Obbligo dell’analisi della parità salariale

Il 1° luglio 2020 è entrata in vigore la modifica della legge sulla parità dei sessi.

Questa modifica introduce l’obbligo di eseguire un’analisi della parità salariale. Questo obbligo concerne i datori di lavoro che impiegano almeno 100 dipendenti. La soglia numerica non si riferisce ai posti di lavoro a tempo pieno ma al numero effettivo dei lavoratori. Gli apprendisti non sono conteggiati nel calcolo.

L’analisi va effettuata entro un anno dall’entrata in vigore della revisione, e ripetuta ogni quattro anni, a meno che la prima analisi non dimostri il rispetto della parità salariale, o se nel frattempo il numero dei lavoratori non scenda al di sotto della soglia che la rende obbligatoria.

Tenuto conto che l’analisi va condotta secondo un metodo scientifico, la Confederazione mette a disposizione gratuitamente dei datori di lavoro uno strumento adeguato.

Sono esentati dall’analisi anche i datori di lavoro che sono già stati oggetto di un controllo della parità salariale nell’ambito di una commessa pubblica, di una concessione di sussidi, o di un’altra procedura di verifica che non risalga ad oltre quattro anni.   L’analisi del datore di lavoro va successivamente verificata da un organo indipendente. Sono considerati organi indipendenti gli uffici di revisione abilitati legalmente, le organizzazioni che esistono da almeno due anni e, secondo gli statuti, promuovono l’uguaglianza fra donna e uomo, o una rappresentanza dei lavoratori secondo la legge sulla partecipazione. Entro un anno l’ufficio di revisione indipendente stila un rapporto sulla correttezza esecuzione formale dell’analisi. Se la verifica è affidata ad una delle organizzazioni summenzionate, le parti concludono una convenzione sulle modalità di verifica e di consegna.

I lavoratori sono informati per iscritto circa il risultato dell’analisi entro un anno dalla conclusione della verifica. Le nuove norme della legge sulla parità dei sessi resteranno in vigore per 12 anni, ossia fino al 31 giugno 2032.

Possibilità d’acquisto di mascherine chirurgiche RII

L’iniziativa della Cc-Ti permetterà ai soci della nostra associazione di ordinare delle mascherine protettive.

Dopo aver sondato il terreno fra i soci per un eventuale fabbisogno di mascherine protettive, abbiamo acquistato uno stock di mascherine chirurgiche di protezione RII, che proponiamo in vendita per i soci e le associazioni di categoria a prezzo di costo.

Attraverso il formulario d’ordine (scaricabile tramite questo link) è possibile procedere all’ordine e trovare tutte le informazioni del caso.

Contattateci in caso di domande!


Una strategia di rilancio economico per il Ticino post Coronavirus

L’esperienza è il tipo di insegnante più difficile. Prima ti fa l’esame, poi ti spiega la lezione (O.Wilde).

FONTE: BILAN NR. 12- ANNO 2020

«Andrà tutto bene» è stato l’incoraggiamento che ci ha sostenuti nei mesi più drammatici del Coronavirus. Ora che la pandemia ha allentato la sua morsa, dobbiamo domandarci cosa fare affinché «tutto finisca davvero bene», scongiurando il rischio che dall’emergenza sanitaria si sprofondi in un’emergenza economica e sociale. Anche la Camera di commercio e dell’industria unitamente agli attori del territorio, è persuasa che sia il momento di predisporre una strategia di rilancio economico post Covid- 19, favorendo le condizioni per un nuovo ciclo di sviluppo del Paese. Indubbiamente la crescita e la salvaguardia della competitività delle imprese potranno evitare effetti devastanti per l’occupazione, i redditi e il sostegno alle fasce più deboli della popolazione. Diviene, dunque, ancora più importante il dialogo tra imprese, sindacati, politica,
governo e società civile se vogliamo costruire una visione comune per il Ticino del XXI secolo, concentrandoci sulle vere priorità della collettività, poiché Cantone e Comuni saranno confrontati con un importante calo delle entrate fiscali.
Innovazione tecnologica, digitalizzazione, formazione, sburocratizzazione e lavoro sono per la Cc-Ti gli assi strategici su cui intervenire per favorire la ripresa e sostenere strutturalmente l’economia e la società.

Innovazione

Incoraggiare l’innovazione in tutte le sue applicazioni è la migliore garanzia per rendere più competitivo il sistema economico. Le premesse ci sono. L’anno scorso il Ticino si è aggiudicato il secondo posto nella classifica europea sull’innovazione e ha registrato, inoltre, un numero di brevetti superiore alla media svizzera. Tre le direttrici principali per dare nuovi impulsi all’innovazione:

  • Intensificare ulteriormente la collaborazione dei nostri Centri di ricerca (vantiamo istituti di fama mondiale), dell’USI e della SUPSI con le aziende.
  • Sfruttare la collocazione geografica che pone il Ticino al centro delle aree più innovative dell’Europa.
  • Promuovere un ambiente socioeconomico che attiri talenti e specialisti, agevoli la nascita di start up ed esorti il rischio imprenditoriale.

Digitalizzazione e sostenibilità

La trasformazione digitale è un moltiplicatore dei nostri tempi che delinea l’innovazione per tutte le attività economiche. Secondo uno studio del MIT, in quattro mesi di pandemia col boom dell’e-commerce, il telelavoro, le lezioni a distanza, la telemedicina e le comunicazioni online, si è avuto un’estensione delle tecnologie digitali che avrebbe richiesto, normalmente, dai 3 ai 5 anni. L’emergenza sanitaria ha dimostrato che il settore ITC è il tessuto connettivo della società. Di fronte a questo incredibile salto tecnologico diventa fondamentale pensare di estendere al più presto la banda ultralarga a tutto il Ticino, eliminando o limitando le barriere digitali tra aree urbane e zone periferiche e assicurare nuove opportunità di crescita in ogni regione. Strettamente legata a questo passaggio è la realizzazione della rete di telefonia 5G. Una tematica che dovrebbe essere affrontata con emotività maggiormente razionale, considerato che questo nuovo standard di comunicazione, oltre ad essere un eccezionale vettore competitivo per le imprese, diventa essenziale per gestire il flusso di dati che ormai governa i servizi collettivi e la vita quotidiana. Ma le tecnologie digitali offrono soluzioni inedite anche per garantire quella sostenibilità ambientale che è uno dei principali traguardi delle aziende. Esse permettono, infatti, una migliore efficienza energetica, un uso più razionale delle risorse (evitando sprechi e riducendo le emissioni nocive), un’ottimizzazione delle filiere produttive e modalità di impiego, come il telelavoro, a più basso impatto ambientale.

