Ponti verso nuovi mercati: l’occasione saudita

Il 2 ottobre 2025, la Camera di commercio e dell’industria del Ticino (Cc-Ti) e la Lugano Commodity Trading Association (LCTA) hanno accolto un pubblico qualificato di imprenditori, dirigenti e trader di materie prime presso Villa Principe Leopoldo a Lugano per un incontro esclusivo su Saudi Vision 2030, commercio globale e gestione del rischio. L’evento, organizzato in collaborazione con Allianz Trade e con la partecipazione della Saudi Exim Bank, si è svolto in un momento cruciale di incertezza economica senza precedenti – ma anche di storica opportunità.
Sul raffinato sfondo di Villa Principe Leopoldo, affacciata sul Lago di Lugano, l’incontro informativo ha unito visioni strategiche e spunti concreti, offrendo ai partecipanti strumenti operativi per affrontare uno dei mercati emergenti più dinamici al mondo.

L’evento si è aperto con l’intervento di Luca Albertoni, Direttore della Cc-Ti, che ha ribadito la missione della Camera: aiutare le imprese ticinesi e non solo ad “anticipare le tendenze internazionali, identificare le opportunità e mitigare i rischi” nell’espansione all’estero.

Incertezza e opportunità nel commercio globale

Il primo keynote è stato affidato ad Anil Berry, membro del Group Board of Management Commercial di Allianz Trade. Il suo messaggio è stato netto: l’economia globale sta attraversando una fase di incertezza eccezionalmente elevata. Le insolvenze, che solo pochi anni fa erano ai minimi storici, sono tornate a crescere a ritmi preoccupanti – e con una rapidità senza precedenti. Se in passato il fallimento di un’azienda richiedeva tre o quattro anni, oggi può avvenire in appena tre o quattro mesi.

Berry ha individuato diversi fattori strutturali: i colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento stanno ritardando la consegna delle merci in media di 30 giorni, mentre le tensioni tariffarie e le difficoltà di finanziamento gravano fortemente sulle imprese. Eppure, in mezzo alla turbolenza, rimangono spazi di crescita. Le previsioni di crescita globale per il 2026 si attestano al 2,5%, con gli Stati Uniti in testa all’espansione di lungo periodo e il Medio Oriente – in particolare l’Arabia Saudita – emergente come regione strategica per gli investimenti. Allianz Trade, ha sottolineato Berry, svolge un ruolo cruciale in questo scenario, gestendo ogni anno 1’300 miliardi di euro di rischio e consentendo flussi commerciali per quasi 6’000 miliardi di euro.

La Vision 2030 saudita e il ruolo della Saudi Exim

Dall’analisi globale di Berry, l’attenzione si è spostata su un’opportunità specifica: la trasformazione economica dell’Arabia Saudita. Abeer AlHarbi, Senior Manager Credit Underwriting presso Saudi Exim Bank, ha presentato l’istituto come iniziativa strategica per l’assicurazione del credito all’esportazione nell’ambito del “Project Bridges”. Fondata nel 2020 per “rafforzare la competitività dell’economia saudita non petrolifera sui mercati globali”, la banca ha già reso possibili oltre 24 miliardi di dollari in soluzioni di finanziamento e assicurazione all’export verso più di 150 Paesi.

I numeri parlano da soli: con il 63% della popolazione sotto i 30 anni e un PIL cresciuto in media del 9% annuo dal 2016, l’Arabia Saudita si sta rapidamente affermando come hub industriale globale. Questo dividendo demografico, unito a massicci investimenti infrastrutturali, genera una domanda eccezionale di tecnologie, macchinari e competenze — settori in cui le aziende svizzere eccellono.

AlHarbi ha posto l’accento su “Project Bridges” (“Jusoor” in arabo), una collaborazione pionieristica di riassicurazione con Allianz Trade. L’iniziativa non è concepita come strumento difensivo, bensì come leva per ampliare la capacità di finanziamento delle imprese saudite e dei loro partner globali, facilitando l’ingresso delle aziende svizzere ed europee sul mercato saudita. Ha spiegato che il programma contribuisce direttamente alla Vision 2030, perseguendo quattro obiettivi:

  • Stimolare la crescita industriale – sostenendo l’importazione di macchinari e tecnologie avanzate per accrescere la produttività locale.
  • Mettere in sicurezza le catene di fornitura – garantendo flussi affidabili di materie prime e macchinari da oltre 70 Paesi.
  • Sbloccare il potenziale export – consentendo ai produttori sauditi di accedere con fiducia a nuovi mercati internazionali.
  • Favorire gli investimenti esteri – offrendo soluzioni assicurative solide che riducono i rischi di ingresso per i partner stranieri.

Far funzionare i “Bridges”: indicazioni pratiche

La presentazione conclusiva è stata affidata a William Whittington, Regional Head di Allianz Trade.
Il suo intervento ha reso accessibili al pubblico gli aspetti tecnici di “Bridges”. Ha descritto un processo concepito per essere il più semplice possibile: gli esportatori o le loro banche presentano le richieste tramite i canali consueti di Allianz Trade; in seguito, Allianz e Saudi Exim effettuano valutazioni indipendenti sul credito e screening ESG/KYC. Una volta approvati, i clienti beneficiano di limiti non cancellabili e di una maggiore capacità assicurativa — fino a 100 milioni di dollari per singolo acquirente saudita, con termini di finanziamento che possono estendersi fino a sette anni.

Whittington ha condiviso anche un caso concreto che ha colpito i partecipanti: un trader di materie prime che, grazie a “Bridges”, ha ottenuto un limite assicurativo sette volte superiore a quello normalmente disponibile per una transazione saudita. Questa espansione drastica della capacità ha trasformato una cauta operazione pilota in una partnership strategica. La flessibilità, ha sottolineato, non è riservata alle grandi imprese: anche le PMI possono beneficiarne, senza alcuna soglia minima di transazione.

Un cauto ottimismo — e una via chiara da seguire

Le discussioni hanno restituito un quadro sfaccettato. Da un lato, la fragilità dell’economia globale resta evidente, con l’aumento delle insolvenze, condizioni di finanziamento più rigide e crisi geopolitiche che aggiungono ulteriori complessità. Dall’altro, strumenti innovativi come la partnership Allianz–Saudi Exim stanno già trasformando il modo in cui le imprese affrontano il commercio in mercati volatili.

Alla chiusura dell’evento, a prevalere è stato un cauto ottimismo. Per le imprese svizzere orientate all’internazionalizzazione, la Vision 2030 saudita e gli strumenti presentati – dalle soluzioni globali di gestione del rischio di Allianz Trade agli strumenti di finanziamento e assicurazione della Saudi Exim – rappresentano non semplici opportunità teoriche, ma ponti concreti verso nuovi mercati.

Il messaggio è stato chiaro: in un’epoca di incertezza, le aziende che prospereranno saranno quelle capaci di unire visione ambiziosa e gestione accorta del rischio. Gli strumenti esistono. Il mercato è pronto. La domanda, per gli imprenditori ticinesi, non è più se esplorare le opportunità saudite — ma quando iniziare.

Costa Rica: dove l’investimento estero trova un proposito, sostenibilità e talento

Il Costa Rica si sta affermando come una destinazione strategica per gli investitori globali, offrendo molto più dell’accesso preferenziale tramite accordi commerciali: infrastrutture sostenibili, tracciabilità operativa e un contesto istituzionale stabile che facilita la gestione di affari complessi. Nell’articolo, PROCOMER, l’agenzia nazionale per la promozione degli investimenti esteri, ci guida attraverso il modello costaricense, illustrando come il Paese sostenga le imprese che puntano a competitività, innovazione, sostenibilità e talento specializzato.

Il Costa Rica ha trasformato la propria economia passando da un modello basato sull’esportazione di prodotti agricoli a un sistema capace di attrarre investimenti esteri in maniera consistente e stabili in America Latina. Secondo i dati della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPA), nel 2024 il Paese ha raddoppiano la crescita dell’attrazione di investimenti diretti esteri (IDE) rispetto alla media della regione, registrando un +13% contro il 7% latinoamericano.

