eBill e polizza QR: la nuova tecnologia del pagamento

L’ecosistema dei pagamenti sarà al centro di una vera e propria rivoluzione digitale nei prossimi mesi: dal 30 giugno novità in vista.

Con l’intento di uniformare e armonizzare le procedure di pagamento e rendere il processo di pagamento più semplice ed economico, già dal 2018 la piazza finanziaria Svizzera ha adottato lo standard internazionale ISO 20022 che regola il formato dei file che nell’ambito del Cash Management che le istituzioni finanziare ed i loro clienti si scambiano.

L’impatto di questa introduzione non è però stato uniforme per tutti i clienti: alcuni clienti si sono accorti di questo perché hanno dovuto aggiornare il loro software contabile affinché questo sia in grado di leggere i file PVR (il cui formato è passato da v11 a xml) o per inviare i file di pagamento elettronici (che da OPAE o DTA sono divenuti pain.001). Per altri invece l’impatto è stato pressoché nullo, dal momento che il loro istituto bancario trasformava i file per loro.

L’evoluzione digitale nel mondo dei pagamenti ha poi visto un’ulteriore tappa a novembre 2019, con l’introduzione dell’infrastruttura eBill. Da qualche mese, infatti, le fatture elettroniche sono elaborate da un solo attore invece dei multipli attori attivi in questo ambito abbassando i costi per i clienti, realizzando di fatto un sistema standardizzato per lo scambio di fatture in formato elettronico.

Infine, a partire dal 30 Giugno 2020, il sistema dei pagamenti sarà ulteriormente rivoluzionato con l’introduzione della polizza QR, che sostituirà, dopo una fase di transizione, l’attuale sistema di fatturazione.

La nuova fattura con codice QR

Dal 30 Giugno, gli emittenti di fatture potranno inviare fatture con codice QR. Lo Swiss QR Code è un codice a barre bidimensionale ai sensi dell’ISO-18004, leggibile digitalmente e con integrazioni manuali limitate. Le disposizioni sul layout e le raccomandazioni sulla sezione pagamento con Swiss QR Code e sulla ricevuta sono ben definite e seguono lo standard ISO 20022.

La fattura è suddivisa in tre parti: una ricevuta sulla sinistra, un codice QR (con una piccola croce svizzera al centro) nel mezzo e le informazioni sul destinatario, il pagante ed altre «informazioni aggiuntive” (incluso, se necessario, il Creditor Reference, che sostituisce il N° di riferimento) sul lato destro della fattura. I dati nelle «Informazioni aggiuntive» possono contenere informazioni di guida importanti per l’elaborazione o la contabilizzazione della fattura.

Le fatture con codice QR possono essere trasmesse al destinatario in tre modi:

  • cartaceo: con una punzonatura tra la ricevuta e la parte di pagamento, così come tra la polizza ed il resto del foglio
  • per email
  • per invio elettronico in PDF

L’introduzione del nuovo sistema di fatturazione implicherà che tutti gli e-banking ed i software di pagamento dovranno essere aggiornati: infatti, dopo un periodo di transizione in cui potranno circolare in parallelo le “vecchie” e “nuove” polizze, l’unico metodo in vigore sarà costituito dalle fatture con Swiss QR Code.

La nuova eBill

Con l’ambizioso obiettivo di portare il tasso di digitalizzazione dei pagamenti al 60-80% nel 2025, il ruolo della nuova eBill è decisamente strategico per la piazza finanziaria svizzera. Infatti, attraverso l’introduzione della piattaforma unica eBill, si azzerano le tasse di roaming garantendo prezzi più bassi per le transazioni. Nel dettaglio, la fatturazione eBill garantisce la possibilità di inviare, pagare e gestire le fatture tramite l’e-banking. Tra le novità introdotte, c’è la possibilità di allestire autorizzazioni di pagamento permanenti per fatture dedicate; ricevere notifiche di ricevimento di nuove fatture o impostazioni di comunicazione personalizzate; infine, la possibilità di garantire l’accesso alla propria casella postale eBill a terzi, cedendo il diritto di eseguire operazioni nel portale eBill a nome del titolare.

Cosa cambia per le imprese svizzere

Il cambiamento digitale è già in atto: occorre dunque pianificare e prepararsi per tempo per non farsi trovare impreparati: infatti, è opportuno prepararsi con i sistemi informatici adeguati e rivolgersi a partner specializzati che vi possano accompagnare in questo percorso di digitalizzazione. La tecnologia mette a disposizione grandi opportunità per rendere ulteriormente efficiente la vostra amministrazione: non lasciatevela scappare.

