SÌ alla “Riforma fiscale e sociale”

In vista della votazione cantonale del 29 aprile 2018, la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino (Cc-Ti) raccomanda di votare un chiaro SÌ alla “Riforma fiscale e sociale”.

La Cc-Ti sostiene la Riforma fiscale e sociale, giustamente definita un “patto sociale”, che prevede l’introduzione di un pacchetto a doppia struttura tra misure fiscali e misure sociali a beneficio delle famiglie, dei contribuenti e delle aziende.

Sul piano fiscale, la riforma, in linea con quella che sarà la prossima riforma a livello federale, permetterà di migliorare il posizionamento del nostro Cantone nella classifica nazionale a livello di attrattività fiscale. È un dato di fatto, attualmente il Ticino occupa il 22° posto, grazie a queste misure raggiungerebbe il 16° posto. La concorrenza fiscale intercantonale è al giorno d’oggi innegabile. È necessario quindi andare a consolidare il substrato fiscale, che è poi ciò che permette di garantire il finanziamento delle prestazioni pubbliche.

La riforma si inserisce inoltre nella strategia cantonale a favore delle start-up innovative, il cui obiettivo è quello di rendere il Ticino un luogo attrattivo per la nascita e la crescita di questa categoria di giovani aziende. Le nuove misure fiscali contribuiscono infatti a favorire gli investimenti in questo settore con conseguente creazione di nuovi posti di lavoro qualificati, in particolare per le giovani generazioni.

Per quanto riguarda le misure sociali, è importante sottolineare che saranno assunte interamente dalle aziende.

In una società e in un contesto nazionale e internazionale in costante evoluzione, è primordiale che l’ente pubblico rinnovi il nostro sistema, sia sul piano sociale, che fiscale. La riforma fiscale e sociale permette proprio questo. Non va, inoltre, dimenticato che la riforma è stata approvata da oltre il 70% dei parlamentari, compresa una buona parte della sinistra (e dalla maggior parte degli enti sociali e sindacali).

Per questi motivi, la Cc-Ti raccomanda di sostenere la Riforma fiscale e sociale in votazione il prossimo 29 aprile.

Social media: attenzione a cosa dite!

Facebook, LinkedIn e piattaforme social: attenzione a come vi comportate!

“Un computer su ogni scrivania e uno in ogni casa”: questa era l’idea che ispirava l’attività di Microsoft a metà degli anni ’70.

Ma quando i dipendenti rivelano informazioni sui social network o usano le piattaforme in modo improprio?

In Svizzera, i comportamenti inadeguati dei dipendenti e la criminalità economica sono i principali rischi che devono affrontare le aziende. La quantità di danni causati da casi di frode e abuso raggiunge diversi miliardi. Inoltre, perdita di reputazione e fiducia sono incommensurabili per le aziende.

La legge parla chiaro

Come per i blog, la creazione e l’uso dei social network è una libertà di espressione, ai sensi dell’articolo 16 della Costituzione federale. Tutti hanno il diritto di formulare, esprimere e diffondere liberamente il proprio pensiero.

Nel diritto del lavoro, questa libertà è limitata da alcuni obblighi contrattuali del dipendente nei confronti del suo datore di lavoro.

Calunnie, discorsi diffamatori, offensivi o minacciosi contro l’ambiente di lavoro, i quadri, i colleghi di lavoro e l’azienda, resi pubblici o pubblicati sui social network possono costituire reato penale, punibile quindi ai sensi del codice penale.

Conformemente all’art. 321a cpv. 1 CO, sotto obbligo di fedeltà la legge intende l’obbligo del lavoratore, di salvaguardare con fedeltà gli interessi legittimi del datore di lavoro. L’obbligo di fedeltà è soprattutto un obbligo di non fare: detto in modo semplificato, il lavoratore deve omettere qualsiasi cosa che potrebbe danneggiare economicamente il datore di lavoro.

Correttezza reciproca

Il dovere di diligenza e fedeltà, sancito dall’articolo 321a capoverso 1 del Codice delle obbligazioni, obbliga i dipendenti ad astenersi da qualsiasi comportamento che possa pregiudicare gli interessi legittimi, economici o altro, del proprio datore di lavoro.

Il lavoratore è tenuto ad astenersi assolutamente dal provocare intenzionalmente danno d’immagine e di reputazione al suo datore di lavoro.
Quando si utilizzano i social network, il dipendente deve responsabilizzarsi e astenersi dall’associare il proprio datore di lavoro a commenti, immagini o altro che potrebbero danneggiare la reputazione aziendale, ma anche il personale stesso dell’azienda.

