IA e nuove sfide per le aziende

Abbiamo intervistato Sabrina Konrad, Sostituto capo del servizio giuridico, Diritto d’autore dell’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale in merito al tema dell’Intelligenza artificiale. Ecco qualche spunto interessante.

Opportunità e rischi. In che modo possono agire, nelle due direzioni, le imprese svizzere, utilizzando contenuti generati dalle nuove intelligenze artificiali (IA) in costante progresso?

Gli strumenti di IA aiutano a creare rapidamente (e a costi contenuti) immagini, traduzioni o testi. Possono anche fornire nuove idee. Tuttavia, spesso gli output, ossia i risultati dell’IA, devono essere modificati per essere accettabili. L’IA non può quindi sostituire professionisti come copywriter o grafici. È anche importante rispettare il diritto d’autore: se si caricano immagini o testi protetti su un’IA senza autorizzazione, si viola il diritto d’autore. Allo stesso modo, se l’IA crea output che contengono parti riconoscibili di contenuti protetti, il loro utilizzo non è consentito. Il fatto che qualcosa sia stato generato da un’IA non protegge dalla violazione del diritto d’autore. Occorre inoltre tenere presente che i prompt, ossia le richieste alla macchina, possono essere ulteriormente utilizzati dalla stessa IA. Quindi non è saggio inserire nei prompt informazioni riservate, come segreti aziendali o dati personali.

Sabrina Konrad, Sostituto capo del servizio giuridico, Diritto d’autore dell’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale

Un nodo centrale è sicuramente rappresentato dal diritto d’autore su testi e immagini. Occorre indicare un copyright? Si possono usare liberamente? Vanno rieditati? Occorre indicare se un contenuto è generato dall’IA? Insomma: quo vadis?

In Svizzera, i testi e le immagini sono protetti dal diritto d’autore se sono creazioni dell’ingegno umano e presentano un cosiddetto carattere originale. Ciò presuppone che una persona utilizzi l’IA solo come strumento e che, ad esempio, influenzi in maniera decisiva il risultato dell’IA attraverso i suoi prompt. Anche nel caso in cui l’output venga rielaborato, può essere considerato come creato da un essere umano. Se poi l’output è unico e diverso dagli altri, rientra automaticamente nella protezione conferita dal diritto d’autore, senza doverlo contrassegnare con un segno di copyright. Se si vogliono utilizzare gli output dell’IA, bisogna prestare attenzione alle condizioni di utilizzo dello strumento di IA, perché possono contenere disposizioni sulle modalità di utilizzo dei contenuti creati. Ad esempio, potrebbe essere necessario indicare che un contenuto è stato creato con l’aiuto dell’IA. Non si devono inoltre violare i diritti d’autore di terzi. Questo può succedere nel caso in cui l’IA utilizzi opere protette per il suo risultato e queste siano ancora riconoscibili o visibili. In tal caso, è necessario il permesso degli autori delle opere per poter utilizzare il risultato dell’IA oppure bisogna modificare l’output in modo che le opere protette non siano più identificabili.

A livello legale e di controversie, invece, come ci si muove oggi?

Per quanto ne so, in Svizzera non esistono ancora decisioni giudiziarie sull’IA e sul diritto d’autore, mentre all’estero sì. Negli Stati Uniti e in Germania, tra gli altri Paesi, sono già state prese decisioni di questo tipo in relazione all’IA. Da un lato, si trattava di questioni relative alla protezione del diritto d’autore per i risultati nell’IA e, dall’altro, dell’uso di opere per l’addestramento dell’IA. I tribunali svizzeri decidono sulla base del diritto svizzero. Tuttavia, poiché nel diritto d’autore diverse questioni sono disciplinate in modo abbastanza simile a livello internazionale, i tribunali potrebbero anche ispirarsi a decisioni straniere.

L’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI) ha emanato delle linee guida sull’utilizzo dell’IA da parte delle imprese? Ci può indicare eventuali raccomandazioni?

L’IPI fornisce informazioni generali sulla proprietà intellettuale (ad es. sul diritto d’autore) sul suo sito, in particolare per le PMI. Tuttavia, non ha emanato linee guida per l’utilizzo dell’IA nelle aziende. Il Consiglio federale ha pubblicato dei Promemoria per l’utilizzo dell’IA all’interno dell’Amministrazione federale. Si possono trovare su Internet e presumibilmente possono servire come aiuto anche per le aziende.

Quali consigli può dare a un’azienda che si appresta a utilizzare l’IA?

A mio avviso, una strategia di IA e una sensibilizzazione legale sono fondamentali. Le aziende devono avere ben chiaro quando, perché e per cosa vogliono utilizzare gli strumenti di IA. La direzione aziendale e i collaboratori dovrebbero essere sensibilizzati sul fatto che l’uso di strumenti di IA può essere associato a ostacoli legali (ad es. in materia di diritto d’autore e protezione dei dati). È quindi importante conoscere anche le condizioni di utilizzo dei rispettivi strumenti di IA. L’uso di questi ultimi può essere utile, ma deve essere fatto con cognizione di causa.


Anaïc Cordoba, Consulente legale
in proprietà industriale, IPI

Signor Cordoba, potrebbe fare il punto sulla revisione della legge sui brevetti, anche in relazione all’IA?

Per ora in Svizzera non è prevista alcuna modifica della legge sui brevetti in relazione agli sviluppi dell’IA. L’aumento delle domande di brevetto relative all’IA dimostra che l’attuale quadro giuridico rimane adeguato. I concetti chiave per la brevettabilità, come «lo stato della tecnica» o la «novità», sono abbastanza flessibili da evolversi con la tecnologia, consentendo all’IPI e ai tribunali di perfezionarne la loro interpretazione secondo le necessità. I progressi dell’IA e il suo crescente utilizzo nei processi di ricerca e sviluppo stanno mettendo a dura prova le nozioni di «inventiva» e di «esposto dell’invenzione». Gli uffici dei brevetti hanno però già chiarito alcuni punti. L’Ufficio europeo dei brevetti, ad esempio, richiede la divulgazione nella domanda di brevetto – di specifiche caratteristiche di un set di dati di addestramento se influenzano l’effetto tecnico di un’invenzione. Queste informazioni non sono necessarie se le caratteristiche sono facilmente deducibili da parte di un esperto. Di norma, il set di dati in sé non deve invece essere divulgato. Poiché l’intervento umano nella ricerca e nello sviluppo rimane essenziale, le discussioni internazionali su una possibile revisione del requisito di indicare una persona fisica (un essere umano) come inventore sembrano premature. Ad oggi, il legislatore svizzero non ha ritenuto necessaria una revisione in questo ambito. In questo contesto, nel marzo 2024 l’IPI ha
respinto una domanda di brevetto perché non indicava un essere umano come inventore, bensì un sistema di IA chiamato DABUS. Domande di brevetto simili sono state depositate in diversi Paesi come parte del progetto The Artificial Inventor Project. Tornando alla decisione dell’IPI, il depositante ha poi presentato ricorso contro il rigetto della domanda e la questione è pendente davanti al Tribunale amministrativo federale.


L’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (IPI) esamina, rilascia e gestisce titoli di protezione quali brevetti, marchi e design, collabora con altri enti, associazioni e aziende per proteggere l’indicazione di provenienza «Svizzera» nei confini nazionali e all’estero, sorveglia le società di gestione collettiva dei diritti d’autore e informa privati e aziende in merito ai sistemi di protezione della proprietà intellettuale sfruttando diversi canali. L’IPI è il principale interlocutore della Confederazione per tutte le questioni inerenti alla proprietà intellettuale: si adopera affinché la Svizzera disponga di un sistema di protezione della proprietà intellettuale adeguato e sostenibile; fornisce servizi innovativi che rispondono alle esigenze degli utenti; contribuisce attivamente a forgiare l’assetto internazionale in materia di proprietà intellettuale; sfrutta al meglio la sua autonomia; cura i rapporti in Svizzera e all’estero per massimizzare i vantaggi degli utenti.
Maggiori informazioni: www.ige.ch

Nuovi modi di dire cose vecchie?

L’evoluzione delle etichette professionali: come i nomi dei ruoli cambiano nel tempo

Negli ultimi mesi abbiamo letto (e ci siamo incuriositi) titoli di ruoli professionali peculiari, o per lo meno più “atipici”, come:

  • People and Culture Manager: persona che lavora nelle risorse umane e nella promozione di una cultura aziendale. Si occupa di gestione del reclutamento e selezione del personale, collabora con i team di progetto per comprendere
    le varie esigenze. Identifica le esigenze formative dei dipendenti, progetta e organizza programmi di formazione e sviluppo professionale, monitorandone l’efficacia.
  • Digital Detox Consultant: esperto che aiuta le persone a disconnettersi dalla tecnologia e a ritrovare un equilibrio sano con il mondo digitale.
  • Chief Happiness Officer: professionista responsabile del benessere e della soddisfazione dei dipendenti all’interno di un’azienda.
  • Ethical Hacker: professionista della sicurezza informatica che testa e protegge i sistemi dai cyber attacchi.
  • Virtual Reality Architect: designer che crea esperienze immersive in ambienti di realtà virtuale.
  • Content Wrangler: esperto nella gestione e organizzazione di contenuti digitali, assicurandosi che siano facilmente accessibili e fruibili.
  • Sustainability Ninja: professionista che sviluppa pratiche ecologiche innovative per le aziende, promuovendo la sostenibilità.
  • Pet Influencer Manager: professionista che gestisce gli account social e le collaborazioni di animali domestici famosi.
  • Experience Curator: professionista che crea esperienze uniche e memorabili per eventi, marchi o spazi pubblici.