Articolo a cura di John Muschietti, Direttore Fidigit SA (una società del Gruppo Fidinam) e Mauro Lancianesi, Consulente clientela commerciale PostFinance

Coronavirus: attenzione alle truffe online

I corpi di polizia cantonali constatano un aumento di fenomeni di crimine informatico, che fanno riferimento al COVID-19.

Informiamo le aziende che si sta assistendo a un incremento di truffe sul web. I criminali cercano di sfruttare in modo mirato le paure e le preoccupazioni della popolazione per le proprie manovre fraudolente.

Tramite MELANI, la Centrale d’annuncio e d’analisi della Confederazione, rendiamo attente le aziende sulle tecniche criminali attualmente diffuse:

  • E-mail di phishing: gli autori inviano e-mail che sembrano apparentemente provenire dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) o dall’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP).
  • Voice phishing: telefonate in nome dell’UFSP per ottenere informazioni personali.
  • Mappe del Coronavirus: cartine interattive su pagine web che indicano la diffusione del virus possono venir manipolate da criminali informatici per causare il download di programmi nocivi.
  • Appelli fraudolenti per donazioni: presunte organizzazioni di beneficenza invitano ad effettuare delle donazioni al fine di sviluppare un vaccino per il COVID-19.
  • Finte piattaforme per la vendita online di prodotti sanitari: piattaforme di vendita online su cui vengono offerti prodotti sanitari (ad es. mascherine respiratorie). Nonostante il pagamento la merce non viene consegnata.
  • Money Mules: i truffatori cercano di reclutare ignari cittadini come agenti finanziari (moneymules) a nome di una società fittizia.
  • Fake-Sextortion: la vittima viene minacciata per e-mail di venir infettata con il Coronavirus insieme alla sua famiglia se non paga il riscatto.

Fonte: Coronavirus – Truffe in Internet

Ritrovate la news completa e i consigli di MELANI in merito, sul sito dell’Amministrazione Federale.
Per qualsiasi evenienza, non esitate a contattarci.

Sportello legalizzazioni chiuso

Tutte le pratiche possono essere normalmente richieste via posta o online

Per risoluzione governativa, lo sportello del Servizio Legalizzazioni rimarrà chiuso. Le richieste di Certificati d’origine, Carnet ATA e Cites si svolgono normalmente via posta o mediante le piattaforme elettroniche.

La Cc-Ti, tramite il suo Servizio Export, è da anni impegnata nell’implementazione di alcune procedure elettroniche. I CITES e i Carnet ATA vengono già oggi rilasciati al 100% tramite piattaforme online. Anche per i certificati d’origine è disponibile una piattaforma che agevola le imprese nella richiesta di questi importanti documenti ed è già utilizzata con successo da numerose aziende. Per chi desiderasse implementare questo servizio o semplicemente ottenere maggiori informazioni, può contattare direttamente il Servizio Export per email.

Per qualsiasi necessità urgente, siamo a disposizione anche via telefono: 091 911 51 23/29.

Il divieto della discriminazione basata sull’orientamento sessuale entra in vigore il 1° luglio

Un’informativa su una modifica del Codice penale svizzero, che entrerà in vigore da inizio luglio 2020.

A partire dal 1° luglio 2020 sarà punito chiunque discrimina una persona in base all’orientamento sessuale. Nella seduta del 3 aprile 2020, il Consiglio federale ha posto in vigore per tale data le relative modifiche del Codice penale e del Codice penale militare. Nella votazione popolare del 9 febbraio 2020, l’elettorato svizzero ha chiaramente confermato la decisione del Parlamento di estendere la norma penale antirazzismo.

Il diritto penale svizzero protegge le persone da varie forme di discriminazione, per esempio punisce chi denigra pubblicamente una persona o un gruppo di persone per l’appartenenza a una determinata razza, etnia o religione. Il 14 dicembre 2018 il Parlamento aveva deciso di estendere all’orientamento sessuale la norma penale antirazzismo, il che consentirà di proteggere anche le persone discriminate a causa della loro omo-, etero- o bisessualità. Contro tale estensione era stato lanciato il referendum. Il 9 febbraio 2020, l’elettorato ha accettato chiaramente la norma penale modificata con il 63,1 per cento dei voti.

L’attuazione dei due articoli modificati del Codice penale e del Codice penale militare non richiede provvedimenti specifici né a livello federale né a livello cantonale. La modifica dei due codici entrerà in vigore il 1° luglio 2020.

Fonte: portale della Confederazione

Sosteniamo le aziende grazie alla digitalizzazione

Il Servizio Export è a disposizione per il rilascio di certificati d’origine elettronici

La Cc-Ti, tramite il suo Servizio Export, è da anni impegnata nell’implementazione di alcune procedure elettroniche. I CITES e i Carnet ATA vengono già oggi rilasciati al 100% tramite piattaforme online. Anche per i certificati d’origine è disponibile una piattaforma che agevola le imprese nella richiesta di questi importanti documenti ed è già utilizzata con successo da numerose aziende.

