La gestione dei conflitti sul posto di lavoro

Dalla protezione del dipendente alle misure disciplinari: un vademecum a riguardo.

Screzi tra dipendenti, un collega che ribatte a una frecciatina, un ambiente lavorativo non armonioso come si auspicherebbe. Il timore di essere ripresi dal proprio superiore, di andare a fondo e chiarire la situazione, possibili ritorsioni, o peggio, la perdita del lavoro. Per ogni società, il capitale umano è imprescindibile. Dunque è di primaria importanza il benessere dei propri collaboratori.
Nelle relazioni interpersonali la comunicazione è uno dei fattori primari che può però, se non correttamente adoperata, portare a fraintendimenti o incomprensioni; da lì all’insorgenza di un conflitto, il passo è breve.
Nei rapporti di lavoro i conflitti possono essere all’ordine del giorno. Come gestirli? Ogni rapporto dipendente-datore di lavoro è disciplinato con obblighi reciproci (prestazione del lavoro del collaboratore, pagamento del salario da parte del datore di lavoro), al quale si aggiungono la lealtà (art. 321 a CO) e il rispetto delle direttive ricevute dal datore di lavoro (articolo 321 d CO). Anche il datore di lavoro è tenuto a preservare la salute e l’integrità personale dei dipendenti, garantendo il rispetto della moralità in azienda (articolo 328 CO).

Violazione degli obblighi dei dipendenti

Di norma quelli che vengono definiti ‘conflitti classici’ si riferiscono a un insieme di violazioni degli obblighi dei dipendenti verso il datore di lavoro (mancata soddisfazione o scarso rendimento delle prestazioni lavorative).
Qualche esempio? I cosiddetti ‘casi tipici’ riguardano la violazione dell’obbligo di lealtà, come ad esempio: comportamenti illeciti o non rispettosi nei confronti del datore di lavoro o dei clienti, la svalutazione della reputazione aziendale, il turbamento dell’ambiente lavorativo, il lavoro per terzi durante l’orario di lavoro, la violazione del divieto di concorrenza, la violazione degli obblighi di riservatezza, e così via. Il datore di lavoro può imporre il rispetto di tali obblighi mediante una denuncia e una misura di vincolo. Nel caso di un rifiuto ingiustificato di prestazioni connesse al proprio lavoro, il datore di lavoro può rivalersi anche sullo stipendio, trattenendone una parte (articolo 324 CO: principio di “niente lavoro, niente stipendio”). Anche le richieste di risarcimento danni possono essere trattata nello stesso modo (articolo 323 b, al. 2 CO).

Intervenire con misure disciplinari: un rimprovero, un avvertimento, il licenziamento

In generale un datore di lavoro agisce conseguentemente alle violazioni contrattuali del dipendente con delle azioni disciplinari che, normalmente andrebbero gestite “a scala”: un rimprovero, un avvertimento (con o senza imposizione di un periodo di prova) fino a giungere alla cessazione del rapporto di lavoro.
Nel caso del rimprovero (quale misura disciplinare limitata), si sanzionano i comportamenti contrari al contratto lavorativo o alle direttive ricevute. Consigliamo sempre la forma scritta o ev. orale, con un colloquio e verbale dell’incontro controfirmato dal dipendente.
La minaccia di una sanzione è strettamente collegata e conseguente a un avvertimento precedente, nel caso in cui il comportamento o le prestazioni del collaboratore non siano migliorate. L’avvertimento e la minaccia di sanzione devono essere espressi in modo chiaro, affinché i dipendenti ne comprendano le conseguenze e, specialmente, le motivazioni. Si consiglia di consegnare l’avvertimento per iscritto, a fini probatori.
La sanzione vera e propria solitamente corrisponde al licenziamento immediato. La minaccia di un licenziamento regolare è anche possibile, ma in questo caso il datore di lavoro deve valutare il fattore “tempo” e ne sarà vincolato. Altre misure sanzionatorie possono essere prese in considerazione. Tra esse vi sono le “multe” (pena pecuniaria, riduzione della retribuzione, lavoro extra, trasferimento, proroga del periodo di prova e sospensione), ma richiedono una forma specifica scritta antecedentemente nel contratto di lavoro (a titolo preventivo) e accettata da parte del collaboratore.