Formazione

Assieme all’innovazione, la formazione è l’altro motore della crescita. Per sintonizzare la formazione alle esigenze reali del mercato del lavoro, è indispensabile una collaborazione costante tra imprese, sindacati, scuola e istituzioni politiche. Questa sinergia riuscirà a ricalibrare la formazione sui cambiamenti produttivi e sociali che richiedono una manodopera ancora più preparata e, soprattutto, in grado di acquisire sempre nuove competenze. Grazie alla formazione duale, la Svizzera ha ottenuto per l’occupazione giovanile risultati che gli altri Paesi ci invidiano. Un sistema oggi confrontato, purtroppo, con la crisi indotta dalla pandemia e che va, quindi, sostenuto e potenziato: mettendo le aziende formatrici nelle migliori condizioni per l’inserimento degli apprendisti, sgravandole da costi e carichi burocratici eccessivi; accostando con più efficacia l’orientamento professionale alla vita reale delle imprese; organizzando campagne mirate sia per persuadere i ragazzi e le loro famiglie che il tirocinio non è assolutamente una formazione di serie B (permette tra l’atro anche l’accesso all’università), sia per avvalorare ai loro occhi, mestieri che garantiscono ottimi sbocchi occupazionali. L’avanzata dell’intelligenza artificiale spazzerà via molte professioni, ne farà nascere altre e riconfigurerà, con abilità diverse, le modalità del lavoro ad ogni livello. Tutto ciò richiederà modelli formativi decisamente flessibili. È questa la sfida che guida l’offerta formativa della Cc-Ti con corsi mirati, moduli commisurati a specifiche esigenze aziendali e la sua Scuola Manageriale con attestato federale. Bisogna attrezzarsi per cogliere le opportunità offerte dall’evoluzione digitale.

Dobbiamo imparare bene le regole in modo da infrangerle nel modo giusto (Dalai Lama).

L’accelerazione tecnologica di questi ultimi anni va supportata con una forte capacità d’innovazione istituzionale per rendere più dinamica
la governance di un sistema paese in rapida trasformazione. Serve in particolare una drastica riduzione della burocrazia che ha ormai pervaso ogni attività. Oggi persino medici e insegnanti si lamentano dell’eccessivo carico burocratico che sottrae tempo ai loro veri compiti. Tra Confederazione, Cantoni e Comuni si è addensata una stratificazione di leggi, regolamenti e ordinanze che penalizza la competitività delle imprese e soffoca la società e lo spirito d’iniziativa. Da anni in Ticino si chiede di ridurre la densità normativa, di semplificare le regolamentazioni, accelerare le procedure amministrative, coordinare meglio servizi e competenze della pubblica amministrazione e sfoltire gli oneri amministrativi che gravano sulle aziende. Ciò non significa deregolamentare, ma permettere, oggi più che mai, all’economia e alla società di rimettersi in moto per superare una crisi che si annuncia lunga e difficile. La necessità di una maggiore flessibilità burocratica è avvertita da
tante imprese che oggi devono confrontarsi con una concorrenza più agguerrita che mai. Il nodo da sciogliere, nell’interesse, in primis, degli stessi lavoratori, è anche la riforma di una legge del lavoro non più interamente aderente all’odierna realtà produttiva e sociale.

A chi si applica la procedura sui licenziamenti collettivi?

Una scheda giuridica redatta dall’Avv. Michele Rossi. Scopriamo i dettagli.

Gli articoli 335d e seguenti del Codice delle Obbligazioni prevedono una specifica procedura (consultazione dei lavoratori) per i cosiddetti licenziamenti collettivi. Si applica a tutte le aziende attive in Svizzera? O solo ad alcune? La domanda è lecita in quanto la legge stabilisce effettivamente una serie di criteri che devono essere soddisfatti affinché questi articoli siano applicati. Un primo criterio è la dimensione dell’azienda. La norma recita infatti che per licenziamento collettivo si intendono le disdette date in un’azienda dal datore di lavoro entro un periodo di 30 giorni, per motivi non inerenti alla persona del lavoratore, se il numero dei licenziamenti effettuati è:

• almeno pari a 10 negli stabilimenti che occupano abitualmente più di 20 e meno di 100 lavoratori;
• almeno pari al 10 per cento del numero dei lavoratori negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 100 e meno di 300 lavoratori;
• almeno pari a 30 negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 300 lavoratori.

Da quanto sopra possiamo innanzitutto concludere che la procedura non si applica alle aziende con meno di 20 dipendenti. In secondo luogo entrano in considerazione solo le disdette date dal datore di lavoro, non quelle notificate dai dipendenti o eventuali accordi tra le parti di cessazione consensuale del rapporto lavorativo. Nel calcolo non vanno poi considerati nemmeno eventuali licenziamenti decisi per motivi
inerenti alla persona del dipendente, come ad esempio un rendimento insufficiente o un licenziamento in tronco per cause gravi.

Durante il regime di lavoro ridotto è possibile notificare una disdetta del contratto? Esiste un periodo di protezione come, ad esempio, in caso di malattia o di assenza per servizio militare? Durante questo regime valgono le regole generali sulle disdette. Non esiste quindi alcun periodo di protezione e le disdette possono essere notificate. Attenzione però che dal momento della disdetta del contratto lo Stato non verserà più le indennità e il salario durante il periodo di preavviso sarà pertanto interamente a carico del datore di lavoro.

