Malgrado un’economia che si sta dimostrando solida, le preoccupazioni sono date da tutte le incertezze che contraddistinguono il periodo attuale

Comunicato stampa della 105esima Assemblea Generale Ordinaria della Cc-Ti

Il Presidente della Confederazione Ignazio Cassis, il Presidente della Cc-Ti Andrea Gehri e la Vice Presidente della Cc-Ti Cristina Maderni

La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino (Cc-Ti) ha tenuto il 14 ottobre 2022, presso l’Espocentro di Bellinzona, la sua 105esima Assemblea Generale Ordinaria.
L’evento si è svolto con il fedele supporto dei due ‘Main Sponsor’ EFG Bank e Swisscom SA.

Alla presenza di circa 400 partecipanti si è svolta con successo la 105esima Assemblea generale ordinaria della Cc-Ti.
Si sono svolti i lavori i previsti lavori assembleari, che hanno visto la nomina di quattro nuovi membri dell’Ufficio presidenziale (composto di 21 elementi in rappresentanza di tutti i settori economici del Cantone).
Sono stati nominati all’unanimità dall’Assemblea Generale Ordinaria
(in ordine alfabetico):

  • Dario a Marca, Capo vendita per la regione Ticino di Coop, in rappresentanza del settore della grande distribuzione;
  • Alessandra Juri Zanolari, contitolare della Adolfo Juri elettronica industriale SA, in rappresentanza del settore dell’industria elettronica;
  • Giuseppe Perale, professore, ricercatore e imprenditore, presidente della sezione ticinese di SwissMedtech, in rappresentanza del settore Medtech;
  • Piero Poli, CEO della Rivopharm SA e Presidente di Farma Industria Ticino, in rappresentanza del settore farmaceutico.

In seguito, vi sono stati gli interventi del Presidente Cc-Ti, Andrea Gehri, della Vicepresidente Cc-Ti, Cristina Maderni, il saluto al Presidente della Confederazione da parte del Presidente del Consiglio di Stato ticinese, On. Claudio Zali e del Consigliere di Stato Christian Vitta.
Ospite d’onore è stato, come citato, il Presidente della Confederazione Ignazio Cassis, intervistato dal capo edizione del telegiornale e responsabile del settore nazionale della RSI Pietro Bernaschina. L’evento è stato chiuso con la presentazione di un’opera artistica eseguita appositamente durante questa occasione dall’apprezzata artista poliedrica Serena Maisto, nata a Mendrisio e residente a Lugano.
                                                                              

Fra tessuto economico sano, incertezze mondiali e necessità di riforme

Il Presidente Andrea Gehri e la Vicepresidente Cristina Maderni hanno ribadito un’economia ticinese in linea con le tendenze del resto della svizzera da tutti i punti di vista. Le incertezze internazionali legate alla reperibilità e ai costi delle materie prime e alle difficoltà nell’ambito energetico, in particolare, rendono però la vita difficile a moltissime imprese, che si trovano a dover operare nell’insicurezza di costanti di riferimento, con evidenti difficoltà di pianificazione e di investimento.

Per questa ragione, la Cc-Ti sta lavorando da tempo a stretto contatto con le aziende ticinesi produttrici e distributrici di energia e con le Autorità per cercare di trovare soluzioni praticabili, che non creino disparità di trattamento e permettano un piano strategico valido da proporre al mondo economico.

Proprio in quest’ottica il Presidente della Cc-Ti, Andrea Gehri, ha sottolineato l’importanza di un gesto politico concertato da parte di Confederazione, Cantone e Comuni sospendendo almeno temporaneamente l’incasso dei tributi pubblici che rincarano il prezzo dell’energia. Su un tema così complesso, tutti devono essere chiamati a fare la loro parte.

È stata ribadita e sottolineata la necessità di procedere anche a concrete riflessioni in materia di riforme fiscali sul piano cantonale, mettendo in atto quanto già deciso dal popolo e promuovendo modifiche che migliorino la competitività del nostro territorio, soprattutto sul piano della fiscalità delle persone fisiche.

L’intervento presidenziale non ha tralasciato di citare i numerosi servizi che la Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia cantonale, mette a disposizione dei propri associati e l’impegno costante profuso a favore di cittadini e imprese quale mediatore in tutti i temi di attualità d’importanza per il migliore sviluppo auspicato del nostro territorio.

Unità d’intenti per centrare gli obiettivi

Il Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia, Christian Vitta, ha sottolineato la grande incertezza del periodo che stiamo attraversando e i suoi risvolti concreti, in particolare per quanto concerne l’ambito energetico. Il Cantone ha istituito un apparato organizzativo al fine di monitorare costantemente la situazione ed essere pronto a reagire in caso di problemi di approvvigionamento energetico.

Ha inoltre rimarcato l’importanza di rendere il Ticino sempre più attrattivo e competitivo nel contesto nazionale e internazionale. Con questo obiettivo il Cantone continua a lavorare nella direzione di un aggiornamento del quadro fiscale: dopo le importanti riforme fiscali promosse negli scorsi anni sono attualmente in corso degli approfondimenti in vista di una futura riforma della Legge tributaria cantonale.

Il Cantone punta inoltre con determinazione sul tema dell’innovazione, in particolare attraverso la concretizzazione del Parco dell’innovazione ticinese e lo sviluppo dei suoi centri di competenza.

Ha infine ricordato l’importanza dell’unione d’intenti e del gioco di squadra, elementi che si sono rivelati fondamentali nell’affrontare la crisi pandemica e che saranno indispensabili anche per affrontare le sfide future.

In conclusione il Consigliere di Stato ha rivolto i propri ringraziamenti alla Cc-Ti per la costruttiva collaborazione e agli imprenditori che, nonostante le difficoltà del contesto, contribuiscono allo sviluppo economico del nostro Cantone e al mantenimento di posti di lavoro sul nostro territorio.  

Economia e politica internazionale

L’assemblea si è fregiata dell’intervista al Presidente della Confederazione Ignazio Cassis, sollecitato su vari temi di politica internazionale dal capo edizione del telegiornale e responsabile del settore nazionale della RSI Pietro Bernaschina. È stata l’occasione per ribadire la complessità del contesto attuale e gli effetti per l’economia svizzera. Sottolineando però quanto l’economia elvetica, in un contesto di forte interdipendenza fra paesi, continui a giocare un ruolo importante anche a livello internazionale.

“Il futuro è sempre in costruzione”

Da quella frase che rappresenta lo spirito della 105esima Assemblea Generale Ordinaria Cc-Ti, l’artista svizzera Serena Maistro ha rappresentato con in un’opera pittorica, la spinta che immagina essere in ogni imprenditore davanti alle tante sfide: “Non essendo alberi, possiamo muoverci, provare, reinventarci, capire e vedere cosa si può creare di nuovo e cosa possiamo modificare di già esistente. Il cambiamento arriva. Che sia per decisione propria, per necessità o per obbligo, è qualcosa che ci fa evolvere.”


L’evento nei media

Stampa e portali online

L’incertezza è un’ipoteca sulle scelte delle imprese – CdT , 14.10.2022

“Chiediamo di sospendere determinati tributi” –  RSI, 14.10.2022

‘No a sfrenate corse redistributive della ricchezza’  – La Regione, 14.10.2022

105esima AGO della Cc-Ti: malgrado un’economia che si sta dimostrando solida, le preoccupazioni sono date da tutte le incertezze che contraddistinguono il periodo attuale – etcinforma.ch, 14.10.2022

Gehri: “la sensazione è che la politica stia facendo poco” –  Ticinonews, 14.10.2022

Energia, Gehri: “Serve un gesto politico da parte di tutti”. Vitta: “Monitoriamo la situazione” – Libera Tv 15.10.2022

105esima Assemblea Generale Ordinaria della Cc-Ti. Ospite d’onore, Ignazio Cassis – Moneymag.ch, 14.10.202

105° Assemblea CcTi: il Ticino è pronto a reagire alle difficoltà internazionali – La pagina, 17.10.2022

Servizi video

(RSI Il Quotidiano/ Teleticino / Ticinonews)


Discorsi ed interventi

Intervento del Consigliere di Stato Christian Vitta in occasione della 105esima AGO – Repubblica & Cantone Ticino, 17.10.2022


Gallery fotografica

Rivivete i momenti più importanti


Approfondimenti

Leggete quanto emerso nelle precedenti Assemblee:

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Prezzi elettrici

Documenti firmati Cc-Ti

La Cc-Ti si è da tempo coinvolta e attiva sulle tematiche energetiche, ancora prima dell’inizio del conflitto Russia-Ucraina con le sue criticità.

