Riciclaggio delle batterie: chiudere il cerchio

di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

L’Empa (uno dei 4 Istituti di ricerca dei Politecnici Federali – Laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca) e Kyburz Switzerland AG sono alla ricerca di modi per riciclare le batterie agli ioni di litio esauste in modo efficiente e rispettoso delle risorse. Un impianto pilota appositamente sviluppato scompone le vecchie batterie nei loro componenti, in modo che i materiali possano essere recuperati nel modo più puro possibile.

Tutti conoscono il fenomeno del telefono cellulare o del computer portatile: con il passare del tempo, la capacità della batteria diminuisce, per cui è necessario prendere il cavo di ricarica sempre più spesso. Lo stesso vale per le batterie molto più grandi dei veicoli elettrici: sebbene i produttori di veicoli possano oggi garantire una durata di otto-dieci anni per le batterie agli ioni di litio dei veicoli elettrici, anch’esse dovranno essere riciclate prima o poi.

Nell’ambito di un progetto sostenuto dall’Ufficio federale dell’energia (UFE), il produttore svizzero di veicoli elettrici Kyburz Switzerland AG e l’Empa si sono posti l’obiettivo di riciclare le batterie dismesse dei veicoli elettrici. A tal fine, Kyburz, con il supporto dell’Empa, ha sviluppato un impianto di riciclaggio che scompone le vecchie batterie nei loro componenti.

Prima che una batteria finisca nell’impianto di riciclaggio, può avere una seconda, a volte addirittura una terza vita. Dopo il primo utilizzo negli scooter elettrici gialli a tre ruote che Kyburz produce per Swiss Post AG, può essere ancora utilizzata in veicoli di “seconda vita” alimentati da batterie già utilizzate. Se la capacità della batteria continua a diminuire, non è detto che questa sia la fine. Le batterie con capacità ridotta potrebbero, ad esempio, essere installate in applicazioni stazionarie per l’accumulo di energia solare. Questo concetto di “vita multipla” dovrebbe ridurre significativamente la domanda di materie prime primarie in futuro.

Separare con cura

Se la capacità della batteria non è più sufficiente per questo ulteriore utilizzo, viene infine inviata all’impianto di riciclaggio. “In questo tipo di batteria, il catodo, il separatore e l’anodo sono inseriti in un involucro di plastica in diversi strati”, spiega Andrin Büchel, ricercatore dell’Empa del Dipartimento “Tecnologia e società”. Srotolando abilmente il separatore, i catodi e gli anodi – lamine metalliche rivestite di particelle per immagazzinare ioni di litio – vengono smistati in due contenitori separati.

Il passo successivo è il recupero dei materiali dell’elettrodo. Il catodo, un foglio di alluminio rivestito con particelle di fosfato di ferro e litio, viene posto in un bagno d’acqua dove le particelle si staccano dal foglio e vengono recuperate sotto forma di polvere dopo essere state decantate e asciugate. Lo stesso procedimento viene seguito per l’anodo, che consiste in un foglio di rame rivestito di particelle di grafite. In questo caso, tuttavia, si produce una sospensione omogenea, rendendo necessario un ulteriore passaggio in una centrifuga per separare le particelle.

“Alla fine del processo di riciclaggio, recuperiamo l’involucro, il separatore, le lamine di alluminio e di rame e gli elettrodi suddivisi per tipo”, spiega Büchel. Questo tipo di processo di riciclaggio è chiamato riciclaggio diretto. “Nel riciclaggio diretto, la batteria viene smontata solo nella misura necessaria a preservare le proprietà funzionali dei materiali. Questo ci permette di ridurre al minimo il numero di passaggi necessari, anche per l’ulteriore lavorazione”, afferma Büchel.

Analizzare con precisione

Ma il lavoro non è ancora finito con il recupero dei materiali. Devono essere rigenerati prima di poter essere riutilizzati in una nuova batteria.
È proprio su questo che Büchel sta attualmente lavorando in diversi dipartimenti insieme al suo collega dell’Empa Edouard Quérel. Nel laboratorio di batterie del dipartimento “Materiali per la conversione energetica”, hanno già scoperto il meccanismo che sta alla base dell’invecchiamento del materiale catodico. “Il litio ferro fosfato ha una struttura cristallina che rilascia e riassorbe gli ioni di litio durante ogni ciclo di carica e scarica”, spiega Büchel. “Questa struttura rimane, ma la quantità di ioni di litio attivi diminuisce nel tempo”. Attualmente i ricercatori stanno lavorando per “rinfrescare” nuovamente il materiale del catodo aggiungendo selettivamente il litio.

L’obiettivo finale è costruire nuove batterie il più efficienti possibile a partire dal materiale riciclato e chiudere il ciclo.

Nei processi di riciclaggio convenzionali, le batterie vengono triturate e i materiali riciclabili vengono separati con processi termici e chimici a umido. Il riciclaggio diretto dovrebbe essere più efficiente dal punto di vista delle risorse, in quanto consuma meno energia e non utilizza sostanze chimiche. Tuttavia, il processo sviluppato da Kyburz e dall’Empa è attualmente adatto solo per la costruzione specifica e la chimica delle celle delle batterie utilizzate, tra l’altro, nei veicoli Kyburz. “Attualmente stiamo studiando se e come questo processo possa essere trasferito ad altri tipi di celle nell’ambito del progetto Innosuisse ‘Circu-BAT’, al quale partecipano, oltre a Kyburz, altre 23 aziende partner”, spiega Büchel.

