in·no·va·zió·ne

L’innovazione esiste da sempre. Ogni periodo storico continua a perseguire la costante di essere più innovativo del precedente, indipendente dalla portata del suo apporto. È innovativo tutto ciò che si modifica con una chiara missione (non sempre in meglio).

Le aziende, e tra queste soprattutto le PMI, devono permanentemente adattare i suoi prodotti o servizi e crearne di nuovi per poter restare al meglio sul mercato. E questo ha, inevitabilmente, un impatto anche sulla struttura dell’azienda, che deve anche essere sempre modificata e adattata. La pandemia l’ha dimostrato chiaramente.

Quattro tipi di innovazione basilari

L’innovazione avviene in aree molto diversificate e in numerose modalità diverse. L’Oslo Innovation Handbook, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) aggiorna continuamente questi parametri, insieme all’Ufficio Statistico dell’UE (Eurostat), offrendo un buon orientamento. Parla di innovazione in termini di prodotto, processi, organizzazione e marketing. Secondo l’Handbook, i termini innovazione di prodotto e innovazione di processo esistono dagli anni ‘40. Termini come marketing e innovazione organizzativa, invece, si sono affermati solo una decina di anni fa. Ad essi si aggiungono alcuni termini che sono emersi con la crescente digitalizzazione.

Innovazione di prodotto

Poiché l’innovazione del prodotto è al centro di tutta l’attività economica, la maggior parte dei sottotipi si sviluppa in questo ambito. Il rinnovamento o l’invenzione di materiali, i servizi o processi tecnici è probabilmente la forma più conosciuta di innovazione. Il primo sottogruppo è formato da innovazioni radicali. Si tratta di nuove idee e invenzioni che creano nuovi mercati e, spesso, sono relativamente rischiose. A questo contesto appartiene la forma specifica di innovazione dirompente: un prodotto completamente
nuovo irrompe su mercati consolidati o addirittura li fa scomparire. Un esempio potrebbe essere l’automobile, che più di cento anni fa ha causato la fine graduale dei costruttori di carrozze e del relativo mestiere di cocchiere. L’auto elettrica, d’altra parte, è un’innovazione radicale ma preservante per l’industria automobilistica. Tuttavia, si rivela “scomoda” per l’industria petrolifera. Molto più comuni in termini di prodotti sono le innovazioni incrementali: rappresentano l’ulteriore sviluppo e l’ottimizzazione di prodotti, servizi o modelli già esistenti e conosciuti. Questi adattamenti servono spesso a ridurre i costi, ottimizzare i benefici per i clienti o riposizionare l’azienda sul mercato. Questa area di innovazione è generalmente la più utilizzata e perseguita. Un tipo speciale di innovazione di prodotto coinvolge sviluppi parziali che rientrano nel termine innovazione delle prestazioni: nuove idee sono sviluppate per mercati o bisogni conosciuti. Questo si traduce in prodotti con nuove funzioni e caratteristiche nonché talvolta con un nuovo gruppo di target. Queste innovazioni sono sviluppate dall’azienda stessa o acquistate tramite brevetto o licenza. Molte innovazioni tecniche della digitalizzazione si trovano qui. Esempi di innovazione delle prestazioni sono i seguenti: la già citata auto elettrica, i telefoni cellulari al posto dei telefoni fissi, gli smartphone al posto dei “vecchi” telefoni cellulari, una nuova varietà nella gamma di un produttore di birra, le nuove scarpe da corsa di una marca di articoli sportivi che possono essere personalizzate per mezzo di programmi digitali e stampanti 3D, un nuovo shampoo con una formula di prestazioni migliorata o computer portatili che hanno una costruzione particolarmente robusta. Le innovazioni di prodotto si verificano anche quando un’idea o un prodotto esistente crea mercati d’uso completamente nuovi. Tali innovazioni applicative sono naturalmente più rare. Un esempio potrebbe essere il sempre popolare “Post-it”: è nato dallo sviluppo di un adesivo che, contro ogni aspettativa, purtroppo, ma poi per fortuna, si staccava troppo rapidamente.

Innovazione di processo

Quando si tratta di migliorare i processi interni, si parla di innovazione di processo. I processi di produzione, i sistemi e altre procedure operative vengono cambiati, riprogettati ottimizzati in modo innovativo attraverso l’introduzione delle nuove tecnologie. L’obiettivo è quello di organizzare il processo aziendale in un modo meglio spendibile commercialmente, orientato al cliente, più veloce, più flessibile e più sicuro. I miglioramenti orientati al processo possono essere innovazioni tecniche, come per esempio, l’incollaggio invece dell’avvitamento nella produzione di automobili, risparmiando peso e costi. Nel caso delle innovazioni organizzative, si possono annotare semplificazioni, ad esempio, quando le fatture cartacee vengono sostituite da fatture elettroniche, risparmiando così tempo e costi di spedizione. Questo si applica generalmente alle attività amministrative come le prenotazioni, le transazioni bancarie o la conclusione di contratti, che possono essere fatte più rapidamente online o tramite smartphone. Anche i processi logistici come la vendita e la distribuzione o i processi della catena di approvvigionamento sono notevolmente facilitati dai processi online.

Innovazione organizzativa

Fortemente legata all’innovazione di processo è l’innovazione organizzativa o strutturale. Da un lato, l’attenzione è rivolta all’introduzione di nuovi metodi nei processi aziendali: un esempio sono misure pensate per decentrare le decisioni o la creazione di un’organizzazione di gestione dei progetti più efficace. Lo scopo di questo tipo di innovazione è quindi quello di rendere più performante il lavoro e la cooperazione dei propri dipendenti. Ma si tratta anche di nuove forme di organizzazione del lavoro e di relazioni esterne con altre aziende o istituzioni. Le parole chiave qui sarebbero alleanze, accordi di cooperazione o integrazione dei fornitori.

Innovazione di marketing e del mercato

Al giorno d’oggi, la digitalizzazione e la globalizzazione portano a cambiamenti di mercato sempre più rapidi e frequenti. Pertanto, diventa sempre più importante integrare questi sviluppi anche in termini di comunicazione. I consumatori di solito non esitano a lungo a notare e attivare nuovi modi di comunicazione nonché di acquisto. E’ necessario introdurre metodi di marketing e di vendita che si differenziano da tutti i concorrenti. Particolare attenzione deve essere anche dedicata al design dei prodotti e alle tecniche pubblicitarie che mutano in modo veloce e costante. Lo stesso per sempre nuovi canali di distribuzione e forme di politica dei prezzi. Questo tipo di innovazione orientata al marketing si appaia all’innovazione di mercato.

Innovazione sociale e innovazione agile

La variante dell’innovazione sociale si orienta sull’area HR di un’azienda. Da un lato, si tratta di cambiamenti per quanto riguarda l’atmosfera di lavoro e la creazione di condizioni di lavoro sicure e adatte ai bisogni delle persone. Le innovazioni che sono descritte con il termine “sviluppo delle risorse umane” rafforzano la realizzazione di programmi formazione differenziati e puntuali. L’obiettivo è quello di adottare programmi di qualificazione o di riqualifica per i dipendenti e fidelizzarli. Allo stesso tempo agevolarli nel concetto lavoro-privato o soddisfazione personale. L’innovazione agile si lega, spesso, all’innovazione sociale: si prefigge di rispondere ai cambiamenti implementando parallelamente tecnologia e area personale.

in·no·va·zió·ne

Sono infinite le varietà di innovazione che possiamo rappresentare o considerare, ma con un’unica costante: l’innovazione non si ferma mai e si interconnette con tutte le sue declinazioni.

Il congedo sabbatico

Il concetto di “congedo sabbatico” è sempre più diffuso in Svizzera. Il datore di lavoro beneficia del ritorno al lavoro di dipendenti riposati e motivati. Di norma, il rapporto di lavoro è sospeso durante il periodo sabbatico, il che significa che il reddito e l’obbligo di contribuzione agli istituti assicurativi e pensionistici vengono meno.

Ciò influisce sulla copertura assicurativa e sulla pensione del dipendente. Mentre gli anni sabbatici pagati non sono quasi un problema, gli anni sabbatici non pagati pongono sempre problemi legali per il datore di lavoro. Questo articolo si occupa quindi degli obblighi del datore di lavoro in termini di congedo sabbatico non retribuito, con particolare attenzione agli enti previdenziali competenti. È possibile che durante il periodo di congedo sabbatico il datore di lavoro accetti di versare lo stipendio per intero o in parte. Ma non è affatto tenuto a pagare, né a concedere l’aspettativa che il dipendente richiede. Spetta sempre al datore di lavoro decidere, in base alla policy aziendale. Non si maturano ulteriori ferie e non sia ha neanche diritto a una parte della tredicesima.

