Publiredazionali Cc-Ti

Di seguito potete ritrovare tutti i publiredazionali Cc-Ti (dal 2023).

2025

“Swiss Made” sotto pressione, 03.09.2025

Dazi USA: primi effetti, 28.08.2025

La formazione della Cc-Ti, 18.6.2025 (e 21.5.2025)

Un sostegno per chi esporta, 21.5.2025

Le finanze cantonali: una discussione indispensabile, 9.5.2025

L’Arabia Saudita in chiave operativa, 30.4.2025

Negoziare? Si, no, forse, magari…, 17.4.2025

Le aziende svizzere al crocevia delle tensioni commerciali globali, 12.3.2025

CRASH TEST, 19.2.2025

L’economia per la società, 29.1.2025


2024

Auguri di Natale, 24 e 31.12.2024

Risultati inchiesta congiunturale 2024/2025, 18.12.2025

Il ritorno di Trump: rischi e opportunità per l’export svizzero (e non solo), 26.11.2024

Speciale 107esima AGO Cc-Ti: resoconto AGODiscorso Pres. A. GehriIntervista Prof. Guzzella, 19.11.2025

Innovazione e ricerca e sviluppo tecnologico: quo vadis?, 22.10.2024

Denominatore comune: innovazione, 15.10.2024

Guten Tag o Auf Wiedersehen?, 24.9.2024

Stati Uniti: è terra promessa?, 27.8.2024

«Non solo business…», 30.7.2024

Strada e ferrovia, accostamento vincente, 18.7.2024

India, il gigante su cui puntare, 28.5.2024

Votazione sulla riforma fiscale cantonale, 21.5.2024

La Svizzera apprezzata ovunqUE, 14.42024

L’accesso al Sud−Est asiatico passa da Singapore, 2.4.2024

Salari e statistiche, 26.3.2024

AVS, diamo i numeri…, 20.2.2024

Le sfide del business internazionale, 30.1.2024

Più poveri senza i ricchi, 23.1.2024


2023

Auguri di Natale (diversi), 12.2023

Il 2023 ha confermato le aspettative, 18.12.2023

Conflitto Israele-Hamas: nuovo stress test per supply chain e logistica, 28.11.2023

L’imprenditore al centro della 106esima AGO, 26.10.203

Il commercio con l’estero richiede misure rafforzate di dovuta diligenza, 17.10.2023

L’intrepido imprenditore: coraggio e resilienza, 26.9.2023

In un mondo che cambia informare e informarsi è un dovere, 29.8.2023

nLex Prevenire Difendere, 22.8.2023

Illusioni e realismo, 25.7.2023

Apertura tecnologicaSan Gottardo & pedaggio: NO grazie, 13.6.2023

Quel piatto di spaghetti che è il libero scambio, 30.5.2023

Tutelare la continuità aziendale, 12.5.2023

La tecnologia è competenzaEvoluzioni elettrizzanti, 18.4.2023

Chi guida la corsa alle tecnologie critiche?, 28.3.2023

Una buona istruzione garantisce protezioneL’opinione puntuale, 21.3.2023

Fiscalità: numeri e fattiL’opinione puntuale, 28.2.2023

Da complicato a complesso: il contesto internazionale è sempre più impegnativo, 31.1.2023

Centrare la formazioneLa manodopera è strategica, 24.1.2023

“Swiss Made” sotto pressione

Il dilemma delle imprese svizzere tra dazi punitivi e identità di marca

Il 7 agosto ha segnato una svolta nei rapporti commerciali tra Stati Uniti e Svizzera: i dazi “reciproci” introdotti dall’amministrazione Trump impongono ora un aggravio del 39% sui prodotti elvetici. Una soglia che erode margini, riduce volumi e mette a dura prova la competitività delle nostre imprese. In questo contesto le aziende si muovono su una linea sottile: da un lato la tentazione di sfuggire ai dazi punitivi con, talvolta, soluzioni creative, dall’altro l’esigenza di salvaguardare l’integrità dello “Swiss Made”.

Un marchio che vale più di un’etichetta

Lo “Swiss Made” è molto più di un marchio: rappresenta eccellenza, qualità e autenticità. La reputazione dell’ingegneria elvetica si fonda su precisione e affidabilità; l’orologeria è sinonimo di lusso e perfezione meccanica, il cioccolato di raffinatezza. In un mercato globalizzato poche etichette hanno lo stesso peso simbolico. Perderlo significherebbe intaccare un patrimonio fatto di credibilità, prestigio e fiducia costruiti nel tempo.
Molte aziende integrano già componenti o fasi produttive realizzati all’estero. La normativa prevede infatti criteri che lasciano un certo margine di manovra: per i prodotti industriali, ad esempio, almeno il 60% del costo di produzione deve essere sostenuto in Svizzera e il processo che conferisce le caratteristiche essenziali deve svolgersi sul territorio nazionale. Va però ricordato che le regole doganali sull’origine non coincidono perfettamente con quelle che disciplinano lo “Swiss made”, legate alla proprietà intellettuale. In questa sede, tuttavia, tali differenze non saranno approfondite, poiché meno rilevanti rispetto alla garanzia dell’identità svizzera del prodotto.