Il lavoro ridotto e la disdetta del contratto di lavoro

Una scheda giuridica redatta dall’Avv. Michele Rossi. Scopriamo i dettagli.

In queste settimane si è molto parlato del lavoro ridotto. Si tratta di una possibilità già da tempo prevista dalla nostra legislazione, ma che è diventata di estrema attualità a seguito dell’emergenza sanitaria. A cosa serve?
Tramite il lavoro ridotto è possibile mantenere in essere i contratti di lavoro, in un momento di riduzione o sospensione temporanea dell’attività aziendale. In un tale regime il datore di lavoro percepisce dallo Stato le cosiddette indennità per lavoro ridotto a favore dei dipendenti assicurati. Le indennità ammontano all’80% del salario ordinario. In altre parole, le indennità statali permettono all’azienda di non separarsi dai lavoratori temporaneamente senza attività, o con attività ridotta, e di essere quindi pronta con i contratti in essere al momento della ripartenza.

Durante il regime di lavoro ridotto è possibile notificare una disdetta del contratto? Esiste un periodo di protezione come, ad esempio, in caso di malattia o di assenza per servizio militare? Durante questo regime valgono le regole generali sulle disdette. Non esiste quindi alcun periodo di protezione e le disdette possono essere notificate. Attenzione però che dal momento della disdetta del contratto lo Stato non verserà più le indennità e il salario durante il periodo di preavviso sarà pertanto interamente a carico del datore di lavoro.

Le legalizzazioni incontrano il digitale

Non è mai stato così facile, veloce e sicuro richiedere un certificato d’origine. Il nostro Servizio Export è a vostra disposizione per i dettagli.

Da qualche anno abbiamo implementato l’utilizzo della piattaforma www.certify.ch, già utilizzata con successo e praticità anche da altre Camere di commercio e dell’industria svizzere.
Invece di fornire le domande di attestazione e di ricevere i documenti via posta cartacea, il tutto avviene semplicemente online. I certificati e i documenti legalizzati possono essere comodamente stampati dal richiedente o utilizzati in PDF.
La piattaforma non ha alcun costo supplementare e i prezzi delle pratiche rimangono invariati. Si guadagna sicuramente in velocità e in sicurezza.

Crediamo che non ci sia momento migliore per avvicinarsi al mondo della digitalizzazione anche nel settore dell’export, soprattutto riguardo al rilascio dei certificati d’origine, per i quali l’emissione è richiesta sempre di più in tempi brevi.

La piattaforma è accessibile 24h su 24h, 7 giorni su 7, tramite il proprio nome utente e la propria password che vi rilasceremo noi al momento della creazione dell’account.

Per qualsiasi informazione il Servizio Export Cc-Ti è a vostra disposizione.

Gli impatti di un’ipotetica guerra commerciale mondiale

Che cosa sta succedendo sui mercati mondiali? Da dove derivano le tensioni commerciali, inasprite ancor di più dal Covid 19? Per avere un occhio critico su quanto sta succedendo è sempre bene rivolgere un veloce sguardo al passato.

Conoscere i principali passi della storia permette di leggere il presente e guardare al futuro con occhi diversi. Uno studio ci aiuta inoltre a capire quali conseguenze avrebbe una caduta del sistema commerciale multilaterale attuale e il ruolo della Svizzera a livello internazionale.

Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina sono sotto gli occhi di tutti e gli imprenditori devono continuamente rimanere vigili sulla guerra dei dazi e delle contro misure che si sono susseguono nel tempo. Di basilare importanza, in un momento critico, è la presenza di istituzioni internazionali multilaterali che permettono di mantenere un certo rigore ed evitare guerre commerciali che distruggerebbero l’economia mondiale. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), non priva di attacchi critici negli ultimi anni, vigila sulla liberalizzazione del mercato internazionale ed è la forza che ancora oggi mantiene gli equilibri internazionali.

Un salto nella storia

Su iniziativa degli Stati Uniti nel 1947 fu firmato a Ginevra l’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT), predecessore dell’OMC. Il trattato, sottoscritto inizialmente da 23 Paesi, mirava a impedire un ritorno al protezionismo del periodo tra le due guerre, liberalizzando gli scambi commerciali attraverso l’abbassamento multilaterale delle tariffe doganali e l’adozione di regole contro la concorrenza sleale. Nel 1948 il GATT divenne un’istituzione a pieno titolo con sede a Ginevra e proseguì da un lato il processo di liberalizzazione organizzando periodicamente cicli di negoziazioni (rounds) tra i Paesi membri, dall’altro sovraintese all’applicazione degli accordi che risultavano da questi incontri. Il 1°.1.1995 il GATT fu sostituito dall’OMC: oggi i governi degli Stati membri possono cooperare per stabilire le tariffe doganali e risolvere i principali conflitti con soluzioni comuni.

Una forte rete di libero scambio

Anche se la Svizzera non volle subito entrare nel GATT, per le piccole economie è fondamentale fare parte di un sistema commerciale multilaterale. Oggi la nostra Confederazione, oltre alla Convenzione AELS e all’accordo di libero scambio con l’Unione europea (UE), dispone di una rete di 30 accordi di libero scambio con 40 partner ed intrattiene forti relazioni con molte nazioni a livello internazionale.  

La politica di libero scambio della Svizzera mira a migliorare le condizioni quadro che reggono le relazioni economiche con partner economicamente importanti. L’obiettivo è garantire alle imprese elvetiche un accesso ai mercati internazionali il più possibile privo di ostacoli e discriminazioni rispetto a quello di cui beneficiano i loro principali concorrenti. Gli accordi di libero scambio accelerano l’obiettivo principale del GATT prima e dell’OMC oggi: la liberalizzazione dei mercati, senza ostacoli né barriere commerciali. Le misure di apertura dei mercati esteri sono inoltre particolarmente importanti nell’ambito della politica di stabilizzazione economica del Consiglio federale. Abbandonare quindi un sistema di libero scambio liberale a favore di un maggiore protezionismo avrebbe conseguenze molto gravi, soprattutto per un’economia svizzera priva di materie prime e fortemente dipendente dall’estero.