Sicuramente di primo acchito intrigano e catturano l’attenzione. Ci chiediamo di cosa si occuperanno mai le persone che lavorano in questi ambiti.

Vero è che negli ultimi anni il mondo del lavoro ha subito trasformazioni significative: un’importante spinta l’ha data la digitalizzazione, la pandemia COVID-19 ha cambiato il modo di lavorare, sdoganando smart working e home working e, last but not least, vi è una maggiore attenzione alle tematiche riguardanti il welfare aziendale e la sostenibilità, per cui più sensibilità verso l’inclusione, la valorizzazione delle risorse umane e la gestione dei talenti.

Di conseguenza, anche i nomi e le etichette dei ruoli professionali stanno evolvendo, riflettendo non solo le nuove competenze richieste, ma anche la cultura aziendale e le esigenze del mercato.

In evoluzione

Tradizionalmente, le etichette professionali seguivano una certa ‘rigidità’ perché erano legate alle competenze apprese. Ruoli come ‘Responsabile Risorse Umane’, ‘Segretario’ o ‘Direttore Marketing’ erano standardizzati e facilmente comprensibili. Tuttavia, con l’avvento di nuove tecnologie e l’emergere di nuove pratiche aziendali, è diventato chiaro che le etichette tradizionali non sempre rappresentano adeguatamente le responsabilità e le competenze richieste.

D’altro canto negli ultimi 20 anni il mondo è mutato in modo radicale. Si sono trasformate sia le condizioni di lavoro, il modo di lavorare, le persone (con il progressivo pensionamento dei ‘baby boomers’ e l’arrivo in azienda delle nuove generazioni, più giovani, con modelli e valori differenti) e le competenze.

Se i fatti – incontestabilmente – sono dati, è variato il modo di approcciarsi ad essi, di apprenderli e comprenderli. La cultura aziendale gioca un ruolo cruciale nella scelta delle etichette professionali. Aziende innovative e orientate al futuro tendono a utilizzare titoli che riflettono una mentalità più aperta e flessibile.
La digitalizzazione ha portato a nuove professioni e a una ridefinizione dei ruoli esistenti. Alcuni titoli sono emersi in risposta alla necessità di competenze tecniche specifiche. Questi nuovi ruoli non solo richiedono conoscenze specializzate, ma anche la capacità di lavorare in team multidisciplinari.
Con l’aumento del lavoro da remoto e delle modalità di lavoro ibride, anche i titoli di lavoro sono evoluti per riflettere queste nuove dinamiche. Ruoli come “Remote Team Lead” o “Virtual Collaboration Specialist” evidenziano l’importanza delle competenze di gestione in ambienti di lavoro distribuiti.

Un’altra tendenza emergente è la personalizzazione dei titoli. Molti professionisti scelgono di utilizzare titoli che rappresentano in modo più preciso le loro responsabilità e il loro contributo unico all’organizzazione. Questo approccio consente ai dipendenti di sentirsi più valorizzati e riconosciuti per il loro lavoro.

L’importanza della formazione continua

Non dimentichiamo che fino a qualche anno fa il bagaglio di competenze acquisite durante il percorso scolastico (dell’obbligo e professionale, sia esso con un apprendistato o accademico) rappresentava un patrimonio (quasi) ‘vita-natural-durante’, oggi si stima che – come per analogia con alcuni devices elettronici – esista una sorta di obsolescenza delle competenze, che non scadono, perché poiché quanto appreso resta comunque, ma va aggiornato, visti gli scenari produttivi e congiunturali che mutano rapidamente. Assumono dunque un valore imprescindibile la formazione continua e quella ‘on the job’, perché riescono a focalizzarsi in modo mirato sulle competenze indispensabili di un’economia in transizione, che richiede già oggi competenze tecniche, attitudinali e trasversali. Da anni la Cc-Ti (a più riprese e con progetti diversi) afferma che esista una mancanza di manodopera qualificata in Ticino. Non entriamo nel merito delle proposte per colmare questo deficit, ma ci concentriamo qui sulle sfide che devono essere prese in conto fa parte del sistema educativo-formativo a tutti i livelli: una responsabilizzazione degli individui per una maggior consapevolezza nell’acquisire nuove competenze, aggiornandole ed incrementandole; d’altro canto è imperativo che anche le istituzioni preposte all’insegnamento aggiornino in modo significativo i programmi educativi, per stare al passo con i tempi.
Infatti, la SEFRI – Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione annunciava nel gennaio 2024 di aver riesaminato e aggiornato 50 professioni (nuove e/o rivedute, adattate alle esigenze dell’economia, sia nella formazione professionale di base che professionale superiore).

In conclusione…

L’evoluzione delle etichette professionali è un riflesso dei cambiamenti in atto nel mondo del lavoro. I nomi dei ruoli non sono solo termini descrittivi; rappresentano le competenze richieste, la cultura aziendale e le aspettative delle nuove generazioni. Man mano che il mercato del lavoro continua a evolversi è probabile che anche i titoli professionali si trasformino ulteriormente, adattandosi alle necessità emergenti e alle dinamiche in continua evoluzione.
Tenere in considerazione l’evoluzione continua di queste etichette è fondamentale non solo per le aziende che cercano di attrarre e trattenere talenti, ma anche per i professionisti che desiderano posizionarsi al meglio nel proprio campo.

Indice cantonale di innovazione e creatività (KIKI)

Il Ticino si posiziona nel gruppo ai vertici della classifica nel Paese più innovativo al mondo

L’indice cantonale dell’innovazione e della creatività e la conseguente classifica cantonale, 2024

L’innovazione e la creatività sono motori centrali della crescita economica e quindi del benessere. L’Indice cantonale di innovazione e creatività compara, per la prima volta a livello regionale, queste “risorse”. Nel Paese più innovativo del mondo – la Svizzera – il Cantone Ticino si piazza nel primo terzo della classifica incantonale (al 7° posto).

A livello internazionale, il Global Innovation Index (GII) misura, da anni, la capacità d’innovazione dei Paesi di tutto il mondo. La Svizzera si classifica regolarmente al primo posto. Ma quale è il cantone leader dell’innovazione nel Paese più innovativo del mondo?

Gli 8 pilastri del KIKI

La Scuola Universitaria Professionale di Lucerna ha sviluppato l’Indice cantonale di innovazione e creatività (abbreviato in “KIKI”: Kantonalen Innovations- und KreativitätsIndex).
Il KIKI è composto da diversi indicatori suddivisi in “input” (che promuovono la creatività e l’innovazione) e “output” (che ne mostrano l’impatto).
Nel KIKI, entrambe le categorie sono divise in due sottogruppi: conoscenza e ambiente (input) e creazione e crescita (output), ciascuno dei quali è ulteriormente suddiviso in due pilastri. Esistono quindi otto pilastri che coprono aspetti centrali dell’innovazione e della creatività: «Ricerca, sviluppo e conoscenza», «Diversità», «Fattori di supporto», «Arte e cultura», «Brevetti, marchi e design», «Aziende e start-up», «Crescita economica» e «Istruzione e successo scolastico».

La valutazione dei dati KIKI del 2024 ha determinato, per ogni cantone, un valore dell’indice con un massimo teorico di 100. Zugo ha raggiunto il valore più alto con quasi 60 punti, seguito da vicino da Basilea Città (57) e Zurigo al terzo posto (48). Zugo domina nei settori della conoscenza, della creazione e della crescita, mentre Basilea Città raggiunge il valore più alto nella creazione e si classifica al secondo o terzo posto negli altri settori.

Il Canton Ticino al 7° posto

Il Ticino ha ottenuto 41 punti, che corrispondono al 7° posto tra i 26 cantoni. Gli indicatori KIKI mostrano che, in generale, le aziende ticinesi riescono a trarre grande beneficio da un ambiente a loro favorevole, permettendo un notevole contributo innovativo. Ciò è particolarmente evidente nella crescita economica e nel dinamismo delle aziende esistenti e delle start-up.

Considerando questi indicatori, il Cantone si colloca al secondo posto dopo Zugo. Inoltre, in nessun altro Cantone il tasso di resilienza delle start-up è più alto che nel Cantone Ticino. Per quanto riguarda i fattori di input, il Ticino è uno dei cantoni più innovativi, in particolare nell’indicatore ricerca, sviluppo e conoscenza. Naturalmente, come ogni cantone, anche il Ticino ha i suoi punti deboli. Il Cantone perde punti significativi, soprattutto nel settore dei brevetti, dei marchi e dei design. Uno svantaggio del Ticino rispetto agli altri cantoni è anche la composizione anziana della sua popolazione.

Per quanto riguarda i singoli indicatori, il Ticino si è classificato al secondo posto sia per il tasso di formazione post obbligatoria, sia per quella professionale. Tuttavia, il cantone conta pochi studenti universitari pro capite. Anche la quota di apprendistato relativamente bassa ha avuto un impatto negativo sulla valutazione. In termini di inclusione, si è notato un “gender gap” apprezzabile, anche se continua a sussistere un divario tra l’occupazione e la partecipazione al mercato del lavoro.

