Il 31 agosto 2020 scade l’Ordinanza COVID-19 e decadranno le misure straordinarie in ambito di indennità per lavoro ridotto. Dal 1° settembre la procedura per ottenere l’indennità per lavoro ridotto torna in regime normale.
Cosa cambia dal 1° settembre 2020?
viene reintrodotto il preavviso di 10 giorni
viene reintrodotto il termine di attesa (1
giorno)
la durata massima è di 18 mesi su 24
Che cosa accade alle autorizzazioni di lavoro
ridotto il 31.08.2020?
le decisioni il cui periodo di diritto alle indennità al 31.08.2020 dura da almeno 3 mesi scadono al 31.08.2020 (indipendentemente dalla data di scadenza riportata sulla decisione)
le decisioni il cui periodo di diritto alle indennità al 31.08.2020 dura da meno di 3 mesi subiscono una modifica di validità: la loro nuova durata si riduce automaticamente a 3 mesi (senza intervento da parte dell’autorità)
le decisioni che indicano quale data della fine del periodo autorizzato il 31.08.2020 scadono il 31.08.2020
Evolve, inoltre, la cerchia dei beneficiari dell’ILR:
Rispetto al periodo pandemico, si tornerà alla procedura ordinaria e verranno quindi richiesti maggiori dettagli, come per esempio la motivazione dettagliata per giustificare la richiesta (indicare semplicemente “COVID-19” non sarà sufficiente), la conferma firmata da parte di ogni collaboratore che avrà accettato il lavoro ridotto, un conteggio dettagliato, l’organigramma dell’azienda. Le aziende dovranno giustificare il calo di lavoro e la diminuzione delle attività. Lalista dettagliata dei documenti richiesti sarà disponibile a partire dal 19 agosto 2020.
Le aziende che necessitano di beneficiare dell’indennità per il lavoro ridotto (ILR) dopo il 31.08.2020 devono presentare la richiesta di rinnovo inoltrando un nuovo preannuncio online rispettando il termine di 10 giorni.
Il modulo di preannuncio per il lavoro ridotto verrà messo online dalla SECO dal 19 agosto 2020. Per coloro che intendono ricevere l’indennità per il lavoro ridotto con decorrenza al 1.9.2020, devono ritenere come data utile ultima per la richiesta il 21 agosto 2020.
La Cc-Ti comunicherà celermente nelle prossime settimane ulteriori aggiornamenti.
Per maggiori informazioni o domande vi chiediamo gentilmente di prendere contatto direttamente con l’amministrazione cantonale (Ufficio giuridico della sezione del lavoro). È anche possibile scaricare questa circolare illustrativa – elaborata dal Cantone – che spiega le nuove disposizioni per le indennità per lavoro ridotto (ILR).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-08-05 14:00:552020-08-05 14:19:20Nuove disposizioni per l’Indennità per lavoro ridotto (ILR)
Non si può prevedere precisamente quando una crisi come una pandemia finirà, la storia non racconta di tempi brevi, ma di riprese forti ed importanti. Per cui, come si suol dire, chi la dura la vince.
Una ripartenza, passo dopo passo, scalino dopo scalino, verso nuovi orizzonti.
Primo Levi scrisse “se comprendere è impossibile,
conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze
possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre!”. La storia
si ripete, sempre.
In data 11 marzo 2020, l’Organizzazione mondiale della
salute ha classificato il Covid-19 come pandemia. Il primo segnale di allerta
era arrivato a fine dicembre a Wuhan, dove l’apparizione di più casi di
polmonite avevano insospettito il corpo medico-sanitario cinese. Virus che in
poco tempo ha oltrepassato frontiere contagiando migliaia di persone, e
troncando vite in tutto il mondo.
Cicli e ricicli
storici
La storia ci insegna che quando si tratta di pandemie,
malattie virali e influenza, le frontiere nazionali e continentali non
conoscono ragioni. Dalla peste nera al Covid-19, passando per l’influenza
spagnola del 1918, la SARS, la ‘suina’ o l’‘aviaria’, queste malattie hanno e stanno segnando la storia dell’umanità con
modifiche demografiche, umanitarie e sociali importanti. Diverse sono state le
epidemie e pandemie che hanno messo a dura prova i sistemi sanitari, la
responsabilità del singolo individuo e dei Governi, per cercare di contrastare
gli esiti devastanti che queste malattie causano alla società.
Nonostante gli sforzi e gli studi scientifici, non è facile
trovare un vaccino. L’igiene rimane la prima arma di prevenzione contro i
virus, per proteggersi dai germi e dalla diffusione dei batteri.
