Dalla gestione aziendale alla trasmissione

Intervista con Igor Pesciallo, Direttore Pesciallo Edilizia Cimiteriale SA

Prosegue il viaggio nelle voci dei corsisti che stanno frequentando il corso “Specialista della gestione PMI”.

Quali sono gli obiettivi che si è posto all’inizio del corso?

L’obiettivo principale era la pianificazione adeguata della successione aziendale per poter permettere una corretta gestione una volta acquisita l’azienda di famiglia. Vi sono altri obiettivi più personali che mi ero prefissato e riguardavano l’approfondimento della gestione aziendale, sia dal punto di vista burocratico-amministrativo che operativo. La questione che ritengo più importante è la corretta distribuzione del carico di lavoro, al fine di ottimizzare al meglio le risorse e garantire a me e ai miei collaboratori un sano equilibrio tra vita professionale e privata. A tal proposito, il modulo di ’organizzazione’ è stato particolarmente utile per apprendere la creazione di flussi di lavoro efficaci e la delega mirata dei compiti. Un altro obiettivo fondamentale era acquisire conoscenze aggiornate in linea con le attuali esigenze della gestione aziendale, così da poter introdurre soluzioni innovative all’interno del team.

Quale/i materia/e l’hanno maggiormente appassionata? Quale l’esperienza formativa maturata finora?

La materia che mi ha appassionato di più è stata la gestione generale d’impresa. Non essendo particolarmente incline allo studio mnemonico, ho trovato questa disciplina più accessibile perché tratta tematiche legate al contesto politico ed economico che ci circonda. Comprendere il funzionamento di determinati meccanismi mi ha permesso, ad esempio, di leggere con una prospettiva diversa alcuni articoli di giornale che in passato non avrei considerato interessanti.
Questo, a sua volta, mi ha dato nuovi spunti e idee utili per sviluppare soluzioni innovative in azienda.

In che modo ha conciliato l’attività professionale con lo studio?

Fortunatamente ho potuto ricavarmi dei momenti durante l’orario lavorativo per potermi preparare agli esami, ma chiaramente la sera a casa, e i week end soprattutto nelle settimane prima degli esami vanno sacrificati per lo studio.


Maggiori informazioni sul corso Specialista della gestione PMI:
https://www.cc-ti.ch/percorsi-formativi-gestione-aziendale/specialista-della-gestione-pmi-con-attestato-federale/

Obiettivo irraggiungibile

Proteggere il clima è un dovere di tutti noi.

Porre obiettivi ambiziosi è la via corretta che una società avanzata come la nostra deve moralmente imporsi per raggiungere il traguardo delle zero emissioni di gas a effetto serra. Imporre un obiettivo utopico senza minimamente preoccuparsi di come sia possibile raggiungerlo è sicuramente controproducente. La Svizzera, sulla scia di quanto deciso dalla Commissione Europea ha fissato come valore obiettivo per le emissioni di CO2 delle automobili nuove immatricolate in Svizzera a 93.6 gr./km per il 2025. Questo obiettivo, parte integrante della legge sulle emissioni di CO2 approvata dal popolo in votazione federale nel 2023 era quindi noto da tempo.
La situazione però, ad inizio 2025, non era molto chiara in quanto l’ordinanza di applicazione della nuova legge non era pronta. Come importatori di automobili svizzeri e come concessionari di vendita d’automobili, si è sperato fino all’ultimo che, vista la reticenza dei cittadini svizzeri ad acquistare nuove auto a propulsione puramente elettrica, e quindi a emissione zero di CO2, il Consiglio Federale, come è successo a livello europeo, rivedesse almeno in parte questo irraggiungibile obiettivo. E invece no, l’ordinanza è stata scritta e introdotta senza tener conto dell’impossibilità da parte del mercato dell’automobile svizzero di poterla rispettare rischiando sanzioni a fine anno dell’ordine di mezzo miliardo di franchi che inevitabilmente andranno a ricadere sui consumatori svizzeri. E come se tutto ciò non fosse sufficiente a mettere in ginocchio un intero settore, l’entrata in vigore dell’ordinanza emanata a marzo 2025 è pure retroattiva al 1° gennaio 2025.