Nel contesto della possibile penuria di gas ed elettricità e del vertiginoso aumento dei prezzi, la Cc-Ti ha chiesto alle Autorità federali che vengano disposte misure urgenti e strutturali di lungo, medio e breve termine. A livello cantonale lavoriamo a stretto contatto con il Consiglio di Stato e le aziende elettriche presenti sul nostro territorio per cercare di unire le forze e lavorare in maniera collaborativa a fronte di un comune periodo storico particolarmente difficile.

In questa pagina troverete (sempre in modo aggiornato) le nostre prese di posizioni o azioni mirate:


Scopri le misure e i comunicati sul tema pubblicati dal Consiglio federale
Energia: il Consiglio federale lancia una campagna di risparmio energetico
Energia: consultazione sulle misure previste in caso di penuria di gas
Info e consigli per le imprese

Illusione o prospettiva?

Settimana lavorativa ridotta a quattro giorni ma con salario invariato, maggiore produttività e tutti felici e contenti. È davvero così? Il tema lanciato in Ticino in occasione del 1° maggio e ripreso con sempre più insistenza dalla parte sindacale anche nelle ultime settimane non è nuovo e la Cc-Ti se ne è già occupata più volte negli scorsi mesi. In Svizzera la discussione ha avuto origine lo scorso anno dopo la pubblicazione di uno studio islandese che magnificava i risultati dell’esperimento della durata di tre anni svolto all’interno dell’amministrazione pubblica. Ecco le riflessioni sul tema del Presidente Cc-Ti Andrea Gehri.

La proposta di ridurre l’orario lavorativo settimanale mantenendo inalterato lo stipendio dei dipendenti è indiscutibilmente una prospettiva allettante basata su buone intenzioni e nobili principi. Nulla da eccepire!

Ma, come spesso accade in situazioni del genere, le buone idee possono rivelarsi spesso non ottimali e illusorie, come ben dicono i francofoni con l’espressione “une fausse bonne idée”. È evidente che il mondo del lavoro ha conosciuto e sta conoscendo profonde trasformazioni, basti pensare allo sviluppo del telelavoro durante il periodo pandemico. Tuttavia, un’attenta analisi della questione della settimana di quattro giorni a salario invariato mette chiaramente in risalto gli aspetti più ostici e l’effettivo costo dell’eventuale provvedimento.

“Risultati sorprendenti” e “successo travolgente” in termini di salute e rendimento, queste le espressioni usate da alcuni ricercatori in merito all’esperimento islandese che ha coinvolto circa 2’500 lavoratori i cui orari d’impiego sono stati ridotti a parità di retribuzione tra il 2015 e il 2019. Esiti positivi, rivisitazione dei modelli esistenti, ecc..

Partiamo da una riflessione che è un fatto. lo studio ha valutato solo il settore pubblico, le cui peculiarità non sono certamente migliori né peggiori dell’economia privata, ma senza dubbio molto, ma molto differenti. Basti solo pensare che il pubblico non è ovviamente confrontato con la logica di mercato e della concorrenza e pertanto il costo del lavoro non rappresenta un criterio di confronto fortemente rilevante.  Quindi poco probante, tanto più, e qui vi è un secondo punto critico, che la struttura economica della repubblica nordica (basata in modo preponderante sulla pesca) difficilmente può fungere da diretto confronto per la Svizzera.

Se è vero che diverse nazioni stanno seguendo la scia di sperimentazioni analoghe, ogni caso va giudicato in maniera individuale. Evitiamo di prendere ad esempio la Francia, che dall’introduzione delle 35 ore settimanali obbligatorie ha dovuto inventarsi artifici legislativi per gestire in modo differente quelle che sono diventate numerose ore supplementari (con costi maggiorati per le aziende e una burocrazia spaventosa). Citiamo la Spagna, che ha adottato il progetto pilota delle 32 ore, ma per incentivare le imprese a parteciparvi lo Stato interviene assumendosi parte dei costi. Non propriamente una idea brillante!

In alcuni Paesi, fra cui anche la Svizzera, la settimana di quattro giorni è stata introdotta da singole aziende o determinate categorie di professioni. Qui sta il punto. Chi può adottare nuovi modelli di lavoro creativi lo fa senza esitare. È il caso di un ufficio di progettazione di software svizzero, sempre citato quale esempio, ma che per la natura della sua attività e del suo prodotto può permettersi una settimana di quattro giorni senza riduzione di salario. Anche perché i margini di guadagno e il valore aggiunto generato lo permettono, aspetti questi non scontati per altri settori economici.

Ipotizzare quindi un obbligo generalizzato è semplicemente fuori dalla realtà economica. Ognuno deve avere la facoltà di decidere, tenendo conto della realtà in cui opera. Le molte considerazioni su benessere, produttività e competizione con datori di lavoro più attrattivi ecc., vanno lasciate alle singole imprese o eventualmente alle categorie. Un diktat statale non avrebbe alcun senso e illuderebbe i lavoratori a pensare che lavorando meno si guadagna di più. Tutt’altro, lavorando meno si spenderebbe di più, senza peraltro averne le necessarie risorse o maggiorate.

Questo non significa assolutamente sminuire l’importanza del fattore salute e benessere sul posto di lavoro. Anzi! È sempre più un fattore di competitività e pragmatismo.

Ma la questione è ben più complessa e delicata di quanto alcuni abbiano interesse a dipingerla e il rovescio della medaglia poco positivo. In sostanza, misure generalizzate non sono applicabili a tutte le realtà professionali e il rischio poi che si vada incontro ad una riduzione dei giorni lavorativi ma non delle ore settimanali complessive è altrettanto elevato. Il già citato esempio francese è illuminante, visto che il cospicuo numero di straordinari rendono di fatto le 35 ore d’impiego una mera clausola formale, senza peraltro aver generato il benessere auspicato. Inoltre, la maggiore flessibilità cercata oggi da molte persone non è necessariamente legata ad uno schema fisso come quello offerto dalla settimana lavorativa ristretta. Senza dimenticare che il mantenimento intatto della rimunerazione a fronte di un tempo d’impiego ridotto porta inevitabilmente all’insorgere di un problema di costo del lavoro e al bisogno di assumere personale aggiuntivo, fattore non banale data l’attuale e ormai cronica carenza di manodopera qualificata.

Non dobbiamo poi dimenticare le origini del benessere costruito in Svizzera nel corso dei decenni, bene che tutti ci riconoscono e che molti Stati prendono come esempio. Il successo del modello svizzero è senza dubbio costituito da principi sacrosanti quali, passione nel lavoro, attitudine al sacrificio, serietà e dedizione. Vogliamo veramente metter in dubbio principi che hanno favorito il benessere generale di cui la nostra società beneficia?

Grazie alla proverbiale attitudine positiva al lavoro e alla capacità di creare valore aggiunto della sua economia, la Svizzera non teme confronti al mondo e assicura una ridistribuzione della ricchezza equilibrata e capillare a sostegno delle fasce della popolazione meno fortunate.

È quindi fondamentale lasciare ad ogni azienda la libertà di scelta in base alle proprie esigenze e disponibilità piuttosto che imporre indistintamente un rigido piano che non tiene conto minimamente delle situazioni individuali e per il quale pagheremmo tutti conseguenze importanti, al momento non quantificabili.

