Obiettivo irraggiungibile

Proteggere il clima è un dovere di tutti noi.

Porre obiettivi ambiziosi è la via corretta che una società avanzata come la nostra deve moralmente imporsi per raggiungere il traguardo delle zero emissioni di gas a effetto serra. Imporre un obiettivo utopico senza minimamente preoccuparsi di come sia possibile raggiungerlo è sicuramente controproducente. La Svizzera, sulla scia di quanto deciso dalla Commissione Europea ha fissato come valore obiettivo per le emissioni di CO2 delle automobili nuove immatricolate in Svizzera a 93.6 gr./km per il 2025. Questo obiettivo, parte integrante della legge sulle emissioni di CO2 approvata dal popolo in votazione federale nel 2023 era quindi noto da tempo.
La situazione però, ad inizio 2025, non era molto chiara in quanto l’ordinanza di applicazione della nuova legge non era pronta. Come importatori di automobili svizzeri e come concessionari di vendita d’automobili, si è sperato fino all’ultimo che, vista la reticenza dei cittadini svizzeri ad acquistare nuove auto a propulsione puramente elettrica, e quindi a emissione zero di CO2, il Consiglio Federale, come è successo a livello europeo, rivedesse almeno in parte questo irraggiungibile obiettivo. E invece no, l’ordinanza è stata scritta e introdotta senza tener conto dell’impossibilità da parte del mercato dell’automobile svizzero di poterla rispettare rischiando sanzioni a fine anno dell’ordine di mezzo miliardo di franchi che inevitabilmente andranno a ricadere sui consumatori svizzeri. E come se tutto ciò non fosse sufficiente a mettere in ginocchio un intero settore, l’entrata in vigore dell’ordinanza emanata a marzo 2025 è pure retroattiva al 1° gennaio 2025.

La Svizzera sempre la prima della classe

Come spesso accade giustamente, la Svizzera spesso e volentieri si adegua a quelle che sono le normative europee. Siamo un piccolo mercato all’interno dell’Europa e non possiamo far altro che adeguarci. A volte però, come sta succedendo con la nuova legge sulle emissioni di gas serra, la Svizzera “deve” spingersi oltre e introdurre norme più severe e penalizzanti per cittadini e aziende come appunto è il caso questa volta. Se la Commissione Europea ha deciso di concedere un lasso di tre anni per raggiungere l’obiettivo di 93.6 gr./km di emissioni di CO2 per le nuove auto immatricolate, la Svizzera è rimasta bloccata sul principio che l’obiettivo va raggiunto nel 2025.

La decisione svizzera non può che portare ad una paralisi del mercato dove gli importatori e i concessionari ad un certo punto preferiranno non vendere una nuova automobile piuttosto che venderla rischiando poi pesanti sanzioni a fine anno. Una situazione inaccettabile.

Ma perché l’obiettivo è utopico

Per immaginare di raggiungere l’obiettivo di 93.6 gr./km di emissioni di CO2 bisognerebbe immatricolare nel 2025 in Svizzera almeno il 25% di automobili completamente elettriche e cioè a emissioni zero così da compensare le maggiori emissioni dei veicoli a diesel e benzina. Oggi la percentuale è di poco più della metà (in Ticino è addirittura poco più che un terzo) e quindi inimmaginabile, alle condizioni attuali, prevedere un raddoppio delle vendite entro la fine dell’anno.
L’obiettivo è quindi utopico e irraggiungibile con la conseguenza addirittura di peggiorare la situazione a livello di emissioni globali del parco circolante di automobili che diventano sempre più vecchie e inquinanti a causa del calo delle vendite di nuova automobili, anche a benzina, diesel o ibride, comunque più efficienti e pulite.
Quello che doveva essere un obiettivo ambizioso e a favore del clima si sta rivelando irraggiungibile e contro il clima.

Un mercato che non decolla

Quello dei veicoli a trazione totalmente elettrica è un mercato che, dopo anni di leggera ma costante crescita, a partire dallo scorso anno ha registrato una battuta d’arresto e le cifre di vendita ristagnano.
I motivi sono sempre gli stessi: i clienti si lamentano della scarsa autonomia, del costo di acquisto troppo elevato, la mancanza di modelli, la perdita di valore del veicolo in caso di permuta e il timore di non poter caricare la vettura in caso di viaggi all’estero. Tutte perplessità in buona parte infondate. A queste però ultimamente sembra esserne aggiunta una nuova: la sensazione che chi sta al potere in Europa e in Svizzera voglia obbligare i cittadini a d acquistare un’automobile totalmente elettrica a scapito di un’auto con motore a combustione. E si sa, alle persone gli obblighi risultano indigesti e a volte, come in questo caso, creano un effetto contrario. Peccato.

Perché è necessario intervenire

Il futuro della mobilità privata è sicuramente elettrico e questo per diversi motivi. Uno fra tutti è l’efficienza energetica delle propulsioni elettriche nettamente superiore alle propulsioni endotermiche (benzina e diesel). Un motore elettrico ha un’efficienza che supera tranquillamente il 90% (ciò significa che almeno il 90% dell’energia caricata nelle batterie viene sfruttata per muovere il veicolo e solo meno del 10% va dispersa in calore), mentre un motore a combustione interna, nella migliore delle ipotesi, raggiunge un rendimento del 35% con uno spreco di energia, che se ne va in calore, del 65%. Impressionante.
Con la sempre maggiore fame di energia a livello globale è quindi indispensabile che questa venga utilizzata in maniera sempre più efficienza e con meno spreco possibile e la mobilità privata elettrica darà il suo contributo su questo importante aspetto.


A cura di Marco Doninelli, Responsabile Mobilità Cc-Ti

Strategia ESG: un investimento per la sostenibilità ed il ritorno economico

Negli ultimi anni, la sostenibilità è passata dall’essere una scelta opzionale dettata da considerazioni etiche o ambientali, a rappresentare uno dei principali drivers strategici per la competitività aziendale e la resilienza a lungo termine.

