Novità 2020: il tasso di contribuzione dell’AVS è stato adeguato

Dal 1° gennaio 2020 il tasso di contribuzione dell’AVS è stato aumentato di 0.3 punti percentuali.

Informiamo le aziende che a seguito dell’entrata in vigore della Legge federale concernente la riforma fiscale e il finanziamento dell’AVS (RFFA) – sempre dal 1° gennaio – , il Consiglio Federale ha deciso di aumentare il tasso di contribuzione dell’AVS. Questo fattopermetterà all’AVS di registrare annualmente entrate supplementari pari a 2 miliardi di franchi, contribuendo in misura importante alla garanzia delle rendite.

I contributi AVS/AI/IPG a carico dei salariati e dei datori di lavoro passeranno dal 10,25 al 10,55 percento (ossia dal 5,125 al 5,275 % per ciascuna delle parti). Per quanto concerne i lavoratori indipendenti, il contributo minimo AVS/AI/IPG passerà dal 5,196 al 5,344 per cento, mentre quello massimo dal 9,65 al 9,95 per cento. Il tasso di contribuzione AVS/AI delle persone esercitanti un’attività lucrativa che si sono affiliate all’assicurazione facoltativa passerà dal 9,8 al 10,1 percento.

Maggiori informazioni al seguente link del sito della Confederazione oppure contattando il nostro Servizio giuridico.

L’artigianato digitale tra innovazione e tradizione

L’evoluzione della Swissness nell’artigianato. Dalla fusione tra creatività, abilità manuale e nuove tecnologie è nato l’artigianato digitale. Ne parliamo con Andrea Gehri, Direttore Gehri Rivestimenti SA.

La Gehri Rivestimenti è un ottimo modello dell’evoluzione della Swissness nel settore dell’artigianato. Dalla fusione tra creatività, sapiente manualità e solide tradizioni di qualità con le nuove tecnologie è nato l’artigianato digitale. Questo sviluppo ha comportato per l’azienda uno sforzo supplementare nella formazione dei collaboratori?

L’abilità artigianale rappresenta per la nostra azienda la base sulla quale si fondano i principi essenziali per la formazione dei nostri collaboratori. La capacità di poter creare e plasmare i lavori con il talento artigiano rimane la condizione irrinunciabile per saper tradurre in realtà le aspettative dei nostri clienti. Non si può essere o diventare un buon artigiano se non si conosce a fondo la propria professione e non si è in grado di esercitarla con passione e precisione. Si può, tuttavia, diventare un artigiano ancora migliore se, oltre al talento manuale e alle competenze specifiche, si riesce a coniugare e seguire lo sviluppo tecnologico e digitale. Oggigiorno anche l’artigiano è confrontato con l’innovazione, soprattutto quella legata al digitale, e non può permettersi di ignorarne lo sviluppo. Fondamentale per noi, quindi, sensibilizzare e formare adeguatamente i nostri collaboratori alle nuove tecnologie.

Ci sono differenze importanti tra giovani collaboratori e quelli più anziani? I primi magari più disinvolti e meno consapevoli dei rischi, i secondi magari più refrattari all’innovazione?

L’esperienza di un collaboratore più anziano nell’ambito dei lavori artigianali costituisce una risorsa e una ricchezza alla quale difficilmente si riesce a rinunciare.Disporre di un mix di lavoratori giovani con profili d’esperienza farà sicuramente la differenza e permetterà all’azienda artigianale di proporre un regolare ricambio generazionale senza grossi traumi, garantendo la continuità anche dal profilo tecnico-esecutivo. Personalmente posso confermare che anche i profili meno giovani, se confrontati con l’innovazione che permette loro di migliorare la propria performance e magari diminuire le fatiche, sono ben propensi a prendere in considerazioni cambiamenti anche importanti delle modalità di lavoro.

Formazione professionale e nuove tecnologie. Com’è la preparazione al loro uso?