Situazione iniziale

Accordo
Il congedo sabbatico ha lo scopo semplicemente di “sospendere” e non di interrompere i rapporti di lavoro. Il datore di lavoro dovrebbe annotare i dettagli in un contratto con il dipendente come le date, la durata e le conseguenze in termini di assicurazione sociale per motivi probatori.

Il periodo di congedo non retribuito è un periodo protetto?
Art. 335c172

La cessazione del rapporto di lavoro può essere pronunciata durante il congedo non retribuito. I principali obblighi contrattuali di entrambe le parti (es. pagamento della retribuzione contro prestazione di lavoro) sono sospesi durante il periodo sabbatico, ma resta il contratto di lavoro per gli altri diritti e doveri. Di conseguenza, il licenziamento può essere pronunciato anche durante il congedo non retribuito.

Attenzione:
Ma occorre invece verificare se è stato consegnato in conformità con le norme di legge e qual è l’inizio del periodo di risoluzione in tal caso. A seconda della data di notifica, ci si deve interrogare sull’inizio del periodo di preavviso. Deve dare alla persona licenziata il tempo di cercare un nuovo lavoro. La lettera di licenziamento è stata inviata dal datore di lavoro con la consapevolezza dell’assenza, per esempio dalla propria abitazione o dal Paese. Potrebbe, il collaboratore, solo venirne a conoscenza al suo ritorno e non avere tempo ragionevole per cercare un nuovo lavoro prima di quella data. Poiché il datore di lavoro ne è a conoscenza, il termine di preavviso dovrebbe decorrere solo dalla fine del congedo non retribuito. Il rapporto di lavoro prosegue quindi durante il periodo di preavviso per i mesi di disdetta e il datore di lavoro è tenuto a corrispondere la retribuzione per il lavoro svolto in tale periodo.

Pronunciando un licenziamento durante il congedo sabbatico di un dipendente, il datore di lavoro eviterebbe di pagare lo stipendio durante il periodo di preavviso e la certezza data di ritrovare il proprio posto di lavoro al termine, sono motivi di litigio molto spesso riconosciuti e il licenziamento può essere ritenuto abusivo.

Obbligo di informazione

In tema di copertura assicurativa, il flusso di informazioni si svolge in due fasi: nella prima fase, l’assicurato è tenuto ad informare il datore di lavoro; in secondo luogo, il datore di lavoro è tenuto a informare il lavoratore dei diritti che può vantare presso un istituto di previdenza o una compagnia di assicurazioni. Se il datore di lavoro non adempie al suo dovere di informazione, può subire conseguenze: se è certo che il lavoratore avrebbe, ad esempio, esteso un’ulteriore aggiuntiva assicurazione contro gli infortuni non professionali per la durata del congedo sabbatico avrà la stessa valenza allo stesso modo come se il datore di lavoro avesse stipulato questa assicurazione in caso di infortunio. In altre parole, il datore di lavoro sarà finanziariamente responsabile delle perdite subite dal lavoratore. Lo stesso vale se il datore di lavoro ha fornito informazioni false o incomplete. Per motivi di prova, si raccomanda pertanto di fornire per iscritto informazioni sufficientemente precise sulla copertura assicurativa o sulle possibilità di prosecuzione della stessa durante il congedo sabbatico, idealmente con una ricevuta di ricezione e comprensione da parte del dipendente, al fine di prevenire eventuali difficoltà riscontrabili nel caso di controversia.

Assicurazione infortuni non professionale

Il dovere alla continuazione del pagamento del salario da parte del datore di lavoro cessa dall’inizio del congedo sabbatico per l’intero periodo. La copertura assicurativa contro gli infortuni, invece, scade (solo) il 31° giorno dopo il quale cessa il diritto alla corresponsione della metà dello stipendio.

Per beneficiare della copertura assicurativa durante il congedo sabbatico, il lavoratore ha la possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale presso l’assicuratore del datore di lavoro per un massimo di 6 mesi. Unitamente alla proroga della copertura di 31 giorni, questa concede una copertura per 7 mesi dopo la scadenza del diritto allo stipendio. Tuttavia, un congedo sabbatico raramente dura più di 7 mesi. I premi devono essere pagati dal lavoratore entro la fine del periodo di 31 giorni di estensione della copertura, pena la decadenza dalla possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale. In alternativa a questa assicurazione convenzionale, l’assicurazione contro gli infortuni può essere inclusa nell’assicurazione sanitaria del dipendente. I dipendenti part-time il cui orario di lavoro settimanale è inferiore alle 8 ore non beneficiano della possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale. Se il lavoratore è impossibilitato a lavorare al termine del congedo sabbatico, viene ripristinato il diritto alla continuazione del pagamento della retribuzione da parte del datore di lavoro. Lo stesso vale per l’indennità giornaliera dell’assicurazione contro gli infortuni se l’infortunio è avvenuto durante la copertura integrativa di 31 giorni o se è stata stipulata un’assicurazione convenzionale con l’assicuratore entro 180 giorni dall’inizio del congedo sabbatico.

Consigli pratici: il datore di lavoro deve informare immediatamente per iscritto il lavoratore della possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale all’inizio del congedo sabbatico. Trascorso il termine di 31 giorni, il lavoratore non potrà più beneficiare dell’assicurazione convenzionale.

Assicurazione indennità giornaliera in caso di malattia

Durante il periodo del congedo sabbatico il lavoratore non ha più diritto alla prosecuzione del pagamento della retribuzione da parte del datore di lavoro né alle prestazioni dell’indennità giornaliera in caso di malattia. Se è stata concordata la data di rientro al lavoro e in tale data il lavoratore è impossibilitato a lavorare per malattia, viene ripristinato l’obbligo di continuare a pagare la retribuzione. Se il datore di lavoro ha stipulato un’assicurazione collettiva d’indennità giornaliera di malattia per i propri dipendenti, è possibile continuare la copertura assicurativa durante il periodo sabbatico. Di norma, in caso di malattia esiste il diritto al trasferimento all’assicurazione l’indennità giornaliera individuale. I premi sono a carico del lavoratore. I dettagli possono essere trovati nelle disposizioni della rispettiva polizza assicurativa. A seconda dell’assicuratore, il diritto al passaggio all’assicurazione individuale deve essere esercitato entro 30-90 giorni dall’uscita dall’assicurazione collettiva per l’indennità giornaliera di malattia. Se il datore di lavoro non informa il lavoratore di tale termine, può essere ritenuto responsabile per i danni. Il datore di lavoro è inoltre tenuto a informare il lavoratore di eventuali limitazioni alle prestazioni assicurative.

2° pilastro

Mentre la regolamentazione del primo pilastro è uniforme, le condizioni del secondo pilastro dipendono dall’istituto di previdenza del datore di lavoro. Per legge, la copertura assicurativa per invalidità e decesso termina un mese dopo l’ultimo pagamento dello stipendio. A seconda delle disposizioni dell’istituto di previdenza, durante il congedo sabbatico può essere assicurata la prosecuzione della copertura previdenziale, ovvero la copertura assicurativa in caso di decesso o invalidità continua senza interruzione e possono continuare a essere versati anche i contributi. La questione di chi paga i contributi è chiarita nel regolamento: a seconda dei casi, il datore di lavoro e il lavoratore continuano a versare i contributi al fondo pensione come prima oppure i contributi possono essere interamente a carico del datore di lavoro. Se, invece, non è prevista la prosecuzione dell’assicurazione, decorso il termine legale di un mese di copertura non è più prevista alcuna tutela in caso di decesso o invalidità.

Consiglio pratico: il datore di lavoro è obbligato a informare la cassa pensione dell’imminente congedo sabbatico. Le compagnie di assicurazione mettono a disposizione online i moduli di comunicazione. Questi devono essere presentati alla cassa pensione il prima possibile.