L’illusione della settimana lavorativa di 4 giorni con il miraggio di una maggiore produttività, migliore qualità di vita e benessere psicologico si scontra inevitabilmente con la realtà dei fatti.

Il costo del lavoro aumenterebbe sostanzialmente attraverso l’assunzione di maggior personale (ammesso che lo si trovi) e l’azienda si troverebbe inevitabilmente confrontata con costi di produzione che, in un mercato come il nostro, rischierebbe di penalizzarla fatalmente.

Se le aziende non integrassero nuovo personale, perché non ne hanno le risorse, il rischio consisterebbe nella riduzione delle attività e servizi offerti, che applicando un nuovo ritmo di lavoro si tradurrebbe in un maggiore carico di lavoro per i dipendenti, favorendo l’insorgere di ansia, stress e rischio di burnout. L’esatto contrario di quanto atteso.

Dulcis in fundo …. Il mondo d’oggi, non solo per le aziende che affrontano un mercato globale, richiede, flessibilità disponibilità e reperibilità continua, indipendentemente dall’orario. L’aspettativa del cliente si scontra innegabilmente con una settimana lavorativa ridotta, soprattutto quando viene richiesta l’interazione con un unico referente. Lavorare meno e guadagnare di più è quindi una pia illusione!

Votazioni federali del 25 settembre 2022: raccomandazioni di voto della Cc-Ti

Ecco la nostra presa di posizione

NO all’iniziativa sull’allevamento intensivo

Iniziativa sull’allevamento intensivo
L’iniziativa sull’allevamento intensivo ha come obiettivo di tutelare la dignità dell’animale nel settore della custodia degli animali a fini agricoli e vietare l’allevamento intensivo. Il Consiglio federale e il Parlamento respingono l’iniziativa, poiché l’attuale legislazione sulla protezione degli animali già vieta l’allevamento intensivo e protegge il benessere individuale degli animali, indipendentemente dal numero di animali. Un risultato positivo all’iniziativa avrebbe come conseguenza di indebolire la competitività dell’agricoltura Svizzera. Aumento dei costi legati agli ampliamenti delle strutture, condizioni di produzione restrittive con conseguente riduzione dell’offerta di prodotti svizzeri e locali causerebbero un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari agricoli di origine animale (latte, uova e carne) in Svizzera, incoraggiando così anche il turismo degli acquisti. La conseguenza sarà così una diminuzione dell’offerta interna e per contro un aumento delle importazioni rese però complicate da standard più restrittivi.


Sì alla Stabilizzazione AVS (AVS 21)

Finanziamento supplementare dell’AVS mediante l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) e modifica della Legge federale sull’assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti
Il Parlamento ha adottato la riforma AVS 21 il 17 dicembre 2021. Lo scopo è quello di garantire l’equilibrio finanziario dell’AVS, nonché di mantenere il livello delle prestazioni dell’AVS. La popolazione svizzera si pronuncerà, da un lato, sull’aumento dell’IVA (decreto federale), sottoposto al referendum obbligatorio e, dall’altro, sul progetto di nuova legge sull’AVS, contro il quale un referendum aveva avuto esito. L’aumento dell’aspettativa di vita ha fatto sì che le persone vivono più a lungo e in buona salute per più tempo. L’invecchiamento della popolazione sta avendo come conseguenza un peggioramento delle finanze AVS.
Il numero di persone in età pensionabile è maggiore rispetto al numero di persone che inizia a lavorare. Continuando così, in futuro, l’AVS dovrà far conto a un numero maggiore di uscite rispetto alle entrate.
La riforma AVS 21 può quindi essere il primo passo verso la sicurezza finanziaria dell’AVS.
Ecco una panoramica delle principali misure della riforma:


• Introduce l’età di pensionamento unica di 65 anni per uomini e donne. L’età di pensionamento delle donne viene portato da 64 a 65 in modo graduale. Le donne nate tra il 1961 e il 1969 potranno andare in pensione anticipata a condizioni favorevoli. Se invece andranno a 65 anni riceveranno un supplemento sulla rendita AVS.
• Maggiore flessibilità. Con la riforma AVS 21 si avrà la possibilità di percepire la rendita di vecchiaia tra i 63 e i 70 anni nell’AVS e nella previdenza professionale obbligatoria (per uomini e donne). Passaggio progressivo dalla vita lavorativa alla pensione grazie alla possibilità di anticipare o aggiornare una parte della rendita.
• Incitazione a continuare l’attività lucrativa oltre i 65 anni. A determinate condizioni chi continua a lavorare oltre i 65 anni potrà colmare eventuali lacune e migliorare di conseguenza la propria rendita.
• L’IVA sarà aumentata per generare entrate a favore dell’AVS. L’aliquota ridotta passerà dal 2.5 al 2.6 per cento, mentre quella normale dal 7.7 al 8.1 per cento.

La Cc-Ti sostiene dunque il progetto AVS 21. Dice si all’aumento dell’IVA e sì alla legge sull’AVS.


Sì alla riforma sull’Imposta preventiva

Il prossimo 25 settembre ci esprimeremo sulla riforma dell’imposta preventiva. La riforma è stata voluta dal Consiglio federale dopo aver riconosciuto lo svantaggio che questa rappresenta per il nostro Paese. L’obiettivo della riforma è di mantenere la Svizzera competitiva e rafforzare la propria attrattività come piazza economica. La riforma mira principalmente a eliminare l’imposta preventiva sulle nuove obbligazioni. In molti paesi questa imposta non esiste o le aliquote fiscali sono più basse, rendendo così le obbligazioni svizzere poco interessanti. Il mercato dei capitali terzi in Svizzera è poco sviluppato e di conseguenza la creazione di valore e di posti di lavoro nel settore finanziario avvengono all’estero. Ma, soprattutto, l’imposta preventiva rappresenta un freno evidente alle possibilità di finanziamento delle aziende in Svizzera. L’abolizione dell’imposta preventiva è attesa da tempo e porterebbe numerosi vantaggi al nostro paese.
In primo luogo, la riforma riporterebbe in Svizzera le aziende che svolgono attività finanziarie con obbligazioni all’estero. Questo rilancerebbe il mercato dei capitali elvetico aprendo nuove opportunità anche per le PMI. Attualmente è chiaro che questa tassa sfavorisce le imprese svizzere. Per le aziende, infatti, il finanziamento è più costoso e le pone in una posizione svantaggiosa rispetto alla concorrenza estera. L’abolizione di questa tassa renderebbe possibile una maggiore vendita delle obbligazioni svizzere e permetterebbe alle aziende svizzere di reperire anche capitali e fondi stranieri così da aumentare la propria competitività e guadagnare nuova visibilità sui mercati.
Senza l’imposta preventiva, per le aziende sarebbe più attrattivo e più facile vendere le obbligazioni, per cui a medio termine aumenterebbero le entrate fiscali. La riforma porterebbe infatti un gettito fiscale aggiuntivo di 350 milioni di franchi all‘anno entro cinque anni, importo che aumenterebbe, entro dieci anni, fino a 490 milioni di franchi all‘anno. Le maggiori entrate andrebbero a beneficio di tutte le cittadine e i cittadini. Rimpatriare aziende, significa anche creare nuovi posti di lavoro e valore in Svizzera. Infine, grazie alla riforma dell’imposta preventiva, lo Stato, i Cantoni, i Comuni, il servizio pubblico come ospedali, società di trasporto e settori come quello energetico e della sostenibilità, risparmierebbero quando devono finanziarsi. Questo va a vantaggio di tutta la popolazione e quindi del nostro benessere.


Link utili
Le spiegazioni del Consiglio federale sugli oggetti in votazione

Inchiesta congiunturale autunno 2022

L’inchiesta congiunturale condotta in collaborazione con le Camere di commercio e dell’industria della Svizzera romanda è giunta alla sua 13esima edizione. È possibile compilare il tutto online su www.enquetecci.ch. Termine: 17.10.2022.