Per la formazione professionale, e in generale per la scuola, le nuove tecnologie rappresentano un campo, ancora parzialmente da scoprire, che dovrà assumere maggiore importanza in futuro. Difficile immaginare l’evoluzione della formazione professionale senza un’attenzione particolare verso le nuove tecnologie. E mi spiego meglio: oggigiorno anche noi artigiani dobbiamo tenere testa ad una concorrenza globale che, soprattutto a livello di costi di produzione, risulta essere più competitiva rispetto alla nostra. Il costo della nostra manodopera è tra i più alti al mondo e ciò rappresenta sicuramente un handicap se confrontati con altre realtà.

Quali modalità ha, quindi, l’artigiano per poter affrontare comunque un mercato aperto e sempre più senza barriere?

Qualità, serietà, servizio e competenza sono criteri sempre fondamentali per il successo di qualsiasi attività, tuttavia dobbiamo poter offrire i nostri servizi a condizioni più vantaggiose e razionali. Essere un ottimo artigiano ma che costa il 50 % in dell’artigiano che arriva dall’estero non potrà garantirci la sopravvivenza.Ecco che allora che, grazie alle nuove tecnologie, dobbiamo trovare nuove soluzioni per la lavorazione, la gestione e per ottimizzare il lavoro del nostro artigiano.

Con lo sviluppo tecnologico cambiano i modelli di business. Sempre più rapidamente. Quanto è difficile per l’imprenditore e quali difficoltà hanno anche i dipendenti nell’adattarsi a questi cambiamenti? 

Ritengo che, fortunatamente, lo sviluppo tecnologico nell’ambito artigianale possa aver la piacevole conseguenza di far divenire l’artigiano, un artigiano migliore. Imprescindibile rimane sempre e comunque la qualità, la creatività e la precisione del lavoro prodotto dalla capacità artigianale e manuale. La base rimane il lavoro realizzato dalle proprie mani, mentre l’opportunità di migliorarsi ulteriormente passa senza ombra di dubbio dalla capacità innanzitutto delle aziende di adattarsi alle nuove tecnologie, ai cambiamenti, al digitale e alle nuove modalità di lavoro.
Sarà compito delle imprese saper coinvolgere i propri dipendenti e i propri artigiani nel familiarizzare con i cambiamenti e considerarli come un’occasione per un costante miglioramento. Un fattore determinante per aver successo anche in futuro.La sfida è certamente interessante e intrigante per i lavoratori e le aziende in generale, che saranno chiamati a dover adattarsi rapidamente a questa evoluzione.
Pure il sistema formativo svizzero che, è ritenuto a livello universale un modello di grande successo, dovrà dimostrare di aver altrettanto slancio e spirito innovativo nell’adeguarsi ai rapidi ed inarrestabili processi evolutivi in corso. Se lavoratori, imprese e sistema formativo saranno solleciti e attenti nel recepire l’evoluzione dei tempi, ecco che per l’artigianato vedo anche in futuro grandi opportunità di crescita e per ritagliarsi un ruolo d’eccellenza nell’ambito dell’economia svizzera.

Zoom sull’evento “Click, informazione, formazione”

Un approfondimento televisivo curato da Teleticino dedicato all’evento della Cc-Ti dello scorso 26 novembre.

Click, informazione, formazione” è stato l’ultimo evento del 2019 per la Cc-Ti, organizzato in collaborazione con i partner tematici Gruppo Sicurezza SA, Gehri Rivestimenti SA, Cornèrcard Swisscom. Durante questo appuntamento, tenutosi il 26 novembre nella suggestiva cornice del Cinema Lux a Massagno, l’attenzione è stata posta alla manipolazione delle informazioni e delle news in rete, all’importanza di essere flessibili e capaci di rispondere in modo incisivo all’adattamento dei modelli di business e alla formazione continua dei dipendenti.

In questa puntata speciale di Zoom, curata ed andata in onda su Teleticino, ritroviamo spunti interessanti sul tema. Intervengono Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti;  Francesco Arruzzoli, Cyber security Architect di Gruppo Sicurezza SA;  Andrea Gehri, Direttore Gehri Rivestimenti SA e Roberto Pezzoli, Partner, Gruppo Multi SA.

Scopriamo allora insieme quanto emerso. Buona visione!

Cc-Ti 2019: obiettivo centrato!

Fotografia delle attività della nostra associazione raccolte in un’interessante e inedita infografica. Un viaggio nella nostra realtà con cifre particolari e curiose.