La Svizzera sempre la prima della classe

Come spesso accade giustamente, la Svizzera spesso e volentieri si adegua a quelle che sono le normative europee. Siamo un piccolo mercato all’interno dell’Europa e non possiamo far altro che adeguarci. A volte però, come sta succedendo con la nuova legge sulle emissioni di gas serra, la Svizzera “deve” spingersi oltre e introdurre norme più severe e penalizzanti per cittadini e aziende come appunto è il caso questa volta. Se la Commissione Europea ha deciso di concedere un lasso di tre anni per raggiungere l’obiettivo di 93.6 gr./km di emissioni di CO2 per le nuove auto immatricolate, la Svizzera è rimasta bloccata sul principio che l’obiettivo va raggiunto nel 2025.

La decisione svizzera non può che portare ad una paralisi del mercato dove gli importatori e i concessionari ad un certo punto preferiranno non vendere una nuova automobile piuttosto che venderla rischiando poi pesanti sanzioni a fine anno. Una situazione inaccettabile.

Ma perché l’obiettivo è utopico

Per immaginare di raggiungere l’obiettivo di 93.6 gr./km di emissioni di CO2 bisognerebbe immatricolare nel 2025 in Svizzera almeno il 25% di automobili completamente elettriche e cioè a emissioni zero così da compensare le maggiori emissioni dei veicoli a diesel e benzina. Oggi la percentuale è di poco più della metà (in Ticino è addirittura poco più che un terzo) e quindi inimmaginabile, alle condizioni attuali, prevedere un raddoppio delle vendite entro la fine dell’anno.
L’obiettivo è quindi utopico e irraggiungibile con la conseguenza addirittura di peggiorare la situazione a livello di emissioni globali del parco circolante di automobili che diventano sempre più vecchie e inquinanti a causa del calo delle vendite di nuova automobili, anche a benzina, diesel o ibride, comunque più efficienti e pulite.
Quello che doveva essere un obiettivo ambizioso e a favore del clima si sta rivelando irraggiungibile e contro il clima.

Un mercato che non decolla

Quello dei veicoli a trazione totalmente elettrica è un mercato che, dopo anni di leggera ma costante crescita, a partire dallo scorso anno ha registrato una battuta d’arresto e le cifre di vendita ristagnano.
I motivi sono sempre gli stessi: i clienti si lamentano della scarsa autonomia, del costo di acquisto troppo elevato, la mancanza di modelli, la perdita di valore del veicolo in caso di permuta e il timore di non poter caricare la vettura in caso di viaggi all’estero. Tutte perplessità in buona parte infondate. A queste però ultimamente sembra esserne aggiunta una nuova: la sensazione che chi sta al potere in Europa e in Svizzera voglia obbligare i cittadini a d acquistare un’automobile totalmente elettrica a scapito di un’auto con motore a combustione. E si sa, alle persone gli obblighi risultano indigesti e a volte, come in questo caso, creano un effetto contrario. Peccato.

Perché è necessario intervenire

Il futuro della mobilità privata è sicuramente elettrico e questo per diversi motivi. Uno fra tutti è l’efficienza energetica delle propulsioni elettriche nettamente superiore alle propulsioni endotermiche (benzina e diesel). Un motore elettrico ha un’efficienza che supera tranquillamente il 90% (ciò significa che almeno il 90% dell’energia caricata nelle batterie viene sfruttata per muovere il veicolo e solo meno del 10% va dispersa in calore), mentre un motore a combustione interna, nella migliore delle ipotesi, raggiunge un rendimento del 35% con uno spreco di energia, che se ne va in calore, del 65%. Impressionante.
Con la sempre maggiore fame di energia a livello globale è quindi indispensabile che questa venga utilizzata in maniera sempre più efficienza e con meno spreco possibile e la mobilità privata elettrica darà il suo contributo su questo importante aspetto.


A cura di Marco Doninelli, Responsabile Mobilità Cc-Ti

Il Consiglio federale proroga nuovamente la durata massima dell’indennità per lavoro ridotto

Alla luce delle tensioni che caratterizzano le condizioni quadro dell’economia, il 14 maggio 2025 il Consiglio federale ha deciso di prolungare nuovamente la durata massima di riscossione dell’indennità per lavoro ridotto (ILR) da dodici a diciotto mesi. In questo modo le aziende potranno pianificare con maggior sicurezza. L’ordinanza modificata entrerà in vigore il 1° agosto 2025 e sarà valida fino al 31 luglio 2026.

L’ulteriore estensione della durata massima di riscossione dell’ILR si basa sugli ultimi dati del gruppo di esperti della Confederazione per le previsioni congiunturali. Nel 2025 e 2026 si prevede un leggero aumento del tasso di disoccupazione, al 2,8%. Non dovrebbe quindi verificarsi una ripresa del mercato del lavoro, ma sarebbero soddisfatte le disposizioni di legge per una proroga temporanea della durata massima d riscossione dell’ILR. Le aziende avranno così la possibilità di beneficiare dell’ILR fino a diciotto mesi, per i dipendenti che soddisfano i requisiti di ammissibilità.