1° pilastro (AVS)

Con l’inizio del periodo sabbatico il rapporto di lavoro è solo sospeso; pertanto, nessun annuncio dovrebbe essere fatto alla cassa AVS. Se il periodo sabbatico non si estende per un intero anno solare, non ci sono importanti conseguenze sulla rendita pensione AVS. Sebbene la perdita di stipendio riduca il reddito soggetto all’AVS, non comporta lacune contributive. Se il congedo sabbatico si estende su un intero anno solare, ciò significa che il dipendente viene considerato inattivo durante il periodo del congedo sabbatico e deve dunque versare i cosiddetti contributi AVS per persone senza reddito. In caso contrario, ci saranno delle lacune nei contributi, che ridurranno la pensione di vecchiaia. Tale divario non può essere colmato in seguito, nemmeno con contributi AVS molto elevati; quindi, deve essere evitato a tutti i costi.

Nota: è contestato l’obbligo del datore di lavoro di informare in materia di 1° pilastro sulle conseguenze del congedo sabbatico, che, come spiegato, vale per la cassa pensione nonché per l’assicurazione contro gli infortuni e l’indennità giornaliera in caso di malattia. Contrariamente alle suddette assicurazioni, il fatto che i regolamenti della copertura AVS siano chiari e strutturati argomentano in modo inequivocabile. Tuttavia, si consiglia al datore di lavoro di informare il dipendente se il periodo sabbatico è di un anno o più lungo o (nel caso di un anno sabbatico più breve ma con reddito basso) se c’è il rischio di inadempienza contributiva.

Assegni familiari
Il godimento di un congedo non pagato è rilevante ai fini del salario e influisce quindi sul diritto agli assegni familiari. Nel caso di un congedo non pagato gli assegni familiari vengono ancora erogati nel mese in corso e per i tre mesi successivi, se:

• viene comunque raggiunto un salario annuale di CHF 7’170
• dopo il congedo non pagato si riprende il lavoro presso lo stesso datore di lavoro.

Cosa succede al termine del mese in corso e dei tre mesi successivi? Il diritto agli assegni familiari decade. L’altro genitore deve richiedere al proprio datore di lavoro la presentazione di una nuova richiesta di assegni familiari alla rispettiva cassa d’assegni familiari.


Conclusione


Un congedo sabbatico pone problemi legali al datore di lavoro in termini di obblighi di informazione così come la cessazione del rapporto di lavoro – soprattutto perché disposizioni legali diverse si applicano ai diversi istituti di previdenza sociale. Si consiglia pertanto ai datori di lavoro di adempiere agli obblighi di legge di informare il dipendente per iscritto e di chiedergli di firmare i documenti presentati. In caso di congedo sabbatico, una corrispondente lettera informativa dovrebbe essere assolutamente la norma per evitare ulteriori oneri finanziari evitabili.


Fonte: Weka, 01/02/2022, Melda Semi

Produzione responsabile: un must

Produrre in modo responsabile e sostenibile significa far fronte a diverse sfide della realtà economica ambientale, compreso il cambiamento climatico generato dal modello dell’economia lineare, e agire su diverse aree quali l’eco-concezione del prodotto, l’utilizzo laddove possibile di energie rinnovabili e la minimizzazione degli scarti di produzione. Tutti obiettivi che coinvolgono concretamente l’azienda e i suoi stakeholder.

Secondo diversi sondaggi internazionali, clienti e dipendenti favoriscono le aziende che agiscono in modo responsabile dal punto di vista ambientale e sociale e sempre più investitori vogliono investire in aziende considerate sostenibili. Aderendo a pratiche commerciali sostenibili, le aziende non solo si impegnano verso i propri stakeholder, ottenendo una reputazione positiva ai loro occhi, ma possono anche aumentare la loro fedeltà al brand. La sostenibilità sta infatti incidendo maggiormente sulle decisioni di acquisto in tutto il mondo e si configura sempre di più sia come opportunità sia come driver per l’innovazione.

La CSR quale fattore di competitività

L’impegno a favore della sostenibilità si inserisce nella responsabilità sociale di un’impresa (corporate social responsibility, CSR), che è a sua volta un fattore di competitività rilevante, preferenziale e talvolta persino indispensabile, per molte aziende. La Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino sta dedicando molte risorse a questo tema, tanto da aver sviluppato, con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE), un modello online di rapporto di sostenibilità, che – tra l’altro – garantisce alle PMI anche un vantaggio nella partecipazione ad appalti pubblici.

Più in generale, il rapporto di sostenibilità è un documento sempre più utile e diffuso, che raccoglie le buone pratiche messe in atto da un’azienda, permettendole di integrare le informazioni economiche con un rendiconto dell’impatto sociale e ambientale della sua attività.

Si scrive CSR, si legge economia circolare

L’economia circolare è un concetto che implica che è possibile produrre in modo diverso e soprattutto sostenibile. Ciò richiede tuttavia una trasformazione culturale e strutturale e necessità di risorse e impegno nell’innovazione in quanto presuppone un cambiamento di modello di business nonché un sistema produttivo e tecnologie di produzione in grado di rigenerare prodotti e servizi, minimizzare l’impatto sull’ambiente e massimizzare il beneficio sociale.

Immagine: rappresentazione schematica dell’economia circolare tratta da UFAM

Questo è più facile da dirsi che da farsi. In Svizzera, infatti, sono ancora diversi gli ostacoli che frenano lo sviluppo dell’economia circolare e impediscono un uso efficiente delle risorse. È quanto emerge da un rapporto sul tema adottato lo scorso 11 marzo 2022 dall’Amministrazione federale, che rileva anche che gli ostacoli sono raramente riconducibili a singole disposizioni o norme, bensì derivano spesso da un insieme complesso di direttive e disposizioni normative che si influenzano a vicenda. Il potenziale di miglioramento in questo senso è particolarmente elevato nei settori delle costruzioni e dell’agroalimentare. Nel settore delle costruzioni, ad esempio, diverse norme e schede esplicative non corrispondono più allo stato attuale della tecnica e non permettono di utilizzare in modo efficiente le risorse, ad esempio facendo uso di materiali rinnovabili o riciclabili. A volte però gli ostacoli derivano da decisioni prese in una situazione di emergenza: è il caso nel settore dell’alimentazione animale, sottoposto a una regolamentazione severa a seguito della crisi della mucca pazza. Le misure adottate hanno consentito di superare la crisi e di rafforzare la sicurezza alimentare, ma nel contempo limitano l’uso di determinati sottoprodotti animali. In generale poi, troppo cibo viene ancora sprecato. Anche la distribuzione di alimenti invenduti o destinati all’eliminazione a organizzazioni o persone certificate è soggetta a regole che non favoriscono la riduzione dello spreco alimentare. Nell’intento di rettificare questa situazione, il 6 aprile scorso il Consiglio federale ha adottato un piano d’azione contro lo spreco alimentare.

L’Unione europea, dal canto suo, ha iniziato già da tempo la sua battaglia a favore dell’economia circolare, sfociata poi, il 30 marzo scorso, in un pacchetto di proposte presentato dalla Commissione europea volte a rendere quasi tutti i prodotti immessi sul mercato UE più rispettosi dell’ambiente, circolari ed efficienti dal punto di vista energetico durante l’intero ciclo di vita, dalla fase di progettazione fino all’uso quotidiano e il fine vita. Nella fattispecie, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento per rendere i prodotti sostenibili la norma nell’UE: tale proposta riguarda la progettazione, che genera fino all’80 % dell’impatto ambientale di un prodotto durante il suo ciclo di vita, e si applicherà praticamente a tutti i settori, eccezion fatta per i medicinali, i prodotti alimentari e i mangimi. La proposta stabilisce nuovi requisiti per rendere i prodotti più durevoli, affidabili, riutilizzabili, aggiornabili, riparabili, più facili da mantenere, rinnovare e riciclare nonché efficienti sotto il profilo energetico e delle risorse. Inoltre, i requisiti di informazione specifici del prodotto consentiranno ai consumatori di conoscere l’impatto ambientale dei loro acquisti: i prodotti regolamentati saranno infatti corredati da un cosiddetto passaporto digitale, che ne faciliterà la riparazione o il riciclaggio e agevolerà la tracciabilità delle sostanze lungo la catena di approvvigionamento. La proposta prevede anche misure volte ad arrestare la distruzione dei beni di consumo invenduti, accrescere il potenziale degli appalti pubblici verdi e incentivare i prodotti sostenibili.