Soluzioni fantasiose: re-routing e rielaborazioni minime

Per ridurre i dazi, alcune imprese valutano il re-routing verso l’Unione europea (UE) per attività di confezionamento, reimballaggio o semplice assemblaggio. Operazioni legali, ma che non modificano le caratteristiche essenziali del prodotto, non richiedono competenze tecniche e non generano reale valore aggiunto. Si tratta quindi di soluzioni deboli e temporanee, che le espongono a rischi elevati in caso di controlli doganali, che le autorità statunitensi annunciano particolarmente severi nei prossimi mesi.

Ipotesi più realistiche: delocalizzare fasi produttive

Alcune aziende considerano di trasferire fasi produttive nell’UE per beneficiare di dazi più bassi: i prodotti di origine europea, infatti, sono soggetti a un’aliquota del 15%. Qualora tali lavorazioni configurino una “trasformazione sostanziale”, l’accesso al mercato americano risulta più conveniente. Questo approccio però, comporta la perdita dello “Swiss Made” (e, sebbene qui non approfondito, anche dei vantaggi derivanti dall’origine preferenziale svizzera nell’ambito di accordi di libero scambio di rilievo, come quello con Cina o India). Senza questa denominazione, un macchinario, ad esempio, diventa un “altro” prodotto europeo, in concorrenza diretta con prodotti italiani, francesi o tedeschi. Le conseguenze non sono solo semantiche: si perdono unicità, margini e la possibilità di mantenere un premium price.

Reputazione globale a rischio

Lo “Swiss Made” ha valore oltre gli USA: in Asia è sinonimo di lusso, in Medio Oriente garanzia di esclusività, in Europa simbolo di qualità.
Anche in mercati più sensibili al prezzo, come America Latina e Africa, l’etichetta influenza le decisioni d’acquisto. Rinunciarvi significherebbe compromettere la competitività su più mercati, indebolendo un asset strategico costruito in decenni di eccellenza.

Opzioni strategiche a confronto

La preziosa reputazione globale dello “Swiss Made” pone le imprese elvetiche davanti a scelte complesse:

  • Mantenere la produzione in patria, negoziando, laddove possibile, riduzioni di prezzo o condivisione dei costi doganali. Una soluzione che preserva l’integrità del marchio, ma limita la competitività.
  • Delocalizzare nell’UE, riducendo i dazi ma sacrificando lo “Swiss Made”. Resta l’incognita: quanto resteranno in vigore questi dazi?
  • Adottare una strategia ibrida, con linee “Swiss Made” per altri mercati e “Made in EU” per gli USA. Una forma di segmentazione, che richiede una gestione attenta del proprio brand.
  • Abbandonare il mercato statunitense, opzione estrema che salvaguarda l’identità ma riduce le prospettive globali.

I costi nascosti

Trasferire fasi produttive non è mai un’operazione neutra: comporta nuovi contratti di fornitura, costi logistici aggiuntivi, il rafforzamento dei controlli qualità e l’adeguamento a normative differenti. Spesso, questi fattori erodono i risparmi doganali, riducendo il vantaggio competitivo atteso. Ancora di più se i trasferimenti sono “provvisori”: ci si è davvero interrogati sul costo reale della cosiddetta “exit”?

Identità o sopravvivenza?

La scelta strategica non è solo economica, ma anche culturale.
Accettare i dazi significa difendere un marchio che rappresenta la Svizzera nel mondo. Sacrificarlo per la competitività immediata equivale a rinunciare a un patrimonio simbolico difficile da ricostruire. In gioco non c’è solo un’etichetta: è l’essenza dello “Swiss Made”, un valore intangibile che nessuna scorciatoia doganale può sostituire.

Innovare per resistere

Molte aziende svizzere esplorano strategie alternative. Una è la diversificazione geografica, puntando su mercati dove lo “Swiss Made” mantiene fascino, crescita e vantaggi dal libero scambio. L’altra è l’innovazione: investimenti in R&D, digitalizzazione e sostenibilità possono giustificare anche un sovrapprezzo del 39%. Tecnologie proprietarie, certificazioni ambientali e servizi esclusivi trasformano il dazio da ostacolo a elemento distintivo: “costa di più perché vale di più”.

Verso una nuova eccellenza svizzera

Non esiste una soluzione unica: ogni azienda deve bilanciare pragmatismo e identità. Lo “Swiss Made” non può più fare affidamento solo sul prestigio storico; deve dimostrare ogni giorno il proprio valore attraverso innovazione e prestazioni superiori. Da questa sfida può nascere una versione moderna dell’eccellenza svizzera, capace di prosperare anche nei mercati più difficili. La vera forza del “Made in Switzerland” sta nell’evolversi senza tradire la propria essenza.

Nuova scheda SECO: attenzione all’export di macchine utensili

La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha pubblicato una nuova scheda informativa dedicata ai rischi legati all’esportazione di macchine utensili nel contesto delle sanzioni internazionali.

Il documento (PDF, 296 kB, 13.08.2025) richiama l’attenzione sul fatto che, in diversi casi, macchine utensili di origine svizzera sono state casi deviate verso Paesi sottoposti a sanzioni attraverso società di comodo situate in Stati terzi.