È questa la risposta della Confederazione alla crescita dell’economia svizzera che si mantiene inferiore alla media, aggravata dalle incertezze internazionali che caratterizzano la politica commerciale ed economica. La decisione degli Stati Uniti del 2 aprile 2025 di imporre ulteriori dazi sui beni svizzeri ha fatto aumentare la probabilità che la congiuntura si sviluppi in modo meno favorevole di quanto previsto. L’industria dei macchinari, metalmeccanica ed elettrica (industria MEM) e l’orologeria sono settori particolarmente colpiti dalla persistente debolezza congiunturale, nonché particolarmente interessati a beneficiare dell’ILR.

Il prolungamento della durata per beneficiare dell’ILR offre a queste aziende una preziosa sicurezza per pianificare e adattarsi alla difficile situazione economica, ad esempio sfruttando nuove opportunità commerciali e mercati di vendita. L’obiettivo è di contrastare un’impennata della disoccupazione. In questo modo, le imprese possono conservare i propri effettivi a fronte di perdite di lavoro temporanee e quindi garantire i posti di lavoro. Sono inoltre allo studio ulteriori misure per alleggerire gli oneri amministrativi legati all’ILR.


Fonte: CF – https://www.news.admin.ch/it/newnsb/Vu1hEvH5KKVkZVC5PdkYF

Articolo precedente pubblicato dal DFE

Polonia: certificati d’origine digitali

Dal 6 maggio 2025, la Polonia ha introdotto l’emissione digitale dei certificati d’origine non preferenziale per le esportazioni.

Questa novità semplifica le procedure per gli esportatori polacchi, che possono ora richiedere e ricevere i certificati in formato digitale tramite la piattaforma online co.kig.pl.

Un esempio di certificato digitale è disponibile qui.

La Camera di commercio polacca ha predisposto un sistema sicuro: ogni certificato emesso è dotato di un codice QR, un ID e un PIN univoci. Gli importatori possono verificarne l’autenticità attraverso il sito co.kig.pl/verify o mediante la piattaforma di verifica della Camera di Commercio Internazionale (ICC).

Gli esportatori polacchi possono richiedere anche una copia cartacea del certificato, se necessario.

Documenti utili:

Circolare della Camera di commercio polacca del 17 aprile 2025

Sospensione temporanea dei dazi USA-Cina

Gli Stati Uniti e la Cina hanno raggiunto un accordo per ridurre reciprocamente i dazi doganali per un periodo di 90 giorni, a partire da oggi, mercoledì 14 maggio 2025. Gli Stati Uniti abbassano le tariffe sulle importazioni cinesi dal 145% al 30%, mentre la Cina riduce le tariffe sui prodotti statunitensi dal 125% al 10%.

A seguito dei colloqui bilaterali tenutisi a Ginevra, è stata emessa una dichiarazione congiunta, seguita dall’Executive Order 14298 firmato dal Presidente Trump, che modifica ufficialmente i dazi doganali statunitensi sulle importazioni dalla Repubblica Popolare Cinese (incluse Hong Kong e Macao). A partire dal 14 maggio 2025 e per i successivi 90 giorni, viene sospesa una parte dei dazi addizionali precedentemente imposti alla Cina: i dazi reciproci specifici per Paese (che per i prodotti cinesi, inclusi Hong Kong e Macao, è del 125%) sono congelati e sostituiti con un dazio ad valorem del 10%.

In dettaglio, gli Stati Uniti sospendono parzialmente il dazio aggiuntivo reciproco del 34% applicato a Cina, Macao e Hong Kong, riducendolo di 24 punti percentuali per 90 giorni. Rimane in vigore il dazio residuo del 10%, introdotto con l’ordine esecutivo 14257 del 2 aprile 2025. Contestualmente, vengono revocate le tariffe addizionali stabilite con gli ordini esecutivi 14259 e 14266 dell’8 e 9 aprile 2025, che avevano aumentato l’aliquota dei dazi rispettivamente all’84% e al 125%. Scaduti i 90 giorni, i dazi potranno essere ripristinati al 34%.

Si ricorda che il dazio del 10% si aggiunge al dazio del 20% introdotto in precedenza per affrontare il problema del traffico di fentanyl.