Sempre il 30 marzo 2022, la Commissione ha presentato anche due nuove strategie settoriali: la prima per rendere, entro il 2030, i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili nonché per contrastare la moda veloce (“fast fashion”), i rifiuti tessili e la distruzione dei tessili invenduti e garantire la disponibilità di servizi di riutilizzo e riparazione economicamente redditizi; la seconda per promuovere il mercato interno dei prodotti da costruzione, garantire che tali prodotti siano progettati e fabbricati in base allo stato dell’arte per essere più durevoli, riparabili, riciclabili e più facili da rifabbricare e, da ultimo ma non meno importante, che gli ambienti edificati realizzino gli obiettivi di sostenibilità e clima.

Le proposte della Commissione dovranno ora essere discusse dal Consiglio e dal Parlamento europeo.

Caso vuole che, proprio qualche giorno prima, in occasione di un evento tenutosi giovedì 24 marzo 2022, il direttore della Cc-Ti Luca Albertoni e la responsabile del servizio Commercio internazionale Monica Zurfluh, abbiano avuto l’opportunità di sentire di prima mano come l’azienda Geomagworld SA pensi e lavori in un’ottica di economia circolare e collabori con gli attori esistenti nel nostro Cantone in questo campo, come la SUPSI, per innovare e sviluppare nuovi prodotti che possano rispondere sempre di più agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 dell’ONU (Sustainable Development Goals SDGs). Sul nostro territorio vi sono ovviamente altri esempi virtuosi di aziende che stanno adottando pratiche circolari. La crisi climatica e la crisi della supply chain, iniziata con la pandemia e proseguita con la guerra in Ucraina e le sanzioni internazionali contro la Russia, dimostrano però che è necessario agire ora: gli sprechi vanno ridotti e l’utilizzo di materie prime e risorse vanno ottimizzati. Le aziende del nostro Paese che non l’hanno ancora fatto sono chiamate a trasformare al più presto il loro modello di business virando con decisione e consapevolezza verso una produzione responsabile. In relazione poi a quanto sta avvenendo nell’Unione europea con le nuove proposte della Commissione europea, la produzione responsabile è decisamente un must per quelle aziende che operano nel mercato unico se non vogliono precludersene l’entrata.

 

Link utile: Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Prodotti sostenibili: dall’eccezione alla regola

Nessun taglio, solo controllo dell’aumento della spesa

 Comunicato stampa su uno dei temi in votazione il 15 maggio 2022

Il prossimo 15 maggio 2022 il popolo ticinese è chiamato a votare sul decreto legislativo “per il pareggio del conto economico del Cantone entro il 31 dicembre 2025, con misure di contenimento della spesa e senza riversamento di oneri sui Comuni”.
Lo scopo del decreto, come chiaramente indicato nel testo in votazione, non è quello di tagliare prestazioni e penalizzare le fasce più deboli, tanto che non taglia alcuna spesa e non riduce alcun aiuto rispetto a quanto in vigore oggi con le attuali leggi.

Si tratta semplicemente di:

  • risanare le finanze pubbliche spendendo con più oculatezza i soldi dei contribuenti, senza aumentarne il carico fiscale;
  • bloccare il meccanismo che oggi porta lo Stato a spendere di più di quanto non incassi, utilizzando meglio le risorse necessarie per intervenire in modo mirato ed equilibrato laddove necessario.

Impiegare con maggiore senso di responsabilità le risorse messe a disposizione dello Stato dai cittadini e dalle imprese è un dovere anche verso le generazioni future.
La presunta “macelleria sociale” sbandierata dai referendisti è pura demagogia. Non vi saranno tagli nel sociale, nella sanità, nella formazione e in generale nei servizi al cittadino, settori per i quali la crescita della spesa è al contrario costante. Il contenimento della spesa non significa tagliare, ma solo rallentarne la crescita con un utilizzo più ponderato e oculato dei mezzi a disposizione. L’aumento incontrollato della spesa è spesso legato a decisioni politiche più dettate da un calcolo opportunistico che da reali necessità.
Le manovre di rientro degli anni scorsi sono riuscite a riportare in equilibrio i conti pre-pandemici dello Stato, ma la situazione delle finanze cantonali rimane fragile.
È un fatto però che oggi la spesa per i dipendenti pubblici, per il funzionamento della macchina dello Stato e per i sussidi (le tre voci che possono essere oggetto di misure di contenimento) in dieci anni è aumentata di oltre il 30%, in cifre: 709 milioni di franchi.
Anche per i contribuenti ticinesi rispetto al 2010 il carico fiscale è aumentato di 364 milioni di franchi in un decennio.
Senza dimenticare una voce spesso ignorata, cioè quella delle varie tasse (non le imposte), aumentate senza necessità di consultazione popolare e che sono lievitate di 63 milioni di franchi rispetto al 2010. Significativo è che le imposte pagate dai contribuenti ticinesi (senza tenere conto delle imprese) non basta per pagare i salari e i costi derivanti dai salari degli impiegati pubblici.

In questo contesto è più che ragionevole sostenere una proposta che mira a limitare l’aumento incontrollato della spesa, senza toccare le fasce più deboli e le necessità manifeste, che obbliga a utilizzare i soldi dei contribuenti solo per interventi necessari e che impedisce aumenti di imposte che colpirebbero in maniera importante le cittadine, i cittadini e le aziende.

Le strumentali accuse al mondo economico di avere sfruttato lo Stato durante la pandemia, tagliandone ora le risorse non ha alcun fondamento per tre motivi:

  • I crediti concessi alle aziende sono da rimborsare e non costituiscono regali;
  • Non sono stati regali nemmeno gli aiuti IPG e del lavoro ridotto, visto che si tratta di assicurazioni finanziate con i mezzi delle aziende e delle/dei dipendenti a tutela dei posti di lavoro;
  • I contributi a fondo perso sono andati a chi è stato costretto a chiudere per decisione dell’Autorità e si è trovato impedito per ordine superiore a esercitare la sua attività. Un’indennità più che dovuta.

Per questi motivi, le associazioni economiche sostengono il Sì al Decreto legislativo “per il pareggio del conto economico del Cantone entro il 31 dicembre 2025, con misure di contenimento della spesa e senza riversamento di oneri sui Comuni”, in votazione il prossimo 15 maggio 2022.

Segui la corrente

Con il motto “Segui la corrente” l’Ufficio federale dell’energia (UFE) ha lanciato nelle scorse settimane una campagna di sensibilizzazione e informazione sulla mobilità individuale elettrica. Attualmente, a livello svizzero, il 16.3% delle auto di nuova immatricolazione sono BEV (Battery Electric Vehicles – veicolo elettrico alimentato a batteria). In Ticino la percentuale è ancora bassa: nel primo trimestre del 2021 è del 10.65%. Secondo un sondaggio svolto dal TCS, oltre la metà degli intervistati ha dichiarato che in futuro, quando avrà la necessità di sostituire la sua automobile, valuterà “con grande probabilità” o “con una certa probabilità” l’acquisto di un’automobile a propulsione elettrica (BEV).

L’impennata dei prezzi dei carburanti fossili che abbiamo registrato nelle scorse settimane ha spinto in maniera decisiva la popolazione a valutare con decisione il passaggio all’energia elettrica come fonte di approvvigionamento per la mobilità e per il riscaldamento delle abitazioni. Benzina e diesel con prezzi alla colonna che superano, in alcuni giorni anche abbondantemente, i CHF 2.00 al litro spaventano gli automobilisti. D’altra parte, con ogni probabilità, dovremo attenderci un incremento del prezzo al kWh della corrente elettrica. Questo però, almeno per quanto riguarda la mobilità elettrica, sarà più difficile da valutare. Se quando facciamo il pieno di carburante della nostra auto a benzina ci rendiamo subito conto che quanto pagato alla cassa o con la tessera è sensibilmente maggiore a quanto pagato fino allo scorso anno. Per la corrente elettrica necessaria a ricaricare l’automobile elettrica, il costo sarà inglobato nella bolletta dell’elettricità domestica o aziendale e quindi più difficile da quantificare e quindi meno impressionante. La domanda che oggi molti di noi si pongono è: cosa succederà nel prossimo futuro con il prezzo dei carburanti fossili?

Oggi è difficile fare delle previsioni affidabili. In queste ultime settimane abbiamo visto come eventi eccezionali e inaspettati possono modificare in brevissimo tempo situazioni che erano piuttosto stabili. In ogni caso è chiaro che a medio e lungo termine il prezzo dei carburanti tradizionali sia destinato a salire piuttosto che scendere, questo principalmente per una chiara diminuzione dei giacimenti di petrolio o comunque per un aumento dei costi causati dalla maggior difficoltà di estrazione.