Conseguenze nefaste di un protezionismo svizzero

Un interessante studio («Swiss market access in a global trade war», 2019, di Nicita Alessandro, Olarreaga Marcelo, Silva Peri et Solleder Jean-Marc)ha esaminato l’aumento delle tariffe al quale dovrebbero confrontarsi gli esportatori elvetici nel caso in cui il sistema commerciale multilaterale verrebbe a cadere e le tariffe doganali non sarebbero quindi più fissate dall’OMC. I risultati dello studio – che riportiamo qui di seguito e che sono stati pubblicati da “La Vie économique” (aprile 2020) – indicano che una guerra commerciale mondiale potrebbe generare una moltiplicazione di barriere tariffarie per gli esportatori elvetici. La Svizzera si ritroverebbe soprattutto schiacciata dai suoi principali partner commerciali: l’Unione Europea, gli Stati Uniti e il Giappone. Queste potenze economiche, non agendo più in seno all’OMC, disporrebbero di un’influenza di mercato sostanziale: le stime mostrano un aumento fino al 35% dei dazi doganali che metterebbero in ginocchio l’economia esportatrice elvetica.

Aumento dei dazi nei principali partner commerciali

Come si evince dal grafico “Aumenti tariffali per gli esportatori svizzeri secondo il mercato di riferimento”, lo studio ha calcolato un indice dell’effetto restrittivo dell’accesso al mercato negli scambi mondiali e permette di rappresentare l’aumento medio delle tariffe a cui dovrebbero far fronte gli esportatori elvetici. Il maggior aumento è dato dai mercati più importanti: i costi delle esportazioni aumenterebbero del 74% verso gli USA e del 60% verso l’UE, che oggi hanno strutture tariffarie cooperative in seno all’OMC. L’India invece è un’eccezione: gli esportatori svizzeri non subirebbero aumenti poiché già oggi, il sistema indiano, ha delle tariffe non cooperative.


Aumenti tariffali per gli esportatori svizzeri secondo il mercato di riferimento


Fonte: Nicita, Olarreaga, Da Silva e Solleder (2019)/La Vie économique

Conseguenze diverse per i settori

Una possibile distruzione del sistema commerciale multilaterale potrebbe avere degli effetti molto differenti a dipendenza del settore economico. Quelli che oggi trascinano l’export elvetico, come ad esempio il chimico-farmaceutico, potrebbero subire aumenti tariffari sostanziali più elevati (vedasi il grafico “Aumenti tariffali per gli esportatori svizzeri per settore industriale (classificazione Isic)”. Altri settori invece, come quello delle macchine elettriche, dei metalli non ferrosi o il tabacco, subirebbero degli aumenti tariffari inferiori alla media.


Aumenti tariffali per gli esportatori svizzeri per settore industriale (classificazione Isic)

Fonte: Nicita, Olarreaga, Da Silva e Solleder (2019)/La Vie économique

Risultati in chiaro scuro

I risultati di questo studio rappresentano lo scenario peggiore di una guerra commerciale mondiale, che non implicherebbe necessariamente un taglio così netto alle tariffe non cooperative determinate dalla sola potenza del mercato d’importazione. Quest’analisi non tiene conto del fatto che le forze politiche delle potenze mondiali non subirebbero modifiche in caso di conflitto mondiale, anche se è una variabile molto probabile. Il punto più importante: lo studio non ha considerato tutte quelle barriere non tariffali che già oggi creano più ostacoli al commercio mondiale dei semplici dazi doganali. Pensiamo ad esempio alla richiesta di omologazioni, di certificazioni particolari, di registrazioni presso specifici ministeri o addirittura di ispezioni prima dell’invio delle merci.

Malgrado queste critiche, l’analisi mostra chiaramente il risultato dell’inasprirsi delle tensioni commerciali già oggi in atto e fornisce una chiara visione dell’importanza di un sistema commerciale multilaterale.

Il futuro dell’OMC e il ruolo della Svizzera

Il ruolo garante dell’OMC risulta fondamentale per mantenere gli equilibri mondiali e garantire la liberalizzazione dei mercati. Malgrado la sua istituzione sia stata scalfita nel dicembre 2019 con l’eliminazione della Corte d’appello – che rimasta con un solo giudice in carica non può più funzionare – le sue regole continuano a rimanere in vigore, ma con minore peso. Se la risoluzione delle controversie dell’OMC non ritornasse nuovamente operativa, i piccoli Stati rimarrebbero senza strumenti per far valere le loro ragioni e perderebbero la possibilità di rimettere le grandi potenze al loro posto in caso di violazione delle regole dell’OMC. La Svizzera può e deve continuare ad agire facendo tutto il possibile per ristabilire la capacità di funzionamento e di azione del sistema dell’OMC. Di fronte a questa crisi, gli accordi di libero scambio sono la strada da perseguire con ancor più capacità e forza. Non è consentito, per un Paese piccolo e dipendente dall’estero, chiudersi commercialmente: i trattati devono continuare ad essere sostenuti per garantire il funzionamento della nostra economia.


Fonte: La Vie économique, nr. 5, “Swiss market access in a global trade war”, 2019, di Nicita Alessandro, Olarreaga Marcelo, Silva Peri et Solleder Jean-Marc.

La riscoperta della nostra terra

In molti hanno paragonato il periodo che stiamo vivendo a una guerra. In realtà fortunatamente si tratta di qualcosa di ben diverso, ma per certi versi vi sono delle similitudini, soprattutto per quanto concerne il sentimento di vulnerabilità e il legame alla propria terra, la propria Patria.