Questa misura non ha effetto retroattivo e si applica solo alle importazioni effettuate a partire dal 14 maggio 2025. Rimangono altresì in vigore le misure specifiche previste dalle Sezioni 301 e 232 della normativa commerciale USA, che riguardano categorie di prodotti, come acciaio, alluminio, automobili e componenti.

Gli Stati Uniti mantengono in vigore il cosiddetto “dazio sul fentanyl” del 20%.

L’ordine esecutivo potrebbe segnare una riduzione delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, ma – per gli Stati Uniti – la sospensione dei dazi dipende dall’impegno della Cina a risolvere le problematiche commerciali sollevate. Se la Cina non adotterà misure concrete per correggere gli squilibri commerciali, gli Stati Uniti si riservano infatti il diritto di reintrodurre o aumentare i dazi.

La Cina, dal canto suo, ha confermato la riduzione dei dazi sulle importazioni provenienti dagli Stati Uniti dal 125% al 10%. La nazione asiatica sospende il dazio aggiuntivo del 34% previsto nell’Avviso 4/2025 della Commissione tariffaria per un parziale del 24% per 90 giorni, mantenendo un dazio del 10%. Sono inoltre revocate le misure aggiuntive introdotte con gli Avvisi 5/2025 e 6/2025, che avevano progressivamente innalzato i dazi all’84% e successivamente al 125% sulle importazioni provenienti dagli Stati Uniti.

Strategia ESG: un investimento per la sostenibilità ed il ritorno economico

Negli ultimi anni, la sostenibilità è passata dall’essere una scelta opzionale dettata da considerazioni etiche o ambientali, a rappresentare uno dei principali drivers strategici per la competitività aziendale e la resilienza a lungo termine.

Oggi le aziende che integrano con metodo e visione i principi ambientali, sociali e di governance non solo contribuiscono a un impatto positivo sul pianeta e sulle comunità, ma gestiscono meglio i rischi e hanno una performance finanziaria superiore, generando un ritorno economico concreto.
Costruire una strategia ESG non significa semplicemente aggiungere una voce al bilancio di sostenibilità, ma ripensare in chiave responsabile l’intero modello di business. Le imprese che intendono affrontare in modo proattivo le sfide ambientali, sociali e normative devono partire da un percorso ben definito, che si articola in cinque fasi. La prima è l’analisi di materialità, in cui si individuano i temi ESG più rilevanti per l’organizzazione e i suoi stakeholder. Si passa poi alla definizione della visione ESG, creando un framework strategico coerente con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) e con i principali standard internazionali.
La fase di sviluppo della strategia prevede l’identificazione di obiettivi misurabili, indicatori di performance (KPI) e piani d’azione distribuiti nel tempo. L’implementazione e il monitoraggio richiedono il coinvolgimento delle funzioni aziendali, un’allocazione mirata delle risorse e l’utilizzo di strumenti adeguati alla raccolta e l’analisi dei dati. Infine, la comunicazione e la trasparenza sono fondamentali: report ESG, certificazioni e l’adesione a iniziative internazionali aumentano la credibilità e favoriscono il dialogo con gli stakeholder.

Adottare una strategia ESG (Ambientale, Sociale, Governance) offre benefici che vanno ben oltre la semplice conformità normativa, estendendosi all’intera catena del valore aziendale.

Una solida governance in ambito ESG si traduce innanzitutto in una migliore gestione del rischio.
Le aziende con un forte focus su questi aspetti sono spesso più efficaci nell’identificare e mitigare potenziali rischi ambientali (come l’impatto di eventi climatici), sociali (legati alla reputazione aziendale o ai rapporti con i dipendenti) e di governance (prevenendo scandali o pratiche discutibili). Questa capacità non solo riduce l’esposizione a rischi legali e danni d’immagine, ma aumenta anche la resilienza di fronte a crisi e cambiamenti normativi, potendo inoltre contribuire a un minor costo del capitale.

L’impegno verso i criteri ESG potenzia significativamente anche l’efficienza operativa. L’attenzione all’uso consapevole delle risorse porta a una razionalizzazione dei processi, a risparmi energetici tangibili e a una riduzione degli sprechi, con un impatto diretto sulla diminuzione dei costi e sull’aumento della produttività. Parallelamente, l’adozione di buone pratiche sociali contribuisce a migliorare il clima aziendale, la produttività dei dipendenti e a ridurre il turnover del personale.

Inoltre, le aziende con una forte identità sostenibile risultano più appetibili per gli investitori. Un numero sempre crescente di fondi e investitori integra attivamente i criteri ESG nelle proprie valutazioni, premiando le imprese capaci di generare performance durature e responsabili facilitando l’accesso al capitale per le realtà più virtuose.