Allo stesso modo, resta inteso che il datore di lavoro è tenuto a proteggere la personalità, la salute e l’integrità personale dei suoi dipendenti. Questo obbligo deriva dalle sezioni 6 della legge sul lavoro e 328 del Codice delle obbligazioni.

Dovere di riservatezza

L’uso dei social network nasconde anche altri rischi, come la divulgazione di informazioni riservate.

Immaginiamo il CEO di un’azienda che s’imbatte sui piani dei suoi nuovi prototipi esposti sulla pagina di LinkedIn del suo manager R&D o un Account Manager che rivela pubblicamente informazioni personali sui clienti del proprio datore di lavoro.
Nel diritto del lavoro, per tutta la durata del contratto, ma anche dopo la fine del rapporto di lavoro, il dipendente è soggetto ad un obbligo di riservatezza (sezione 321a (4) CO).

Deve astenersi dall’utilizzare, rivelare o sottintendere su Internet qualsiasi informazione confidenziale, della quale è venuto a conoscenza durante il suo servizio, a proposito del suo datore di lavoro, sulla produzione, gli affari o sui clienti, ecc. .

Il datore di lavoro può cautelarsi e prendere posizione

Quando il datore di lavoro subisce un danno, può e deve imperativamente esigere la cancellazione definitiva, completa e immediata di tutte le informazioni pubblicate dal dipendente.

Se quest’ultimo non procede alla cancellazione richiesta, il datore di lavoro potrà avvalersi di un’azione legale per la cessazione dell’infrazione (articolo 28a del codice civile).
A seconda della gravità del danno causato al datore di lavoro, queste divulgazioni illecite o improprie di dati possono anche essere un motivo legittimo di licenziamento, anche immediato. L’immediato licenziamento di un manager che denigrava il suo datore di lavoro con i clienti è stato accettato dal Tribunale Federale.

Il controllo dell’utilizzo di Internet e della messaggistica privata è autorizzato quando viene previsto nel regolamento aziendale. Il tipo di controllo eseguito deve, in ogni caso, rispettare il principio di proporzionalità.

Attenzione: Per quanto riguarda la supervisione dei lavoratori, è vietato utilizzare sistemi di controllo progettati per monitorare il comportamento dei dipendenti nel loro lavoro (articolo 26 dell’ordinanza 3 sul diritto del lavoro, di seguito OLT3). Con sistemi di monitoraggio e controllo, si intendono tutti i tipi di dispositivi tecnici (ottici, acustici ed elettronici) atti a registrare e controllare le attività e i comportamenti dei lavoratori.
È consentita una sorveglianza che non abbia scopo di controllo e giudizio sui dipendenti e sul loro lavoro, ma con un obiettivo diverso, come la sicurezza dell’azienda e dei propri collaboratori.

Come comportarsi, come prevenire

Al fine di prevenire gli abusi sui social network il datore di lavoro deve elaborare delle apposite direttive legate all’utilizzo dei canali social network privati e professionali (art 321 d CO.) e inglobarle nel “Regolamento aziendale”, sin dall’inizio del rapporto lavorativo.

Le regole decise dal datore di lavoro devono e possono, di regola, indirizzarsi solo all’ambito professionale del collaboratore e quindi, del suo comportamento all’interno della sfera lavorativa. Solo a titolo eccezionale e per evidenti ragioni correlate al proprio ruolo o ambito lavorativo, il datore di lavoro può prevedere regole che incorporano anche la sfera privata.

Il datore di lavoro può disciplinare un divieto di tutte quelle pubblicazioni che potrebbero lenire la sua reputazione, l’onore, l’immagine propria e quella dei propri collaboratori aziendali. Proibire, senza eccezioni, la divulgazione sotto qualsiasi forma di tutti i dati confidenziali resi noti nell’ambito professionale.

Il datore di lavoro preciserà esplicitamente le sanzioni previste per il collaboratore che viola suddette direttive.

Prevenire meglio che curare – Integrity Management

Purtroppo gli scandali segnano le aziende anche se risolti e accantonati da anni. Le aziende hanno un grande interesse nel prendere rapidamente coscienza dei possibili casi di abuso e nel garantire che le informazioni corrispondenti non siano pubblicate. Più velocemente reagiscono, più basso è il rischio di danni o minore sarà il danno stesso.

Su questo tema, I risultati del “Global Economy Crime Survey 2014” confermano che in Svizzera il 36% dei crimini è stato scoperto a seguito di segnalazioni interne.