In Ticino la partecipazione ai progetti di Innosuisse è elevata, ma la quota di aziende prettamente tecnologiche è inferiore. Il numero di fornitori di servizi con un alto valore di hard/soft skills è superiore alla media e i numerosi posti di lavoro nei settori dell’architettura, della pubblicità e del multimedia contribuiscono a creare certamente un ambiente stimolante.


Metodo consolidato

Con i suoi 101 indicatori, il KIKI si propone di quantificare la creatività e l’innovazione in un concetto per il quale non esiste altrimenti un diverso parametro di riferimento chiaro e indipendente. I dati di base sono stati selezionati su di una base teorica durante la determinazione degli indici, anche se i singoli indicatori potevano presentare una correlazione negativa con l’indice complessivo. Gli stessi sono stati attentamente valutati, scelti e sono pubblici.

Per il KIKI la fonte più importante è l’Ufficio federale di statistica, integrato con altri uffici federali, con l’Istituto per la proprietà intellettuale, Innosuisse, OCSE e altri. Gli indicatori non devono dipendere dalle dimensioni del cantone e, in questo modo, il Ticino resta paragonabile a Zurigo o Uri. Per questo motivo i dati vengono invece messi in relazione, ad esempio, con la popolazione residente/attiva oppure con il PIL. Per tenere conto dei diversi ordini di grandezza, a ciascun indicatore viene applicata una procedura di normalizzazione.

Il KIKI è ponderato in base alle 8 colonne presentate sopra, ciascuna delle quali ha il peso di un ottavo, indipendentemente dal fatto che la colonna contenga molti o pochi indicatori individuali. KIKI mostra come nei Cantoni si possano sviluppare innovazione e creatività in modo diversificato.

Non esiste un mezzo semplice o universale per delinearli in modo puntuale, ma i risultati sono stati molto buoni e si è potuto affermare che esiste una corrispondenza sorprendentemente stretta tra i risultati del KIKI e la forza
economica dei cantoni. Un punto supplementare a favore del Canton Ticino è certamente il turismo. Con la seconda più alta performance di esportazione pro capite e con una crescita economica dinamica nettamente superiore alla media negli ultimi anni, il Cantone Ticino è una delle regioni più creative e innovative della Svizzera.


Maggiori dettagli sullo studio sono disposibili sul sito della Hochschule di Lucerna, all’indirizzo: https://www.hslu.ch/de-ch/hochschule-luzern/ueber-uns/medien/medienmitteilungen/2025/01/29/kiki/

Testo a cura di Christoph Hauser Prof. Dr., Hochschule Lucerna e Lia Nadia Lüdi, Research Associate Hochschule Lucerna

Think outside the box?

Sarà capitato, navigando in rete o scrollando i social media, di vedere immagini quali il giochino del tetris che si faceva su carta, con la ‘X’ vincente posta fuori dalla griglia di gioco, accompagnata da una frase, solitamente in lingua inglese, che dice “think outside the box”, ovvero “pensa fuori dagli schemi”.

Sarebbe possibile riassumere così, graficamente, il concetto di ‘pensiero laterale’. Si tratta di una modalità di risoluzione di problemi, che prevede un approccio differente di pensiero, ovvero l‘osservazione del problema da diverse angolazioni, contrapposta alla tradizionale modalità che prevede concentrazione su una soluzione diretta al problema.

Gli studi sul tema sono stati sviluppati da Edward de Bono, psicologo maltese, negli anni ‘60, e rappresentano un approccio non convenzionale alla risoluzione dei problemi. A differenza del pensiero logico, che segue un percorso lineare e razionale, il pensiero laterale invita a esplorare strade alternative, distaccandosi, appunto, dai classici schemi di pensiero.

Definizione e caratteristiche

Il pensiero laterale è un metodo di pensiero che incoraggia l‘individuo a considerare problemi e soluzioni da angolazioni diverse. Invece di seguire un processo logico e lineare, il pensiero laterale si basa sull‘idea che spesso le soluzioni più efficaci si trovano al di fuori delle convenzioni

e delle norme stabilite. Questo approccio è particolarmente utile in contesti complessi e incerti, dove le soluzioni tradizionali possono risultare inadeguate. Abbracciando di volta in volta differenti modi di pensare si potranno trovare soluzioni creative, inusuali e stimolanti.

Applicandolo a diverse situazioni, anche aziendali, vengono favoriti alcuni aspetti, fra cui:

  • la creatività, stimolando la generazione di idee innovative
  • l’elasticità mentale, permettendo di adattarsi e modificare le traiettorie in corso d’opera
  • la collaborazione, promuovendo il lavoro di squadra ed il brainstorming.

Oltre alle analisi condotte da Edward de Bono, precedentemente citato, altri studiosi si sono chinati sulla tematica, condividendo molti assunti (con declinazioni diverse). Ad esempio, lo psicologo statunitense Joy Paul Guilford – noto per i suoi studi psicometrici sull‘intelligenza umana
– identifica altri quattro elementi per definire il pensiero laterale:

  • la fluidità: elemento quantitativo che si riferisce al numero di idee
  • la flessibilità: l’attitudine all’adozione di diversi approcci di pensiero rispetto un problema da affrontare
  • l’originalità: la capacità di formulare pensieri unici, che non seguano necessariamente quelle della maggioranza
  • l’elaborazione: la modalità in cui queste idee e questi pensieri vengono concretizzati.

Il pensiero laterale può essere esercitato: quando ci si prepara per migliorare le proprie prestazioni sportive, ad esempio, un allenamento assiduo della creatività migliora sicuramente l’immaginazione e stimola le menti, attraverso la risoluzione di enigmi e giochi.

Vantaggi nell’utilizzo

In un contesto aziendale sempre più competitivo e in continua evoluzione, le organizzazioni devono cercare metodi innovativi per risolvere problemi, prendere decisioni e affrontare le sfide quotidiane con cui sono confrontate. Eccone alcune:

  • Promozione dell’innovazione, miglioramento della capacità di problem solving e aumento della collaborazione
    Il pensiero laterale permette di superare le soluzioni tradizionali, favorendo l‘emergere di idee innovative. Invece di seguire schemi logici predefiniti, i collaboratori sono spinti a esplorare opzioni alternative, sviluppando idee che altrimenti potrebbero non essere considerate.
    Questo approccio creativo è essenziale per l‘innovazione continua, che rappresenta uno dei principali fattori di successo per le aziende. Inoltre, si affrontano le tematiche da prospettive nuove, atto che consente di promuovere – all’interno di un team o un gruppo di lavoro, una maggiore
    sensibilità verso la collaborazione. Ogni individuo è incoraggiato a contribuire con le proprie idee, arricchendo le proposte tematiche.
  • Adattabilità al cambiamento, nuova cultura aziendale
    L‘ambiente aziendale è in continua evoluzione, e le aziende devono essere in grado di adattarsi velocemente ai cambiamenti. Il pensiero laterale favorisce la flessibilità mentale, consentendo ai dirigenti e ai dipendenti di adattarsi rapidamente a nuove circostanze, affrontare situazioni
    inaspettate e trovare soluzioni adeguate anche in contesti in continuo mutamento. L’utilizzo di nuove tecniche per affrontare sfide ed ostacoli crea anche una cultura aziendale che valorizza l’innovazione, promuovendo una mentalità orientata alla crescita, rendendo l’organizzazione, nel suo insieme, agile. In un precedente articolo (link: www.cc-ti.ch/abracadabra) abbiamo parlato delle organizzazioni adattive, quali entità composte da persone che, attivando meccanismi di adattamento finalizzati a mantenere lo stato ottimale dell’entità stessa, quale cambiamento evolutivo costante, si distinguono per la loro capacità di rispondere prontamente e in modo efficace ai cambiamenti nell’ambiente esterno, evidenziandone i benefici in termini di identificazione delle nuove tendenze e delle opportunità emergenti, adattando rapidamente le proprie strategie e operazioni per capitalizzare su tali cambiamenti. Agilità e flessibilità sono caratteristiche fondamentali, che spesso si traducono in una maggiore capacità di innovazione e di adattamento alle mutevoli condizioni congiunturali.

Conclusioni

Think outside the box? Sì, il pensiero laterale non è solo una tecnica per risolvere problemi complessi, ma un approccio che può trasformare la cultura aziendale e contribuire in modo decisivo alla crescita e al successo dell‘azienda nel lungo periodo. Con originalità, quale base dell’impulso creativo, la ricerca di nuove possibili combinazioni può essere una fonte di ispirazione per soluzioni, anche, inaspettate.

La Svizzera è un Paese medtech

L’industria svizzera delle tecnologie mediche è solida e importante per l’economia svizzera. Con un aumento del fatturato di oltre il 6% negli ultimi due anni, il medtech ha registrato una crescita doppia rispetto al PIL nominale in Svizzera nello stesso periodo.