Scorrendo le pagine del numero di Ticino Business di dicembre 2019 – a breve nelle vostre aziende – troverete il 2019 che abbiamo condiviso.

Si va dall’emissione di 40’000 CITES alla redazione di 729’000 (circa) battute sulle 324 pagine della nostra rivista economica. 1’080 persone hanno frequentato uno o più delle nostre 113 proposte formative, e così via…

Scoprite tutti i nostri numeri, scaricando il pdf con l’infografica!

Come aderire alla Cc-Ti? La Cc-Ti propone un ventaglio di servizi mirati alle aziende e alle associazioni di categoria attive sul territorio cantonale. L’offerta di servizi è orientata al sostegno della quotidiana gestione aziendale e associativa così come allo sviluppo del business. Lisa Pantini, Responsabile delle Relazioni con i soci, è a disposizione per dare maggiori dettagli agli interessati. Potete contattarla per e-mail o telefonicamente (+41 91 911 51 32).

Obbligo di annunciare i posti vacanti: novità dal 2020

Vi proponiamo maggiori dettagli sull’aggiornamento dal 1° gennaio 2020.

Dal 1° gennaio 2020 il valore soglia per l’assoggettamento all’obbligo di annuncio sarà abbassato al tasso di disoccupazione medio del 5% come previsto per legge. I generi di professione assoggettati sono determinati in base alla nuova nomenclatura svizzera delle professioni.

Cliccando qui, è possibile trovare maggiori informazioni.

L’elenco dei generi di professioni soggetti all’obbligo di annuncio per il 2020 è consultabile su www.lavoro.swiss.

Necessitate di maggiori informazioni? Il nostro Servizio giuridico è sempre a disposizione degli associati per maggiori dettagli.

Prendersi una pausa

Ci sono collaboratori che anelano un attimo di pausa, altri invece che preferiscono “tirare dritto” e finire prima. Cosa rispondere?

Partiamo da alcune indicazioni di base. La settimana lavorativa per i singoli lavoratori non può eccedere i 6 giorni. I 6 giorni lavorativi nei giorni feriali da lunedì a sabato sono seguiti dal giorno di riposo settimanale. Quest’ultimo deve comprendere la durata di 24 ore della domenica e un tempo di riposo giornaliero di 11 ore.
I lavoratori chiamati a prestare lavoro domenicale, conformemente all’art. 21 OLL 1, non possono essere impiegati per più di 6 gironi consecutivi.
Non vi è nessun obbligo di ripartire le ore di lavoro dei singoli lavoratori in modo uniforme sull’arco della settimana lavorativa. Queste possono anche essere concentrate in singoli giorni lavorativi, sempreché siano osservate le prescrizioni sulla durata massima della giornata lavorativa nonché sulla durata del lavoro e del riposo.
È considerato posto di lavoro ai sensi della legge sul lavoro qualsiasi luogo nell’azienda o fuori della stessa ove il lavoratore deve rimanere per eseguire il lavoro assegnatogli. Un veicolo o tutti gli altri mezzi di trasporto ai sensi dell’articolo 13,2 e 15,2 OLL 1 sono di conseguenza considerati posti di lavoro, ma evidentemente non locali di pausa.

La pausa è un tema ricorrente e fonte di discussione, o meglio, d’interpretazione. Il collaboratore ritiene, spesso, di poter gestire questo tempo a suo piacimento, magari senza fermarsi per finire in anticipo la propria giornata. Il datore di lavoro ha un’idea ben precisa, spesso diversa, in merito alla concessione e all’utilizzo del “tempo aziendale”.

La base dalla quale partire è necessariamente la regolamentazione legale che varia notevolmente da settore a settore. La legge ci aiuta a identificare una prima linea (Legge sul lavoro e ordinanze 1 e 2 della SECO):

 Sezione 2: Pause e periodi di riposo  Art. 18 Pause (art. 15 e 6 cpv. 2 LL)

1 Le pause possono essere stabilite in modo uniforme o differenziato per i singoli lavoratori o gruppi di lavoratori.
2 Le pause devono essere fissate in modo da dividere a metà il tempo di lavoro. Un periodo di lavoro di una durata superiore a cinque ore e mezzo prima o dopo una pausa dà diritto a pause supplementari conformemente all’articolo 15 della legge.
3 Le pause di una durata superiore a mezz’ora possono essere frazionate.
4 Nel caso di orari di lavoro flessibili, la durata delle pause è calcolata sulla base della media della durata giornaliera del lavoro.5 È posto di lavoro ai sensi dell’articolo 15 capoverso 2 della legge, qualsiasi luogo nell’azienda o fuori dell’azienda, ove il lavoratore deve stare per eseguire il lavoro assegnatogli.