Le regole di comportamento e le limitazioni di movimento hanno modificato le nostre abitudini e ci hanno costretti a nuove norme. Molte delle attività che facevamo in modo automatico hanno dovuto essere messe da parte o modificate. Tra queste vi è anche il “fare la spesa”. Il settore orticolo possiamo dire che, seppur nella difficoltà, ha potuto in parte beneficiare di questi mutamenti di abitudini e mentalità. “Distanti ma vicini”, “insieme ce la faremo”, “andrà tutto bene”, sono gli slogan che hanno contraddistinto la nostra quotidianità in queste settimane di fatica e di incertezza. E così la “distanza sociale” ha fatto il paio con una maggiore unità di popolo; l’individualismo di quando si poteva fare tutto e incontrare chiunque si è trasformato in attenzione all’altro, rispetto e solidarietà, per la consapevolezza che siamo tutti sulla stessa barca e che dal comportamento di ciascuno, dunque anche il mio, dipende la salute e talvolta la vita degli altri.

Lo spirito di solidarietà

La grande distribuzione ci ha sostenuto nel promuovere alcune particolari insalate che normalmente non acquista perché utilizzate esclusivamente dall’industria e dalla ristorazione. La chiusura di questi due importanti canali di vendita ha creato non pochi problemi a questa produzione che, invece, non ha mai potuto fermarsi giacché la natura ha continuato il suo corso e in marzo e aprile queste insalate hanno dovuto essere raccolte. L’acquisto da parte di alcune importanti catene di alimentari che hanno provato a proporre gli articoli ai propri clienti, è stato un gesto di collaborazione molto apprezzato che fa ben sperare per il futuro. Purtroppo molto prodotto non ha potuto comunque essere smerciato ed è finito in biogas, con conseguente perdita di guadagno per i produttori. Un’altra espressione di solidarietà nei confronti dell’orticoltura è invece riconducibile al consumatore finale che ha molto spesso scelto di acquistare locale per sostenere i produttori che non hanno mai smesso di lavorare, adeguandosi alle misure sanitarie imposte non senza difficoltà. La pandemia è capitata nel momento in cui la produzione cominciava a entrare nel vivo per molte colture per cui bisognava raccogliere. Inoltre la domanda di prodotto è sempre stata alta ed era necessario garantire l’approvvigionamento. Molti svizzeri hanno scelto di comperare i prodotti indigeni anche per dimostrare gratitudine al mondo contadino.

La spesa di prossimità

La vendita di ortaggi ha visto un incremento rispetto ai periodi “normali”, il che può sembrare paradossale, se pensiamo che si tratta di merce fresca e che la possibilità di fare la spesa regolarmente era limitata. Eppure i ticinesi non si sono limitati ad acquistare verdura in scatola o surgelata. Le frontiere chiuse hanno naturalmente aiutato, bloccando il fenomeno del turismo degli acquisti e così il consumatore ha ancor più scoperto il prodotto locale, a volte un po’più caro, ma di grande qualità e a due passi da casa. Addirittura si è vissuto un grande successo delle vendite dirette nelle aziende: in molti hanno preferito recarsi direttamente dai produttori piuttosto che l’acquisto al supermercato, sia per evitare l’affollamento, sia perché il prodotto appena raccolto è stato toccato da meno mani e quindi con meno rischio di essere “contagiato”. Anche il servizio di acquisto online con consegna a domicilio della TIOR SA (ossia la società commerciale che distribuisce la produzione orticola dei soci della Federazione Ortofrutticola Ticinese) portoacasa.ch ha visto un notevole incremento. Tutto ciò ha creato una nuova vicinanza dei consumatori ticinesi ai nostri prodotti e ai nostri stessi produttori, con soddisfazione e gratificazione per tutti. Permettendo al prodotto locale, che di regola in questo periodo subisce una forte pressione di prezzo perché l’importazione è ancora libera, di essere comunque preferito a scapito della produzione spagnola o olandese.

Lavorare la terra, un lavoro che può anche essere svizzero

A inizio primavera le aziende, come ogni anno, si sono trovate nella necessità di assumere addetti alle attività agricole (i cosiddetti “braccianti”). Personale che normalmente è difficile trovare in Ticino ma arriva da altri Paesi (prevalentemente Europa dell’Est). Viste le limitazioni di spostamento e la paura del contagio queste persone non hanno potuto o voluto raggiungere il nostro Cantone e il resto del Paese. La collaborazione con l’ufficio del lavoro, il soccorso operaio e altre organizzazioni del territorio, ha permesso di reperire personale residente alla ricerca di un impiego per questi numerosi posti di lavoro. Le aziende hanno dovuto organizzarsi e insegnare il mestiere a tante persone nuove sotto la pressione della urgenza della raccolta, ciò che ha richiesto loro un notevole sforzo. Si sa che lavorare la terra è e faticoso, e in molti hanno desistito dopo breve tempo, ma diverse di queste esperienze sono state positive e qualcuno ha anche scoperto il piacere di questo lavoro rimanendo nelle aziende.

Quale futuro?