La creazione di un sistema indipendente, professionale e anonimo rappresenta quindi una misura efficace in termini di organizzazione al fine di identificare il prima possibile le operazioni discutibili e pericolose nelle aziende.
Negli ultimi 15 anni, molte società attive a livello internazionale hanno istituito questi centri di annunci. Secondo uno studio del 2011, quasi tutte le 20 maggiori società quotate in Svizzera dispongono di un sistema di allarme rapido; la maggior parte consente anche annunci anonimi.

Nel 2013 il Consiglio federale ha presentato al Parlamento proposte di revisione parziale del diritto del lavoro volte a migliorare la protezione dei dipendenti che segnalano abusi. La base giuridica si basa sul principio di una “cascata” di annunci secondo i quali, gli abusi devono prima essere annunciati internamente. Solo quando il datore di lavoro non avrà preso nessuna misura entro 60 giorni o se quanto segnalato e appurato risulta chiaramente insufficiente a chiarire i fatti, sarà reso possibile un annuncio alle autorità esterne.

Riassumiamo e rendiamo attenti

Divulgare informazioni confidenziali, danneggiare l’immagine o ledere in qualsiasi modo all’integrità della propria azienda e al proprio datore di lavoro è considerata una violazione contrattuale grave e il collaboratore può andare in contro a sanzioni che comprendono il licenziamento, il licenziamento in tronco o il perseguimento penale.

Il comportamento scorretto dei dipendenti e il crimine economico costituiscono un rischio considerevole per l’azienda e in Svizzera causano ogni anno miliardi di danni. Un sistema di annunci può essere considerato un importante strumento di gestione e di aiuto per la prevenzione delle azioni dolose degli stakeholder.

Lo spirito vincente nel fare impresa

Internazionalizzazione delle imprese e Swissness sono le due facce di una  stessa medaglia: la costante ricerca della qualità, su tutta la filiera produttiva, che ha reso famoso il “Made in Switzerland” nel mondo. Qualità, innovazione e passione imprenditoriale connotano il “successo svizzero di fare impresa”, a cui sarà dedicata la Giornata dell’export, organizzata dalla Cc-Ti, il 26 aprile al Grand Hotel Villa  Castagnola di Lugano.

La Swissness è qualcosa che va ben  al di là della legge sulla protezione  del marchio elvetico, entrata in vigore nel 2017. È una filosofia aziendale che tende al miglioramento continuo, grazie ad un’attitudine mentale improntata  all’apertura, allo scambio di  competenze ed esperienze e, per  questo, dotata di una spiccata sensibilità  per le mutevoli esigenze del  mercato. È il sapere combinare l’efficacia con l’efficienza, “per fare le cose giuste e farle bene”, come insegnava l’economista Peter Drucker.
Una dimensione del saper fare che con la “Swissness delle menti” investe anche la cultura, la sensibilità e la genialità artistica, di cui è un brillante esempio la fama internazionale di Daniele Finzi Pasca, ospite d’eccezione di questa Giornata dell’export.
Un artista che con la sua compagnia teatrale ha saputo coniugare creatività e imprenditorialità, portando sul palcoscenico del mondo l’estro svizzero. Anche nel campo culturale c’è, dunque, quell’ethos imprenditoriale che ha fatto dello “Swiss made” il sinonimo mondiale di affidabilità, precisione e qualità, che ha portato il nostro Paese ai vertici delle classifiche dell’innovazione e della competitività. Una visione particolare del fare impresa che affonda le sue radici nella storia stessa della Svizzera che, priva di materie prime, ha trovato nella materia grigia, nell’infaticabile sforzo competitivo degli imprenditori, nel loro profondo legame col territorio e con i propri collaboratori, la sua più preziosa risorsa naturale. In un piccolo Paese che vanta una massiccia presenza di multinazionali e un fitto tessuto di PMI, qualità e innovazione nascono spesso dall’ibridazione tra l’industria avanzata e minuscole aziende che hanno conservato quel “saper creare” delle vecchie imprese artigianali, ottenendo così una flessibilità che riesce a calibrarsi con dinamismo sui repentini cambiamenti del mercato. È questa “svizzeritudine” che fa anche da propellente all’internazionalizzazione delle imprese ticinesi e alle loro esportazioni. Ciò ha permesso, negli ultimi anni, al nostro sistema produttivo di reagire tempestivamente alle crisi che riducevano margini di guadagno e quote di mercato, assicurandosi quella qualità che oggi lo ha portato a risultati superiori alla media nazionale e persino a quelli di altri Paesi.
Il Ticino per la sua collocazione geografica di cerniera tra Sud e Nord Europa, per i suoi centri di ricerca di eccellenza mondiale, per l’industria di punta e un 42% di PMI che sono anche aziende esportatrici, ha un’inclinazione naturale verso l’internazionalizzazione della sua economia.