L’integrazione dei principi ESG funge anche da stimolo per l’innovazione, incoraggiando lo sviluppo di soluzioni, tecnologie e modelli di business più sostenibili e orientati al futuro.
Infine, la trasparenza che accompagna un serio impegno ESG rafforza la fiducia di clienti, dipendenti e partner, migliorando la reputazione del marchio, attraendo talenti e favorendo la costruzione di relazioni solide e di lungo periodo.

Le aziende con alte performance ESG tendono a ottenere rendimenti superiori rispetto ai concorrenti meno sostenibili. Il ritorno sull’investimento si manifesta in molteplici forme. Le aziende sostenibili vedono dunque crescere il fatturato grazie alla preferenza dei consumatori per brand etici, mentre riducono i costi operativi con interventi di efficienza energetica e ottimizzazione delle risorse.
Attraggono talenti, investitori e fondi ESG, coniugando profittabilità e impatto positivo. Una solida reputazione ESG rafforza la stabilità sul mercato e aumenta il valore dell’impresa.
Integrare la sostenibilità nella strategia aziendale non è più dunque una scelta che permette la semplice differenziazione, ma un requisito per la sopravvivenza e il progresso. In settori come il MedTech, ma anche nell’industria manifatturiera, nei servizi finanziari e nella logistica, l’adozione di un approccio ESG rappresenta la base per costruire modelli resilienti, flessibili e orientati al futuro.
L’attenzione crescente delle istituzioni, dei consumatori e degli investitori verso la sostenibilità rende necessario un cambio di paradigma: passare dalla reattività alla proattività, facendo della sostenibilità un pilastro del valore d’impresa.
È solo in questo modo che le aziende possono garantire una crescita solida, generare impatto positivo e contribuire attivamente alla transizione verso un’economia più equa, inclusiva e rigenerativa.


A cura di Giovanni Facchinetti, Managing Partner, Positive Organizations

Dall’idea all’impresa: pianifica, finanzia e valuta il tuo progetto

Mercoledì 7 maggio ha avuto luogo la serata informativa “Dall’idea all’impresa: pianifica, finanzia e valuta il tuo progetto,” organizzata dall’Ente Regionale per lo Sviluppo del Luganese (ERSL) in collaborazione con il servizio cantonale interdipartimentale Fondounimpresa, dedicata in particolare ai (futuri) micro imprenditori. 

Durante la serata sono stati presentati gli attori e gli strumenti che possono offrire supporto nel trasformare una buona idea in un progetto solido, con la la partecipazione di:

  • Dante Caprara, dell’Ufficio per lo sviluppo economico, il quale ha esposto una panoramica delle principali misure adottate dal Cantone a sostegno della micro-imprenditorialità, 
  • Manuela Guggiari, Direttrice direttrice dell’Istituto della formazione continua del DECS, la quale ha presentato gli accopagnamenti e i servizi messi a disposizione dal servizio cantonale interdipartimentale (DECS/DFE) Fondounimpresa,
  • Roberta Angotti Pellegatta, Direttrice dell’ERSL, la quale ha presentato il supporto offerto dell’Ente ai progetti nel Luganese, con un focus in particolare sulle possibilità di finanziamento, come il Fondo di Promozione Regionale del Luganese (FPRL) che per il 2025 dispone di CHF 500’000 a favore di progetti nella regione e la piattaforma di crowdfunding Progettiamo.ch
  • Laura Arata, dell’Aiuto svizzero alla montagna (Berghilfe), la quale ha esposto le possibilità di finanziamento per le imprese e associazioni nelle regioni montane,
  • Salvatore Vitale, Responsabile Svizzera italiana di CFSud, che ha mostrato come la cooperativa di fideiussione per PMI possa sotenere queste realtà nella realizzazione di progetti facilitando l’accesso al credito bancario,
  • Sergio Trabattoni, CSR Manager della Cc-Ti, che ha presentato il rapporto di sostenibilità semplificato quale strumento ideale per permettere anche a piccole realtà con risorse a disposizione limitate di mostrare il proprio impegno in questo ambito, investendo così sulla propria reputazione e ottenendo un vantaggio competitivo.

Fonte: ERSL – Ente Regionale per lo Sviluppo del Luganese

La tassa (imposta) italiana sulla salute

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

Nella legge italiana di bilancio 2024 è stato previsto un cosiddetto contributo di compartecipazione alla spesa sanitaria, comunemente chiamata tassa sanitaria, a carico dei vecchi frontalieri, ovvero di quei lavoratori il cui permesso di lavorare in Svizzera è antecedente al 17 luglio 2023.