La pandemia non è ancora passata, anche se questa fase di allentamento ci sta facendo ritornare ad una vita quasi normale. Che cosa succederà? L’auspicio è che il buono che si è potuto imparare e vivere in questo periodo possa rimanere nel tempo e consolidarsi. Gli orticoltori sono lavoratori instancabili, abituati all’imprevisto perché la natura comanda sempre, entusiasti di quello che fanno e orgogliosi di quanto producono, e alle parole preferiscono sempre i fatti. Pensando a loro gli auspici per il futuro non possono ridursi a semplice retorica. La pandemia ha portato le persone più vicino al territorio sia fisicamente (andando nelle aziende ad acquistare) sia moralmente (scegliendo di sostenere la produzione indigena). Certamente la riconoscenza dimostrata in questi mesi è importante ma occorre lavorare affinché il legame tra produzione e consumatore si consolidi e cresca sempre di più. Per raggiungere questo obiettivo è importante che anche l’agricoltura trovi nelle nuove vie per avvicinare la popolazione alla realtà contadina. La vendita online è un esempio di questo, ma ci sono sicuramente molte altre iniziative che si possono realizzare affinché anche la nostra filiera alimentare sia maggiormente conosciuta e valorizzata. A livello nazionale si sono levate voci e richieste di maggiore tutela della realtà contadina, proprio perché la sensibilità accresciuta in questi mesi ha dato forza a un settore primario che tante volte è sotto i riflettori più per i suoi aspetti negativi (per l’agricoltura pensiamo alle votazioni contro l’utilizzo di pesticidi) piuttosto che per ciò che offre. La valorizzazione del prodotto locale è in atto da tempo nei concetti di marketing e nella politica della grande distribuzione, ma il limite che c’è sempre tra le parole e i fatti è costituito dai prezzi, troppo spesso ancora l’unico metro di giudizio. Credo che nessuno metta in dubbio la qualità della produzione ma si fatica ad accettare che se vogliamo il “made in Switzerland” dobbiamo comprendere cosa significa produrlo in Svizzera: i costi sono diversi, le regole sono diverse, il territorio è diverso. E tutto questo genera oneri finanziari che per forza di cose ricadono in parte sul prodotto finale. Solo comprendendo questo e facendo quindi una scelta consapevole di volerlo sostenere, l’orticoltura, e in generale il primario, potranno avere un futuro nel nostro Paese. Speriamo che anche questa volta potremo ripetere il detto “non tutti i mali vengono per nuocere” e la pandemia porti i ticinesi, e in generale gli svizzeri, a guardare con occhi nuovi ciò che il nostro Paese è in grado di offrire.
Riscoprire o scoprire un amore e una passione per una terra e un settore che ha instancabilmente lavorato da sempre per noi e continua a volerci offrire beni e qualità che aggiungono valore al nostro territorio e lo sostengono.


Articolo a cura di

Alice Croce, Presidente Federazione Ortofrutticola Ticinese (FOFT)

La formazione per promuovere il futuro lavorativo

Termini come smart working, BYOD, lavoro da remoto, games for learning e intrapreneurship hanno fatto la loro prepotente comparsa nelle aziende, accelerate dal lockdown dovuto al Covid-19.

Ci sono delle attività e degli strumenti che faciliteranno l’uso e il mantenimento dello smart working anche successivamente a questo particolare periodo. Uno di questi è la gamification. Attualmente utilizzata per lo più dalle grandi realtà aziendali nell’ambito delle Human Resources, per l’unione del gioco e di strumenti tecnologici all’avanguardia inseriti all’interno del processo di selezione del personale. Permette ai candidati di vivere il colloquio più serenamente e con minor tensione rispetto al colloquio tradizionale che avviene di persona, ma non solo; permette di mostrare eventuali competenze tecniche, facilita l’utente nel rispondere a quesiti e/o prove di creatività e via dicendo. Per i recruiter, invece, il processo di selezione sarà facilitato grazie alla gamification consentendo per esempio una più precisa valutazione del candidato, ottimizzando i tempi di lavoro e la condivisione dei dati con colleghi; ovviamente a patto che le competenze dei recruiter stessi siano aggiornate e siano realmente in grado di usare gli strumenti di gamification e interpretare correttamente i vari feedback provenienti dai candidati. Per questo motivo è molto importante concentrarsi sulla formazione continua dei recruiter stessi; molto spesso ancorati ad un metodo desueto che non ottimizza il sistema aziendale. La gamification può essere usata a vantaggio di tutte le aziende, sia PMI che grosse imprese e, ovviamente, integrata in tutti i reparti aziendali, non solo nelle risorse umane.
Il sistema di recruiting deve subire dei cambiamenti. Basti pensare a grandi aziende come Google, Audi, MSC Crociere, Servizio postale francese Farmapost, Heineken giusto per citarne qualcuna, che già utilizzano sistemi di gamification per l’assunzione del personale. Si tratta di aziende che, non solo traggono un vantaggio organizzativo da questo processo ma rispondono ad una precisa esigenza del mercato dei lavoratori più giovani, sia attuali che futuri, cresciuti in un contesto in cui gamification e tecnologia rappresentano la norma.

Aziende e professionisti non devono rimanere indietro

Possedere una laurea o una competenza in un singolo settore non sarà garanzia di accesso ad un determinato posto di lavoro, soprattutto in un mercato lavorativo in cui si dà sempre maggiore rilevanza alla capacità di adattarsi rapidamente ad un contesto mutevole e alle cosiddette soft skills; dall’organizzazione e gestione delle priorità agli ambienti di lavoro, dalla strumentazione da utilizzare in azienda ai metodi per la condivisione delle informazioni e così via. Ogni aspetto legato alla vita lavorativa stava già conoscendo dei rapidi sviluppi, il lockdown dovuto al Covid-19 ha sicuramente accelerato il processo. In aggiunta a ciò basti pensare che secondo Cathy Davidson, Direttrice della Futures Initiative alla City University of New York, ben il 65% degli impieghi dei prossimi 10 anni non avrà nulla a che fare con i lavori che conosciamo oggi; in parole semplici il lavoro di domani ancora non esiste ma esistono i metodi per aggiornarsi, formarsi e prepararsi a quello che ci aspetta, sia per le aziende che per i singoli professionisti.

I centri di formazione dovranno aggiornarsi per fronteggiare le richieste dei lavoratori

I centri di formazione continua devono aggiornarsi costantemente per garantire la qualità della formazione professionale; soprattutto al giorno d’oggi in cui innovazione e progressi tecnologici hanno un impatto profondo su tutti il sistema lavorativo. Per farlo dovranno riorganizzare il modello della formazione stessa: a partire dai manager che saranno alla guida dei processi di trasformazione in tutti i settori fino ad arrivare a professionisti, collaboratori e dipendenti di piccole, medie e grandi realtà aziendali. Si tratta di un processo complesso e non tutti i centri di formazione saranno in grado di organizzare corsi all’avanguardia con modalità didattiche e strumentazioni innovativi. Tuttavia, per le aziende e i professionisti sarà necessario prepararsi al cambiamento per non rimanere indietro nel mercato del lavoro.