«L’ottimizzazione dei processi a livello di efficienza rientra tra le competenze chiave del settore medtech svizzero. Dobbiamo assumere un ruolo di precursori nella digitalizzazione e nell’uso dell’IA, se vogliamo assicurare la concorrenzialità della produzione medtech in Svizzera, paese caratterizzato da prezzi elevati.»
Adrian Hunn, Direttore di Swiss Medtech

Il settore crea un numero di posti di lavoro superiore alla media – rispetto ad altri comparti industriali -, come dimostrano i 20’000 nuovi posti di lavoro creati negli ultimi dieci anni. Nel 2023, circa 71’700 persone, di cui il 40% donne, sono stati impiegati nel settore – uno dei tassi di occupazione pro capite più alti d’Europa.

Tuttavia, questa storia di successo dell’industria medtech presenta anche delle sfide. La densità normativa e l’aumento dei costi mettono le aziende sotto forte pressione. Il Regolamento europeo sui dispositivi medici (MRD – Medical Device Regulation) grava su molte aziende medtech con costi elevati. Per gestire la MDR l’80% delle imprese ha assunto ulteriore personale e il 60% ha dovuto dirottare risorse di personale, spostandole dal settore ricerca e sviluppo. La metà delle imprese ha ridotto il suo portafoglio prodotti di, mediamente, il 20%.

Un aspetto fondamentale che emerge dall’ultimo studio di settore di Swiss Medtech è la crescente importanza della digitalizzazione. Il medtech la vede come una delle sue maggiori opportunità. La trasformazione digitale sta cambiando i processi di innovazione, produzione e vendita. L’intelligenza artificiale e le soluzioni digitali contribuiscono ad aumentare l’efficienza e a garantire la posizione di leader globale dell’industria medtech svizzera.

Un altro tema importante per il settore è la sostenibilità, aspetto fondamentale per l’accesso al mercato. Clienti e investitori richiedono sempre più informazioni sulla sostenibilità, in particolare sulla protezione del clima. Il 74% delle aziende medtech è già impegnato in questo ambito e Swiss Medtech sta lavorando a una roadmap del settore per la decarbonizzazione. Questo dovrebbe rafforzare la competitività e attirare anche i giovani talenti, per i quali la sostenibilità è un criterio importante nella scelta del datore di lavoro.

Il networking internazionale gioca un ruolo decisivo per la competitività. L’UE rimane il principale partner commerciale dell’industria medtech svizzera, ma anche gli Stati Uniti e i mercati asiatici stanno acquisendo sempre più importanza. L’industria medtech svizzera ha bisogno di una politica estera ed economica che promuova relazioni commerciali stabili e affidabili con importanti mercati globali. In un contesto sempre più protezionistico, la risposta è la “diversificazione”: portare avanti nuovi accordi di libero scambio, ad esempio con il Mercosur, riprendere i negoziati per un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti e rafforzare le nostre relazioni con l’UE attraverso gli Accordi Bilaterali III – questo è l’impegno di Swiss Medtech.

Altri link
Lo studio completo

Swiss Medtech Ticino spegne due candeline

Intervista con Giuseppe Perale, Presidente Swiss Medtech Ticino

Swiss Medtech Ticino ha alle spalle due intensi anni di attività? Può fare un bilancio e parlarci delle sinergie con altri comparti economici?

I primi due anni di vita di Swiss Medtech Ticino sono sicuramente stati molto intensi, caratterizzati da importanti sviluppi e iniziative volte a consolidare la nostra posizione sia a livello cantonale che nazionale. Stiamo, infatti, uscendo dalla fase di start-up e guardiamo al prossimo anno con lo spirito di continuare a crescere organicamente e, sulla scorta degli obiettivi della nostra associazione madre nazionale, consolidare il nostro ruolo tra gli attori economici di riferimento.
La nostra sezione ticinese in soli due anni è passata da 13 iscritti all’importante traguardo di 50 associati, passato proprio oggi: un segno importante e tangibile della dinamicità del contesto medicale ticinese, dell’interesse verso la vita associativa e verso i temi affrontati durante i nostri eventi. Gli associati hanno infatti chiaramente espresso una forte volontà di networking sia su base locale che nazionale, confermando anche l’interesse per gli argomenti chiave del settore medtech. Dal nostro avvio, infatti, abbiamo lavorato intensamente per creare un ecosistema collaborativo, puntando su innovazione, ricerca e sviluppo, regolatorio, formazione, sviluppo di sinergie e proiezione internazionale. Nei primi due anni abbiamo organizzato 12 eventi tematici, spesso ospitati presso aziende associate, permettendo così non solo l’approfondimento specifico ma anche la conoscenza reciproca tra colleghi. Questo, grazie ad un Comitato locale estremamente attivo ed al supporto segretariale della Cc-Ti rappresentata dal Vicedirettore Michele Merazzi, ci ha permesso di sviluppare anche numerose sinergie con altri comparti economici ed industriali, laddove le nuove frontiere della ricerca tecnologica stanno facendo sfumare sempre di più i tradizionali confini settoriali. Su tutte meritano menzione l’intelligenza artificiale, la chimica, la scienza dei materiali e l’elettronica. Non mancano le collaborazioni con istituzioni accademiche e sanitarie, che ci hanno permesso di promuovere progetti comuni, spesso con il diretto coinvolgimento dei colleghi di Farma Industria Ticino, al fine di consolidare il ruolo del comparto economico delle scienze della vita nella vita del nostro Cantone. La volontà è e resta quella di fare fronte comune alle grandi sfide sistemiche e geopolitiche che colorano di tinte chiaro-scure la fase storica in cui viviamo ma che vanno affrontate uniti come imprenditori, come economia e come Paese. Pur restano le perduranti incertezze legate al sempre più caotico quadro normativo europeo per il settore medicale, i vicini conflitti, le tensioni valutarie e la carenza di personale specializzato, il bilancio resta complessivamente positivo. Si è consolidata anche la collaborazione tra Ticino e la nostra associazione madre a Berna, facilitata sicuramente dall’introduzione dell’italiano come lingua ufficiale nelle comunicazioni a tutti i livelli ma soprattutto dall’arrivo di una imprenditrice ticinese di spicco, Nicoletta Casanova, nel board nazionale.

Un elemento su cui puntare per il futuro è sicuramente la formazione continua. Come vi state muovendo?

Come tutti i settori ad alto valore aggiunto, anche il comparto medtech svizzero soffre l’endemica carenza di personale specializzato e, a livello cantonale, questo aspetto è ulteriormente accentuato da una crescente competizione con le aziende di oltre confine, in un quadro aggravato anche dai complessi rapporti fiscali e normativi. Swiss Medtech Ticino si è attivata nel mappare le offerte educative presenti attualmente sul territorio e che sono mirate o affini al nostro settore. Una volta ultimata questa prima attività ci occuperemo ora di rendere maggiormente attrattive le formazioni da offrire ai ragazzi e alle ragazze che si avvicinano al mondo del lavoro attraverso la formazione duale. Sarà inoltre imprescindibile un incremento della collaborazione con USI e SUPSI per favorire l’interazione tra le nostre aziende e i loro studenti, in corsi di bachelor e master legati direttamente all’ambito medicale e/o ingegneristico. Un primo strumento concreto cui si sta già lavorando è pensato per i collaboratori già attivi nelle aziende medicali ticinesi e vede la creazione di una “Swiss Medtech Academy” (declinata nelle differenti regioni linguistiche della Confederazione e dunque anche in Ticino) volta proprio ad offrire dei percorsi specifici per questo settore che rappresenta una fetta sempre più importante e crescente del PIL nazionale. Grazie al ruolo del Comitato di Swiss Medtech Ticino, anche in questo ambito il nostro Cantone è all’avanguardia potendo mirare in tempi brevi ad essere il primo in Svizzera ad offrire questi percorsi dedicati. Tutto questo è reso possibile grazie agli ottimi rapporti con le nostre università e con il DECS, in particolare con la Divisione per la formazione professionale: tutte istituzioni che hanno mostrato una grande disponibilità e un forte interesse per le nostre realtà aziendali. Siamo convinti che grazie a queste fondamentali basi riusciremo a proporre tutti insieme delle formazioni all’avanguardia e a sopperire alla prevista carenza di manodopera traversale che accomuna il nostro settore con tutte le altre categorie.

Centro di competenze sulle scienze della vita. Quo vadis?

Quanto al tema dell’innovazione, cardine per il nostro settore, va sottolineato che Swiss Medtech Ticino è stata tra i fondatori del Centro di Competenze in Scienze della Vita all’interno del progetto Ticinese dello Swiss Innovation Park. In questo contesto la nostra associazione sta lavorando al consolidamento del centro di competenze, con un’ottima comunione di intenti e visione con gli altri attori istituzionali coinvolti. La risposta delle aziende associate è stata notevole e si stanno profilando le tematiche su cui incardinare il centro di competenze, in primis quella tecnologica che collega il mondo delle disabilità agli strumenti dell’intelligenza artificiale. Queste sinergie sono essenziali per creare una rete forte e coesa, che possa competere a livello globale, attrarre investimenti e promuovere l’eccellenza ticinese nel settore medtech. Continueremo a lavorare su questa strada, rafforzando la collaborazione tra pubblico e privato e supportando l’intero comparto verso una crescita robusta e innovativa.