L’applicazione effettiva dipende dall’adozione delle norme attuative da parte delle Regioni italiane, norme preannunciate entro la fine del 2025.
Stando alle informazioni ufficiose raccolte presso fonti comunque ufficiali, una variante di applicazione potrebbe essere indipendente dal fatto che i frontalieri abbiano ricevuto o meno servizi sanitari su suolo italiano. Con la citata tassa l’Italia intende incassare soldi per finanziare i salari del personale sanitario di frontiera al fine di frenare il relativo esodo verso la Svizzera. Questo è lo scopo dichiarato che può essere perseguito solo con una tassa non causale, da un’imposta dunque, in quanto permette di incassare denaro non vincolato e senza fornire controprestazioni specifiche. Se invece la tassa fosse causale servirebbe a coprire le spese di una prestazione concreta e non lascerebbe alcun margine per sovvenzionare i salari del personale sanitario. In altre parole, con una tassa causale l’Italia non potrebbe perseguire il suo obiettivo, in quanto l’incasso sarebbe esclusivamente destinato a coprire le spese effettivamente sostenute. È quindi molto verosimile che questo balzello sarà strutturato come un’imposta vera e propria, prelevata sul reddito di tutti i vecchi frontalieri, in modo generale e progressivo.

Il nuovo Accordo sulla fiscalità dei frontalieri attualmente in vigore ed applicato dal 2024 all’art.9 prevede però che i “vecchi” frontalieri restano imponibili soltanto in Svizzera. L’Italia non può pertanto prelevare alcuna imposta a loro carico, restando la competenza impositiva esclusivamente a beneficio della Svizzera.

Ne consegue che, se l’Italia adottasse misure attuative che strutturano il prelievo a carico dei frontalieri in modo non causale (come un’imposta) violerebbe, con tale misura, il citato accordo firmato con la Svizzera e appena entrato in vigore.
L’entrata in vigore di questa nuova imposta italiana rischia di interferire negativamente nei rapporti tra datori di lavoro e i dipendenti, riducendo a questi ultimi parte del salario netto guadagnato in Svizzera. Tale diminuzione potrà indurre questi dipendenti a chiedere ai datori di lavoro una compensazione finanziaria della perdita. Non è quindi escluso che, alla fine, saranno i datori di lavoro ticinesi, o almeno una parte di essi, a doversi sobbarcare questa nuova imposta italiana.

Per questa ragione è importante vigilare sulle normative di attuazione che saranno prossimamente adottate e mantenere alta la pressione politica affinché l’attuazione di questo contributo non sia in contrasto con gli impegni assunti dall’Italia nei nostri confronti.

Scopri il Servizio giuridico della Cc-Ti!

Project Management: il motore invisibile della crescita e dell’innovazione

I progetti rappresentano il veicolo principale attraverso cui l’innovazione si traduce in azione all’interno delle organizzazioni.

A differenza delle attività operative, che assicurano la continuità e la stabilità dei processi esistenti, i progetti servono a introdurre cambiamenti: nuovi prodotti, nuovi servizi, ma anche innovazioni di processo che migliorano l’efficienza e la qualità del lavoro. Ogni evoluzione, ogni risposta a un’esigenza di mercato, prende vita attraverso un progetto.

È grazie ai progetti che le strategie si trasformano in risultati concreti, che l’adattamento diventa reale e che l’innovazione si rende visibile. Governare i progetti con competenza significa guidare il cambiamento, creando le condizioni non solo per la sopravvivenza, ma per il successo duraturo delle organizzazioni in un contesto sempre più dinamico.

Negli ultimi anni, il project management si è affermato come leva strategica fondamentale, trainato dalla complessità crescente degli scenari economici, sociali e tecnologici. In un contesto dove il cambiamento è rapido, l’innovazione continua e l’incertezza perenne, la gestione dei progetti ha smesso di essere una funzione meramente operativa per diventare un elemento essenziale della visione strategica delle organizzazioni. Non si parla più soltanto di controllare tempi, costi e qualità: il project management è oggi parte integrante dei processi decisionali, capace di incidere sulla capacità di innovare, adattarsi e generare valore in modo concreto e duraturo.

Negli ultimi vent’anni, la crescita della disciplina è stata esponenziale. Sempre più aziende hanno compreso che il successo non nasce solo da buone idee, ma dalla capacità di trasformarle in risultati concreti attraverso una gestione efficace e coordinata. Questa consapevolezza ha portato a una crescente domanda di professionisti in grado di combinare competenze tecniche, capacità analitiche, leadership e gestione del cambiamento. La figura del project manager si è evoluta di pari passo, passando da esecutore di piani a protagonista delle strategie di innovazione.