In qualità di Associazione mantello dell’economia cantonale ticinese contiamo ormai da 13 anni sulla preziosa collaborazione delle aziende affiliate per raccogliere dati essenziali sullo stato di salute dell’economia ticinese. Ogni anno, quanto raccolto, viene sistematicamente confermato dai dati ufficiali, a conferma dell’affidabilità dei nostri rilevamenti e delle vostre risposte.

Affidabilità e serietà ampiamente riconosciute dalle Autorità federali e cantonali, per cui lo strumento dell’inchiesta congiunturale è più che mai importante per la Cc-Ti a tutela degli interessi degli associati.

Oltre alle usuali domande generali riguardanti l’attività aziendale, l’inchiesta quest’anno comprende un capitolo specifico dedicato alla questione dell’approvvigionamento in senso lato (energia, costi, reperibilità delle materie prime, ecc.). Temi complessi, legati fra loro e dipendenti da dinamiche poco controllabili, eterogenee e internazionali.

Il Consiglio federale ha comunicato che sta valutando la situazione con attenzione, ma apparentemente sta lavorando soprattutto su scenari che andrebbero a colpire principalmente le aziende, obbligandole a una riduzione dell’attività produttiva.

È pertanto fondamentale che emergano in modo chiaro e massiccio le difficoltà per le imprese sul delicato tema dell’energia in particolare, anche per evitare scenari che contrappongano artificialmente l’economia a cittadine e cittadini. Tutti saremo probabilmente chiamati a fare sacrifici, vanno quindi fronteggiati interventi eccessivamente penalizzanti e puntuali per le attività economiche.

I risultati dell’inchiesta saranno presentati ufficialmente e poi pubblicati sui nostri usuali canali di comunicazione (Ticino Business, newsletter, sito internet www.cc-ti.ch, Facebook, Instagram, Twitter e YouTube) in forma anonima.


Istruzioni per la compilazione ai soci Cc-Ti:

L’inchiesta deve essere compilata e rispedita entro il 17 ottobre 2022, attraverso una delle seguenti modalità a vostra scelta:

La volontà è la forza motrice

La recente comunicazione della Commissione federale dell’energia elettrica (ElCom), secondo cui dobbiamo prepararci a un’eventuale penuria di corrente, non fa che confermare quanto la situazione in campo energetico sia delicata.

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Conflitto russo-ucraino, interruzione dell’erogazione di gas, siccità costituiscono un mix ad alto rischio. La valutazione dell’El-Com è ovviamente inquietante benché non sorprendente e mette chiaramente in chiaro quanto gli equilibri nel campo dell’energia siano delicati e legati a dinamiche eternogenee, fra le quali, non di meno, quelle internazionali. Da una parte vi è l’interdipendenza di una moltitudine di fattori interni (come il livello dei laghi artificiali e la manutenzione delle centrali nucleari), dall’altra parte la dipendenza da quanto avviene sullo scenario internazionale (non solo il gas, ma anche le centrali nucleari francesi ad esempio). Il fattore geopolitico in mutamento sia continuo che preoccupante, esige una politica pronta alla flessibilità e mutazione in tempi brevi e volta a coniugare le legittime pluralità ed esigenze delle posizioni sociali.
Il Consiglio federale ha comunicato che sta valutando, con attenzione, la situazione e che darà indicazioni più precise entro fine agosto. Bene, prendiamo atto fiduciosi, anche se le prime, provvisorie indicazioni non ci permettono di esserlo pienamente, visto che apparentemente si lavora soprattutto su scenari che andrebbero a colpire principalmente e in primo luogo, le aziende, obbligandole a una riduzione dell’indice produttivo, limitandone significativamente le attività. Non è pragmaticamente corretto pensare di poter scindere, nuovamente, l’economia dai cittadini. In più occasioni abbiamo sottolineato come alcune risoluzioni settoriali, mettano a grave rischio la serenità delle persone che, proprio da queste attività dipendono. Ci siamo messi alle spalle l’effetto “domino” delle chiusure in pandemia? Per memoria storica, non più di un anno fa, abbiamo potuto, purtroppo, constatare il costo umano e finanziario di scelte di parte.

Quali insegnamenti?

L’illusione di una scelta di transizione energetica unilaterale, tra eolica e solare, sta tramontando. Si tratta di vettori indubbiamente strategici per il futuro e da promuovere con decisione, ma oggi non ancora sufficienti per sostituire completamente i combustibili fossili. E saranno comunque necessari investimenti di proporzioni enormi e tempi di realizzazione lunghi per arrivare a un “Green Deal” energetico. Magari alleggerendo un po’ anche le procedure che oggi impongono tempi eccessivamente lunghi per alzare le dighe (procedura di per sé già impegnativa anche dal punto di vista logistico), o per prevedere pale eoliche o coperture fotovoltaiche massicce in talune valli. È indicativo che l’Unione europea, quasi per magia e ammettendo di fatto la difficoltà della transizione energetica, qualche settimana fa abbia improvvisamente stabilito prodotta con il gas
sono “verdi ”. Forse meglio delle centrali che l’energia nucleare e quella a carbone che Francia e Germania si trovano costrette, frettolosamente, a dover riattivare…

Le dipendenze sono sempre tortuose

Si fa presto a dire che occorre ridurre la dipendenza dall’energia fossile. Si dimentica però spesso che le implicazioni sono molteplici. Il primo ragionamento di utilizzo va a quello pratico quotidiano che tutti conosciamo e utilizziamo. Ma i materiali sono le fondamenta di molteplici altri funzionamenti che, senza accorgerci, utilizziamo con disinvoltura e senza troppe riflessioni sulle loro componenti base. Ad esempio, rinunciare al petrolio come fonte energetica è un’operazione delicata e per niente scontata, perché dal greggio non si ricavano soltanto benzina, gasolio e olio combustibile, che a tutt’oggi muovono i trasporti privati e pubblici e riscaldano gran parte degli edifici privati e pubblici in tutto il mondo. Esso serve anche per produrre oli lubrificanti, paraffina, asfalto, catrame e i polimeri, ossia la maggior parte delle materie plastiche indispensabili, ad esempio, nell’edilizia, nell’industria e nella distribuzione commerciale. Quali alternative? Ricerca e innovazione su materiali alternativi, ma anche questo non si realizza da un giorno all’altro, ma richiedono anni di ricerche che richiedono investimenti corposi. La garanzia di un risultato sostenibile e pratico non è sempre scontata e così, bisogna continuare o, a volte, ricominciare. La fretta non è compresa certamente in questi percorsi e neanche la copertura infinita finanziaria, che spesso, nel frattempo deve invece coprire altre esigenze sociali prevalenti.

La realtà è il punto di partenza

La dipendenza energetica o dalle materie prime in generale sembra a volta un argomento un po’ astratto concernente, in prevalenza, i massimi sistemi. Con una facile riflessione è però facile comprendere come in realtà vi siano risvolti concreti sulla vita quotidiana di tutti. Prendiamo il caso del caro a tutti, telefono cellulare.