L’evoluzione del Costa Rica non è frutto del caso, ma il risultato di una strategia a lungo termine che integra sostenibilità, talento e un ambiente imprenditoriale moderno e competitivo. Il Paese ha costruito ciò a cui molte economie in via di sviluppo aspirano ancora: un ecosistema in cui le imprese possono crescere in armonia con valori globali  come efficienza, sostenibilità e un proposito. Oggi, oltre 1’000 multinazionali operano dal Costa Rica, molte con attività complesse e centri di servizio a supporto dei mercati globali. Solo nell’ultimo anno, secondo i dati dell’agenzia nazionale per la promozione degli investimenti esteri (Promotora del Comercio Exterior de Costa Rica, PROCOMER), il Paese ha attratto più di 60 nuovi progetti di investimento estero nei settori della manifattura, dei servizi e della tecnologia.

“In Costa Rica crediamo che l’investimento estero debba essere un motore di sviluppo. Per questo, la nostra strategia mira ad attrarre imprese che condividano la nostra visione sulla sostenibilità, che scommettano sul talento locale e che puntino a generare valore al di là dell’ottenimento di risultati economici. Il Costa Rica offre così un ecosistema competitivo, affidabile e perfettamente allineato alle tendenze globali” afferma Laura López, Gerente Generale di PROCOMER.

La visione del Paese: sostenibilità e talento convergono in una stessa strategia di sviluppo.

Il Costa Rica vanta una matrice elettrica che, negli gli ultimi cinque anni, è stata alimentata per circa il 98% da fonti rinnovabili. Questa infrastruttura energetica pulita, unita alla stabilità politica, alla sicurezza giuridica e alla posizione strategica nel continente americano, fa del Paese una piattaforma ideale per le imprese che puntano sia alla competitività sia alla sostenibilità.

A questo si aggiunge il talento umano costaricense, riconosciuto per la sua formazione tecnica, l’adattabilità e le competenze multilingue. Secondo il Forum Economico Mondiale, il Costa Rica guida l’America Latina in termini di competenze dei laureati e di forza lavoro attuale e futura, risultando anche leader nell’indice di Capitale Umano nella regione. Università e istituti tecnici lavorano a stretto contatto con il settore produttivo per garantire che la formazione sia sempre allineata alle esigenze del mercato.

In un contesto globale in cui le imprese devono rispettare gli obiettivi ESG (Environmental, Social and Governance), il Costa Rica ha trasformato la sua leadership verde in una finestra concreta: il Paese è stato riconosciuto dal Programma delle Nazioni Uniti per l’Ambiente con il premio Champions of the Earth, diventando la prima nazione tropicale a invertire la deforestazione e a vincolare la protezione ambientale a incentivi economici.

Un marchio nazionale che articola il modello d’investimento 

La strategia per attrarre investimenti esteri si concretizza attraverso esencial COSTA RICA, il marchio Paese gestito da PROCOMER che promuove valori quali l’eccellenza, la sostenibilità, l’innovamento, il progresso sociale e il coinvolgimento costaricense. Questo marchio non è soltanto un’identità visiva: rappresenta uno standard che guida le politiche di investimento, esportazione e turismo. Le imprese che vi aderiscono devono rispettare il programma del marchio per ottenere la licenza

Oggi più di 780 imprese sono certificate esencial COSTA RICA, dimostrando il loro impegno a condividere la visione del Paese. Settori come la manifattura avanzata, i servizi ad alto contenuto di know-how, l’agroindustria, l’economia creativa e i semiconduttori rappresentano i pilastri strategici del modello costaricense.

Un alleato affidabile in un mondo che richiede impatto

Per gli investitori globali, il modello costaricense offre molto più dell’accesso preferenziale garantito dagli accordi commerciali. Il Costa Rica assicura tracciabilità, infrastrutture sostenibili e una cultura istituzionale che facilita la gestione di operazioni complesse. Il Paese mette a disposizione incentivi competitivi sia all’interno che all’esterno della Grande Area Metropolitana, includendo esoneri fiscali, procedure doganali snelle e benefici operativi per i settori strategici.

Leader regionale del friendshoring, il Costa Rica offre condizioni affidabili per imprese che vogliono riconfigurare le loro catene globali verso ambienti sostenibili, resilenti e dotati di talento specializzato.

Mentre altri mercati dibattono ancora su come integrare la sostenibilità nelle proprie economie, il Costa Rica ha posto la sostenibilità al centro della sua proposta di valore. E in un mondo in cui le imprese cercano impatto, coerenza e resilienza, questa visione comincia a fare davvero la differenza.

Autore e contatto:
Promotora de Comercio Exterior de Costa Rica (PROCOMER)
www.procomer.com
www.investincr.com/en

DOSSIER | Stati Uniti: panoramica dei dazi

***AGGIORNAMENTO DEL 29.09.2025***

Il 29 settembre 2025, il presidente Donald J. Trump ha emanato un proclama ai sensi della sezione 232 del Trade Expansion Act, imponendo nuovi dazi sulle importazioni di legno e prodotti derivati per motivi di sicurezza nazionale. L’indagine del Dipartimento del Commercio ha rilevato che le importazioni in crescita e le pratiche commerciali sleali stanno indebolendo l’industria americana del legno, riducendo la capacità produttiva interna e aumentando la dipendenza da fornitori esteri in settori critici come difesa, energia e infrastrutture.

A partire dal 14 ottobre 2025, saranno applicati dazi del 10% sul legname, 25% sui mobili imbottiti in legno e 25% su cucine e mobili da bagno, con aumenti rispettivi al 30% e 50% dal 1° gennaio 2026, salvo accordi bilaterali che eliminino la minaccia alla sicurezza nazionale. Le aliquote saranno limitate al 10% per il Regno Unito e al 15% per UE e Giappone. Il Segretario al Commercio monitorerà il mercato e potrà estendere o adeguare le misure entro ottobre 2026.

***AGGIORNAMENTO DEL 09.09.2025***

Il 29 agosto 2025, la Corte d’Appello federale degli Stati Uniti (Federal Circuit) ha dichiarato illegali i dazi imposti tramite l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) dall’amministrazione Trump, stabilendo che il presidente non può introdurre tariffe generali senza un’esplicita autorizzazione del Congresso.

Secondo la Corte, emergenze come il traffico di fentanyl o gli squilibri commerciali non rientrano tra le situazioni che giustificano l’uso dell’IEEPA per imporre dazi di carattere economico generale. La decisione si basa anche sulla “major questions doctrine”, secondo cui provvedimenti di grande impatto economico richiedono una delega legislativa chiara.

Il Dipartimento di Giustizia ha presentato ricorso alla Corte Suprema il 3 settembre 2025, chiedendo che i dazi restino in vigore fino alla decisione definitiva. Il 9 settembre 2025, la Corte Suprema ha accolto la richiesta di riesame (writ of certiorari) e ha fissato le udienze orali per il 5 novembre 2025, nell’ambito di un procedimento accelerato.

Nel frattempo, in base all’ordinanza del Federal Circuit, i dazi restano in vigore almeno fino al 14 ottobre 2025, data entro la quale la Corte Suprema potrebbe eventualmente prorogare la sospensione per evitare effetti economici immediati prima della propria decisione finale.

La sentenza definitiva della Corte Suprema è attesa tra dicembre 2025 e gennaio 2026.

Prospettive: l’amministrazione Trump potrebbe ricorrere ad altre basi legali (Sezioni 122, 301 o 232) per mantenere o reintrodurre i dazi.

VADEMECUM DELLA CC-TI con indicazioni pratiche su temi quali origine e valore delle merci, inclusione o esclusione di specifici servizi, e altri aspetti rilevanti: scarica il PDF (ultimo aggiornamento: 04.09.2025).

Dazi “reciproci” del 39% sulle merci svizzere a partire dal 7 agosto 2025, dazi su settori e prodotti specifici, eliminazione dell’esenzione dai dazi per i piccoli invii (de minimis): tutte queste misure adottate dagli Stati Uniti hanno generato incertezza tra le imprese esportatrici. Questa pagina mira ad offrire un quadro sintetico delle nuove disposizioni, illustrandone l’ambito di applicazione e le tempistiche, nonché le indicazioni operative rilasciate dalla dogana statunitense (Customs Border Protection, CBP) tramite le “CSMS”, essenziali per assicurare una corretta applicazione e conformità.