Uno dei fattori chiave di questa evoluzione è stata l’adattabilità. I modelli tradizionali, inizialmente rigidi e sequenziali, si sono trasformati integrando approcci più agili e flessibili, capaci di rispondere alle esigenze di mercati in continuo movimento. Questa trasformazione ha reso il project management uno strumento estremamente versatile, adatto sia alle grandi multinazionali sia alle startup in fase di sviluppo. L’approccio ibrido, che unisce pianificazione rigorosa e capacità di reazione veloce, ha dimostrato di essere una delle risposte più efficaci alla crescente complessità degli ecosistemi economici.

L’importanza della gestione dei progetti non si limita al perimetro delle singole organizzazioni. I Paesi che investono nella formazione dei project manager e nella cultura della gestione per progetti mostrano una maggiore competitività, attraggono più investimenti esteri e registrano una crescita economica più robusta. È ormai evidente che la capacità di gestire progetti complessi ha effetti positivi non solo sul successo aziendale, ma anche sullo sviluppo socioeconomico generale.

Oggi il project management è diventato una lingua comune tra settori diversi. Dalle industrie manifatturiere ai servizi finanziari, dalla pubblica amministrazione alle organizzazioni no-profit, la gestione per progetti favorisce una maggiore collaborazione, una migliore tracciabilità e una più chiara responsabilizzazione dei team. Questo modo di operare riduce gli sprechi, aumenta la trasparenza e migliora la coerenza nell’uso delle risorse, creando una base solida su cui costruire il successo.

Uno dei segnali più forti della maturazione del project management è il suo crescente coinvolgimento nei processi di definizione strategica. Sempre più spesso, chi gestisce i progetti siede ai tavoli dove si prendono le decisioni cruciali, offrendo contributi basati su dati concreti, analisi dei rischi e valutazioni di impatto. In questo modo, il project management aiuta a ridurre l’incertezza, migliora la qualità delle scelte e assicura che ogni iniziativa sia allineata agli obiettivi a lungo termine dell’organizzazione.

Anche l’adozione delle nuove tecnologie ha avuto un ruolo trasformativo. L’intelligenza artificiale, l’automazione dei processi decisionali, la tracciabilità sicura delle informazioni e la simulazione virtuale dei progetti stanno cambiando profondamente il modo di pianificare, monitorare e gestire. Questi strumenti rendono possibile una gestione più predittiva, flessibile ed efficiente, rafforzando il ruolo strategico del project management come motore di innovazione e adattamento.

Il project manager di oggi non è più solo un controllore di tempi e budget. È un promotore dell’innovazione, un orchestratore del cambiamento e un catalizzatore della cultura del miglioramento continuo. Il suo compito non è solo assicurare che un progetto si concluda nei termini previsti, ma soprattutto garantire che ogni progetto sia un passo concreto verso la realizzazione della missione aziendale.

Guardando al futuro, il valore strategico del project management è destinato a crescere ulteriormente. In un mondo sempre più interconnesso e dinamico, la capacità di gestire il cambiamento attraverso progetti ben condotti rappresenterà un vantaggio competitivo imprescindibile.

È grazie ai progetti che le strategie si trasformano in risultati concreti

Investire nello sviluppo di competenze manageriali avanzate, integrare le potenzialità delle tecnologie emergenti e promuovere una cultura fortemente orientata ai progetti diventerà una necessità vitale. Non si tratterà più di una scelta, ma di una condizione essenziale per prosperare nella nuova economia globale. Il project management non è più soltanto una disciplina organizzativa: è uno dei pilastri su cui costruire il futuro delle organizzazioni e delle società.


A cura del Prof. Antonio Bassi, Presidente Associazione Project Management Svizzera

Accessibilità digitale: l’onda lunga della Direttiva Europea arriva anche in Svizzera

A partire dal 28 giugno 2025, l’European Accessibility Act (EAA – Direttiva UE 2019/882) entrerà in vigore nell’Unione Europea. L’impatto per il mercato elvetico sarà tutt’altro che secondario. Vediamo perché.

