Intervista con ChatGPT

“Il futuro delle aziende è nell’integrazione tra IA ed esseri umani”

“Bella l’intelligenza artificiale. Ma, in concreto: a cosa mi serve?”
Questa è la domanda che ricorre più spesso nelle riunioni con manager e imprenditori. Tanto che ho pensato: perché limitarmi alla classica risposta da agenzia di marketing? Facciamo parlare il diretto interessato! Di seguito trovate quindi la trascrizione fedele di una reale intervista a ChatGPT.

Manuela Cuadrado MC
“Ciao, ChatGPT. Grazie per la disponibilità a quest’intervista sull’AI”.
ChatGPT:
“Grazie a te, è un piacere partecipare a quest’intervista”.

MC “Prima domanda: immagina di sostenere un colloquio di lavoro in un’azienda che cerca un assistente basato sull’intelligenza artificiale. Presentati, spiega loro cosa fai e in che modo puoi essere utile per rendere più efficienti i processi aziendali”.

ChatGPT: “Buongiorno, sono ChatGPT, un modello di intelligenza artificiale sviluppato da OpenAI, basato sull’architettura GPT-4. La mia principale competenza è nella comprensione e generazione del linguaggio naturale, il che mi rende uno strumento versatile per svariati ambiti, dalla formazione del personale all’analisi dati. La mia presenza in azienda può portare a un significativo risparmio di tempo e risorse, migliorando l’efficienza e la qualità del lavoro in diversi reparti. Inoltre, posso essere programmato per integrarmi con altri sistemi e software aziendali, migliorando l’automazione dei processi e l’efficienza operativa”.

MC “Interessante, ma un po’ vago. Puoi entrare maggiormente nello specifico, con alcuni esempi concreti?”

ChatGPT: “Certamente, ecco alcuni ambiti in cui l’intelligenza artificiale come ChatGPT può lavorare efficacemente insieme agli esseri umani per migliorare le performance aziendali:

  1. Analisi dei Dati dei Sistemi ERP: posso assistere nell’analisi dei grandi volumi di dati generati dai sistemi di pianificazione delle risorse aziendali (ERP). Questo include l’interpretazione di tendenze, la generazione di insight per il miglioramento dei processi, e l’identificazione di aree per l’ottimizzazione delle risorse.
  2. Customer Service: nel servizio clienti, posso aiutare ad analizzare le interazioni con i clienti, identificare i problemi comuni, suggerire miglioramenti e automatizzare le risposte a domande frequenti, liberando tempo prezioso per il personale umano.
  3. Marketing e Analisi del Sentimento: posso analizzare i feedback dei clienti e i dati sui social media per valutare il sentiment del mercato, fornendo insight preziosi per strategie di marketing e sviluppo di prodotti.
  4. Supporto Decisionale Basato sui Dati: attraverso l’analisi avanzata di dati, posso aiutare i decision maker a comprendere meglio i modelli e le tendenze, fornendo informazioni che possono guidare decisioni aziendali più informate.
  5. Ottimizzazione della Supply Chain: l’analisi dei dati di supply chain può essere migliorata tramite IA, che può prevedere i problemi di supply chain, ottimizzare la logistica e migliorare la gestione delle scorte.
  6. Gestione del Rischio e Conformità: posso aiutare ad analizzare le transazioni e le attività aziendali per rilevare anomalie, prevenire frodi e assicurare la conformità con le normative.
  7. Formazione e Sviluppo del Personale: posso essere utilizzato per creare materiali di formazione personalizzati, simulazioni interattive e programmi di apprendimento basati sull’IA per migliorare le competenze dei dipendenti.
  8. Ricerca e Sviluppo: nell’R&D, posso accelerare la ricerca analizzando grandi quantità di letteratura scientifica e brevetti, generando nuove idee o identificando potenziali aree di innovazione”.

MC “Fai davvero un sacco di cose. Molti temono che ruberai il lavoro agli esseri umani. È così?”

ChatGPT: “Questa è una domanda molto importante e complessa. L’impatto dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro è un argomento di grande dibattito. L’intelligenza artificiale offre strumenti potenti e può portare a significativi miglioramenti in termini di efficienza e automazione dei processi. Tuttavia, è importante riconoscere i limiti e le peculiarità dell’IA rispetto alle capacità umane.

  1. Complementarità Piuttosto che Sostituzione: l’IA funziona al meglio quando viene utilizzata per complementare e potenziare le capacità umane, piuttosto che cercare di sostituirle completamente. Gli esseri umani possiedono creatività, empatia, giudizio critico e la capacità di gestire l’ambiguità in modi che l’IA non può replicare.
  2. Questioni Etiche e di Fiducia: i clienti e i dipendenti si fidano e si relazionano meglio con gli esseri umani, soprattutto in situazioni complesse o sensibili. Mantenere un’equilibrata collaborazione uomo-macchina può migliorare la fiducia e l’accettazione da parte degli stakeholder.
  3. Gestione del Cambiamento e Impatto Sociale: è importante considerare l’impatto sociale dell’automazione eccessiva. Le aziende hanno una responsabilità sociale di gestire il cambiamento in modo etico, che include la riqualificazione dei lavoratori e la gestione delle transizioni di carriera.
  4. Innovazione e Creatività Umana: molte delle migliori innovazioni emergono dall’interazione umana e dalla collaborazione. La creatività e l’innovazione spesso richiedono un’intuizione umana che attualmente l’IA non può fornire.
  5. Limiti dell’IA: mentre l’IA è straordinariamente potente in certi ambiti, ha anche limiti, specialmente in situazioni non strutturate o che richiedono comprensione contestuale profonda. Le decisioni complesse e le sfide imprevedibili spesso richiedono il discernimento umano.

In conclusione, incoraggio un approccio bilanciato all’IA, uno che valorizzi le uniche capacità umane e utilizzi l’IA come uno strumento per migliorare, piuttosto che sostituire, il lavoro umano”.
MC “L’IA aprirà anche nuove opportunità di mercato per le aziende?”
ChatGPT: “Certamente. L’intelligenza artificiale sta aprendo una varietà di nuove opportunità di mercato in diversi settori. Ecco alcuni esempi significativi:

  1. Assistenza Sanitaria Personalizzata: l’IA può analizzare enormi quantità di dati sanitari per fornire diagnosi più accurate, piani di trattamento personalizzati e monitoraggio della salute in tempo reale. Questo include lo sviluppo di terapie personalizzate basate sulla genetica e l’analisi di immagini mediche.
  2. Automazione Industriale e Robotica: l’uso dell’IA in automazione industriale e robotica sta trasformando la manifattura, consentendo una produzione più efficiente, flessibile e personalizzata, e creando opportunità per nuovi tipi di servizi e prodotti.
  3. Servizi Finanziari Intelligenti: l’IA sta rivoluzionando il settore finanziario attraverso algoritmi di trading ad alta frequenza, gestione personalizzata del patrimonio, prevenzione delle frodi e analisi predittiva per i prestiti e il credito.
  4. Veicoli Autonomi e Mobilità Intelligente: lo sviluppo di veicoli autonomi e sistemi di trasporto intelligenti sta creando nuove opportunità nel campo della mobilità, dalla riduzione degli incidenti stradali all’ottimizzazione del traffico e ai nuovi modelli di business come i servizi di mobilità come servizio (MaaS).
  5. Agricoltura di Precisione: l’AI in agricoltura può aumentare l’efficienza attraverso la gestione predittiva delle colture, l’analisi dei dati satellitari per il monitoraggio delle condizioni dei campi e la robotica per l’automazione delle operazioni agricole.
  6. Energia e Sostenibilità: l’IA può ottimizzare l’uso delle risorse energetiche, migliorare l’efficienza delle energie rinnovabili e contribuire allo sviluppo di soluzioni più sostenibili per la gestione delle risorse naturali.
  7. E-commerce Personalizzato: nel settore dell’e-commerce, l’IA può fornire esperienze di acquisto personalizzate, migliorare la logistica e la gestione delle scorte, e offrire servizi di assistenza clienti avanzati.
  8. Intrattenimento e Media: l’IA sta trasformando l’intrattenimento e i media con la personalizzazione dei contenuti, la creazione di effetti visivi avanzati e la generazione automatica di contenuti, come musica, testi e sceneggiature.
  9. Sicurezza e Sorveglianza: l’applicazione dell’IA nella sicurezza e nella sorveglianza include il riconoscimento facciale, l’analisi delle immagini di sorveglianza e la rilevazione delle minacce in tempo reale.
  10. Educazione e Formazione: l’IA può personalizzare l’esperienza di apprendimento, fornire tutoraggio intelligente e assistere nella progettazione di materiali didattici innovativi.