Fonte: Empa – Dübendorf


Guida alle certificazioni per la sostenibilità

La guida è stata elaborata da SQS, in collaborazione con SUPSI e con il supporto della Divisione dell’economia del Dipartimento delle finanze e dell’economia

La guida si propone di fare chiarezza sul tema e di fornire spunti pratici alle imprese che intraprendono un percorso di certificazione a sostegno delle buone pratiche di CSR come per la redazione del rapporto di sostenibilità semplificato e l’ottenimento della dichiarazione di conformità rilasciata dalla Cc-Ti.

È oramai assodato che la responsabilità sociale d’impresa (CSR) rappresenti un contributo delle aziende allo sviluppo sostenibile. Ne consegue un progressivo e crescente sviluppo di standard certificabili e non certificabili, la cui scelta di adozione richiede un minimo di cultura sul tema. Per orientarsi in questa “giungla” è necessario, in primo luogo, fare i conti con i propri bisogni, con la visione strategica a medio e lungo termine in relazione alle tendenze di mercato, ma anche con lo status quo dell’azienda dal punto di vista organizzativo e culturale. Accade che un’azienda vuole disporre di una o più certificazioni per cogliere pienamente i vantaggi che esse possono portare quale valore aggiunto a livello di competitività e immagine. 

L’adozione di standard ISO e loro certificazione è una scelta strategica. Se la loro implementazione avviene con convinzione e consapevolezza, può innescare una virtuosa trasformazione organizzativa e culturale delle organizzazioni e della loro catena di fornitura. È pertanto importante che i vertici aziendali guidino questa scelta con senso di responsabilità e consapevolezza.

SCARICA LA GUIDA

Fonte: Progetto CSR Ticino

Anche la Cc-Ti ha partecipato al Salone della CSR a Milano

Gianluca Pagani, CSR Manager Cc-Ti, è stato relatore ad un evento presso l’Università Bocconi.

Verso la transizione ecologica: il ruolo delle Camere di Commercio” è questo il titolo della conferenza a cui ha presenziato anche la Cc-Ti lo scorso 4 ottobre 2023 a Milano, presso l’Università Bocconi, in occasione dell’11esima edizione del Salone della CSR e dell’innovazione sociale.

Dall’informazione alle imprese sulla transizione ecologica agli interventi per promuovere la creazione di filiere responsabili: il ruolo delle Camere di Commercio diventa sempre più strategico per la diffusione di comportamenti sostenibili e per lo sviluppo dell’economia dei territori. Una sfida importante che mette in gioco la capacità di tutti gli attori sociali di collaborare e di coniugare innovazione con inclusione sociale, risultati economici e sostenibilità ambientale.

Sono anche intervenuti: Walter Sancassiani, Focus Lab; Carlo De Luca, Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili; Marco Galimberti, Camera di Commercio Como-Lecco ed Elena Fammartino, Unioncamere Piemonte.

RIVEDI L’EVENTO

Gli svizzeri non sono ancora pronti per la mobilità elettrica

Il gruppo assicurativo AXA ha commissionato alla società di ricerca Sotomo uno studio sulla mobilità in Svizzera con particolare attenzione alla mobilità elettrica.

I risultati emersi dall’indagine dimostrano che i cittadini svizzeri non vogliono rinunciare all’utilizzo dell’automobile quale mezzo di trasporto individuale. Per il 71% degli intervistati è importante possederne una.

Una differenza però salta subito all’occhio se si guarda all’orientamento politico delle persone: chi sta a sinistra o è vicino ai verdi è più disposto a rinunciare all’uso dell’automobile privata a favore dei mezzi di trasporto pubblico.

Anche chi abita nelle grandi città tendenzialmente è disposto a rinunciare a questo veicolo. In quest’ultimo caso sicuramente entrano in gioco gli assillanti problemi di traffico negli agglomerati urbani e la buona disponibilità di mezzi di trasporto pubblici.

Se si osserva la mobilità elettrica si nota che oggi i possessori di un’auto completamente elettrica sono generalmente persone con un elevato reddito famigliare netto di circa 9’400.00 Fr. al mese. In questo caso possono permettersi anche una seconda automobile che generalmente è con propulsione tradizionale benzina o diesel. Questa constatazione, in aggiunta al fatto che per il 29% della popolazione l’acquisto di un BEV (Battery Electric Vehicle) non è attualmente un’opzione, dimostra che gli svizzeri sono ancora molto scettici rispetto questo tipo di propulsione a emissioni zero. I timori verso questo genere di propulsione sono sostanzialmente i seguenti: scarsa autonomia garantita dalle batterie e il loro impatto in fase di produzione 54%), lunghi tempi necessari per la ricarica, costo d’acquisto elevato di un veicolo elettrico (53%) e scarsa disponibilità di stazioni di ricarica pubblica o nei condomini.

Anche il riciclaggio delle batterie, che contengono diversi materiali rari e di difficile smaltimento, insinua qualche dubbio (52%). Nonostante ciò, le auto elettriche sono comunque considerate più ecologiche delle auto tradizionali.

La conclusione che possiamo trarre da questo studio è che gli automobilisti non sono ancora pronti ad affidarsi completamente all’energia elettrica per i loro spostamenti privati. La non conoscenza della tecnologia che sta alla base delle BEV, la scarsa informazione da parte degli operatori professionisti del settore e, non da ultimo, i costi ancora elevati per l’acquisto di una nuova auto a zero emissioni, rendono la transizione ecologica della mobilità privata più lenta.