Parlando di economia, crescita e ripresa occorre calcolare
il fattore “tempo”, ma ci si rialza sempre. A dipendenza della durata di una pandemia,
dove i Paesi sono costretti a misure di contenimento e di chiusura totale per
proteggere la popolazione, si osserva una perturbazione ed un rallentamento significativo
dell’economia. Le imprese e i commerci subiscono forti ripercussioni, al punto
da faticare nella gestione della sopravvivenza dell’impresa stessa.
Colpite maggiormente sono le aziende che già prima della diffusione della
malattia riportavano delle perdite, aziende in difficoltà ante la presa di
misure eccezionali e straordinarie da parte dei Governi. Una ditta sana, che
deve, per cause di forza maggiore, far fronte ad un avvenimento tale quale una
pandemia, può essere preoccupata di quello che riserverà il futuro, ma se prima
della crisi la situazione era positiva in termini di “fattore Z”,
saranno maggiori le probabilità di rifiorire.
Cos’è il fattore Z?
Così denominato dall’economista statunitense Edward I. Altman nel 1968, si tratta di un modello sviluppato al fine di prevedere, attraverso un calcolo con un’accuratezza del 95%, quali società abbiano una probabilità di fallimento alta o bassa. Il modello prende in conto diverse variabili, tra cui le vendite nette, le attività correnti, le passività totali, il valore di mercato, ecc.. La formula matematica rappresenta un indice di analisi sufficientemente attendibile, anche se non in maniera del 100%. Questo indice permette di calcolare la probabilità di fallimento di un’azienda già un anno prima che avvenga un evento imprevedibile e di grande impatto sociale ed economico come una pandemia.
Senza entrare nel dettaglio delle variabili matematiche e
non di questo indice, di seguito, alcuni esempi che hanno confermato la
validità del fattore Z:
Leclanché: azienda attiva nell’approvvigionamento di energia, fondata nel 1909 a Yverdon. Nel 2018, sull’azienda pesavano forti perdite, per un totale di 50 milioni di franchi con in controbilancio 20 milioni di capitale proprio. Nell’arco di un anno Leclanché perse la metà del suo valore.
Meyer Burger: azienda che divenne presto star dei mercati borsistici, attiva nel campo dell’energia solare, ebbe una fama che durò poco tempo. Nel 2012 dei competitors cinesi copiarono la tecnologia della Meyer Burger, e così, da quel momento l’azienda registrò continue perdite, fino ad arrivare al 2018 quando l’ammontare di queste raggiunse i 60 milioni. Un anno dopo l’azienda perse due terzi del suo valore di mercato.
Farmaceutica di Basilea: azienda specialista nel campo della ricerca contro il cancro, a causa della forte concorrenza da parte di gradi gruppi farmaceutici, annunciò innumerevoli perdite. Negli ultimi dodici mesi, il valore borsistico delle azioni di Basilea hanno perso il 17% del loro valore.
MCH Group: azienda specialista nell’organizzazione di fiere in tutta la Svizzera. Tra le tante, Baselworld e Art Basel. La natura delle attività di MCH Group è fortemente toccata dagli effetti del Covid-19, portando all’annullamento degli eventi e ad un mancato guadagno. Il prezzo delle azioni è passato da 29,60 franchi nel novembre 2019, a 18,50 franchi a marzo 2020.
L’aiuto da parte dello Stato che si è mosso al fine di garantire in primis la salute della popolazione e aiutare l’economia nel superare questo momento difficoltoso, è fondamentale per non lasciare cadere un Paese in uno stato d’insolvenza. L’economia ha giocato la sua parte fino in fondo, accettando dolenti e amare restrizioni per il bene di tutti e di tutto un paese coinvolto nel vortice di una tempesta virologica inaspettata e sconosciuta. Le aziende hanno dimostrato un alto senso di responsabilità, accettando e sottoscrivendo le tante nuove regole e limitazioni, e durante il periodo di chiusura quasi totale delle attività, i servizi essenziali e le industrie autorizzate a lavorare non hanno conosciuto «riposo» attivandosi, riorganizzandosi e vigilando in primis sulla salute. I fatti hanno premiato questi sforzi promuovendole nell’operato per aver tutelato salute e mercato.
Non si può prevedere
precisamente quando una crisi come una pandemia finirà, la storia non racconta
di tempi brevi, ma di riprese forti ed importanti. Per cui, come si suol dire,
chi la dura la vince.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-08-05 07:38:212020-08-04 14:39:30Il fattore Z
Nelle differenti teorie economiche e industriali del XX e XXI secolo, con ‘obsolescenza programmata’ si definisce la fine pianificata del ciclo vitale di un prodotto. Cosa succede se applichiamo questo concetto alle risorse umane?