Queste opportunità rappresentano solo una parte del potenziale dell’IA. Man mano che la tecnologia si evolve, è probabile che emergano nuove applicazioni e mercati, spingendo ulteriormente i confini dell’innovazione”.

MC “Fai davvero un sacco di cose, in azienda. Ma… prendi anche il caffè?”.

ChatGPT: “Ah, una domanda interessante! Come intelligenza artificiale, non ho la capacità di gustare o consumare cibo o bevande, incluso il caffè. Sono qui per fornire informazioni e assistenza, ma lascio il piacere del caffè agli esseri umani! Se hai altre curiosità o domande, sono qui per rispondere”.

In conclusione

Insomma, l’IA è pronta ad entrare in azienda e lavorare con noi. E noi, lo siamo? La sfida del presente è sfruttare al massimo il potenziale di questi sistemi nei confini della legalità e nel rispetto dell’etica. Se ci riusciremo, avremo cavalcato la più grande opportunità tecnologica dall’invenzione del web. Non lasciamocela sfuggire!


Eco-branding: ridurre l’impatto ecologico dell’immagine di un marchio

I progressi tecnologici e la produzione di massa sono diventati una vera minaccia per l’ecosistema del pianeta. Di conseguenza, la popolazione sta diventando sempre più consapevole dei propri consumi e del proprio stile di vita e cerca anche di far sì che le imprese si responsabilizzino in materia di tutela dell’ambiente.

Grazie agli sforzi di aziende e privati, l’eco-responsabilità è diventata una priorità importante. Una società che segue principi ecologici è detta “sostenibile” o “verde”. Utilizza efficacemente le risorse umane e naturali e si assume la responsabilità delle proprie azioni. Un approccio così sensato al business comporta una serie di vantaggi per le aziende, tra cui la fidelizzazione dei clienti.

In effetti, i consumatori di oggi desiderano che i marchi condividano i loro stessi valori. Un cliente che acquista un prodotto di un’impresa, manifesta anche l’accettazione dei valori di tale società e il suo sostegno allo sviluppo sostenibile.
Anche altri vantaggi, come i vantaggi competitivi, sono ugualmente importanti. Un’azienda cosiddetta “verde” ha spesso più successo dei suoi concorrenti non-verdi. Spesso, i consumatori sono disposti a spendere di più per prodotti eco-compatibili e boicottare le aziende che ignorano le preoccupazioni ambientali. Tuttavia, questo approccio sostenibile comporta due sfide principali: la produzione e i costi.

Per quanto riguarda la produzione, è infatti necessario trovare fornitori che condividano gli stessi valori. Ciò richiede ulteriori sforzi per quanto riguarda la supervisione/controllo delle fasi di produzione e l’acquisto delle materie prime. Un approccio ecologico implica generalmente anche costi di produzione più elevati che si traducono in prezzi di vendita più alti. Ciò può allontanare una parte dei clienti che preferiscono il prezzo alla qualità, ma anche fidelizzare coloro che si dedicano alla causa in modo convinto a 360°.

I marchi verdi si impegnano a rendere il pianeta un posto migliore dal punto di vista ecologico. Questa ambizione deve quindi manifestarsi in tutto ciò che intraprendono e nella comunicazione puntuale con i loro clienti.

Eco-branding: che cos’è?

L’eco-branding consiste nel limitare le risorse utilizzate per la comunicazione del marchio. Combina approccio eco-responsabile e comunicazione. L’idea è quella di integrare una riflessione eco-responsabile nella creazione della propria immagine di marca. Il processo mira a limitare l’impatto ambientale del marchio riducendo gli elementi grafici.

Ad esempio, la semplificazione di un logo ridurrebbe l’inchiostro utilizzato, quindi avrebbe un doppio impatto: ecologico ed economico. Di conseguenza, l’approccio influenza tutti gli elementi grafici di un marchio. Sia il logo, il colore, la tipografia e l’illustrazione. Inoltre, interviene anche nella scelta del sito web, dell’inchiostro o della carta.

L’eco-branding si inserisce così nelle strategie di responsabilità sociale delle imprese (CSR) e sviluppo sostenibile.

Attuazione dell’eco-branding

L’eco – logo: l’obiettivo principale di un eco-logo è quello di consumare meno inchiostro durante la stampa al fine di limitare l’impatto ecologico. È quindi necessario affinare le linee e anche limitare le sfumature di colore. Di conseguenza, i loghi-ecologici si identificano per il loro aspetto piuttosto essenziale.

Gli eco – colori: le scelte cromatiche di un marchio possono anche avere un impatto eco-responsabile. Per così dire, bisognerebbe privilegiare l’uso dei colori CMYK ricavati dal processo a quattro colori. Il colore viene quindi creato con l’aggiunta della percentuale delle quattro tonalità; ciano, magenta, giallo e nero. Per un eco-colore, la somma di questi quattro colori non deve superare il 100%. Pur utilizzando meno inchiostro, si tratta di ridurre l’intensità di un colore senza che ciò si veda ad occhio nudo.

Gli eco – font: anche il carattere scelto ha un impatto sull’eco-branding. Infatti, più un carattere è sottile e stretto, meno inchiostro utilizzerà. Alcuni fonts classici possono fungere da eco-fonts. Tuttavia, da qualche tempo, i caratteri sono pensati appositamente per l’eco-branding.

L’eco – IU: un’interfaccia utente ecosostenibile passa attraverso la progettazione di un’interfaccia utente che richiede meno spazio su un server, limita il consumo di energia e larghezza di banda e preserva la durata di vita delle batterie. Alcune tracce eco-IU: limitare la luminosità, risparmiare energia sui display OLED, ridurre le dimensioni dei file per ridurre lo spazio di archiviazione sui server.


Fonte: Marina Lauper, Magazine swiss print communication n° 6-7 2022; traduzione ed adattamento Cc-Ti

Quale futuro per la tracciabilità dei dati?

Negli ultimi mesi, i garanti della privacy europei sembrano aver dichiarato guerra ai sistemi di tracciamento che consentono di monitorare i risultati delle attività digitali. In particolare, a Google Analytics, la piattaforma di analisi che permette di analizzare le visite ai siti web, secondo alcune interpretazioni violerebbe il GDPR (Regolamento Europeo per la Tutela dei Dati personali).

Il Regolamento, è bene ricordarlo, riguarda anche le imprese svizzere perché si concentra sull’utente che naviga il sito. Quindi se un’azienda australiana, svizzera o canadese fa una campagna di web marketing in cui tratta dati di cittadini UE, è soggetta al GDPR quanto un’azienda italiana, francese o tedesca. Le imprese ticinesi sono particolarmente coinvolte, perché la maggioranza di esse (in particolare quelle legate ad accoglienza e turismo) si rivolge anche al pubblico italiano. Ed è proprio l’Italia ad essere tra i maggiori protagonisti di questa vicenda, che rischia di destabilizzare molte attività digitali già in corso e rendere decisamente più complesse quelle a venire.