Per ridurre tali rischi, la SECO invita le aziende esportatrici a rafforzare i propri sistemi di compliance lungo l’intero processo di esportazione, e in particolare a:

  • applicare una due diligence continua sugli utenti finali e garantire un’adeguata formazione dei collaboratori;
  • effettuare verifiche approfondite prima dell’esportazione, incluse analisi della plausibilità degli ordini e del background dei clienti;
  • introdurre misure di controllo post-esportazione per monitorare ubicazione e utilizzo dei macchinari, segnalando altresì tempestivamente alla SECO eventuali deviazioni sospette;
  • prestare particolare attenzione ai segnali di rischio illegali (i cosiddetti red flags) tipici di acquisti illegali, come anomalie nei prezzi, richieste di riservatezza eccessiva, rotte di trasporto poco plausibili, uso ingiustificato di intermediari o scarsa trasparenza sull’utente finale.

Altri link utili:

Dazi USA: primi effetti

Aziende ticinesi sotto pressione

Da settimane i rapporti commerciali con gli Stati Uniti occupano le prime pagine e le agende di imprese e istituzioni. La decisione americana di imporre un dazio del 39% sulle merci di origine svizzera rappresenta un provvedimento tanto gravoso quanto difficile da comprendere nelle sue motivazioni.
E non facilmente “aggirabile”, perché è bene ribadire, con chiarezza, che il criterio discriminante per l’applicazione dei dazi è l’origine doganale della merce: non contano altre variabili o stratagemmi spesso descritti con eccessiva leggerezza come “vie d’uscita” o soluzioni miracolose.
Non siamo di fronte a un tecnicismo burocratico: l’origine della merce costituisce un elemento centrale della disciplina commerciale internazionale e, di conseguenza, un fattore determinante per le autorità di tutto il mondo e per le strategie aziendali.

Le imprese elvetiche si trovano attualmente a dover prendere decisioni rapide in un contesto che offre pochissime garanzie di stabilità. A oggi i dazi applicati alle merci europee sono ad esempio inferiori del 24% rispetto a quelli gravanti sui prodotti svizzeri, ma resta aperta la domanda: per quanto tempo questa disparità durerà? L’accordo tra Stati Uniti e Unione europea è stato pubblicato da pochi giorni e su diversi punti pesa, comunque, ancora l’incertezza quanto a interpretazione, conseguenze, ecc.
Nei nostri recenti interventi abbiamo più volte sottolineato la complessità del quadro generale. Parlare di delocalizzazione come risposta immediata non è realistico, perché trasferire anche solo una parte di un’attività produttiva richiede tempo, capitali e analisi approfondite. E una volta delocalizzata l’attività non si può fare marcia indietro a piacimento. Lo stesso vale per l’apertura di nuovi mercati. Un percorso che le imprese svizzere intraprendono in modo sistematico da anni, spesso indipendentemente da situazioni di crisi. Non è infatti da vedere come una mossa “disperata” dettata da necessità contingenti, bensì di un lavoro continuo, che comporta investimenti, valutazioni di rischio, ricerca di partner affidabili e tempi fisiologici di consolidamento.
Vale la pena sottolineare che questa attenzione costante delle aziende svizzere alle misure da intraprendere non è una novità. È una realtà che si è manifestata più volte anche in passato, quando il nostro tessuto imprenditoriale ha dovuto fronteggiare crisi di grande portata – dalla crisi finanziaria internazionale al franco forte, fino alla pandemia. Esperienze che hanno dimostrato la resilienza e la capacità di adattamento del sistema produttivo, pur all’interno di scenari difficili e spesso imprevedibili.

Il peso del mercato USA

Al tempo stesso, occorre ricordare che, nel caso specifico, il mercato statunitense non è facilmente sostituibile. Le sue dimensioni, la capacità di spesa e il grado di apertura a beni ad alto valore aggiunto lo rendono un interlocutore quasi imprescindibile. Ogni ipotesi di riduzione della presenza svizzera negli USA deve dunque essere valutata con estrema cautela, poiché implica conseguenze economiche e strategiche non paragonabili a quelle di altri mercati.
Per avere un quadro più preciso e fondato su dati concreti della situazione attuale, la Cc-Ti ha interpellato un campione rappresentativo di aziende associate attive a livello internazionale, appartenenti a settori differenti, per avere un primo rilevamento indicativo delle conseguenze per il tessuto economico ticinese.
In totale, hanno partecipato al sondaggio una sessantina di aziende prevalentemente attive nei comparti MEM (che costituiscono la quota principale), Logistica & Trasporti (14%), Farma/ Medtech/Biotech (7%) e Alimentare & Bevande (7%). Oltre la metà appartiene al settore industriale manifatturiero. Due terzi delle imprese hanno tra 1 e 49 dipendenti, mentre un terzo si colloca nella fascia 50-249.
Per una buona parte delle imprese, l’export verso gli Stati Uniti rappresenta meno del 10% del fatturato. Tuttavia, nel settore MEM la quota cresce in maniera significativa, raggiungendo in alcuni casi anche il 50%. È interessante rilevare come quasi la metà delle aziende dichiari di subire anche effetti indiretti – attraverso clienti o fornitori – e non solo un impatto diretto. Soltanto una minoranza afferma di non essere colpita.
Fra chi è esposto, il peso del dazio risulta tutt’altro che marginale: per il 36% delle imprese l’impatto stimato arriva fino al 25% del fatturato, mentre per il 9% supera tale soglia.
In sostanza, il sondaggio evidenzia che oltre l’84% delle aziende risulta direttamente o indirettamente esposto ai dazi USA. L’impatto più forte colpisce la redditività: quasi la metà delle imprese segnala effetti negativi rilevanti sui margini, mentre oltre il 42% teme cali di fatturato. Le ripercussioni
occupazionali, pur meno marcate, restano significative, con quasi un’azienda su tre che ipotizza riduzioni di organico se la situazione attuale dovesse perdurare.
Dal punto di vista strategico, la delocalizzazione produttiva viene valutata da circa il 23% come un’opzione di lavoro concreta
, mentre quasi un quinto individua nell’automazione un possibile correttivo per mitigare l’effetto dei dazi e rilanciare la competitività.
Nonostante ciò, le strategie di risposta al nuovo regime dei dazi appaiono ancora parziali e non strutturate, come è normale che sia in una situazione del genere.
Prevale un certo attendismo che però deve essere combinato con valutazioni strategiche molto avanzate. Un dilemma all’insegna dell’incertezza che complica notevolmente il lavoro. Le ipotesi di compensazione su altri mercati o di ricorso al lavoro ridotto emergono, ma la quota di indecisi dimostra che prevale, appunto, l’attesa. Molte imprese stanno avviando confronti diretti con i partner americani per valutare una condivisione del peso dei dazi. In alcuni casi i maggiori costi possono essere trasferiti ai consumatori finali, in altri – specie in settori sensibili al prezzo – questo non è possibile.