Ai sensi delle indicazioni sulla legge del lavoro, si recita quanto segue:

“Ai sensi del diritto del lavoro, qualsiasi interruzione del lavoro che consenta al lavoratore di riposare e mangiare ha validità come pausa”. Le interruzioni del lavoro dovute a problemi tecnici che, quindi per loro natura, non contemplano il riposo non sono considerate una “pausa”. Alla stessa stregua i tempi concessi all’inizio e alla fine di un turno di lavoro non possono essere considerate pause in senso stretto.          

Possiamo quindi riassumere asserendo che non possiamo valutare una qualsiasi interruzione del lavoro una pausa (v. Legge sul lavoro).
È buona abitudine che i datori di lavoro consultino i lavoratori o i loro rappresentanti in azienda in merito alla regolamentazione delle pause prima che queste siano fissate in modo definitivo.
Le pause possono essere fissate in modo uniforme a un determinato orario per l’intera azienda, o in modo differenziato per singoli lavoratori o gruppi di lavoratori.

Cosa ci indica il diritto del lavoro

La legge sul lavoro prevede norme molto concise su questo tema. Resta inteso che i lavoratori hanno diritto a fare delle pause.        
Le pause servono a nutrirsi e a riposarsi, perciò devono essere fissate in modo da dividere a metà le durate del lavoro (indicate nell’articolo 15 LL).
Anche se la pausa principale dura più a lungo di quanto prescritto dalla legge (es. pausa di mezzogiorno di un’ora tra le 12.00 e le 13.00) un periodo di lavoro di una durate superiore a cinque ore e mezzo prima o dopo questa pausa dà diritto a pause supplementari conformemente all’articolo 15 della legge.

Tempo secondo le indicazioni di legge:

  • un quarto d’ora, se la giornata lavorativa dura più di cinque ore e mezza;
  • mezz’ora, se la giornata lavorativa dura più di sette ore;
  • un’ora, se la giornata lavorativa dura più di nove ore.

Solo le pause di una durata superiore a mezz’ora possono essere frazionate. Questa mezz’ora rappresenta il tempo minimo necessario per potersi nutrire e riposare se il lavoro giornaliero dura più di 7 ore.È dato accertato che più pause brevi permettono di riposarsi meglio di una sola pausa lunga (. art. 17°cpv. 2LL). In generale: Nel caso di orari di lavoro flessibili, nei quali la durata giornaliera del lavoro può essere compresa fra meno di sette ore a più di nove ore, la durata della pausa principale è calcolata sulla base della media della durata giornaliera del lavoro convenuta. Anche in questo caso vale la disposizione secondo cui un periodo di lavoro di una durata superiore a 5 ore e mezzo da diritto a una pausa di un quarto d’ora.

Le pause non sono orario di lavoro

Il tempo di pausa, in generale, non conta come orario di lavoro. Le pause non dovrebbero essere pagate. Tuttavia, ci sono eccezioni: quando i lavoratori semplicemente non possono lasciare il luogo di lavoro (art. 15, 2 LL). Qualsiasi luogo in cui il lavoratore deve essere in grado di svolgere il lavoro affidatogli, all’interno o all’esterno del luogo di lavoro, è considerato un luogo di lavoro (art. 18, 5 OLL). Questo è il caso, ad esempio, quando è necessario garantire la permanenza del telefono. Il tempo ad esso dedicato viene quindi conteggiato come orario di lavoro e deve essere compensato.