Sciences Avenir – «Les éléments chimiques qui composent nos smartphones»

Come si può vedere nell’immagine, un IPhone è composto da circa una quarantina di elementi, fra metalli rari, semimetalli e altri. Dai più conosciuti come il cobalto, il litio, l’alluminio, il rame, il piombo e il fosforo, ad altri dai nomi più esotici (almeno per i profani) come il gallio, l’indio e il gadolinio. Materie estratte nei paesi più disparati, anche se, in media il 54% della produzione mondiale è in mano cinese. Per alcune materie si raggiunge anche l’80%. La dipendenza delle importazioni europee da fornitori come la Cina o il
Congo varia da un 30% per il cobalto al 100% per il magnesio. Già abbiamo sottolineato più volte come la Cina controlli anche oltre il 90% del mercato globale dei pannelli fotovoltaici. Analogo discorso vale pure per la tanto decantata svolta elettrica del parco dei veicoli.
Anche in questo ambito, ca. il 90% della produzione mondiale di terre rare, leggere e pesanti, indispensabili per tali mezzi di trasporto, è di origine cinese. Cerio, lantanio, zirconio, neodimio, europio, ittrio, disprosio, praseodimio, terbio, tutti metalli che confluiscono nella produzione di un’automobile elettrica o ibrida, il doppio di una vettura a benzina. In particolare, per le batterie dei veicoli elettrici, è essenziale il cobalto, soprattutto per gli accumulatori di nuova generazione, prodotto anch’esso, nella misura del 71%, da Cina e Congo. Alternative dal Canada e dall’Australia sono insufficienti. Così come non è trascurabile il fatto che la Russia sia anche un Paese leader nelle forniture di palladio e rodio indispensabili nell’industria automobilistica. Senza dimenticare che la produzione di semiconduttori dipendeva in buona parte anche dal gas neon che arrivava da Mariupol e Odessa. Interi popoli in grave emergenza da dipendenze vitali e che sottolineano come solo un pensiero evolutivo sociale, nella sua interezza e che non dimentichi le interdipendenze sul campo, possa fare fronte alle sfide mondiali. Una Russia che insieme all’Ucraina assicurava il 28% del grano, il 29% dell’orzo, il 15% del mais e il 75% dell’olio di girasole che si consumano a livello mondiale ha inevitabilmente e pericolosamente sconvolto l’agenda delle priorità e messo in evidenza la fragilità dei sistemi. Cambiare le tendenze non può funzionare in tempi brevi. Non siamo pronti. Non abbiamo pensato, per molto tempo, di doverci preparare in tempi brevi. Va preso atto di questa ovvietà per costruire una politica seria in ambito energetico e di approvvigionamento generale. Soluzioni ve ne sarebbero in teoria, visto che ad esempio la zona dell’Extremadura in Spagna è ricca di litio e di cobalto, ma la popolazione si oppone all’estrazione. Scelta legittima, come sono legittime le proteste in Finlandia contro le già esistenti miniere di estrazione del cobalto, per l’impatto ecologico. Ma, come sempre, si tratta di scelte e priorità. In tutti gli ambiti se non si è disposti a determinati sacrifici occorre in qualche modo pagarne
il prezzo. Il costo è alto per tutti, nessuno escluso. Ma poi le lamentele non sono più accettabili o legittime. È importante scegliere, nell’emergenza, una direzione, senza tuttavia dimenticare le altre. Le scelte difficili sono i passi che devono guardare al passato e al futuro per affrontare il presente.

Nessuna soluzione?

In sostanza, un mondo molto complesso, interconnesso su tantissimi livelli diversi fra loro, che rende difficili le decisioni, smentendo puntualmente chi “la fa facile”, promettendo soluzioni rapide, indolori, ideali per tutti. La realtà è molto diversa. Corretto cercare di ridurre le dipendenze, illusorio pensare di eliminarle, sbagliato vendere ipotetiche soluzioni nuove con faciloneria. In realtà tutti siamo chiamati a fare sacrifici e sarebbe sbagliato e pericoloso limitarsi interrompendo o limitando determinate attività aziendali, considerate troppo energivore. Sarebbe un messaggio doppiamente sbagliato, economicamente e socialmente. All’interno di un equilibrio fortemente delicato, sottovalutare o colpire un solo tassello innescherebbe quell’effetto a domino che avremmo già dovuto apprendere durante la fase più dura della pandemia e non dimenticato da molti imprenditori che, ancora oggi, stanno lottando per riattivare e sostenere le proprie attività, collaboratori compresi. Dal punto di vista economico perché minaccerebbe molti posti di lavoro e porrebbe limiti ulteriori a determinati approvvigionamenti, rendendo di conseguenza le dipendenze l’unica via di uscita. È proprio la tendenza che stiamo faticosamente cercando di contrastare. Dal punto di vista sociale perché si proporrebbe nuovamente una spaccatura fra economia e cittadine e cittadini, quando in realtà l’economia siamo tutti noi, nessuno escluso. Le intenzioni interconnesse per una soluzione ottimale deve comprendere tutte le parti sociali. È illusorio pensare, o anche solo immaginare, che una sola parte della nostra società possa, da sola, risolvere le difficoltà di una collettività.

Sottolineando che i sacrifici li deve fare sempre e solo qualcun altro, non risolve alcun problema e rischia di aprire nuovamente una diatriba che speravamo fosse stata accantonata e compresa molto bene. È chiaro che si possano e debbano prevedere dei sacrifici commisurati ai diversi contesti, ma il messaggio deve prevalere sul populismo: tutti devono essere chiamati a contribuire al superamento delle difficoltà che coinvolgono il Paese. È questo l’atteggiamento che diventa vincente in ogni presente e futuro contesto. Creando e spiegando una coerenza e responsabilità sociale nella sua interezza è certamente una forza sulla quale potremo contare anche nelle sfide future. La coesione delle parti, il rispetto reciproco e lo stesso intento rappresentano la differenza.

Chiusura uffici Cc-Ti al pubblico: 4 e 5 luglio 2022

Informazioni specifiche per le aziende sull’operatività dei nostri servizi

Gli uffici della Cc-Ti resteranno chiusi al pubblico i prossimi 4 e 5 luglio 2022. Siamo raggiungibili attraverso i contatti diretti.

Il Servizio delle legalizzazioni, in particolare, opererà come segue:

Per rispondere alle esigenze di associati e aziende che richiedono il rilascio cartaceo dei documenti sopra menzionati, lo sportello estenderà gli orari di apertura nei giorni che precedono rispettivamente seguono la chiusura della Cc-Ti:

  • venerdì 1° luglio 2022, dalle 08:00 alle 12:00 e dalle 13:30 alle 17:30
  • mercoledì 6 luglio 2022, dalle 08:00 alle 12:00 e dalle 13:30 alle 17:30

Potete trovare, nella pagina del nostro sito web, i nostri contatti diretti.

L’esito dei primi controlli eseguiti mette in evidenza un sostanziale rispetto della legge sul salario minimo

L’Ufficio dell’ispettorato del lavoro ha svolto accertamenti in oltre 1’600 aziende attive in tutti i settori dell’economia ticinese. Solo in rari casi (3%) è stata riscontrata un’infrazione.

Dall’entrata in vigore della legge sul salario minimo (LSM) ad inizio 2021, i servizi della Divisione dell’economia hanno svolto un intenso e capillare lavoro di formazione e informazione in collaborazione con la Camera di commercio e le principali associazioni di categoria con lo scopo di facilitare le aziende nell’applicazione della nuova legge.

In vista dell’applicazione concreta del salario minimo a partire da dicembre 2021, nel corso dell’autunno dello scorso anno la Commissione tripartita in materia di libera circolazione delle persone (CT) ha quindi elaborato e approvato una nuova strategia di controllo del mercato del lavoro con lo scopo di verificare il rispetto della LSM e nel contempo constatare l’eventuale presenza di dumping salariale settoriale e accertare il rispetto dei Contratti normali di lavoro (CNL).

I controlli vengono svolti a campione in tutti i settori economici. In alcuni comparti, ritenuti più sensibili o che presentavano un numero statisticamente elevato di salari bassi, la quota di datori di lavoro verificati è più importante. Un ruolo fondamentale nella strategia di controllo è giocato anche dalle segnalazioni, alle quali viene puntualmente dato seguito. Il mancato rispetto della LSM è perlopiù da ricondurre a errori di calcolo. La quasi totalità dei datori di lavoro ha reintegrato la differenza dovuta.

Solo in 7 casi la sanzione supera i 2’000 franchi (la multa è calcolata in base alla differenza tra il salario dovuto secondo la LSM e il salario effettivamente versato). Sulle circa 50 infrazioni riscontrate, più di 30 riguardano datori di lavoro oggetto di segnalazioni puntuali.

È possibile segnalare una presunta violazione della LSM alla pagina internet: www.ti.ch/abusi-salariali.