L’obsolescenza programmata serve a limitare la durata di un bene in un periodo prefissato. Il prodotto diventa così inservibile e obsoleto agli occhi del consumatore, soprattutto se confrontato con modelli e/o altri prodotti più innovativi. Questo tipo di strategie industriali sono ricorrenti se pensiamo ad esempio al mondo dell’high-tech: dai cellulari o smartphones agli elettrodomestici.
Cosa succede se applichiamo questo concetto alle risorse umane? In
che modo l’evoluzione digitale e tecnologica – su cui come Cc-Ti stiamo
portando avanti da diverso tempo un’informazione che tocca sfumature e aspetti
diversi – influisce sulle dinamiche di formazione continua dei collaboratori, e
di riflesso sul mercato del lavoro? In che modo il lockdown e la pandemia
Covid-19 hanno modificato e ampliato questo processo?
Alcuni mesi fa il WEF (World Economic Forum) nel suo rapporto
“Future of jobs” ha stimato che nei prossimi 2 anni saranno creati 133 milioni
di nuovi posti di lavoro a livello mondiale. Professioni il cui profilo non è
ancora ben tracciato poiché le dinamiche dell’economia mutano repentinamente e
sono in costante evoluzione. La spinta innovatrice degli ultimi anni ha già
modificato in modo importante il mondo del lavoro facendo sparire o mutando
alcune mansioni, visto che nuove tecnologie si impongono rendendo obsolete
alcune tecniche. Questo significa, parallelamente, che vi saranno migliaia di
persone che dovranno riqualificare le proprie competenze con formazioni continue
e corsi d’aggiornamento.
Le aziende oggi investono nel loro capitale più prezioso: quello umano, con azioni concrete volte allacostante e continua formazione dei propri collaboratori. Quest’azione resta una delle migliori misure concrete da attuare per far fronte all’“obsolescenza programmata delle competenze” nelle risorse umane. Ecco perché oggi le tendenze danno lo sviluppo personale e professionale – mediante corsi di aggiornamento per l’incremento delle proprie competenze e nuove attitudini – quale fondamento di crescita.
Raggiungere un traguardo concludendo un corso di formazione continua permette di restare aggiornati e competitivi sul mercato del lavoro. Di riflesso le aziende possono contare su figure professionali specializzate.
Al pari del perfezionamento continuo dei collaboratori, anche la società e le istituzioni si adoperano per mantenere aggiornati i programmi e le basi giuridiche su cui poggiano i sistemi di formazione di base a tutti i livelli (primario, secondario e terziario), mediante le revisioni di ordinanze sulla formazione. Occorre dunque agire a monte per sensibilizzare gli attori in gioco sul valore della questione e per trovare in modo concertato misure che siano innovative e garantiscano la giusta preparazione – dai giovani ai professionisti – nel mondo del lavoro (orientamento professionale).
In
questo scenario che si sta concretizzando, acuito sicuramente dal Covid-19 che
ha spinto sull’acceleratore del telelavoro e dello smartworking, emergono nuove
figure professionali molto specialistiche, che vanno nella direzione di
divenire “gli impieghi del futuro”.
I mestieri di domani
Dove ci porterà il futuro? Ecco qualche ipotesi.
Data Detective Se Peter Falk (celeberrimo Tenente Colombo) indagava su misfatti e delitti, il futuro domanda ancora di detective abili che analizzino il mondo di Internet. Difatti il “Data Detective” sarà un impiego ricercato, in quanto il numero di dati riservati tra cui elementi biometrici e informazioni personali che invadono la rete, richiedono un certo livello di sicurezza nel loro trattamento. È così che le Business Intelligence aziendali sussisteranno per il controllo dei dati ricevuti e trasmessi, in modo da garantirne un uso discreto e rigorosamente serbato.
Ethical Sourcing Officer Manager Ad emergere, nel futuro più di oggi, saranno le professioni che implicano la responsabilità etica e sociale delle imprese. Aziende internazionali e non, avranno bisogno di ESO, ovvero un Ethical Sourcing Officer. Questo ruolo avrà il compito di garantire l’esercizio dei principi morali attraverso tutti i processi operativi e le relazioni interne ed esterne alla società; ovvero assicurarsi che i valori dell’esistenza di una compagnia rispecchino l’immagine per cui essa è riconosciuta dai suoi clienti, fornitori, investitori e collaboratori.
Assistente camminatore e parlatore Nel 2050 si prevede che la percentuale delle persone a superare i 65 anni d’età sarà più del 16%, in confronto al 2019 dove “solo” il 9% della popolazione mondiale rientrava nella fascia ‘over 65’. Quest’incremento delle persone di terza e quarta età si rifletterà sulle generazioni più giovani, dando loro il compito di offrire un servizio di assistenza e supporto. Un mestiere del futuro sarà quindi quello del “camminatore/parlatore”, ovvero passeggiare in compagnia e scambiare due chiacchiere. La collettività è sinonimo di unità e inclusione, l’emarginazione di persone non fa parte di una visione futura.