Certificati d’origine elettronici

La piattaforma Certify.ch permette di riempire le domande di legalizzazione dei documenti e di ottenere online i certificati d’origine. La Camera di commercio riceve le informazioni tramite Certify.ch e verifica le informazioni come da prassi. Certify.ch informa per e-mail quando i certificati e le legalizzazioni sono pronte. Sarà sufficiente connettervi, scaricarli e stamparli. Rispetto alla procedura cartacea, invece di fornire le domande di attestazione e di ricevere i documenti via posta tradizionale, il tutto avviene semplicemente online e i certificati e i documenti legalizzati possono essere comodamente stampati direttamente in azienda. I certificati d’origine elettronici sono accettati in tutti i Paesi del mondo.

Il servizio è messo a disposizione gratuitamente dalla vostra Camera di commercio e i costi delle richieste rimangono invariati. L’unica configurazione richiesta è una connessione internet a banda larga, un computer dotato di browser e un lettore di PDF.

I vantaggi di Certify.ch

  • Domande di certificati d’origine online
  • Legalizzazione semplificata dei vostri documenti e fatture
  • Non c’è più bisogno di ordinare i formulari
  • Le domande possono essere effettuate 24h/24h, 365 giorni all’anno
  • Le informazioni della domanda sono immediatamente valide
  • Non è più necessario l’invio per posta dei documenti legalizzati
  • Il sistema è sicuro e le informazioni sono criptate
Per chi desiderasse implementare questo servizio o semplicemente ottenere maggiori informazioni, può contattare direttamente il Servizio Export per email.

Meccanismo di pagamento verso l’Iran per alcune aziende elvetiche

L’accordo su un meccanismo di pagamento per l’invio di aiuti umanitari in Iran Swiss Humanitarian Trade Arrangement (SHTA) è entrato in vigore il 27 febbraio 2020.

Lo SHTA, elaborato dalla Svizzera in stretta collaborazione con i servizi competenti negli Stati Uniti e in Iran e con alcune banche e aziende svizzere, è aperto alle aziende elvetiche dei settori alimentare, farmaceutico e medico.

Lo Swiss Humanitarian Trade Arrangement (SHTA) intende garantire agli esportatori e alle aziende commerciali dei settori alimentare, farmaceutico e medico con sede in Svizzera un canale di pagamento affidabile presso una banca elvetica per le loro esportazioni in Iran. In linea con la tradizione umanitaria svizzera, il nostro Paese fornisce così un contributo all’approvvigionamento della popolazione iraniana con materie prime agricole, generi alimentari, farmaci e apparecchi medici.

Lo SHTA è stato elaborato dalla Svizzera in stretta collaborazione con i servizi competenti negli Stati Uniti e in Iran e con alcune banche e aziende svizzere. Nell’ambito dello SHTA il Dipartimento del Tesoro americano (US Treasury Department) fornirà alle banche interessate le necessarie garanzie che le transazioni finanziarie avvengano in conformità con la legislazione statunitense.

In cambio, gli esportatori e le banche che sottoscriveranno lo SHTA informeranno in dettaglio la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) sulla loro attività e sui loro partner commerciali in Iran oltre che sulle transazioni effettuate. La SECO verificherà queste informazioni e si accerterà, in collaborazione con l’US Treasury Department, che le operazioni avvengano nel pieno rispetto del dovere di diligenza, trasmettendo anche ai servizi americani le informazioni ricevute dalle banche e dagli esportatori.

Dalla fine del 2018, in collaborazione con il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) e la Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI), la SECO si è impegnata per realizzare questo meccanismo di pagamento a scopo umanitario. Il 20 gennaio 2020 il Consiglio federale ha dato la sua approvazione di principio all’attuazione dell’accordo.

Il 27 gennaio 2020 è già stato autorizzato a titolo di prova un primo pagamento per la fornitura di medicinali da parte di un’azienda farmaceutica svizzera all’Iran. Si tratta di farmaci per la cura del cancro e il trapianto di organi.

Da quando gli Stati Uniti, nel maggio 2018, sono usciti dall’accordo sul nucleare con l’Iran e hanno reintrodotto sanzioni unilaterali, gli esportatori svizzeri hanno avuto sempre maggiori difficoltà a fornire aiuti umanitari all’Iran, benché queste forniture non siano in linea di principio soggette alle sanzioni americane. Visti i rischi legali dovuti a tali sanzioni, praticamente nessun istituto finanziario era più disposto a effettuare pagamenti destinati all’Iran. I pochi canali ancora esistenti erano costosi, complessi e poco affidabili.