Energia e Demagogia

Una società, molte fonti di approvvigionamento

Costi più alti e difficoltà nell’approvvigionamento. L’allarme lanciato qualche settimana fa da ElCom, la Commissione federale dell’energia elettrica, non lascia spazio a dubbi. La guerra russo-ucraina ha destabilizzato ulteriormente il mercato dell’energia, spingendo al rialzo il prezzo mondiale del petrolio e del gas. Un clima di pesante incertezza ha smorzato l’ottimismo nella tanto sperata ripresa economica nell’Europa del dopo pandemia.

Nel giro di pochi mesi si è passati dai proclami solenni contro i combustibili fossili alla corsa per il loro accaparramento, alimentandone l’escalation dei costi.

Per sostituire le forniture russe di gas e petrolio ci si deve rivolgere ad altri Stati retti, purtroppo, da governi instabili o da autocrati che non danno grandi garanzie di affidabilità sul medio e lungo termine. Una ricerca volutamente miope di nuove pericolose dipendenze, le cui possibili conseguenze si potranno valutare nella loro interezza solo in futuro.

Nonostante l’inevitabile “fame planetaria” di combustibili fossili, e l’emergenza che ne deriva, non sembra concedere tregua la “verde” corsa simultanea. Nel pieno della tempesta energetica l’Europarlamento ha deciso di porre fine alla vendita di auto a benzina e diesel nel 2035. I Verdi svizzeri, per non essere da meno, hanno annunciato un’iniziativa per mettere al bando i motori termici addirittura nel 2025. Un iper-attivismo ecologista che potrebbe avere effetti devastanti per l’economia e la società.

Eppure, l’attuale crisi energetica globale mostra chiaramente che il problema della transizione green, condiviso e condivisibile sul principio, dovrebbe venire affrontato con molto più pragmatismo.

Una scelta avventata

La decisione dell’Europarlamento deve ancora passare all’esame del Consiglio europeo e al vaglio degli Stati membri, e vogliamo pensare prevalga il buon senso. I costi di una scelta avventata si scaricheranno inevitabilmente sui ceti medi, sulle fasce a basso reddito e sulle imprese.

Persone e imprese che hanno adottato ormai da tempo, per quanto nelle proprie possibilità, priorità di sostenibilità non di poco conto. L’accusa d’indifferenza, spesso, non ascolta il grido d’emergenza.

Tra industria dell’automobile e indotto, ci sono in gioco, in tutta Europa, Svizzera compresa, centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ma non solo. Oggi il 70% delle batterie necessarie alle auto elettriche arrivano dall’Asia. Da sola la Cina copre il 45% del mercato, mentre nel Vecchio Continente la produzione di questi accumulatori sta muovendo ora i primi passi, vista anche la forte dipendenza dall’estero per le relative materie necessarie. Pertanto, ancora per molto tempo non ci sarà una sufficiente autonomia strategica.

La rincorsa ossessiva all’elettrificazione automobilistica sembra non riconoscere il fatto che non è possibile sostituire dall’oggi al domani i combustibili fossili. Che anche accelerando all’inverosimile con le fonti rinnovabili, queste da sole non saranno in grado di produrre una quantità tale di elettricità in grado di muovere i trasporti, pubblici e privati, e di riscaldare tutti gli edifici, di fare fronte alle crescenti e, spesso legittime, richieste della nostra società. Inoltre, per lo stoccaggio di questa energia servirà un mastodontico, e costosissimo, piano di infrastrutture che non si può realizzare nel giro di pochi anni.

Realismo e fattibilità

Uno sguardo attento e lungimirante deve indirizzarsi verso le fonti rinnovabili e il loro sviluppo. Questo è innegabile e non a caso, stiamo spingendo intensamente e unitamente al Dipartimento cantonale del territorio, la diffusione di impianti fotovoltaici per le imprese che dispongono di grandi superfici su tetti e facciate.

Infatti, il mondo delle imprese per primo è convinto della necessità della tutela dell’ambiente. Non per nulla l’industria svizzera già nel 2020 ha ridotto le sue emissioni del 15%, rispetto al 1990, raggiungendo gli obiettivi climatici stabiliti. Negli altri settori si sono progressivamente implementate con successo misure per migliorare l’efficienza energetica e ridurre l’impatto delle attività produttive. C’è la consapevolezza che la crescita futura non può dipendere così fortemente dai combustibili fossili, che è necessario puntare su vettori alternativi.

Il passaggio all’energia verde non può però prescindere da un’analisi oggettiva e da un confronto serio, senza distorsioni ideologiche, su fattibilità, costi, efficienza, tempi ed effetti economico-sociali di una transizione che è molto più problematica di quanto non lasci intendere.

Diversificazione e complementarità

Il febbraio scorso uno studio del Laboratorio federale EMPA e dell’EPFL, il Politecnico federale di Losanna, ha dimostrato che è irrealistico pensare di coprire il fabbisogno energetico della Svizzera ricorrendo alle sole fonti rinnovabili. Smentendo, di fatto, anche la strategia del Consiglio federale che vorrebbe raggiungere per questa via la neutralità climatica entro la metà secolo.

Lo studio ha preso in considerazione tre scenari basati sul fotovoltaico (perché meno discontinuo dell’eolico) e sull’ipotesi della sostituzione del nucleare con la chiusura delle 4 centrali nucleari attualmente in funzione entro il 2050: totale elettrificazione del sistema energetico, dalla mobilità al riscaldamento degli edifici, uso dell’idrogeno e carburanti sintetici.

In tutte le tre varianti sarebbero necessarie una spropositata superficie solare pro capite, da 3 sino a 12 volte l’estensione dei tetti disponibili in Svizzera, e adeguate batterie di accumulo giorno-notte che, a dipendenza dello scenario, vanno da 26 kWh sino a 109 kWh a persona.

Nella variante dell’elettrificazione totale servirebbero per lo stoccaggio, estate-inverno, delle grandi centrali di pompaggio, l’equivalente cioè di tredici bacini dalle dimensioni della Grande Dixence nel Vallese, che con i suoi 285 metri è la diga più alta d’Europa. Non disponiamo di valli capaci di ospitare simili infrastrutture.

Per immagazzinare l’idrogeno si dovrebbero invece impiegare caverne pari a 25 volte il tunnel di base del San Gottardo.

Infine, per rifornire tutto il Paese con i carburanti sintetici da elettricità verde (che andrebbero comunque generosamente sussidiati perché costerebbero molto di più di quelli a combustione), il 4,5% della Svizzera dovrebbe essere ricoperto di cellule solari. Supportate con batterie di accumulo da 109 kWh pro capite. I costi energetici annui triplicherebbero: dagli attuali 3’000 a 9’600 franchi a persona.

In definitiva lo studio EMPA-EPFL è la dimostrazione scientifica che una strategia energetica vincente deve basarsi sulla diversificazione e la complementarità delle diverse fonti, nucleare compreso, solo così si riusciranno a raggiungere un buon livello di autonomia energetica, di sicurezza nell’approvvigionamento e un prezzo sostenibile.

E senza dimenticare che in futuro non si potrà fare a meno di una logistica energetica globale, per sfruttare le enormi potenzialità del fotovoltaico laddove la radiazione solare è così elevata da ridurre drasticamente i costi di produzione sia per l’idrogeno che per i combustibili sintetici.

Stando ai calcoli di ElCom, nel 2023 le aziende con un consumo annuo di 150mila chilowattora pagheranno 6’000 franchi in più (IVA esclusa); per una famiglia con un consumo medio di 4’500 chilowattora l’aumento sarà di circa 180 franchi all’anno. Secondo altri analisti, i rincari potrebbero essere molto più consistenti. Nuovi costi e sacrifici per famiglie e imprese.