Cosa prevede l’Accessibility Act

La Direttiva impone che prodotti e servizi digitali – tra cui siti web, e-commerce, terminali self-service, app mobile, lettori e-book, servizi bancari e di trasporto – rispettino criteri di accessibilità funzionale. In pratica: dovranno essere percepibili, utilizzabili, comprensibili e robusti per tutti, comprese le persone con disabilità, entro il 28 giugno di quest’anno; non sono previsti periodi di tolleranza. Le sanzioni variano da Paese a Paese e vanno dall’oscuramento del servizio fino a multe salate (in Italia fino al 5% del fatturato annuo).

Un esempio: i non vedenti navigano i siti web grazie a software chiamati „screen reader“ che leggono a voce alta il testo e descrivono gli elementi visivi; è quindi indispensabile che le immagini siano state caricate con descrizioni alternative (alt text) che gli screen reader possano leggere. Indicazioni come questa, ispirazione della nuova legge, si rifanno alle linee guida WCAG 2.1 (Web Content Accessibility Guidelines), standard internazionale per rendere il Web accessibile anche ai portatori di disabilità visiva, auditiva, cognitiva, o motoria. Sono state sviluppate dal World Wide Web Consortium (W3C), organizzazione non governativa internazionale fondata da Tim Berners-Lee per valorizzare e diffondere le potenzialità del Web.

La situazione in Svizzera

Attualmente, l’Accessibilità dei siti web è un requisito obbligatorio per le istituzioni pubbliche, che sono tenute a riferirsi alle linee guida WCAG; per il settore privato, la situazione è più complessa: le aziende private non possono discriminare i dipendenti o il pubblico, ma non sono tenute ad adottare misure speciali per fornire i propri servizi ai portatori di disabilità.

Anche qui qualcosa sta cambiando: la proposta di modifica della legge sui disabili (LDis) dello scorso dicembre mira a una maggiore inclusività. Secondo l’Ufficio federale di statistica, circa il 21% della popolazione svizzera vive con una forma di disabilità; nella UE, la percentuale sale al 27% ossia un adulto su quattro sopra i 6 anni. La nuova normativa europea potrebbe quindi fungere da ispirazione anche per il Legislatore svizzero: pensiamo al precedente del GDPR, a cui è seguita la nLPD. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che, se un sito web svizzero si rivolge anche a un pubblico Europeo, deve necessariamente essere conforme alla Direttiva EAA.

Cosa significa “accessibile” per un sito web?
Anche in questo caso, ci viene in soccorso la W3C, che stabilisce 4 principi fondamentali: per essere accessibile, un sito web deve essere:

  • Percepibile: il contenuto deve essere presentabile agli utenti, inclusi quelli con disabilità sensoriali (es. testo alternativo per le immagini per non
    vedenti, netto contrasto tra colore dei caratteri e colore dello sfondo per gli ipovedenti, ecc.).
  • Utilizzabile: i componenti e la navigazione devono essere utilizzabili da tutti, indipendentemente dalle capacità motorie o cognitive.
  • Comprensibile: il contenuto deve essere chiaro e facile da comprendere, con un linguaggio semplice e una struttura logica.
  • Robusto: il contenuto deve essere interpretabile correttamente da diversi strumenti (browser, screen reader, ecc.) e tecnologie assistive.

Queste caratteristiche migliorano il rendimento del sito. E non solo agli occhi degli utenti.

Accessibilità e SEO: un binomio vincente

Ecco 5 punti da seguire per rendere il proprio sito web più accessibile:

  1. Condurre un audit di accessibilità: valutare lo stato attuale del sito rispetto alle linee guida WCAG 2.1.
  2. Implementare miglioramenti tecnici: apportare le modifiche necessarie alla struttura e ai contenuti per garantire l’accessibilità.
  3. Integrare strumenti per migliorare la navigazione, come widget che permettono agli utenti di personalizzare la fruizione del sito (es. navigazione da mobile con una sola mano).
  4. Cambiare i processi consolidati nelle attività continuative, come la pubblicazione di postblog (es. curare l’impostazione di testi e metatesti);
  5. Formare il personale: assicurarsi che designer, sviluppatori e content editor siano consapevoli delle best practice in materia di accessibilità, in modo da remare tutti nella stessa direzione.

Un punto di svolta

L’entrata in vigore dell’European Accessibility Act rappresenta un momento cruciale per le aziende svizzere. Adeguarsi agli standard di accessibilità non è solo una questione di conformità legale, ma un’opportunità per migliorare la propria presenza online, raggiungere un pubblico più ampio e dimostrare un impegno verso l’inclusività. Investire nell’accessibilità oggi significa prepararsi a un futuro digitale più equo.


Articolo a cura di Manuela Cuadrado, Account Manager Breva Digital Communication Sagl