Concentrazione sui nostri punti di forza

I punti di forza e le criticità del modello economico svizzero nell’analisi del Prof. Lino Guzzella all’Assemblea Cc-Ti

L’invidiabile situazione finanziaria della Confederazione, a differenza di altri Stati europei zavorrati da un enorme debito pubblico, l’offerta formativa di ottimo livello, le condizioni quadro e, soprattutto, quella capacità d’innovazione che da anni colloca la Svizzera al primo posto nelle diverse classifiche internazionali. Con il suo intervento alla 107esima assemblea della Cc-Ti, il Professor Lino Guzzella, ha offerto un’analisi a 360 gradi del modello economico svizzero. I punti di forza, ma evidenziando anche i suoi elementi di vulnerabilità, in un quadro di forte concorrenza internazionale e di preoccupanti tensioni geopolitiche che, oltre a generare timori e incertezza, possono condizionare le sorti di un’economia che dipende fortemente dal commercio con l’estero.

Prof. Lino Guzzella

Un modello di successo, certamente, ma non acquisito per sempre, nulla è scontato, ha avvertito l’ex rettore e già presidente del Politecnico federale di Zurigo. Perciò, non bisogna mollare la presa. Anzi, visto che il nostro paese può incidere poco sugli inquietanti scenari geopolitici che stanno scuotendo le relazioni tra gli Stati, è più che mai necessario concentrare gli sforzi per salvaguardare e potenziare quei fattori propulsivi che hanno finora garantito la crescita. “Riusciremo a mantenere la nostra prosperità – ha ricordato – solo se possiamo continuare a vendere con successo i nostri prodotti e servizi sul mercato mondiale”.

A cinque anni dal suo primo intervento ad un’assemblea della Camera di commercio, il Professor Lino Guzzella con la sua analisi ha riproposto ora un’articolata visione d’insieme della situazione svizzera, con uno sguardo particolare al Ticino e alle sue potenzialità nel contesto dell’economia nazionale. In questa intervista ripercorriamo col Professor Guzzella i passaggi più importanti della sua relazione, mettendo a fuoco i temi cruciali per il futuro della Svizzera e del Cantone.

Anche se in misura minore rispetto al passato, il Prodotto interno lordo elvetico continua a crescere e le esportazioni in questi ultimi anni hanno retto i contraccolpi della forza del franco. Al confronto di molti altri paesi europei, la Svizzera sta dimostrando una notevole resilienza nel succedersi di varie crisi e crescenti tensioni internazionali. Si riuscirà a mantenere e migliorare questo trend?

Lo spero, ma non ci sono garanzie di successo. Alcuni sviluppi geopolitici non possono essere influenzati dalla Svizzera. Per questo è ancora più importante concentrarsi sui nostri punti di forza. Si tratta di condizioni quadro politiche ragionevoli, di un uso economico delle entrate fiscali, di un sistema educativo duale che seleziona in modo meritocratico, di un’infrastruttura intatta (trasporti, energia, …) e di molto altro ancora”.

Che importanza ha il Ticino nell’economia nazionale e quali sono le sue prospettive di sviluppo? Si sono create le premesse per avere anche qui da noi un ecosistema economico forte e dinamico?

“Il Ticino ha già un vivace ecosistema dell’innovazione, sia nei settori tradizionali (moda, turismo, ecc.) sia in quelli più recenti (biomedicina, sistemi energetici, microelettronica, ecc.). I due centri universitari, USI e SUPSI, che dispongono di eccellenti reti nazionali e internazionali, ne sono il fulcro. L’asse Ticino-Zurigo, che sta assumendo un peso sempre più importante, svolge un ruolo particolare in questo ambito”.

La Svizzera si è confermata ancora al primo posto nelle più accreditate classifiche internazionali per l’innovazione. Quali sono le ragioni di questa affermazione?

“Queste classifiche vanno sempre trattate con cautela e, inoltre, riflettono solo il passato. Ma sì, la Svizzera ha fatto molte cose bene, ad esempio non ha perseguito una politica industriale eccessiva, ma ha sostenuto la ricerca di base e i progetti pilota. È stato importante che alle imprese esistenti e a quelle nuove fosse concessa una grande libertà per partecipare con successo al mercato globale. Altrettanto importante è stato il sistema di istruzione duale, che ha permesso ai giovani di entrare nel mondo del lavoro in base alle loro capacità”.

Quali sono i punti deboli che potrebbero compromettere la forza economica del paese, guardando anche all’industria europea hi- tech che arranca, schiacciata dal peso degli Usa, della Cina e dell’India?

“La Svizzera è fortemente dipendente dal commercio estero, da cui dipende quasi la metà del nostro PIL e quasi nessun altro paese ha beneficiato della globalizzazione quanto la Svizzera. Possiamo mantenere la nostra prosperità solo se possiamo continuare a vendere con successo i nostri prodotti e servizi sul mercato mondiale. Questo costringe le aziende a cercare nicchie redditizie in cui competere. Ciò richiede agilità, contatto costante con i clienti e personale eccellente. E, naturalmente, un’abile gestione degli sviluppi geopolitici, che rappresentano una sfida importante soprattutto per le piccole imprese”.

L’economia mondiale è in fase di rallentamento, alcuni parlano di stagnazione secolare, altri di trappola della crescita. Cosa pensa al proposito?

“È una domanda difficile. Da un lato, possiamo vedere dall’esempio della Germania, che non ha avuto crescita economica per cinque anni, come regioni economiche un tempo di successo possano ristagnare. Dall’altro lato, gli Stati Uniti hanno sviluppato un enorme dinamismo nello stesso periodo, ottimizzando le aree di business esistenti e sviluppandone di completamente nuove. Tutto dipende dall’atteggiamento di base di una società: vuole essere il più egualitaria possibile ed è avversa al rischio, oppure accetta le disuguaglianze e gli approcci fallimentari? Solo il secondo approccio può portare sempre nuovi successi”.

Secondo un recente studio di Google Svizzera, entro il 2050 l’intelligenza artificiale generativa potrebbe favorire un aumento del PIL elvetico fino all’11%, pari a qualcosa come 80-85 miliardi di franchi all’anno. Eppure, si guarda agli sviluppi dell’IA con timore.

“Innanzitutto, sarei cauto con le previsioni troppo ottimistiche. Le reti neurali generative aumenteranno certamente la produttività assumendo compiti cognitivi di routine. Quanto siano grandi questi guadagni di efficienza resta da vedere. C’è poi la questione della regolamentazione: ancora una volta, questa varia molto da regione a regione. Come ogni nuovo strumento creato dall’uomo, anche le reti neurali comportano dei rischi. La regolamentazione è una cosa, ma sarà ancora più importante formare le persone affinché possano utilizzare i nuovi strumenti in modo sensato”.

La recente crisi energetica ha dimostrato che un approvvigionamento di energia sicuro e, tendenzialmente, ad emissioni zero è una condizione imprescindibile per lo sviluppo del paese. Quali sono le prospettive al riguardo?

“I paesi che forniscono agli abitanti e all’industria energia affidabile e a prezzi accessibili hanno successo anche dal punto di vista economico. Per la Svizzera sarà fondamentale fornire circa il 50% in più di energia elettrica nel 2050, soprattutto da fonti domestiche. Ma questo non sarà possibile con le misure presentate nel 2017”.

Per compensare i tagli dei contributi alle Università, il Parlamento federale ha deciso di triplicare le tasse per gli studenti stranieri che frequentano i nostri Politecnici. Come giudica questa decisione? Non si rischia di rendere la Svizzera meno attrattiva per quei giovani talenti di cui abbiamo sempre più bisogno?

“L’USI dimostra che la differenziazione delle tasse universitarie non deve necessariamente andare a scapito delle università. Tuttavia, un eventuale aumento delle tasse deve essere abbinato a corrispondenti offerte di borse di studio per i talenti eccezionali”.

In un mondo in cui tutto, produzione, costumi, società, cambia rapidamente, qual è oggi la missione dell’Università?

“In realtà si tratta sempre della stessa cosa: consentire ai giovani di pensare in modo critico e creativo, di apprendere in modo indipendente per essere in grado di plasmare il futuro in modo responsabile”.

Innovazione e ricerca e sviluppo tecnologico: quo vadis?

A fine settembre, la Svizzera ha conquistato il primo posto del “Global Innovation Index (GII)” dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) per la sua capacità di innovare: è il 14° anno consecutivo che il nostro Paese si posiziona in testa a questa classifica che valuta la capacità delle singole Nazioni di convertire gli input dell’innovazione in risultati concreti come brevetti e beni tecnologicamente avanzati. Fanno seguito Svezia e Stati Uniti. La Cina si è attestata all’11° posto, diventando uno dei Paesi ad aver scalato più velocemente la classifica negli ultimi 10 anni. Molti degli indicatori del GII sono tuttavia presentati in base alla popolazione o al prodotto interno lordo del Paese: se si considerano gli investimenti complessivi, gli Stati Uniti si confermano il maggior investitore in ricerca e sviluppo (R&S).

La Cina sta però mettendo sempre più in discussione il dominio tecnologico degli USA. Lo conferma il rapporto biennale “State of US Science & Engineering” (Stato della scienza e dell’ingegneria degli Stati Uniti) presentato al Congresso degli Stati Uniti dall’agenzia governativa americana National Science Board (NSB): nel 2021, l’anno più recente incluso nel rapporto, con 806 miliardi di dollari investiti in R&S, sia pubblica sia privata, gli Stati Uniti mantenevano ancora un buon vantaggio sulla Cina (che a sua volta aveva investito “solo” 668 miliardi di dollari), ma ora questo vantaggio si sta erodendo rapidamente.