Accordi bilaterali III fra Svizzera e Unione europea (UE)

Nel giugno del 2025 il Consiglio federale ha approvato gli accordi con l’UE e ha avviato la procedura di consultazione, che durerà fino alla fine di ottobre. Per la fase che va dalla fine del 2024 all’’entrata in vigore del pacchetto, la Svizzera e l’UE hanno definito disposizioni transitorie relative al livello di partenariato e di cooperazione.
L’adozione del messaggio all’attenzione del Parlamento è prevista per il primo trimestre del 2026. Solo l’Accordo sui programmi UE (EUPA) dovrebbe essere firmato dal Consiglio federale già verso la fine dell’autunno 2025. Tale firma consentirà alla Svizzera di partecipare retroattivamente come Stato associato ai programmi Orizzonte Europa, Euratom ed Europa Digitale dal 1° gennaio 2025.

I nostri ospiti, che rappresentano il mondo politico, economico, sindacale e accademico, aiuteranno a comprendere la rilevanza della posta in gioco.

Vi diamo appuntamento il prossimo 19 settembre 2025, dalle ore 18.00, presso il Teatro sociale di Bellinzona, per questo importante momento di confronto che prevede il seguente programma:

  • Saluto introduttivo di Luca Albertoni, Direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino e di Jon Pult, Consigliere nazionale e Presidente dell’Associazione svizzera di politica estera
  • Intervento del Consigliere federale Ignazio Cassis, Capo del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE)

Seguirà una discussione con

  • Vania Alleva, Presidente nazionale del sindacato UNIA
  • Monika Rühl, Presidente della Direzione generale di economiesuisse
  • Giovanni Merlini, Avvocato e Presidente della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI)

La discussione sarà moderata da Pietro Bernaschina, Responsabile attualità TV della Radiotelevisione Svizzera di lingua Italiana (RSI).

ISCRIZIONE all’evento

Quando la scuola incontra la sostenibilità: un progetto didattico interdisciplinare sulla RSI

L’esperienza di due docenti del Centro professionale commerciale di Bellinzona – che ha coinvolto la Cc-Ti ed il rapporto di sostenibilità ti-csrreport.ch – in un percorso interdisciplinare sulla Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) che ha coinvolto studenti, aziende e istituzioni locali, trasformando la teoria in consapevolezza concreta.

Il Centro professionale commerciale di Bellinzona

Questa esperienza mi ha davvero aperto gli occhi.” Con queste parole si conclude la riflessione di una studentessa che ha partecipato al progetto didattico interdisciplinare sulla Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), culminato nella redazione del Rapporto di sostenibilità del Comune di Capriasca.

In queste parole si riflette lo spirito più autentico dell’iniziativa che ci ha coinvolto durante il secondo semestre del 2025, con la classe di maturità tipo Economia a tempo pieno. Ma cosa significa, per chi insegna, accompagnare i giovani in un percorso formativo che rompe le barriere della teoria e incontra la realtà di un territorio? E cosa ha insegnato a docenti e studenti questa esperienza sulla sostenibilità?

Quando abbiamo iniziato a pensare al progetto didattico interdisciplinare per la classe di maturità tipo Economia a tempo pieno, ci siamo subito trovate d’accordo sul tema della responsabilità sociale delle imprese (RSI), ma non immaginavamo quanto ci avrebbe arricchite, come docenti ma anche come persone. Siamo Anna Frapolli, docente di economia aziendale e diritto, e Katia Introzzi Borradori, docente di contabilità e oggi desideriamo raccontarvi la nostra esperienza, soprattutto perché ha rappresentato un importante momento di crescita dei nostri studenti.