Fonte: SECO

Informazioni tecniche per le aziende, Segreteria di Stato dell‘economia SECO: Email

Questione di… fiducia

Mai sottovalutare il passaparola fra clienti o potenziali tali, anche nell’era delle nuove tecnologie e dei social media. Perché?

Il passaparola si identifica con il propagarsi di informazioni, consigli, esperienze attraverso una rete sociale, sia essa reale o virtuale.
Quella odierna è una società che comunica attivando e utilizzando i più svariati canali, continuamente e da qualunque luogo. Le persone condividono foto, conoscenze e punti di vista, a volte, dibattono su temi e prendono posizione per la ricerca di un confronto. I temi spaziano nell’immenso universo degli interessi dei singoli o della comunità e sono innumerevoli.
Le distanze geografiche non rappresentano una barriera, ma spesso diventano la costruttiva misura di culture diverse che si incontrano. Al giorno d’oggi il passaparola attraversa la rete di Internet e le orecchie in ascolto sono milioni.

Nuovi mezzi d’informazione

La realtà del passaparola non è più quella di una volta, dove bisognava incontrarsi per creare il contatto. Non è più solo il telefono a dover squillare per informarci o consultarci. Oggi basta un “click” e milioni di commenti, domande e valutazioni appaiono istantaneamente sul nostro schermo.
Studi dimostrano come in alcuni settori economici l’acquisizione di nuovi clienti – oltre il 70% – avvenga attraverso il passaparola. Un dato che le aziende hanno compreso e non sottovalutano, anzi utilizzano a proprio vantaggio.

Aziende al passo con i tempi

Oggigiorno, le imprese, grandi o piccole che siano, utilizzano sempre più la rete per la commercializzazione dei loro prodotti, ma anche per il marketing e per acquisire dettagli e tendenze del loro mercato in tempo reale (tipologia di clientela, concorrenza, possibilità di estensione del brand, ecc.). In questo modo, utilizzando il classico ‘passaparola’ con l’ausilio delle moderne tecnologie, il web risponde mettendo immediatamente a disposizione opinioni, valutazioni e recensioni al mondo parte del mondo.
Attraverso vari siti, i fruitori di opere e prestazioni, possono dare un loro giudizio e esprimere il loro contento o malcontento, condividendolo con tutti gli altri utenti.
Un meccanismo che prende sempre più spazio nelle strategie di acquisto e consumo di tutti.
È certo che le recensioni online giocano, più spesso di quanto si pensa, un ruolo determinante: il 97% dei futuri consumatori ricerca un prodotto o servizio su Internet prima dell’acquisto, di questi, l’88% valuta una recensione sul web lecita e/o veritiera, dando credito come se fosse un consiglio dato dalla famiglia o dagli amici. Si tratta, in estrema sintesi, di un ampliamento del concetto di fiducia – intesa come “sensazione di sicurezza basata sulla speranza o sulla stima riposta in qualcuno o qualcosa” -, che corre sul web.
È importante sottolineare che la vita online, sui social media, così come offline, è fatta di relazioni umane, dove la sensazione di fiducia continua a ricoprire un ruolo fondamentale.

La ricerca di consenso e fiducia

Gli utenti in cerca di pareri e consigli sono confidenti nel giudizio altrui, e il feedback trovato in rete ha un vigoroso impatto nella decisione finale. Le valutazioni, siano esse positive o negative influenzano i consumatori e soprattutto quelle avverse condizionano la loro scelta nell’86% dei casi.
Il 45% degli internauti è propenso a rivisitare una ditta o a informarsi sui prodotti venduti, se quest’ultima ha risposto ai commenti di compratori insoddisfatti, laddove necessario e possibile (ad esempio nei siti di recensioni). L’eventualità di poter dare fiducia a qualcuno che ovviamente nella maggior parte dei casi, non conosciamo personalmente, passa, questa volta senza tecnologia, dalle nostre corde di lettura dei fatti. Se l’azienda si mette in gioco e si relaziona con il proprio pubblico target anche attraverso il passaparola, viene creata una comunità trasparente dove tutti gli attori in gioco condividono esperienze, da cui partire sia nel dialogo che con nuovi progetti.
Le critiche possono essere usate costruttivamente e devono essere interpretate e utilizzate per inviare poi messaggi positivi, volti a dimostrare il reale impegno per dare il meglio al pubblico che ci ascolta, vede e giudica.
La fiducia ben riposta resta alla base di qualsiasi rapporto, sia esso privato o commerciale.

Essere produttivi: il metodo di Ivy Lee

Ogni imprenditore, ogni collaboratore, ogni studente, ogni persona vuole coltivare “la produttività” personale per una propria crescita. In poche righe la storia e un metodo davvero interessante.