Esiste poi un’altra classifica, meno nota, realizzata dal think tank australiano Australian Strategic Policy Institute (ASPI), il “Critical Technology Tracker” (localizzatore di tecnologie critiche). Secondo questa classifica, la Cina detiene ora il primato mondiale nella ricerca tecnologica in nove settori critici su dieci e continua ad aumentare il suo vantaggio sugli Stati Uniti: questi ultimi sono leader solo in 7 delle 64 tecnologie considerate critiche, mentre il Dragone guida le altre 57, prevalentemente in campi come la difesa, lo spazio, l’energia, l’ambiente, l’intelligenza artificiale (IA), le biotecnologie, la robotica, la cibernetica, l’informatica, i materiali avanzati e le aree chiave della tecnologia quantistica.

Lo studio dell’ASPI valuta anche il potenziale monopolio della ricerca in questi settori. Il numero di tecnologie considerate “ad alto rischio” di potenziale monopolizzazione è aumentato da 14 a 24. Nell’attuale contesto geopolitico è preoccupante il fatto che molte delle nuove tecnologie considerate ad alto rischio abbiano applicazioni nella difesa e che il Paese di Mezzo sia leader in tutti questi ambiti, oltre a ottenere nuovi risultati nei sensori quantistici, nel calcolo ad alte prestazioni, nei sensori gravitazionali, nei lanci nello spazio e nella progettazione e fabbricazione di circuiti integrati avanzati (produzione di semiconduttori).

Detto ciò, la performance della Cina nella ricerca non riflette ancora il dominio nello sviluppo tecnologico che, come abbiamo visto, rimane in mano agli Stati Uniti: il gigante asiatico è infatti in ritardo su questo fronte. È comunque opportuno sottolineare che nell’ambito del piano “Made in China 2025” volto a rafforzare l’autosufficienza del Paese e a trasformarlo in una potenza economica globale, il Dragone sta investendo molto nelle sue capacità produttive sovvenzionando proprio ambiti chiave come l’industria IT di nuova generazione (circuiti integrati, software ad uso industriale, equipaggiamenti di telecomunicazione), la robotica, l’aviazione e i settori aerospaziale e navale. Gli Stati Uniti seguono attentamente questi progressi e ad inizio settembre hanno introdotto nuovi controlli sulle esportazioni di tecnologie importanti verso lo Stato asiatico nel tentativo di limitargli l’accesso a tecnologie avanzate, come le apparecchiature per la produzione di chip, i computer e i componenti quantistici.

Che ne è degli altri Paesi nell’attuale competizione per le tecnologie critiche? Per 45 delle 64 tecnologie esaminate, l’India figura nella Top5 subito dopo gli Stati Uniti e la Cina, emergendo come centro chiave dell’innovazione ed eccellenza della ricerca globale, soprattutto in diverse aree essenziali e in rapida evoluzione dell’IA, come l’analisi avanzata dei dati, gli algoritmi di IA, gli acceleratori hardware, l’apprendimento automatico, la progettazione e la fabbricazione di circuiti integrati avanzati, l’elaborazione del linguaggio naturale e l’IA avversaria. Dal canto suo, il Regno Unito è uscito dalla Top5 per otto tecnologie e ora si colloca tra i primi 5 Paesi per 36 tecnologie, contro le 44 dello scorso anno. Il Paese ha perso terreno in particolare nelle tecnologie di rilevamento, materiali avanzati e spazio. Nel suo complesso, l’Unione europea continua invece ad essere competitiva: sebbene nessuno degli Stati membri occupi singolarmente la prima posizione nelle tecnologie critiche (la Germania è la più forte, nella Top5 in 27 aree), il blocco europeo è leader in due aree tecnologiche (sensori di forza gravitazionale e satelliti di piccole dimensioni) e figura al secondo posto in 30. Un risultato in linea anche con il più recente rapporto Draghi, che riconosce lo spazio come un settore strategico chiave per il futuro della competitività europea. La rivalità tecnologica tra Stati Uniti e Cina, insieme all’importanza strategica crescente delle tecnologie critiche, ha creato una situazione geopolitica in cui l’Europa dovrebbe (o meglio, deve) svolgere un ruolo più attivo e assertivo, riducendo altresì la sua dipendenza dalle due superpotenze. La domanda che dovrebbe essere posta è: l’Europa sarà in grado di mobilitare la volontà politica e gli investimenti necessari per raggiungere questo obiettivo?

Altri link utili:
Chi guida la corsa alle tecnologie critiche? – Cc-Ti (28 marzo 2023)

Denominatore comune: innovazione

Qualche settimana fa abbiamo approfondito le problematiche che stanno mettendo in difficoltà la Germania, fondamentale partner commerciale per la Svizzera. Difficoltà legate anche al rallentamento della Cina, nel settore automobilistico in particolare, ma non solo. Cina che sembra lontana ma che gioca un ruolo importante per l’economia mondiale, compresa quella svizzera, dato che dispone di molte materie prime essenziali per lo sviluppo tecnologico e l’innovazione. Con questa premessa diviene centrale domandarsi: quanto pesa la nostra dipendenza dalla Cina e quali potrebbero essere le alternative? Come sempre la risposta non può essere univoca e vi sono molte sfaccettature da considerare.

Il nodo delle materie prime

Già in passato abbiamo affrontato più volte il tema delle materie prime e della loro provenienza. La guerra Russia-Ucraina ha sollevato un tema altrimenti poco approfondito, ma che va oltre il dramma di questo conflitto.
In effetti, per l’Occidente vi sono, ad esempio, due materie nodali in ambito tecnologico, il gallio e il germanio. Il primo è essenziale per la produzione di chip per computer, per le fotocamere dei telefoni cellulari, i LED e i cavi in fibra ottica e il 98% utilizzato nel mondo viene dalla Cina. Per il germanio la percentuale è “solo” (si fa per dire) del 60%, ma anche qui parliamo di una materia di fondamentale importanza per la produzione di chip per computer, utilizzati in migliaia di oggetti elettronici di uso quotidiano, automobili, telefoni cellulari e negli aerei. Sia gallio che germanio hanno poi applicazioni importanti anche nell’ambito militare perché sono utilizzati nella produzione di dispositivi di visione notturna o di droni.
È quindi evidente che lo sviluppo tecnologico e fette importanti dell’innovazione occidentale dipendono fortemente dalle decisioni del governo cinese, in particolare quando vengono introdotti controlli sulle esportazioni delle materie prime in generale. Non solo delle due citate in particolare, come già avvenuto, ma anche di altre come il tungsteno (importante per molti beni militari e per l’industria automobilistica e aerospaziale) e la grafite (necessaria per la produzione di batterie per auto elettriche e chip per computer). Sullo sfondo della guerra commerciale in atto con gli Stati Uniti, non è escluso nemmeno un divieto di esportazione, che avrebbe effetti pesantissimi anche per la Svizzera. Nel mentre, il prezzo delle due materie è comunque già salito considerevolmente e l’ottenimento delle stesse in Cina, attraverso un complesso sistema di licenze, è tutt’altro che agevole.

Alternative?

Quali alternative esistono? Modificare rapidamente la dipendenza dalla Cina è di fatto quasi impossibile. Attraverso progetti di cooperazione si cerca di ovviare al problema, tanto che quattordici paesi dell’Unione europea si sono raggruppati in un Partenariato per la sicurezza dei minerali, finalizzato a finanziare progetti minerari per le materie prime critiche. Ma spesso anche solo l’ottenimento di determinate materie è complesso, perché occorre dapprima creare una catena di produzione.
Sempre rimanendo su gallio e germanio, è opportuno rilevare che il gallio si ottiene come sottoprodotto nella produzione di alluminio, mentre il germanio è un sottoprodotto della produzione di zinco. Guarda caso, la Cina è il primo produttore mondiale di alluminio e il secondo di zinco. Per produrre grandi quantità di gallio o germanio alle nostre latitudini occorrerebbe dapprima creare catene di produzioni per l’alluminio e lo zinco e, conoscendo anche i tempi lunghi delle scelte politiche, occorre essere realisti che vere alternative sono assai difficili da realizzare. Senza contare che sarebbero necessari investimenti massicci con scarsi margini di redditività. In passato in Germania si produceva il gallio, ma poi i siti sono stati dismessi perché poco redditizi e riavviarli oggi sarebbe oneroso, soprattutto nell’ottica di un impegno finanziario a lungo termine. Gli Stati Uniti, per contro, stanno cercando alternative in Africa.

Quali conseguenze per la Svizzera e il Ticino? Fra politica e innovazione

Come ripetutamente sottolineato, sarebbe illusorio pensare che la Svizzera e il Ticino non siano toccati da questi aspetti, con scenari che sembrano lontanissimi, ma che toccano il quotidiano di molte nostre aziende. Come produttori, fornitori, sub-fornitori, ecc., comprese quindi le aziende ticinesi che realizzano direttamente prodotti finiti oppure con semi-lavorati o componenti che confluiscono in prodotti finiti di altre aziende svizzere.
Non si tratta di allarmismo, ma di sano realismo, perché è inutile cercare di chiamarsi fuori, ignorando quanto succede al di fuori dei nostri confini. Il margine di manovra elvetico (e anche europeo…) è ridotto, visto che molto dipende dalle difficili dinamiche Stati Uniti-Cina e le elezioni presidenziali americane potranno in questo senso giocare un ruolo importante. Ma proprio perché abbiamo un margine di manovra ridotto è, a maggior ragione, fondamentale mantenere un tessuto economico diversificato e buoni rapporti con l’estero, considerando anche che con la Cina abbiamo già in atto un Accordo di libero scambio che può agevolarci in diversi ambiti. Senza dimenticare la necessità di nuovi accordi con l’Unione Europea.