Grafico 1: Propensione della popolazione svizzera all’acquisto di un’auto a propulsione elettrica (Fonte: AXA/Sotomo)

La conferma di questo risultato la troviamo anche nelle cifre di vendita di auto nuove totalmente elettriche che, dopo qualche anno di crescita esponenziale, in questi ultimi mesi si è letteralmente assestata su percentuali costanti del 16% circa in Svizzera e addirittura del 10% in Ticino. Sicuramente questa è una situazione che andrà modificata con uno sforzo da parte di tutti perché, se la mobilità elettrica non è la panacea di tutti i mali, almeno è una parte importante della soluzione.

È possibile scaricare il rapporto completo di Axa/Sotomo da: sotomo.ch/site/projekte/axa-mobilitaetstacho-2023/

Grafico 2: Quattro diversi tipi di mobilità evidenziati dalla ricerca (Fonte: AXA/Sotomo)

Testo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

Il futuro dell’approvvigionamento energetico, fra flessibilità e sicurezza

L’obiettivo della Confederazione in ambito climatico è chiaro: la neutralità carbonica, ossia il saldo zero tra emissioni e assorbimento di gas serra, entro il 2050. Per raggiungerlo si prevede di trasformare radicalmente il sistema di approvvigionamento energetico del Paese, chiamando in causa tutti gli attori coinvolti: produttori, distributori e consumatori.

La chiave di questo piano risiede nella decarbonizzazione, ovvero la sostituzione delle fonti di energia di origine fossile, che emettono CO2 nell’atmosfera, con fonti rinnovabili a emissioni zero. Benzina, olio combustibile e gas, che oggi assicurano circa il 60% del consumo energetico svizzero, saranno sostituiti da energia proveniente da fonti rinnovabili, prevalentemente elettrica. Le termopompe sostituiranno gran parte dei sistemi di riscaldamento ad olio combustibile e i veicoli elettrici prenderanno il posto di quelli a combustione interna.

Decarbonizzare significa quindi elettrificare, che significa a sua volta accrescere il fabbisogno di energia elettrica. La maggiore efficienza dei motori e dei moderni sistemi di riscaldamento elettrici rispetto a quelli a combustione porterà ad un calo dei consumi globali di energia, ma la produzione di elettricità non potrà che aumentare in maniera importante e dovrà essere accompagnata, per quanto possibile, da misure di efficienza che ne ottimizzino l’impiego.

I piani elaborati dalla Confederazione prevedono che l’incremento del fabbisogno dielettricità venga coperto in primo luogo da una massiccia crescita della produzione fotovoltaica. Gli scenari per il 2050 prospettano un sistema di approvvigionamento basato su due pilastri, idroelettrico e fotovoltaico, dove il primo sarà chiamato a compensare l’assenza di produzione del secondo durante le ore senza sole (circa 6’750 delle 8’760 ore annue), in particolar modo nei mesi invernali. Lo sviluppo del solare dovrà quindi essere affiancato da un incremento della produzione idroelettrica invernale, ottenibile attraverso l’aumento della capacità dei bacini di accumulazione e la creazione di nuovi impianti di pompaggio-turbinaggio.

Gli obiettivi di produzione fissati dalla Confederazione sono molto ambiziosi e per il loro raggiungimento le Camere federali hanno recentemente approvato lo stanziamento di fondi miliardari. I primi importanti progetti, tra i quali spicca in Ticino l’innalzamento della diga del Sambuco, stanno vedendo la luce, ma il ritmo degli investimenti nel prossimo decennio dovrà crescere in maniera esponenziale, e non solo a parole.

Il tempo ci dirà se quanto previsto dalla Confederazione permetterà di centrare gli obiettivi climatici, riuscendo contemporaneamente a soddisfare il fabbisogno di energia del Paese in modo sicuro e continuativo. I piani per la transizione energetica sono diffusi in tutto il continente europeo, non solo in Svizzera, e se immaginiamo come influenzeranno le dinamiche degli scambi di energia elettrica tra i singoli Stati, le incognite si moltiplicano.

Ciò che sappiamo già oggi è che non sarà soltanto il fronte della produzione a dover agire. L’aumento della capacità di stoccaggio dei bacini permetterà di spostare una parte della produzione idroelettrica dall’estate all’inverno, compensando il naturale calo di produttività del fotovoltaico in questa stagione, ma le continue e crescenti oscillazioni delle nuove produzioni rinnovabili all’interno delle giornate e delle settimane richiederanno l’adozione di sistemi supplementari per la gestione dei carichi. I consumatori finali, imprese ed economie domestiche, diventeranno sempre più parte attiva del sistema energetico e saranno incentivati a investire in impianti di produzione, di accumulazione e di gestione della flessibilità.

Una quota crescente dei loro consumi sarà coperta dalla produzione di impianti fotovoltaici di proprietà, i veicoli elettrici potranno essere impiegati come sistemi di regolazione, capaci non solo di accumulare ma anche di cedere energia, e l’uso di impianti domestici – quali ad esempio le termopompe – potrà essere modulato in funzione dei carichi di rete. Questa evoluzione permetterà di flessibilizzare il consumo e la produzione dell’energia elettrica, ma richiederà importanti investimenti supplementari da parte delle aziende del settore per adeguare le reti di distribuzione. Parte della produzione di energia sarà ripartita tra migliaia di piccoli impianti e i punti di allacciamento alla rete dovranno gestire un’enormità di microflussi in entrata e in uscita.

Per regolare una tale complessità di transiti e la mole dei dati ad essi collegati, la rete dovrà essere potenziata in tutte le sue componenti. Un recente studio pubblicato dall’Ufficio federale dell’energia stima che l’adeguamento della rete di distribuzione richiederà investimenti superiori ai 40 miliardi di franchi entro il 2050.