Oggi le aziende che integrano con metodo e visione i principi ambientali, sociali e di governance non solo contribuiscono a un impatto positivo sul pianeta e sulle comunità, ma gestiscono meglio i rischi e hanno una performance finanziaria superiore, generando un ritorno economico concreto.
Costruire una strategia ESG non significa semplicemente aggiungere una voce al bilancio di sostenibilità, ma ripensare in chiave responsabile l’intero modello di business. Le imprese che intendono affrontare in modo proattivo le sfide ambientali, sociali e normative devono partire da un percorso ben definito, che si articola in cinque fasi. La prima è l’analisi di materialità, in cui si individuano i temi ESG più rilevanti per l’organizzazione e i suoi stakeholder. Si passa poi alla definizione della visione ESG, creando un framework strategico coerente con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) e con i principali standard internazionali.
La fase di sviluppo della strategia prevede l’identificazione di obiettivi misurabili, indicatori di performance (KPI) e piani d’azione distribuiti nel tempo. L’implementazione e il monitoraggio richiedono il coinvolgimento delle funzioni aziendali, un’allocazione mirata delle risorse e l’utilizzo di strumenti adeguati alla raccolta e l’analisi dei dati. Infine, la comunicazione e la trasparenza sono fondamentali: report ESG, certificazioni e l’adesione a iniziative internazionali aumentano la credibilità e favoriscono il dialogo con gli stakeholder.

Adottare una strategia ESG (Ambientale, Sociale, Governance) offre benefici che vanno ben oltre la semplice conformità normativa, estendendosi all’intera catena del valore aziendale.

Una solida governance in ambito ESG si traduce innanzitutto in una migliore gestione del rischio.
Le aziende con un forte focus su questi aspetti sono spesso più efficaci nell’identificare e mitigare potenziali rischi ambientali (come l’impatto di eventi climatici), sociali (legati alla reputazione aziendale o ai rapporti con i dipendenti) e di governance (prevenendo scandali o pratiche discutibili). Questa capacità non solo riduce l’esposizione a rischi legali e danni d’immagine, ma aumenta anche la resilienza di fronte a crisi e cambiamenti normativi, potendo inoltre contribuire a un minor costo del capitale.

L’impegno verso i criteri ESG potenzia significativamente anche l’efficienza operativa. L’attenzione all’uso consapevole delle risorse porta a una razionalizzazione dei processi, a risparmi energetici tangibili e a una riduzione degli sprechi, con un impatto diretto sulla diminuzione dei costi e sull’aumento della produttività. Parallelamente, l’adozione di buone pratiche sociali contribuisce a migliorare il clima aziendale, la produttività dei dipendenti e a ridurre il turnover del personale.

Inoltre, le aziende con una forte identità sostenibile risultano più appetibili per gli investitori. Un numero sempre crescente di fondi e investitori integra attivamente i criteri ESG nelle proprie valutazioni, premiando le imprese capaci di generare performance durature e responsabili facilitando l’accesso al capitale per le realtà più virtuose.

L’integrazione dei principi ESG funge anche da stimolo per l’innovazione, incoraggiando lo sviluppo di soluzioni, tecnologie e modelli di business più sostenibili e orientati al futuro.
Infine, la trasparenza che accompagna un serio impegno ESG rafforza la fiducia di clienti, dipendenti e partner, migliorando la reputazione del marchio, attraendo talenti e favorendo la costruzione di relazioni solide e di lungo periodo.

Le aziende con alte performance ESG tendono a ottenere rendimenti superiori rispetto ai concorrenti meno sostenibili. Il ritorno sull’investimento si manifesta in molteplici forme. Le aziende sostenibili vedono dunque crescere il fatturato grazie alla preferenza dei consumatori per brand etici, mentre riducono i costi operativi con interventi di efficienza energetica e ottimizzazione delle risorse.
Attraggono talenti, investitori e fondi ESG, coniugando profittabilità e impatto positivo. Una solida reputazione ESG rafforza la stabilità sul mercato e aumenta il valore dell’impresa.
Integrare la sostenibilità nella strategia aziendale non è più dunque una scelta che permette la semplice differenziazione, ma un requisito per la sopravvivenza e il progresso. In settori come il MedTech, ma anche nell’industria manifatturiera, nei servizi finanziari e nella logistica, l’adozione di un approccio ESG rappresenta la base per costruire modelli resilienti, flessibili e orientati al futuro.
L’attenzione crescente delle istituzioni, dei consumatori e degli investitori verso la sostenibilità rende necessario un cambio di paradigma: passare dalla reattività alla proattività, facendo della sostenibilità un pilastro del valore d’impresa.
È solo in questo modo che le aziende possono garantire una crescita solida, generare impatto positivo e contribuire attivamente alla transizione verso un’economia più equa, inclusiva e rigenerativa.


A cura di Giovanni Facchinetti, Managing Partner, Positive Organizations

Accessibilità digitale: l’onda lunga della Direttiva Europea arriva anche in Svizzera

A partire dal 28 giugno 2025, l’European Accessibility Act (EAA – Direttiva UE 2019/882) entrerà in vigore nell’Unione Europea. L’impatto per il mercato elvetico sarà tutt’altro che secondario. Vediamo perché.

Cosa prevede l’Accessibility Act

La Direttiva impone che prodotti e servizi digitali – tra cui siti web, e-commerce, terminali self-service, app mobile, lettori e-book, servizi bancari e di trasporto – rispettino criteri di accessibilità funzionale. In pratica: dovranno essere percepibili, utilizzabili, comprensibili e robusti per tutti, comprese le persone con disabilità, entro il 28 giugno di quest’anno; non sono previsti periodi di tolleranza. Le sanzioni variano da Paese a Paese e vanno dall’oscuramento del servizio fino a multe salate (in Italia fino al 5% del fatturato annuo).