Trovare alternative alle terre rare resta impresa quasi impossibile, almeno nel breve e medio termine. E qui entra in gioco anche l’ampio mondo dell’innovazione perché quella di produzione senza materie prime è di fatto impossibile.
D’altra parte, l’innovazione permette proprio di trovare vie per utilizzare meglio dette materie prime, ad esempio favorendone il riciclaggio in un sistema circolare, che avrebbe risvolti positivi non solo per la sostenibilità ambientale, ma anche per quella economica, troppo spesso dimenticata nella discussione politica, ma fondamentale per far funzionare il sistema-paese.


Think Tank

Recentemente abbiamo ospitato a Lugano una delegazione del Think Tank romando Manufacture Thinking (manufacturethinking.ch), struttura diretta da Xavier Comtesse e attiva da oltre dieci anni nell’analisi dei trend dell’innovazione.

La Cc-Ti ha concretizzato una collaborazione con questo gruppo che raccoglie accademici, unitamente alle più grandi e importanti aziende presenti in Romandia.
Questa collaborazione viene riproposta in un articolo apparso la scorsa settimana nella rivista economica “Agefi” a firma congiunta del Direttore della Cc-Ti, Luca Albertoni, del Direttore della Camera di commercio e dell’industria di Neuchâtel, Florian Németi e dello stesso Direttore della Manufacture Thinking, Xavier Comtesse.

Medtech e macchine sotto il “giogo” europeo

A causa delle sue normative, l’Unione Europea frena l’innovazione al contrario degli Stati Uniti e le cose stanno peggiorando. Come emerge chiaramente in uno studio pubblicato a metà settembre, i Regolamenti dell’Unione Europea (UE) stanno causando gravi danni all’industria Medtech svizzera, costringendola a certificare tutti i dispositivi medici nell’UE, anziché solo in Svizzera come avveniva in precedenza.
Il Regolamento europeo sui dispositivi medici (MDR) è burocratico, costoso e costituisce proprio per le sue dinamiche un freno all’innovazione stessa. Questo iter non è nuovo, ma si è concretizzato negli ultimi due anni. Per gestirne l’applicazione, l’80% delle aziende ha dovuto assumere ulteriore personale e il 60% delle imprese ha dovuto attingere a risorse umane tolte dai settori della ricerca e dello sviluppo. La metà delle aziende ha ridotto il proprio portafoglio di dispositivi in media del 20%. I costi di sviluppo sono aumentati in media del 28% circa, i costi dei dispositivi del 13% circa e i prezzi dei dispositivi dell’8% circa. Questi aumenti non sono esclusivamente legati al succitato MDR. Anche i maggiori costi delle materie prime, dell’energia, dei trasporti e della logistica sono stati e restano un fattore determinante.

La salvezza arriverà dagli Stati Uniti e dalla FDA?

Con la burocrazia del Regolamento MDR, l’Europa è in ritardo rispetto agli Stati Uniti. Già oggi, oltre il 20% delle aziende svizzere non richiede più l’autorizzazione iniziale all’immissione in commercio dei propri dispositivi più recenti nell’Unione Europea, ma negli Stati Uniti. Oltre il 30% certifica i propri dispositivi in entrambe le regioni.
Poiché il processo richiede molto più tempo in Europa che presso la Food and Drug Administration (FDA) statunitense, le innovazioni possono essere rese disponibili al pubblico svizzero solo dopo anni.

Sarà la volta delle macchine?

Sebbene il settore del Medtech abbia sperimentato questo cambiamento normativo soprattutto negli ultimi due anni, esso era già in cantiere dal 2017. Il settore delle macchine (non inteso come automobili ma come macchinari), di importanza vitale per la Svizzera con oltre 300.000 posti di lavoro, sta seguendo lo stesso processo di adeguamento alle norme europee.
Il 29 giugno di quest’anno è stato pubblicato il nuovo Regolamento europeo, che sostituisce la vecchia Direttiva europea sul tema. Il regolamento entrerà in vigore il 20 gennaio 2027, fatte salve alcune disposizioni transitorie. Questo regolamento creerà ulteriori oneri burocratici e costi per le aziende svizzere, che già soffrono di un tasso di cambio sfavorevole con i Paesi europei.

Cosa fare?

È chiaro che l’industria svizzera è messa sotto pressione da un’UE che continua a regolamentare senza comprendere che la propria salvezza è nell’innovazione, non nel protezionismo. Continuando a perseguire questa direzione, le conseguenze si rivelano gravose anche per la Svizzera, legata a doppio filo al mercato dell’UE e che vanta un’industria grande, solida e innovativa. La soluzione per il nostro Paese sarà senza dubbio quella di accelerare ulteriormente la digitalizzazione delle imprese, in particolare attraverso l’uso di strumenti di intelligenza artificiale, particolarmente efficaci nella riduzione della burocrazia.
È pertanto auspicabile un deciso programma nazionale atto a facilitare la creazione di strumenti di intelligenza artificiale in questo settore.

L’inazione e la mancata presa di coscienza rappresentano una condanna per le attività e per le persone che le fanno vivere.

Pronti a dialogare con un collega robot?

E se fosse il vostro capo?

Lo scorso mese di giugno la Cc-Ti ha organizzato un evento intitolato “AI-volution: il futuro è oggi”, che ha riunito una quarantina di partecipanti, che hanno potuto discutere del tema dell’intelligenza artificiale e delle tendenze nell’ambito delle HR e della gestione aziendale, con un occhio di riguardo ai risvolti a livello legale che si dovranno fronteggiare. Vi proponiamo di seguito alcune considerazioni dei due relatori dell’evento, il Prof. Andrea Martone, Director Research & Studies Von Rundstedt – Svizzera e Roberta Bazzana-Marcoli, Avvocato, Titolare dello studio RBLegal.

Riflessioni “a ruota libera” su come l’AI sta cambiando i modelli di gestione delle HR

Immaginate di lavorare con un collega robot; non è fantascienza, ma la quotidianità di molte imprese, in cui i sistemi di Intelligenza Artificiale (AI) rispondono a domande, gestiscono le richieste di ferie, organizzano riunioni e monitorano le scadenze dei progetti. Se però il robot, non è un collega, ma assume i poteri di capo l’idea sembra ancora più sorprendente, magari anche disturbante.
In realtà già oggi, molti lavoratori operano alle dipendenze di un’intelligenza non umana: pensate agli autisti di un servizio di taxi le cui corse sono regolate da un algoritmo o ai cassieri di un supermercato, che sono chiamati alla postazione di lavoro da un sistema automatizzato di controllo delle code. Un capo robot può analizzare le prestazioni in tempo reale, offrire un feedback immediato e personalizzato e prendere decisioni basate su dati concreti piuttosto che su intuizioni soggettive.
Ciò nonostante, l’assenza di empatia e intelligenza emotiva rappresenta una sfida significativa per l’AI sia in ruoli operativi che in ruoli di leadership. La capacità di comprendere le sfumature delle interazioni umane, di creare fiducia e di gestire conflitti richiede competenze che attualmente solo gli esseri umani possiedono.
Lavorare con un robot richiede un adattamento culturale: l’AI arriva fino ad un certo punto, poi deve intervenire l’uomo; è fondamentale vederla come uno strumento complementare, piuttosto che un sostituto del lavoro umano. La cultura e la comunicazione interna giocano un ruolo cruciale nel dissipare paure e pregiudizi legati all’automazione.

Ora però vorrei proporvi alcune considerazioni sulla gestione delle risorse umane: accettereste che il vostro direttore del personale fosse un robot? Oggi l’AI è in grado di fare ragionamenti logici sempre più complessi, così, anche i processi di gestione del personale possono essere condotti da “soggetti pensanti” di natura non umana. nonostante siano, per loro natura, molto delicati, perché vanno a toccare direttamente la vita dei lavoratori e le loro sensibilità personali (come giudichereste essere licenziati da un robot?). Non penso di esaurire l’argomento nelle poche righe di questo articolo, ma vorrei condividere alcune riflessioni sulle  tendenze prevalenti.

La selezione del personale è una delle aree in cui l’AI sta avendo maggiore impatto. Innanzitutto, può intervenire sul dimensionamento degli organici, attraverso l’analisi predittiva dei fabbisogni: in questo modo, al posto di lunghe trattative con i vari dirigenti, una macchina pensante pianifica con oggettività le assunzioni e i licenziamenti. Una volta stabiliti i fabbisogni di organico, l’AI può analizzare migliaia di curriculum in pochi secondi, identificando i candidati più promettenti in base a competenze, esperienze e parole chiave. I sistemi di intelligenza artificiale possono anche proporre esercitazioni, prove pratiche e test per comprendere le reali capacità del candidato. Il sogno dei programmatori è che in un futuro non lontano saranno in grado di tenere anche i colloqui di selezione, lasciando alla mente umana solo la scelta finale tra un rosa di candidati (a questo punto perfetta, perché frutto di una preselezione ottimizzata). Tutto questo, non solo velocizza il processo di reclutamento, ma elimina anche molti bias umani, favorendo una selezione più equa e meritocratica (anche se ci sono alcune evidenze sui pregiudizi che gli uomini trasferiscono alle macchine quando le programmano).