“Se devi mangiare un rospo fallo come prima cosa al mattino. Se devi mangiarne due, comincia da quello più grosso”. Una citazione che suonerà anche un po’ bizzarra, ma per lo scrittore e umorista statunitense Mark Twain, questo era un principio per sconfiggere la procrastinazione.

Il rospo rappresenta un’attività, magari anche poco piacevole, che si preferirebbe rimandare all’infinito, invece che ultimarla. Senza un certo grado di motivazione, si cade in un circolo di scuse e si finisce spesso per posticipare. Per questo motivo, cioè sottrarsi al cerchio di giustificazioni al rinvio, bisogna mangiare il rospo come prima cosa, o meglio, occorre svolgere i doveri in principio di giornata. Un volta compiuti gli obblighi che reputiamo più sgradevoli, il resto del giorno sarà, in confronto, una passeggiata.

In una società dove i ritmi sono frenetici, è sempre più risentito il bisogno di essere produttivi. La frenesia del lavoro quotidiano e dei mille impegni di cui ci facciamo a carico, non lasciano margini di tempo per procrastinare. Anzi, è diventata una competenza essenziale quella del sapersi organizzare. Per chi non si sentisse capace di pianificare al meglio gli impegni e doveri, si possono trovare oggi, una miriade di tecniche per perfezionare le capacità organizzative di ognuno di noi. C’è speranza per tutti dunque! Una delle tecniche più semplici e efficaci, utilizzata da più di 100 anni, è il metodo Ivy Lee.

Il metodo Ivy Lee è datato 1918, un passaggio alla storia che incomincia quando il signor Schwab, presidente dell’acciaieria Bethlehem Steel Corporation, chiese aiuto all’esperto pubblicista nonché fondatore delle scienze di pubbliche relazioni, Ivy Lee. Il signor Schwab aveva pressantemente bisogno di rendere la sua compagnia più competitiva, dinamica e produttiva. Al primo incontro con Ivy Lee, il signor Schwab espose il suo desiderio di potenziare la produttività del suo team. Ivy Lee chiese di poter passare 15 minuti con ciascuno dei manager, così da spiegar loro una tecnica che avrebbe migliorato in maniera esponenziale la loro capacità di pianificare i loro obiettivi, e di conseguenza di aumentare il loro rendimento ai servizi della Bethlehem Steel Corporation. Quando Schwab chiese quale fosse il compenso richiesto per tale servizio, Lee rispose “niente”. Niente sul momento, ma se nei tre mesi successivi Schwab avesse notato miglioramenti, avrebbe deciso allora quale corrispettivo attribuire a Lee per un tale aiuto. A bilancio dei tre mesi di prova, Schwab firmò a Lee un assegno di 25’000 dollari (pari a 400’000 al giorno d’oggi). L’efficienza e le vendite della Bethlehem Steel Corporation spiccarono alle stelle. Nell’arco di un paio d’anni la compagnia diventò una dei più grandi colossi nella produzione d’acciaio americana, e rese il titolo di milionario al signor Schwab, che raggiunse un capitale dal valore netto di 200 millioni di dollari. La compagnia vanta progetti come il Golden Gate Bridge di San Francisco, il Ponte George Washington di New York, il Chrysler Building, Empire State Bulding, e altri ancora. Edifici, ponti, dighe, costruzioni conosciute e apprezzate nel mondo intero.

Fu in principio Rockfeller a consigliare a Schwab di incontrare Ivy Lee. Il magnate del petrolio era infatti a conoscenza della professionalità e delle capacità di Lee.

Il segreto del metodo Ivy Lee si racchiude nella sua semplicità. Il principio si basa su pochi punti essenziali, i quali richiedono un piccolo ritaglio di tempo per essere decretati e regolati. Bastano infatti 15 minuti la sera, da dedicare a questi spunti organizzativi, per il raggiungimento di una performance ineguagliabile.

Il primo passo consiste nel definire minuziosamente gli obiettivi che si vogliono raggiungere l’indomani. L’ambito in cui questi obiettivi ricadano è indifferente, bisogna però che questi obiettivi siano precisi e realizzabili. Il fine è quello di creare una lista di ciò che si vuole raggiungere nell’arco della giornata, per il giorno dopo.

Il secondo passo sta nel ordinare per priorità gli obiettivi listati, dando fondamentalmente precedenza ai sei reputati improcrastinabili e da ultimare. Mettendo al primo posto l’obiettivo che si considera più importante.

Il terzo passaggio prende vita l’indomani, iniziando la giornata completando l’obiettivo che si è stimato essere il prioritario. Una volta eseguite tutte le azioni per raggiungere il primo dei sei obiettivi, si può passare al secondo. Svolto il secondo si passa al terzo, e così via discorrendo.