Pausa sigaretta

Il datore di lavoro è libero di concedere o meno ai propri dipendenti pause supplementari, ad esempio le pause per il fumo di sigarette. I lavoratori che desiderano fare brevi pause per questo scopo devono compensare questo periodo: le pause sigaretta non vengono conteggiate come orario di lavoro.
Si consiglia pertanto di impostarlo in modo trasparente e dall’inizio. Questa concessione può anche portare rapidamente a tensioni e discussioni se, per esempio, i non fumatori si sentono discriminati da questo “favore”.

Riposo giornaliero

È necessario rispettare i requisiti di riposo giornaliero contenuti nel diritto del lavoro, ma essere anche attenti alle diverse esigenze dei nostri collaboratori a dipendenza della funzione e del tipo di lavoro assegnato.
Le interruzioni sono formalmente prescritte dalla legge e, a seconda della durata degli impegni, il datore di lavoro deve concedere almeno un’interruzione al minimo come prescritto dalla legge. Il datore di lavoro deve anche assicurarsi che i suoi dipendenti prendano le loro pause. Pause, di regola, non prevalgono come orario di lavoro e non dovrebbero essere, in orario normale, compensate.
Anche colazioni e pause pomeridiane non vengono conteggiate come orario di lavoro.
Sebbene i lavoratori debbano normalmente compensare le pause caffè, la maggior parte dei datori di lavoro concede loro volontariamente questo tempo come libero, senza richiedere alcun compenso per l’orario di lavoro.
Questa è un’ottima idea che contribuisce alla buona atmosfera del clima lavorativo.
Questo atteggiamento di “complicità” con i propri dipendenti non dovrebbe mai essere trascurato ed è il cemento di tutti i buoni rapporti di lavoro.

Fonti: SECO, Indicazioni relative alla legge sul lavoro e alle ordinanze 1 e 2 
WEKA, “Temps de pause: ni plus, ni moins”, 7.8.19

Il marchio “Swissness” è un prestigio

Una riflessione del Direttore Cc-Ti Luca Albertoni.

Nonostante chi sottolinea la pubblicazione di ogni dato economico di segno negativo e celebra la partenza di aziende importanti, per il nostro Paese fortunatamente resta centrale il concetto di “Swissness”. Che non è solo il semplice atto di apporre la bandiera svizzera sui prodotti, bensì è soprattutto una questione di approccio e di mentalità.

Forma mentis strettamente legata alla propensione innovativa, come sottolineato recentemente dal brillante intervento del Professor Lino Guzzella all’Assemblea generale ordinaria della Camera di commercio e dell’industria ticinese (Cc-Ti).

In effetti, sotto il termine “Swissness” non ricadono solo norme tecniche o definizioni legate all’origine della merci, bensì una serie di fattori che contraddistinguono il modo di fare impresa elvetico, che ingloba appunto l’innovazione, anche la creatività, il rispetto delle regole, il partenariato sociale, la qualità, la precisione, ecc.. Ed è quasi superfluo sottolineare che l’approccio elvetico non ha un valore apprezzabile solo all’interno dei nostri confini, ma rappresenta qualcosa di quasi inestimabile nel contesto internazionale, come lo dimostrano ampiamente i contatti stabiliti durante le numerose missioni economiche all’estero della Cc-Ti.

Non che ci fosse un bisogno particolare di ulteriori verifiche, ma è comunque importante toccare con mano come questo pregio sia decisivo anche per le aziende ticinesi che operano nel contesto internazionale. Non sono infatti solo marchi storici come Ricola, Läderach e Victorinox, saldamente in mano svizzera, a riscuotere approvazione. Anche chi lavora con prodotti forse meno noti al pubblico, ma facenti caposaldo al nostro sistema elvetico, raccoglie consensi importanti e gode di forte credibilità, ciò che permette di fronteggiare una concorrenza sempre più agguerrita. Questo in barba a taluni superficiali osservatori che ritengono che la nostra economia non sappia più rappresentare i valori succitati. Sbagliato! Lo dimostra il fatto che molte imprese internazionali hanno acquisito prodotti svizzeri molto noti, guardandosi però bene dal recidere il legame, ormai consolidato, con la Svizzera. Sì, perché i vati dell’autarchia nostrana ignorano probabilmente che Ovomaltina è in mani britanniche, che Toblerone appartiene a un’azienda americana, che Feldschlösschen è danese, che Valser appartiene a Coca-Cola e che anche il mitico Aromat non è più di proprietà svizzera ma olandese. Il fatto è che all’estero riconoscono la qualità dei nostri prodotti e del nostro modo di lavorare. Sarebbe un clamoroso autogol se proprio noi facessimo il contrario.