Personal Trainer 3.0 Se le persone anziane avranno degli accompagnatori, allo stesso tempo, le persone più giovani e attive richiederanno un supporto per restare dinamiche, sportive e in salute. C’è chi deciderà di dedicarsi al coaching sportivo (una sorta di ‘Personal Trainer’ avanzato), per motivare e appoggiare donne e uomini nel loro cammino verso una vita più sana.
Infermieri specializzati Il campo della medicina è evoluto incredibilmente e continuerà in questa direzione. La necessità di personale medico sempre più formato e specializzato è stata anche – purtroppo – confermato negli scorsi mesi dalla pandemia Covd-19. In ottica futura possiamo vedere come in campo MedTech, ad esempio, non sarà più necessaria la presenza di un chirurgo per l’esecuzione di un intervento, ma sarà sufficiente l’accompagnamento di infermieri specializzati, che grazie all’uso dell’intelligenza artificiale, potranno svolgere operazioni in modo più autonomo.
Professioni relative alle ‘Smart Cities’ La maniera di costruire case e di modellare la realtà urbana si è trasformata nel tempo. Il lavoro di asfaltatori, costruttori, muratori, ingegneri e architetti si è dovuto confrontare con nuovi metodi di concepire e modernizzare le città di domani. Le “Smart Cities” sono già parte del presente. Se nel 2016, a livello globale, venivano spesi 80 miliardi di dollari per lo sviluppo di città intelligenti, nel 2021, si prevede un budget consacrato a questo scopo, di 135 miliardi di dollari. I lavori coinvolti nella progettazione, nella costruzione e nel mantenimento delle metropoli moderne, verranno profondamente sviluppati, in termini di competenze, e conoscenze, di materiali e di infrastrutture hi-tech. Specialisti nei sistemi fotovoltaici e solari saranno ingaggiati nell’ideazione di configurazioni energetiche volte a soddisfare le esigenze dei cittadini.
Lavori del futuro che si uniscono alla tecnologia per fornire beni e servizi. È questa una delle strade da percorrere per non incorrere nell’ “obsolescenza programmata delle competenze”, insieme al potenziamento della formazione continua, affinché si possa fornire al tessuto economico una concreta risposta di personale qualificato.
Un’informativa in merito a questa modifica legislativa, che entra in vigore il prossimo 1° agosto 2020.
Dal
1° agosto 2020 l’assegno di formazione potrà essere riconosciuto anche prima
dei 16 anni, nel caso in cui il figlio ha compiuto 15 anni e segue una
formazione post-obbligatoria.
Nel suo nuovo tenore, l’articolo 3 capoverso 1 lettera b LAFam prevede che l’assegno di formazione sia versato dall’inizio del mese in cui il figlio inizia una formazione postobbligatoria, ma al più presto dall’inizio del mese in cui questi compie il 15° anno d’età. Se invece a 15 anni il figlio frequenta ancora la scuola dell’obbligo, per il diritto all’assegno di formazione si dovrà attendere che abbia compiuto 16 anni.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-07-23 08:33:452020-07-23 16:39:58Revisione della legge sugli assegni familiari per la formazione
Una scheda giuridica redatta dall’Avv. Michele Rossi. Scopriamo i dettagli.
Il contratto di lavoro non richiede alcuna
forma speciale. Addirittura si considera che un contratto sia concluso anche
quando il datore di lavoro accetta, per un certo tempo, l’esecuzione d’un lavoro,
la cui prestazione secondo le circostanze non può attendersi senza salario
(art. 320 CO). In altre parole, una situazione di fatto può quindi costituire
un valido contratto di lavoro senza che le parti ne abbiano nemmeno discusso.
Questa presunzione
legale necessita però di due condizioni. Dapprima che vi sia una fornitura
effettiva di lavoro e, secondariamente, che tale prestazione venga accettata
dal datore di lavoro. Questa seconda condizione è realizzata quando
l’accettazione emana da una persona autorizzata a rappresentare il datore di
lavoro. Non vi è per contro accettazione se la fornitura di lavoro è nota
unicamente a persone senza poteri di rappresentanza in seno all’azienda. Va
precisato che la presunzione porta unicamente sull’esistenza di un contratto di
lavoro, non sul suo contenuto (es. salario).