DAZIO AGGIUNTIVO “RECIPROCO” DEL 39% SUI PRODOTTI SVIZZERI

Con l’Executive Order del 31 luglio 2025 che modifica l’Executive Order 14257 del 2 aprile 2025, viene introdotto un dazio aggiuntivo “reciproco” del 39% ad valorem sulle importazioni di origine svizzera, con decorrenza dal 7 agosto 2025.


NOTA: Le trattative tra Svizzera e Stati Uniti per una riduzione del dazio del 39% sono attualmente in corso. Fino al raggiungimento di un accordo, le merci svizzere restano soggette alla misura.


Il dazio si applica in aggiunta a ogni altro onere doganale (dazi MFN, antidumping, compensativi e tasse).

Il criterio determinante per la sua applicazione è l’individuazione del Paese di origine doganale, da intendersi, ai sensi del regolamento 19 CFR parte 134, come il Paese in cui una merce di origine estera è stata fabbricata, prodotta o coltivata, prima dell’ingresso negli Stati Uniti. Eventuali lavorazioni o aggiunte di materiali effettuate in un altro Paese possono modificare il Paese di origine solo se determinano una trasformazione sostanziale del prodotto. È quindi rilevante il luogo in cui avviene l’ultima trasformazione significativa, e non il Paese di spedizione. Per ulteriori ragguagli sul tema vedasi anche Marking of Country of Origin on U.S. Imports | U.S. Customs and Border Protection.

Per contrastare le pratiche elusive tramite transshipment, è prevista una clausola rafforzata: se la CBP accerta che la merce ha transitato da un Paese terzo senza subire una trasformazione sostanziale, con l’unico scopo di aggirare il dazio, l’aliquota sale automaticamente al 40% e si applicano sanzioni, oltre agli altri oneri previsti. In questi casi, la CBP può richiedere documenti tecnici integrativi e prove retroattive di trasformazione.

In caso di presenza significativa di contenuto statunitense (almeno il 20%), il dazio si applica solo alla quota residuale. Per beneficiare di questa deroga è necessaria una documentazione dettagliata conforme ai requisiti CBP, inclusa la prova del valore doganale dei componenti USA.

Restano in vigore le esenzioni già previste da normative precedenti:

  • Allegato II dell’Executive Order 14257 (2 aprile 2025): esenzione per alcune categorie di semiconduttori, prodotti farmaceutici ed elettronica ad alta tecnologia, elencate per voce di tariffa doganale. Il Memorandum Presidenziale dell’11 aprile estende l’esenzione a circuiti integrati, smartphone, SSD, moduli a pannello piatto e monitor (identificati tramite voce di tariffa doganale). L’Allegato I dell’Executive Order 14346 del 5 settembre 2025 amplia le esenzioni negli ambiti farmaceutico, metalli, minerali e tech, mentre plastiche e chimici sono di nuovo tassati.
  • Esenzioni ai sensi della Sezione 232: valide per acciaio, alluminio, veicoli e componentistica, rame (vedasi sotto).

L’Executive Order del 5 settembre introduce anche una novità: il meccanismo PTAAP (Potential Tariff Adjustments for Aligned Partners), che applica tariffe MFN solo a Paesi partner strategici che siglano con gli USA accordi di cooperazione su commercio, sicurezza e tecnologie critiche. Settori inclusi: aerospazio, farmaceutica, risorse naturali critiche e prodotti agricoli scarsi sul mercato interno.

Istruzioni operative CBP: CSMS # 65829726, CSMS # 64649265, CSMS # 6474565.

DAZI “RECIPROCI” SU PRODOTTI DI ALTRI PAESI

L’elenco dettagliato dei Paesi interessati e il rispettivo ammontare dei dazi è riportato nell’Allegato I dell’Executive Order del 31 luglio 2025. Secondo tale elenco, ai prodotti di origine britannica si applica un dazio aggiuntivo “reciproco” del 10%, ai prodotti giapponesi del 15% e così via.

Unione europea

Per i prodotti originari dell’Unione europea si applica una struttura tariffaria modulata:

  • se il dazio MFN è inferiore al 15%, viene integrato per raggiungere il 15%
  • se il dazio MFN è pari o superiore al 15%, non si applica alcun dazio aggiuntivo.

Confronto prodotto UE <> prodotto svizzero:

  • prodotto UE con dazio MFN del 6% → dazio aggiuntivo del 9%, totale 15%;
  • prodotto svizzero con lo stesso dazio MFN → dazio aggiuntivo del 39%, totale 45%.

DAZI SPECIFICI SU MATERIALI STRATEGICI E PRODOTTI

Restano applicabili i dazi di sicurezza nazionale introdotti ai sensi della Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, per settori strategici quali acciaio, alluminio, rame e in parte automotive. Questi dazi non si cumulano con quelli “reciproci” dell’Executive Order 14257.

Acciaio e derivati

Dal 4 giugno 2025 è in vigore un dazio del 50% su acciaio e derivati (Proclama 10957 del 3 giugno 2025, esteso tramite Nota dell’Industry & Security Bureau BIS del 16 giugno 2025 e Nota del BIS pubblicata il 15 agosto 2025 e valida dal 18 agosto 2025). L’elenco completo dei prodotti toccati può essere visionato su Updated steelHTSlist 081525.docx

In sintesi:

  • il contenuto in acciaio dei derivati deve essere separato dai componenti non metallici, assoggettati ai dazi reciproci
  • ordine di priorità dei dazi: 1) dazio auto e componenti (25%), 2) dazio acciaio e alluminio (50%), 3) IEEPA per Canada e Messico (vedasi aggiornamenti del caso)
  • no drawback (rimborso dazi per reexport)
  • obbligo di indicare Paese di fusione e colata (ISO) o, se sconosciuto, “UN” (in tal caso, dazio punitivo del 200%).

Istruzioni operative CBP:  CSMS # 65936570, CSMS # 6526374, CSMS # 6526574

Alluminio e derivati

Dal 4 giugno 2025 è in vigore un dazio del 50% su alluminio e derivati (Proclama 10957 del 3 giugno 2025, esteso a lattine e birra tramite Nota del BIS del 4 aprile 2025 e ad altri derivati tramite Nota del BIS pubblicata il 15 agosto 2025 e valida dal 18 agosto 2025). L’elenco completo dei prodotti toccati può essere visionato su Updated aluminumHTSlist 081525.docx

In sintesi:

  • il contenuto in alluminio dei derivati deve essere separato dai componenti non metallici, assoggettati ai dazi reciproci
  • ordine di priorità dei dazi: 1) dazio auto e componenti (25%), 2) dazio acciaio e alluminio (50%), 3) IEEPA per Canada e Messico (vedasi aggiornamenti del caso)
  • no drawback (rimborso dazi per reexport)
  • obbligo di indicare Paese di prima e seconda fusione e Paese di colata.

Istruzioni operative CBP: CSMS # 65936615, CSMS # 65236645, CSMS # 65340246 e CSMS # 6526574.

Rame e derivati

Dal 1° agosto 2025 è in vigore un dazio del 50% su rame e derivati (Proclama 10962 del 30 luglio 2025, Elenco HTS del rame soggetto alla Sezione 232).

In sintesi:

  • il contenuto in rame dei derivati deve essere separato dai componenti non metallici
  • ordine di priorità dei dazi: i prodotti assoggettati ai dazi auto (Proclama 10908) sono esclusi dal dazio sul rame
  • no drawback (rimborso dazi per reexport).

Istruzioni operative CBP: CSMS # 65794272

Auto e componenti

Dal 3 aprile 2025, auto e camion leggeri sono soggetti a un dazio aggiuntivo del 25%, come stabilito dal Proclama 10908. Dal 3 maggio 2025 la misura si estende ai componenti elencati nell’Allegato I.

Il 29 aprile 2025, un nuovo provvedimento ha introdotto un meccanismo di “credito compensativo” per i produttori statunitensi: il dazio sui componenti è ridotto in proporzione al loro contributo al valore di veicoli assemblati negli Stati Uniti (15% il primo anno, 10% dal secondo).