Un’alternativa a questi carburanti fossili, oltre naturalmente all’energia elettrica, ci viene data dai carburanti sintetici o e-carburanti. Oggi questi ultimi sono ancora in fase sperimentale o hanno dei costi di produzione molto elevati (vedi per esempio la produzione dell’idrogeno). Un giorno però, grazie al progresso tecnologico, alla produzione su larga scala e all’aumento del costo dei carburanti tradizionali, il costo degli e-carburanti sarà sicuramente concorrenziale e permetterà ancora l’utilizzo di automobili con motori a combustione interna (ICEV – Internal Combustion Engine Vehicle – Veicoli con motore a combustione interna). Dal punto di vista ambientale questi nuovi e-carburanti saranno pure assolutamente sostenibili in quanto verranno prodotti grazie ad energia rinnovabile e prelevando ad esempio la CO2 dall’ambiente. Un progetto pilota, sostenuto da Porsche, è attualmente in fase di sviluppo in Cile dove, grazie alle condizioni climatiche, l’energia elettrica necessaria alla produzione verrà prodotta grazie alle turbine eoliche (la Patagonia cilena è una regione molto ventosa).

Ma torniamo a oggi. La mobilità elettrica, sebbene in crescita, è ancora assai limitata se confrontata al parco circolante di autovetture. Siamo ancora ad una percentuale abbondantemente inferiore all’uno percento. I timori degli automobilisti, con questo tipo di propulsione, sono diversi: la scarsa autonomia, il tempo necessario a ricaricare le batterie e la durata nel tempo delle stesse. Con una buona informazione e consulenza ognuno di questi dubbi può essere fugato. Con il progetto “Segui la corrente” l’UFE fornisce una consulenza di base e cerca di rispondere ad alcune domande. Ad esempio la domanda sull’autonomia. A questo proposito sul sito di svizzera energia troviamo la seguente risposta: il tragitto medio percorso giornalmente dagli svizzeri per recarsi dal domicilio al posto di lavoro è di 30/40 chilometri. L’autonomia di un’automobile BEV oggi varia dai 200 ai 600 chilometri. Su questo punto, si può tranquillamente affermare che l’autonomia delle vetture elettriche a batteria è più che sufficiente (addirittura abbondante) per i tragitti quotidiani casa – lavoro. Se poi saltuariamente utilizziamo l’auto per viaggi più lunghi, ci si deve solo organizzare prima del viaggio e pianificare una pausa caffè con ricarica della batteria presso una colonnina pubblica che sicuramente possiamo trovare lungo il percorso.

In Svizzera esistono oltre 5’000 stazioni di ricarica pubbliche. E quanto tempo impieghiamo per caricare la batteria della nostra BEV? Anche in questo caso abbiamo due situazioni ben distinte. La quotidianità per gli spostamenti casa – lavoro e il viaggio più lungo fatto saltuariamente. Per gli spostamenti giornalieri nessun problema, basta che la sera quando rientriamo dal lavoro colleghiamo l’automobile alla colonnina di ricarica privata, tempo impiegato 30 secondi, e al mattino seguente ci ritroviamo la batteria sufficientemente carica per percorrere quei 30/40 chilometri del percorso casa – lavoro. La ricarica infatti avviene in tutta tranquillità durante la notte. Per i viaggi più lunghi, che necessitano una ricarica intermedia, possiamo sfruttare la pausa caffè presso una stazione di servizio e in mezz’ora avere sufficiente energia per continuare il viaggio.
Utilizzare un’automobile a trazione elettrica non è quindi assolutamente un problema, è solo una questione di imparare a capirne il funzionamento.

Info: Segui la corrente – scegliere l’elettromobilità in modo consapevole

L’era della carriera a mosaico

Nella vita professionale, il trend attuale si sta allontanando da uno sviluppo lineare. Sempre più carriere progrediscono in modo altamente individuale.

Per coloro che inseguivano un sogno di carriera verticale, il mestiere non veniva modificato, veniva arricchito dall’esperienza e dalla formazione per raggiungere i vertici aziendali, passo dopo passo, diventando, spesso, un dirigente nell’azienda, ma solo in finale del proprio percorso lavorativo.

Questo modello lineare è ancora relativamente forte nelle nostre abitudini lavorative, ma bisogna sottolineare che era frutto di un’altra percezione: uno sviluppo economico stabile e prevedibile.

Nuove tipologie professionali

Secondo un recente rapporto del World Economic Forum, l’automazione sostituirà circa 85 milioni di lavori manuali in tutto il mondo entro il 2025. Ma, allo stesso tempo secondo la stima, la digitalizzazione dovrebbe creare 97 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi dieci anni. Oggi molti di questi profili professionali non hanno ancora una definizione precisa identificativa. Secondo il Work Trend Index di Microsoft, circa il 40% della forza lavoro globale nel 2021 sta pensando di lasciare il lavoro attuale o l’hanno già fatto. I motivi più ricorrenti: un lavoro divenuto noioso o un desiderio di cambiamento “rivoluzionario”.

Le competenze sono trasferibili

Un esempio chiaro è quello di un operatore di call center in ambito sociale, la cui carriera è stata citata come esempio in un rapporto pubblicitario del 2017 di JP Morgan Chase, la più grande banca americana. Questo collaboratore viene fortuitamente ascoltato da una sua superiore in grado mentre conduce una conversazione più “ricca” di quanto avrebbe richiesto un normale protocollo. L’ impegno e l’empatia sono evidenti e quindi gli chiede se non avesse mai pensato di entrare in politica. La risposta è no, ma la proposta non lascia indifferente il dipendente che, anche se proviene da una formazione commerciale, decide di affrontare una nuova sfida che si rivelerà vincente: ora lavora per alcuni esponenti politici e cura le loro campagne elettorali.

Il fattore interessante e costante anche per tante altre realtà professionali è l’utilizzo di abilità parallele alla propria professione di base, coniugando cultura e soft skill (come vengono chiamate ora) e trasferirle adattandole/aggiungendole/coltivandole da un settore all’altro. Si tratta quindi di sviluppare delle competenze generali e di perseguire la propria idea guida.

Cinque modelli di carriera

Esistono modelli base delle nuove traiettorie di carriera? Martin J. Eppler, Professore di Communications Management all’Università di San Gallo, parla di diversi percorsi tipici dell’era moderna.

  • In contrasto con la carriera che si sviluppa tradizionalmente e che può essere rappresentata dall’immagine di una scala, vi è il modello di riorientamento radicale. Viene raffigurato da una freccia che si piega in una direzione completamente diversa.
  • La “carriera a montagne russe”. Questo è rappresentato da una freccia fortemente oscillante, che illustra gli alti e i bassi in rapporto anche ai cambiamenti di settore.
  • “Tornare a ciò che piace” è particolarmente interessante. Qui la freccia si piega, ma non in una direzione completamente opposta, perché è rivolta a ciò che è già conosciuto e praticato.
  • “Late bloomer”: la freccia corre piatta per un lungo periodo prima di salire verticalmente, similmente alla classica carriera lineare.
  • Il burnout: questa rappresenta l’altra faccia della medaglia. Una carriera che assorbe troppe energie o una grave gestione delle stesse.

Il modello delle montagne russe è quello più riscontrato.

Alla ricerca di persone con carriera non lineare, a “mosaico”

La conferenza Career Relaunch di quest’anno all’Università di San Gallo ha mostrato quanto segue sulla base di uno studio dell’agenzia di reclutamento Adecco e dell’Università di Zurigo: la carenza di lavoratori qualificati sta diventando acuta, anche se la pandemia potrebbe aver, in realtà, rallentato il flusso di lavoratori da un posto di lavoro all’altro. Ma si può avere successo presentando una carriera a mosaico? Un tale curriculum può porre dei dubbi ai potenziali datori di lavoro? Le grandi aziende svizzere del settore farmaceutico, delle assicurazioni o della consulenza sono orientate diversamente dal passato, prendendo sempre più in considerazione persone con carriere non lineari. La loro versatilità formative, di ambizione o pratiche rappresenta un valore aggiunto e può fare la differenza nei colloqui. Il solo curriculum tradizionale sta passando in secondo piano.