Una vocazione su cui si concentra l’impegno della Cc-Ti che, in collaborazione con Switzerland Global Enterprise (S-GE), sostiene le aziende nella ricerca di nuovi mercati e di nuovi modelli di business. Con gli eventi Paese e le missioni economiche all’estero per far conoscere alle imprese nuovi sbocchi per le esportazioni, con consulenze e percorsi formativi mirati per affrontare anche mercati poco conosciuti. L’export ticinese è in ripresa, con volumi che superano il dato ufficiale dei 6,3 miliardi di franchi all’anno, poiché molte industrie non esportano direttamente, ma da “terzisti” forniscono componenti per prodotti che vengono poi esportati dalle imprese di oltre Gottardo. Le aziende sotto la pressione del franco forte e della recessione che ha investito l’Italia, principale partner commerciale sino a pochi anni fa, hanno saputo diversificare i mercati di riferimento. Se nel 2006 il 22% dell’export era destinato all’Italia, nel 2016 si è scesi al 17%. Oggi il flusso di merci e servizi verso gli altri Paesi europei è salito al 39%, con gli USA ha toccato il 22% e il 16% con l’Asia. Come ricorda Valentina Rossi, Responsabile del Servizio export della Cc-Ti, “la diversificazione dei mercati significa anche più opportunità di business e una nuova crescita imprenditoriale”.

Un contatto diretto con il Servizio Export Cc-Ti
Valentina Rossi, Responsabile del Servizio Export Cc-Ti ed il suo team sono a disposizione per maggiori informazioni.
L’attualità targata Cc-Ti
Leggete le ultime news sui diversi canali: sito web, newsletter, Ticino Business, social media, e sul dépliant delle attività Cc-Ti.

Dazi su acciaio e alluminio negli USA: linee guida per le aziende svizzere

Gli USA hanno reso noto che, a partire dal 23 marzo 2018, sono stati introdotti nel Paese nuovi dazi all’importazione del 25% per determinati prodotti in acciaio e del 10% per determinati prodotti in alluminio. Le importazioni in Canada, Messico e nell’Unione europea sono, per il momento, escluse dai nuovi dazi. Come scrive la Segreteria di Stato dell’economia SECO sul sito web della Confederazione, le aziende con filiali statunitensi possono richiedere l’esenzione.

In linea di principio i nuovi dazi introdotti dagli USA, per ragioni di sicurezza nazionale, riguardano diversi prodotti in acciaio e in alluminio. Ciononostante la Casa Bianca ha incaricato il Ministero del commercio statunitense di sviluppare la procedura per escludere alcuni prodotti dall’applicazione di queste misure. I dettagli della procedura, nonché i formulari sono disponibili sul sito: U.S. Department of Commerce Announces Steel and Aluminium Tariff Exclusion Process.

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Il futuro passa anche dall’export

Una riflessione di Valentina Rossi, Responsabile del Servizio Export Cc-Ti

Gli scambi commerciali sono per l’economia uno dei punti chiave di successo. Le aziende ticinesi sono fortemente orientate all’internazionalizzazione e trovano nella Cc-Ti un partner affidabile su cui contare per sostenere, a diversi livelli, le loro attività.
L’economia svizzera è in crescita, l’export è una delle punte di diamante quale generatore di benessere e ricchezza; realtà confermata anche recentemente da diversi studi, tra cui quello di BAK Economics.
Quale Cc-Ti proponiamo diverse occasioni – declinate in differenti modalità – per sottolineare l’importanza di avere un  territorio ricco di aziende esportatrici. Ricordiamo infatti che gli svizzeri guadagnano due franchi su cinque grazie a un’economia esterna di successo. Nell’approcciare nuovi mercati l’imprenditore ticinese ha un vantaggio competitivo interessante dalla sua parte: possiede la “Swissness” intesa – nella sua più ampia accezione – quale modo di fare impresa. Questo significa essere riconosciuti per qualità, precisione, affidabilità e innovazione. Valori tipicamente svizzeri che sui mercati internazionali fanno sicuramente la differenza. Una solida cultura d’impresa che si contraddistingue per l’apertura e la ricerca del miglioramento è quello che caratterizza le aziende esportatrici ticinesi. Della Swissness e del modo di fare impresa svizzero avremo la possibilità di discuterne giovedì 26 aprile alla tradizionale ‘Giornata dell’export’. Durante la conferenza ospiteremo alcuni imprenditori ticinesi attivi internazionalmente che ci racconteranno la loro esperienza nell’aprirsi a nuovi mercati e a portare nel mondo lo spirito imprenditoriale elvetico. Quest’ultimo si declina nei diversi ambiti, dall’impresa produttrice a quella che offre servizi e prodotti non tangibili ma che celano intrinsecamente il marchio svizzero, come è caso di opere artistiche, quali la creazione di spettacoli e pièces teatrali che permettono la trasmissione di emozioni e messaggi importanti. Proprio per valorizzare anche questo aspetto, la Giornata dell’export ospiterà Daniele Finzi Pasca, artista ticinese riconosciuto internazionalmente e che ha saputo testimoniare la  solidità e la trasversalità del cosiddetto “Swissness delle menti”.
A sottolineare l’importanza dell’export elvetico, la Cc-Ti propone inoltre una trasmissione televisiva nata dalla collaborazione con Teleticino e giunta alla sua terza edizione. Si tratta di ‘Oltre i confini’, in onda dal 17 aprile ogni martedì alle 19.15 durante la quale – tramite brevi interviste a imprenditori ticinesi – emergono le peculiarità dell’economia reale, quella fatta di impresa e di persone che dedicano i propri sforzi a creare benessere e produttività al nostro cantone. Vi aspettiamo, non mancate!