Istruzioni operative CBP: CSMS # 64913145 e CSMS # 64916652

FINE DEL REGIME “DE MINIMIS”

Con ordine esecutivo del 30 luglio 2025, è stata disposta la sospensione globale del regime “de minimis”, che prevedeva l’esenzione dai dazi per merci di valore inferiore a 800 dollari.

Dal 29 agosto 2025, tutte le importazioni commerciali sono soggette al regime ordinario, che prevede:

  • dazio MFN
  • dazio “reciproco” secondo l’aliquota IEEPA applicabile al Paese d’origine
  • eventuali altri dazi specifici
  • dichiarazione doganale completa tramite il sistema ACE (Automated Commercial Environment), con voce di tariffa, valore, origine e documenti commerciali.

Eccezione temporanea per i pacchi postali

Per sei mesi, le spedizioni effettuate tramite servizi postali ufficiali possono beneficiare di un regime semplificato a scelta:

  • dazio calcolato secondo aliquota IEEPA; oppure
  • tariffa fissa per pacco (80–200 USD, in base all’aliquota del Paese d’origine).

Alla fine del periodo transitorio, anche i pacchi postali saranno soggetti al regime ordinario completo.

Obblighi di garanzia

La CBP si riserva il diritto di richiedere garanzie finanziarie per assicurare il pagamento dei nuovi dazi.

SWISS MADE

Considerazioni sul futuro dello Swiss Made alla luce dei dazi del 39% applicati dagli USA dal 7 agosto 2025 e delle valutazioni che le aziende esportatrici stanno facendo per affrontare questa nuova sfida: “Swiss Made” sotto pressione (03.09.2025)

Per domande o approfondimenti, potete rivolgervi a:

Monica Zurfluh
Responsabile Commercio Internazionale
T +41 91 911 51 35
zurfluh@cc-ti.ch


La Cc-Ti nei media

Interventi e prese di posizione della Cc-Ti e del Direttore Luca Albertoni

Non dimentichiamo l’energia

In modo un po’ paradossale, le tensioni internazionali sembrano aver fatto passare in secondo piano la questione energetica, che resta di stretta attualità.

Forse per il calo del prezzo della benzina, per i vari annunci della riduzione dei prezzi dell’elettricità, oppure semplicemente perché si parla soprattutto di guerre militari e commerciali, gli aspetti dell’approvvigionamento energetico stabile e sicuro non sembrano al momento preoccupare più di tanto. Appunto paradossale perché proprio nell’instabilità internazionale si celano molti rischi, vista la dipendenza svizzera da altri paesi europei, soprattutto nei mesi invernali. 
Eppure, gli scenari di guerra in particolare hanno mostrato con chiarezza quanto fragile possa essere un sistema di approvvigionamento fondato su equilibri precari e su importazioni spesso difficili da garantire. Non a caso, a livello nazionale, la strategia energetica è oggetto di un indispensabile ripensamento, che si auspica finalmente libero da tabù inutilmente condizionanti.
È inevitabile riprendere il discorso sul nucleare, perché l’illusione di poter sostituire solo con le energie rinnovabili un’intera quota di produzione stabile e sicura si è rivelata molto fragile e costosa. Il solare e l’eolico possono avere un ruolo importante, ma restano intermittenti e non assicurano la continuità di fornitura necessaria a un Paese industrializzato. O la possono in futuro assicurare solo al prezzo elevatissimo di adattamento delle reti e di altre misure non immediatamente realizzabili. E, in termini di indipendenza energetica, anche le rinnovabili non sono il massimo, considerato il ruolo decisivo giocato dalla Cina in particolare in ambito fotovoltaico. Vero che l’idroelettrico è un pilastro fondamentale per il sistema elvetico e ticinese, ma purtroppo non può crescere all’infinito.

Il cattivo esempio della Germania

Che ignorare l’evoluzione tecnologica a priori e imporre dall’alto solo alcuni vettori energetici sia un autogoal clamoroso lo dimostra del resto il nostro vicino settentrionale. La Germania ha spinto con decisione su una politica verde troppo estrema, chiudendo le centrali nucleari e investendo somme enormi nelle rinnovabili. Una decisione clamorosa che è venuta ad accavallarsi con la riduzione delle forniture del gas russo e aumenti di prezzi vertiginosi. Con un risultato disastroso a livello economico e ambientale: aumento delle emissioni per il maggior ricorso al carbone, esplosione dei prezzi dell’elettricità, imprese costrette a delocalizzare e bollette pesantissime per cittadine e cittadini (con un incremento medio di prezzo di circa il 30%). Oggi la Germania è costretta a rivedere i suoi piani, pagando un prezzo altissimo per errori ideologici che avrebbero potuto essere evitati solo con una maggiore accortezza. Un monito chiaro anche per la Svizzera.

Non è solo una questione di costi

La sicurezza dell’approvvigionamento è un bene pubblico essenziale. Senza energia stabile e accessibile, non possono funzionare né le imprese né i servizi pubblici. L’energia garantisce la stabilità del sistema economico e sociale. Senza, tutto si ferma. Ecco perché è assolutamente necessario ristabilire un equilibrio tra energie rinnovabili, altre energie (compresa quella nucleare) e importazioni, senza preclusioni ideologiche ma con pragmatismo e senso della realtà.

La dipendenza dall’estero

L’altro aspetto cruciale riguarda la dipendenza dall’estero. Oggi la Svizzera importa una parte significativa della sua elettricità nei mesi invernali, proprio quando la domanda è più elevata e il contributo delle rinnovabili più limitato. Tenuto conto di queste difficoltà stagionali, la dipendenza energetica dall’estero si aggira complessivamente attorno al 70%, che rappresenta la quota di consumi lordi coperta dalle importazioni. Questo ci rende vulnerabili non solo alle variazioni dei prezzi, ma anche alle decisioni politiche dei Paesi confinanti, che ovviamente mettono in priorità la possibilità di fornire energia ai propri cittadini. Parliamo nello specifico di Germania, Francia e Austria. Non va dimenticato che a ciò si aggiunge la dipendenza crescente dalle cosiddette terre rare, indispensabili, tra le altre cose, per la produzione di pannelli solari, turbine e batterie. Materie prime controllate in larga misura dalla Cina, che le utilizza anche come strumento geopolitico, prevedendo anche contingenti di esportazione. Puntare tutto solo ed esclusivamente sulle energie rinnovabili significa, paradossalmente, sostituire una dipendenza con un’altra, forse ancora più rischiosa.

Anche l’Unione europea…

Non è un caso che anche l’Unione europea stia almeno parzialmente cambiando rotta. Dopo anni di politiche climatiche improntate a scelte estreme, che hanno fra l’altro messo in ginocchio l’industria automobilistica, Bruxelles ha iniziato a riconoscere i limiti e le contraddizioni di questa linea. Il nucleare, inizialmente escluso, è stato riconsiderato come fonte sostenibile. Diversi Stati membri stanno rivalutando programmi per la costruzione di nuove centrali, consapevoli che senza energia stabile, abbondante e a prezzo abbordabile la transizione ecologica resta un’illusione molto costosa. La transizione energetica ci sarà probabilmente, come può anche essere giusto che sia, ma secondo temi e modi diversi da quelli ipotizzati a tavolino.

…e il Ticino…

A livello cantonale, il discorso non è diverso. Il piano energetico cantonale, che punta a un’indipendenza pressoché totale dalle fonti esterne, rappresenta un progetto poco conforme alle esigenze e alle possibilità del nostro territorio. Immaginare che un piccolo cantone alpino possa produrre tutta l’energia necessaria senza ricorrere a importazioni e senza considerare le dinamiche svizzere ed europee è un esercizio teorico poco collimante con la pratica e insostenibile dal punto di vista dei costi. Inoltre, questo approccio, come avremo modo di discuterne con il Consigliere federale Albert Rösti in occasione della nostra Assemblea generale ordinaria del prossimo 17 ottobre, non è più in linea con la politica federale, che ormai riconosce la necessità di un mix equilibrato fra vettori energetici e della collaborazione internazionale. Insistere su una via isolata significa penalizzare cittadini e imprese con costi elevati e benefici minimi.
Il futuro energetico della Svizzera passa dunque da una scelta di pragmatismo. Serve un compromesso intelligente, che valorizzi l’idroelettrico e le rinnovabili ma che non escluda nuove tecnologie, in particolare nucleari, oggi ancora più sicure ed efficienti rispetto al passato. Con un occhio alla politica estera e la proposta di Accordi bilaterale sull’energia con l’UE non mancherà di far discutere…

Asia Centrale e Caucaso meridionale: tra corridoi strategici e transizione verde

Il 9 settembre, la Cc-Ti e la JCC hanno acceso i riflettori su Asia Centrale e Caucaso meridionale. In un mondo che cambia velocemente, queste due aree si impongono come snodi cruciali. La sintesi del dibattito non lascia dubbi: chi le governa, governa anche una parte degli equilibri geopolitici ed economici globali di domani.