Un esempio: i non vedenti navigano i siti web grazie a software chiamati „screen reader“ che leggono a voce alta il testo e descrivono gli elementi visivi; è quindi indispensabile che le immagini siano state caricate con descrizioni alternative (alt text) che gli screen reader possano leggere. Indicazioni come questa, ispirazione della nuova legge, si rifanno alle linee guida WCAG 2.1 (Web Content Accessibility Guidelines), standard internazionale per rendere il Web accessibile anche ai portatori di disabilità visiva, auditiva, cognitiva, o motoria. Sono state sviluppate dal World Wide Web Consortium (W3C), organizzazione non governativa internazionale fondata da Tim Berners-Lee per valorizzare e diffondere le potenzialità del Web.

La situazione in Svizzera

Attualmente, l’Accessibilità dei siti web è un requisito obbligatorio per le istituzioni pubbliche, che sono tenute a riferirsi alle linee guida WCAG; per il settore privato, la situazione è più complessa: le aziende private non possono discriminare i dipendenti o il pubblico, ma non sono tenute ad adottare misure speciali per fornire i propri servizi ai portatori di disabilità.

Anche qui qualcosa sta cambiando: la proposta di modifica della legge sui disabili (LDis) dello scorso dicembre mira a una maggiore inclusività. Secondo l’Ufficio federale di statistica, circa il 21% della popolazione svizzera vive con una forma di disabilità; nella UE, la percentuale sale al 27% ossia un adulto su quattro sopra i 6 anni. La nuova normativa europea potrebbe quindi fungere da ispirazione anche per il Legislatore svizzero: pensiamo al precedente del GDPR, a cui è seguita la nLPD. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che, se un sito web svizzero si rivolge anche a un pubblico Europeo, deve necessariamente essere conforme alla Direttiva EAA.

Cosa significa “accessibile” per un sito web?
Anche in questo caso, ci viene in soccorso la W3C, che stabilisce 4 principi fondamentali: per essere accessibile, un sito web deve essere:

  • Percepibile: il contenuto deve essere presentabile agli utenti, inclusi quelli con disabilità sensoriali (es. testo alternativo per le immagini per non
    vedenti, netto contrasto tra colore dei caratteri e colore dello sfondo per gli ipovedenti, ecc.).
  • Utilizzabile: i componenti e la navigazione devono essere utilizzabili da tutti, indipendentemente dalle capacità motorie o cognitive.
  • Comprensibile: il contenuto deve essere chiaro e facile da comprendere, con un linguaggio semplice e una struttura logica.
  • Robusto: il contenuto deve essere interpretabile correttamente da diversi strumenti (browser, screen reader, ecc.) e tecnologie assistive.

Queste caratteristiche migliorano il rendimento del sito. E non solo agli occhi degli utenti.

Accessibilità e SEO: un binomio vincente

Ecco 5 punti da seguire per rendere il proprio sito web più accessibile:

  1. Condurre un audit di accessibilità: valutare lo stato attuale del sito rispetto alle linee guida WCAG 2.1.
  2. Implementare miglioramenti tecnici: apportare le modifiche necessarie alla struttura e ai contenuti per garantire l’accessibilità.
  3. Integrare strumenti per migliorare la navigazione, come widget che permettono agli utenti di personalizzare la fruizione del sito (es. navigazione da mobile con una sola mano).
  4. Cambiare i processi consolidati nelle attività continuative, come la pubblicazione di postblog (es. curare l’impostazione di testi e metatesti);
  5. Formare il personale: assicurarsi che designer, sviluppatori e content editor siano consapevoli delle best practice in materia di accessibilità, in modo da remare tutti nella stessa direzione.

Un punto di svolta

L’entrata in vigore dell’European Accessibility Act rappresenta un momento cruciale per le aziende svizzere. Adeguarsi agli standard di accessibilità non è solo una questione di conformità legale, ma un’opportunità per migliorare la propria presenza online, raggiungere un pubblico più ampio e dimostrare un impegno verso l’inclusività. Investire nell’accessibilità oggi significa prepararsi a un futuro digitale più equo.


Articolo a cura di Manuela Cuadrado, Account Manager Breva Digital Communication Sagl

Sostenibilità e Responsabilità: un impegno concreto per le aziende

Giovedì 27 marzo 2025, presso Lo Scudo di Stabio, si è svolto un appuntamento dedicato alla sostenibilità aziendale e alla responsabilità sociale d’impresa.

L’incontro ha rappresentato un’opportunità preziosa per approfondire il tema, esplorare strumenti concreti e conoscere esempi di successo che stanno già producendo risultati significativi.

Dopo i saluti introduttivi del sindaco di Stabio, Simone Castelletti, e del capodicastero della Città dell’energia, Cihan Aydemir, la mattinata è iniziata con un intervento di Jenny Assi, Responsabile scientifico CSR presso AITI e docente ricercatrice senior alla SUPSI. Il suo intervento si è concentrato sul contesto normativo europeo e svizzero in materia di sostenibilità e sugli scenari per le PMI.

Successivamente, Sergio Trabattoni, CSR Manager della Camera di Commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti), ha illustrato i benefici del rapporto di sostenibilità semplificato, uno strumento pratico ed economico per le PMI, promosso in collaborazione con SUPSI, Banca Stato e il Dipartimento delle Finanze e dell’Economia del Cantone Ticino (DFE). L’intervento ha offerto anche una panoramica sulla dichiarazione di conformità, riconosciuta dall’Autorità Cantonale (TI) come documento CSR valido in occasione di concorsi per appalti pubblici, nonché per l’ottenimento del livello II di Swisstainable.

La prima parte della mattinata si è conclusa con la presentazione di Nicola Giambonini, Responsabile CSR di AITI, che ha illustrato gli strumenti pratici a disposizione delle aziende, con particolare attenzione alla piattaforma AITI 4Welfare.

Dopo una breve pausa, i lavori sono ripresi con una serie di interventi focalizzati sugli strumenti e su esempi concreti di successo nell’ambito della sostenibilità aziendale.

Felicia Lamanuzzi, architetto di Stabio, ha sottolineato l’importanza degli spazi verdi negli ambienti di lavoro. Grazie a progetti di urbanismo tattico come “Vivai Diffusi”, lo Studio Lamanuzzi promuove la valorizzazione della natura negli spazi urbani per migliorare la qualità della vita.

A seguire, Valentina Tomasello, ingegnere ambientale presso EnerimpulSE SA, ha presentato il caso dell’azienda Assos, una realtà ticinese che ha implementato una strategia energetica integrata grazie alle analisi Peik e Reffnet, ottenendo risultati notevoli.

L’incontro si è concluso con l’intervento di Silvio Giacomini, collaboratore dell’associazione Ticino Energia, che ha illustrato i vantaggi per le aziende che intraprendono un percorso di sostenibilità, nonché gli incentivi e le consulenze disponibili per supportare questa transizione.

PtX (Power-to-X), dall’elettricità ai carburanti sintetici (e-Fuel)

Entro il 2050, la Svizzera dovrebbe raggiungere zero emissioni di CO2. I settori che ancora generano emissioni di CO2 attraverso la combustione di carburanti fossili dovranno compensarle con altre misure. Con una quota del 33%, il traffico stradale è considerato uno dei maggiori produttori di CO2. È quindi necessario un intervenire in modo incisivo per raggiungere questo obiettivo ambientale

Oggi i veicoli elettrici sono l’unica tecnologia che permette di ridurre in maniera decisa le emissioni. Considerando l’intero ciclo d’impatto, tank-to-wheel o well-to-wheel, questo risulta ottimale solo per le propulsioni elettriche, a condizione che l’energia utilizzata venga prodotta a emissioni zero. Questa visione, sostenuta dai politici, è però ben lontana dalla realtà. Finché in Europa si utilizzeranno combustibili fossili per produrre elettricità, anche le BEV risulteranno solo parzialmente rispettose in termine di emissioni. Inoltre, le immatricolazioni di auto nuove  mostrano che le vendite di BEV sono stagnanti. L’apertura tecnologica è quindi essenziale per fare in modo che la transizione ecologica riprenda vigore. La Svizzera è più avanti dell’Europa quando si parla di decarbonizzazione: la legge sulla CO2 presuppone che l’energia elettrica sia a zero emissioni e considera gli e-Fuel come parte della soluzione. Per e-Fuel si intendono i carburanti sintetici nei quali gli idrocarburi (HC) sono costituiti da carbonio (C) estratto dalla CO2 e da idrogeno (H2) ricavato dall’acqua (H2O). Questa trasformazione è nota anche come PtX,  ovvero trasformazione dell’energia elettrica in combustibile (Power-to-Gas o Power-to-Liquid). Se la produzione prevede l’utilizzo di sola elettricità rinnovabile, si parla anche di refuel (combustibile rinnovabile).

La combustione degli e-Fuel produce comunque CO2, ma solo nella quantità che è stata prelevata dall’atmosfera per produrre il carburante stesso. Questo rende neutra la quantità di CO2 prodotto. Un’altra opportunità è l’idrogeno (H2), che può essere convertito in elettricità nelle celle a combustibile o utilizzato come carburante nei motori a combustione.
Lo scorso anno il nostro è stato il primo paese a considerare i carburanti sintetici nella propria legislazione sulle emissioni di CO2. Questo apre la strada a nuovi veicoli con alimentazione alternativa. Purtroppo, però lo sviluppo della produzione di elettricità da fonti rinnovabili è in ritardo. Se tutti i settori (trasporti, riscaldamento, calore industriale) dovessero passare totalmente all’energia elettrica, non ci sarebbe una capacità di produzione sufficiente. L’assenza poi di un accordo sull’elettricità con l’UE renderebbe difficile pianificare le quantità da importare.
Inoltre, l’aumento di capacità produttiva e di sistemi di distribuzione dell’energia è frenato dalle numerose opposizioni ai futuri progetti. La via è quindi quella dello sfruttamento di più fonti energetiche quali fotovoltaico, eolico, idrico, biomassa, solare termico e geotermico. È solo con uno sviluppo coordinato di queste fonti che sarà possibile produrre energia elettrica sostenibile.

Grazie all’abbinamento intelligente e alla conversione in energia immagazzinabile (e-Fuel) la produzione in eccesso da fonte rinnovabile potrà essere immagazzinata in modo sostenibile. In questo modo sarà possibile coprire il fabbisogno energetico previsto per il 2050 (30-60 TWh).
Oltre ai requisiti tecnici standard, anche la compatibilità con i motori attuali e la facilità di immagazzinamento sono fondamentali per gli e-Fuel.

I requisiti legali sono definiti nell’Ordinanza sulla messa in commercio di combustibili e carburanti rinnovabili o a basse emissioni (OCoCr). Questa si basa a sua volta sulla “Direttiva Europea sulle Energie Rinnovabili III” (Direttiva – UE – 2023/2413), la quale si pone i seguenti quattro obiettivi:

  • Sostenibilità: l’elettricità per la produzione deve provenire da fonti rinnovabili.
  • Abbinamento diretto: l’impianto di produzione PtX deve essere direttamente correlato a queste fonti di produzione rinnovabili.
  • Approvvigionamento di CO2: basato solo su fonti biogeniche o dalla cattura diretta dall’aria.
  • Obiettivo di riduzione: le emissioni di CO2 devono essere ridotte di almeno il 70% lungo l’intera catena di produzione.

