pomeriggio di formazione continua per i docenti e i Direttori delle Scuole medie coinvolte nel progetto.

Il 25 settembre scorso nella sede della Cc-Ti si è svolto un seminario che ha visto fra i relatori Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti; Moreno Tenzi, Specialista prevenzione e consulente clienti, SUVA; Fabio Bonaldi, Responsabile imprese, SUVA e Stefano Di Pasquale, Collaboratore Ispettorato del lavoro. I temi discussi vertevano su questioni assicurative e relative al diritto del lavoro negli stages e nell’impiego di giovani leve.

Necessiti di maggiori informazioni sul progetto LIFT? Contatta Lisa Pantini, Responsabile Relazioni con i soci.

Certificato esecuzione e fallimenti rilasciati da siti fasulli: attenzione

In una nota stampa il Dipartimento delle Istituzioni ha comunicato l’esistenza in rete di un sito web non ufficiale: occorre prestare cautela.

La richiesta di un certificato di solvibilità è spesso un documento utile alle aziende e ai cittadini. In queste settimane gira su Internet un sito web fasullo che propone di ottenerlo online per un prezzo maggiorato.

Il Dipartimento delle Istituzioni segnala il fatto in una nota stampa, precisando che si tratta di un’operazione del tutto estranea agli Uffici esecuzione del Canton Ticino.

Ricordiamo che il certificato di solvibilità è ottenibile compilando il formulario online sul sito ufficiale dell’Amministrazione cantonale, e per qualsiasi informazione è possibile far capo gli Uffici di esecuzione.

Invitiamo a prestare la dovuta cautela e in caso di dubbio, volentieri, siamo a disposizione.

Consigli utili per affrontare un nuovo mercato

L’individuazione di un nuovo mercato e la scelta del modello di elaborazione si basano sia su fattori interni all’azienda sia su fattori legati al mercato prescelto. A tal proposito, è innanzitutto opportuno conoscerlo da vicino.

Tastare il polso del mercato

Aggregarsi a viaggi di prospezione o ancora partecipare a fiere internazionali in qualità di espositori o visitatori consente di “sentire il polso” del mercato. Le opzioni sono diverse e la Cc-Ti e S-GE vi supportano volentieri: sapevate ad esempio che ad ottobre S-GE organizza un viaggio negli Emirati Arabi Uniti per le PMI attive nelle tecnologie per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti, mentre a novembre la Cc-Ti terrà una missione economica multisettoriale a Shanghai? In alternativa, perché non esporre ad una fiera internazionale nel quadro di uno SWISS Pavilion ed approfittare della notorietà e visibilità del marchio “Svizzera.”?

Collaborare con un partner di vendita

Dopo aver acquisito le conoscenze fondamentali del mercato target, l’identificazione della modalità d’ingresso più adeguata è sicuramente una delle decisioni più difficili da affrontare, ma anche quella più strategica in quanto determina il successo o meno dell’intera operazione. Nell’accedere a un nuovo mercato, spesso la scelta ricade sul modello d’esportazione indiretta, ovvero sulla collaborazione con un partner commerciale locale (in generale un distributore) per beneficiare della sua rete di vendita, dei suoi clienti e della sua competenza. D’altra parte però, la vicinanza diretta al cliente finale viene meno e il controllo sulle attività per l’elaborazione del mercato spetta al partner. Deve quindi prima essere instaurato un rapporto di fiducia. La selezione del partner è una tappa fondamentale: andrebbe evitato di affidarsi al primo incontrato in fiera e che si dice entusiasta dei prodotti o servizi, sarebbe invece opportuno selezionare più candidati, esaminandoli sotto vari aspetti: dalla copertura del mercato alla solidità finanziaria, passando per il suo portafoglio di prodotti, la possibilità di gestire uno stock, le attività di marketing fornite o ancora, e se del caso, il servizio tecnico offerto. Nel formalizzare la collaborazione, sarebbe altresì opportuno fissare obiettivi periodici (di fatturato o di acquisizione di nuova clientela) e pattuire un periodo di prova.

Le possibilità di sondare il mercato sono molteplici, la scelta del partner di distribuzione è fondamentale. Fatevi consigliare. Siamo a disposizione.

Articolo a cura di

Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e
Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti