Anche i giocattoli rischiano di scarseggiare e di diventare più costosi

Le conseguenze della pandemia toccano tutti

Le difficoltà riscontrate dal commercio per la scarsità di taluni prodotti sono ormai note. Quasi nessun settore fa eccezione e i commercianti confermano le difficoltà dovute all’elevata domanda globale di giocattoli e ai ritardi nei trasporti dall’Asia. È quindi probabile che la Svizzera, mercato certo attrattivo ma piccolo, potrebbe patire di ritardi notevoli nella fornitura di giocattoli, tanto che questo fattore potrebbe influire sull’attività di vendita natalizia.

I grandi rivenditori di giocattoli hanno cercato di procurarsi prodotti a sufficienza per l’imminente attività natalizia ma la pandemia ha reso questo compito assai arduo.

Il tradizionale negozio Franz Carl Weber e il rivenditore online Digitec Galaxus hanno già avvertito il pubblico delle possibili complicazioni. Le ragioni sono la forte domanda globale e i ritardi nei trasporti navali provenienti dall’Asia. Come detto in precedenza, a livello internazionale il nostro è considerato un Paese piccolo, per cui viene spesso posto tra gli ultimi per quanto riguarda le forniture.

“I mercati più grandi come l’America e l’Inghilterra vengono spesso e volentieri serviti per primi”, spiega Roger Bühler, CEO di Franz Carl Weber. “Dopo i due colossi anglofoni, vi sono i grandi Paesi europei come la Germania e la Francia e solo dopo arriva la Svizzera”.

“La Confederazione è quindi un ‘attore minore’ nel mercato internazionale dei giocattoli: ecco perché le consegne dei giocattoli per Natale potrebbero avere delle complicazioni e forti ritardi”, afferma Bühler. Tuttavia, il negozio Franz Carl Weber farà di tutto per cercare di non avere intoppi.

Problemi di spedizione

I ritardi nella fornitura di giocattoli sono dovuti anche ai problemi nella spedizione, poiché i più grandi porti cinesi come, ad esempio, Ningbo (il terzo porto più grande al mondo) e Yantian (il più grande punto di trasbordo nel Sud della Cina) continuano a ridurre le loro capacità, dati i numerosi lockdown, spiega Bühler.

Per l’industria dei giocattoli, le settimane che precedono il Natale sono tra le più importanti dell’anno. Di conseguenza, i rivenditori faranno tutto ciò che è in loro potere per garantire che gli scaffali delle filiali dei negozi siano ben forniti. Secondo Digitec Galaxus anche i rivenditori online si stanno preparando per avere le forniture necessarie, sperando così che i clienti potranno avere a disposizione un’ampia scelta.

Le merci che arriveranno potrebbero risultare più costose del solito e questo è imputabile ai costi maggiori di trasporto via container, incrementati durante la pandemia. È noto che in Asia i produttori di merci possono aggiungere dei dazi aggiuntivi ai loro prezzi di vendita, per cui aumentano anche i prezzi di vendita dei giocattoli per i clienti finali. Difficile, comunque, a oggi prevedere quale tipologia di giocattoli sarà la più penalizzata da scarsità e ritardi.

Ovviamente l’aumento dei prezzi è anche dovuto all’aumento dei costi per le materie prime, che, nella produzione di giocattoli, sono ad esempio i granulati, la carta, il legno e molti componenti elettronici, che hanno subito un rincaro fino al 35%; a si aggiungono costi di trasporto anche quadruplicati. Aumenti di prezzo già adottati lo scorso anno da alcuni fornitori come Mattel o Hasbro.

Chi ne trarrà vantaggio?

Mattel ha molti marchi di giocattoli famosi nel suo portafoglio: da Barbie a Fisher Price, Scrabble, il gioco di carte UNO e Matchbox. I giochi di Hasbro includono tra gli altri Monopoly, Play-Doh’s Playdough e Transformers.

Secondo gli esperti del settore, la situazione per i rivenditori di giocattoli è più difficile attualmente rispetto al 2020. Per concludere con una nota positiva: va detto che i produttori hanno registrato incrementi interessanti nelle vendite, visto che Mattel ha venduto significativamente più automobiline e bambole nel secondo trimestre 2021 rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente quando, a causa della pandemia, aveva invece avuto una flessione netta.

Fonte: Basler Zeitung, adattamento Cc-Ti

Chi sono i ‘Brand Ambassador’?

In un mondo iperconnesso e nelle strategie di marketing e comunicazione digitali delle aziende, parole come influencer, testimonial e ambasciatori del marchio non sono nuove. Chi sono però con esattezza queste figure? Quali le differenze li contraddistinguono? Che ruolo assumono all’interno delle PMI e quali vantaggi portano? Come possono le aziende costruire un network vincente?

Abbiamo risposto a queste e altre domande nel webinar del 9 novembre 2021, organizzato dalla Cc-Ti, dove è intervenuto Giuseppe Maffei, Fondatore Develed Sagl, introdotto da Lisa Pantini, Responsabile Relazioni con i soci Cc-Ti.

Oggi i clienti sono sempre più attratti dalle esperienze reali dei consumatori rispetto alla comunicazione che un marchio propone sui propri prodotti/servizi.
I ‘band ambassador’ o ‘ambasciatori del marchio’ sono dei consumatori che hanno una relazione di rispetto e stima per un determinato brand; relazione acquisita nel tempo attraverso l’utilizzo dei prodotti della marca. Il brand ambassador promuove quindi i prodotti e viene ricompensato da una relazione speciale con l’impresa; ma non è pagato dalla stessa per questo tipo di promozione (a differenza ad esempio dagli influencer).

Queste figure creano e condividono esperienze autentiche che hanno/ hanno avuto con uno specifico prodotto, instaurando un ponte di collegamento tra la marca ed altri potenziali acquirenti.

I follower di ogni ‘ambasciatore’ non sono, inoltre, un elemento essenziale per l’azienda che decide di avvicinare un potenziale ‘brand ambassador’; a venir premiata è piuttosto l’autenticità e la credibilità della persona.

Per una PMI è sempre più impegnativo creare dei contenuti sui social media che generino engagement e creino – da parte dei consumatori finali – delle azioni mirate. Infatti, può essere dispendioso trovare la tipologia di contenuti giusti, relativi alle tematiche “in” rispetto al prodotto sul mercato.
Il Brand Ambassador conosce invece dettagliatamente la merce (e può – se necessario – segnalare all’azienda eventuali migliorie), realizza foto e video nel luogo e nel contesto d’uso, coinvolge possibili distributori o stakeholders locali, osserva il prodotto dal punto di vista dell’utente (non dell’impresa) e comunica con il medesimo linguaggio dell’utilizzatore. Infine, pubblica poi i contenuti sul suo canale personale e su OPN (other people network) come gruppi di settore.

Come agire quindi? Per sviluppare un network vincente è innanzitutto necessario definire gli obiettivi commerciali e di marketing che si intendono raggiungere attraverso il supporto di queste figure e successivamente identificare il/i canale/i idoneo/i – dove è presente l’audience d’interesse – per veicolare il messaggio dell’azienda.
Il programma di adesione a un ‘Brand Ambassador Network’ deve essere reso visibile e accessibile, pubblicando le regole e linee guida specifiche sul sito internet o sui canali social. Nella valutazione e selezione dei profili da parte dell’azienda è opportuno coinvolgere anche il reparto commerciale e, a parità di caratteristiche tra i candidati, sarà utile confrontare i diversi engagement rate (tasso di coinvolgimento dei follower rispetto ai contenuti). È inoltre fondamentale lasciare alle persone scelte ampi margini di manovra per esprimere al massimo la propria creatività, con la forma di comunicazione che più li caratterizza. Fornendo poi dei codici sconto da condividere con i follower si aumenterà la probabilità di creare nuovi lead e acquisire clienti.
Utile è poi creare dei gruppi Whatsapp comuni per formare delle communities affiatate, facilitare il dialogo e il supporto reciproco.


SCARICA LA PRESENTAZIONE POWERPOINT E RIVEDI IL WEBINAR

In vigore l’accordo di partenariato economico (CEPA) tra AELS e Indonesia

L’accordo di partenariato economico (CEPA) tra gli Stati dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) e l’Indonesia è entrato in vigore il 1° novembre 2021, migliorando in modo significativo l’accesso al mercato e la certezza giuridica per le PMI svizzere. Il presente articolo si focalizza sull’applicazione pratica del CEPA per quanto riguarda lo scambio di merci.

Giacarta è la capitale e la principale città dell’Indonesia

Scambio di merci: i vantaggi

La Svizzera accorda l’accesso in franchigia doganale ai prodotti industriali indonesiani. Le concessioni accordate nel settore agricolo corrispondono sostanzialmente a quelle di altri accordi di libero scambio.

Tutti i principali settori di esportazione svizzeri beneficiano dell’accordo; questo vale sia per il settore agricolo sia per l’industria. Nel primo caso, l’Indonesia ha eliminato sin da subito, o lo farà entro termini transitori fino a cinque anni, i dazi sul latte e i prodotti del latte; per lo yogurt il termine di abolizione è di nove anni, mentre i dazi su caffè, cioccolata e biscotti verranno eliminati entro dodici anni. Il settore industriale svizzero ha invece ottenuto le seguenti concessioni: nell’industria chimico-farmaceutica praticamente tutti i dazi sono stati eliminati o lo saranno entro termini transitori che variano fino a nove anni; nel settore tessile non vi è un’abolizione generale dei dazi, ma a seconda degli ambiti vi è un libero accesso al mercato con termini di abolizione che variano da cinque a dodici anni; salvo poche eccezioni, i dazi sui macchinari sono stati completamente eliminati con l’entrata in vigore dell’accordo o lo saranno entro termini transitori che variano da cinque a dodici anni; infine i dazi sugli orologi sono stati eliminati con l’entrata in vigore dell’accordo o lo saranno entro termini transitori che variano da cinque a nove anni. Allo scadere dei termini previsti per l’abolizione dei dazi, la Svizzera potrà esportare in Indonesia il 98 % dei suoi prodotti in franchigia doganale.

Le principali disposizioni in materia di origine

  • le disposizioni in materia di origine e le lavorazioni e trasformazioni necessarie per l’ottenimento dell’origine preferenziale sono elencate nell’allegato I dell’accordo e sono reperibili anche nella direttiva R-30 “Accordi di libero scambio, preferenze doganali e origine delle merci” dell’Amministrazione federale delle dogane. Con l’entrata in vigore del CEPA, l’Indonesia non beneficia più delle preferenze doganali secondo il sistema di preferenze generalizzate per Paesi in sviluppo;
  • l’accordo prevede il cumulo dei prodotti originari tra gli Stati dell’AELS e l’Indonesia. Non è ammesso il cumulo con merci di altri partner di libero scambio;
  • l’accordo prevede la regola di non modificazione: i prodotti esportati non devono subire alcuna lavorazione o trasformazione non ammessa e devono rimanere permanentemente sotto controllo doganale. È ammesso il trasbordo e/o il frazionamento di invii (splitting-up) in Stati terzi;
  • come prova dell’origine vale esclusivamente la dichiarazione d’origine (Allegato I, art. 12). Essa può essere allestita dall’esportatore, indipendentemente dal valore della merce. Il certificato di circolazione EUR1 non è ammesso.

La dichiarazione d’origine deve essere allestita esclusivamente in inglese ed avere il seguente tenore:

  • la procedura di controllo a posteriori prevede un termine di tre mesi (prorogabile di ulteriori tre mesi) per rispondere alle domande di controllo e per presentare i giustificativi. Le tempistiche sono brevi, gli esportatori devono pertanto prepararsi adeguatamente;
  • l’importazione preferenziale di olio di palma e olio di palmisti è soggetta, oltre alla dichiarazione d’origine, anche a una prova di sostenibilità e a un’autorizzazione preferenziale rilasciata dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO) precedentemente alla prima importazione, con attribuzione di un numero di autorizzazione;
  • le merci originarie che, al momento dell’entrata in vigore dell’accordo, si trovano in transito oppure in custodia temporanea in un deposito doganale o in una zona franca possono tuttavia beneficiare dell’imposizione all’aliquota preferenziale nel quadro dell’accordo. In questo caso, fino al 28 febbraio 2022 sussiste la possibilità di presentare una dichiarazione d’origine allestita nel Paese d’esportazione dopo l’entrata in vigore dell’Accordo nonché documenti che comprovano il trasporto diretto.

Altri ambiti

La scheda informativa “Accordo di partenariato economico completo AELS-Indonesia” del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR) fornisce ampi ragguagli sui contenuti del CEPA nei seguenti ambiti:

  • ostacoli tecnici agli scambi commerciali e misure sanitarie e fitosanitarie
  • disposizioni generali sul commercio e lo sviluppo sostenibile
  • servizi (per approfondimenti vedasi anche gli Allegati VIII-XV al CEPA)
  • investimenti (per approfondimenti: Allegato XVI)
  • proprietà intellettuale (per approfondimenti: Allegato XVII)
  • appalti pubblici
  • cooperazione economica (per approfondimenti: MoU)

Per una società digitale sicura

La nuova Legge federale sulla protezione dei dati

Lo scorso 19 ottobre, in un webinar dedicato, la Cc-Ti ha trattato il tema della nuova la legge federale sulla protezione dei dati (LPD).
Ad intervenire quale relatore esperto è stato Gianni Cattaneo, Avv., LL. M., Cattaneo Bionda Mazzucchelli Studio legale e notarile, dopo un breve saluto da parte di Lisa Pantini, Responsabile delle relazioni con i soci della Cc-Ti.

La nuova LPD è stata adottata dall’Assemblea federale il 25 settembre 2020, dopo un lungo periodo di gestazione. L’esatta data di entrata in vigore non è ancora stata decretata, realisticamente si prevede però che essa sarà fissata nel secondo semestre 2022 o per l’inizio di gennaio 2023.
Essa si prefigge di proteggere la personalità e i diritti fondamentali delle persone fisiche, i cui dati personali sono oggetto di trattamento da parte di privati e organi federali. Lo scopo è quello di creare una società digitale sicura, efficiente e non discriminatoria.

I principi generali cardine alla base della nuova LPD sono la liceità (tramite il supporto di un motivo giustificativo riconosciuto, quale la legge, il consenso o l’interesse preponderante pubblico o privato), la buona fede, la proporzionalità, la sicurezza, la finalità, l’esattezza e la privacy by design e by default. Essi vanno considerati e applicati da ogni azienda nello svolgimento di qualsiasi operazione in relazione a dati personali ordinari o degni di particolare protezione.

È inoltre necessario adempiere ai seguenti obblighi: informare le persone interessate circa i trattamenti svolti dall’impresa (o delegati a terzi) fornendo tutte le indicazioni previste dalla legge; munirsi di un apposito registro in cui repertoriare le attività (quali dati vengono trattati, da chi, come, dove, per quale scopo, chi ne è destinatario e sulla base di quale motivo giustificativo avviene il processo); svolgere valutazioni d’impatto sulla protezione dei dati personali per i trattamenti a rischio accresciuto e, ove necessario, effettuare la consultazione preventiva dell’Incaricato federale; notificare all’Incaricato federale le violazioni della sicurezza dei dati in situazioni di probabile pericolo ingente e alla persona coinvolta su ordine di quest’ultimo o se richiesto per la sua protezione; e, infine, non trasferire, salvo particolari eccezioni, dati verso Stati privi di una legislazione adeguata di protezione dei dati.

La nuova LPD non prevede l’obbligatorietà in Svizzera (diversamente dal resto d’Europa) della figura del Data Protection Officer (DPO) nel settore privato, ma la sua eventuale nomina comporta l’esclusione dell’obbligo di consultazione preventiva dell’Incaricato federale in presenza di trattamenti a rischio elevato.

Data la complessità della questione è essenziale sensibilizzare e formare i dipendenti in maniera adeguata sui rischi, sui diritti e sugli oneri di ciascuno in materia di protezione dei dati personali, nonché sulle responsabilità collegate, considerando anche la diffusione di situazioni straordinarie come quella del telelavoro. Decisivo per la buona riuscita della trasformazione anche lo sviluppo di un piano d’azione preciso ed efficiente che spazia dalla creazione di un team di progetto autorevole supportato dalla Direzione e dal CdA, alla determinazione di un programma di lavoro con relativo scadenziario in base alle risorse disponibili, agli obiettivi e alle priorità d’intervento.

Il termine di entrata in vigore è ancora lontano (ipotesi: gennaio 2023). Alcune aziende potrebbero commettere l’errore di rinviare la questione del trattamento dati tenere presente la complessità degli adempimenti, delle fasi tecniche per la loro attuazione e del fatto che la nuova LPD non prevede un periodo di adattamento dopo la sua introduzione.
È perciò di primaria importanza sfruttare i prossimi mesi per avviare, senza indugio, il processo di messa a norma, trattandosi di una revisione complessa che avrà un notevole impatto sulla società e le imprese.

A tal proposito la Cc-Ti organizza regolarmente dei corsi di formazione (dove l’Avv. Gianni Cattaneo interviene quale relatore) chiamati “Nuova legge sulla protezione dei dati personali: un Action Plan per trovarsi pronti in tempo utile”. Questi percorsi formativi – riproposti regolarmente – sono pensati per fornire gli strumenti concreti alle PMI per arrivare all’entrata in vigore della LPD in modo efficiente. Per accedere all’offerta formativa Cc-Ti è possibile cliccare su questo link.

Infine, contrariamente al diritto europeo, che prevede pesanti sanzioni amministrative pecuniarie a carico delle società, il diritto svizzero opta per la responsabilizzazione dei membri del Consiglio di Amministrazione e/o manager in quanto detentori del potere decisionale. Essi saranno ritenuti penalmente perseguibili per le violazioni intenzionali della LPD imputabili alle loro aziende, tra cui la mancata implementazione degli standard minimi di sicurezza (con multe fino a CHF 250’000.-).

Non ingabbiamo l’economia

Qualche tempo fa è stato presentato un atto parlamentare a livello federale che si prefigge di proteggere l’economia svizzera con controlli degli investimenti. Il Consiglio federale, lo scorso 25 agosto 2021, ha definito i parametri che potrebbero essere utili per un controllo degli investimenti esteri, confermando però la sua già nota riluttanza a introdurre regole particolari. Entro fine marzo 2022 verrà posto in consultazione un progetto. Ma perché il Consiglio federale è contrario a una regolamentazione troppo restrittiva degli investimenti esteri?

Il motivo è presto detto. Una politica aperta nei confronti degli investimenti esteri è essenziale per la nostra economia e, di riflesso, per tutta la popolazione elvetica. Ciò permette infatti l’afflusso di capitali e competenze che permettono alle aziende di rimanere competitive, creare valore e mantenere i posti di lavoro. Occorre quindi grande prudenza prima di introdurre limiti troppo restrittivi, in un quadro legislativo già abbastanza severo. L’obiettivo dei controlli deve rimanere limitato a rischi e minacce per l’ordine pubblico o la sicurezza derivanti dall’acquisizione di imprese svizzere da parte di investitori esteri e particolare attenzione va a rilevamenti di aziende da parte di enti statali o parastatali esteri, che potrebbero anche portare a distorsioni della concorrenza.
Il Consiglio federale probabilmente si muoverà nel senso di prevedere una notifica e un’autorizzazione per le acquisizioni di imprese svizzere da parte di enti statali o parastatali esteri, limitando
invece questa procedura solo ad alcuni settori in caso di acquirenti privati. La SECO sarà l’autorità designata a gestire queste procedure.

Qualche anno fa avevamo già evidenziato uno studio di Avenir-Suisse (https://bit.ly/2YJjfps), che rilevava come le imprese elvetiche non dovessero essere ulteriormente protette da acquisizioni da parte di ditte estere. Anche un chiaro approfondimento di economiesuisse fornisce elementi molto utili per capire la tematica in tutte le sue sfaccettature (https://bit.ly/3DDgOE6). È chiaro che la discussione politica verta soprattutto sulla fame di acquisizione cinese, che preoccupa non poco.
A volte anche a ragione. Un “player” dai mezzi quasi illimitati può effettivamente distorcere la concorrenza oppure accaparrarsi di aziende che sono strategiche per il Paese perché fornitrici di servizi molto particolari e non sostituibili. Pensiamo alla delicatezza della questione della sicurezza informatica e di chi fornisce servizi di questo tipo.

Non va però dimenticato che vi sono già parecchi strumenti legali utilizzabili, come il diritto di espropriazione dello Stato per ragioni di sicurezza nazionale, oppure leggi puntuali nel settore immobiliare, borsistico e della concorrenza, con il controllo delle fusioni nel contesto della legge federale sui cartelli. La Svizzera in taluni ambiti è già più restrittiva di altri Paesi europei come la Germania, la Svezia e la Gran Bretagna (malgrado la Brexit).
Inoltre, va rilevato che la stragrande maggioranza degli investimenti in Svizzera ha origine nel mondo occidentale, ossia Stati Uniti, Canada e Unione Europea, tanto che circa l’80% dei capitali esteri in Svizzera ha questa provenienza. Senza dimenticare che gli investimenti diretti esteri garantiscono quasi mezzo milione di posti di lavoro in Svizzera.

Nello stesso contesto non va dimenticato il movimento inverso degli investimenti, cioè dalla Svizzera verso l’estero, perché la Svizzera esporta non soltanto beni industriali e servizi, ma anche importanti quantità di capitali, soprattutto sotto forma di investimenti diretti. Si tratta di decine di miliardi investiti da grandi aziende ma anche da molte PMI, che complessivamente occupano quasi 2 milioni di persone all’estero, con importanti ricadute in termini di crescita delle nostre aziende site in territorio elvetico e quindi di grande beneficio per la Svizzera.

Il mondo cambia ed è giusto riflettere sull’adattamento degli strumenti legali oggi esistenti. Nello specifico sarebbe però un errore fatale adottare un regime troppo rigido che ostacolerebbe i flussi di investimenti verso la Svizzera, perché questo, nel gioco della reciprocità, frenerebbe di riflesso anche la possibilità di investimenti elvetici all’estero. Inoltre, vi è un elemento a cui occorre sempre prestare attenzione, cioè che è ormai difficile trovare aziende puramente svizzere al 100%, malgrado l’immagine, la qualità e l’affidabilità siano ancora molto di stampo nazionale.
Alcuni marchi storici come Ricola, Läderach e Victorinox rimangono saldamente in mano svizzera. Pochi sanno però che la mitica Ovomaltina è in mani britanniche, l’altrettanto mitico Toblerone appartiene a un’azienda americana, mentre la Feldschlösschen è danese e la Valser è di proprietà della Coca-Cola. Senza dimenticare un pezzo di cultura svizzera come l’Aromat che è di proprietà olandese. Eppure, il carattere elvetico non è sparito, perché chi investe in questi prodotti investe in un pacchetto, fatto di qualità riconosciuta in tutto il mondo, di un modo di lavorare preciso e affidabile, per cui non vi è alcun interesse a stravolgere queste caratteristiche.

Quindi nuove regole vanno studiate, ma sempre con il tipico pragmatismo elvetico, anche perché la complessità delle strutture economiche e finanziarie oggi rende sempre più difficile stabilire a tavolino in maniera esatta certe situazioni di proprietà delle aziende e quindi l’esatta nazione di origine di determinati investimenti. Occorrerà come sempre equilibrio per trovare una via efficace
che tuteli gli interessi superiori senza ingabbiare inutilmente un’economia che deve giocoforza essere aperta per sopravvivere.

La contabilità digitale è un’opportunità da cogliere per le PMI

La contabilità, insieme alla gestione finanziaria di un’azienda, rappresenta uno dei punti chiave nella progettazione strategica e monetaria delle diverse attività a livello economico. Se ad essa allineiamo il progresso tecnologico, emergono nuove e interessanti opportunità. Quali?

Abbiamo risposto a questa domanda nel webinar del 5 ottobre scorso, organizzato dalla Cc-Ti, a cui è intervenuto John Muschietti, Direttore Fidigit SA, introdotto da Lisa Pantini, Responsabile Relazioni con i soci Cc-Ti.

Dal 1400…

La nascita della contabilità si fa risalire a Frà Luca Bartolomeo de Pacioli, frate e matematico italiano che nel quindicesimo secolo, pubblicò per primo un lavoro sulla partita doppia, pilastro fondamentale del sistema contabile contemporaneo.
L’evoluzione del sistema contabile nel tempo è illustrata nel grafico sottostante, che evidenzia le principali operazioni (imputazione, calcolazione e visualizzazione) e i relativi cambiamenti.

… fino ad oggi

Parlando di contabilità digitale si fa inevitabilmente riferimento alla moltitudine di interconnessioni esistenti fra le diverse sezioni di un’azienda. Esistono procedure e strumenti che possono andare a sostenere i processi rendendoli più snelli.

Possiamo citare, ad esempio: lo sviluppo dei pagamenti e l’avvento della fattura QR, che entro un anno sostituirà la polizza di versamento PVR, in attesa dell’adozione definitiva dell’e-bill.
In merito all’archiviazione delle fatture è oggigiorno possibile ricorrere ad archivi digitali a norma di legge che permettono di risparmiare spazio e costi.
L’“Employee self-service”, il cosiddetto portale dei dipendenti, consente di eseguire una pluralità di operazioni, tra cui il rilevamento ore, la manutenzione anagrafica e la visualizzazione dei differenti dossier.
Grazie al supporto dell’intelligenza artificiale, la registrazione delle spese può avvenire in tempo reale, da remoto e in modo totalmente automatico tramite smartphone. Le stesse condizioni valgono anche anche per l’electronic banking, che facilita lo svolgimento delle procedure dal proprio gestionale.
Servendosi di strumenti di Business Intelligence, i dati disponibili sui dispositivi possono essere visualizzati velocemente e in panoramica, per meglio comprendere le proprie attività e conseguentemente adottare strategie mirate.
Lo standard xBRL – non ancora utilizzato in Svizzera a differenza che in altri Paesi come, per esempio, la Germania – ha la funzione di automatizzare l’interazione fra la reportistica aziendale e le sue controparti.

Le possibilità per digitalizzare i processi interni alle aziende sono numerose e diversificate, occorre quindi iniziare a valutarle per tempo, dato il repentino progresso tecnologico. Un partner affidabile e su cui contare per una consulenza mirata è la buona strada da cui iniziare.


SCARICA LA PRESENTAZIONE POWERPOINT E RIVEDI IL WEBINAR

Dal Ticino all’Intelligenza Artificiale: ecco Visium

Abbiamo intervistato Matteo Togninalli, Chief Operating Officer di Visium SA

La parola a Matteo Togninalli, figlio del nostro territorio e, ormai, imprenditore di successo nel mondo. Come è nato questo percorso? Un sogno partito alla grande già dal Ticino? Una passione da sempre?

Da sempre, mi sono appassionato per le scienze e la tecnologia. Al momento del liceo, ho cominciato ad interessarmi all’imprenditoria: era infatti uno dei migliori modi per facilmente diffondere nuovi progressi tecnici. Questa realizzazione fu anche il motivo che mi ha spinto verso il politecnico. La passione per le startup è poi sbocciata ai primi contatti con il mondo universitario, dopo aver partecipato a vari eventi sul campus. Fondare e far crescere una ditta è quindi diventata un’evidenza e sapevo che sarebbe stato il mio percorso dopo gli studi.

“Rendere l’Intelligenza Artificiale accessibile a tutti”, visione e/o missione della sua azienda?

Matteo Togninalli

Esattamente, Visium sviluppa programmi di intelligenza artificiale su misura per le imprese. Dal mio primo contatto con questa tecnologia, mi sono reso conto del suo enorme potenziale per gran parte delle attività economiche. Il problema è che, fino al 2016, rimaneva principalmente nelle mani delle grandi industrie internet (GAFAM) o dei laboratori universitari. Quando, durante una cena a Zurigo, Alen mi ha parlato della sua idea di renderla accessibile al resto delle imprese attraverso servizi e prodotti, mi sono immediatamente entusiasmato. Abbiamo quindi cominciato a lavorare su Visium, con l’obiettivo di creare un nuovo attore svizzero ed europeo che possa rispondere a questo bisogno sempre più marcato.

Quali i percorsi di ricerca e i successi che l’hanno resa più soddisfatto e creato sempre nuovi entusiasmi?

Il percorso di studi è stato senz’altro un momento meraviglioso. L’EPFL mi ha offerto la possibilità di soggiornare a due riprese negli Stati Uniti, dove, oltre che a legare amicizie per la vita, ho potuto osservare e prendere ispirazione dalla mentalità “can-do” americana, specie nel mondo imprenditore. Svolgere la mia tesi di master a Stanford, nel cuore della Silicon Valley, è stata la più grande opportunità che ho avuto e mi ha fortemente marcato, in particolare per le mie avventure imprenditori. In seguito, durante il dottorato, l’ETHZ mi ha permesso di viaggiare a grandi conferenze di machine learning attraverso il mondo, dove ho potuto scambiare idee con brillanti ricercatori e prendere ispirazioni per nuovi approcci tecnici. Ultimamente, poter capire le specificità di diverse industrie grazie ai progetti con i nostri clienti è affascinante. Sono quindi le discussioni e gli scambi con altre persone che mi ispirano e continuano a farlo: c’è così tanto da imparare!

Sinergie con grandi aziende e sinergie con piccole aziende. Come progettare a misura, tenendo conto del costo dell’investimento e traducendolo in successo. Quali parametri di analisi dovrebbe affrontare un’azienda per verificare la propria posizione sul mercato? A chi si rivolge Visium?

Investire in progetti di intelligenza artificiale porta sempre dei ritorni. Noi li classifichiamo in ritorno misurabile (il valore aggiunto economico), ritorno strategico (benefici legati agli obiettivi strategici e competitivi della ditta) e il ritorno in capacità (legato alla maturità tecnologica e IA dell’impresa). Anche se a volte i ritorni economici di un progetto di IA non appaiono da subito, gli altri benefici sono sempre sinonimi di progresso immediato per la ditta. Da Visium, abbiamo cominciato a lavorare con piccole e medie imprese e ora accompagniamo principalmente grandi multinazionali per imperativi di crescita. Il nostro obiettivo essendo di democratizzare l’accesso all’IA, stiamo reinvestendo i benefici per sviluppare una serie di prodotti generali e finanziariamente accessibili a tutte le imprese. Per esempio, stiamo per lanciare SalesHunter, un programma che permette ai rappresentanti di vendita di sapere quali prodotti raccomandare ai loro clienti per aumentare le loro vendite.

Dal Ticino, all’America, a Zurigo per formare un team vincente. Quali consigli e caratteristiche per i nuovi imprenditori del futuro? I know-how per questo settore? Come scegliere i compagni di viaggio (soci, collaboratori, …)?

Lanciare una ditta nel mondo informatico non è mai stato così semplice e poco costoso: le risorse abbondano e ci sono migliaia di buone idee. Quello che ci vuole, è il coraggio di lanciarsi. E spesso, è molto più facile trovare questo coraggio quando non si è soli. Sono infatti immensamente grato ad Alen e Timon, con cui continuiamo a motivarci dopo quasi 4 anni, perché sarebbe impossibile altrimenti. Quello che conta per un buon cofondatore, è trovare persone che hanno la stessa etica del lavoro e la convinzione di potercela fare, possibilmente con talenti complementari. Per i collaboratori invece, è molto importante ingaggiare persone che credano nella visione ditta e che non si scoraggeranno alle prime difficoltà. Da noi, questa qualità prevale sulle altre al momento di scegliere i candidati.

Visium è ubicata presso l’Innovation Park a Losanna e presso il Technopark a Zurigo; e mira a raggiungere i 100 collaboratori entro il 2022. Quale panorama si immagina ancora per la vostra azienda?

Vogliamo rendere Visium un vero attore internazionale nel mondo dell’IA. Sarebbe l’occasione perfetta di rimettere la Svizzera e l’Europa sulla mappa mondiale dell’IA e delle tecnologie dell’informazione, attualmente dominata dagli Stati Uniti e dalla Cina. Per fare questo, spingiamo lo sviluppo dei nostri prodotti, più facilmente esportabili, e stiamo iniziando altre collaborazioni a livello europeo.

Fuori e dentro casa: una giornata “smart”

Il neologismo Internet delle cose (IoT, acronimo dell’inglese “Internet of things”) fa riferimento all’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti. Concetto che, fino a poco tempo fa, poteva apparire la trama avvincente di un film futuristico, oggi è invece una realtà concreta in continua evoluzione.
Cosa significa – nello specifico – vivere una giornata smart?

Possiamo incrementare le prestazioni e usufruire delle possibilità offerte dai diversi strumenti che abbiamo in uso, ottimizzando i consumi e permettendo l’integrazione di diverse funzioni interessanti che rendono la nostra vita, più “vita”.
Stare a casa, spostarsi, essere in azienda, sulla strada, in città o in un altro Paese… abbiamo oggi la possibilità di gestire al meglio i nostri progetti e i nostri itinerari.

Abbiamo riflettuto su questo tema e sulle sue numerose sfaccettature durante il webinar del 29 settembre scorso, organizzato dalla Cc-Ti in collaborazione con Swisscom, a cui sono intervenuti Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti; Carmen Lüthi, Formatrice Swisscom Academy; Massimo Redigolo, Head of sales autoSense e Marco Doninelli, Direttore UPSA Ticino.

Nella quotidianità…

Con l’espressione “casa smart” si fa riferimento ad un’abitazione interconnessa, il cui scopo è rendere più facile, piacevole e sicura la vita di chi vi abita.

Grazie ad una singola applicazione per smartphone e alla rete di dispositivi connessi al router tramite WiFi capaci di raccogliere, analizzare e condividere determinate informazioni è per esempio possibile accendere/spegnere luci e apparecchi elettronici, attivare e controllare impianti di sicurezza, monitorare e interagire con il proprio animale domestico, il tutto automaticamente o a distanza in qualsiasi momento con un semplice click.

…per gli spostamenti in auto

La tecnologia (come quella di Swisscom) non si limita però esclusivamente al pacchetto “smart home”, ma con la collaborazione di autoSense (ad esempio) si passa al mondo delle quattro ruote.

autoSense, infatti, fornisce i dati necessari per la creazione di una serie di servizi e vantaggi a favore degli automobilisti. Tra questi, per esempio, la possibilità di usufruire all’interno della vettura della stessa funzione WiFi di cui disponiamo a casa (senza più dover ricorrere all’attivazione dell’Hotspots), la facoltà di gestire in autonomia un diario di bordo digitale o quella di restare in contatto 7/24 con il proprio garage di fiducia che è a conoscenza di tutte le informazioni utili riguardo al veicolo anche in caso di soccorso.
In associazione con l’app Easypark, disponibile in tutta Europa e in 600 città svizzere, è inoltre possibile pagare il parcheggio con il cellulare soltanto per il tempo di sosta realmente sfruttato.

Focus sul settore automobilistico

Rispetto a qualche anno fa la scelta dell’automobile in merito all’aspetto della produzione si è notevolmente ampliata: non più solo benzina o diesel ma anche gas, ibride mild, full o plug-in ed elettriche a batteria o idrogeno. I fattori determinati da considerare al momento dell’acquisto sono molteplici come, per esempio, il numero di km percorsi giornalmente, la possibilità di cui si dispone per fare rifornimento e l’importo che si è pronti a spendere.

Oggigiorno l’elettronica non è più solo al servizio della meccanica nel processo di costruzione dei veicoli ma anche nell’ideazione e progettazione dei software.
E se è vero che al momento la vendita online di vetture rimane poco diffusa a causa della complessità del processo di configurazione, essa verrà agevolata in misura sempre maggiore dalla tendenza a costruire autoveicoli forniti di tutto (sensori, sistemi elettronici, ecc.) con la possibilità per l’acquirente di comprare e attivare comodamente dal proprio domicilio tramite un portatile i servizi che desidera.

La vettura interconnessa

Molteplici sono le applicazioni che attualmente abbiamo a disposizione per gestire da remoto l’automobile. Esse ci consentono di localizzare in qualsiasi momento la vettura, di controllarne lo stato (olio, freni, pneumatici, livello batteria, ecc.) ed eventuali malfunzionamenti (con la relativa organizzazione di servizi di manutenzione) così come di inviare a distanza dei comandi. Si stanno inoltre sviluppando delle app che permetteranno di fare diagnosi a lungo raggio (sulla base, per esempio, dei rumori prodotti dal veicolo) o valutazioni immediate di danni in caso di incidente. Si prevede poi che entro i prossimi due anni lo smartphone rimpiazzerà la chiave di accensione e che in un futuro prossimo l’automobile elettrica fungerà da accumulatore di energia per l’economia domestica. Riguardo al raggiungimento del livello sei della guida autonoma si stima invece – anche in virtù di ragioni giuridiche oltre che tecniche – un’attesa di ancora una ventina d’anni.

Informazioni utili da condividere nelle riflessioni strategiche anche per una PMI o un’azienda che deve gestire il proprio parco veicoli.

Una questione di energia

La necessità dell’approvvigionamento energetico è oggi un argomento da tenere in considerazione.
L’energia serve ad alimentare gli strumenti che utilizziamo nella nostra quotidianità (a livello professionale e personale), resi sempre più performanti ed efficaci, grazie al progresso tecnologico.
Occorre dunque che le discussioni sulle tematiche dell’energia siano condotte con riflessioni che inglobino le diverse forme di produzioni energetiche possibili, senza dimenticare il contesto.


RIVEDI IL WEBINAR


DOCUMENTI UTILI
Scarica la presentazione completa
– Leggi gli articoli Cc-Ti sul tema “energia

Le criptovalute al servizio dell’imprenditore

Non ci sono più dubbi che le criptovalute, le valute digitali emesse tramite la tecnologia blockchain, sono un fenomeno destinato a rimanere nel tempo.

In sempre più Paesi i legislatori hanno sancito le regole per l’emissione e la custodia di criptovalute; imprese del calibro di Tesla, Square e Space X hanno pubblicamente annunciato di detenere bitcoin nelle loro tesorerie e praticamente tutti gli Stati si stanno preparando all’emissione delle Central Banks Digital Currencies, ovvero le criptovalute emesse dalle banche centrali. In questo contesto sempre più imprenditori stanno scoprendo l’uso delle criptovalute per la propria attività. In questo contributo vogliamo spiegare come, anche grazie a degli esempi concreti.

Pagamento in criptovalute

Il numero di società che accettano pagamento in criptovalute continua a crescere, anche in Svizzera. Non vi è soltanto il Cantone Ticino, che ad aprile ha deciso di lanciare un progetto pilota per l’accettazione di pagamenti in bitcoin, ma anche imprese storiche, come il Grand Hotel Dolder di Zurigo, i colossi dell’e-commerce quali Digitec e Galaxus, casse malati come Atupri, rivenditori di automobili del calibro di Kessel fino ad arrivare a bar, ristoranti, macellerie, fioristi e persino studi legali. Il motivo di questa decisione è semplice: il pagamento in criptovalute è immediato e con (potenziali) costi minori rispetto a quelli generati da sistemi quali PayPal o le carte di credito, con la rosea prospettiva di abbassare ulteriormente questi costi grazie ai prossimi accorgimenti tecnici, che permetteranno anche di ridurre il consumo energetico di queste valute. Inoltre, vi sono sempre più persone che hanno una parte importante del loro patrimonio in criptovaluta e preferiscono “spendere” direttamente queste valute invece di doverle prima cambiare in denaro con corso legale. Offrire il pagamento in critpovalute permette dunque di attrarre un nuovo tipo di clientela.

Gamification del rapporto con il cliente

La gamification è quel processo che utilizza meccanismi tipici del gioco per rendere gli utenti o i potenziali clienti partecipi delle attività dell’impresa e interessarli ai servizi offerti. Tramite un token (così è chiamata una criptovaluta emessa da un terzo) un’impresa può creare un processo di gamification con il suo potenziale cliente per invogliarlo a utilizzare i propri servizi. Ad esempio, Yuh, la piattaforma finanziaria creata in joint venture da Swissquote e Postfinance, usa un token chiamato Swissqoin per remunerare le azioni svolte da propri utenti (un pagamento, un investimento, l’introduzione di nuovi clienti). Più il cliente è attivo, maggiore è il numero di token che riceve. I token sono comunque limitati in numero e dunque gli utenti più attivi avranno un vantaggio maggiore rispetto agli altri. Per dare un valore al token la società investe parte dei suoi ricavi nello Swissqoin, generando così un guadagno per i suoi utenti. Un altro esempio dell’uso dei token è quello della Città di Lugano con il LVGA token. Invece di concedere uno sconto ai titolari della Lugano Card, come fatto in passato, la città paga l’importo dello sconto in LVGA token, di fatto un token coperto in rapporto 1:1 con il franco. L’interesse della città di Lugano per questa pratica? In questo modo i vantaggi concessi ai detentori della Lugano Card possono essere spesi solo all’interno del circuito e non, ad esempio, all’estero. Questi sono solo due esempi, ma se ne possono immaginare a centinaia.

Corporate governance e finanziamento dell’impresa

La maggiore innovazione portata dalle criptovalute è probabilmente la possibilità di tokenizzare le azioni della propria società (dunque invece di avere le azioni in formato cartaceo possederle in formato digitale). La grande innovazione è la possibilità di automatizzare tutto il processo di governance dell’impresa (votazioni in assemblea, aumenti di capitale sociale, ecc..). Già oggi esistono diverse piattaforme che permettono alle società di digitalizzare la propria governace, permettendo non soltanto un risparmio di tempo, ma anche una maggiore certezza e garanzia delle decisioni prese, che sono registrate sulla blockchain, conferendo agli azionisti e agli organi un portale che permette di avere una visione generale sulle attività svolte dalla società fornendo un’importante trasparenza sulla governance societaria. Le azioni tokenizzate permettono poi alla società di raccogliere capitali tramite i mercati decentralizzati, delle vere e proprie borse gestite non da persone ma da algoritmi, che ne garantiscono il corretto funzionamento. La differenza tra questo tipo di quotazione e quella tradizione risiede nell’enorme risparmio di tempo e denaro che la quotazione in un mercato decentralizzato richiede. Se solo società ben strutturate e disposte a spendere centinaia di migliaia di franchi possono permettersi di entrare nella borsa ordinaria, la quotazione alle borse decentralizzate è alla portata di tutti e necessità solo della pubblicazione di un adeguato prospetto. Non vi sono spese da pagare, poiché si usa un algoritmo e non una borsa regolata, e non è necessario l’intervento di una banca d’affari, concedendo così a tutti la possibilità di quotare le proprie azioni e finanziare la propria impresa. È la democratizzazione della finanza, che è uno degli scopi del movimento legato alle criptovalute. Si tratta chiaramente di un mercato ancora giovane, con i rischi tipici di questa tecnologia, ma che con una liquidità di 140 miliardi di dollari non ha nulla da invidiare ai mercati tradizionali.

Automatizzazione dei processi

Le criptovalute sono considerate le valute di Internet perché sono completamente digitali e permettono, con estrema facilità e senza necessità di una conoscenza tecnica particolare, di automatizzare i processi aziendali. Questo aspetto delle criptovalute è ancora forse poco visibile, ma molto promettente. I primi esperimenti sono stati fatti con il pagamento da parte senza la necessità di un intervento umano. Ad esempio, se un aereo atterra in ritardo, l’informazione è trasmessa in automatico ad uno smart contract (una regola codificata nella blockcain) che gestisce i pagamenti dovuti a lle persone coinvolte. Un altro esempio è quello del frigorifero intelligente in grado di rilevare che il latte è finito e che ora potrà anche comprarlo autonomamente effettuando il pagamento tramite criptovalute e farlo consegnare a casa. I processi di automatizzazione con le criptovalute sono enormi, quando (non se!) tutti i pagamenti avverranno tramite la tecnologia della blockchain ricordiamo che gli Stati stanno emettendo le loro criptovalute e che pertanto questo fatto sarà reale) si potranno sviluppare algoritmi che in automatico e praticamente in tempo reale eseguiranno la contabilità, la revisione, le dichiarazioni fiscali e tanti altri oneri dell’impresa. Insomma, la blockchain e le criptovalute potranno veramente semplificare di molto la burocrazia che oggi attanaglia gli imprenditori.

L’economia del domani sarà sempre più digitale e le criptovalute avranno un grande ruolo da giocare. Per questo è importante che ogni impresa capisca da subito il loro funzionamento e colga al più presto la potenzialità di questa nuova tecnologia.


Articolo a cura di Lars Schlichting, Avvocato, LL.M., Partner Kellerhals Carrard Lugano SA

Tassare i robot?

I robot esistono da una quarantina d’anni, ma solo con l’inizio di questo secolo sono diventati una presenza sempre più diffusa nell’industria e nei servizi. Una realtà che, come succede con tutte le n nuove tecnologie, attrae e spaventa, sollevando timori, in particolare, per i suoi effetti sull’occupazione.

Paure amplificate a dismisura da un’insidiosa tecnofobia che lascia del tutto in ombra i vantaggi dell’automazione sia per le aziende che per i dipendenti, aprendo la strada a proposte che penalizzerebbero l’innovazione, invece d’incoraggiarla. Una visione allarmistica nella quale il ricorso intensivo alla robotica sostituirà progressivamente i lavoratori, creando un esercito di nuovi disoccupati. Di conseguenza diminuiranno anche le entrate fiscali per lo Stato. Dunque, non potendo più tassare questi lavoratori si dovrebbero tassare i robot, per assicurare un adeguato gettito fiscale in grado di finanziare i sistemi previdenziali e i piani d’intervento per aiutare e reinserire nel mondo del lavoro chi ha perso l’impiego.

Una soluzione sostenuta per primo da Bill Gates, il fondatore di Microsoft, rilanciata a Bruxelles dalla deputata socialista Mady Delvaux, ma bocciata dall’Europarlamento, riproposta in Francia dall’ex Ministro del PS Benoît Hamon e dettagliatamente argomentata in Svizzera nel saggio “Taxer les robots – Aider l’économie à s’adapter à l’usage de l’intelligence artificielle” di Xavier Oberson, Avvocato, Professore e fiscalista ginevrino (ospite alla prossima 104esima Assemblea Generale Ordinaria della Cc-Ti del 15 ottobre 2021).

Xavier Oberson suggerisce di tassare uno stipendio “teorico” per l’utilizzo di un robot che corrisponda al salario che l’azienda avrebbe pagato ad un dipendente. Un po’ sul modello del valore locativo che tassa un canone d’affitto teorico. Così, dal profilo delle entrate fiscali, non ci sarebbe differenza alcuna tra l’ assumere un lavoratore o impiegare un robot. Quello che a prima vista sembrerebbe “l’uovo di Colombo” della nuova fiscalità ai tempi della trasformazione digitale, è una soluzione controproducente.

Innanzitutto, bisogna sgomberare il campo dalla falsa credenza secondo cui i robot si “mangiano i posti di lavoro”. È vero piuttosto il contrario. Numerosi studi hanno ampliamente documentato che i Paesi dove più diffusi sono i robot, ad esempio Giappone, Corea e Germania, sono quelli che hanno un tasso di disoccupazione tendenzialmente più basso. Ciò che si registra invece come una costante in questi Paesi è un aumento della qualificazione necessaria per l’impiego. L’utilizzo massiccio della robotica ha, difatti, creato nuove mansioni e nuove figure professionali, anche nel nostro Paese che conta una media di 146 robot industriali ogni 10mila dipendenti, per un totale che l’anno scorso ha toccato le 422mila unità installate.

Queste macchine tecnologicamente avanzate, impiegate nelle imprese per ottimizzare e velocizzare i processi produttivi, contribuiscono, in definitiva, alla creazione di valore che viene già tassato in quanto reddito da capitale. E all’imposte dirette si aggiunge l’IVA, che viene prelevata sull’insieme del valore creato, compreso quello generato dalla robotica. Un’imposta supplementare significherebbe tassare direttamente la tecnologia, ostacolando e scoraggiando di fatto quell’innovazione che salvaguarda la competitività delle aziende. È come se in passato si fossero tassati i telai meccanici, le seghe elettriche, le ruspe o i trattori perché eliminavano posti di lavoro, senza considerare i benefici produttivi, sociali e occupazionali che ne sono poi derivati. Qualcuno ha giustamente ricordato che se negli anni ‘80 si fossero tassati i pc e i loro software, che hanno cancellato in tutto il mondo decine di milioni di impieghi, si sarebbe sicuramente frenato lo sviluppo dell’informatica e, probabilmente, anche la Microsoft di Bill Gates non sarebbe quella che è oggi.

Un equivoco sul digitale

L’idea di un’imposta specifica su queste macchine intelligenti s’inscrive nella storia di una frenesia impositiva che ha già visto proporre tasse sulle e-mail, su Internet o sulle microtransazioni finanziare, in poche parole sull’uso del digitale nella produzione di merci e servizi. Ma oggi con sistemi economici sempre più informatizzati, interconnessi e interdipendenti è arduo persino distinguere o tracciare dei confini netti tra l’economia digitale e quella tradizionale. Anzi, autorevoli studiosi sostengono che siamo già entrati nell’era post-digitale. Un’epoca in cui il “digitale” non è più solo un vantaggio competitivo, ma il requisito minimo per poter restare sul mercato, dove le fortune di un’azienda dipenderanno dalla capacità di utilizzare una molteplicità di tecnologie diversificate.

La robotica è un elemento centrale di questo “requisito minimo, ed è un settore in forte espansione. L’International Federation of Robotics ha calcolato un tasso di crescita esponenziale dei robot negli ultimi sei anni, con punte del più 30% di vendite nel 2017 a livello mondiale, rispetto all’anno precedente, per poi stabilizzarsi su un incremento annuo del 6% che dovrebbe mantenersi sino al 2030. Tentare di rallentare questo trend, usando il freno fiscale, significherebbe inceppare quel progresso tecnologico che permette di creare nuova ricchezza di cui beneficia tutta la società.
È ormai assodato che robotica e automazione accrescono la produttività delle imprese e la loro competitività internazionale. È solo grazie a questa maggiore creazione di valore che si possono ben retribuire i dipendenti, offrire nuovi posti di lavoro e contribuire alla prosperità generale. Solo garantendo, e non mortificando con nuove imposte, l’efficienza economica e la competitività delle aziende, non diminuiranno la produzione di ricchezza né le entrate fiscali per lo Stato.

Vantaggi, più che svantaggi

L’utilizzazione della robotica presenta numerosi vantaggi di cui beneficiano non solo le aziende ma anche i lavoratori. Innanzitutto, l’accresciuta competitività di un’economia rappresenta un notevole a tout soprattutto per quei Paesi, come la Svizzera, dove i costi del lavoro e degli altri oneri aziendali sono molto elevati, offrendo una risorsa risolutiva agli imprenditori per non essere costretti a delocalizzare all’estero, là dove i costi sono di gran lunga inferiori, produzione, know-how e impieghi. In secondo luogo, la presenza dei robot migliora la sicurezza e l’ergonomia sui posti di lavoro, aiutando o sostituendo del tutto i dipendenti nelle operazioni più faticose, ripetitive o pericolose. Sgravare la manodopera da questi compiti, significa liberare intelligenza produttiva, riorientando competenze ed esperienza professionale verso più avanzate e gratificanti funzioni. Non per nulla oggi si parla di “intelligenza collaborativa” tra uomo e macchine, non solo per aumentare le performances aziendali, ma come fine di un progresso tecnologico che non si sviluppa per sostituirsi all’uomo, quanto piuttosto per potenziare le sue capacità.

Un’evoluzione che con l’affermarsi del digitale e dell’intelligenza artificiale, vede nel propagarsi della “cobotica” (la robotica collaborativa) il suo sbocco naturale. Secondo un recente report di Morgan Stanley, la robotica collaborativa, che attualmente copre appena il 5% all’anno delle installazioni a livello globale, nel giro di un decennio arriverà al 17%, grazie al progressivo perfezionamento e alla riduzione dei prezzi una volta superato lo stadio di sviluppo iniziale. I cobot di nuova generazione poco ingombranti, progettati proprio per affiancare l’uomo nel lavoro, facili da installare e dal costo contenuto, sono ora accessibili anche alle piccole imprese.

Per l’economia si sta aprendo davvero la frontiera del post-digitale che richiederà condizioni quadro più avanzate per il mercato del lavoro, l’innovazione, la fiscalità, la formazione, la ricerca e le infrastrutture. Saranno queste condizioni quadro, e non le tasse, a far sì che lo sviluppo tecnologico non distrugga lavoro, e generi invece più ricchezza, nuovi impieghi e nuove professionalità.