Investimenti che, sommati a quelli paventati per lo sviluppo delle nuove produzioni rinnovabili e le ulteriori misure per la neutralità carbonica, faranno lievitare il costo globale della svolta energetica Svizzera ad oltre 100 miliardi di franchi.

Un ciclo di investimenti come non se ne vedevano dai tempi della realizzazione dei grandi impianti di produzione che hanno assicurato l’approvvigionamento del paese nel secondo dopoguerra, quasi 80 anni fa, i cui costi ricadranno su tutti gli attori coinvolti: dalle aziende del settore energetico ai consumatori, passando per il mondo delle imprese.

Ciò che verrà realizzato da qui al 2050 dovrebbe (ed uso il condizionale) garantire il fabbisogno di energia del Paese per i prossimi 80 anni, ma le incognite, a fianco delle opportunità, non mancano. Personalmente non posso non rimarcare come la sicurezza dell’approvvigionamento verrà esposta a grandi rischi e quanto i costi per il consumatore finale siano destinati ad aumentare.


Articolo a cura di Giovanni Leonardi, Presidente del CdA AET

Il rapporto di sostenibilità: un video-tutorial per la compilazione

TI-CSRREPORT.CH

La RSI responsabilità sociale delle imprese (o CSR, dall’inglese Corporate Social Responsibility), nel gergo economico e finanziario, è l’ambito riguardante le implicazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale, etico e ambientale al loro interno e nelle zone in cui si svolgono le attività imprenditoriali. L’attuazione coerente della RSI (CSR) è un contributo essenziale allo sviluppo sostenibile e al superamento delle sfide sociali e può influire positivamente sulla competitività stessa delle aziende.

La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ha sviluppato – con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) – un modello online di rapporto di sostenibilità, lanciato nella primavera del 2022, ed accessibile tramite questo link: www.ti-csrreport.ch.

Il valore del rapporto di sostenibilità

  • Per comunicare il valore generato dall’impresa non solo a livello economico ma anche sociale e ambientale, dimostrando la propria affidabilità a 360° ai partner
  • Per consolidare l’immagine e la reputazione dell’impresa
  • Per integrare e sviluppare le buone pratiche, verificando e migliorando i propri parametri a livello di sostenibilità e di responsabilità sociale
  • Per partecipare e avvantaggiarsi nei bandi pubblici che riconoscono la premialità alle imprese socialmente responsabili

Il rapporto di sostenibilità è un documento sempre più utile e diffuso, che raccoglie le buone pratiche messe in atto da un’azienda, permettendole di integrare le informazioni economiche con un rendiconto dell’impatto sociale e ambientale della sua attività.

Le imprese hanno l’opportunità e l’esigenza di analizzare e comunicare l’esito del loro impegno ai propri interlocutori (azionisti, clienti, fornitori, dipendenti, comunità, enti finanziatori, pubblica amministrazione, associazioni del territorio, media, ecc.).

La responsabilità sociale delle imprese è un elemento che, dal 2021, rientra anche nei bandi di concorso pubblici, con un valore di ponderazione del 4% nei criteri di aggiudicazione.

Il video-tutorial

Tramite questo link è possibile vedere un video esplicativo sul report di sostenibilità Cc-Ti e seguire passo passo le indicazioni per la sua compilazione.


È possibile avere dettagli in merito sul tema e consulenze dirette, contattando Gianluca Pagani, CSR Manager Cc-Ti o Sergio Trabattoni, Collaboratore CSR.

Un sì per il clima: quali le conseguenze?

Lo scorso 18 giugno 2023 il popolo svizzero ha detto sì alla nuova legge sul clima e sull’innovazione. È stato grosso modo un quarto degli aventi diritto di voto a pronunciarsi a favore della nuova legge; infatti, come spesso succede, solo il 40% della popolazione si è recato alle urne e di questo il 60% ha detto sì.

La democrazia svizzera funziona così, quindi la maggioranza non votante della popolazione deve accettare quanto deciso da una minoranza di votanti.

Come ben sappiamo la nuova legge sul clima e l’innovazione, controprogetto moderato all’iniziativa sui ghiacciai, non pone di principio divieti o nuove tasse, ma incentiva iniziative per una transizione ecologica ad emissione zero di CO2 entro il 2050. Per cercare di raggiungere questo ambizioso traguardo è indispensabile che tutti i settori che concorrono alle emissioni di gas a effetto serra facciano la loro parte: i trasporti motorizzati in primo luogo.

Nel corso degli ultimi decenni, grazie alle varie norme di legge introdotte a livello mondiale e allo sviluppo tecnologico dei motori a combustione interna, le emissioni di gas inquinanti prodotte dal traffico stradale, aereo e marittimo (quest’ultimo in maniera meno marcata rispetto agli altri due) sono drasticamente diminuite. Purtroppo, questa diminuzione è stata in parte attenuata a causa dell’aumento del traffico.

Tornando ora agli obiettivi imposti dalla nuova legge sul clima cosa dobbiamo aspettarci per quanto riguarda la mobilità individuale e per il trasporto merci su strada? La domanda è lecita e la risposta, tenendo conto delle tecnologie attualmente disponibili è la seguente: la mobilità elettrica.

Sia chiaro, la mobilità elettrica non è l’unica tecnologia che permetterà raggiungere l’obiettivo, o almeno di avvicinarsi, di zero emissioni di CO2, ma è quella che sarà dominante nella mobilità individuale privata. Altre tecnologie sono in fase di sviluppo e comprendono l’idrogeno, i carburanti sintetici e, almeno in parte, i bio-combustibili. Produrre oggi e nei prossimi anni questi carburanti alternativi richiede investimenti importanti e strutture adeguate che al momento non sono ancora disponibili se non a livello sperimentale. Nel futuro a breve e medio termine, visto quindi la scarsa disponibilità, questi carburanti verranno utilizzati quasi esclusivamente dai trasporti aerei o dal trasporto merci su strada a lunga percorrenza.