Le persone con carriere non lineari contribuiscono fattivamente alla ricchezza dei diversi modi di pensare e di operare. Aumentano la flessibilità e l’adattabilità nei reparti di una ditta. La soddisfazione personale e la possibilità di poter coniugare vita professionale con vita privata ha preso una dimensione fondamentale nelle scelte delle persone. Anche per questo, molte aziende, motivano e appoggiano i propri dipendenti con servizi aziendali atti a sostenere i propri collaboratori e agevolarli nelle proprie esigenze e passioni. Il Welfare appunto!

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Le notizie della Cc-Ti: abbiamo raggruppato i nostri interventi sui media e alcuni articoli economici d’interesse.


Aprile 2022

Marzo 2022

Febbraio 2022

Gennaio 2022


Rileggi alcuni dei nostri interventi sui media del 2021

Export controls e sanzioni: l’extraterritorialità delle leggi USA

I provvedimenti recentemente adottati dalla comunità internazionale nei confronti della Russia ci forniscono l’occasione di passare brevemente in rassegna il sistema sanzionatorio e di controllo delle esportazioni degli Stati Uniti, la cui portata extraterritoriale è molto spesso sottovalutata dalle aziende estere che riesportano articoli di origine americana o li inglobano nei loro prodotti, per poi esportare questi ultimi verso altri mercati.

Negli Stati Uniti, il sistema sanzionatorio e di controllo delle esportazioni si basa su tre aree:

  • le sanzioni, di competenza dell’OFAC
  • le International Traffic in Arms Regulations (ITAR), adottate dal Dipartimento di Stato e applicate ai prodotti militari / della difesa
  • le Export Administration Regulations (EAR), adottate dal Dipartimento del Commercio e applicate ai prodotti commerciali che possono avere uso anche in ambito militare (“dual use”).

Queste tre aree possono, in un modo o nell’altro, toccare e influenzare le attività delle aziende svizzere che operano (anche) con gli Stati Uniti. È compito delle stesse svolgere le opportune verifiche con riferimento ai partner commerciali, alla classificazione doganale dei prodotti importati, lavorati e/o esportati nonché ai servizi acquisiti rispettivamente forniti.

Le sanzioni

Il sistema americano prevede sia sanzioni primarie sia secondarie: le prime vengono applicate direttamente in quanto il soggetto giuridico o la componente di un determinato prodotto è legata alla giurisdizione statunitense; le seconde sono invece sanzioni che possono essere imposte a società non statunitensi che intrattengono determinate attività commerciali con il Paese oggetto di restrizioni. Le sanzioni, così come gli embarghi, sono implementate e fatte rispettare dall’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro ed hanno una componente extraterritoriale. Il programma sanzionatorio americano può essere visionato su Sanctions Programs and Country Information | U.S. Department of the Treasury e Other OFAC Sanctions Lists | U.S. Department of the Treasury.

Sanzioni primarie e secondarie

Le sanzioni primarie sono sanzioni imposte direttamente contro Paesi, organizzazioni e/o individui che il governo americano ritiene colpevoli di crimini internazionali o che lavorano contro gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Esse si applicano generalmente a tutte le transazioni che hanno un nesso con la giurisdizione degli Stati Uniti e devono essere rispettate da “US persons” (“persone statunitensi”), ovvero da cittadini statunitensi o residenti permanenti, entità organizzate negli Stati Uniti (comprese le filiali straniere) e chiunque si trovi negli Stati Uniti (incluse le filiali statunitensi di entità straniere e individui che si trovano fisicamente negli Stati Uniti). Alcuni programmi di sanzioni si applicano altresì alle filiali non statunitensi di persone statunitensi. Le sanzioni primarie riguardano anche le transazioni processate attraverso il sistema finanziario degli Stati Uniti così come qualsiasi transazione in dollari USA. Nella pratica, persone ed entità collegate agli USA devono quindi verificare che i loro clienti non figurino nella lista degli Specially Designated Nationals (SDN). Per agevolare l’analisi, l’OFAC ha approntato un motore di ricerca.

Le sanzioni secondarie si rivolgono specificamente a “non-US persons” (“persone non statunitensi”) e sono volte a impedire a terzi di avere attività commerciali con Paesi oggetto delle sanzioni americane. Più in generale, le sanzioni secondarie sono destinate a rafforzare gli effetti delle sanzioni primarie e a proteggere gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Esse hanno generalmente come obiettivo determinati settori economici (es. settore oil & gas) e/o transazioni con SDN del Paese sanzionato. Le persone non statunitensi possono continuare a operare nei Paesi oggetto di sanzioni secondarie purché evitino le parti e i settori vietati. Tra le misure punitive per il mancato rispetto delle sanzioni secondarie figurano vari livelli di esclusione dal mercato statunitense, quali il divieto di fare affari con il Paese o restrizioni di accesso al suo sistema finanziario. Nella pratica, il rischio principale per le persone che violano le sanzioni secondarie è di essere aggiunte alla lista SDN. Le banche che violano le disposizioni OFAC sostenendo attività finanziarie e/o commerciali oggetto di divieto possono ad esempio vedersi negare la possibilità di avere conti di corrispondenza e conti di passaggio e di negoziare valute in contropartita con dollari.

Sanzioni globali e selettive

Le sanzioni possono essere globali (“comprehensive”) o selettive (“targeted”):

  • le sanzioni globali proibiscono alle persone statunitensi di effettuare qualsiasi transazione in/con un territorio specifico, indipendentemente dal fatto che un SDN sia coinvolto o meno. Trattasi nella pratica degli embarghi. Attualmente, i Paesi e regioni oggetto di sanzioni globali da parte USA sono: Corea del Nord, Cuba, Iran, Siria nonché le regioni ucraine di Crimea, Donetsk e Luhansk;
  • le sanzioni selettive mirano invece a specifiche attività o ambiti.

La regola del 50%

Qualsiasi persona giuridica posseduta al 50% o più da uno o più SDN è trattata come un SDN, cfr. 401 | U.S. Department of the Treasury. In generale, un’entità controllata (ma non posseduta al 50% o più) da una o più persone bloccate non è considerata automaticamente bloccata ai sensi della regola del 50%.

Controlli export

Il processo di controllo delle esportazioni degli Stati Uniti coinvolge due serie di regolamenti: le International Traffic in Arms Regulations (ITAR) e le Export Administration Regulations (EAR). Le regolamentazioni ITAR e EAR impongono requisiti di licenza per talune esportazioni e riesportazioni e possono toccare anche prodotti esteri rispettivamente aziende estere.

Traffic in Arms Regulations (ITAR)

La normativa ITAR è stata sviluppata sotto la giurisdizione del Dipartimento di Stato. L’autorità competente è il Directorate of Defense Trade Controls (DDTC). L’ITAR controlla gli articoli, i servizi e i dati tecnici designati come articoli per la difesa o servizi di difesa. Questi figurano nella U.S. Munitions List (USML)e necessitano diun’autorizzazione all’esportazione da parte del Dipartimento di Stato. Gli articoli per la difesa o i servizi di difesa statunitensi sono sempre soggetti all’ITAR, anche se sono stati incorporati in prodotti esteri (§ 123.9 ITAR).

Export Administration Regulations (EAR)

Le Export Administration Regulations (EAR) regolamentano gli articoli e le tecnologie considerate a “duplice impiego”, ossia adatti sia all’impiego nel settore civile sia a quello militare. L’autorità competente è il Bureau of Industry and Security (BIS) del Dipartimento del Commercio. Gli articoli toccati dall’EAR possono essere beni tangibili, quali ad esempio armi ed esplosivi, oppure intangibili, quali software, tecnologie e dati.

I beni che richiedono una licenza all’esportazione da parte del BIS sono elencati nella Commerce Control List (CCL) (per comodità vedasi anche l’indice analitico). Tali articoli sono identificati da un Export Control Classification Number (ECCN), ovvero un codice alfanumerico che descrive il prodotto e i requisiti che devono essere rispettati per il rilascio della licenza all’esportazione (caratteristiche tecniche del prodotto, destinazione, uso finale e utilizzatore finale). Alcuni articoli, pur rientrando nell’ambito delle EAR, non sono specificamente controllati per l’esportazione e non sono elencati nella CCL. Si tratta generalmente di beni di consumo a bassa tecnologia e classificati come EAR99. Anche se gli articoli EAR99 possono generalmente essere esportati senza una licenza, gli esportatori devono comunque eseguire un’attenta due diligence per assicurarsi che tali beni non siano destinati a Paesi sottoposti ad embargo o a sanzioni, a utenti finali proibiti (lista SDN), o destinati ad un uso finale proibito.