Il quarto passo sta nel terminare la liste entro la fine della giornata, se non dovesse essere possibile riuscirci, gli obiettivi mancati vanno ripresi nella lista da redigere la sera, per il giorno seguente.

Il quinto passo sta nel ripetere questo schema ogni ventiquattrore, al crepuscolo, tutti i giorni.

La prestanza di questo metodo si racchiude nella sua capacità nel far realizzare quali siano le priorità a cui dobbiamo far fronte. Il fatto di mettere nero su bianco, quali siano i nostri doveri, e a quali è richiesta precedenza. Così facendo, si sopprimono le possibilità di scuse o posticipi.

Prendere coscienza di quali siano le priorità è un enorme passo avanti per incrementare la produttività, e l’efficienza di ognuno di noi. In tutta agevolezza, ed in un momento di calma, la sera, si categorizzano chiaramente quali siano le principali attività a svolgere. Un’analisi che richiede minimo istante, visto il numero limitato, a 6, di necessità a cui dedicare attenzione. Il numero limitato a sei non è aleatorio. Sei attività spartite nelle otto ore di lavoro, risultano in 1 ora e 20 minuti per ciascuna attività. Se queste tempistiche risultano essere troppo strette, o si realizza che si sta perdendo tempo a vuoto nello svolgere una di queste, si passa alla prossima.

La gestione del tempo diventa più interessante se vengono stabilite ante gli obiettivi da raggiungere. Sapere esattamente cosa si deve fare, con l’unico vincolo legato alla durata, rende indirettamente più focalizzati su ciò che bisogna realizzare. Quando invece non vi è un filo, o un programma di ciò a cui dobbiamo dedicarci nell’arco di una giornata, o in qualsiasi altro lasso di tempo, è facile cadere nell’abisso della procrastinazione. Abisso da cui è quasi impossibile uscire, senza un piano preciso e dettagliato.

Vita privata e vita lavorativa: una linea sottile

Il datore di lavoro è tenuto a regolamentare l’utilizzo, da parte dei propri collaboratori, delle infrastrutture aziendali per uso privato.

Se all’inizio degli anni ’90 pochi possedevano un telefono cellulare, oggigiorno siamo tutti (poche le eccezioni) detentori di uno smartphone. Sempre raggiungibili e ovunque; posta elettronica, social media, chiamate e messaggini, i canali di comunicazione sono molteplici e agibili ininterrottamente. Il tempo dedicato alla vita in rete ci occupa in media pressappoco tre ore al giorno, che sommate nell’arco di un anno corrispondono a quasi 35 giorni. Un mese e poco più di istanti passati interamente sugli schermi dei nostri smartphone (non si contano le ore al computer o altri dispositivi elettronici). Nei momenti d’attesa, al mattino mentre si fa colazione, la sera al rientro dal lavoro; momenti in cui la nostra concentrazione è completamente assorbita dai touch-screen dei nostri cellulari.

I principi di buona condotta sul posto di lavoro suggeriscono di spegnere o mettere in modalità silenziosa gli strumenti elettronici personali. Cosa succede però quando questo principio non viene rispettato? È corretto o permesso ricevere chiamate e messaggi personali durante gli orari di lavoro?

Diversi datori di lavoro hanno deciso per la consegna di un apparecchio smartphone all’impiegato, da usare per necessità strettamente legate all’impiego, prassi che delimita così l’uso del cellulare privato.

Quando non vi è questa possibilità bisogna distintamente fissare cosa è permesso in ambito di comunicazione personale e in materia d’uso di dispositivi informatici di proprietà dell’azienda.

Nello spazio degli orari di impiego, non è possibile utilizzare i propri telefoni cellulari per uso privato. I telefoni dati in dotazione dai datori di lavoro non devono contenere documenti privati o applicazioni scaricate dal collaboratore. L’adopero di questi apparecchi, deve considerarsi ad uso strettamente professionale.

I lavoratori beneficiano di momenti di pausa durante le ore di attività. Pause che non sono considerate tempo di lavoro e quindi, durante le quali si può dunque fare uso dei propri apparecchi.

Ha fatto scalpore, il caso di un’impiegata di Zurigo, che avendo installato l’applicazione di chat WhatsApp per uso personale sul telefonino aziendale e si è vista presentare la lettera di licenziamento ad effetto immediato da parte dell’azienda. Il Tribunale Federale ha preso le parti dell’impiegata, ma riferendosi alla legge sulla privacy, in quanto il datore di lavoro non avrebbe avuto diritto di leggere i messaggi personali sull’applicazione scaricata.