Nei prossimi anni gli automobilisti svizzeri, ma anche quelli europei visto che l’Europa ha decretato lo stop alla commercializzazione di veicoli a benzina e diesel entro il 2035, dovranno accettare di spostarsi con automobili a propulsione elettrica e questo malgrado un’indagine appena svolta abbia evidenziato come il 70% degli intervistati non abbia intenzione di acquistare un’auto elettrica. Questo dato sembrerebbe collimare con il risultato della votazione del 18 giugno.

La tecnologia di propulsione elettrica è senza ombra di dubbio un’ottima soluzione per ridurre le emissioni di CO2 a livello locale visto che un motore elettrico non ne produce affatto e inoltre offre anche molti vantaggi a livello di consumo energetico essendo di principio più efficiente. Tuttavia, una delle principali sfide che dovrà essere affrontata sarà la disponibilità di energia elettrica per la ricarica delle batterie. Già oggi assistiamo ad una penuria di elettricità che, in alcune occasioni, ha addirittura minacciato di tradursi in blackout parziali o totali con conseguenze catastrofiche per tutti. La risposta è probabilmente nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili come fotovoltaico, eolico e idroelettrico. Questa sfida spetta al mondo politico.

Ammettendo di trovare le soluzioni adeguate all’approvvigionamento sufficiente di energia elettrica, rimane ancora da risolvere il problema della distribuzione della rete di colonnine di ricarica indispensabili per alimentare l’intero parco veicoli in circolazione. La sfida non è meno titanica della precedente. Anzitutto la rete di distribuzione dell’elettricità potrebbe non sopportare le importanti potenze di carica richieste per le ricariche rapide delle batterie e nemmeno per assorbire i picchi di consumo che si genereranno quando un numero sempre maggiore di automobilisti si collegheranno alla colonnina per fare il pieno della propria auto. Sicuramente andranno trovate delle soluzioni.

L’ultimo anello del sistema di ricarica delle batterie per automobili è la colonnina di ricarica domestica o pubblica. Ancora una volta, se vogliamo raggiungere gli obiettivi imposti dalla legge sul clima, non abbiamo tempo da perdere. Oggi il numero di stazioni di ricarica è ancora abbondantemente al disotto delle necessità e le difficoltà di installazione, in particolare nei condomini, sono ancora importanti. La Confederazione, in collaborazione con diversi enti del settore, ha redatto una roadmap che prevede l’installazione di due milioni di colonnine di ricarica private entro il 2035. Anche se questo obiettivo sarà raggiunto, rimarrà comunque oltre un milione di automobilisti che non potrà ricaricare la propria auto elettrica a domicilio. Per questi ultimi sarà indispensabile affidarsi alle stazioni di ricarica pubbliche il cui sviluppo dipenderà anche dall’imprenditoria privata: se questo diventerà un business redditizio gli investimenti necessari non mancheranno.

Le incognite della transizione ecologica sono molte e le soluzioni per nulla scontate. Ognuno di noi dovrà fare la sua parte adattando a volte anche il proprio modo di affrontare la vita quotidiana.


Testo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

Proprietà intellettuale e sostenibilità

L’idea di sviluppo sostenibile, per sua natura intrinseca, essendo un concetto estremamente complesso e sfaccettato, ha riflessi anche nell’ambito dei diritti di proprietà intellettuale, spingendo la loro evoluzione verso una sempre maggiore ecocompatibilità delle opere dell’ingegno.

L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, in modo molto ambizioso, ha fissato ben 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (per un maggiore approfondimento in proposito si rimanda qui), annoverando obiettivi solo apparentemente eterogenei, volti a plasmare una maggiore responsabilità e attenzione in termini sociali, ambientali ed economici; tali propositi, nei fatti, sono collegati tra di loro da un fil rouge che li annoda gli uni agli altri a doppio filo, nell’ottica di operare in maniera resiliente con l’ecosistema del pianeta.

In questo grande, grandissimo disegno, tutti gli attori (che potremmo definire anche stakeholder, nel senso più ampio ed inclusivo di portatori, responsabili e consapevoli, di interessi coinvolti nelle più variegate iniziative o progetti), dalle aziende più grandi alle microimprese, consumatori finali inclusi ovviamente – che dispongono di un potere formidabile quando determinati obiettivi vengono compresi e fatti propri – possono non solo fare la loro parte, bensì contribuire in modo determinante diffondendo comportamenti e stili sostenibili.

Ma cosa è, e cosa significa in termini pratici la sostenibilità? E che rapporto ha tale idea con la proprietà intellettuale (l’insieme dei diritti legali volti ad assicurare la tutela delle creazioni delle mente umana in campo scientifico, industriale e artistico), di cui sia privati che aziende possono essere titolari?

In primis, per cercare di dare una risposta più compiuta possibile al primo quesito che ci poniamo, è più corretto declinare il concetto di sostenibilità nei diversi modi in cui essa si può concretare; si può parlare, infatti, di Sostenibilità ambientale (responsabilità di utilizzo delle risorse), di Sostenibilità economica (capacità di generare reddito e lavoro) e di Sostenibilità sociale (sicurezza, salute, giustizia e ricchezza).