Che sarà un “inverno da brivido”, sia per gli aumenti delle tariffe sia per la paura di non avere sufficiente energia per tutti, lo ha confermato la recente assemblea dell’Azienda elettrica ticinese. In Svizzera le riserve idriche, a causa della siccità, sono ai minimi storici, con volumi del 30% inferiori rispetto alla media pluriennale. L’Europa si ritrova invece ai livelli minimi con le riserve di gas. Insomma, per il nostro Paese che da 20 anni importa energia durante l’inverno, potrebbe diventare anche problematico un apporto dall’estero. Con le forniture russe che si ridurranno progressivamente e una costante crescita del fabbisogno energetico, gli Stati vicini non potranno garantire la condivisione delle risorse.

Come ha ricordato Giovanni Leonardi, Presidente di AET, abbiamo a che fare con un sistema elettrico che ha più di un secolo, ma dovremmo trasformarlo radicalmente nel giro di appena 25 anni per raggiungere la neutralità climatica nel 2050. Più che una transizione ecologica, che implica un processo graduale, ben ponderato e con esiti equi per tutti, si sta imponendo un cambio di paradigma troppo veloce e radicale per non creare pericolosi scompensi.

Purtroppo, la classe politica non pare ponderare con la necessaria cautela le conseguenze che la crisi energetica e i forti rincari avranno certamente per le famiglie e le imprese in termini di costi vivi e d’incertezza. Un “domino” di grande malessere.

È ormai più che un fondato timore, che gli effetti più gravi della guerra in Ucraina si debbano ancora manifestare nella loro complessità, che si stia sottovalutando, come è stato per l’inflazione, l’impatto di un conflitto che sta già ripensando i precedenti assetti geopolitici.

Con pesanti ripercussioni sui sistemi economici dei Paesi europei, che erano già in difficoltà per l’aumento delle materie prime e le strozzature nelle catene internazionali degli approvvigionamenti.

Un confronto deve essere serio

Non possiamo permetterci di escludere a priori una fonte d’energia che ha comunque un ruolo importante, cioè il nucleare.

Sarebbe oltremodo rischioso spegnere le nostre centrali nucleari entro il 2035, come si vorrebbe da più parti. Anche investendo massicciamente nelle energie rinnovabili non si riuscirebbe a compensare un ammanco di 22 miliardi di chilowattora di elettricità all’anno. Senza dimenticare l’opzione futura del nucleare di nuova generazione.

Una fonte complementare costante e affidabile, che è stata riconosciuta nella tassonomia verde dalla Commissione europea come una tecnologia pulita per la fase di transizione ecologica.

Svizzera e Germania sono stati gli unici Paesi a rinunciare al nucleare a cui invece si ricorre intensamente in molti altri Stati che stanno anche potenziando i loro impianti. Attualmente in tutto il mondo sono in attività 441 centrali nucleari, altre 171 sono in fase di costruzione o di progettazione, di cui una quarantina in Cina, 17 in Russia e 20 in India. Negli Usa, oltre a prolungare di una ventina d’anni l’esercizio degli attuali reattori, si sta investendo nel nucleare di quarta generazione. In Francia, che conta già 56 centrali nucleari, ne verranno realizzate altre 14, puntando soprattutto sugli “small modular reactors”, i mini reattori atomici più sicuri, meno costosi e realizzabili in tempi brevi.

Oltre che in Gran Bretagna e in Finlandia, persino nel Giappone di Fukushima si costruiscono nuove centrali, mentre da noi, proprio a seguito di quell’incidente vige il divieto di realizzarne di nuove. Ma distanza di 11 anni da quella tragedia, e tenuto conto dei grandi progressi tecnologici registrati nel frattempo in questo settore, sarebbe ragionevole rivedere la discussione sui rischi reali e sulle opportunità che offre oggi il nucleare. Come vettore complementare per un’energia pulita, sicura, potenzialmente inesauribile e a prezzo sostenibile. Per conciliare la difficoltà energetica del pianeta e la sostenibilità, sono del resto allo studio alternative sostenibili per lo sfruttamento veicolato delle “vecchie” fonti energetiche. In Svizzera una start-up sta sviluppando un nuovo tipo di reattore nucleare che utilizza il torio invece dell’uranio.

Un successo della linea “verde” e sostenibile per tutti deve ancora continuare a essere complementare.

Il realista aggiusta le vele…

Il pessimista si lamenta del vento, l’ottimista aspetta che il vento cambi…

La pandemia e il terribile conflitto russo-ucraino hanno riproposto con forza, per forza, la nostra dipendenza da paesi non propriamente affidabili, per usare un eufemismo, o molto poco democratici, per essere più diretti. E dove si incontrano la scarsa affidabilità e l’assolutismo, ci si può purtroppo attendere di tutto. Quando sembrava che i motori dell’economia potessero tornare a girare a regime più alto (non ancora massimo) ecco arrivare un “mare di sabbia” a bloccare nuovamente molti ingranaggi. Con difficoltà che toccano trasversalmente tutti i settori economici e questo deve essere motivo di riflessione e preoccupazione. La scarsa reperibilità di materie prime, l’impennata dei loro prezzi, la questione energetica con rincari sostanziali costituiscono un mix di fattori che potrebbe rivelarsi micidiale se questa situazione dovesse protrarsi troppo a lungo.

Le materie prime

Le difficoltà di reperire materie prima erano già iniziate durante la pandemia, a causa delle restrizioni imposte in tutto il mondo. Dapprima problemi di vendita e distribuzione, poi di produzione con la ripresa della congiuntura e forti richieste da parte di Paesi molto grandi. Problemi e ritardi nelle forniture in tutto il pianeta terra sia per le materie prime che i prodotti intermedi che quelli finiti. Senza dimenticare altri problemi legati alla logistica e al trasporto, ad esempio, con tempi di attesa fino a tre settimane per scaricare le navi in attesa davanti ai porti principali. Con conseguente aumento dei costi e, quindi, dei prezzi. Il conflitto russo-ucraino ha ulteriormente acuito questi problemi. Perché? La risposta è ovvia, se pensiamo che, ad esempio l’argilla, essenziale per il mondo delle ceramiche proviene principalmente dal Donbass. Che il palladio (essenziale per i catalizzatori delle auto e nell’orologeria) è importato da Ucraina e Russia e non ne arriva più. Che i due paesi sono leader nella produzione di fertilizzanti, essenziali per l’agricoltura. Oppure che l’industria automobilistica e aerospaziale dipendono dal titanio russo, paese secondo produttore al mondo per ammoniaca, urea e potassio. Senza dimenticare che i già citati palladio e titanio, oltre al neon, sono essenziali per la produzione di microchip. Componente per la quale dipendiamo dall’Asia. Senza dimenticare che l’Ucraina è il granaio d’Europa e, sebbene la Svizzera non sia forse toccata in maniera diretta grazie alla sua politica agricola, rischia di subire contraccolpi indiretti della penuria e dei rincari che colpiscono altri paesi. Nel mentre l’acciaio non è di fatto più reperibile, per cui sia l’industria che le costruzioni sono in difficoltà e a medio termine certi cantieri dell’edilizia potrebbero fermarsi, analogamente a talune realtà produttive. È ovvio che in una situazione del genere i prezzi per l’acquisto delle materie prime siano diventati molto volatili, con mutazioni dalla sera al mattino imposte da chi detiene quel determinato bene. Non sono nemmeno rari i casi di navi bloccate in giro per il mondo, in attesa che venga chiarita se il carico rispetta le sanzioni in vigore contro la Russia. Nell’attesa, tale carico viene acquistato da qualche altro paese che non è vincolato alle sanzioni ed è irrimediabilmente perso. All’instabilità del conflitto, va aggiunto un altro fatto, cioè la forte dipendenza dalla Cina, paese certamente poco incline a fare concessioni e che nell’ambito della produzione mondiale detiene parti importantissime di materie prime e terre rare. Trovandosi quindi nella condizione di dettare molte condizioni e di influenzare pesantemente le condizioni di produzione mondiali.