Tutto è partito da una domanda: come possiamo rendere concreta e vicina ai giovani la sostenibilità? La RSI ci sembrava un concetto autorevole per far emergere i legami tra ambiente, diritti, comunità e scelte economiche. Ma non volevamo limitarci alla teoria. Volevamo che i nostri studenti vedessero, toccassero con mano, comprendessero in profondità.

L’idea era di mostrare come anche piccole aziende ed enti pubblici possano essere attori responsabili. Ma come fare? Consultando varie fonti abbiamo scoperto la guida per la creazione di un Rapporto di sostenibilità della Camera di commercio e dell’industria del Canton Ticino (Cc-Ti) e li abbiamo contattati. I responsabili Gianluca Pagani e Sergio Trabattoni, CSR manager Cc-Ti, si sono da subito dimostrati disponibili e aperti al confronto. Così è nato il progetto didattico interdisciplinare sulla RSI.

Gli studenti, a coppie, hanno dovuto cercare un’azienda e con la quale collaborare avendo il compito di analizzare le sue pratiche attuali di RSI e di identificare aree di miglioramento potenziale, alfine di proporre soluzioni innovative e pratiche per promuovere una maggiore responsabilità sociale. Tutto ciò, completando il Rapporto di sostenibilità messo a disposizione dalla Cc-Ti.

Le discipline coinvolte sono state diverse: economia, contabilità, scienze, geografia, comunicazione, diritto. Questo ha permesso agli studenti di affrontare il tema della RSI in modo integrato, sviluppando competenze trasversali e una visione sistemica. I ragazzi hanno analizzato dati, intervistato referenti aziendali, studiato normative e casi pratici. Hanno scoperto che “sostenibilità” comprende molti aspetti della vita aziendale: il benessere dei lavoratori, l’efficienza energetica degli edifici, le scelte negli appalti pubblici, l’interazione con la collettività.

La scuola come agente di cambiamento

Il cuore del progetto non è stato solo trasmettere conoscenze, ma stimolare consapevolezza. Parlare di RSI significa anche interrogarsi su cosa significa essere cittadini attivi. Il progetto ha permesso agli studenti di capire che tutte le tipologie di aziende, indipendentemente dalla grandezza o dal settore, possono essere imprese responsabili.

In questo senso, il progetto è diventato anche un’occasione per la scuola stessa di riflettere sul proprio ruolo. Come docenti, ci siamo chieste: stiamo solo insegnando dei contenuti o stiamo formando cittadini consapevoli, pronti a contribuire al cambiamento? Aver proposto questo progetto ai nostri studenti ci ha offerto una risposta concreta.

Dalla teoria alla consapevolezza

Ciò che abbiamo visto accadere, settimana dopo settimana, è qualcosa che va oltre l’apprendimento. Abbiamo assistito a un vero e proprio processo di trasformazione. Gli studenti sono passati dall’analizzare dati aziendali, alla comprensione profonda del significato della RSI. Hanno capito che sostenibilità non è solo ecologia, ma anche giustizia sociale, rispetto dei diritti, economia circolare, consumo consapevole.

Per noi, come docenti, è stato emozionante vederli cambiare sguardo. Vederli entrare in aula con nuove domande, raccontarci ciò che avevano scoperto e proporre idee per migliorare la sostenibilità nella gestione aziendale. Una delle riflessioni più lucide è arrivata proprio da una studentessa, che ha scritto: “Spesso pensiamo che le grandi sfide globali siano troppo lontane da noi, troppo grandi per essere affrontate su scala locale. Ma lavorando su questo progetto ho capito che non è così.” Ed è esattamente ciò che volevamo trasmettere.

Il valore del confronto diretto

Uno degli aspetti più arricchenti è stato il dialogo diretto tra studenti e attori del territorio. La maggior parte delle aziende coinvolte hanno aperto le porte con grande disponibilità, fornendo dati, risposte, materiali, e rendendosi parte attiva del percorso. Questo ha avuto un impatto enorme. Per i ragazzi è stato un passaggio dalla teoria alla realtà. Hanno visto con i propri occhi come si prendono certe decisioni, quali vincoli esistono, e quanta determinazione serve per fare scelte coraggiose.

Il confronto ha anche rivelato una problematica importante. Molti studenti hanno osservato che queste iniziative legate ai rapporti di sostenibilità non sono conosciute. Hanno ragione. La sostenibilità si fa, ma va anche raccontata, condivisa, spiegata. È una delle leve principali per generare coinvolgimento e partecipazione.

Il ruolo della scuola (e delle istituzioni)

Il progetto ci ha anche fatto riflettere su quale ruolo può giocare la scuola nel promuovere la sostenibilità. Spesso si parla di educazione civica, di cittadinanza attiva, di transizione ecologica. Ma se tutto questo resta confinato nei manuali, rischia di perdere forza. Noi crediamo che la scuola debba diventare il ponte tra i giovani e il territorio, tra il pensiero critico e l’azione concreta.

Una consapevolezza che lascia il segno

Alcuni ragazzi hanno rilevato che ora osservano con occhi diversi anche le scelte delle loro famiglie, delle aziende, dei Comuni. Certo, non è stato tutto perfetto. Uno dei punti critici è stato proprio quello di trovare il modo per gli studenti di entrare in contatto con le aziende. Spiegare il progetto affinché fossero pronte e aperte a seguire gli studenti, a rispondere alle loro domande e soprattutto a fornire dati sensibili.