L’idea di sostenibilità, ovvero parlare di sviluppo sostenibile, è un concetto che ha una natura complessa, con diverse interpretazioni che dipendono anche dai diversi periodici storici; tuttavia, la definizione universalmente riconosciuta risale al 1987 e si trova nel cosiddetto Rapporto Brundtland (un documento prodotto dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, istituita da una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, presieduta dalla politica e medica norvegese Gro Harlem Brundtland) – dal titolo “Our common future” – il quale pone l’attenzione sui principi di equità intergenerazionale e intragenerazionale. Il rapporto identifica per la prima volta la sostenibilità come la condizione di uno sviluppo in grado di “assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

Già, riuscire a soddisfare integralmente i propri bisogni economici e sociali, ma senza compromettere le generazioni future o complicare la loro esistenza e, nondimeno, senza sfruttare in modo scriteriato ed irresponsabile l’ecosistema terrestre, anzi, assecondare le ancestrali regole che lo governano da migliaia di anni.

Apparentemente, tutti noi accettiamo una sfida immane, di proporzioni ciclopiche, la quale tuttavia va affrontata scomponendo i vari problemi (prendendo spunto dal metodo scientifico), decostruendoli in maniera da tale da perseguire una demoltiplicazione ed un contenimento, ed al contempo di comprendere meglio i singoli meccanismi e le situazioni all’origine dei cambiamenti, che oggi non è più possibile ignorare o, ancor peggio, minimizzare o negare.

Certamente, una risposta alla seconda domanda che ci si era posti, ovvero che correlazione c’è tra proprietà intellettuale e sostenibilità, è data dal fatto che una protezione adeguata ed aggiornata delle diverse opere dell’ingegno funge da volano per l’innovazione. In questo modo si stimolano gli investimenti virtuosi, volti a migliorare la gestione delle risorse e le condizioni quadro complessive che hanno un diretto impatto sulle attività umane e sull’ambiente; si pongono infatti le premesse per un ciclo di rinnovamento non soltanto efficiente, ma anche sostenibile, sul modello della triplice suddivisione del concetto di sostenibilità descritto in precedenza.

Il recente studio “Green EU trade marks” condotto dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), pubblicato nel febbraio 2023 (quale aggiornamento di un precedente lavoro pubblicato nel 2021), ha voluto verificare e valutare se la maggiore attenzione tra il pubblico dei titolari di domande/registrazioni di marchi europei, tra i responsabili delle politiche per i cambiamenti climatici e il degrado ambientale, si rispecchiasse nelle domande/registrazioni di marchio dell’Unione europea.

Tale studio (svolto tramite un algoritmo espressamente sviluppato a tale scopo), finalizzato a tracciare domande/registrazioni di marchio dell’Unione europea che, a livello merceologico, rivendicano prodotti/servizi dotati di caratteristiche di sostenibilità o legati alla protezione dell’ambiente (le macro categorie investigate sono state le seguenti: produzione di energia, trasporti, conservazione dell’energia, riuso/riciclo di prodotti, controllo dell’inquinamento, gestione dei rifiuti, agricoltura, consapevolezza ambientale e cambiamento climatico), ha rilevato come vi sia un interesse cresciuto esponenzialmente negli anni verso prodotti/servizi ad alto contenuto “verde”; basti un solo dato, nel 1996, il primo anno di operatività dell’EUIPO, i marchi europei cosiddetti “green” ammontavano a 1’588 unità, venticinque anni dopo, nel solo anno 2021, il numero degli stessi marchi “green” ha raggiunto la ragguardevole cifra di quasi 19’000 unità.

Il trend di interesse non si è dimostrato da meno anche nel campo dei brevetti d’invenzione; nel 2013 l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (WIPO), che ha sede a Ginevra, ha lanciato la piattaforma WIPO GREEN, un marketplace globale nato per agevolare lo scambio e la diffusione di tecnologie sostenibili, che mette a disposizione dati, servizi di network ed esempi di progetti concretamente applicati, monitorati, e che si sono evoluti nel tempo; anche per quanto riguarda le tecnologie brevettate, si ritorna a parlare di sostenibilità, in quanto il capito 34 della Agenda 21 (il programma di azione della Nazioni Unite adottato a conclusione della conferenza di Rio de Janeiro nel 1992), definisce come “green technologies” le tecnologie che: “proteggono l’ambiente, sono meno inquinanti, utilizzano tutte le risorse in modo più sostenibile, riciclano una quantità maggiore di rifiuti e prodotti e gestiscono i rifiuti residui in modo più accettabile rispetto alle tecnologie che sostituiscono”.

A conclusione di questa breve galoppata attraverso un tema, quello della sostenibilità, che è trasversale a tantissimi ambiti, ivi incluso quello della proprietà intellettuale, e che sarà fondamentale per superare le cosiddette sfide globali (basti pensare, fra le diverse tematiche attuali, alla gestione delle risorse idriche o all’agricoltura di precisione, che possono essere validamente coadiuvate dallo studio e dallo sviluppo di tecnologie innovative guidate da modelli meteorologici e climatologici), si nota come il ciclo di sviluppo delle opere dell’ingegno assomigli sempre più ai cicli osservabili nella natura, un processo in continuo divenire, solo apparentemente statico, sempre alla ricerca del perfezionamento meritevole di vincere la sfida del progresso.


Articolo a cura di Hermann Padovani, M. ZARDI & Co. S.A., info@zardi.ch, www.zardi.ch

10 anni LIFT Ticino: festeggiamenti e visioni future

LIFT ha come principale obiettivo quello di creare un ponte tra mondo scolastico e mondo professionale, per facilitare la transizione dei e delle giovani che terminano la scuola media. Dopo aver preso avvio nel 2006 nella Svizzera tedesca, il progetto è giunto dal 2013 anche nel Canton Ticino, dove quest’anno si sono celebrati i primi 10 anni di attività.