GDPR: una sigla insidiosa?

Una riflessione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Da qualche tempo si parla di una sigla ancora poco familiare alle nostre latitudini, il GDPR, che è l’acronimo per Global Data Protection Regulation, cioè il nuovo Regolamento generale sulla  protezione dei dati dell’Unione Europea che entrerà in vigore il prossimo 25 maggio 2018, che costituisce un importante cambiamento nel contesto della tutela dei dati personali.

In cosa ciò riguarda la Svizzera? Il tema, complesso e approfondito il 9 aprile  in un Business Breakfast organizzato dalla Cc-Ti, è anche in parte legato alla revisione della legge federale sulla protezione dei dati, attualmente pendente davanti al Consiglio nazionale. E come sempre si creano anche voci incontrollate su misure da prendere, rischi, sanzioni ecc. Vediamo di riassumere alcuni punti  principali che saranno poi oggetto di vari approfondimenti nei prossimi mesi.

Va detto avantutto che non tutte le aziende svizzere saranno toccate. Di principio la normativa riguarda chi ha una sede anche nell’UE e le aziende svizzere che offrono beni e/o servizi a persone fisiche che si trovano nell’UE. Inoltre, tocca anche l’impresa elvetica che monitora il comportamento nell’UE di persone fisiche che si trovano nell’UE e quella che elabora dati per qualcuno stabilito nell’UE. Non è quindi rilevante se l’azienda svizzera impiega frontalieri o comunque cittadini UE, se ha un sito internet accessibile dall’UE o un indirizzo di posta elettronica a cui ci si può rivolgere da uno stato membro dell’UE. Si può quindi affermare che anche un’azienda svizzera che non mira direttamente alla clientela UE è esclusa dal campo d’applicazione. La normativa necessiterà di parecchie precisazioni, perché tali concetti si prestano evidentemente a interpretazioni diverse, dipendenti dalle circostanze del caso concreto. Va anche detto che taluni aspetti sono comunque già regolati dall’attuale diritto svizzero, benché le esigenze di trasparenza e informazione dovranno essere rafforzate. Chi, dopo avere effettuato la valutazione della propria attività, risulta essere assoggettato alle norme europee, deve tenere conto dell’obbligo di notifica all’autorità entro 72 ore delle infrazioni legate alla protezione dei dati. Questo è il caso per esempio in caso di sottrazione di dati o perdita di un computer portatile che contiene dati sensibili sul disco duro.
Le aziende sono chiamate quindi a organizzarsi in questo senso, perché devono poi poter dimostrare di avere preso tutte le misure necessarie per evitare danni a seguito di atti di pirateria informatica.

Fra le misure organizzative necessarie, pur non essendovi nella maggior parte dei casi l’obbligo formale di avere un delegato alla protezione dei dati (per le aziende con meno di 250 impiegati vi sono numerose deroghe), è importante che venga designato un responsabile incaricato di coordinare la tematica, soprattutto ai fini della dimostrazione che l’impresa ha diligentemente gestito e protetto i dati considerati sensibili, anche per evitare sanzioni che possono essere molto pesanti.
Senza creare allarmismi, è molto importante tenere conto di questa nuova realtà giuridica che, giocoforza, avrà un’influenza considerevole anche sula legislazione svizzera che purtroppo al momento segue gli adattamenti con un certo ritardo. Questo potrebbe creare non pochi problemi alle nostre aziende, che comunque in primis devono tenere conto del diritto nazionale e trovare la via della conciliabilità con il regolamento europeo, laddove esso è applicabile.