Il risultato finale, il Rapporto di sostenibilità che ogni gruppo di studenti ha redatto per un’azienda diversa, è un documento tecnico, ma anche profondamente umano. Dentro c’è la narrazione di un territorio, ma anche di un percorso di crescita personale. Abbiamo visto le ragazze e i ragazzi cambiare sguardo e imparare a riconoscere valori importanti.

Guardando al futuro: prossimi passi

L’entusiasmo generato ha già messo in moto nuove idee per il prossimo anno scolastico. Ci auspichiamo che questo progetto possa diventare una prassi, perché si è trattato non solo di un’esperienza formativa ma anche profondamente umana. Abbiamo imparato insieme ai nostri studenti. Abbiamo visto che, quando la scuola esce dai confini dell’aula e si apre al territorio, succedono cose belle. Perché la scuola non è solo un luogo dove si trasmettono saperi, ma può diventare un ponte tra i giovani e la società, tra i problemi globali e soluzioni locali. E come ha scritto una delle studentesse coinvolte, “il cambiamento può partire dal basso, da realtà locali e vicine a noi.”

La responsabilità sociale non è un concetto astratto. È un modo di guardare il mondo.


A cura di Anna Frapolli e Katia Introzzi Borradori, docenti del Centro professionale commerciale di Bellinzona

Nuovi derivati di acciaio e alluminio soggetti a dazi aggiuntivi USA

L’Amministrazione statunitense ha esteso l’applicazione dei dazi aggiuntivi del 50% sulle importazioni di acciaio e alluminio, includendo 407 nuove voci tariffarie.

Il Bureau of Industry and Security (BIS) ha aggiunto 407 nuovi codici HTSUS (Harmonized Tariff Schedule of the United States) all’elenco dei derivati dell’acciaio e dell’alluminio soggetti ai dazi addizionali della Sezione 232. Gli elementi non in acciaio e non in alluminio presenti nei prodotti elencati rimangono soggetti ai dazi “reciproci”.

I dazi sui nuovi prodotti entrano in vigore per tutte le merci immesse in consumo o prelevate da deposito per consumo a partire dal 18 agosto 2025 alle ore 00:01 EDT (06:01 ora svizzera). Non sono previste eccezioni per le merci già in transito.

Per i derivati dell’acciaio, le aggiunte riguardano prodotti dei Capitoli HTS: 4, 21, 27, 28, 29, 30, 32, 33, 34, 35, 38, 39, 72, 73, 76, 82, 83, 84, 85, 86, 87 e 94.

Per i derivati dell’alluminio, le aggiunte riguardano prodotti dei Capitoli HTS: 4, 21, 27, 29, 30, 32, 33, 34, 35, 37, 38, 73, 76, 83, 84, 85, 87 e 94.

La CBP ha già pubblicato le linee guida per la corretta dichiarazione delle merci. Gli elenchi aggiornati dei prodotti soggetti alla Sezione 232 sono disponibili a fondo pagina:

IMPORTANTE: si raccomanda di verificare con attenzione le classificazioni tariffarie aggiornate, che includono, tra gli altri, farmaci finiti in confezioni blister (HTSUS 3004.90.9244) e componenti auto.

Entra in vigore l’accordo di libero scambio AELS-India

Il 1° ottobre 2025, entrerà ufficialmente in vigore l’Accordo di partenariato commerciale ed economico globale (TEPA) tra l’Associazione europea di libero scambio (AELS) e l’India, aprendo nuove prospettive per gli scambi bilaterali e rafforzando la competitività delle imprese svizzere sul mercato indiano. Con questo accordo, le aziende esportatrici potranno beneficiare di condizioni tariffarie agevolate e di regole d’origine specifiche, con un impatto diretto sui costi e sull’accesso al mercato.

In questo articolo ci concentriamo sull’export di merci, evidenziando le principali novità normative e operative. Tra queste, spiccano l’uscita dell’India dal sistema di preferenze generalizzate (GSP) e l’aggiornamento automatico delle aliquote preferenziali nella tariffa elettronica Tares. È già possibile prendere visione delle nuove regole d’origine tramite gli Allegati 2A e 2A.1 dell’accordo. Il cumulo è limitato ai prodotti originari dell’AELS e dell’India, con una tolleranza generale del 10% per le regole della lista che richiedono un cambiamento di voce o di capitolo.

Per la prova dell’origine, gli esportatori elvetici potranno utilizzare una dichiarazione di origine redatta in inglese con firma elettronica (riservata agli esportatori autorizzati) oppure un certificato EUR.1, con l’obbligo di conservare la documentazione per almeno cinque anni. Inoltre, le merci originarie dovranno essere spedite direttamente alla destinazione finale (trasporto diretto). È consentito il trasbordo purché senza ulteriori lavorazioni.