La formazione futura

Dopo l’attuale periodo pandemico dovranno esserci dei cambiamenti nei metodi di formazione. Mutamenti che potrebbero generare nuove opportunità. Modifiche che non possono riguardare solamente la didattica a distanza ma prevedere forme nuove anche nei centri di formazione
fisici; ovviamente seguendo le attuali e future regolamentazioni per garantire la sicurezza di tutti: formatori, personale e corsisti.
Prendendo come spunto di partenza il progetto europeo FCL – Future Classroom Lab, in cui soluzioni tecnologiche innovative supportano metodi di insegnamento e apprendimento all’avanguardia, potremmo divedere i centri di formazione in otto zone ben distinte:

  • Zona di simulazione in cui i corsisti possono esercitarsi, per esempio, con scenari VR sotto la diretta supervisione dei formatori che, in tal modo, possono offrire feedback immediati. Nel report “Seeing is beliving” di PwC (marzo 2020), vengono valutate le tecnologie di VR e AR; queste tecnologie entro il 2030 genereranno 1,5 trilioni di dollari. Queste tecnologie miglioreranno oltre 23 milioni di posti di lavoro.
  • Zona di interazione in cui sia discenti che formatori sono attivamente coinvolti in un processo di scambio informazioni, domande/risposte e discussione.
  • Zona di presentazione per condividere progetti e lavori con tutta l’aula tramite strumenti che permettano presentazioni interattive, non solo in presenza ma anche online.
  • Zona game room per rafforzare tramite la gamification le soft skills come capacità di leadership, ottimizzazione di tempi e compiti, capacità di risolvere problemi e così via.
  • Zona investigazione per incoraggiare un apprendimento attivo e non passivo tramite la ricerca di materiali e informazioni, sia singolarmente che in gruppi.
  • Zona di creazione per creare, per esempio, progetti multimediali e/o presentazioni interattive.
  • Zona di scambio per favorire la collaborazione con gli altri corsisti, sia a distanza che in presenza.
  • Zona di sviluppo per favorire un apprendimento informale basato sulla propensione del singolo individuo ad incamerare ed elaborare le nozioni acquisite, con i propri ritmi e metodi.

Ovviamente per far sì che tutto questo sia possibile è necessario dotarsi di strumenti e soluzioni tecnologiche innovative; giusto per citarne qualcuno: visori per la realtà aumentata, monitor interattivi, dispositivi mobili di apprendimento come laptop e tablet, telecamere motorizzate per permettere agli alunni di seguire oltre l’aula, BYOD, flipchart interattivo, regia audio-video, schermi HD e strumenti di pubblicazione online come piattaforme.
I centri di formazione così intesi possono non solo ampliare il bacino di corsisti ma allo stesso tempo favorire l’evoluzione verso un nuovo modo di insegnare ed apprendere; un modo in cui tramite la Blended Learning (ossia l’apprendimento misto o apprendimento ibrido, che nella ricerca educativa si riferisce ad un mix di ambienti d’apprendimento diversi) vengono impartite nozioni tramite una combinazione di media digitali, formazione classica in aula e uso di strumenti altamente tecnologici. Fino ad oggi la scuola è rimasta ancorata al passato insegnando ad esempio la tecnologia con corsi ICT a indirizzi prettamente informatici ma ora più che mai è necessario andare oltre.
La scuola digitale per molti è uno slogan più che una reale esigenza didattica e sociale. Non dovrebbe esser così, ancor di più dopo questo periodo. L’accompagnamento e la formazione di qualità nell’uso della tecnologia sono una priorità.


Articolo a cura di

Luca Mauriello, CEO Swisstecnology Sagl

Video killed the radio star

Le numerose tecnologie esistenti sul mercato e a disposizione delle aziende possono cambiare il processo di selezione?

Il processo che adottiamo nella selezione del personale assomiglia sempre più ai primissimi programmi televisivi degli anni ’50. Questi ultimi infatti non erano nient’altro che programmi radiofonici trasmessi in video. Ci sono voluti decenni perché la televisione sviluppasse un suo linguaggio con un cambio di paradigma. Così funziona l’innovazione. Parte lenta e cambia solo le cose più superficiali, poi improvvisamente s’impenna e porta a cambiamenti profondi che spesso sono perturbativi.

HR e digitalizzazione

La selezione del personale non fa differenza. All’interno del processo di selezione si sono andati via via inserendo strumenti tecnologici sempre
più sofisticati, ma il processo rimane lo stesso. Si è cominciato con la possibilità di avere CV su supporto digitale anziché cartaceo e di gestire
una parte di processo e gli archivi documentali con i software di gestione risorse umane. Poi sono apparsi il web e Internet. Così abbiamo aggiunto la career page del nostro sito, gli scambi via mail e gli annunci anche sui siti web specializzati invece che solo sui giornali. Poi sono arrivati i social e abbiamo cominciato a pubblicare gli annunci sui social. Con gli smartphone sono arrivati i video fatti in casa e abbiamo creato i video CV. È nata una piattaforma per videochiamate e abbiamo avuto i colloqui virtuali. Sta arrivando l’intelligenza artificiale e stiamo avendo i primi bot che selezioneranno per noi i CV e risponderanno con una bella lettera al candidato non selezionato. Tutto questo produce piccole innovazioni superficiali ma lascia sostanzialmente inalterato il processo di selezione, che resta più o meno sempre lo stesso da decenni: bisogno, profilo, annuncio, screening CV, primo colloquio, short list, secondo colloquio, contratto, inserimento. Abbiamo messo dentro tecnologia e applicazioni, ma stiamo trasmettendo un format radiofonico sul mezzo televisivo. Proviamo a fare delle riflessioni per capire se questo
paradigma stia ancora in piedi.