Ma cosa è successo esattamente? Ecco una breve analisi. Il 9 giugno scorso il garante della Privacy Italiano ha emesso un provvedimento con cui sembra considerare illegale Google Analytics. La pietra dello scandalo è la denuncia contro una nota società che pubblica contenuti editoriali sul web, “rea” di aver raccolto e trasferito i suoi dati a Google LLC “in assenza delle garanzie previste dal capo V del GDPR”. Si tratta del paragrafo che disciplina i trasferimenti di dati verso “Paesi terzi” ovvero al di fuori dello spazio economico europeo: in sintesi, sono ammessi solo se il Paese ricevente garantisce un livello di protezione adeguato a quello europeo. I Paesi considerati conformi al GDPR sono elencati in una lista ufficiale, che include anche la Svizzera. Ma, incredibile a dirsi, gli USA sono considerati “non adeguati”. La patria delle più importanti aziende digitali attive a livello globale, da cui sono partite le maggiori innovazioni, non è più considerata compliant dal 16 luglio 2020, quando, con la sentenza Schrems II, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato invalido l’accordo Privacy Shield che regolamentava il traffico di dati tra Europa e Stati Uniti. L’accordo, in vigore dal 2016, succedeva a Safe Harbour, a sua volta affossato nel 2015 in seguito alla sentenza Schrems I.

Cosa ha portato a una decisione così radicale? Le leggi statunitensi, in primis il Patriot Act, concedono ampia discrezionalità alle agenzie di intelligence, come CIA, NSA o FBI: in caso di sospetta minaccia per la sicurezza nazionale, possono esaminare i dati contenuti nei server di qualunque azienda che abbia sede negli Stati Uniti, anche se appartengono a cittadini stranieri, e senza autorizzazione da parte di un tribunale. Questo, in teoria, significherebbe avere accesso a informazioni molto delicate, come lo stato di salute, l’orientamento sessuale o politico, il credo religioso, ma anche abitudini alimentari, situazione sentimentale, genitorialità, ecc.. L’apprensione di Bruxelles è comprensibile: il Patriot Act è stato duramente contestato anche in patria, e per questo “addolcito” nel corso degli anni, ma senza scardinare i punti più controversi.

Questa situazione ha portato a uno stallo geopolitico che dura da due anni. La soluzione sembra ancora lontana, nonostante l’“accordo di principio” ottimisticamente annunciato la scorsa primavera da Joe Biden e Ursula Von Der Leyen.

In questo contesto, la decisione dei garanti europei sembra voler spingere al raggiungimento di un’intesa. A farne le spese è però l’intera economia digitale, a cominciare proprio dalle Big Tech. Già lo scorso febbraio, Meta (nuovo nome della holding che include Facebook e Instagram) aveva scritto un’accorata lettera alla Sec, l’autorità statunitense di vigilanza per il mercato e la borsa valori, lamentando che in assenza di una nuova regolamentazione per il flusso dei dati tra Europa e Stati Uniti, «non saremo più in grado di offrire alcuni dei nostri prodotti e servizi più importanti, compresi Facebook e Instagram in Europa, fatto che influirebbe materialmente e negativamente sulla nostra attività, sulla nostra condizione finanziaria e sui risultati delle nostre operazioni» (frase riportata da varie fonti stampa tra cui il noto blog di tecnologia Mashable).

Google non è rimasto a guardare. Consapevole che la piattaforma Google Analytics presentava dei limiti tecnici per la compliance al GDPR, ha lavorato al rilascio di una nuova versione, completamente rinnovata e potenziata, pronta per essere compliant: Google Analytics 4. La nuova release, se correttamente configurata, permetterebbe di continuare le attività di tracciamento nel rispetto della normativa. Ma solo se viene raggiunto un accordo politico tra Washington e Bruxelles: se non fosse così, il mero utilizzo di piattaforme e software Made in USA che comportano passaggio di dati a server sul territorio statunitense potrebbe diventare passibile di sanzione. Quindi non solo Google Analytics: il problema si porrebbe anche, a titolo d’esempio, per gli spazi cloud come Google Drive, Dropbox, Microsoft One Drive; per soluzioni di marketing automation come Hubspot; per programmi di messaggistica come Whatsapp; e per tutti i social media, incluso Linkedin!

Un bel problema per chiunque lavori o promuova la sua attività attraverso il Web. Le Big Tech statunitensi hanno conquistato una posizione di mercato pressoché dominante e la loro adozione diventa una specie di scelta obbligata, dal momento che non esistono competitor europei in grado di tenergli testa. Come alternativa a Google Analytics viene spesso citato Matomo, software di tracciamento tedesco che è stato indicato come possibile alternativa anche dal severissimo CNIL, il garante francese. Un ottimo strumento, indubbiamente, ma che non può eguagliare la potenza di fuoco di una suite di strumenti digitali creata da una delle tech companies più potenti del pianeta.

Quindi, cosa fare? La soluzione non è certamente tornare a penna e calamaio. Possiamo invece vedere in questa complessa situazione un’opportunità: se non abbiamo ancora iniziato a rivedere i nostri processi digitali in funzione della nLPD e del GDPR, è arrivato il momento di farlo. Soprattutto se il nostro mercato trascende i confini svizzeri. Si tratta di un cambiamento da non sottovalutare: non si tratta di inserire un banner sul sito ma di rivedere completamente i metodi di raccolta e trattamento dati online e offline. Un percorso in cui è meglio farsi affiancare da un legale specializzato in materia, e in cui tutta l’azienda deve sentirsi pienamente coinvolta. Le decisioni in materia non potranno più essere delegate interamente a terzi (per esempio, le web agency) ma andranno prese intorno ai tavoli aziendali. Anche per questa ragione, la formazione sui temi del digitale deve diventare una priorità: per prendere le decisioni giuste, è indispensabile una conoscenza approfondita della materia. Una conoscenza vista però dalla parte dell’impresa, che trascende i tecnicismi e si concentra maggiormente sugli aspetti strategici, organizzativi e anche legali, oltre che sulle opportunità di mercato.


I corsi sul marketing digitale organizzati dalla Cc-Ti seguono proprio questa prospettiva. Consultate il calendario dei prossimi appuntamenti formativi. In particolare con l’inizio dell’autunno ripartirà un ciclo formativo denominato “Digital marketing dalla teoria alla pratica: percorso formativo di 5 moduli“. Le iscrizioni sono già aperte!

Articolo a cura di Manuela Cuadrado, Account Manager Breva Digital Communication Sagl

Digital Marketing: tutte le novità

Cosa considerare per una campagna di successo?

La pandemia ha rappresentato una spinta importante per il mondo digitale.

Questo ha portato un’ulteriore crescita al settore ma ha anche contribuito a rendere il mercato online sempre più competitivo, anche perché l’utente finale si è evoluto: è più consapevole, più esigente e più “digitalizzato”, ormai abituato a sostituire l’esperienza fisica con quella virtuale. E questo vale non solo per il mondo Business to Consumer ma anche per il BtoB.

Non solo: nell’ultimo anno sono intervenuti numerosi cambiamenti sia sul fronte tecnico che su quello normativo. Di conseguenza, le piattaforme e gli strumenti di digital marketing hanno subito e subiranno degli stravolgimenti.

La strategia digitale delle aziende deve necessariamente adattarsi – e anche in fretta – a questi cambiamenti: non farlo, significherebbe ignorare un mercato che, adesso, presenta delle caratteristiche del tutto diverse rispetto a qualche mese fa. Ecco una breve carrellata di questi cambiamenti e qualche riflessione su come affrontarli al meglio.

L’evoluzione dei social

I contenuti video diventeranno i protagonisti indiscussi del mondo social: qualche mese fa, Instagram ha dichiarato che la piattaforma non sarà più  incentrata sulle foto bensì sui video brevi. Un cambio di strategia che è facile ricollegare al successo del grande rivale, TikTok. Accanto ai post, caroselli e stories appariranno quindi sempre più Reels e Video, che verranno facilmente favoriti dall’algoritmo, anche su Facebook. YouTube proseguirà la sua evoluzione verso una piattaforma più social e persino LinkedIn pare abbia in serbo più strumenti per promuovere questo i contenuti, dopo aver inaugurato, nel 2021, la figura del creator.

Ma la rivoluzione più grande è senza dubbio quella annunciata da Facebook: nell’autunno 2021 la società di Menlo Park ha cambiato nome in Meta e ha presentato al mondo il suo progetto più ambizioso, il Metaverso, una realtà virtuale evoluta che potrebbe diventare il nuovo modo di vivere e fruire la Rete tra qualche anno. È quindi opportuno seguire da vicino quest’evoluzione per farsi trovare pronti.

Digital advertising: la fine del microtargeting

Nel corso dell’ultimo anno si sono susseguiti cambiamenti che hanno ridotto l’efficacia del microtargeting, ovvero la capacità della pubblicità digitale di raggiungere pubblici altamente profilati, ottimizzando la spesa. Questi cambiamenti sono riconducibili solo in parte alla nuove normative in materia di privacy, in quanto molto spesso sono anche strategie di piattaforma vòlte al rafforzamento di una posizione di mercato (si pensi all’introduzione dell’app Tracking Transparency di Apple, che di fatto si spinge oltre quanto richiesto dal GDPR). La conseguenza però è sempre la stessa: una “mira” meno precisa dell’algoritmo pubblicitario, che impatta anche sulle amatissime pubblicità retargeting, ovvero gli annunci personalizzati che “seguono” l’utente in base ai comportamenti registrati online. Si impone quindi un cambiamento strategico: ogni caso è diverso, ma in generale meglio puntare su campagne più lunghe, pubblici più ampi e, laddove possibile, privilegiare interazioni direttamente all’interno dell’app. Per il tracciamento delle conversioni sul sito (acquisti, pagine più viste etc.) sarà opportuno integrare sistemi di tracciamento che agiscono direttamente sul server.

Il grande ritorno dell’e-mail marketing

Anche a causa dell’incertezza sul fronte pubblicitario, assistiamo a una riscoperta dell’e-mail marketing, ingiustamente passato per molto tempo in secondo piano. Un vero peccato, perché l’e-mail marketing, se ben organizzato, costituisce un canale di comunicazione privilegiato con il nostro pubblico più importante, ovvero quello che ha già dimostrato di darci fiducia e voler mantenere con noi una relazione che si protrae nel tempo. Strategie di contenuto dedicate saranno essenziali per valorizzare al meglio questa relazione e condurla verso la conversione desiderata (upselling, fidelizzazione o rafforzamento del brand).

L’arrivo di Google Analytics 4

Finalmente, assisteremo al sospirato passaggio a Google Analytics 4, l’evoluzione della piattaforma di analisi dati di Google. Cambieranno alcuni punti-cardine dell’analisi dati a cui ci eravamo abituati. Un esempio? Spariranno due metriche molto usate nei KPI di marketing: “sessioni”  (quante volte un singolo utente si connette a uno stesso sito) e “bounce rate” (percentuale di utenti che, non appena atterrati sul sito, se ne va, senza soffermarsi o navigare). Queste metriche venivano spesso prese come riferimenti per valutare l’interesse degli utenti verso i contenuti. Tuttavia, a seconda dei casi, possono risultare controverse o addirittura fuorvianti. Google propone invece il concetto alternativo di evento ovvero un’azione rilevante che l’utente compie sulla pagina e a cui può corrispondere, direttamente o indirettamente, un valore economico (es. la compilazione di un form, l’inserimento di un prodotto in wishlist, messa a carrello, finalizzazione dell’acquisto ecc.).

Di fronte a questi cambiamenti, diventa ancora più importante stabilire a priori una strategia digitale e un piano di misurazione chiaro e condiviso. Anche perché all’orizzonte se ne annunciano molti altri, che certamente potranno rappresentare delle opportunità. A patto di essere pronti a coglierle!

APPROFONDISCI IL TEMA CON UN WEBINAR DEDICATO!
Il prossimo 22 febbraio 2022, dalle 14.30-15.15, si svolgerà il webinar “Innovazione digitale 2022” che approfondisce questi aspetti e presenta il percorso formativo specifico targato Cc-Ti.

Articolo a cura di Manuela Cuadrado, Account Manager Breva Digital Communication Sagl

Chi sono i ‘Brand Ambassador’?

In un mondo iperconnesso e nelle strategie di marketing e comunicazione digitali delle aziende, parole come influencer, testimonial e ambasciatori del marchio non sono nuove. Chi sono però con esattezza queste figure? Quali le differenze li contraddistinguono? Che ruolo assumono all’interno delle PMI e quali vantaggi portano? Come possono le aziende costruire un network vincente?

Abbiamo risposto a queste e altre domande nel webinar del 9 novembre 2021, organizzato dalla Cc-Ti, dove è intervenuto Giuseppe Maffei, Fondatore Develed Sagl, introdotto da Lisa Pantini, Responsabile Relazioni con i soci Cc-Ti.

Oggi i clienti sono sempre più attratti dalle esperienze reali dei consumatori rispetto alla comunicazione che un marchio propone sui propri prodotti/servizi.
I ‘band ambassador’ o ‘ambasciatori del marchio’ sono dei consumatori che hanno una relazione di rispetto e stima per un determinato brand; relazione acquisita nel tempo attraverso l’utilizzo dei prodotti della marca. Il brand ambassador promuove quindi i prodotti e viene ricompensato da una relazione speciale con l’impresa; ma non è pagato dalla stessa per questo tipo di promozione (a differenza ad esempio dagli influencer).

Queste figure creano e condividono esperienze autentiche che hanno/ hanno avuto con uno specifico prodotto, instaurando un ponte di collegamento tra la marca ed altri potenziali acquirenti.

I follower di ogni ‘ambasciatore’ non sono, inoltre, un elemento essenziale per l’azienda che decide di avvicinare un potenziale ‘brand ambassador’; a venir premiata è piuttosto l’autenticità e la credibilità della persona.

Per una PMI è sempre più impegnativo creare dei contenuti sui social media che generino engagement e creino – da parte dei consumatori finali – delle azioni mirate. Infatti, può essere dispendioso trovare la tipologia di contenuti giusti, relativi alle tematiche “in” rispetto al prodotto sul mercato.
Il Brand Ambassador conosce invece dettagliatamente la merce (e può – se necessario – segnalare all’azienda eventuali migliorie), realizza foto e video nel luogo e nel contesto d’uso, coinvolge possibili distributori o stakeholders locali, osserva il prodotto dal punto di vista dell’utente (non dell’impresa) e comunica con il medesimo linguaggio dell’utilizzatore. Infine, pubblica poi i contenuti sul suo canale personale e su OPN (other people network) come gruppi di settore.

Come agire quindi? Per sviluppare un network vincente è innanzitutto necessario definire gli obiettivi commerciali e di marketing che si intendono raggiungere attraverso il supporto di queste figure e successivamente identificare il/i canale/i idoneo/i – dove è presente l’audience d’interesse – per veicolare il messaggio dell’azienda.
Il programma di adesione a un ‘Brand Ambassador Network’ deve essere reso visibile e accessibile, pubblicando le regole e linee guida specifiche sul sito internet o sui canali social. Nella valutazione e selezione dei profili da parte dell’azienda è opportuno coinvolgere anche il reparto commerciale e, a parità di caratteristiche tra i candidati, sarà utile confrontare i diversi engagement rate (tasso di coinvolgimento dei follower rispetto ai contenuti). È inoltre fondamentale lasciare alle persone scelte ampi margini di manovra per esprimere al massimo la propria creatività, con la forma di comunicazione che più li caratterizza. Fornendo poi dei codici sconto da condividere con i follower si aumenterà la probabilità di creare nuovi lead e acquisire clienti.
Utile è poi creare dei gruppi Whatsapp comuni per formare delle communities affiatate, facilitare il dialogo e il supporto reciproco.


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Gamification e Serious Game: l’innovazione è una questione di contesto

Sarebbe esistito il genio innovatore di Leonardo Da Vinci senza il Rinascimento, periodo in cui le arti, la filosofia e l’economia, sono rifiorite dopo la profonda crisi del XIV secolo? Sarebbe riuscito Albert Einstein ad elaborare la teoria della relatività senza la crisi del Positivismo di fine ‘800? Che cosa avrebbero prodotto i vari Bezos, Gates, Jobs, Larry Page, Sergey Brin senza la Silicon Valley?

Come in una sliding door, ripensiamo alle stesse persone tolte dal contesto di riferimento, eremiti in montagna o un’isola deserta, senza le influenze del loro tempo: sicuramente non avrebbero fatto la storia e l’innovazione avrebbe preso strade diverse e avrebbe avuto protagonisti differenti. Così come non ci sarà mai innovazione senza un ambiente, un periodo storico e culturale che ne favorisca la nascita, allo stesso modo sarà difficile che manager, collaboratori o team portino innovazione senza un’azienda che crei loro il contesto adeguato.