L’incontro, dedicato all’analisi delle dinamiche geopolitiche ed economiche della regione, si è aperto con i saluti istituzionali di Monica Zurfluh, Responsabile Commercio internazionale della Cc-Ti, e Dorit Sallis, Managing Director di Joint Chamber of Commerce (JCC), la principale organizzazione svizzera del settore privato impegnata a promuovere i rapporti economici bilaterali tra la Svizzera e l’Europa orientale (extra-UE), l’Asia Centrale e il Caucaso meridionale.

Una nuova stagione geopolitica

Christopher J. Weafer (Macro-Advisory Ltd.) ha messo in luce come l’Asia Centrale e il Caucaso meridionale stiano conoscendo un inedito ritorno di centralità. Si parla ormai di “Great Game 3.0”, dove Cina, Russia, Stati Uniti, Unione europea, Turchia, Iran, India e monarchie del Golfo competono per il controllo di risorse, mercati e corridoi strategici che collegano Asia ed Europa.

Le risorse naturali rappresentano la posta più ambita: il Kazakistan è il principale fornitore globale di uranio, il Tagikistan è secondo nella produzione di antimonio, metallo chiave anche in ambito militare. L’energia rimane cruciale, ma cresce la corsa alle rinnovabili. Sul piano logistico, si moltiplicano i progetti di rotte alternative: il Corridoio di Mezzo (TITR), sostenuto dall’Unione europea, che collega l’Asia all’Europa aggirando la Russia; il Corridoio di Zangezur (Trump Route for International Peace and Prosperity – TRİPP), promosso da Azerbaigian, Armenia e Turchia con il sostegno statunitense, per ridurre i tempi di transito verso il Mediterraneo; il Corridoio di trasporto internazionale nord-sud (INSTC), voluto da Russia, Iran e India, per unire Asia meridionale ed Eurasia. Sullo sfondo, la Belt and Road Initiative cinese continua a tessere la sua rete di rotte terrestri e marittime.

Le strategie sono diverse: la Cina privilegia energia, risorse alimentari e vie di transito con un approccio pragmatico; la Russia, che considera l’Asia Centrale parte del proprio “estero vicino” e la utilizza come valvola di sfogo economica di fronte alle sanzioni, esercita ancora un forte controllo politico e militare; Stati Uniti e Unione europea cercano di contenere l’espansione di Pechino e Teheran e di garantire approvvigionamenti sicuri di minerali critici. Nel frattempo, la Turchia rilancia il progetto di un “mondo turco” che unisca popoli affini dalla steppa al Mediterraneo e gli Stati del Golfo investono massicciamente in energia, logistica e finanza islamica. Infine, l’Iran rafforza i legami con l’Unione economica eurasiatica (EaEU) e l’India, più lenta nel suo approccio, cerca spazio attraverso l’INSTC.

Per gli investitori privati, i settori più promettenti spaziano da energia (tradizionale e rinnovabile) e logistica, a sanità, fintech e turismo. L’aumento del reddito medio rafforza inoltre il potenziale dei consumi interni, mentre le privatizzazioni in corso aprono nuove opportunità in settori strategici. Tuttavia, restano ostacoli importanti: la concorrenza agguerrita di Russia e Cina, che possono contare su rapporti storici, reti linguistiche e minori vincoli normativi, burocrazia lenta, normative poco trasparenti e rischi reputazionali.

Transizione verde: dall’ambizione alla realtà

Dinara Jarmukhanova (Centil Law Firm) ha sottolineato come l’Asia Centrale stia tentando di trasformarsi da periferia energetica a laboratorio della transizione verde. I governi hanno fissato obiettivi ambiziosi: neutralità carbonica a metà secolo e quote rilevanti di rinnovabili già entro il 2030. La posta in gioco non riguarda soltanto la sicurezza energetica interna, ma la possibilità di trasformare la regione in un hub di esportazione di energia pulita verso Europa e Asia meridionale.

Kazakistan e Uzbekistan guidano la corsa sia a livello di obiettivi sia di pacchetti di incentivi capaci di attrarre grandi operatori internazionali. Il Kazakistan mira al 15% di rinnovabili entro il 2030 e al 50% entro il 2050. Colossi come Masdar, Total Energies e Acwa Power hanno firmato accordi per parchi eolici da un gigawatt ciascuno, da completare entro il 2028. L’Uzbekistan si muove con altrettanta determinazione e punta al 40% entro il 2030. Qui è stato inaugurato il progetto Sungrow Lochin, la più grande batteria di accumulo dell’Asia Centrale, capace di garantire stabilità di rete e di rafforzare l’attrattività per nuovi investitori. Kirghizistan e Tagikistan, dal canto loro, concentrano gli sforzi sull’idroelettrico, con il progetto CASA-1000 che porterà energia verso Pakistan e Afghanistan entro il 2027. Sul piano regionale, il Corridoio trans-caspico per l’energia verde, sostenuto da istituzioni finanziarie multilaterali, promette di collegare direttamente l’energia pulita centroasiatica ai mercati europei. Una prospettiva che non solo diversificherebbe i mercati, ma inserirebbe la regione in un network energetico continentale in forte trasformazione.

Anche Jarmukhanova conferma le opportunità concrete per il capitale privato: crescita della domanda interna, programmi di privatizzazione, incentivi. Permangono tuttavia sfide significative: alti costi iniziali dei grandi impianti, reti elettriche obsolete, carenza di manodopera qualificata, oltre a regole ancora fragili. La stagionalità delle rinnovabili e la mancanza di capacità di accumulo aggravano i rischi di instabilità.
La spinta politica è forte, ma l’influenza delle industrie fossili e la lentezza burocratica rischiano di rallentare la trasformazione.

I corridoi eurasiatici tra logistica e sovranità

Il terzo e ultimo contributo, a cura di Nikolaus Kohler (M&M Militzer & Münch AG), ha sottolineato il peso crescente della logistica e delle infrastrutture di trasporto nel futuro della regione, evidenziando a sua volta come, dietro l’espansione dei corridoi eurasiatici, non ci sia soltanto la volontà di accorciare le distanze commerciali tra Asia ed Europa, ma una competizione geopolitica che volta a ridefinire equilibri e alleanze e che, a ben guardare, mette a dura prova la capacità dei Paesi dell’Asia Centrale e del Caucaso di gestire investimenti esteri senza cedere sovranità politica.

Ne sono la prova i due principali assi di sviluppo, il Corridoio di Mezzo (TITR) e il Corridoio di Trasporto Internazionale Nord-Sud (INSTC): il primo, che collega Cina e Turchia passando da Kazakistan, Azerbaigian e Georgia, rappresenta un’alternativa strategica alle rotte settentrionali attraverso la Russia, oggi ostacolate dalle sanzioni. Il secondo, che attraversa Iran e Russia per connettere l’Asia meridionale con l’Europa e l’Eurasia, consolida la cooperazione tra Mosca e Teheran. A queste vie si aggiungono iniziative più recenti come il Corridoio di Zangezur (TRIPP), nato dal fragile processo di pace tra Armenia e Azerbaigian, o il collegamento Uzbekistan–Afghanistan–Pakistan, sostenuto anche da interessi cinesi e pakistani.