Realisticamente, oggi non è possibile produrre una quantità sufficiente di elettricità “pulita”. Per produrre il fabbisogno della Svizzera di e-Fuel, sarebbero necessarie aree dell’ordine di 600-1’200 km2 nelle quali installare milioni di pannelli fotovoltaici. L’Empa sta valutando la produzione di carburanti sintetici in Oman, grazie anche alla collaborazione partner esterni (tra i quali anche la Ticinese Synhelion). L’Oman ha destinato 50’000 km2 di deserto alla produzione di idrogeno e di e-Fuel.

Non possiamo comunque aspettarci che intere aree desertiche vengano completamente coperte da impianti fotovoltaici. Il ciclo dell’efficienza è pure fondamentale. In questo senso il vantaggio delle BEV nel confronto well-to-wheel (dal foro di trivellazione alla ruota) rispetto, ad esempio, ai veicoli a idrogeno (H2, Fuel-Cell, FC) e ai veicoli a combustione di e-Fuel, è innegabile.
Grazie alla loro elevata efficienza, nessun’altra propulsione può eguagliare i risultati in termini di rendimento. Per contro, lo stoccaggio problematico e la volatilità della produzione di energia elettrica, possono essere risolti grazie al PtX. Per quanto riguarda gli e-Fuel la Svizzera non ha la capacità di produrre le quantità di carburanti sintetici di cui avrà bisogno in futuro. L’unica opzione praticabile è quella di importarli, ciò che significa dipendere comunque dalle forniture estere.

L’apertura tecnologica e l’abbinamento intelligente delle fonti energetiche permetteranno di raggiungere gli obiettivi e faranno sì che in futuro i veicoli, compresi quelli d’epoca, grazie alla miscelazione dei carburanti fossili con gli e-Fuel produrranno sempre meno emissioni di CO2.

L’economia per la società

Un impegno costante

Già più volte ci siamo soffermati sul ruolo delle aziende nella società, spesso sottovalutato perché magari un po’ “oscuro” e poco pubblicizzato, ma fondamentale nel contesto della sostenibilità non solo economica ma anche sociale e ambientale, temi sempre più ricorrenti nella discussione pubblica.
È fuori di dubbio che la centralità della funzione di base delle impresa, cioè produrre ricchezza e creare posti di lavoro non è in discussione. Ma le aziende fanno anche molto altro nel contesto di quella che viene definita “Responsabilità sociale delle aziende” o anche CSR secondo la denominazione inglese).

Da tempo i dati certificano inequivocabilmente che nel contesto della CSR gli imprenditori svolgono un ruolo essenziale con comportamenti che favoriscono ad esempio la conciliabilità fra lavoro e famiglia. Senza dimenticare che dal 2019 al 2023 il mondo economico, proprio per questa tema, ha versato nelle casse cantonali 91 (novantuno) milioni di franchi prelevati sulle masse salariali, come previsto dalla cosiddetta riforma fisco-sociale del 2018. Mezzi destinati all’assegno parentale e alle misure sulla conciliabilità lavoro-famiglia e più particolarmente al sostegno alla spesa di collocamento dei figli, ai servizi e alle strutture di accoglienza e la sensibilizzazione delle aziende. Oltre alle misure di sostegno ai familiari curanti.

La concreta responsabilità sociale delle imprese

I dati raccolti in questi anni sul tema sono molto chiari, nel senso che le aziende ticinesi sono, a livello nazionale, posizionate nella media superiore delle misure prese a favore di collaboratrici e collaboratori, dell’ambiente e dell’efficienza economica (quindi a beneficio della società in generale). Le buone pratiche sono correnti e di varia natura, da misure apparentemente “banali” come l’informazione regolare di collaboratrici e collaboratori in merito all’andamento dell’azienda, passando per la priorità data ai fornitori locali e la promozione della formazione per il personale. Indicazioni più dettagliate si trovano nel documento CSRfocus “Responsabilità sociale delle aziende in Ticino”, che abbiamo pubblicato nel 2022. File disponibile sul nostro sito web www.cc-ti.ch.

A volte si tratta di comportamenti considerati assolutamente normali e usuali, magari immediatamente visibili, ma che hanno un risvolto rilevante sul benessere di chi lavora nell’azienda.
Per far emergere questa importante realtà, lo strumento del report online (www.ti-csrreport.ch) che abbiamo sviluppato con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) ha lo scopo di facilitare il lavoro delle aziende nell’evidenziare i vari ambiti nei quali il loro impegno va ben oltre quanto gli scettici considerano, a torto, “greenwashing”.

Lavoro e famiglia, come conciliarli?

Anche le aziende ticinesi sono, nel limite delle loro possibilità, molto sensibili al tema. Purtroppo, un tessuto economico caratterizzato da piccole realtà ha dei limiti fisiologici su questo tema, nel senso che organizzare assenze, congedi, ecc. è tutt’altro che un esercizio semplice. Di questo occorre tenere conto ed è precisamente il motivo per il quale soluzioni forfettarie non esistono e occorre togliersi dalla testa la tentazione di imposizioni generalizzate, perché queste non sono gestibili, pena la paralisi del sistema economico. Sono invece possibili ed auspicate vie concordate fra aziende e dipendenti, all’insegna della collaborazione. Una collaborazione che deve esistere anche con il settore pubblico, al fine di disporre anche misure che non richiedono sforzi finanziari imponenti ma che possono rendere più facile la vota di tutti applicando il buon senso. Pensiamo non a caso a talune regole troppo penalizzanti per la gestione degli asili-nido, agli orari scolastici, ecc..