Un tema complesso che ci occuperà per molto tempo, visto anche il crescente valore strategico di tutto quanto ruota attorno alla raccolta e alla gestione dei dati.

Svizzera: tra apertura di nuovi mercati e misure protezionistiche

Per la Svizzera, fortemente dipendente dall’estero, la conclusione di accordi di libero scambio (ALS) costituisce, assieme all’appartenenza all’OMC e alle relazioni con l’UE, uno dei tre pilastri su cui poggia la sua politica di apertura dei mercati e di agevolazione degli scambi internazionali. All’apertura di nuovi mercati, spinta anche dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione, si stanno però contrapponendo correnti e politiche protezionistiche.

 

La Svizzera sta progressivamente estendendo la sua rete di accordi di libero scambio (ALS) e oltre alla Convenzione AELS e all’accordo di libero scambio con l’Unione europea (UE), dispone attualmente di una rete di 28 ALS con 38 partner, a cui a breve se ne aggiungeranno altri due con altrettanti Paesi: l’ALS con la Georgia entrerà infatti in vigore il prossimo 1° maggio mentre l’ALS con le Filippine lo sarà dal 1° giugno.

Gli ALS, in generale, hanno oggi un vasto campo d’applicazione settoriale e contemplano tra l’altro il commercio di prodotti industriali e agricoli, le regole d’origine, le procedure doganali e le agevolazioni degli scambi. Essi favoriscono altresì l’accesso al mercato dei servizi e agli appalti pubblici e garantiscono la protezione della proprietà intellettuale e degli investimenti. Tuttavia, poiché da un lato gli ALS detti “di prima generazione” (ossia quelli conclusi prima del 2000) non sono di così ampia portata e dall’altro i principali concorrenti della piazza economica svizzera hanno nel frattempo anch’essi concluso degli ALS con i partner commerciali del nostro Paese, la Svizzera aggiorna regolarmente questi accordi, negoziando delle revisioni. È il caso attualmente degli ALS con la Turchia, il Messico e Singapore.

Il grande potenziale del ceto medio in crescita nei Paesi emergenti sta spostando l’asse principale dell’economia mondiale verso l’Asia (si stima che nel 2030 due terzi dei consumi del ceto medio si registreranno in questo continente) e, a più lungo termine, anche verso l’Africa e l’America Latina. La Svizzera, assieme all’AELS, si sta già preparando a questo spostamento del baricentro economico del mondo e sul tavolo delle trattative figurano infatti l’ALS con l’Indonesia (il 14° round dei negoziati si è tenuto a Ginevra a fine febbraio – inizio marzo 2018 e il prossimo round è previsto nei prossimi mesi, il che lascia ben sperare sull’esito a breve delle negoziazioni), con l’India, il Vietnam, la Malesia e i Paesi del Mercosur, solo per citarne i principali.

Questi nuovi mercati di riferimento sono però lontani e la necessità di capirli e di superare le specifiche barriere commerciali accresce la complessità degli odierni scambi internazionali. La sfida è resa ancor più ardua dalle correnti e politiche protezionistiche che si stanno rafforzando in tutto il mondo (dai Paesi industrializzati a quelli emergenti), in contrapposizione con la crescente globalizzazione e con l’apertura reciproca dei mercati grazie agli ALS. Secondo i dati del Global Trade Alert, centro di studi indipendente coordinato dall’economista Simon Everett, professore dell’Università di San Gallo, sono migliaia e migliaia le misure protezionistiche adottate dal 2008 ad oggi e a capeggiare la classifica dei Paesi con il maggior numero di misure protezionistiche figurano gli Stati Uniti, seguiti da Germania e India. L’ordine esecutivo “Buy American, hire American” di Trump e l’iniziativa “Make in India” di Modi sono esempi ben noti.

Misure protezionistiche dal 2008 sino ad oggi: non si tratta di un fenomeno nuovo

Fonte: Global Trade Alert, grafico S-GE «Top 10» degli Stati con il maggior numero di misure protezionistiche dal 2008 ad oggi», stato: marzo 2018

 

Seppure non nella “top 10”, anche la Svizzera ha a sua volta adottato un buon numero di misure protezionistiche. Lʼiniziativa “Swissness”, da noi recentemente tematizzata e che esige che ogni prodotto contraddistinto da questo marchio possieda un contenuto locale specifico di alto livello, può essere considerata come un esempio di protezionismo “casalingo”.