Come può un’azienda creare un contesto che favorisca l’innovazione?

Innanzitutto, è necessario chiarire che per innovazione s’intende l’introduzione, per la prima volta nel sistema economico, di nuovi prodotti, servizi, processi, modelli di business che portino un concreto beneficio a chi ne usufruisce. Non necessariamente la loro invenzione. Steve Jobs, non inventò la tecnologia touch screen (già esistente dagli anni ‘70) ma l’applicò per risolvere un problema specifico: come eliminare i numerosi e piccoli tasti in uso nei cellulari della concorrenza (ad esempio il Blackberry) e rendere un telefonino meno complesso da utilizzare. La tecnologia touch era solo una delle possibili soluzioni alternative, non l’unica. Alcuni concorrenti avevano scartato la tecnologia scelta dalla Apple optando per soluzioni differenti fino a spingersi ad affermare: “chi mai comprerà un telefono senza tastierino?” Se l’innovazione attiene all’implementazione, esiste un momento precedente in cui le soluzioni vengono generate, pensate, ideate, un momento in cui è necessario trovare più soluzioni possibili, anche quelle che possono essere ritenute contrarie al buon senso. Lo scopo della creatività è fornire più soluzioni possibili, quello dell’innovazione implementare quella che genererà verosimilmente un beneficio per gli utilizzatori. Se le idee non vengono create o sono di scarsa qualità non avremo risultati dal punto di vista dell’innovazione. Quindi, per avere innovazione, è necessario formare un contesto organizzativo che affermi la cultura della creatività basata sull’apertura mentale, sulla propensione a correre il rischio di sviluppare idee a prima vista irrealizzabili o folli, sull’accettazione e valorizzazione dell’errore e sulla sospensione momentanea del giudizio per evitare che le idee muoiano sul nascere.

Che ruolo hanno la gamification e i “serious games” nella realizzazione di un contesto creativo?

Negli ultimi anni, soprattutto con lo sviluppo delle applicazioni mobile, si è assistito alla massiva introduzione nelle aziende di strumenti di gamification, intendendo con questa definizione le tecniche volte alla creazione di situazioni tipiche dei giochi (l’assegnazione di punti, il procedere per livelli, l’utilizzo di feedback) in contesti slegati dall’esperienza ludica (per esempio in procedure lavorative).

I serious game hanno una struttura ed uno scopo differente. Lo scopo di creare situazioni e scenari in cui i partecipanti possono confrontarsi e interagire per imparare o raggiungere obiettivi comuni, come acquisire abilità e competenze, raggiungere una migliore comprensione di un certo fenomeno o problema e creare le relative e possibili soluzioni. Entrambi gli strumenti, soprattutto se integrati, possono contribuire a creare contesti dove, grazie ad un corretto bilanciamento fra intrattenimento, simulazione e apprendimento, le persone, i team e le organizzazioni possano essere motivate a creare soluzioni, nuove idee o progetti.

Come possono la gamification ed in particolare i “serious games” creare un clima utile ai processi creativi?

Per rispondere a questa domanda si può far riferimento al serious game LEGO® Serious Play®. Negli anni ‘90 Johan Roos e Bart Victor, allora docenti presso l’IMD Business School di Losanna, una tra le più importanti business school del mondo, lavorarono sul concetto del gioco seriocon lo scopo di abilitare i manager a sviluppare in maniera alternativa le loro attività e a praticare la creatività e l’innovazione attraverso l’immaginazione. Nacque una metodologia dove, grazie ai mattoncini Lego, era possibile realizzare un’atmosfera creativa applicata ai problemi concreti delle aziende, dove tutti i partecipanti potevano contribuire al processo di problem solving portando le proprie idee e soluzioni.

LEGO® Serious Play®,così come altre attività di gioco serio, portano concreti benefici. Un contesto rilassato in cui si svolgono le attività: tutti i partecipanti esprimono la propria immaginazione in un clima sereno e collaborativo privo di giudizio e censure; un ambiente quindi di divertimento con delle ripercussioni immediate sul cervello che viene pervaso da grandi quantità di endorfine e di dopamina che aumentano la creatività e la concentrazione e, in generale, le prestazioni.

Si viene a creare quello che lo psicologo Mihály Csíkszentmihályi, nella sua teoria del flusso, nomina “stato di flow” ovvero una condizione caratterizzata da un totale coinvolgimento dell’individuo: focalizzazione sull’obiettivo, motivazione intrinseca, positività e gratificazione nello svolgimento di un particolare compito. Stato di flow, divertimento e apprendimento diventano così gli elementi costituenti del contesto creativo all’interno del quale si sviluppano liberamente le idee e dove vengono poste le basi per l’innovazione, così come il Rinascimento, la Silicon Valley e il Relativismo hanno fatto per le innovazioni che sono passate alla storia.


Articolo a cura di Davide Proverbio, Partner Prowork International Swiss

4 buone ragioni per innamorarsi di TikTok

Facebook? Roba da “boomer”! Il social del momento si chiama TikTok: tutti ne parlano, sempre più persone lo utilizzano e molte aziende lo stanno già usando efficacemente per promuovere la propria attività.

E pensare che fino a un paio d’anni fa, veniva spesso depennato a priori dalle strategie di digital marketing perché considerato “troppo giovanile” e quindi inadatto alle iniziative di aziende consolidate che si rivolgono a un target di decisori d’acquisto più adulto. Mai profezia si rivelò più fallace: in poco tempo il social venuto dall’Oriente si è reso protagonista di una crescita esponenziale che ha letteralmente travolto la scena digitale, in Europa come negli Stati Uniti. E che ha lasciato basiti i suoi principali competitor statunitensi, Facebook e Instagram (entrambi, è bene ricordarlo, appartenenti a Facebook Inc. quindi allo stesso circuito pubblicitario). In meno di cinque anni, TikTok ha superato il miliardo di utenti attivi nel mondo, più o meno la stessa cifra vantata da Instagram (che però ha un’ “anzianità” maggiore essendo nato nel 2010); in Europa è sbarcato nel 2018: oggi gli utenti attivi mensili sono oltre 100 milioni e il loro numero continua a crescere, tanto che TikTok ha annunciato l’apertura di un data center Europeo in Irlanda, per poter gestire più efficacemente i dati raccolti dall’applicazione in ottemperanza con le normative sulla privacy locali.

Gli aspetti relativi alla tutela dei dati avevano infatti causato un’iniziale diffidenza, non solo a Bruxelles ma anche a Washington. Diffidenza che però ha dovuto cedere il passo all’entusiasmo con cui gli utenti digitali hanno accolto l’applicazione nei propri smartphone.

Ma qual è il segreto del successo di TikTok? Perché è riuscito a scalzare Facebook&Co. dal cuore dei suoi utenti più affezionati? Possiamo riassumerlo in pochi ma decisivi punti.

Il potere creativo

I social “storici” più diffusi nascono come piattaforme di condivisione di testo e immagini e solo in un secondo momento hanno adottato anche i video, principalmente per far fronte alla concorrenza di un altro gigante, YouTube (che è parte del circuito pubblicitario di Google). TikTok invece non solo nasce proprio come piattaforma dedicata ai video, ma ha una precisa proposta creativa che spinge a reinterpretare il video come forma espressiva. Mette a disposizione dei suoi utenti potenti strumenti di editing che consentono non solo di caricare i propri filmati, ma anche di integrare quelli altrui secondo diverse modalità (le più famose sono “duetto” e “stitch”). Ci sarà capitato di citare il testo di qualcun altro per ribattere alla sua opinione; ebbene, su TikTok è possibile farlo con i video. Ed è possibile farlo… cantando e ballando! La piattaforma consente infatti di attingere a una nutrita libreria di musiche, effetti sonori e persino canzoni di tendenza, tutte liberamente utilizzabili. Ci sono poi particolari effetti, come filtri e transizioni, che permettono di aggiungere un tocco personale. Il risultato finale è più di un semplice video: è un tiktok! Il social crede molto nei suoi “creators”, tanto da aver stanziato, nella sola Europa, un fondo di 255 milioni di euro da investire nel loro talento.