La legge sulla privacy protegge in tal senso i singoli, ma allo stesso tempo non dà il diritto ai singoli stessi, di infrangere le regole concordate con il datore di lavoro in materia d’utilizzo di dispositivi elettronici. Questo vale al tempo stesso per tutti gli altri apparecchi forniti dal datore di lavoro. Per esempio, l’uso di stampanti, computer fissi o portatili, telefoni fissi, devono essere adoperati per compiti lavorativi. Un chiaro accordo tra impiegato e datore di lavoro può acconsentire ad un uso privato di tali sistemi operativi. Senza un accordo fissato e convenuto all’unisono, non vi è diritto d’utilizzo per scopi privati.

Uno dei procedimenti comuni per perimetrare l’uso dei servizi di internet è il blocco di certe pagine web, al fine di evitare che i collaboratori accedano a siti d’intrattenimento durante il tempo d’impiego.

Limitare la navigazione in Internet per scopi privati è possibile bloccando i siti indesiderati (indici di borsa, siti erotici ecc.) o stabilendo un periodo di tempo in cui la navigazione privata sia consentita (p. es. durante le pause o a partire dalle ore 18.00).

L’adozione di tali misure di protezione permette al datore di lavoro di neutralizzare precocemente eventuali pericoli per la sicurezza e la funzionalità del sistema elettronico. L’effetto preventivo di queste misure sostituisce ampiamente l’impiego di sistemi repressivi quali la sorveglianza. Tra le misure tecniche di protezione più importanti si annoverano le password e l’accesso protetto, i programmi antivirus e le limitazioni della memoria, i backup e le firewall. Inoltre, i programmi di navigazione e di posta elettronica devono essere installati secondo le tecniche più recenti, configurati in base a standard di sicurezza e aggiornati periodicamente.

La linea è sottile, tra la volontà di rispettare la personalità dell’impiegato, e l’auspicare a garantire un livello di professionalità ed efficienza sul posto di lavoro. Entrambe le parti devono accordarsi sui termini e le condizioni in materia di uso ed utilizzo degli spazi e dei mezzi elettronici. È responsabilità delle aziende di comunicare e di chiarire esplicitamente quali siano i comportamenti accettati e quali non, anche per quanto riguarda l’utilizzo dell’infrastruttura informatica e multimediale. È responsabilità del collaboratore di rispettare e avvalorare un livello di autorevolezza professionale. Ambedue le parti hanno il dovere di mantenere vivi i principi della proporzionalità, il buonsenso e della trasparenza, al fine di sostenere una proficua collaborazione. La fiducia in entrambi i sensi resta il fondamento di un rapporto benefico e sano.

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Imprese sempre più socialmente responsabili e orientate sulla sostenibilità ambientale. L’ultima Inchiesta congiunturale della Cc-Ti ha messo in luce, in collaborazione con la SUPSI che ha analizzato una parte di dati, una crescente sensibilità delle aziende ticinesi per la Corporate Social Responsibility (CSR). Sono state, difatti, rilevate ben 138 buone pratiche, suddivise in 32 diverse tipologie d’intervento, adottate nei diversi settori economici. Un impegno che va dalla tutela dell’ambiente ai rapporti con la comunità, dalla gestione delle risorse umane alla governance, dallo smart working al risparmio energetico, coinvolgendo sia le piccole imprese che le medie e le grandi aziende. Per tutte c’è un significativo denominatore comune. La vocazione alla responsabilità sociale non è sollecitata da pressioni esterne o dall’aspettativa di guadagni maggiori. Nasce, invece, autonomamente all’interno delle stesse imprese per migliorarne l’immagine e, soprattutto, con la convinzione di un valore aziendale fondamentale.

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È chiaro che quanto più grande è l’impresa tanto più sono i mezzi a disposizione per la CSR. Risultano, perciò, ancora più apprezzabili gli sforzi intrapresi dalle piccole aziende. Se si guarda ai piani per la mobilità, si nota che oltre un quarto delle aziende ha predisposto delle misure specifiche: incentivi per il trasporto pubblico, car-sharing, mobilità lenta e ottimizzazione dei parcheggi. Non si prevederanno delle navette aziendali per ridurre ancora di più l’impatto ambientale, ciò non toglie però che anche con altre modalità si possa dare un fattivo contributo alla mobilità sostenibile. Del resto, per un piccolo imprenditore con una decina di collaboratori non è possibile organizzare, e non solo per ragioni di costi, un trasporto collettivo per i dipendenti che il più delle volte arrivano da località diverse del Ticino. A differenza di un’industria con centinaia di collaboratori dove può essere più facile coordinare un simile servizio. Va ricordato, inoltre, che, queste “piccole” imprese adottano spesso spontaneamente delle buone pratiche senza, magari, qualificarle e consapevolizzarle come tali. Se si considera che il 64% delle imprese ticinesi sono a proprietà familiare, questa loro stessa natura implica un legame più personale e diretto col territorio e il contesto sociale in cui operano. Un rapporto che si traduce in una sensibilità istintiva per l’ambiente, i dipendenti e le relazioni sociali, sentendosi parte integrante della comunità locale. Le buone pratiche non vanno, quindi, identificate esclusivamente con quelle riconosciute dai canoni ordinari della CSR. Né vanno demonizzate quelle realtà che non rientrano apertamente in questi schemi. Esse danno un apporto, forse meno visibile ma non per questo meno positivo, alla tutela dell’ambiente e al benessere della società. In fondo, cosa c’è di più socialmente responsabile dell’avviare un’attività economica in una regione periferica, creando dei posti di lavoro laddove le opportunità occupazionali scarseggiano? O gli sforzi di un piccolo imprenditore che non è nelle condizioni di creare un asilo nido aziendale, ma che fa di tutto, tra mille difficoltà, per agevolare i propri collaboratori e assicurare il futuro alla sua azienda? Sacrifici questi che vanno riconosciuti e sostenuti per un concetto di responsabilità più aderente alla vita reale delle imprese. Ci sono dei margini per migliorare l’adozione della CSR e su questo obiettivo si concentrerà l’impegno della Cc-Ti. Con un lavoro mirato di informazione, formazione e consulenza, offrendo strumenti praticabili e adeguati alle singole realtà produttive, nell’ottica di ridurre i deficit portati all’attenzione dallo studio.