Fra le materie importanti figurano ad esempio il 97.7 % di gallio fondamentale per la chimica, l’84.2 % del metallo pesante bismuto (con applicazioni per saldature e nella farmaceutica), il 70 % di magnesio, il 67.9 % di germanio (semimetallo con proprietà di semiconduttore), il 60 % di terre rare, il 57.1 % di titanio, il 57 % di alluminio, il 54 % di acciaio, il 2.9 % di bauxit (roccia, principale fonte per l’alluminio) e il 38.5 % di rame. Facilmente comprensibile, se da una parte è già abbastanza difficile creare delle scorte (vuoi per i costi, vuoi per lo spazio di stoccaggio, oltre alla reperibilità), dall’altra parte è complesso trovare alternative di approvvigionamento in paesi terzi. Per i cereali si era ad esempio ipotizzato di fare maggiormente capo al Canada e agli Stati Uniti, dimenticando tutti i discorsi sugli organismi geneticamente e taluni pesticidi proibiti dall’UE e dalla Svizzera.
Oppure cambiare distributori nell’ambito Medtech comporta ad esempio una serie di autorizzazioni che richiedono anni di lavoro. Insomma, all’apparenza si potrebbe pensare che basti rivolgersi a qualcun altro e la soluzione è trovata. La realtà è purtroppo molto diversa.

Quale trasformazione energetica?

In questo contesto confuso e nervoso, anche la questione dell’approvvigionamento energetico diventa evidentemente centrale. Si parla ormai da tempo di trasformazione energetica. Alle belle parole e agli obiettivi sicuramente condivisi, di virare su energie pulite, fanno da contraltare diversi fatti che non si possono ignorare. Oggi più che mai.
La richiesta di energia elettrica è in costante aumento e la sostituzione delle attuali fonti di energia con energie rinnovabili porta ad una penuria perché senza l’energia nucleare mancherà circa 1/3 della produzione nazionale di energia.
In Svizzera le principali fonti di energia sono quelle idroelettriche e nucleari. Con la volontà di abolire quest’ultime, le prime non saranno in grado di soddisfare il fabbisogno, soprattutto in inverno. La parola “razionamento” ormai non è più un tabù, anche perché i paesi UE da cui tradizionalmente importiamo (in primis Francia, Germania e Italia) sono attanagliati dagli stessi problemi legati all’abbandono del nucleare (salvo la Francia, che però deve fermare molti impianti per necessità di rinnovo) e la decarbonizzazione.
Se pensiamo che questi paesi hanno ora grandi problemi legati alla fornitura di gas russo, che entro entro il 2025 il 70% della produzione elettrica europea dovrà essere destinata agli scambi all’interno dell’UE e che non abbiamo raggiunto un accordo istituzionale con l’UE sul tema energetico, l’allarme è motivato. Gli Stati dell’Ue penseranno, come è legittimo che sia, dapprima ai loro interessi, poi, se resta qualcosa, sarà condivisa qualche fornitura con la Svizzera. Realtà nuda e cruda ma plausibile. Il conflitto russo-ucraino ha portato a un’impennata dei prezzi e le forniture sono incerte, per quanto riguarda soprattutto il gas.

La Svizzera non può influenzare i prezzi di mercato stabiliti in Europa, ma può operare sui costi aggiuntivi e di questo sarebbe bene tenere conto. Come già abbiamo avuto modo di sottolineare più volte, la politica energetica deve assolutamente puntare su più vettori, senza alcun tabù. Compreso il nucleare.
Inutile vendere l’illusione che in quattro e quattr’otto si sarebbe ricoperto il paese di pale eoliche, pannelli solari e altre energie cosiddette pulite, conquistando l’indipendenza energetica e dando un benessere accessibile e pulito a tutti. Applausi da ogni dove, osanna quasi unanime per questa soluzione semplice semplice, in teoria poco costosa e altamente redditizia. La realtà è purtroppo un’altra.

Non che le energie alternative non vadano promosse, anzi. Ma, come sempre, ci vuole equilibrio e questo è totalmente mancato nella discussione pubblica degli ultimi anni. Ma perché la transizione energetica è più difficile di quanto si pensasse e come mai vi è un parallelo importante, proprio dal punto di vista climatico, con la trasformazione digitale? Andiamo con ordine. Già nel 2017 la Banca mondiale, ovviamente ignorata, aveva attirato l’attenzione sul fatto che la transizione energetica richiedesse l’utilizzo di molti metalli, fra cui parecchi metalli rari (e torniamo in parte al discorso delle materie prime precedente). In un interessante saggio del 2018, “La guerre des métaux rares”, un giornalista francese, Guillaume Pitron, aveva pure attirato l’attenzione su questo rischio. In effetti, l’abbandono del carbone e comunque delle energie fossili richiede un numero elevato di minerali e di metalli per costruire impianti eolici, pannelli solari, batterie di stoccaggio per l’energia, ecc. Prevedibile quindi attendersi un aumento della domanda di acciaio, alluminio, argento, rame, piombo, litio, manganese, nickel e zinco, così come di terre rare dai nomi esotici ma dall’importanza fondamentale come l’indio (importante per gli schermi LED, i collettori solari, i termometri, i transistor ad esempio, il molibdeno (usato come lega del ferro e negli impianti elettrici) e il neodimio (usato ad esempio per la produzione di auricolari e i magneti di ogni tipo). Sono solo alcuni esempi. Abbiamo visto in precedenza che uno dei problemi è il fatto che molti di questi elementi sono in mano cinese, con tutti i rischi del caso. Ma, ancora peggio, l’estrazione di molte di queste materie è tutt’altro che pulita ed ecologica. Anzi, ha un effetto devastante sull’ambiente, creando quindi il paradosso che le tanto decantata energia pulita in realtà poggia su basi tutt’altro che pulite ecologicamente parlando.

Un altro paradosso è che queste nuove tecnologie contengono, nei processi di fabbricazione, più risorse naturali rispetto alle centrali a energia fossile tradizionali. Quindi per produrre la stessa quantità di elettricità d’origine rinnovabile necessitiamo, paradossalmente, di molti più metalli. Ma torniamo al legame fra trasformazione energetica e digitale. La risposta è abbastanza facile e già qualche mese fa l’avevamo trattata. Un sistema completamente rinnovato di produzione e gestione dell’energia non può prescindere da sofisticati sistemi legati alla trasformazione digitale. Strumenti digitali però che non sono neutri dal punto di vista delle emissioni di CO2 (v. il nostro approfondimento di qualche mese fa, www.cc-ti.ch/energia-tra-sapere-e-conoscere).
Se a questo aggiungiamo una certa schizofrenia di chi vuole energia pulita, salvo poi opporvisi quando gli piantano una pala eolica davanti casa, ecco che tutto diventa difficile. Un caso emblematico si è prodotto qualche mese fa nel Giura bernese, quando un raro esemplare di aquila reale è stato decapitato da una pala eolica. Lo sfortunato pennuto, imprudentemente sceso a quota troppo bassa, è stato subito eretto a paladino della malvagità e ingordigia umana. Surreale è però il fatto che chi si era battuto per le pale eoliche contro il cattivo nucleare, è intervenuto dopo l’incidente per chiedere di togliere le pale eoliche e metterle altrove. Come se fossero pezzi di Lego modificabili a piacimento. Follia amara. Anche se temo che della povera aquila reale non importerebbe più nulla se d’un tratto pigiando l’interruttore della luce non vi fosse alcun effetto. Dietro le belle parole dei paladini dell’oltranzismo ideologico alla “Greta Thunberg ”, vi è sempre un’altra correlata realtà che non si può e non si deve sottovalutare. Oggi più che mai è richiesto pragmatismo e apertura mentale, non rigidi approcci ideologici. Pena il rischio di farsi molto male non solo a livello di costi ma anche nella vita pratica di tutti i giorni. Dubito che molti gongoleranno quando non vi sarà più abbastanza energia per ricaricare il proprio prezioso telefonino…

Riflettiamoci ora che siamo “solo” in ritardo, prima che sia troppo tardi e lasciamo perdere i “tuttologi ” che profetizzano la fine del mondo entro tre anni, ma non per colpa loro.