Narrare il business

Non si tratta di narrare una favola. Raccontare delle storie per vendere, fare pubblicità e consolidare l’immagine di un servizio o un prodotto è una tendenza già in uso nel mondo della comunicazione.

A tutti noi è già successo di venir coinvolti da quelle campagne pubblicitarie che ci suscitano un’emozione, l’identificazione con i nostri ricordi d’infanzia o con esperienze vissute. Il vedere uno spot televisivo, un video più o meno lungo su Youtube, sui social network, ma anche un’immagine su una rivista, può farci vivere un’esperienza che resterà impressa nella nostra mente. Riuscire a coinvolgerci, ad arrivarci, con una storia, un’esperienza o un’emozione.

Queste dinamiche, dal lato aziendale, si riassumono con il termine storytelling (ossia raccontare storie), un processo che è diventato uno strumento di marketing sempre più utilizzato.

Narrare una storia che coinvolga il cliente finale (B2C, ma anche B2B) e parli dei servizi aziendali e/o promuova un prodotto è una forma di scrittura creativa, che porta il pubblico a vivere ancora maggiormente l’azienda (o il prodotto), poiché lo fa entrare in un mondo a sé, incrementando la ‘brand awarness’. Al contempo veicola visioni e missioni aziendali toccando aspetti emotivi.

Obiettivi

Non solo far vivere un’esperienza e far conoscere ancora di più l’essenza aziendale al pubblico: lo storytelling permette di comunicare a diversi livelli. Innanzitutto occorre definire una strategia di comunicazione e marketing che definisca chiaramente gli obiettivi, i modi e i tempi della desiderata visibilità aziendale. In seguito è possibile determinare diverse misure e strumenti atti a centrare l’obiettivo/gli obiettivi della strategia. Lo storytelling è un ottimo mezzo, che permette non solo di coinvolgere il pubblico nelle dinamiche dell’impresa, ma può anche persuadere, informare, motivare ed emozionare.

Senza limiti

Si tratta di uno strumento definito solo per alcuni ambiti settoriali? Altrimenti detto: lo storytelling è adattabile a tutti i contesti? Essenzialmente sì. Occorre qualche accorgimento nella definizione dei testi e della storia. Lì sono racchiuse le competenze dello storyteller, ossia della persona che – all’interno del team dell’azienda – si occuperà dello scrivere la storia, definire personaggi, contenuti, ecc..

Pianificazione necessaria

Quali sono dunque gli elementi su cui ci si basa? Nel definire un racconto è possibile collegarsi al modello narrativo delle favole oppure partire da zero, avendo però in chiaro gli elementi che compongono la linea narrativa di un racconto (genere, target, contesto, obiettivo, personaggi/voce narrante, stile, ecc.), costruendo una struttura che risponda a quelle che in inglese si definiscono le ‘5w +1h (What? Why? Who? Where? When? How?)’, ossia un testo in un vi siano gli elementi che rispondono a queste domande “chi/cosa/come/dove/quando e perché”.

Raccontare storie è divenuto un modo di pensare e di interpretare, diffondendo idee.

La Cc-Ti propone un corso di formazione puntuale sul tema il prossimo 24 marzo 2020, intitolato “Corporate storytelling: strategie di marketing e comunicazione“. Le iscrizioni sono aperte!

Zoom sulla missione in Cina della Cc-Ti

Dall’1 all’11 novembre la Cc-Ti ha accompagnato in Cina una numerosa delegazione ticinese. Ecco un approfondimento video curato da Teleticino su quest’esperienza.

La Cc-Ti ha organizzato, in collaborazione con la Città di Lugano, Swiss Chinese Chamber of commerce, Swiss Centers China e Switzerland Global Enterprise (S-GE), una missione in Cina dall’1 all’11 novembre 2019. L’intenso programma prevedeva incontri e visite imprenditoriali in 4 città: Pechino, Hangzhou, Shanghai e Shenzhen.