Sul piano commerciale, l’India avvierà una graduale eliminazione dei dazi doganali su gran parte dei prodotti (capitoli 1–97, cfr. Appendice 2C.3 all’Allegato 2C | Calendario concessioni India sui prodotti di origine svizzera, per le sigle vedasi l’Allegato 2C | Schedules of India’s Tariff Commitments), mentre negli Stati membri dell’AELS si prevede una riduzione o un’abolizione immediata dei dazi all’entrata in vigore dell’Accordo (cfr. Allegato 2F | Calendario concessioni Svizzera sui prodotti indiani). Queste misure contribuiranno a ridurre i costi di accesso al mercato e a favorire nuove opportunità di export per le imprese.

Dal punto di vista operativo, va considerata la possibilità di imposizione provvisoria nel caso in cui la prova di origine non venga fornita tempestivamente. Le merci già in transito o in deposito doganale al 1° ottobre 2025 potranno comunque beneficiare delle aliquote preferenziali fino al 30 giugno 2026, a condizione che venga successivamente presentata la prova d’origine. È inoltre importante verificare le regole specifiche per i prodotti soggetti a particolari condizioni di impiego.

Per le imprese che operano o intendono operare con l’India, risulta ora  essenziale:

  • verificare la corretta classificazione doganale dei propri prodotti,
  • analizzare le regole d’origine per sfruttare appieno le preferenze,
  • aggiornare le procedure interne per l’emissione di dichiarazioni di origine conformi
  • monitorare attentamente le fasi di riduzione tariffaria in India per cogliere tempestivamente le finestre di opportunità commerciali.

Link utili:

Per domande o approfondimenti (es. tabella di calcolo dello sgravio daziario), potete rivolgervi a:

Monica Zurfluh
Responsabile Commercio Internazionale
T +41 91 911 51 35
zurfluh@cc-ti.ch

Les Chambres latines du commerce et d’industrie (CLCI) dénoncent des droits de douane abusifs

Les Chambres latines du commerce et d’industrie (CLCI) désapprouvent la décision de l’administration Trump d’imposer des droits de douane de 39% sur les exportations suisses vers les États-Unis, dépourvue de toute justification politique et économique.

Les mesures protectionnistes décrétées par les Etats-Unis le 1er août dernier affectent violemment les entreprises exportatrices suisses. Ces dernières subissent l’un des taux les plus élevés du monde (39%), bien plus important que celui appliqué à leurs concurrentes européennes (15%) et du Royaume-Uni (10%). Leur compétitivité s’en trouve drastiquement diminuée alors qu’elle était déjà largement mise à mal par la force du franc. Nombreuses sont les entreprises qui doivent brutalement revoir leur production. Directement ou indirectement, tous les secteurs subiront de lourdes conséquences négatives pouvant aller jusqu’à des licenciements importants.

Les CLCI demandent au Conseil fédéral de maintenir les négociations ouvertes avec les Etats-Unis pour obtenir la solution pragmatique la plus avantageuse possible. Elles expriment leur confiance dans les démarches entreprises par le Gouvernement et entendent sa volonté de renoncer à des contre-mesures punitives qui risqueraient effectivement d’aggraver davantage la situation. En parallèle, les CLCI demandent que le Conseil fédéral poursuive ses efforts diplomatiques afin de diversifier les relations avec d’autres partenaires commerciaux crédibles. Les CLCI attendent notamment un engagement fort des autorités fédérales pour concrétiser les accords bilatéraux avec l’UE, principal partenaire de la Suisse, afin d’offrir la stabilité tant attendue par les entreprises dans un contexte géopolitique incertain.

Les CLCI sont d’avis que des premières mesures temporaires comme des réductions de l’horaire de travail permettraient d’amortir le choc. Pertinentes certes, mais insuffisantes aux vues des circonstances qui imposent des améliorations significatives de nos conditions-cadres, tel qu’un allègement de la fiscalité, de la bureaucratie et des processus administratifs. Toute charge financière supplémentaire pour les entreprises serait particulièrement malvenue. Les chambres du commerce latines en appellent à la cohésion et l’unité nationale face à l’incertitude générale actuelle.

Regrettant et rejetant catégoriquement ce retour à un protectionnisme abusif, les CLCI s’engagent activement à défendre les intérêts des acteurs économiques latins, et plus largement suisses, ainsi qu’à préserver l’attractivité de la place économique du pays dans un contexte international volatil et chaotique.


USA: dazio “reciproco” del 39% sui prodotti svizzeri

Dal 7 agosto 2025, gli Stati Uniti innalzeranno al 39% il dazio reciproco applicato su tutte le importazioni di prodotti di origine svizzera. La nuova aliquota sostituisce quella del 10%, in vigore da aprile, e si aggiunge ai dazi MFN (Most Favoured Nation) già applicati.

Il nuovo dazio è stato formalizzato con l’Executive Order del 31 luglio 2025 (Further Modifying the Reciprocal Tariff Rates), che modifica l’impianto introdotto in aprile con l’Executive Order 14257, contenente la dichiarazione di emergenza economica. L’aliquota, inizialmente fissata al 10%, viene ora portata al 39% ad valorem, calcolata sul valore in dogana.

Il dazio del 39%:

  • si applica alle merci d’origine svizzera, indipendentemente dal Paese di spedizione;
  • è aggiuntivo rispetto ai dazi MFN già previsti nel sistema HTSUS (Harmonized Tariff Schedule of the United States);
  • entrerà in vigore alle ore 00:01 EDT del 7 agosto 2025;
  • non si applica alle merci già caricate a bordo prima di tale orario e immesse in consumo entro il 5 ottobre 2025 (che restano soggette all’aliquota precedente del 10%).