Le misure protezionistiche non riguardano però solo il “buy local” e “produce local”, ma spaziano da dazi commerciali all’export, all’import e antidumping sino agli aiuti di Stato, passando dai contingenti e dalle barriere tecniche al commercio sino alle restrizioni sanitarie e fitosanitarie, solo per fare alcuni esempi.

Ecco quindi che le PMI svizzere hanno un’importante carta in mano da giocare, quella dell’ampia rete di ALS e del trattamento preferenziale dei loro prodotti, con possibilità di sgravio dai dazi e da determinate barriere. Constatiamo tuttavia che esse non solo sfruttano poco questa carta, ma non vi prestano sufficiente attenzione. Nel determinare l’origine dei loro prodotti, i reparti export, approvvigionamento, assicurazione qualità, logistica, finanze e la stessa direzione dell’azienda devono collaborare e soprattutto comunicare: quando, ad esempio, il reparto acquisti cambia fornitore a causa di prezzi più elevati (finora il paese d’origine era la Svizzera, ora è la Cina o un paese terzo), anche il reparto vendite deve essere informato poiché cambia verosimilmente anche l’origine della merce. Le variazioni di prezzo e produzione o le oscillazioni del cambio possono comportare variazioni nella determinazione dell’origine e nella capacità di sfruttamento degli ALS. Inoltre, se questi fattori non vengono tenuti in debita considerazione si corre il rischio di redigere dichiarazioni d’origine false, che possono a loro volta portare a pagamenti supplementari di dazi e persino a sanzioni. I responsabili delle esportazioni o gli specialisti del settore devono conoscere, almeno nei punti salienti, gli accordi di libero scambio e le regole da applicare.

Nei Paesi con i quali la Svizzera non ha (ancora) degli ALS e/o nei mercati in cui talune barriere non tariffarie permangono o addirittura vengono reintrodotte a protezione della produzione locale, le PMI svizzere si trovano confrontate con procedure doganali dispendiose, tasse amministrative relativamente elevate oppure complicate formalità per documenti di accompagnamento della merce o ancora norme legate a requisiti tecnici della merce, in relazione ad aspetti quali la produzione, l’imballaggio e l’etichettatura, le condizioni di trasporto, la sicurezza, la salute o lʼecocompatibilità. Le PMI svizzere devono confrontarsi con questi aspetti, chiarire le condizioni quadro e prepararsi per tempo a far fronte a tali barriere nei loro mercati target.

 

Monica Zurfluh, Responsabile S-GE per la Svizzera italiana e Valentina Rossi, Responsabile Servizio Export Cc-Ti

 

 

 

 

 

 

 

Il servizio Export della Cc-Ti e S-GE sono a vostra disposizione per consulenze
in ambito di esportazioni.

ASPASI e le associazioni economiche unite per l’Aeroporto di Lugano

Comunicato stampa Cc-Ti, ABT, AITI, ASPASI

Le attuali incertezze attorno all’aeroporto rafforzano la necessità di agire in tempi  brevi e di trovare una soluzione sostenibile a lungo termine.

L’Associazione dei Passeggeri Aerei della Svizzera italiana (ASPASI), la Camera di  commercio, dell’industria dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino (Cc-Ti), l’Associazione industrie ticinesi (AITI) e l’Associazione bancaria ticinese (ABT) sono preoccupate in relazione alla situazione che si è venuta a creare attorno all’Aeroporto di Lugano-Agno.

Il fallimento di Darwin Airlines ha preso in contropiede l’aeroporto e gli utenti di  quest’ultimo. L’attuale vuoto in relazione alla tratta Lugano-Ginevra non solo crea forti disagi a numerose realtà sul territorio, ma rischia di compromettere irreversibilmente opportunità legate ai voli di linea da e per la nostra regione. A questo si aggiunge un collegamento su Zurigo altamente insoddisfacente che peggiora ulteriormente il servizio agli utenti. Il tasso dei voli cancellati negli ultimi mesi è assolutamente giustificabile nei confronti dei passeggeri. L’aeroporto di Lugano-Agno rappresenta un’infrastruttura di trasporto strategica non solo per la regione del Luganese. La politica aeronautica federale prevede pressamente uno scalo a Sud delle Alpi. Alla politica spetta ora il compito di concepire e strutturare un progetto di aeroporto moderno e funzionale. Richiamiamo al riguardo realtà analoghe come quelle di Berna e Sion, in parte anche più vicine agli aeroporti internazionali. In un cantone il cui successo economico è da sempre strettamente legato alle infrastrutture di trasporto, è primordiale una sensibilità nei confronti di quest’ultime. Nel 2016 sono state oltre 72’000 le persone che hanno viaggiato tra Lugano e Ginevra. Proprio in un momento storico di rafforzamento di Lugano quale piazza congressuale è determinante  mantenere e ripristinare un servizio di aviazione di linea – puntuale e affidabile – a supporto di turismo ed economia. Inoltre non va dimenticato l’indotto generato dall’attività aeronautica: sono numerose le aziende fornitrici e del ramo aeronautico insediate a ridosso dell’Aeroporto di Lugano-Agno e i relativi impieghi.  Attraverso un’apertura dell’azionariato anche a privati e a investitori eventualmente interessati, le attività e l’indotto potranno in futuro guadagnare ulteriore importanza.