Gli investimenti sono imponenti e provengono da più direzioni. Bruxelles, attraverso il programma Global Gateway, cerca di offrire ai Paesi centroasiatici un’alternativa credibile alla Nuova Via della Seta cinese. Pechino, dal canto suo, rafforza la propria presa con il progetto ferroviario Cina–Kirghizistan–Uzbekistan, che ridisegnerà le tempistiche dei traffici euroasiatici. La Russia, isolata a ovest, rilancia il ruolo dell’INSTC per mantenere un piede in una regione che considera vitale per la sua proiezione verso il sud. Washington, infine, osserva con crescente attenzione, cercando di sostenere progetti che limitino l’influenza di Mosca e Pechino (leggi: Corridoio di Zangezur).

Se sul piano infrastrutturale i progressi sono tangibili – nuovi porti, terminal, linee ferroviarie e sistemi digitali come eTIR e Single Window – le criticità rimangono evidenti: il Mar Caspio è un collo di bottiglia, i confini rallentano i flussi e la forte dipendenza da capitali esteri solleva interrogativi sulla sovranità degli Stati coinvolti. In questo scenario, la logistica non è solo economia: è geopolitica allo stato puro.

Il prezzo della centralità eurasiatica

Dall’evento di Cc-Ti e JCC emerge un quadro chiaro: Asia Centrale e Caucaso meridionale rappresentano snodi cruciali in cui convergono interessi energetici, logistici e geopolitici delle grandi potenze. Le opportunità sono rilevanti – dall’energia tradizionale e rinnovabile alla logistica, dai consumi interni alle privatizzazioni – ma si accompagnano a rischi elevati, legati a instabilità politica, burocrazia lenta, quadri normativi poco trasparenti e pressioni esterne.

Il futuro della regione dipenderà dalla capacità dei governi di tradurre ambizioni e incentivi in progetti concreti, bilanciando l’apertura agli investimenti con la difesa della sovranità strategica. Per gli investitori, significa alto potenziale, ma anche alta volatilità: chi saprà navigare tra opportunità e rischi potrà giocare un ruolo di primo piano in questa nuova rete di relazioni euro-asiatiche.

Egitto: registrazione anticipata obbligatoria delle spedizioni aeree dal 2026

Da gennaio 2026 tutte le spedizioni aeree dirette in Egitto dovranno essere preregistrate nel sistema ACI (Advanced Cargo Information).

Il Ministero delle Finanze egiziano ha confermato le nuove tempistiche dopo diversi rinvii: la fase sperimentale si concluderà a dicembre 2025 e, dal nuovo anno, l’utilizzo del sistema ACI diventerà obbligatorio per il trasporto aereo.

Ricordiamo che il sistema è già operativo per le spedizioni marittime dal 1° ottobre 2021: con l’estensione al cargo aereo, si completa il processo di digitalizzazione dei controlli doganali egiziani.

Come funziona l’ACI

Il sistema integra due piattaforme complementari:

  • CargoX: utilizzata dagli esportatori per trasmettere la documentazione alle autorità doganali egiziane;
  • Nafeza: gestita dagli importatori egiziani, raccoglie e valida i documenti ricevuti tramite CargoX per le pratiche di sdoganamento.

Questa architettura garantisce maggiore tracciabilità e trasparenza nelle operazioni doganali.

Passaggi operativi per le aziende esportatrici

Per garantire uno sdoganamento regolare, le aziende esportatrici devono seguire i seguenti passaggi:

  • Registrazione su CargoX
    • attivazione di una chiave blockchain e acquisto di crediti per il caricamento e l’invio dei documenti;
    • prevedere alcuni giorni per il completamento della registrazione.
  • Coordinamento con l’importatore
    • l’importatore inserisce i dati della spedizione (fattura commerciale o proforma) nella piattaforma Nafeza;
    • il sistema genera automaticamente il numero ACID (Advance Cargo Information Declaration);
    • il codice viene comunicato a entrambe le parti;
    • lato esportatore, il codice deve essere riportato su tutti i documenti dal lato esportatore.
  • Caricamento dei documenti
    • obbligatori: fattura commerciale, certificato d’origine e polizze di carico, in formato PDF e comprensivi del numero ACID;
    • la fattura deve essere caricata anche in formato XLS tramite il template fornito dalla piattaforma;
    • i documenti devono essere caricati al più tardi 48 ore prima dell’arrivo della merce in Egitto.
  • Coordinamento con lo spedizioniere
    • il numero ACID va comunicato allo spedizioniere, che lo utilizzerà per l’emissione corretta dei documenti di trasporto.

Fonte: Germany Trade & Invest, GTAI

Dazi “reciproci USA”: nuovo ordine esecutivo

Il 5 settembre 2025 il Presidente Trump ha firmato un nuovo Ordine esecutivo che modifica l’attuale regime dei dazi “reciproci” e introduce meccanismi inediti per l’attuazione di accordi commerciali e di sicurezza. Le misure entrano in vigore l’8 settembre 2025.

Contesto normativo

L’Ordine esecutivo del 5 settembre 2025 si inserisce nella cornice degli Ordini esecutivi 14257 (2 aprile 2025) e 14326 (31 luglio), che avevano dichiarato uno stato di emergenza nazionale collegato ai deficit commerciali e introdotto misure tariffarie straordinarie per motivi di sicurezza nazionale.

Il nuovo Ordine aggiorna le categorie di merci esentate dai “dazi reciproci” (Allegato I) e istituisce un regime tariffario condizionato al grado di allineamento strategico dei partner commerciali (Allegati II e III).

Modifiche all’Allegato II dell’Ordine esecutivo 14257

L’elenco dei beni esclusi dai dazi “reciproci” contenuto nell’Allegato II dell’Ordine esecutivo 14257 è stato significativamente ampliato. Tra le principali categorie introdotte figurano:

  • settore farmaceutico: lidocaina e altri anestetici locali, ingredienti attivi per farmaci generici non brevettati;
  • metalli critici: nichel, grafite, oro (in polveri, foglie, lingotti);
  • minerali rari essenziali per tecnologie avanzate:torio, stagno, molibdeno;
  • tecnologie avanzate: LED di alta precisione, magneti permanenti in terre rare (neodimio).

Parallelamente, alcune categorie precedentemente esentate tornano soggette a dazi “reciproci”:

  • plastiche e polimeri: PET, resine epossidiche, siliconi, poliestere;
  • prodotti chimici di base: idrossido di alluminio, miscele di alcoli aciclici.

L’Allegato I dell’Ordine esecutivo del 5 settembre elenca le categorie di merci interessate, riportando i corrispondenti codici tariffari HTSUS.

Introduzione del meccanismo “PTAAP”

La novità più rilevante è l’introduzione degli Allegati II e III Potential Tariff Adjustments for Aligned Partners (Allegato PTAAP), che prevede un regime tariffario preferenziale e condizionato.

Per le merci elencate, gli Stati Uniti possono applicare esclusivamente il dazio MFN (Most-Favored-Nation) anziché tariffe punitive se il Paese partner

  • conclude un accordo di commercio e sicurezza con clausole specifiche di cooperazione strategica;
  • assume impegni vincolanti, concreti e misurabili per ridurre gli squilibri commerciali bilaterali; e
  • rafforza la cooperazione economica in settori strategici, inclusa la condivisione di tecnologie critiche e l’allineamento in ambito di standard di sicurezza.

Categorie di beni inclusi nel PTAAP

L’Allegato PTAAP si applica a quattro aree strategiche:

  • aerospazio: aeromobili completi, parti di ricambio, avionica e componentistica certificata;
  • farmaceutica: medicinali generici, principi attivi non brevettati e ingredienti per l’industria;
  • risorse naturali critiche: materiali non disponibili negli USA e derivati industriali;
  • agricoltura specializzata: prodotti agricoli non coltivati o in quantità sufficienti sul mercato interno.

L’Allegato II elenca le categorie di merci interessate, riportando i corrispondenti codici tariffari HTSUS.

Attivazione e gestione operativa

Le esenzioni tariffarie previste dal PTAAP si attivano automaticamente al momento della ratifica dell’accordo bilaterale, senza bisogno di ulteriori ordini esecutivi.