Reintegrazione professionale di persone in difficoltà

Notoriamente da oltre dieci anni collaboriamo con l’Ufficio dell’Assicurazione Invalidità dell’Istituto delle assicurazioni sociali per sostenere il reintegro nel mondo del lavoro di persone che, per vari motivi, hanno avuto problemi di salute che ne hanno interrotto il percorso professionale. Nel quadro di una manifestazione annuale chiamata “Agiamo Insieme” (il sunto dell’ultima edizione è consultabile all’indirizzo www.cc-ti.ch/agiamo-insieme-2024), vengono celebrate persone e aziende che si sono particolarmente impegnate in questa delicata operazione. Un’occasione di aggregazione importante che deve servire da sprone per molte altre persone in difficoltà e mira a sensibilizzare le aziende sulle varie possibilità che sono messe a disposizione per facilitare il reintegro di lavoratrici e lavoratori che devono riattivare la propria autostima e vita. In questo senso la collaborazione fra pubblico e privato è decisiva. Una collaborazione fra pubblico e privato che dimostra come vi sia una volontà comune di andare ben oltre il solo interesse economico. Una vera sensibilità per le persone e il territorio, che vede aziende di ogni settore, dall’industria ai servizi, determinate a predisporre importanti misure per agevolare collaboratrici e collaboratori con difficoltà. Chi parla di disimpegno dell’economia dalla realtà sociale evidentemente si sbaglia di grosso.
I fatti dimostrano che le aziende, oltre a svolgere i loro compito primario essenziale di creare ricchezza, contribuiscono in maniera sostanziale allo sviluppo sostenibile. Ovviamente vi sono anche motivazioni legate alle esigenze di mercato, perché il posizionamento come entità moderne, innovative e responsabili ha certamente sempre maggiore rilevanza. Me se fosse solo un interesse “mercantile” a muoverle, la cosa emergerebbe molto in fretta e sarebbe addirittura controproducente. Il contributo dell’economia alla società è fattuale e reale, frutto di una convinzione ben radicata.
Le aziende sono fatte di persone e prendersi cura di loro è una relazione win-win.
Sono solo alcuni esempi di una lista non esaustiva del contributo delle aziende alla collettività. Sarebbe bene tenerne conto anche nei dibattiti pubblici.

Anche lo Stato deve fare la sua parte

Il mercato europeo dell’automobile sta soffrendo. Le immatricolazioni di nuove automobili nel 2024 hanno registrato dei numeri negativi su praticamente tutti i mercati nazionali, Svizzera compresa.

Le motivazioni dietro a questa flessione sono sicuramente diverse. Da un lato la situazione geopolitica del continente con due guerre alle porte dell’Europa, la recessione economica in diversi settori e, non da ultimo, le imposizioni al settore dell’automobile da parte della Commissione Europea. Questi aspetti hanno minato la fiducia dei consumatori già sottoposti ad un marcato calo del loro potere d’acquisto. A questa difficile situazione congiunturale non sfugge nemmeno il mercato dell’automobile elettrica (BEV). Anzi, verrebbe da dire che quest’ultima, dopo la decisione della Commissione Europea di vietare la vendita di nuove automobili con motore a combustione a partire dal 2035, sia stata maggiormente penalizzata. Se da un lato, questa decisione, ha indicato ai fabbricanti di auto una via verso la mobilità elettrica certa, portandoli così ad abbandonare lo sviluppo ulteriore dei motori a combustione per concentrarsi unicamente sulla propulsione elettrica, sembra che essa abbia avuto l’effetto contrario nei consumatori.

È proprio a partire da inizio 2024 che le vendite di auto completamente elettriche hanno subito una brusca frenata mettendo a rischio la transizione verso una mobilità più rispettosa dell’ambiente. Cercando di analizzare il contesto da parte del consumatore questa situazione appare comprensibile. Da un lato tutti noi siamo sicuramente orientati ad una maggiore sostenibilità per l’ambiente per quanto riguarda l’utilizzo di energia e, oggi con la tecnologia a disposizione,  per il trasporto privato l’unica via percorribile è appunto quella della mobilità elettrica.
Dall’altra però le incognite per chi acquista un’automobile elettrica sono ancore molte e alcune senza risposte. Se con alcuni “limiti” delle  auto elettriche, come ad esempio la presuntascarsa autonomia, l’automobilista può imparare a conviverci e a gestirla, l’assenza della possibilità di ricarica della batteria al domicilio o sul posto di lavoro è un problema per alcuni insormontabile. Oggi viaggiare in Svizzera e nelle nazioni confinanti con un’auto a batteria con presa di ricarica (BEV) non è assolutamente un problema visto l’elevato numero di colonnine di ricarica pubbliche ben distribuite lungo i principali assi di transito e nelle località di destinazione.

Per esempio, al momento in Svizzera, si contano oltre 18’600 punti ricarica, un numero più che sufficiente per garantire tranquillità a tutti i possessori di un’auto elettrica. Ma si sa, gli svizzeri sono un popolo di inquilini che vivono nella stragrande maggioranza dei casi in condomini in affitto o in proprietà per piani. Per loro avere una colonnina di ricarica nel proprio posto auto è, ad oggi, praticamente impossibile.
Le amministrazioni o i proprietari degli stabili non son infatti disposti ad investire somme importanti per elettrificare i parcheggi o i garage. E, come è stato menzionato anche in articoli precedenti, guidare un’auto elettrica senza possibilità di ricaricarla quando è ferma, quindi durante la  notte al domicilio o durante il giorno sul posto di lavoro, non è assolutamente conveniente e praticabile.

Ed è proprio su quest’ultimo punto che le Istituzioni avrebbero dovuto puntare per stimolare la transizione verso la mobilità elettrica. Ed invece, con la commissione europea in prima linea, è stato deciso di imporre la transizione verso la mobilità elettrica inasprendo a dismisura le norme contro le emissioni di CO2, sanzionando quindi i fabbricanti che superano i valori obiettivi a causa della ridotta vendita di automobile ad emissioni zero. Le proposte di miglioramento tuttavia non mancano.
Luca Cifferi, Associate Publisher & Editor @ Automotive News Europe, durante un’intervista andata in onda su RSI RETE1 sul tema della crisi dell’auto elettrica in Europa, suggerisce un sanzionamento anche per gli stati che vengono meno alla messa in atto delle misure quadro per uno sviluppo generale delle colonnine di ricarica private. Solo così, secondo il suo punto di vista, sarebbe possibile una transizione ordinata e sostenibile verso la mobilità del futuro più pulita e sostenibile.