Le associazioni economiche e l’associazione dei passeggeri chiedono quindi alla Città di Lugano e alla Lugano Airport SA di presentare senza indugi un progetto attuabile in tempi brevi che permetta di non compromettere irrimediabilmente il valore strategico del nostro aeroporto.

Contattateci per maggiori informazioni:
Tel. +41 91 911 51 11, info@cc-ti.ch

Opportunità nell’industria agricola brasiliana

Seguendo l’attuale trend di Industria 4.0, il settore agricolo brasiliano, che costituisce il 30% del PIL del Paese, si sta digitalizzando sempre più e si stanno creando numerose opportunità per le imprese svizzere con soluzioni e strumenti innovativi.

Con 75 milioni di ettari di terreno dedicati alla produzione agricola e l’8,8% di superfici arabili nel territorio (IBGE, 2017), il Brasile è naturalmente adatto a una produzione agricola su larga scala per diversi raccolti, quali la canna da zucchero, i semi di soia, il grano, i prodotti lattiero-caseari, il caffè e la frutta. Il Brasile è attualmente il terzo maggior produttore agricolo e uno dei maggiori operatori nel sotto-settore dell’allevamento e vanta la seconda maggior produzione di bovini e pollame a livello mondiale.

Nonostante la recessione economica del 2015-16 e la leggera ripresa nel 2017, lo scorso anno, il PIL del settore agricolo brasiliano è cresciuto del 13% (IBGE, 2018), battendo il record nazionale del volume dei raccolti, ed è fiorente grazie all’innovazione. Il Ministero dell’agricoltura brasiliano (MAPA) dichiara che il 67% delle proprietà agricole sta già utilizzando alcuni tipi di tecnologia di precisione ad alto livello (MAPA, 2017). Questo settore economico chiave sta rivoluzionando completamente la propria filiera di produzione investendo nella ricerca e nello sviluppo, nonché in Internet delle cose, Big Data e biotecnologie.

Secondo l’impresa brasiliana di ricerca agricola Embrapa, il Brasile è all’avanguardia per quanto riguarda il trend dell’attività Agribusiness 4.0, specialmente grazie all’introduzione di nuovi processi. Come riferito da McKinsey Consultancy, l’era digitale genererà circa 24 milioni di real brasiliani dall’agricoltura del Paese. I miglioramenti effettuati comprendono anche pratiche e processi di precisione, un utilizzo diffuso di sofisticati sensori di previsione dei cambiamenti climatici e l’implementazione di risorse biologiche e processi rinnovabili…

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La swissness quale spinta del successo aziendale

Eccovi una breve riflessione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Nelle scorse settimane abbiamo presentato lo studio elaborato dall’istituto svizzero BAK Economics, che ha evidenziato uno scenario incoraggiante e positivo per l’economia ticinese, che cresce in modo continuo. Quadro che avevamo anticipato anche con la nostra inchiesta congiunturale di gennaio 2018, confermato ora da BAK Economics. Questo fatto fortifica sicuramente la nostra economia, in cui l’export si conferma una delle punte di diamante quale generatore di benessere e ricchezza.

Annualmente la Cc-Ti dedica una conferenza per sottolineare l’importanza dell’internalizzazione nei suoi diversi aspetti. Vi aspettiamo quindi alla Giornata dell’export” il prossimo 26 aprile.  Vi segnalo anche che dal 17 aprile ritorna la trasmissione televisiva “Oltre i confini” per conoscere meglio l’export ticinese tramite brevi interviste ad imprenditori locali.

Continueranno poi gli approfondimenti eventistici e formativi legati agli sviluppi sulle tematiche della digitalizzazione (cyber security, GDPR, nuove forme di comunicazione, ecc.).

Approfondimenti statistici
Ritrovate i risultati emersi dallo studio BAK Economics
Scoprite i dettagli dell’inchiesta congiunturale Cc-Ti
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