Un nuovo stress test per le PMI europee, e non

Nonostante il rapido susseguirsi di crisi, le piccole e medie imprese europee danno prova di resistenza. La prossima sfida è però all’orizzonte: l’Unione europea è in stallo e l’economia tedesca, locomotiva del mercato unico, sta attraversando grandi difficoltà. Spunta lo spettro della recessione.

Le PMI sono la spina dorsale dell’economia europea, proprio come in Svizzera, e la loro condizione riflette quella dell’intero sistema economico. Negli ultimi due anni, il susseguirsi delle crisi le ha messe sotto pressione, ma l’ultimo indice della produzione industriale pubblicato a novembre da Eurostat, ha evidenziato un aumento della produzione a settembre sia nella zona euro sia nell’UE (del 0,9% in entrambi i casi rispetto ad agosto e del 4,9% rispettivamente 5,7% rispetto a settembre 2021, dati destagionalizzati).

Gli shock scatenati dalla guerra in Ucraina stanno però intaccando la domanda globale e rafforzando le pressioni inflazionistiche. L’inflazione, trainata principalmente dai prezzi elevati dell’energia e dei prodotti alimentari ha raggiunto livelli record nell’UE e ciò si è riflettuto sul clima delle imprese europee, che è diminuito ad ottobre, toccando il livello più basso da agosto 2020. A causa del netto peggioramento del portafoglio ordini complessivo e dell’aumento delle scorte di prodotti finiti, la fiducia del comparto industriale sta crollando.

Impennano inflazione e costo dell’energia

Ad ottobre, il tasso d’inflazione annuo ha raggiunto il 10,6% nella zona euro e l’11,5% nell’UE, con notevoli differenze tra i vari Stati membri. I tassi annui più elevati (oltre il 21%) si registrano nei Paesi baltici e in Ungheria, mentre Francia, Spagna e Malta riescono a contenere meglio il fenomeno (tra il 7,1% e il 7,3%). Il contributo maggiore al tasso di inflazione annuo della zona euro è venuto dall’energia (+4,44 punti percentuali), seguito da alimentari, alcol e tabacco (+2,74), servizi (+1,82) e beni industriali non energetici (+1,62).

La recessione è dietro l’angolo, o è già arrivata

L’economia tedesca occupa una posizione di primo piano in Europa ed è un indicatore fondamentale per capire l’evoluzione dell’economia europea. A sorpresa, secondo una prima stima dell’Ufficio federale di statistica tedesco, nel terzo trimestre l’economia del Paese è cresciuta dello 0,3%, continuando a reggere nonostante tutto. La performance è però basata principalmente sulla spesa per consumi privati. Gli economisti non credono che una recessione possa essere evitata, anzi, il forte consumo sembra piuttosto essere “la calma prima della tempesta”: l’inflazione elevata (10,4% in ottobre) sta erodendo il potere d’acquisto dei consumatori e tutto fa pensare a una contrazione della produzione economica a breve.

La crescente preoccupazione per una recessione emerge anche dai risultati dell’ultima indagine globale sulle prospettive di business delle imprese tedesche condotta dall’Associazione delle Camere di commercio e industria tedesche, che evidenzia però anche il minore pessimismo e la maggiore fiducia delle filiali estere rispetto alle case madri ubicate in patria o le consorelle in Europa. Detto ciò, in linea con le fosche aspettative, anche le loro intenzioni in materia di investimento e di occupazione stanno calando.

Germania e Italia: crescita negativa

A livello globale, le previsioni di ottobre del Fondo Monetario Internazionale (FMI) non lasciano dubbi sugli sviluppi futuri: la crescita globale dovrebbe rallentare al 3,2% nel 2022 e al 2,7% nel 2023. Circa un terzo dell’economia mondiale sta affrontando due trimestri consecutivi di crescita massicciamente ridotta e due trimestri di PIL negativo significano niente meno che recessione. Il rallentamento della crescita colpirà più duramente gli Stati Uniti (1% di crescita nel 2023) e la zona euro (0,5%), dove a soffrire di più saranno altri due partner commerciali principali della Svizzera: Germania e Italia, la prima deve attendersi una crescita negativa del -0,3% e la seconda del -0,2% nel 2023.

Com’è messa la Svizzera?

Secondo l’ultima fotografia effettuata da Swissmem, la principale associazione dell’industria metalmeccanica ed elettrica svizzera, la situazione del comparto è ancora buona: grazie ad un primo semestre forte, il fatturato nei primi nove mesi del 2022 è aumentato del +9,6% rispetto allo stesso periodo del 2021, le esportazioni del +7,0% e le commesse del +2,3%. Il terzo trimestre ha tuttavia fatto segnare un’importante inversione di tendenza per quanto riguarda le nuove commesse, diminuite del -12,4% rispetto allo stesso trimestre del 2021 e del -21,1% rispetto al secondo trimestre del 2022. Da due mesi l’indice dei responsabili degli acquisti industriali (PMI) segna però chiaramente una flessione nella maggior parte dei mercati. Le prospettive si fanno più cupe e le aziende MEM sono più pessimiste, tanto che un terzo prevede una diminuzione degli ordini dall’estero nei prossimi dodici mesi (2021: 13%).

Sebbene la situazione delle aziende rimanga prevalentemente buona anche negli altri settori, l’indicatore della situazione economica per il settore privato svizzero, elaborato dal Centro di ricerca congiunturale (KOF) del Politecnico di Zurigo, è sceso significativamente in ottobre, confermando i segnali di rallentamento dell’attività del comparto manifatturiero e il calo nei servizi finanziari e assicurativi, nel commercio all’ingrosso, (leggermente) nel settore del commercio al dettaglio e nel settore dell’ingegneria. Unica eccezione: la discreta performance del settore delle costruzioni.

Come si presenta la situazione in Ticino? Secondo una prassi decennale consolidata, la Cc-Ti ha condotto la sua inchiesta congiunturale tra gli associati, aziende di tutti i settori economici, dimensioni e distretti cantonali. I risultati saranno pubblicati a breve.