Esistono però situazioni
che generalmente esulano dall’applicazione di tale regola come ad esempio
eventuali contributi lavorativi di una persona all’azienda del coniuge o del concubino,
oppure nell’ambito di mere attività di volontariato. E’ infatti usuale che
determinate prestazioni vengano fornite senza alcuna controprestazione, anche
sa la gratuità dell’operato non è stata esplicitamente convenuta. A titolo di
esempio si possono citare l’attività di cassiere per una società di calcio,
oppure la sorveglianza dei figli dei vicini per un paio d’ore. In questi casi
si ritiene che i rapporti non siano retti da un contratto di lavoro ma poggino
invece su altre basi.
Se, sulla base di circostanze concrete, si deve ammettere l’esistenza di un contratto di lavoro, allora la conseguenza è l’applicabilità integrale a tale rapporto degli art.319 ss del Codice delle obbligazioni. Come per i contratti stipulati esplicitamente, sia nella forma scritta che in quella orale.
Il nostro Servizio giuridico è a disposizione delle aziende affiliate per consulenze specifiche. Nell’Area soci sono pubblicate diverse schede giuridiche con informazioni mirate e aggiornate su temi d’interesse in ambiti quali diritto del lavoro, HR, diritto commerciale, accordi bilaterali, proprietà intellettuale, fiscalità, assicurazioni sociali, ecc.. L’accesso a questa sezione del sito è destinata esclusivamente ai soci. Il Servizio giudirico è gestito dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-07-22 10:35:562020-07-22 10:35:57Contratto di lavoro tacito?
La pandemia di Coronavirus ha favorito lo sviluppo del telelavoro. Se quest’ultimo presenta vantaggi e svantaggi, pone anche questioni legali.
L’azienda può imporre il telelavoro ai
propri dipendenti? E, al contrario, il dipendente può esigere dal proprio
datore di lavorare in telelavoro?
In generale, questa possibilità deriva da un accordo tra di loro al momento della conclusione del contratto di lavoro o, successivamente, da un accordo che modifica il contratto di lavoro. Durante questo periodo di pandemia, l’applicazione della legge è stata adattata alla situazione particolare. Sia le autorità federali che quelle cantonali hanno raccomandato ai datori di lavoro di utilizzare il telelavoro. Questa forma di lavoro è eccezionalmente entrata come parte integrante delle misure che il datore di lavoro poteva adottare per proteggere i suoi dipendenti. A scanso di equivoci va sottolineato che il telelavoro non è un diritto del lavoratore. Deve essere accettato dal datore di lavoro.
La persona che adotta il telelavoro
sosterrà verosimilmente costi aggiuntivi. Usa i suoi locali e, talvolta, i suoi
strumenti (computer, stampante, carta, wifi). Sorge quindi la domanda a sapere
chi debba sostenere questi costi. Questa domanda deve essere risolta alla luce
dell’art. 327ss.CO, secondo il quale il datore di lavoro fornisce al lavoratore
gli strumenti di lavoro e i materiali di cui ha bisogno. Se, previo accordo con
il datore di lavoro, il lavoratore vi provvede personalmente, va adeguatamente
risarcito.
Se il lavoratore svolge su propria
richiesta e volontariamente il suo lavoro da casa, previo accordo con il suo
datore di lavoro, nonostante disponga di un luogo di lavoro consono in azienda,
questo rimborso non è in linea di principio dovuto. Recentemente si è
pubblicamente parlato di una sentenza del Tribunale federale risalente al 2019
in cui i giudici hanno condannato il datore di lavoro ad indennizzare con un
importo forfetario di CHF 150/mese un dipendente che era stato obbligato a
lavorare a domicilio. In questa fattispecie va però considerato il fatto che il
datore di lavoro non era in grado di offrire al dipendente un posto di lavoro
adeguato. Non si tratta pertanto di una regola generalmente applicabile a tutti
i casi di telelavoro.
Domanda fiscale
La detrazione fiscale per il lavoratore viene presa in considerazione solo se la relativa spesa professionale è a carico di quest’ultimo. Se tutti i costi sono a carico del datore di lavoro, non è consentita alcuna detrazione fiscale. Se, in effetti, il dipendente ha subito dei costi, si farà riferimento all’ordinanza federale sui costi professionali, del Dipartimento delle finanze, che consente una detrazione forfettaria delle spese essenziali per l’esercizio della professione da parte del dipendente (ovvero strumenti professionali – compresi hardware e software per computer), lavori professionali o l’uso di una stanza di lavoro privata – affitto, riscaldamento, illuminazione, pulizia). Questa detrazione ammonta al 3% dello stipendio netto (ma minimo 2000 franchi e massimo 4000 franchi). La detrazione viene ridotta se l’attività remunerativa del dipendente viene svolta a tempo parziale. Tuttavia, il dipendente può ottenere una detrazione più elevata se dimostra l’esistenza di costi più importanti.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-07-20 09:25:242020-07-22 10:24:01Il telelavoro: una scelta o un’imposizione?