Secondo le EAR, “una merce prodotta all’estero che incorpora merci controllate di origine statunitense, una merce prodotta all’estero ed abbinata ad un software controllato di origine statunitense, un software prodotto all’estero che contiene un software controllato di origine statunitense e una tecnologia prodotta all’estero che contiene tecnologia controllata di origine statunitense” possono essere assoggettati alle EAR (cfr. “Scope of Export Administration Regulations” del BIS, § 734.3 (3)). In generale l’assoggettamento dipende dalla percentuale di valore del contenuto controllato di origine statunitense nel prodotto straniero. Fa stato la cosiddetta regola de minimis del contenuto: fatte salvo alcune eccezioni particolarmente sensibili, per le quali questa regola non può essere applicata (“no deminimis level”), le merci statunitensi classificate come sensibili possono in linea di principio essere incorporate in un prodotto d’esportazione o utilizzate nella sua fabbricazione fino a una quota di valore del 25% senza che questo prodotto sia necessariamente soggetto a licenza. Questa soglia è ridotta al 10% per articoli a destinazione dei Paesi del gruppo E:1 (attualmente Iran, Siria e Corea del Nord) e del gruppo di paesi E:2 (attualmente solo Cuba) (cfr. Supplement No. 2 di EAR Part 734 e Supplement No. 1 di EAR Part 740). L’EAR opera inoltre una distinzione tra esportazione (“export”, § 734.13), riesportazione (“reexport”, § 734.14) e rilascio (“release”, § 734.15).
Per aiutare le aziende estere a determinare se un articolo prodotto e situato al di fuori degli Stati Uniti è soggetto all’EAR, il BIS mette a disposizione il De minimis & Direct Product Rules Decision Tool nonché una breve guida riassuntiva.

Da ultimo, ma non meno importante, articoli stranieri che sono il prodotto diretto di una tecnologia, un software o un impianto americano oppure di una componente principale di un impianto realizzato con una tecnologia o un software americano possono essere soggetti all’EAR se soddisfano le condizioni della cosiddetta regola per prodotti esteri diretti (foreign-direct product (FDP) rule” o“General Prohibition Three”, cfr. § 732.2 (f) e §736.2(b)(3) dell’EAR). Prodotti diretti che sono soggetti all’EAR possono necessitare di una licenza per essere esportati dall’estero o riesportati in determinati Paesi.


Disclaimer: la panoramica qui sopra fornita è a scopo esclusivamente informativo e non ha presunzione di esaustività e completezza.

Pareggiamo i conti senza aumenti d’imposta

L’opinione di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti

Sono tre semplici domande quelle che noi tutti dovremmo porci votando il 15 maggio sul decreto legislativo “per il pareggio del conto economico del Cantone entro il 31 dicembre 2025, con misure di contenimento della spesa e senza riversamento di oneri sui Comuni”. È giusto risanare le finanze pubbliche cercando di spendere con più oculatezza i soldi dei contribuenti, invece di gravare questi ultimi con aumenti di tasse e imposte? È giusto bloccare la perversa spirale per cui da anni le uscite dello Stato sono quasi sempre superiori alle sue entrate? È giusto che il Cantone  abbia i conti in ordine, non spendendo più di quanto incassa, avendo così le risorse necessarie per sostenere le sfide da cui dipende la crescita economica e sociale del Paese?

Noi pensiamo che sia giusto e possibile un maggiore senso di responsabilità su come usare i soldi dei cittadini e delle imprese, che sia anche moralmente doveroso per non gravare i nostri figli e nipoti con un debito ingente non fatto da loro, né per loro.

La sinistra, dopo aver promosso il referendum, ha scatenato una campagna di terrorismo psicologico contro questo decreto, agitando lo spauracchio di una “macelleria sociale”: meno impiegati pubblici e meno servizi per i cittadini, meno personale e meno cure negli ospedali, nelle case per anziani e per l’assistenza a domicilio, meno dipendenti negli asili nido e nei centri extrascolastici, trasporti pubblici più cari e meno collegamenti con le zone periferiche, meno fondi per l’Usi e la Supsi. Niente di tutto questo è vero! Nessun taglio alle prestazioni e agli aiuti di chi ha bisogno avrà luogo! “Contenere” la spesa non significa tagliare, ma solo rallentarne una crescita che è ormai diventata sempre più veloce e troppo sbilanciata rispetto alle entrate.

Nonostante che le manovre di rientro degli anni scorsi siano riuscite a riportare in equilibrio i conti pre-pandemici dello Stato, per le finanze cantonali permane una situazione di estrema fragilità.  La spesa per i dipendenti pubblici, per il funzionamento della macchina dello Stato e per i sussidi (le tre voci su cui si dovrebbe intervenire con misure di contenimento) in dieci anni è aumentata di oltre il 30% (+709 milioni).  Mentre nel 2020 i contribuenti ticinesi hanno sborsato 1156 milioni di imposte, ossia 364 milioni in più di quanto pagavano nel 2010, a cui si aggiungono altri 63 milioni in più di tasse e balzelli vari rispetto ad un decennio fa. Il risultato è che oggi il Ticino è in fondo alla classifica intercantonale sulla competitività fiscale e ai primi posti invece per le finanze traballanti.

L’impatto della pandemia sui conti pubblici ha messo in luce questa condizione di squilibrio strutturale, che sarà ulteriormente acuita dal rallentamento economico causato dal rincaro dei prezzi dell’energia e delle materie prime. In una fase così difficile come quella attuale, pensare di risanare le finanze, non contenendo la spesa, ma aumentando le imposte per cittadini e aziende, come vorrebbe la sinistra, significherebbe spingere il Paese verso un declino senza ritorno.

ASTAG – Associazione svizzera dei trasportatori stradali Sez. Ticino

Di cosa si occupa ASTAG:

Con 3 928 membri ripartiti in 18 sezioni e 15 gruppi speciali, l’Associazione Svizzera dei trasportatori stradali ASTAG è il portavoce del trasporto di merci e persone su strada. Al fine di creare le migliori condizioni quadro possibili per il settore in Svizzera, ASTAG sostiene i suoi membri con un forte impegno a livello politico e con una vasta offerta di servizi.

ASTAG è l’unica organizzazione che rappresenta senza riserve gli interessi del trasporto stradale. Più efficace è il sostegno (rappresentatività in numero di soci) all’interno del settore, maggiori saranno le possibilità di essere ascoltati e presi sul serio da politica, autorità e media. Ogni singolo membro contribuisce pertanto alla credibilità dell’associazione (idea di solidarietà). Il compito principale consiste nel rappresentare gli interessi a ogni livello dello

Stato, dalla Confederazione ai Cantoni fino ai Comuni. Tramite la International Road Transport Union (IRU) e le associazioni partner di tutta Europa, ASTAG è attiva persino a livello internazionale. Grazie a un consiglio consultivo parlamentare formato dai membri del Consiglio

nazionale e del Consiglio degli Stati di tutti i partiti, ASTAG e di conseguenza il settore possono contare su un ampio sostegno. ASTAG ha quale compito principale quello di garantire l’approvvigionamento del paese e si batte per una pari dignità dei mezzi di trasporto. I membri ASTAG garantiscono attraverso i propri mezzi la raccolta dei rifiuti, il trasporto degli alimentari, del latte, degli animali, dei combustibili, delle medicine, dell’ossigeno negli ospedali, lo spurgo delle canalizzazioni, lo sgombero della neve e tanto altro ancora. Inoltre, in modo complementare al trasporto pubblico, trasportano persone, scolari e invalidi. Quindi una realtà ben diversa rispetto all’immaginario collettivo del “Tir” che ingombra le nostre strade.

Vantaggi per i membri:

  • ASTAG: piattaforma per il networking e la cura dei contatti
  • Rappresentanza efficace degli interessi delle imprese di trasporto
  • Influenza tempestiva e proattiva dell’ASTAG su tutti i temi di rilievo
  • Partecipazione e dialogo
  • Azione mediatica mirata
  • Aggiornamenti regolari sulle tendenze e sui temi attuali
  • Cura dell’immagine del settore

Traguardi raggiunti:

  • Sicurezza di investimento per TTPCP
  • periodo minimo di 7 anni per la permanenza della norma EURO più recente (nella categoria di tassa migliore)
  • Proroga reiterata dei « declassamenti » tramite il periodo minimo
  • SÌ alla votazione popolare sulla galleria di risanamento del San Gottardo (28 febbraio 2016)
  • Decongestionamento e incremento delle capacità sulla rete stradale svizzera
  • Mantenimento del divieto di cabotaggio
  • Estensione delle scadenze dei controlli periodici per i veicoli pesanti impiegati nel trasporto interno (16 novembre 2016)
  • Incremento a 19,5 tonnellate del peso per le vetture a 2 assi (5 aprile 2017)
  • Approvazione da parte del Consiglio nazionale di un’iniziativa per una revoca differenziata della licenza di condurre (4 giugno 2019)

Alcune cifre del 2021, che verranno pubblicate nel rapporto annuale di ASTAG:

Generale:

– 3 incontri con il Consiglio Federale per proteggere gli interessi dei membri.