Le grandi aziende

Nei nuovi scenari dell’economia digitale, che aprono anche prospettive inedite per lo sviluppo sostenibile, la CSR ha un peso particolare per le grandi aziende. In primo luogo per quelle che hanno il loro core business proprio nell’evoluzione tecnologica, come la Swisscom a esempio. “La digitalizzazione influisce sempre di più su economia e società. In quanto azienda ICT leader in Svizzera, Swisscom sente di avere una particolare responsabilità al riguardo. Occorre rendere fruibili le opportunità che si creano per il benessere del Paese, senza perdere di vista i possibili rischi; in altre parole, vogliamo plasmare il futuro con responsabilità, curiosità e impegno” spiega Carlo Secchi, Sales Director Ticino- VP della principale società svizzera di telecomunicazioni. Swisscom intende approfondire tre nuove sfide fondamentali per la società digitale dell’informazione. “Per le persone: da qui al 2025 aiuteremo due milioni di persone all’anno a sviluppare le loro competenze nel mondo interconnesso e nella nostra catena di fornitura – precisa Secchi –. Per l’ambiente: insieme ai nostri clienti ridurremo le emissioni di CO2 di 50’000 t (netto) a fronte di un impatto climatico positivo. Ciò equivale all’1% delle emissioni di gas serra della Svizzera. Per il Paese: portiamo una connessione affidabile a banda ultralarga a tutte le persone e a tutte le aziende in Svizzera. Così contiamo di aumentare la competitività e la
qualità della vita nel nostro Paese”.

Sostenibilità e crescita economica

Oggi la CSR e lo sviluppo sostenibile sono, giustamente, temi centrali nel dibattito politico. Ma è altrettanto importante riportare al centro del discorso pubblico anche la necessità di rafforzare le condizioni quadro, sia sul piano nazionale che cantonale, per salvaguardare la competitività e la leadership tecnologica della Svizzera, che risentono della forte pressione della concorrenza internazionale. I segnali di allarme non mancano. Tre qualificati studi, dell’IMD di Losanna, del WEF e della Banca Mondiale, hanno registrato, difatti, una flessione della competitività svizzera, a causa dei ritardi per alcune riforme, così come nella modernizzazione delle infrastrutture della comunicazione e del loro quadro giuridico, che permetterebbe di utilizzare meglio, e a beneficio di tutti, le opportunità offerte dall’economia digitale. “A mio personale parere, la trasformazione digitale talvolta coglie impreparati diversi elementi del nostro ecosistema – avverte Secchi –. Per fare qualche esempio, basti pensare a certi modelli commerciali avvenieristici, che non hanno trovato impianti legislativi adeguati, oppure al rapporto tra l’evoluzione della tecnologia rispetto alla formazione in azienda, con un divario che rischia di crescere costantemente. Inoltre, a fianco di un’infrastruttura competitiva, serve un atteggiamento più consapevole verso gli strumenti digitali, dagli smartphones ai social media, dalla posta elettronica agli acquisti online. Il che ci riporta allo sviluppo delle competenze digitali”. Responsabilità sociale e tutela dell’ambiente sostengono anch’esse la crescita economica e creano ormai un rapporto di reciprocità. Frenare questa crescita, si traduce nella limitazione dei mezzi a disposizione che possano permettere uno sviluppo delle buone pratiche della CSR, in una costrizione degli investimenti tecnologici che consentono un uso più efficace e proficuo delle risorse ambientali.