Breve e coinvolgente

I video di TikTok durano al massimo tre minuti. Un limite che vuole spingere i creator a differenziare la loro comunicazione rispetto ai canali video più consolidati, come il classico YouTube o IGTV, il canale video di Instagram. La brevità è necessaria per mantenersi fedeli allo stile espressivo della piattaforma, ed è particolarmente apprezzata dai più giovani. Nati con lo smartphone in mano, gli adolescenti di oggi non hanno la ritrosia da telecamera che caratterizza le generazioni precedenti. Mostrarsi in video è per loro un fatto naturale e spontaneo. Piuttosto che rimanere a guardare lo schermo, come è abituato a fare chi è cresciuto con la tv, preferiscono rendersene protagonisti, ponendosi quindi come soggetti attivi verso il canale di comunicazione e non come un semplice “pubblico”. Questo spinge molto in alto la lancetta dell’engagement. Spesso nascono dei trend, in cui gli utenti sono chiamati a cimentarsi con dei modelli predefiniti (ad esempio, il celebre “dimmi la tua opinione impopolare che fa arrabbiare tutti quando la dici”) o micro-coreografie associate a testi (ad esempio il popolare “Question I get Asked”, dove gli utenti ballano al ritmo della canzone “The Magic Bomb” e possono far apparire in sovraimpressione le domande peggiori che si sono sentiti rivolgere e le relative risposte).

Un pubblico sempre più eterogeneo

L’entusiasmo dei giovani ha fatto da apripista a target di età più adulta. Oggi non è inusuale imbattersi in utenti di 30, 40 anni o più. Spesso sono coinvolte intere famiglie, facendo di TikTokil social più intergenerazionale in assoluto. Il suo stile ha contagiato tutti, a cominciare dai professionisti: medici e infermieri che smontano falsi miti sulla salute; avvocati che offrono brevi consigli legali; insegnanti che spiegano “in pillole” e in modo simpatico le materie più ostiche. Persino religiosi di ogni Fede hanno trovato in TikTok un nuovo mezzo per raggiungere il proprio “gregge”. Questo significa che anche da un punto di vista della profilazione marketing siamo davanti a un pubblico sempre più variegato, che include influencer, follower e decisori d’acquisto (soprattutto consumer, ma c’è da scommettere che il prossimo a crescere sarà il segmento B2B).

Pubblicità e marketing su TikTok

TikTok mette a disposizione degli investitori una piattaforma di marketing e pubblicità che si differenzia da quelle più note per le potenzialità che offre, in grado di integrare la forza dell’influencer marketing con l’advertising nativo, che grazie a un efficace algoritmo pubblicitario permette di raggiungere facilmente il pubblico desiderato. Un esempio? Lo scorso anno il brand italiano Galbanino ha lanciato su TikTok la #Galbachallenge, una “sfida” che ha coinvolto pubblico e creator sulle note di una canzone trap. I risultati sono stati notevoli: i video distribuiti sulla piattaforma hanno raggiunto 26 milioni di visualizzazioni per oltre 3 milioni di utenti e generato oltre 43mila interazioni.

La situazione in Svizzera

TikTok sta conquistando anche la Svizzera: in un anno il social ha registrato una crescita del 30% e le aziende non sono state a guardare. Il noto digital strategist Mike Schwede ha stilato una classifica: brand attivi su TikTok in Svizzera sono oltre 100, e provengono in particolare dal settore dei beni di consumo e dei media, seguiti in terza posizione dal turismo (ma si tratta pur sempre del settore più colpito dalla recente pandemia). Tra i casi di successo emergono Rado, Coop, Migros e Red Bull, brand molto noti ma che hanno deciso di investire in questo nuovo canale per rafforzare ulteriormente il legame con il proprio pubblico. Con queste premesse, TikTok potrebbe presto diventare il nuovo protagonista del digital marketing mix. Un buon motivo per implementarlo
subito nella vostra strategia digitale.


Vi piacerebbe avere maggiori informazioni sulla strategia TikTok? Vi aspettiamo al corso online “Tik Tok, le opportunità per le aziende dall’advertising all’influencer marketing” organizzato dalla Cc-Ti per il 18 novembre 2021. Iscrizioni e maggiori dettagli qui.

Articolo a cura di Manuela Cuadrado, Account Manager Breva Digital Communication Sagl

Elevator Pitch

Sono conosciute differenti ipotesi di origine di questa forma di comunicazione nel business. Una storia comunemente nota è quella di Ilene Rosenzweig e Michael Caruso, due ex giornalisti negli anni ’90. Secondo Rosenzweig, Caruso era un redattore senior di Vanity Fair e stava continuamente tentando di fasi notare dal redattore capo della sua rivista e l’unico modo che alla fine escogitò fu quello di provare a parlarle approfittando anche di brevi periodi liberi di tempo, come in un giro in ascensore.

Prende il nome dal tempo necessario per comunicare, la durata di una breve corsa in ascensore (da 30 a 60 secondi o 75 circa)

L’Elevator pitch è infatti un discorso che una persona farebbe a un investitore, per esempio, se si trovasse per caso con lui in ascensore. L’imprenditore, quindi, si troverebbe costretto a descrivere sé o la propria attività sinteticamente, chiaramente ed efficacemente per convincere l’altro ad investire su di lui, ma con i limiti di tempo imposti da una corsa in ascensore (la letteratura specialistica al riguardo fissa tale limite massimo di 5 minuti).

Si tratta di una vera competenza

Sviluppare questo tipo di competenza è sicuramente basilare e richiede una grande dedizione e tanto tanto allenamento. Si può parlare di elevator pitch sia se viene fatto durante un evento fisico, che in modalità asincrona (un’e-mail o un video).

Esistono varie tipologie di elevator pitch a seconda della durata oppure del target a cui è rivolto (consumatori, imprenditori, superiori o colleghi, …). Normalmente viene calcolato “un pitch” della durata dai 30 ai 120 secondi.

Descrive l’idea per cui una persona dev’essere in grado di presentare il proprio pensiero nel tempo di una corsa, reale o immaginaria, in ascensore.

Un breve, utile e accattivante riassunto… A volte si pensa che i pitch degli ascensori siano specifici per un’idea o un prodotto, ma si possono anche usarli per “promuoversi” come professionisti.

I professionisti dovrebbero avere sempre a disposizione un discorso accattivante in grado di fornire informazioni su sé stessi o su di un proprio progetto, che possano fornire in un breve periodo di tempo. Invece di aspettare che l’altra parte diriga la conversazione e, potenzialmente, lontano da ciò di cui si vorrebbe discutere, si può spiegare in modo assertivo ciò che si ha da offrire.

È da considerarsi come un documento da aggiornare costantemente e “sfoderare” ad ogni buona occasione, che sappia “dare valore” ad ogni vostra singola parola.

Viene valutato come un’intraprendenza positiva

Un vantaggio nell’usare questo approccio quando parlate della vostra carriera o delle vostre aspirazioni è che potete dimostrare di essere in grado di prendere l’iniziativa. In molte interazioni, come un colloquio di lavoro, questo può essere impressionante per il vostro pubblico: sarà lieto di vedere che sapete sia cosa volete, sia come chiederlo.

Essere in grado di presentarvi a qualcuno in modo convincente, può aiutarvi a prepararvi per una conversazione professionale di successo, sia che si tratti di un evento di networking, con un collega o all’inizio di un colloquio. Uno strumento per rendere le informazioni da comunicare semplici ed efficaci.

Dallo schermo del telefono al colloquio di persona, vi verrà chiesto di fornire un riepilogo di chi siete, della vostra formazione e di ciò che desiderate dal prossimo lavoro. Questa sintesi “mentale” può essere una buona struttura mentre state pianificando la vostra risposta alla popolare domanda “parlami di te”.

Allo stesso modo può essere utilizzata per delineare la vostra lettera di presentazione o una dichiarazione riassuntiva professionale o, ancora, un’offerta di collaborazione azienda/azienda. Una dichiarazione di sintesi deve avere lo scopo di raccontare al lettore chi siete professionalmente, quale lavoro vi appassiona e perché siete qualificati per farlo, in un modo che vi aiuti a distinguervi dagli altri.