– 21 newsletter sul tema del coronavirus esclusivamente per i membri

– 49’808 utenti sulla piattaforma www.str-online.ch

 Formazione professionale:

– 36’000 e quindi il 44% in più di pagine viste da www.profis-on-tour.ch rispetto al 2020

– 3600 giri di camion con i visitatori ai Truck Days nel Museo dei Trasporti di Lucerna

– 370 studenti hanno deciso di intraprendere un apprendistato nel settore dei trasporti stradali nell’estate del 2022. (KV Settore Trasporti, Specialista del trasporto su strada EBA o EFZ e Tecnico di drenaggio EBA o EFZ).

Di questi, 275 hanno intrapreso la formazione professionale di base EFZ, specialista del trasporto su strada.

Cambi di carriera:

– 2914 persone hanno sostenuto l’esame CZV all’ASTAG e possono così entrare nel settore direttamente o lateralmente come autisti.

– 624 soldati (autisti) hanno sostenuto l’esame CZV. Per la prima volta, molti hanno approfittato dell’opportunità di ottenere un secondo punto d’appoggio professionale.

Ulteriore formazione:

– Circa 6773 tonnellate di CO2 sono state risparmiate grazie ai corsi EcoDrive di ASTAG.

– In 1.133 corsi, 14.091 partecipanti hanno completato un corso di perfezionamento CZV. Di questi, 2.754 hanno completato la formazione ADR.

– Il 96% ha valutato la qualità della formazione come buona o molto buona.

Trasferimento traffico merci su rotaia:

 Nel 2017 ASTAG e le FFS hanno siglato un accordo per migliorare le sinergie nel trasporto di merci, intitolato “Co-modalità anziché concorrenza: per un traffico merci forte in Svizzera”.

Il documento è stato voluto dall’ex Presidente di ASTAG Svizzera, Adrian Amstutz, e Andreas Meyer delle FFS. L’alleanza tra camionisti è ferrovieri chiedeva congiuntamente lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto, il mantenimento degli standard sociali e il divieto di cabotaggio.

L’idea era quella di rafforzare la collaborazione tra strada e ferrovia per soddisfare le crescenti esigenze dei clienti.

Affinché in Svizzera venga garantito un traffico merci sostenibile nel lungo periodo, entrambi i partner hanno compiuto grandi sforzi imprenditoriali per promuovere il trasporto combinato. Entro il 2040 l’Ufficio federale dello sviluppo territoriale ARE prevede un aumento delle tonnellate-chilometro rispetto al 2010 del 45% su rotaia e del 33% su strada. La causa principale di questa impennata è la crescita economica e demografica.

L’insufficienza della struttura di trasporto è stata la molla che ha spinto i due partner a cercare una collaborazione, a lavorare insieme per risolvere i problemi strutturali di strada e ferrovia. A distanza di 5 anni da questo accordo, e con un nuovo Presidente Centrale, Thierry Burkart, ASTAG rimane convinta che la co-modalità sia la strategia migliore per ottimizzare in modo efficiente le risorse nel trasporto merci.

Inquinamento:

ASTAG e i suoi membri si impegnano da anni per trasporti il più possibile rispettosi del clima e dell’ambiente con camion, pullman e taxi. Grazie a una modernizzazione più coerente delle flotte di veicoli, il settore già oggi viaggia in tutta sicurezza e in modo ecologico.

Ora segue la prossima fase: entro il 2030 si prevede di ridurre in maniera significativa e a lungo termine del 50 per cento rispetto al 1990 le emissioni di CO₂ dei trasporti su strada!

Questo è l’obiettivo dichiarato della risoluzione sul clima dell’ASTAG del 2020, adottata a stragrande maggioranza dall’assemblea dei delegati dell’associazione.

L’ASTAG agisce così in conformità all’Accordo sul clima di Parigi e alla strategia climatica del Consiglio federale: «we go green!»

L’ASTAG e i suoi membri puntano su misure efficaci ad un costo ragionevole. Si tratta di valutare, a seconda dell’azienda, cosa ha senso e cosa no.

L’attuazione della risoluzione sul clima è volontaria. Ogni membro dell’ASTAG decide autonomamente se può prendersi l’impegno e se sì, in quale misura rispetto alla risoluzione.

L’importante è però che il maggior numero di membri possibile partecipi secondo le proprie possibilità. Siamo fermamente convinti che il modo migliore in assoluto sia quello di essere proattivi ed efficaci anziché aspettare le disposizioni statali – anziché poi «dover fare» ciò che la politica impone, che sia utile o meno.

Tramite un formulario ogni socio può dichiarare le sue misure per ridurre le emissioni di CO2 nei rispettivi ambiti (SCOPE 1/2/3) e inviarlo ad ASTAG.

Dopo aver dichiarato le loro misure di CO2, i soci ricevono l’approvazione e l’autorizzazione ad utilizzare il logo “we go green!”. ASTAG usa le misure di CO2 dichiarate solo per scopi interni – per valutazioni/statistiche e come misura di comunicazione (storie di successo).

Traffico in Ticino:

In particolare: pag. 8 à confronto trasporto persone e merci

                        Pag. 10 à chilometri percorsi nel trasporto persone e merci

                        Pag. 12 à situazione a livello regionale

                        Pag. 22 à andamento del traffico merci pesante

Trasporto e logistica:

Come giustamente ha osservato, trasporto e logistica sono due realtà interdipendenti, la cui funzionalità per forza di cose dipende inestricabilmente dal buon andamento, dal coordinamento e dall’organizzazione di entrambe.

Al suo interno ASTAG ha organizzato diversi gruppi professionali a sostegno dei soci. Questi gruppi, formati a loro volta da membri ASTAG, mettono a disposizione la propria esperienza e le proprie competenze per rispondere a domande specifiche di alcuni settori.

Tra i gruppi professionali emerge quello “Logistica di settore”: composta da 8 diversi gruppi di settore, questa struttura è in grado di affrontare in maniera flessibile i diversi problemi specifici. In tal modo vengono in larga misura garantite la competenza e l’attualità. Il gruppo ha sede a Zurigo e ha come presidente il sig. Christian Rusterholz.

Un altro aspetto che evidenza la vicinanza di ASTAG con la logistica è l’organizzazione del corso di Specialista dei trasporti e della logistica, con certificato federale di capacità. Il corso è rivolto ai professionisti con attestato federale di capacità (AFC) di autista di veicoli pesanti, o conducenti di autocarro, o impiegati di commercio nel ramo dei trasporti, ma anche a professionisti con pluriennale esperienza nel settore. La formazione, della durata di 3 semestri, offre ampie prospettive di carriera, in quanto c’è carenza di specialisti e quadri qualificati.

Indotto economico dei trasporti:

Dal 2001 ad oggi il settore dell’autotrasporto ha versato nelle casse della Confederazione circa 25 miliardi di franchi.

Annualmente versa 1.5 Miliardi, solo di tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni. Questo senza le tasse sui carburanti, quelle di circolazione, ecc. ecc.

Se pensiamo all’indotto economico globale generato in Svizzera, a spanne direi oltre i 5 miliardi di franchi.

Futuro dei trasporti:

Il futuro dei trasporti sarà, a nostro avviso, sempre più una combinazione di mezzi di trasporto. Gomma e rotaia saranno sempre più complementari e tra i grandi centri nuovi ed interessanti progetti per lo spostamento sotterraneo delle merci stanno nascendo.

A causa della conformazione geografica del nostro paese, la distribuzione all’ultimo miglio sarà, almeno per il prossimo futuro, sempre legata alla gomma.

Dati di contatto: ASTAG Sezione Ticino, Via Santa Maria 27, 6596 Gordola, ticino@astag.ch