Lo sportello del Servizio Export e Legalizzazioni assume un ruolo molto importante presso la Cc-Ti: ha infatti il compito di certificare l’origine dei prodotti esportati dalle aziende ticinesi basandosi sull’applicazione delle regole d’origine non preferenziali.
Giulia Scalzi e Martina Grisoni
Ciò si concretizza nella prova documentale (certificato d’origine e/o attestazione dell’origine su fattura) che accompagna la merce all’estero fino al Paese di destinazione.Oltre a poter richiedere la legalizzazione di documenti come semplici certificazioni su fatture e certificati d’origine, lo sportello rilascia anche dei documenti chiamati CITES e Carnet ATA.
Dai certificati d’origine…
Partiamo con la descrizione del documento che viene richiesto maggiormente, ovvero il certificati di origine . A cosa serve? Questo documento viene richiesto dalle aziende che devono esportare in un Paese che non ha un accordo di libero scambio con la Svizzera. Si richiede l’emissione del certificato d’origine per importare la propria merce senza andare incontro a problemi presso la dogana estera, che potrà così verificare sul documento da noi rilasciato la provenienza della merce.
…ai Carnet ATA e CITES
Oltre ai certificati di origine e alle varie legalizzazioni, la Cc-Ti rilascia il Carnet ATA, documento doganale internazionale per l’esportazione temporanea di merci all’estero. Esso permette al suo titolare o al suo rappresentante di evitare il pagamento dei dazi doganali o di altre tasse riscosse all’importazione.
Il Carnet ATA ha validità di un anno e può essere
utilizzato per l’importazione e l’esportazione temporanea di merci finalizzata
ai seguenti scopi:
campioni commerciali
materiale professionale
merce destinata ad esposizioni, fiere,
congressi o manifestazioni simili
La CITES (CITES – Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora) invece si riferisce a una convenzione commerciale, nota anche come Convenzione di Washington, sottoscritta da 175 Paesi di tutto il mondo allo scopo di garantire la conservazione e un utilizzo sostenibile delle popolazioni vegetali e animali del nostro pianeta.
Per molte specie di flora e fauna l’espandersi degli scambi internazionali costituisce – o potrebbe costituire – una minaccia. Il loro commercio dovrebbe quindi essere ammesso solo nella misura in cui lo consentono gli effettivi naturali. L’introduzione di regole chiare, improntate ai criteri della sostenibilità, si rivela spesso più efficace di un divieto assoluto. Con il termine ‘commercio ai sensi della CITES’ si intende qualsiasi spostamento che preveda il passaggio di un confine. Le specie protette dalla CITES vengono classificate su tre diversi livelli, a seconda del grado di minaccia. L’importazione e l’esportazione di esemplari vivi, di loro parti o prodotti da essi derivati sono vietate, oppure consentite solo previa autorizzazione.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/07/ART20-scalzi-grisoni.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-07-20 08:31:542020-07-20 08:31:54Con competenza al servizio delle aziende esportatrici
Poche settimane fa, la classifica annuale dell’International Institute for Management Development (IMD) ha aggiudicato alla Svizzera il terzo posto nella classifica mondiale della competitività. Come si riflette ciò sull’export svizzero? Riflessioni e considerazioni sul presente e sul futuro.
La Confederazione ha guadagnato una posizione nella classifica mondiale della competitività rispetto allo scorso anno e si è piazzata dietro Singapore e Danimarca. Il nostro Paese – ricorda l’IMD – ha un’economia vigorosa sostenuta da diversi fattori, tra i quali: ottima formazione, sanità efficiente, stabilità e trasparenza delle istituzioni politiche, solide finanze pubbliche e un’eccellente infrastruttura scientifica, che si traducono anche nella capacità di attrarre talenti dall’estero. Un tessuto produttivo agile e dinamico alimentato da sempre – si sottolinea – da un robusto commercio internazionale. Un modello di successo basato sull’innovazione continua, una forte etica d’impresa e del lavoro, e su un sistema Paese aperto al mondo che ha saputo promuovere, con un pragmatico sviluppo delle relazioni internazionali, un ruolo di primo piano della Svizzera nella rete degli scambi mondiali. Questa spiccata capacità d’intraprendere e di relazionarsi positivamente con gli altri Paesi ha trasformato una nazione di appena 8,5 milioni di abitanti e quasi del tutto priva di materie prime, in una realtà annoverata oggi tra le 20 principali potenze economiche del pianeta, all’avanguardia nella ricerca avanzata e da anni ai vertici delle classifiche sulla competitività, l’innovazione e il reddito pro capite. Purtroppo la crisi del coronavirus ha frenato bruscamente il commercio mondiale uno dei principali driver della crescita elvetica, con pesanti ripercussioni per l’export che hanno penalizzato, in particolare, le piccole e medie imprese orientate sui mercati esteri. Secondo l’ultimo sondaggio di Switzerland Global Enterprise (SGE), la pandemia ha causato il crollo del clima delle esportazioni tra le PMI. Anche il barometro delle esportazioni del Credit Suisse ha registrato un’allarmante picchiata.