L’approvvigionamento energetico con energia verde e rinnovabile è l’altra sfida che le autorità politiche devono affrontare e risolvere. Ancora quasi ovunque vengono proposti incentivi per l’installazione, ad esempio, di impianti fotovoltaici su tetti di case private o di capannoni industriali per poi accorgersi che l’elettricità prodotta da quest’ultimi è difficilmente gestibile se non addirittura problematica per la gestione della rete di distribuzione elettrica. Anche inquesto caso si può ipotizzare una scarsa visione generale da parte di chi detta le regole del gioco che non ha previsto una gestione coordinata di tutte le tecnologie oggi a disposizione per una transizione ecologica. Impianto fotovoltaico sul tetto di casa e auto elettrica in garage, se ben gestiti, sono sicuramente una delle vie da percorrere per rendere più sostenibile la mobilità individuale privata e non solo.

Ma è proprio qui che lo Stato deve intervenire: sostenendo il privato cittadino o l’imprenditore lungimirante nell’implementazione di un sistema globale della gestione energetica. Lo Stato deve fare la sua parte.

Regolamento UE Ecodesign: pubblicate le FAQ

La Commissione europea ha pubblicato una guida completa volta a chiarire il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili.

Il 18 luglio scorso, nell’Unione europea (UE) è entrato in vigore il Regolamento (UE) 2024/1781 sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR). Il regolamento Ecodesign, come viene comunemente chiamato, ha l’obiettivo di migliorare la sostenibilità ambientale dei prodotti e a tal proposito introduce criteri di progettazione quali la durevolezza, la riciclabilità, l’impronta ambientale e la riutilizzabilità degli stessi e l’uso del “passaporto digitale” quale strumento di trasparenza e tracciabilità lungo tutta la filiera produttiva.

Il regolamento disciplina praticamente tutti i prodotti immessi sul mercato o messi in servizio nell’UE e non solo i prodotti di consumo. Esistono solo poche esclusioni, quali ad esempio i prodotti alimentari, i mangimi, e i medicinali. La Commissione europea dovrà stabilire i requisiti specifici per i diversi prodotti, dopodiché i produttori e i Paesi dell’UE avranno 18 mesi di tempo per conformarvisi. Tra i primi prodotti a dover essere regolamentati figurano ferro e acciaio, alluminio, prodotti tessili, mobili, pneumatici, detersivi, vernici, lubrificanti, prodotti chimici, prodotti connessi all’energia, prodotti delle TIC e altri dispositivi elettronici (cfr. art. 18 par. 5). Il relativo atto delegato non entrerà in vigore prima del 19 luglio 2025.

Per rispondere ai quesiti più frequenti, a fine settembre la Commissione europea ha pubblicato un documento con 171 FAQ che affrontano un’ampia gamma di argomenti e, nello specifico, chiariscono termini, ambito di applicazione, tempistiche di attuazione, interazione con altri regolamenti (come ad esempio il regolamento sui rifiuti di imballaggio e il REACH) e, non meno importante, le questioni legate al commercio dei prodotti (passaporto digitale, etichettatura, verifica e conformità, implicazioni per gli operatori economici di Paesi terzi,…).

Il documento può essere scaricato qui in formato pdf: Ecodesign for Sustainable Products Regulation (ESPR) – Frequently Asked Questions (1.22 Mb)

Il report di sostenibilità arriva a nuove aziende

La Cc-Ti, nell’ambito dei servizi CSR e della piattaforma www.ti-csrreport.ch, ha concluso un progetto che ha visto gli studenti e aziende collaborare per la realizzazione di nuovi report CSR.

Insieme a SUPSI, nell’ambito del Master of Science in Business Administration con Major in Innovation Management (programma che ha l’obiettivo di preparare giovani professionisti della gestione del cambiamento in azienda dal punto di vista sia teorico, sia pratico, unendo lezioni ad esperienze progettuali concrete), la Cc-Ti ha individuato 10 aziende che si sono rese disponibili a collaborare con gli studenti che hanno frequentato il modulo “Corporate social responsibility Reporting”.

Partecipanti

Sono state coinvolte queste aziende: Borgovecchio SA vini, Caffè Chicco d’Oro, Cattaneo Impianti SA, Cippà Trasporti SA, EnerimpulsE SA, Graniti Maurino SA, Ideal-tek SA, Hockey Club Lugano, NAPP Sagl e Smart Gorla Services SA.

Scopi e metodologia

L’obiettivo era quello di fornire gli strumenti necessari per comprendere, analizzare e redigere il rapporto di sostenibilità semplificato elaborato da dalla Cc-Ti, con il supporto scientifico del-la SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE).

Gli studenti hanno dovuto redigere un rapporto di sostenibilità semplificato per un’azienda del territorio. Il rapporto di sostenibilità è considerato un tool per l’innovazione, in quanto costituisce uno strumento chiave per la pianificazione strategica del cambiamento, volto a raggiungere obiettivi aziendali di sostenibilità.

È stato quindi organizzato un incontro informativo spiegando l’utilizzo della piattaforma e il coinvolgimento fra aziende e studenti.

Il ruolo della Cc-Ti era prettamente di supporto sia per gli studenti che per le aziende. Gli studenti hanno dunque dovuto gestire i contatti con le aziende, le tempistiche e anche gli imprevisti che potevano capitare.

Gli studenti si son dimostrati sin da subito entusiasti di poter mettere in pratica le nozioni precedentemente acquisite sul tema della CSR, le aziende, dal canto loro, hanno mostrato un notevole interesse a collaborare con gli studenti, il risultato finale è stato molto positivo per tutti.