Per l’occasione si è tenuta una serata-evento lo scorso 10 maggio presso la scuola media di Agno. Alla serata hanno partecipato una settantina di persone, tra rappresentanti del mondo scolastico, istituzionale e aziendale.
Era presente anche l’On. Marina Carobbio Guscetti, Consgliera di Stato e Direttrice del Dipartimento educazione, cultura e sport, che è intervenuta con un breve discorso nel quale ha spiegato di conoscere bene il progetto LIFT già dalla sua precedente attività politica a Berna e di apprezzarne i contenuti e i benefici che porta ai giovani e alle giovani.

In seguito, il pubblico ha potuto assistere ad una breve presentazione del programma LIFT e del suo sviluppo nel Cantone, e alla proiezione di un filmato, realizzato appositamente per l’occasione grazie alla collaborazione tra LIFT e il CERDD, il centro di risorse didattiche e digitali del Cantone Ticino (è possibile vedere il filmato tramite questo link).

A conclusione dell’evento, si è svolta una tavola rotonda, moderata dalla giornalista Agata Galfetti, sul tema degli sbocchi professionali per gli allievi e le allieve di quarta media. Alla discussione hanno partecipato Oscar Gonzalez (Divisione della formazione professionale), Massimo Genasci-Borgna (Ufficio orientamento scolastico e professionale), Daniela Bührig (AITI), Sara Rossini Monighetti (in rappresentanza della Cc-Ti), Christian Romanenghi (ex allievo LIFT) e Alex Manfredi (LIFT).

È noto che molti ragazzi e ragazze riscontrano delle difficoltà, di vario tipo, nel percorso di transizione tra mondo scolastico e mondo professionale. Oppure la difficoltà non emerge tanto nel trovare un posto di apprendistato, bensì nel riuscire a mantenerlo. I giovani da aiutare sono molti ma fortunatamente essi possono anche contare su una vasta rete di misure. È quindi importante che tutti gli attori presenti sul territorio collaborino strettamente per il bene di ragazzi e ragazze e per il raggiungimento dell’obiettivo comune che è quello di diminuire la disoccupazione giovanile.

Il principale obiettivo di LIFT resta quello di permettere ai giovani di sperimentare concretamente il mondo del lavoro, già durante la terza e la quarta media. Grazie al programma di LIFT, avranno così maggiori possibilità di ottenere un posto di apprendistato (o altra collocazione) ed iniziare il loro percorso professionale nel migliore di modi.

LIFT ha infatti molteplici effetti positivi sui giovani. Ne aumenta l’autostima e la motivazione, arricchisce il loro curriculum vitae e amplia la rete di conoscenze professionali e sociali. Tutti questi elementi permettono loro di trovare più facilmente un posto di apprendistato. Le cifre per il 2022 mostrano che, a livello nazionale, il 63% dei giovani che hanno partecipato a LIFT hanno trovato una soluzione di formazione (AFC o CFP) immediatamente al termine della scuola media.

Il futuro: concretezza per i giovani

Attualmente le sedi di scuola media che offrono LIFT ai loro allievi e alle loro allieve sono undici: dieci scuole pubbliche e una privata. Ci auguriamo che in futuro altre sedi possano seguire l’esempio e lanciarsi nell’avventura LIFT.

I giovani che possono beneficiare del programma e le loro famiglie sono riconoscenti alle scuole che decidono di inserire LIFT nella loro offerta. Citiamo l’esempio di Chiara (nome noto alla redazione), ragazza molto timida che in terza media accetta di partecipare a LIFT. Le viene offerta la possibilità di effettuare uno stage (posto di lavoro di settimanale) nel settore marketing e relazioni pubbliche di una banca. Le prime settimane ha un atteggiamento molto chiuso, esegue i compiti con impegno, ma quasi non parla e si relaziona solo con la persona responsabile dello stage LIFT all’interno della banca. Ma col passare del tempo, Chiara acquista pian piano maggior fiducia, diventa più estroversa e comunica molto più facilmente con gli adulti. Tanto che collabora con profitto all’allestimento di un evento nel foyer della banca, occupandosi anche dell’accoglienza del pubblico. Chiara ha poi concluso la quarta media e trovato un posto di apprendistato, anche se non nel settore bancario.

Queste storie di successo potranno continuare in futuro grazie a LIFT e a tutti i suoi partner (statali e non), che sono fondamentali sotto il profilo finanziario – ricordiamo che LIFT è un’associazione no profit – o nel fornire un aiuto pratico alla crescita del programma.  

Il ruolo della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi è per LIFT molto importante perché permette a LIFT di farsi conoscere nel mondo economico e aziendale. Sappiamo che potremo contare anche in futuro sul sostegno della Cc-Ti e ci impegneremo a ripagare la fiducia continuando a puntare su risultati concreti, per il bene dei e delle giovani che cercano di trovare e di percorrere la loro strada nel mondo professionale.