Nubi
sull’export
I
risultati del sondaggio S-GE, effettuato tra l’inizio di maggio e i primi di
giugno su un campione di 200 aziende di diversi settori produttivi, non sono
per nulla rassicuranti. Alla fine del primo semestre del 2020, il 65% delle PMI
segnala una contrazione delle esportazioni. Per l’81% delle imprese
intervistate la pandemia ha conseguenze negative soprattutto per il crollo
della domanda, la flessione nelle vendite e nel fatturato e la mancanza di aspettative
affidabili nella pianificazione aziendale. Per il secondo semestre dell’anno
soltanto il 39% delle PMI prevede un aumento dell’export, il 23% ipotizza una
stagnazione e il 38% un’ulteriore diminuzione. Anche gli indicatori del Credit
Suisse sulla domanda estera di prodotti svizzeri restano nettamente al di sotto
della soglia di crescita, segnando minimi storici. Scenario altrettanto cupo
nell’ultimo sondaggio di economiesuisse il 72% delle imprese esportatrici ipotizza,
difatti, una riduzione delle vendite nei prossimi mesi, considerate anche le
persistenti difficoltà sui principali mercati di riferimento, in primo luogo
quello dell’UE. Il blocco della produzione e le misure protezionistiche
adottate dagli Stati per contrastare l’emergenza sanitaria ed economica
provocata dal Covid-19, hanno dissestato le catene internazionali
dell’approvvigionamento e della distribuzione, innescando, peraltro, una battuta
d’arresto per gli investimenti. Tanto per farsi un’idea della paralisi che ha
sconnesso il flusso globale degli scambi, lo scorso maggio le grandi
organizzazioni del trasporto commerciale marittimo segnalavano per il 65% dei
porti europei un calo di circa un quarto del traffico merci e un aumento del 350%
per le cancellazioni delle partenze di navi portacontainer dall’Asia verso
l’Europa, rispetto allo stesso periodo del 2019. Un quadro preoccupante
attutito solo da qualche leggero segnale di ripresa per l’export dell’industria
metalmeccanica ed elettrica dei Paesi asiatici e dalle considerazioni dell’Organizzazione
Mondiale del Commercio (OMC), secondo cui si è riusciti, almeno per ora, a
scongiurare lo scenario più catastrofico per gli scambi internazionali. Ma, per
dirla come il Presidente della FED Jerome Powel, le prospettive per l’economia
restano «straordinariamente incerte».
Di
crisi in crisi
L’economia
svizzera è riuscita a superare la crisi finanziaria del 2008, l’impatto del
franco forte e gli effetti nefasti della guerra dei dazi tra USA e Cina,
confermando nel 2019 una ottima tenuta delle esportazioni con un aumento del
3,9 % (import: +1,6%). Un risultato notevole, visto il clima di forti tensioni geopolitiche
e con una congiuntura mondiale estremamente instabile, ottenuto grazie soprattutto
alla diversificazione degli sbocchi di mercato. Strategia quest’ultima in cui
si è distinto particolarmente il Ticino con una progressiva
internazionalizzazione delle imprese, supportata anche da un intenso impegno
della Cc-Ti con le sue missioni all’estero e l’ampia offerta di servizi di
consulenza e informazione per le aziende esportatrici. Va ricordato, al
riguardo, che nel 2018 l’export del Cantone Ticino era cresciuto del 14,1%,
ossia quasi tre volte la media nazionale.
Ma dietro
il successo delle esportazioni elvetiche c’è un paziente e sapiente lavoro di
tessitura di relazioni internazionali, di accordi bilaterali e intese
commerciali con gruppi di Stati, che hanno aperto alle imprese nuove frontiere
per il business e reciproche opportunità negli investimenti diretti esteri. Sono
ben 450mila i posti di lavoro nella Confederazione garantiti dagli investimenti
stranieri. Oggi però ci si trova a fronteggiare le devastanti conseguenze della
pandemia che hanno ulteriormente inasprito la guerra commerciale tra Pechino,
Washington e Bruxelles. Rafforzando in quasi tutti Paesi i vecchi demoni del
protezionismo, dell’isolazionismo e del nazionalismo, che rischiano di
inceppare del tutto il commercio mondiale. Veleno puro per la Svizzera, nazione
esportatrice per eccellenza che, non potendo neanche contare su un sufficiente
mercato interno, è cresciuta e prosperata col libero scambio.