L’AI può monitorare e valutare le performance dei dipendenti in modo continuo e dettagliato molto più di quanto possa fare qualsiasi dirigente. Attraverso l’analisi dei dati raccolti da vari sistemi aziendali, il capo robot può fornire feedback personalizzati e tempestivi, aiutando i dipendenti a migliorare le proprie performance. Inoltre, può identificare potenziali aree di sviluppo per ciascun lavoratore, suggerendo percorsi di carriera e opportunità di formazione.

Un tema assai delicato, in cui l’AI sta irrompendo è quello del benessere dei dipendenti: monitorando il linguaggio nei messaggi di posta elettronica o nei commenti sui social aziendali e confrontando queste evidenze con le performance aziendali, l’AI è in grado di valutare lo stato di salute dei lavoratori. Questi insight possono essere utilizzati per avviare interventi di sostegno preventivi (con molte precauzioni in tema di privacy).

Da ultimo dobbiamo menzionare i sistemi di formazione e sviluppo che l’AI sta trasformando, grazie soprattutto alla creazione di piattaforme di e-learning che possono adattare i percorsi formativi alle esigenze  specifiche di ciascun dipendente. Analizzando le performance e i progressi individuali, l’AI può suggerire corsi e contenuti specifici, garantendo che ogni dipendente riceva la formazione di cui ha bisogno. Va anche ricordato che l’AI offre esperienze di apprendimento, che possono simulare situazioni reali, migliorando così l’efficacia della formazione in tutti i campi del sapere.

Conclusioni

L’integrazione dell’intelligenza artificiale nella vita delle imprese non è solo una questione di efficienza e produttività, ma rappresenta un cambiamento culturale significativo. Le aziende devono essere pronte a gestire questa transizione, assicurandosi che la tecnologia sia utilizzata in modo etico e che i dipendenti siano adeguatamente supportati in questo nuovo ambiente di lavoro. Dialogare con un collega robot o avere un capo digitale potrebbe presto diventare la norma: essere pronti sarà la chiave per il successo futuro delle organizzazioni. 


Articolo a cura di Prof. Andrea Martone, Director Research & Studies Von Rundstedt – Svizzera



Futuro: attenzione alle sfide giuridiche, non c’è solo la privacy

È ormai risaputo che l’intelligenza artificiale (IA) sta rapidamente rivoluzionando molti settori, offrendo un potenziale straordinario per aumentare l’efficienza e migliorare le prestazioni in vari ambiti, compresa la gestione delle risorse umane. Dall’IA derivano strumenti avanzati per la selezione del personale, la valutazione delle performance e il monitoraggio del benessere dei dipendenti. Ma si va ben oltre: non è più fantascienza immaginare dipendenti che interagiscono con macchine o addirittura ricevono ordini e direttive da un capo robot.
L’IA promette enormi vantaggi in termini di produttività ed efficienza, aprendo interessanti prospettive. Ciononostante, accanto a queste opportunità, emergono rilevanti questioni etiche  e giuridiche che non possono essere ignorate.

In questo scenario, diventa cruciale bilanciare l’entusiasmo per l’innovazione tecnologica con una riflessione attenta sui potenziali rischi e sulle implicazioni legali. Sono ormai ricorrenti i dibattiti sulle problematiche giuridiche legate all’interazione professionale con l’IA, come la tutela dei dati personali, la necessità di trasparenza e, soprattutto, l’importanza di garantire processi equi e non discriminatori. Tuttavia, non va trascurato un altro aspetto che, pur apparendo una questione etica, ha anche rilevanti implicazioni legali: quale impatto ha l’IA sulla salute psicofisica di un collaboratore che si trova a interagire o addirittura a sottostare, alle direttive di una macchina dotata di intelligenza artificiale?
La protezione della salute dei lavoratori, inclusa quella psicofisica, è al centro delle normative sul lavoro in molti Paesi.

Le Normative che richiedono la gestione dei rischi psicosociali, come lo stress e il burnout, sono ormai diffuse in diversi ordinamenti, a testimonianza di una crescente attenzione verso la salute mentale, considerata fondamentale per garantire il benessere complessivo dei lavoratori. Questa crescente attenzione alla salute psicofisica dei lavoratori diventa ancor più indispensabile con l’introduzione di macchine basate sull’intelligenza artificiale. Questi strumenti, pur essendo progettati, come detto, per migliorare l’efficienza e ottimizzare le operazioni, possono in realtà generare nuove fonti di stress e frustrazione, mettendo a rischio il benessere mentale dei dipendenti. L’automazione e il monitoraggio continuo rischiano di ridurre l’autonomia e la serenità dei lavoratori, compromettendo un equilibrio che la normativa aveva faticosamente cercato di costruire.
Nel processo di selezione del personale, ad esempio, sempre più aziende ricorrono all’intelligenza artificiale per valutare performance, analizzare curriculum e persino condurre interviste virtuali. In alcuni casi, l’IA viene impiegata perfino per decidere chi richiamare o chi licenziare.
Il dipendente o il candidato, a quel punto, potrebbe percepire di ritrovarsi in una posizione passiva, sentendosi giudicato da un sistema di cui non conosce a fondo i criteri sui quali si basa, ma che immagina precisi e impeccabili, proprio perché dettati da una macchina, ritenuta priva di errori.
Nonostante l’elevata raffinatezza della tecnologia, questa non è -ancora-in grado di cogliere appieno le sfumature emotive o le difficoltà individuali, generando così potenzialmente un inevitabile senso di frustrazione e stress. Il non “potersi spiegare” potrebbe collocare la persona in una situazione di assoluto disorientamento. Tale situazione, nella quale si viene valutati da un algoritmo, piuttosto che da una persona, può far crescere un senso di inadeguatezza difficile da gestire, con possibili conseguenze sulla salute psichica.

Un esempio particolarmente significativo è quello dei driver che operano per le piattaforme di consegne online. Non sempre l’intelligenza artificiale si limita a ottimizzare la logistica, ma spesso definisce in ogni dettaglio della giornata lavorativa. Alcuni algoritmi monitorano ogni aspetto del loro operato: dal tempo impiegato per completare una consegna, alla velocità di guida, fino a quante pause vengono prese. In casi estremi, telecamere all’interno dei veicoli scrutano persino le espressioni facciali per valutare se il conducente è stanco o distratto.
Questa sorveglianza pervasiva ha dimostrato di generare un costante senso di pressione, addirittura oppressione. I driver lavorano con la consapevolezza di essere osservati da un occhio digitale che non perdona errori, alimentando la paura di sanzioni ogni qualvolta non si allineano ai rigidi parametri imposti dall’algoritmo. Il risultato è uno stato di tensione permanente, un’ansia che non considera le variabili umane, come il traffico, la fatica o gli imprevisti quotidiani. Così, invece di migliorare l’efficienza, è emerso che questa forma di controllo finisce per erodere il benessere mentale dei lavoratori, trasformandoli in semplici ingranaggi di un sistema che dimentica il loro lato umano.
Gli esempi di questo tipo sono numerosi. Dalle fabbriche automatizzate ai magazzini dove l’IA guida le operazioni, fino ai call center in cui il monitoraggio costante è la norma.

Il quadro che emerge è chiaro: l’evoluzione tecnologica è ormai una realtà inarrestabile e senz’altro un’opportunità da cogliere. Tuttavia, ciò che oggi richiede una riflessione urgente, sia etica che giuridica, è come procedere da qui in avanti. Se da un lato non possiamo ignorare i benefici tangibili dell’intelligenza artificiale, dall’altro è fondamentale che questo progresso non avvenga a discapito della salute psichica di chi interagisce con l’IA. La sfida non è fermare la tecnologia, ma piuttosto integrarla in modo che sia tutelata la dignità umana, riconoscendo che dietro ogni algoritmo c’è un individuo, con emozioni, limiti e diritti.

I principi di informazione e trasparenza rappresentano i pilastri fondamentali di questa trasformazione tecnologica Nel processo informativo, il coinvolgimento di tutte le risorse umane dei dipendenti è imprescindibile e la garanzia di trasparenza non deve riguardare solo il funzionamento degli algoritmi, ma anche i criteri su cui si basano le valutazioni, garantendo che tutti i dipendenti possano comprendere il processo decisionale e non percepiscano l’IA come uno strumento impenetrabile. È in tal senso che stanno andando le giurisdizioni europee. Il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale concretizza questi principi di informazione e trasparenza, stabilendo obblighi precisi per i datori di lavoro riguardo alla comunicazione chiara e accessibile sui meccanismi di monitoraggio e sui criteri di decisione automatizzata, con l’obiettivo di proteggere i diritti e la salute psicofisica dei lavoratori.
L’innovazione distingue un leader da un seguace.”  – (Steve Jobs)


Articolo a cura di Avv. Roberta Bazzana-Marcoli, Titolare dello studio RBLegal