La gestione operativa del sistema è affidata a tre organismi federali:

  • USTR (United States Trade Representative) – negoziazione e supervisione degli accordi commerciali
  • Department of Commerce – valutazione tecnica dei prodotti e classificazione tariffaria
  • U.S. Customs and Border Protection (CPB) – implementazione pratica alle frontiere e controlli doganali

Raccomandazioni operative

La CPB ha già pubblicato le linee guida per una corretta dichiarazione doganale, cfr. CSMS # 66151866 del 6 settembre 2025.

Considerando la natura dinamica del framework normativo e la possibilità di aggiornamenti periodici, è opportuno monitorare con attenzione le modifiche agli allegati tariffari, in una prima fase gli aggiornamenti all’Allegato II dell’ordine esecutivo 14257 del 2 aprile.

“Swiss Made” sotto pressione

Il dilemma delle imprese svizzere tra dazi punitivi e identità di marca

Il 7 agosto ha segnato una svolta nei rapporti commerciali tra Stati Uniti e Svizzera: i dazi “reciproci” introdotti dall’amministrazione Trump impongono ora un aggravio del 39% sui prodotti elvetici. Una soglia che erode margini, riduce volumi e mette a dura prova la competitività delle nostre imprese. In questo contesto le aziende si muovono su una linea sottile: da un lato la tentazione di sfuggire ai dazi punitivi con, talvolta, soluzioni creative, dall’altro l’esigenza di salvaguardare l’integrità dello “Swiss Made”.

Un marchio che vale più di un’etichetta

Lo “Swiss Made” è molto più di un marchio: rappresenta eccellenza, qualità e autenticità. La reputazione dell’ingegneria elvetica si fonda su precisione e affidabilità; l’orologeria è sinonimo di lusso e perfezione meccanica, il cioccolato di raffinatezza. In un mercato globalizzato poche etichette hanno lo stesso peso simbolico. Perderlo significherebbe intaccare un patrimonio fatto di credibilità, prestigio e fiducia costruiti nel tempo.
Molte aziende integrano già componenti o fasi produttive realizzati all’estero. La normativa prevede infatti criteri che lasciano un certo margine di manovra: per i prodotti industriali, ad esempio, almeno il 60% del costo di produzione deve essere sostenuto in Svizzera e il processo che conferisce le caratteristiche essenziali deve svolgersi sul territorio nazionale. Va però ricordato che le regole doganali sull’origine non coincidono perfettamente con quelle che disciplinano lo “Swiss made”, legate alla proprietà intellettuale. In questa sede, tuttavia, tali differenze non saranno approfondite, poiché meno rilevanti rispetto alla garanzia dell’identità svizzera del prodotto.

Soluzioni fantasiose: re-routing e rielaborazioni minime

Per ridurre i dazi, alcune imprese valutano il re-routing verso l’Unione europea (UE) per attività di confezionamento, reimballaggio o semplice assemblaggio. Operazioni legali, ma che non modificano le caratteristiche essenziali del prodotto, non richiedono competenze tecniche e non generano reale valore aggiunto. Si tratta quindi di soluzioni deboli e temporanee, che le espongono a rischi elevati in caso di controlli doganali, che le autorità statunitensi annunciano particolarmente severi nei prossimi mesi.

Ipotesi più realistiche: delocalizzare fasi produttive

Alcune aziende considerano di trasferire fasi produttive nell’UE per beneficiare di dazi più bassi: i prodotti di origine europea, infatti, sono soggetti a un’aliquota del 15%. Qualora tali lavorazioni configurino una “trasformazione sostanziale”, l’accesso al mercato americano risulta più conveniente. Questo approccio però, comporta la perdita dello “Swiss Made” (e, sebbene qui non approfondito, anche dei vantaggi derivanti dall’origine preferenziale svizzera nell’ambito di accordi di libero scambio di rilievo, come quello con Cina o India). Senza questa denominazione, un macchinario, ad esempio, diventa un “altro” prodotto europeo, in concorrenza diretta con prodotti italiani, francesi o tedeschi. Le conseguenze non sono solo semantiche: si perdono unicità, margini e la possibilità di mantenere un premium price.

Reputazione globale a rischio

Lo “Swiss Made” ha valore oltre gli USA: in Asia è sinonimo di lusso, in Medio Oriente garanzia di esclusività, in Europa simbolo di qualità.
Anche in mercati più sensibili al prezzo, come America Latina e Africa, l’etichetta influenza le decisioni d’acquisto. Rinunciarvi significherebbe compromettere la competitività su più mercati, indebolendo un asset strategico costruito in decenni di eccellenza.

Opzioni strategiche a confronto

La preziosa reputazione globale dello “Swiss Made” pone le imprese elvetiche davanti a scelte complesse:

  • Mantenere la produzione in patria, negoziando, laddove possibile, riduzioni di prezzo o condivisione dei costi doganali. Una soluzione che preserva l’integrità del marchio, ma limita la competitività.
  • Delocalizzare nell’UE, riducendo i dazi ma sacrificando lo “Swiss Made”. Resta l’incognita: quanto resteranno in vigore questi dazi?
  • Adottare una strategia ibrida, con linee “Swiss Made” per altri mercati e “Made in EU” per gli USA. Una forma di segmentazione, che richiede una gestione attenta del proprio brand.
  • Abbandonare il mercato statunitense, opzione estrema che salvaguarda l’identità ma riduce le prospettive globali.

I costi nascosti

Trasferire fasi produttive non è mai un’operazione neutra: comporta nuovi contratti di fornitura, costi logistici aggiuntivi, il rafforzamento dei controlli qualità e l’adeguamento a normative differenti. Spesso, questi fattori erodono i risparmi doganali, riducendo il vantaggio competitivo atteso. Ancora di più se i trasferimenti sono “provvisori”: ci si è davvero interrogati sul costo reale della cosiddetta “exit”?

Identità o sopravvivenza?

La scelta strategica non è solo economica, ma anche culturale.
Accettare i dazi significa difendere un marchio che rappresenta la Svizzera nel mondo. Sacrificarlo per la competitività immediata equivale a rinunciare a un patrimonio simbolico difficile da ricostruire. In gioco non c’è solo un’etichetta: è l’essenza dello “Swiss Made”, un valore intangibile che nessuna scorciatoia doganale può sostituire.

Innovare per resistere

Molte aziende svizzere esplorano strategie alternative. Una è la diversificazione geografica, puntando su mercati dove lo “Swiss Made” mantiene fascino, crescita e vantaggi dal libero scambio. L’altra è l’innovazione: investimenti in R&D, digitalizzazione e sostenibilità possono giustificare anche un sovrapprezzo del 39%. Tecnologie proprietarie, certificazioni ambientali e servizi esclusivi trasformano il dazio da ostacolo a elemento distintivo: “costa di più perché vale di più”.

Verso una nuova eccellenza svizzera

Non esiste una soluzione unica: ogni azienda deve bilanciare pragmatismo e identità. Lo “Swiss Made” non può più fare affidamento solo sul prestigio storico; deve dimostrare ogni giorno il proprio valore attraverso innovazione e prestazioni superiori. Da questa sfida può nascere una versione moderna dell’eccellenza svizzera, capace di prosperare anche nei mercati più difficili. La vera forza del “Made in Switzerland” sta nell’evolversi senza tradire la propria essenza.

Nuova scheda SECO: attenzione all’export di macchine utensili

La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha pubblicato una nuova scheda informativa dedicata ai rischi legati all’esportazione di macchine utensili nel contesto delle sanzioni internazionali.

Il documento (PDF, 296 kB, 13.08.2025) richiama l’attenzione sul fatto che, in diversi casi, macchine utensili di origine svizzera sono state casi deviate verso Paesi sottoposti a sanzioni attraverso società di comodo situate in Stati terzi.

Per ridurre tali rischi, la SECO invita le aziende esportatrici a rafforzare i propri sistemi di compliance lungo l’intero processo di esportazione, e in particolare a:

  • applicare una due diligence continua sugli utenti finali e garantire un’adeguata formazione dei collaboratori;
  • effettuare verifiche approfondite prima dell’esportazione, incluse analisi della plausibilità degli ordini e del background dei clienti;
  • introdurre misure di controllo post-esportazione per monitorare ubicazione e utilizzo dei macchinari, segnalando altresì tempestivamente alla SECO eventuali deviazioni sospette;
  • prestare particolare attenzione ai segnali di rischio illegali (i cosiddetti red flags) tipici di acquisti illegali, come anomalie nei prezzi, richieste di riservatezza eccessiva, rotte di trasporto poco plausibili, uso ingiustificato di intermediari o scarsa trasparenza sull’utente finale.