Servono
stabilità e certezze
In una
situazione geopolitica pericolosamente tesa, un’economia vocata
tradizionalmente all’export come la nostra avrebbe bisogno di più stabilità e
certezze, quantomeno nei rapporti con i suoi principali partner commerciali.
Innanzitutto, con l’UE che resta ancora il mercato più importante assorbendo il
51,2% delle esportazioni (oltre 120 miliardi di franchi) contro il 15,9% degli
USA, il 4,5% della Cina e il28,3% del resto degli altri Paesi. Uno sbocco
vitale ha ricordato economiesuisse, per tutto il tessuto produttivo
rossocrociato: dal caseificio di montagna che può vendere in ogni angolo
d’Europa senza ostacoli alla start-up che può acquisire un know-how
internazionale partecipando ad un
programma europeo di ricerca; dalla piccola impresa (e sono ben 96mila le PMI esportatrici)
che rafforza la sua posizione nelle filiere di creazione del valore, fornendo
magari solo componenti per il prodotto finale di un gruppo dell’UE alla grande azienda
che ha accesso ad un mercato di 500 milioni di consumatori. Ma non si tratta solo
di vendere merci e servizi, senza cui la Svizzera perderebbe tra i 37 e i 64
miliardi di franchi all’anno. Dal settore dell’export dipendono infatti 1,5 milioni
di impieghi e già nel 2016, stando ai calcoli di economiesuisse, il reddito pro
capite in Svizzera era di circa 4’400
franchi in più rispetto a quanto sarebbe stato senza gli accordi bilaterali con
Bruxelles. L’accesso al mercato UE, ha sottolineato la Fondazione Bertelsmann, favorisce
la popolazione dei piccoli Paesi esportatori. Con un aumento del reddito annuo
pro capite stimato nel 2019 in 2’914 euro, la Svizzera è la grande
beneficiaria, superando il Lussemburgo (2’814 euro), l’Irlanda (1’894 euro) e
davanti persino alla Germania (1’046 euro).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-07-14 08:14:542020-07-13 09:37:44Per salvaguardare l’export svizzero sono necessarie stabilità e certezze
FAQ sul nuovo Coronavirus – informativa dell’Ufficio federale della sanità pubblica UFSP – stato al 2 luglio 2020
Dal 6 luglio tutte le persone che entrano in Svizzera provenienti da uno Stato o da una regione con rischio elevato di contagio devono mettersi in quarantena per dieci giorni.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-07-03 14:53:552020-07-03 14:53:56Quarantena per i viaggiatori in entrata in Svizzera
Il 1° luglio 2020 è entrata in vigore la modifica della legge sulla parità dei sessi.
Questa modifica introduce l’obbligo di eseguire un’analisi della parità salariale. Questo obbligo concerne i datori di lavoro che impiegano almeno 100 dipendenti. La soglia numerica non si riferisce ai posti di lavoro a tempo pieno ma al numero effettivo dei lavoratori. Gli apprendisti non sono conteggiati nel calcolo.
L’analisi va effettuata entro un anno
dall’entrata in vigore della revisione, e ripetuta ogni quattro anni, a meno
che la prima analisi non dimostri il rispetto della parità salariale, o se nel
frattempo il numero dei lavoratori non scenda al di sotto della soglia che la
rende obbligatoria.
Sono esentati dall’analisi anche i datori di lavoro che sono già stati oggetto di un controllo della parità salariale nell’ambito di una commessa pubblica, di una concessione di sussidi, o di un’altra procedura di verifica che non risalga ad oltre quattro anni. L’analisi del datore di lavoro va successivamente verificata da un organo indipendente. Sono considerati organi indipendenti gli uffici di revisione abilitati legalmente, le organizzazioni che esistono da almeno due anni e, secondo gli statuti, promuovono l’uguaglianza fra donna e uomo, o una rappresentanza dei lavoratori secondo la legge sulla partecipazione. Entro un anno l’ufficio di revisione indipendente stila un rapporto sulla correttezza esecuzione formale dell’analisi. Se la verifica è affidata ad una delle organizzazioni summenzionate, le parti concludono una convenzione sulle modalità di verifica e di consegna.
I lavoratori sono informati per iscritto
circa il risultato dell’analisi entro un anno dalla conclusione della verifica.
Le nuove norme della legge sulla parità dei
sessi resteranno in vigore per 12 anni, ossia fino al 31 giugno 2032.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.png00Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-07-03 10:11:202020-09-03 15:25:26Obbligo dell’analisi della parità salariale
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