Quando i conflitti riguardano i rapporti con il capo: problemi tra dipendenti e supervisori

Quando nascono conflitti sul posto di lavoro, essi non hanno una vera e propria distinzione gerarchica: possono riguardare situazioni fra colleghi o con i propri superiori. Si parla di ‘mobbing’ (termine avvallato anche dal Tribunale Federale – TF) quando si assiste a un comportamento duraturo, sistematico, ostile e per un lungo intervallo di tempo verso qualcuno che lo porterà a essere isolato nel suo stesso posto di lavoro.   In queste situazioni, il datore di lavoro è tenuto, per suo dovere di assistenza (articolo 328 CO), a proteggere i dipendenti da qualsiasi atto che leda la loro personalità/persona. Devono venire presi in considerazione colloqui e sforzi di riconciliazione verso l’interno o verso l’esterno dell’azienda, l’elaborazione di regole comportamentali, direttive per coloro che hanno commesso mobbing, lo spostamento all’interno dell’azienda e, in ultima istanza, l’annuncio di un licenziamento.

Licenziamento vs. situazione di conflitto

Nel caso in cui si debba ricorrere ad un licenziamento scaturito da una situazione conflittuale occorre prestare estrema attenzione. Il diritto del lavoro svizzero riconosce il principio della libertà di licenziamento secondo cui il datore di lavoro non necessita di invocare alcun motivo specifico per il licenziamento o di dimostrarlo. È solo su richiesta dei dipendenti che il datore di lavoro dovrà motivare per iscritto il licenziamento (art. 355 cpv. 2, art. 337 cpv. 1 CO). Un licenziamento con effetto immediato del dipendente viene preso in considerazione solo quale ultima ratio. A parte per casi estremi, come un reato sul luogo di lavoro, tale azione sarà raramente considerata giustificata. In caso di licenziamento abusivo con effetto immediato, il datore di lavoro rischia di dover risarcire l’importo del salario del dipendente durante il suo normale periodo di licenziamento con una penalità aggiuntiva fino a sei mesi di stipendio (art 337 c CO).

Gestione e perfomance dei conflitti

I contenuti di questa scheda vogliono portare a riflettere e sottolineano l’importanza di una gestione HR umana e puntuale, che deve essere efficacie. I datori di lavoro dovrebbero periodicamente esaminare le prestazioni e il comportamento dei propri dipendenti con colloqui periodici. In caso di impegno insufficiente, il datore di lavoro deve comprenderne eventuali motivazioni e, solo conseguentemente l’ascolto, deve informare il proprio dipendente delle misure disciplinari a disposizione in caso di mancato miglioramento.

In caso di rimproveri e avvertimenti si consiglia di organizzare un colloquio personale tra il superiore e il collaboratore, alla presenza di una seconda persona delle HR per motivi probatori.
Nella pratica, la seguente procedura si è dimostrata efficace:

  • dare l’opportunità al dipendente di spiegarsi in relazione ai fatti e trarne le oggettive considerazioni;
  • successivamente trovare insieme le soluzioni appropriate. Eventuali accordi vanno sottoscritti e monitorati;
  • durante un sucessivo colloquio di feedback, è necessario verificare se il dipendente ha fatto propri gli obiettivi prestazionali stabiliti insieme. Se necessario andranno essere prese ulteriori misure correttive/disciplinari.

In caso di controversie tra dipendenti e il loro diretti superiori, il datore di lavoro deve prendere tutte le misure appropriate al fine di disinnescare il conflitto. Se, dopo aver fatto tutto il possibile, non si sono trovate misure per dar soluzione al conflitto, è possibile prendere in considerazione la disdetta di uno o dell’altro collaboratore.

Fonte: WEKA, 09.2019 – articolo rielaborato dalla Cc-Ti

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