In questa puntata di Zoom,  curata e andata in onda su Teleticino, intervengono Chiara Crivelli, Head of the International Desk Cc-Ti; il Sindaco di Lugano On. Marco Borradori; Massimo Cerutti di Caffè Cerutti e Matteo Paolocci di Suisse Frame. 

Scopriamo allora insieme quanto emerso. Buona visione.

La sicurezza è questione di “intelligence”

Ogni giorno siamo sempre più connessi (consciamente o inconsciamente) nel cyber spazio e a Internet. Ogni ambito della nostra vita (la sfera professionale, privata e pubblica) interagisce sempre più, in qualche modo, con il cyber spazio. E con la sicurezza come la mettiamo?

Anche lo stesso cyber spazio che dal mondo virtuale si sta espandendo in quello reale, interagisce con la nostra vita. L’avvento della tecnologia 5G, l’utilizzo sempre più diffuso del protocollo IPV6 (con cui potremmo letteralmente connettere in rete ogni singolo filo d’erba di questo pianeta) e l’utilizzo sempre più massivo degli IoT (Internet of Things) cambieranno il paradigma di “perimetro di sicurezza” fino ad ora conosciuto ed accresceranno in maniera inimmaginabile (ad esempio attraverso i Big Data) la presenza dei nostri dati, anche sensibili, in rete.

Nuove forme di minacce derivanti dalla manipolazione di questi dati. Sarà questa la nuova sfida che la sicurezza delle informazioni dovrà affrontare e che non potrà essere più combattuta solo con i classici strumenti di sicurezza come firewall, antivirus, ecc.. Sarà invece necessario introdurre strumenti in grado di garantire l’affidabilità delle fonti, la certezza delle informazioni, contrastare le rappresentazioni di realtà alternative plausibili ma non veritiere create grazie all’eccesso di informazioni in rete sempre più utilizzate da algoritmi basati sull’intelligenza artificiale.

La “cyber intelligence” rappresenta la nuova frontiera della difesa digitale, permette di analizzare le nuove minacce con “occhi” diversi, di costruire strumenti trasversali in grado di correlare informazioni proveniente da vari ambiti (virtuale, fisico e umano-comportamentale) ed individuare minacce basate su artefatti di realtà alternative in cui gli utenti possono finire e rendersi così vulnerabili ad attacchi o manipolazioni.
Si pensi ad esempio al recente utilizzo della tecnologia “deepfake”, che grazie all’intelligenza artificiale permette con solo 18 secondi  di video in primo piano di un soggetto di riprodurlo in movenze ed espressioni, con la possibilità di clonare anche la sua voce in maniera del tutto credibile. Un esempio è quello dell’ex Presidente degli USA Barack Obama che in un video apparso su Youtube sembra parlare male dell’operato dell’attuale Presidente USA Donald Trump.

Il deepfake può essere usato per tanti scopi criminali gravissimi, nel mondo politico ma anche finanziario, la credibilità che attribuiamo alle immagini che vediamo riesce ingannare i nostri sensi. Il deepfake è un’evoluzione che rende ancora più deflagrante questo inganno, rendendo il problema del “phishing” fatto tramite mail o link ingannevole, un attacco obsoleto e primitivo. In un tale contesto, oltre a rendere più sicuro l’ecosistema digitale e culturalmente preparati gli utenti, necessitiamo di strumenti che possano controllare il web ed il deep web alla ricerca di tutte le informazioni riguardanti organizzazioni e cittadini, in grado di valutarne i potenziali rischi di utilizzo e , grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale, applicata alla cyber intelligence, predirli con debito anticipo.

L’applicazione pratica dell’intelligenza artificiale e le tecnologie connesse all’IoT ci stanno portando rapidamente agli albori di un ulteriore salto evolutivo digitale, che come tutte le innovazioni, oltre a portare indiscussi benefici porterà la necessità di maggiore consapevolezza  e sicurezza nel loro utilizzo, cose che  potremo soddisfare solo con un po’ di “intelligence”.  

Testo a cura di Lorenza Bernasconi, Partner Gruppo Sicurezza SA, Bironico

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Leggi il resoconto dell’evento del 26 novembre 2019, in cui è stato trattato anche il tema della sicurezza e dei deep fake