Filmato su Youtube


Articolo a cura di Alex Manfredi, Coordinatore regionale Ticino del progetto LIFT

Apertura tecnologica

di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti

2035: l’anno della definitiva svolta energetica in ambito del trasporto privato. Anche l’ultima istanza politica europea, che doveva decidere sulla messa al bando dei carburanti di origine fossile e di conseguenza puntare tutto sulla mobilità elettrica, si è espressa a favore di questa drastica misura. C’è però stata una svolta che ha cambiato le carte in tavola. Dietro pressione della Germania, gli europarlamentari hanno inserito tra i vettori energetici per le autovetture anche la possibilità di vendere, dopo il 2035, veicoli con motore a combustione interna se alimentati con carburanti sintetici o e-carburanti. Questa decisione è molto positiva per tutti. Da un lato sarebbe stato piuttosto pericoloso affidarsi ad un unico vettore energetico, l’elettricità, per mettere in movimento l’intero parco circolante europeo. Dall’altra, se si vuole veramente risolvere il problema delle
emissioni di CO2, bisogna lasciare il campo aperto a tutte le tecnologie.
Solo così il mondo scientifico e lo sviluppo tecnologico possono valutare ogni via percorribile e proporre le soluzioni migliori. Chiudendo invece a priori lo sviluppo degli e-carburanti, gli investimenti nella ricerca e sviluppo di questa innovativa tecnologia sarebbero sati cancellati o per lo meno spostati al difuori dell’Europa dove le altre nazioni non hanno posto vincoli ai vettori energetici per il settore dei trasporti. Altre fonti energetiche invece, non sono state perse in considerazione.
Per esempio, i bio-carburanti, come chiesto a gran voce dall’Italia che in quest’ultima tecnologia ha investito moltissimo negli scorsi anni. La decisione presa dai parlamentari europei, una volta tanto, ha una ragione d’essere. Vediamo perché.

Gli e-carburanti

Questi carburanti, definiti carburanti sintetici, e-carburanti o carburanti elettrici, sono dei prodotti che non si trovano in natura, ma si ottengono grazie alla sintesi di idrogeno o, in rari casi, anche di bio-carburanti e CO2. Per questo processo di sintesi, ma anche per la produzione di idrogeno verde, serve molta energia elettrica. Da qui il nome di e-carburanti. Alla base c’è dunque l’idrogeno, un elemento molto abbondante sulla Terra, ma solo in combinazione con altri elementi come, ad esempio, l’ossigeno formando in pratica l’acqua. Per ottenere l’idrogeno occorre quindi scomporre i due elementi, ossigeno e idrogeno, grazie all’elettrolisi. Questo processo può funzionare soltanto utilizzando grandi quantità di elettricità, motivo per il quale quest’ultima, se si vuole ottenere un processo realmente sostenibile da punto di vista ambientale, deve essere prodotta da fonti rinnovabili come fotovoltaico, eolico o idroelettrico. Oltre all’idrogeno serve la CO2. Quest’ultima, per far sì che il processo sia neutro dal punto di vista delle emissioni, deve essere prelevata dall’aria ambiente.
Combinando poi i due elementi, idrogeno e CO2, si ottiene un carburante che può essere utilizzato in un motore a combustione interna come quelli che oggi utilizziamo su gran parte delle vetture circolanti. Ecco, quindi, un altro vantaggio: la tecnologia e le vetture già oggi in circolazione non sarebbero da buttare, ma, anzi, diventerebbero anche queste a emissioni a zero di CO2. A dire il vero, questo tipo di automobili emetterebbe comunque della CO2, la differenza rispetto alle emissioni attuali è che in questo caso si tratterebbe della stessa quantità di anidride carbonica prelevata dall’aria ambiente utile per la reazione chimica necessaria.
Una domanda però sorge spontanea: per quale motivo si dovrebbe utilizzare la corrente elettrica per produrre un carburante sintetico da bruciare in un motore a combustione interna? Non converrebbe utilizzare direttamente la corrente elettrica per alimentare una vettura a batteria? Uno dei problemi dell’elettricità
è il suo immagazzinamento. Sappiamo che quest’ultimo non è semplice e, con la tecnologia attuale, l’unica possibilità è accumularla all’interno di una batteria. Per quantità relativamente ridotte questo è fattibile senza problemi, mentre per grandi quantità ad oggi non esiste una soluzione. Un altro problema dell’energia elettrica è il suo “trasporto” su lunghe distanze. Oggi per portare l’energia elettrica da un punto di produzione al punto di utilizzo si fa capo alla rete di distribuzione ad alta tensione. Questo è fattibile su distanze di qualche migliaio di chilometri, ma non oltre. È impossibile immaginare di produrre energia elettrica in America del Sud grazie all’eolico per poi utilizzarla in Europa quale vettore energetico per il trasporto privato. È invece possibile produrre e-carburanti in Argentina, dove oggi esiste un impianto pilota gestito da Porsche, e in seguito, come avviene già con la benzina e il diesel, trasportarlo in tutta sicurezza in Europa per essere poi venduto presso la rete di stazioni di rifornimento già esistenti.

E i bio-carburanti

I bio-carburanti sono prodotti a partire da bio-masse o da vegetali coltivati a questo scopo. Anche in questo caso si possono ritenere dei carburanti con bilancio di emissioni di CO2 neutro. Infatti, la CO2 che viene emessa quando il bio-carburante brucia all’interno del motore è la stessa che le piante coltivate per la sua produzione hanno assorbito dall’aria durante la loro fase di crescita. Allora perché non sono stati presi in considerazione al pari degli e-carburanti?
Uno dei principali problemi è proprio la necessità di coltivare molti terreni a questo scopo sottraendoli alla produzione di vegetali a scopo alimentare.
La decisione dell’Unione Europea va quindi nella giusta direzione offrendo la possibilità di una migliore gestione dell’energia che è possibile produrre da fonti rinnovabili consentendo un immagazzinamento più semplice e una distribuzione più capillare, indipendentemente dal luogo di produzione. Pensando poi anche al difuori del mondo delle automobili, come ad esempio il trasporto aereo o marittimo, la disponibilità di carburanti liquidi o gassosi di facile immagazzinaggio renderanno più ecologici anche gli spostamenti a lungo raggio.