Fare selezione del personale oggi

Le aziende si trovano sempre più raramente nella condizione di poter programmare con largo anticipo il fabbisogno di personale futuro. L’orizzonte di visibilità è nel migliore dei casi qualche mese, il tempo della costruzione del budget dell’anno prossimo. Quindi la selezione è sempre di più un processo impulsivo, che insegue o il bisogno momentaneo, come una fluttuazione in una posizione o una programmazione a breve. Il tempo di ricerca deve essere il più breve possibile, indipendentemente dal tipo di profilo, persino per quelli che sono rari o particolarmente richiesti. Anche il periodo di inserimento in azienda è sempre più limitato. Infine le funzioni HR sono sempre più ridotte in termini di personale e la selezione è uno di quei processi a maggior consumo di tempo. Su questi presupposti il processo di selezione come lo abbiamo concepito finora è probabilmente inadeguato perché è incapace di rispondere ai bisogni dell’azienda, richiedendo spesso troppo tempo e risorse che non abbiamo. Le alternative restano le società specializzate oppure provare a cambiare questo processo. Il punto è che l’HR deve riprendere a guardare avanti per anticipare l’esigenza. Guardare avanti non significa avere il bastoncino da rabdomante o essere il campione dei futuristi, ma concentrarsi sul proprio business. Se guardiamo con attenzione il business sappiamo in anticipo quali sono le competenze e i profili necessari. Quindi la domanda è se li conosciamo perché dobbiamo aspettare che qualcuno ce li chieda? Non possiamo prepararci prima?
Certo, ma per farlo è necessario un certo lavoro integrato e sistemico. Dobbiamo ragionare con logiche di marketing.

Il marketing nella selezione del personale

Il primo punto è il cliente, cioè i nostri candidati. Chi sono? Cosa fanno? Dove sono? Di che parlano? Vanno creati dei cluster pre-profilati per famiglie professionali basate sulle esigenze di business. Non dobbiamo farlo per tutti i collaboratori, ma solo per quelle posizioni dove sono richiesti profili significativi, per le posizioni chiave. Secondo punto: il prodotto, cioè la nostra azienda. Dato che un ingegnere non vuole necessariamente le stesse cose di un contabile, qual è il valore che possiamo offrire specificatamente a ciascun cluster? Si tratta di costruire quella che si chiama l’employee value proposition cioè la nostra proposta di valore per questi profili, un pacchetto concreto che includa benefici tangibili e intangibili. Il terzo punto è il posizionamento: come datore di lavoro come vogliamo essere percepiti e per che cosa vogliamo essere riconosciuti dai nostri cluster? Quindi qual è l’immagine che vogliamo dare? Quarto punto: la promozione. Come li contattiamo? Come ci facciamo conoscere? Come li attiriamo e li incuriosiamo? Come facciamo a proporgli il nostro pacchetto? La risposta a queste domande richiede un lavoro preparativo di riflessione e poi ha delle conseguenze pratiche mediante l’uso combinato delle tecnologie digitali.

Social recruiting

Le piattaforme social come ad esempio Linkedin, dispongono di sistemi di ricerca filtrati che permettono di creare dei gruppi di potenziali candidati che posso tenere in “osservazione”. Non stanno probabilmente cercando lavoro, sono i cosiddetti “passivi”, ma appartengono al cluster che ci interessa e quindi li identifico (per esempio cerco un ingegnere elettronico esperto di scambiatori di calore). È possibile comunque cominciare a contattarli e a conoscerli. Non ho bisogno di farli venire in azienda. Un colloquio virtuale, con tutti i suoi vantaggi logistici, sarà più che sufficiente per aprire il contatto e farmi una idea. Posso costruire delle community di persone interessate ad un determinato argomento e proporre articoli o contributi che hanno un valore per il mio target. Posso legare il mio sito web alla pagina aziendale Linkedin, in modo da costruire uno scambio virtuoso di contenuti che lavorino su un concetto di employer branding. In questo gli stessi collaboratori dell’azienda possono essere coinvolti, mediante un programma specifico di testimonianze, che in cambio di contributi, li valorizza e finisce per offrire loro una utile visibilità. Posso utilizzare degli strumenti di gamification per incentivarli a entrare in contatto con noi, a postare dei video CV per farmi raccontare delle storie. O addirittura posso usare i meccanismi di gamification evoluta (veri e propri giochi costruiti appositamente) per selezionare i profili più interessanti. Del resto la categoria dei nativi digitali si sta affacciando sul mondo del lavoro ora e questi ragazzi sono cresciuti nel mondo dei videogame, hanno familiarità con quei meccanismi e li sanno sfruttare al meglio. Per quel che riguarda le persone di altre fasce di età, la pandemia e lo smart working forzato li hanno spostati volenti o nolenti in avanti. Chi era già un early adopter non ha fatto fatica e chi invece era riottoso si è dovuto adattare a usare tecnologie di community, come le chat evolute, o gli strumenti di meeting e cooperazione a distanza.

E domani?

Le tecnologie per operare ci sono, vanno ricombinate in una forma nuova dove il processo di selezione comincia molto prima e finisce molto più
rapidamente quando serve. La pandemia è stato ed è tuttora un formidabile acceleratore che sta polverizzando i paradigmi dell’organizzazione del lavoro. L’intero concetto di spazio/tempo lavorativo è stato distrutto per essere ricostruito in forme nuove, con problemi nuovi e vantaggi anche nuovi. A proposito di selezione, siete proprio sicuri che le persone che in questo periodo hanno provato un certo modo di lavorare vorranno tornare indietro come se nulla fosse successo? Non sarà che dobbiamo cominciare a chiederci ora chi sono le persone che vorranno lavorare da casa? Che profilo dovranno avere perché noi le possiamo integrare efficacemente con quelli che lavoreranno in presenza?
Potete non chiedervelo. Arriverà presto qualcun altro a chiedere di selezionarli. Naturalmente per ieri.


Articolo a cura di

Andrea Abbatelli, Partner KIAI Sagl