Quali passi sono alla base

Una presentazione personale è utile anche per il networking a un evento o durante un incontro spontaneo. Che voi siate in fila al supermercato, a un cocktail party o a un incontro professionale organizzato, la presentazione può aiutare rapidamente i nuovi contatti a capire perché dovrebbero connettersi con voi o considerarvi quando si presenta un’opportunità.

1. Iniziate presentandovi (i primi 10 secondi sono importantissimi). Assegnate delle priorità ai vostri contenuti

2. Fornite un riepilogo di ciò che fate o rappresentate. Siate preparati e attenti a rispondere alle molte domande che vi faranno, probabilmente quelle sono le cose che vogliono sentirsi dire

3. Spiegate cosa volete (create pitch di diversa durata 30 secondi, 60 secondi, 120 secondi in modo da essere sempre pronti ad affrontare ogni imprevisto)

4. Terminate con un invito all’azione (“Ha tempo per prendere un caffè? Ci possiamo sentire per un fissare un incontro? Le posso inviare una mail? …) Non dimenticate il vostro biglietto da visita.

Errori comuni

Parlate in modo naturale
Suonare troppo preparato può rendere la conversazione forzata, quindi fate del vostro meglio per esprimervi con un tono colloquiale.

Rallenta
Se parlaste troppo velocemente, l’ascoltatore potrebbe perdere alcune informazioni importanti. Potrebbe essere la vostra tendenza naturale a parlare velocemente o potrebbe verificarsi se vi sentite nervosi. Indipendentemente da ciò, fate uno sforzo consapevole per ridurre la velocità e incorporare questa strategia quando provate il vostro tono.

Usa un tono per la maggior parte (ma non tutte) le occasioni
Potrebbe non essere necessario personalizzare la vostra presentazione per tanti diversi tipi di pubblico. È una buona idea avere una presentazione generale che potete usare in qualsiasi momento, ma dovreste provare ad adattare la vostra presentazione ogni volta che potete. Più le vostre idee sono personalizzate, più è probabile che voi otteniate un risultato positivo dalla conversazione. Mostrate il vostro profondo interesse e rispetto per il tempo dell’ascoltatore.

Facile da capire
Usate un linguaggio semplice che tutto il pubblico possa capire. Ad esempio, se includete un gergo tecnico e termini specifici del settore che solo qualcuno conoscerebbe, potreste alienare un reclutatore, o chiunque altro, che non ha lo stesso livello di conoscenza. Questo può rendere difficile per loro farvi domande di follow-up e potrebbe renderli meno propensi a continuare la conversazione con voi. Salva termini di nicchia per un colloquio tecnico e rendete il vostro discorso facile da seguire per tutti.

In una realtà che corre sempre più veloce e non concede tempo, questo può essere un modo per usare il vostro tempo nel modo più opportuno, senza sprecarne neppure 30, 60,120 secondi.

SEO, step by step

Con l’acronimo SEO – Search Engine Optimization, si intendono tutte le attività volte all’ottimizzazione della presenza online dell’azienda per i motori di ricerca.

CEO (Chief Executive Officer) è l’acronimo definisce il più alto ruolo della direzione di un’azienda. Questa persona detiene diverse responsabilità, tra cui la presa di decisioni critiche, la gestione delle operazioni e delle risorse a disposizione, la facilitazione della comunicazione tra la direzione e dipendenti, ecc.. Il ruolo menzionato è fondamentale per il successo, l’immagine e le relazioni interne ed esterne all’azienda.

La SEO (Search Engine Optimization) invece, è l’insieme delle attività volte a migliorare la visibilità e l’attrattività delle pagine web rilevanti al sito o ai portali di un’impresa. La SEO, similmente al ruolo del CEO, è per il mondo virtuale, una componente critica per assicurarne il successo online.

Per rendere l’utilizzo dei social media (soprattutto) valorizzante per la visibilità dell’azienda e per attrarre nuovi clienti verso il proprio business, è necessaria la comprensione di come queste dinamiche funzionino, così da poterne trarre beneficio.

Pagine web, piattaforme social e perché pensare a SEO

Le pagine web, come il sito aziendale, vengono “cliccati” o visitati da chi cerca di proposito il nome dell’azienda o da chi si ritrova a navigare nei siti relativi al settore in cui essa opera. La promozione della propria immagine prende vita anche sui social media. Piattaforme come Facebook, Instagram, LinkedIn, … sono oggi dei mezzi di comunicazione in voga, e saperli utilizzare in maniera strategica può portare un vantaggio a livello di visibilità interessante.

L’insieme di queste azioni si iscrive in un più ampio e articolato gruppo di strumenti essenziali per la comunicazione e la corporate image dell’azienda. Esse si inseriscono in precise strategie di governance aziendale.

La SEO è dunque un supporto al marketing digitale, con cui è possibile tracciare e stabilire non solo il contenuto che si vuole condividere con la rete, ma anche gli obiettivi di diffusione.

Creare contenuti incisivi per divenire più attrattivi

Esistono alcuni suggerimenti che rientrano nelle consuete buone prassi, che di seguito condividiamo.

In Ticino vi sono altresì diverse aziende che si occupano – fra le altre cose – di SEO e che offrono i loro servizi alle organizzazioni e alle imprese che ne necessitano. Avvalersi di un esperto SEO può aiutare a comprendere e sviluppare nuove strategie.

Best practices

  • Creare contenuti allineati con l’intento di attirare l’interesse dell’utente

Il contenuto dei messaggi postati sui social deve essere conciso. I post devono contenere elementi strategici che attirino gli internauti a scoprire la pagina dell’azienda, quella sui social, ma anche su altre piattaforme.
Che si tratti di una ricerca su Google o sui social media, le parole chiave usate nei post dell’azienda, soprattutto nei titoli, devono essere pensate come etichette di riconoscimento e di orientamento verso l’azienda.

  • Hashtag e ‘geotag’

Le parole chiave devono collegarsi in maniera rilevante al tema per poter fare una ricerca su internet. Parole che esaltino il valore e che siano pertinenti al contesto in cui vengono menzionate. La dialettica non è di rilevanza solo per scrittori e poeti, ma anche per chi si ritrova a creare contenuti mediatici, il linguaggio dev’essere ben studiato per centrare l’obiettivo prefissatosi.
In questo senso – oltre a un buon uso di content management – usiamo gli ‘hashtag’ (con il simbolo #). Parole chiave che, alla fine di un post o di un messaggio, “mettono un po’ di ordine” e permettono di farsi trovare. Gli hashtag sono filtri grazie ai quali possiamo creare, trovare e seguire solo argomenti e temi che ci interessano. Etichette per catalogare contenuti di varia natura, come testi e foto, utili anche a chi usa i social in modo professionale: hashtag scelti in modo appropriato possono aiutare ad aumentare i like ad un post di Instagram ad esempio.
Anche la localizzazione, ovvero la menzione del luogo in cui si trova l’azienda o dove vengono svolte le attività, rappresenta una tecnica di riconducibilità all’azienda stessa o ai suoi prodotti. I “geotag” giocano un ruolo importante nella promozione delle proprie attività. Promozione e reperibilità, una sfaccettatura del web che permette di rendersi visibili.

  • Ottimizzare l’uso delle immagini

Le immagini dicono più di mille parole, soprattutto quando si naviga nel mondo digitale. Le immagini e tutti i tipi di contenuti mediatici (come video, gif, …) migliorano l’esperienza degli utenti.
La scelta delle immagini deve contribuire ad attirare l’attenzione, deve avere il fine di sottolineare e rimarcare i messaggi che si vogliono far passare attraverso i post.
Occorre fare attenzione alla qualità e al formato che si utilizzano. Tra i diversi formati, quelli più gettonati sono JPEG, PNG o WebP.
JPEG è il formato ideale quando si vogliono pubblicare fotografie e mostrare un’immagine di alta qualità. Il formato PNG, invece, è più utile e adatto ai post.
WebP invece è un formato più attuale: sviluppato da Google, esso garantisce immagini compresse senza perdite di qualità. Le immagini WebP sono il 26% più leggere di un PNG e fino al 34% meno pesanti di un JPEG, a parità di qualità SSIM.
Si tratta di un formato molto diffuso sulle pagine web.