Altri link utili:

Dazi USA: primi effetti

Aziende ticinesi sotto pressione

Da settimane i rapporti commerciali con gli Stati Uniti occupano le prime pagine e le agende di imprese e istituzioni. La decisione americana di imporre un dazio del 39% sulle merci di origine svizzera rappresenta un provvedimento tanto gravoso quanto difficile da comprendere nelle sue motivazioni.
E non facilmente “aggirabile”, perché è bene ribadire, con chiarezza, che il criterio discriminante per l’applicazione dei dazi è l’origine doganale della merce: non contano altre variabili o stratagemmi spesso descritti con eccessiva leggerezza come “vie d’uscita” o soluzioni miracolose.
Non siamo di fronte a un tecnicismo burocratico: l’origine della merce costituisce un elemento centrale della disciplina commerciale internazionale e, di conseguenza, un fattore determinante per le autorità di tutto il mondo e per le strategie aziendali.

Le imprese elvetiche si trovano attualmente a dover prendere decisioni rapide in un contesto che offre pochissime garanzie di stabilità. A oggi i dazi applicati alle merci europee sono ad esempio inferiori del 24% rispetto a quelli gravanti sui prodotti svizzeri, ma resta aperta la domanda: per quanto tempo questa disparità durerà? L’accordo tra Stati Uniti e Unione europea è stato pubblicato da pochi giorni e su diversi punti pesa, comunque, ancora l’incertezza quanto a interpretazione, conseguenze, ecc.
Nei nostri recenti interventi abbiamo più volte sottolineato la complessità del quadro generale. Parlare di delocalizzazione come risposta immediata non è realistico, perché trasferire anche solo una parte di un’attività produttiva richiede tempo, capitali e analisi approfondite. E una volta delocalizzata l’attività non si può fare marcia indietro a piacimento. Lo stesso vale per l’apertura di nuovi mercati. Un percorso che le imprese svizzere intraprendono in modo sistematico da anni, spesso indipendentemente da situazioni di crisi. Non è infatti da vedere come una mossa “disperata” dettata da necessità contingenti, bensì di un lavoro continuo, che comporta investimenti, valutazioni di rischio, ricerca di partner affidabili e tempi fisiologici di consolidamento.
Vale la pena sottolineare che questa attenzione costante delle aziende svizzere alle misure da intraprendere non è una novità. È una realtà che si è manifestata più volte anche in passato, quando il nostro tessuto imprenditoriale ha dovuto fronteggiare crisi di grande portata – dalla crisi finanziaria internazionale al franco forte, fino alla pandemia. Esperienze che hanno dimostrato la resilienza e la capacità di adattamento del sistema produttivo, pur all’interno di scenari difficili e spesso imprevedibili.

Il peso del mercato USA

Al tempo stesso, occorre ricordare che, nel caso specifico, il mercato statunitense non è facilmente sostituibile. Le sue dimensioni, la capacità di spesa e il grado di apertura a beni ad alto valore aggiunto lo rendono un interlocutore quasi imprescindibile. Ogni ipotesi di riduzione della presenza svizzera negli USA deve dunque essere valutata con estrema cautela, poiché implica conseguenze economiche e strategiche non paragonabili a quelle di altri mercati.
Per avere un quadro più preciso e fondato su dati concreti della situazione attuale, la Cc-Ti ha interpellato un campione rappresentativo di aziende associate attive a livello internazionale, appartenenti a settori differenti, per avere un primo rilevamento indicativo delle conseguenze per il tessuto economico ticinese.
In totale, hanno partecipato al sondaggio una sessantina di aziende prevalentemente attive nei comparti MEM (che costituiscono la quota principale), Logistica & Trasporti (14%), Farma/ Medtech/Biotech (7%) e Alimentare & Bevande (7%). Oltre la metà appartiene al settore industriale manifatturiero. Due terzi delle imprese hanno tra 1 e 49 dipendenti, mentre un terzo si colloca nella fascia 50-249.
Per una buona parte delle imprese, l’export verso gli Stati Uniti rappresenta meno del 10% del fatturato. Tuttavia, nel settore MEM la quota cresce in maniera significativa, raggiungendo in alcuni casi anche il 50%. È interessante rilevare come quasi la metà delle aziende dichiari di subire anche effetti indiretti – attraverso clienti o fornitori – e non solo un impatto diretto. Soltanto una minoranza afferma di non essere colpita.
Fra chi è esposto, il peso del dazio risulta tutt’altro che marginale: per il 36% delle imprese l’impatto stimato arriva fino al 25% del fatturato, mentre per il 9% supera tale soglia.
In sostanza, il sondaggio evidenzia che oltre l’84% delle aziende risulta direttamente o indirettamente esposto ai dazi USA. L’impatto più forte colpisce la redditività: quasi la metà delle imprese segnala effetti negativi rilevanti sui margini, mentre oltre il 42% teme cali di fatturato. Le ripercussioni
occupazionali, pur meno marcate, restano significative, con quasi un’azienda su tre che ipotizza riduzioni di organico se la situazione attuale dovesse perdurare.
Dal punto di vista strategico, la delocalizzazione produttiva viene valutata da circa il 23% come un’opzione di lavoro concreta
, mentre quasi un quinto individua nell’automazione un possibile correttivo per mitigare l’effetto dei dazi e rilanciare la competitività.
Nonostante ciò, le strategie di risposta al nuovo regime dei dazi appaiono ancora parziali e non strutturate, come è normale che sia in una situazione del genere.
Prevale un certo attendismo che però deve essere combinato con valutazioni strategiche molto avanzate. Un dilemma all’insegna dell’incertezza che complica notevolmente il lavoro. Le ipotesi di compensazione su altri mercati o di ricorso al lavoro ridotto emergono, ma la quota di indecisi dimostra che prevale, appunto, l’attesa. Molte imprese stanno avviando confronti diretti con i partner americani per valutare una condivisione del peso dei dazi. In alcuni casi i maggiori costi possono essere trasferiti ai consumatori finali, in altri – specie in settori sensibili al prezzo – questo non è possibile.


Accordi bilaterali III fra Svizzera e Unione europea (UE)

Nel giugno del 2025 il Consiglio federale ha approvato gli accordi con l’UE e ha avviato la procedura di consultazione, che durerà fino alla fine di ottobre. Per la fase che va dalla fine del 2024 all’’entrata in vigore del pacchetto, la Svizzera e l’UE hanno definito disposizioni transitorie relative al livello di partenariato e di cooperazione.
L’adozione del messaggio all’attenzione del Parlamento è prevista per il primo trimestre del 2026. Solo l’Accordo sui programmi UE (EUPA) dovrebbe essere firmato dal Consiglio federale già verso la fine dell’autunno 2025. Tale firma consentirà alla Svizzera di partecipare retroattivamente come Stato associato ai programmi Orizzonte Europa, Euratom ed Europa Digitale dal 1° gennaio 2025.

I nostri ospiti, che rappresentano il mondo politico, economico, sindacale e accademico, aiuteranno a comprendere la rilevanza della posta in gioco.

Vi diamo appuntamento il prossimo 19 settembre 2025, dalle ore 18.00, presso il Teatro sociale di Bellinzona, per questo importante momento di confronto che prevede il seguente programma:

  • Saluto introduttivo di Luca Albertoni, Direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino e di Jon Pult, Consigliere nazionale e Presidente dell’Associazione svizzera di politica estera
  • Intervento del Consigliere federale Ignazio Cassis, Capo del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE)

Seguirà una discussione con

  • Vania Alleva, Presidente nazionale del sindacato UNIA
  • Monika Rühl, Presidente della Direzione generale di economiesuisse
  • Giovanni Merlini, Avvocato e Presidente della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI)

La discussione sarà moderata da Pietro Bernaschina, Responsabile attualità TV della Radiotelevisione Svizzera di lingua Italiana (RSI).

ISCRIZIONE all’evento