Restano escluse le categorie già indicate nell’Executive Order 14257, tra cui:

  • prodotti soggetti a misure specifiche ai sensi della Section 232 (acciaio, alluminio, automotive, rame);
  • altri beni esplicitamente elencati come esclusi nel testo originale.

Attenzione al transshipment: regole anti-elusione rafforzate

Il provvedimento include una clausola anti-elusione rigorosa: le spedizioni via Paesi terzi volte ad aggirare il dazio sono considerate una violazione grave.

In caso di transshipment irregolare:

  • il dazio sale automaticamente al 40%;
  • si applicano sanzioni secondo il 19 U.S.C. § 1592 e
  • qualsiasi altro dazio, tassa, imposta, prelievo o onere applicabile alle merci in base al Paese di origine.

Le aziende esportatrici devono quindi prestare massima attenzione alla tracciabilità e correttezza della documentazione (certificati d’origine, codifica doganale, prove logistiche).

Confronto internazionale

L’Allegato I dell’ordine esecutivo presenta un sistema di aliquote differenziate per Paese di origine. La Svizzera risulta tra i Paesi più penalizzati, terza dopo Siria (41%) e Laos/Myanmar (40%).

Per l’Unione europea, concorrente diretto dei prodotti svizzeri, si applica invece una struttura modulata:

  • se il dazio MFN è inferiore al 15%, si applica un dazio aggiuntivo per arrivare al 15% totale;
  • se il dazio MFN è pari o superiore al 15%, non si applica alcun dazio aggiuntivo.

Esempio pratico – Confronto prodotti di origine UE e CH:

  • prodotto UE con MFN 6% → dazio totale = 15% (aggiuntivo: 9%);
  • prodotto CH con MFN 6% → dazio totale = 45% (aggiuntivo: 39%).

Il differenziale tariffario (in questo caso del 30%) penalizza fortemente la competitività delle esportazioni svizzere.

Per i Paesi non menzionati nell’Allegato I, rimane in vigore l’aliquota aggiuntiva del 10% prevista dall’ordine esecutivo di aprile.

Prospettive e possibili evoluzioni

L’ordine esecutivo prevede la possibilità di rinegoziazione o revoca delle tariffe qualora gli Stati interessati, tra cui la Svizzera, concludano accordi commerciali o di sicurezza significativi con gli Stati Uniti.

Il Consiglio federale è ora chiamato a valutare contromisure diplomatiche e a riaprire il dialogo con Washington per tutelare l’accesso al mercato statunitense alle aziende elvetiche.


La Cc-Ti nei media

Il Consiglio federale proroga nuovamente la durata massima dell’indennità per lavoro ridotto

L’ordinanza modificata entra in vigore il 1° agosto 2025 e sarà valida fino al 31 luglio 2026.

Alla luce delle tensioni che caratterizzano le condizioni quadro dell’economia, il 14 maggio 2025 il Consiglio federale ha deciso di prolungare nuovamente la durata massima di riscossione dell’indennità per lavoro ridotto (ILR) da dodici a diciotto mesi. In questo modo le aziende potranno pianificare con maggior sicurezza.

L’ulteriore estensione della durata massima di riscossione dell’ILR si basa sugli ultimi dati del gruppo di esperti della Confederazione per le previsioni congiunturali. Nel 2025 e 2026 si prevede un leggero aumento del tasso di disoccupazione, al 2,8%. Non dovrebbe quindi verificarsi una ripresa del mercato del lavoro, ma sarebbero soddisfatte le disposizioni di legge per una proroga temporanea della durata massima d riscossione dell’ILR. Le aziende avranno così la possibilità di beneficiare dell’ILR fino a diciotto mesi, per i dipendenti che soddisfano i requisiti di ammissibilità.

È questa la risposta della Confederazione alla crescita dell’economia svizzera che si mantiene inferiore alla media, aggravata dalle incertezze internazionali che caratterizzano la politica commerciale ed economica. La decisione degli Stati Uniti del 2 aprile 2025 di imporre ulteriori dazi sui beni svizzeri ha fatto aumentare la probabilità che la congiuntura si sviluppi in modo meno favorevole di quanto previsto. L’industria dei macchinari, metalmeccanica ed elettrica (industria MEM) e l’orologeria sono settori particolarmente colpiti dalla persistente debolezza congiunturale, nonché particolarmente interessati a beneficiare dell’ILR.

Il prolungamento della durata per beneficiare dell’ILR offre a queste aziende una preziosa sicurezza per pianificare e adattarsi alla difficile situazione economica, ad esempio sfruttando nuove opportunità commerciali e mercati di vendita. L’obiettivo è di contrastare un’impennata della disoccupazione. In questo modo, le imprese possono conservare i propri effettivi a fronte di perdite di lavoro temporanee e quindi garantire i posti di lavoro. Sono inoltre allo studio ulteriori misure per alleggerire gli oneri amministrativi legati all’ILR.

Fonte: CF – https://www.news.admin.ch/it/newnsb/Vu1hEvH5KKVkZVC5PdkYF

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