Come Cc-Ti possiamo senza dubbio guardare con favore a questo progetto ed al suo sviluppo, valido per sensibilizzare le aziende del territorio alle tematiche in ambito CSR e avvicinare più attori al report di sostenibilità, che ricordiamo, è utile

  • per comunicare il valore generato dall’impresa non solo a livello economico ma anche sociale e ambientale, dimostrando la propria affidabilità a 360° ai partner,
  • per consolidare l’immagine e la reputazione dell’impresa,
  • per integrare e sviluppare le buone pratiche, verificando e migliorando i propri parametri a livello di sostenibilità e di responsabilità sociale,
  • per partecipare e avvantaggiarsi nei bandi pubblici che riconoscono la premialità alle imprese socialmente responsabili.

Un sì convinto il 24 novembre prossimo

Autostrada: è un tipo di via di comunicazione, progettata per agevolare la circolazione di grandi volumi di traffico veicolare ad alta velocità, in alternativa a una strada della viabilità ordinaria che non garantisce la stessa capacità di transiti e non gestisce gli stessi problemi di sicurezza. (fonte: Wikipedia)

Proprio partendo dalla definizione di autostrada che si legge in Wikipedia, la nota enciclopedia libera online fonte apprezzata di molte informazioni, e riallacciandomi all’articolo della scorsa edizione di Ticino Business dal titolo «Un tempo, le strade erano un “arricchimento del paesaggio» cercherò di fare un’analisi personale della situazione attuale.

Che le autostrade svizzere siano delle vie di comunicazione importanti è fuori dubbio. Con un minimo sfruttamento del territorio che rappresenta oggi solo il 2.7% della superficie stradale complessiva svizzera (che a sua volta rappresenta il 2% dell’intero territorio svizzero) assorbe in compenso il 45% del traffico su stradale. Anche questo secondo punto che troviamo nella definizione di autostrada viene ancora oggi pienamente confermato. Wikipedia ci ha pienamente azzeccato quindi! Non proprio, la definizione continua poi con: ad alta velocità, in alternativa a una strada della viabilità ordinaria … Ecco che qui, come si suol dire casca l’asino. Oggi percorrere le autostrade svizzere significa speso e volentieri restare fermi in colonna e percorrere lunghi tratti a velocità ridotta o in alternativa uscire dall’autostrada e percorrere strade urbane ed extraurbane che attraversano villaggi e città creando disagi ai residenti e intasando pure queste vie di comunicazione.

A questo proposito le cifre fornite da USTRA sono impietose: nel 2023 gli automobilisti svizzeri hanno trascorso 48’807 ore incolonnati in autostrada di cui 86.7% era imputabile direttamente all’intasamento delle strade. Questo corrisponde ad un aumento rispetto all’anno precedente del 22.4% a fronte di un aumento del traffico di solo l’1.5%. La spiegazione di tutto ciò sta nel raggiungimento, e spesso del superamento, della capacità di traffico delle autostrade progettate e costruite nella gran parte dei casi negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. La situazione è quindi sempre più insopportabile e sicuramente come ognuno di noi ha provato sulla propria pelle restando incolonnato per ore, richiede delle soluzioni.

La mobilità della popolazione è oggi uno dei diritti che si ritiene acquisito e che quindi difficilmente saremo disposti a rinunciarvi. Una interessante statistica pubblicata dalla rivista del TCS nella sua edizione di settembre 2024 dimostra che gli spostamenti per il tempo libero rappresentano la maggior parte del traffico seguiti, al mattino presto e alla sera dagli spostamenti per recarsi al lavoro. Viene spontaneo chiedersi come si possa intervenire per limitare i disagi dovuti agli imbottigliamenti senza però limitare la libertà di spostamento della popolazione per piacere o per dovere. Certamente lo sviluppo dei trasporti pubblici (in particolare della rete ferroviaria) è una strada che va percorsa e che la Confederazione sta portando avanti con la garanzia dei necessari investimenti grazie al fondo per il finanziamento e l’ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria FIF, ma anche il potenziamento della reta stradale nazionale deve fare la sua parte.

Il 25 novembre prossimo il popolo svizzero sarà chiamato ad esprimersi sul referendum contro il Programma di sviluppo strategico (PROSTRA) delle strade nazionali che prevede un investimento di 11.6 miliardi di franchi entro il 2030 per portare a termine 5 progetti volti ad eliminare quelli che sono oggi i punti più soggetti ad imbottigliamenti dovuti al traffico veicolare.

In particolare, si tratta di adeguare le strutture del tunnel del Reno a Basilea, del tratto autostradale Wankdorf – Schönbhül – Kirberg, di quello tra Le Vengeron – Coppet -Nyon, della seconda canna del tunnel di Fäsenstaub e della terza canna del tunnel Rosenberg. In caso di bocciatura da parte del popolo di questi cinque progetti, è scontato che la situazione della viabilità non potrà che peggiorare a scapito anche delle zone circostanti che si vedranno sempre più messe sotto pressione dal traffico di aggiramento che invece che transitare sull’autostrada si sposterà sempre più sulle strade cantonali e comunali.

Un altro grosso pericolo in caso di voto contrario al referendum è che tutti i futuri progetti di completamento e adeguamento della rete di strade nazionali vengano rimandati se non addirittura cancellati con ripercussioni negative anche per il nostro cantone. Il collegamento diretto tra Locarno e Bellinzona, o altri progetti a sud delle Alpi volti a migliorare la viabilità di tutti noi, difficilmente vedrebbero la luce.

Un sì convinto è certamente la scelta giusta che i cittadini svizzeri dovranno esprimere con il voto del prossimo 25 novembre nella consapevolezza che un potenziamento della rete stradale nazionale è oggi indispensabile per garantire un futuro di prosperità e sicurezza a tutti cittadini sia automobilisti che utenti dei mezzi di trasporto pubblici.


Articolo a cura di Marco Doninelli, Responsabile mobilità Cc-Ti