  • User Experience

L’esperienza dei visitatori delle pagine internet è importante non solo per gli utenti stessi, ma anche per Google (in quanto motore di ricerca). Google, infatti, si focalizza sull’esperienza dei consumatori e di come essi percepiscano e utilizzino il contenuto dei siti. Le statistiche redatte dai motori di ricerca non si basano solo sul numero di “click” verso determinate pagine web, ma anche sull’accessibilità e sul contenuto, sull’uso rilevante ed illustrativo di video e immagini. L’attrattività e il contributo di un sito web al mondo della rete è, per i motori di ricerca, uno standard per cui valorizzare o meno i siti web che appaiono tra le prime scelte di ricerca (ovvero il “ranking”). La gestione dei siti web è per i motori di ricerca un test di qualità.
Per esempio, dal 2017, Google ha messo in atto un sistema di penalizzazione dei siti che trasmettono “pop-up” ai visitatori. Le finestre intrusive e pubblicitarie che disturbano l’internauta sono valutate come una pessima credenziale di qualità, così come lo è un design poco curato.

Le buone prassi SEO sono dei mezzi per sviluppare e divulgare la propria immagine sul web, rientrando in una più ampia strategia di attività definite.
Curare la presenza online della propria azienda, prestando attenzione anche ai dettagli permette una maggior visibilità e un incremento della ‘brand reputation’.

Home, Smart o Sustainable Work?

Negli ultimi 90 giorni, tra le parole più inflazionate nei diversi media di tutto il mondo, troviamo senz’altro il termine Work Smart. Il più delle volte, si tratta però di un termine usato impropriamente, quando riferito al lavoro dalla propria abitazione, reso obbligatorio dalla crisi del Coronavirus.

Smart è infatti un aggettivo che, tradotto nel rispetto delle intenzioni di chi lo ha coniato, significa intelligente. L’isolamento a casa (volontario o dettato per legge) per contrastare il contagio denota effettivamente un certo raziocinio, nondimeno non è sufficiente per trasformare il nostro home work in smart work, così come non possiamo sostenere che lavorare in ufficio (in tempi pre-Covid19) fosse necessariamente stupido. Nel dubbio, probabilmente è giunto il momento di abbandonare i termini più modaioli, e cominciare invece a parlare di sustainable work. Perché se c’è un indizio che fa sperare in una nuova normalità edificante, questo è da ricercare nel valore della sostenibilità che, obtorto collo, abbiamo dovuto scoprire e che successivamente ci siamo trovati ad apprezzare. E non solo nell’ambiente lavorativo.

La tecnologia è già a disposizione da tempo

In molti casi è mancata (e manca tuttora) una strategia sostenibile, mentre molte realtà emergenti sono tutt’ora alle prese con un impianto legislativo in perenne ritardo. A prescindere dal tipo di ambiente lavorativo, oggigiorno siamo bombardati da stimoli provenienti da più direzioni. Che si tratti della chat aziendale oppure della notifica Whatsapp, della posta elettronica o del nostro social media preferito, tutti noi siamo chiamati a gestire un ambiente multicanale che ci obbliga a sviluppare un metodo di lavoro fortemente personalizzato, con orari e logiche di alternanza delle pause dettate da specifiche esigenze di ciascuno di noi. Non a caso, già da tempo gli sviluppatori delle più diffuse piattaforme di collaborazione, hanno reingegnerizzato le interfacce ponendo la persona (l’utente) al centro. La produttività individuale non può più essere legata ad un rigido orario di lavoro uguale per tutti, ma deve poter essere organizzata in modo dinamico. Basti pensare agli spostamenti casa-ufficio e viceversa, che il più delle volte determinano surplus di traffico in città e nelle principali arterie, con mezzi pubblici strapieni e abbondanti razioni di stress accumulate prima ancora di cominciare a lavorare. Situazioni già insostenibili in tempi precedenti la pandemia di questi mesi e che oggi sono diventate impensabili. L’emergenza ci ha costretto ad affrontare le estreme conseguenze di un ambiente lavorativo ad alta necessità di personalizzazione, come ad esempio l’ufficio al nostro domicilio, dove le interruzioni, giusto per fare qualche esempio, possono arrivare anche dal cane del vicino di casa, dai figli in età prescolare, dalle molteplici incombenze domestiche che prima o poi siamo obbligati ad affrontare.

Verso una nuova normalità

In tempi in cui le norme accresciute di distanza sociale, dimezzano la capienza dei nostri uffici, le aziende sono tenute a rivederne le strategie di occupazione, dalle scrivanie utilizzate a rotazione (“desk sharing”) al “co-working” in ambienti extraaziendali fino, appunto, all’abitazione privata del collaboratore. Tutto ciò, tenendo necessariamente conto di alcuni fattori decisivi per il successo della nuova sostenibilità:

Processi aziendali senza carta

La dinamicità nella scelta della scrivania obbliga a rinunciare a qualsiasi supporto non elettronico o perlomeno nel limitare fortemente il loro utilizzo. La tecnologia consente processi “paper-free” già da tanti anni, ad esempio sostituendo la firma autografa con quella elettronica e mettendo a disposizione archivi elettronici estremamente sicuri integrati con piattaforme di collaborazione sempre più efficienti.

La cultura della sicurezza informatica

Dunque, posto che il lavoro in mobilità preveda una maggiore disponibilità di dati e applicazioni anche e soprattutto all’esterno del perimetro aziendale, ne dobbiamo prendere dovuto conto nel riscrivere i processi di sicurezza, possibilmente non cedendo al luogo comune secondo cui i dati in casa sono più al sicuro rispetto a quelli depositati su infrastrutture cloud (è vero il contrario) e ricordando sempre che l’anello debole per eccellenza è rappresentato da noi utenti. Ancora più vero nel lavoro in mobilità, o comunque al di fuori dell’ambiente aziendale propriamente detto. Occhi e orecchie indiscrete sono pronti ovunque a captare dettagli delle nostre conversazioni. Mentre ci preoccupiamo dei grandi big che tracciano la nostra quotidianità, spesso non ci rendiamo conto di essere noi i principali divulgatori delle nostre faccende che, grazie alle attività di social engineering assumono profili estremamente dettagliati. La cultura della sicurezza informatica dentro e fuori l’azienda, deve quindi rientrare nei temi di importanza strategica delle aziende.

Be Smart, be happy

Quanto ha senso quella riunione alle 8? Partecipare online mette a repentaglio l’efficacia del meeting? Non sono solo queste le domande che dobbiamo porci. Ciascuno di noi, lavorando da casa, deve affrontare sfide diverse, tenendo sempre presente che solo un sano equilibrio tra impegni di lavoro e vita privata, ci permetterà di lavorare in modo veramente smart o, come detto, sostenibile. Anche in questo caso, entra in gioco la responsabilità dell’azienda che, eventualmente con l’aiuto di consulenti specializzati, deve allestire un efficace coaching per i propri collaboratori.

Think disrupting

Chi scrive fa parte di quella folta schiera di persone che ha più volte invitato le aziende nel rivedere i modelli commerciali consolidati, portando gli esempi di quelli dirompenti noti ormai in tutto il mondo. La crisi pandemica di inizio decennio, ci ha costretto a rivedere molte delle nostre strategie consolidate (al lavoro come a casa) e, nostro malgrado, a pensare in modo innovativo.

Non sono poche le persone che hanno imparato ad organizzare meglio il lavoro “fuorisede” e, nella vita privata, a condividere a distanza interessi sportivi, hobby e affetti. Nel lento ritorno alla normalità, potremo mantenere alcune nuove abitudini, pur senza cadere in atteggiamenti antisociali, a dimostrazione del fatto che da una crisi epocale, i più hanno potuto cogliere nuove opportunità e, a lungo termine, trasformarle in elementi di successo.

Testo redatto da
Carlo Secchi, Director Sales, Swisscom Business Ticino